Language of document : ECLI:EU:C:2012:819

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 19 dicembre 2012 (1)

Causa C‑216/11

Commissione europea

contro

Repubblica francese

«Ricorso per inadempimento – Direttiva 92/12 – Articoli 8 e 9 – Prodotti soggetti ad accisa – Prodotti del tabacco acquistati in uno Stato membro e trasportati in un altro Stato membro – Criteri di determinazione delle restrizioni al trasporto di prodotti soggetti ad accisa – Libera circolazione delle merci – Articolo 34 TFUE – Rapporto tra una libertà fondamentale ed il diritto derivato – Invocazione in successione di una norma derivata e di una libertà fondamentale»





1.        Nel presente ricorso per inadempimento la Commissione europea chiede alla Corte di giustizia di dichiarare che la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, in primo luogo, degli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12/CEE (2), relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa e, in secondo luogo, in forza dell’articolo 34 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Repubblica francese chiede il rigetto del ricorso della Commissione.

2.        La causa in esame solleva un’interessante questione che riguarda, in generale, i ricorsi per inadempimento in cui si invocano in successione norme di diritto derivato e libertà fondamentali. Nel ricorso, la Commissione addebita alla Repubblica francese la violazione sia degli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12 sia della libertà di circolazione delle merci di cui all’articolo 34 TFUE. Secondo una costante giurisprudenza della Corte di giustizia, il diritto derivato che sviluppa le libertà di circolazione sostituisce queste ultime sul piano procedurale e, in linea di principio, diviene l’unico parametro di giudizio. Il fatto che la censura della Commissione sia stata formulata nell’ambito di un ricorso per inadempimento dà luogo ad un problema procedurale, che affronterò in queste conclusioni non senza una certa difficoltà.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

3.        Gli articoli 34 TFUE e 36 TFUE recitano quanto segue:

«Articolo 34 [TFUE]

«Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.

(…)

Articolo 36

«Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri».

4.        La direttiva 92/12 armonizza il regime di detenzione, di circolazione e dei controlli dei prodotti soggetti ad accisa, tra i quali figurano il tabacco e le bevande alcoliche.

5.        Nel settimo considerando della direttiva si dichiara che, «per stabilire che i prodotti soggetti ad accisa non sono detenuti a fini personali bensì a fini commerciali, gli Stati membri devono tener conto di un certo numero di criteri».

6.        I criteri cui fa riferimento il citato considerando si riflettono negli articoli 8 e 9 della direttiva, che così recitano:

«Articolo 8

«Per i prodotti acquistati dai privati per proprio uso e trasportati dai medesimi, il principio che disciplina il mercato interno stabilisce che i diritti di accisa siano riscossi dallo Stato membro in cui i prodotti sono acquistati.

Articolo 9

1.      Fatti salvi gli articoli 6, 7 e 8, l’accisa diventa esigibile allorché i prodotti immessi in consumo in uno Stato membro sono detenuti per scopi commerciali in un altro Stato membro.

In tal caso, l’accisa va pagata nello Stato membro nel cui territorio si trovano i prodotti ed è esigibile nei confronti del detentore dei prodotti.

2. Per stabilire che i prodotti contemplati dall’articolo 8 sono destinati a scopi commerciali, gli Stati membri devono, fra l’altro, tener conto dei seguenti elementi:

–        lo status commerciale e ragioni del detentore dei prodotti;

–        il luogo in cui i prodotti si trovano o, se del caso, il modo di trasporto utilizzato;

–        qualsiasi documento relativo a tali prodotti;

–        la natura dei prodotti;

–        il quantitativo dei prodotti.

Per l’applicazione del primo comma, quinto trattino, gli Stati membri possono stabilire, esclusivamente come elemento di prova, livelli indicativi. Questi ultimi non possono essere inferiori a:

a) Prodotti a base di tabacco

sigarette: 800 pezzi,

sigaretti (sigari di peso non superiore a 3 g/pezzo): 400 pezzi,

sigari 200 pezzi,

tabacco da fumo 1,0 kg

(…)».

7.        La direttiva 92/12/CEE è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/118/CE con effetto dal 1º aprile 2010. Tuttavia, il termine impartito nel parere motivato della Commissione scadeva il 23 gennaio 2010. Pertanto, ai fini del presente procedimento la normativa oggetto di interpretazione è la direttiva 92/12, il cui contenuto, in ultima analisi, non differisce sostanzialmente da quello relativo ai criteri di determinazione del consumo personale.

B –    Diritto nazionale

8.        Ai fini del presente procedimento, il codice generale delle imposte (in prosieguo: il «CGI») contiene varie disposizioni relative all’applicabilità delle accise a determinati prodotti, incluso il tabacco, tra le quali vanno menzionate le seguenti:

«Articolo 302 D I

L’imposta sorge: (…)

4º Fatti salvi il punto 9 dell’articolo 458 e gli articoli 575 G e 575 H, quando in Francia si constati la detenzione per scopi commerciali di alcol, di bevande alcoliche e di tabacchi manifatturati, nel caso in cui il detentore non possa dimostrare, attraverso un documento d’accompagnamento, una fattura o uno scontrino di cassa, a seconda dei casi, che tali prodotti circolino in regime di sospensione da accisa, che l’accisa sia stata assolta in Francia, o che sia garantita in tale paese a norma dell’articolo 302 U.

Per stabilire se detti prodotti sono detenuti in Francia per scopi commerciali, l’amministrazione tiene conto dei seguenti elementi:

a) l’attività professionale del detentore dei prodotti;

b) il luogo in cui i prodotti si trovano, il mezzo di trasporto utilizzato o i documenti relativi a tali prodotti;

c) la natura dei prodotti;

d) i quantitativi dei prodotti, soprattutto qualora siano superiori ai livelli stabiliti dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (…)».

Articolo 575 G

«I tabacchi lavorati, dopo essere stati venduti al minuto, non possono circolare in quantitativi superiori a Kg 1 senza il documento previsto dall’articolo 302 M, sub II».

Articolo 575 H

«Fatta eccezione per i distributori, i fornitori dei punti vendita, le persone menzionate all’articolo 565, punto 3, i rivenditori menzionati all’articolo 568, quarto comma o, nel rispetto dei quantitativi stabiliti con decreto del ministro del Bilancio, i rivenditori menzionati nel primo comma di tale disposizione, nessuno può detenere, presso un deposito, un locale commerciale o a bordo di un mezzo di trasporto, tabacchi lavorati in quantitativi superiori a Kg 2».

9.        Alla data di scadenza del termine stabilito nel parere motivato, la pagina web del Ministero delle finanze francese conteneva varie informazioni, di carattere pratico, rivolte agli acquirenti di prodotti soggetti ad accisa esercenti la libera circolazione delle merci tra la Francia e gli altri Stati membri. Nel ricorso la Commissione espone che le informazioni fornite dal Ministero delle finanze includevano i seguenti punti:

«Considerazioni generali

Il viaggiatore quando si sposta in altri paesi dell’Unione non è soggetto, qualora acquisti prodotti per il proprio uso personale, all’obbligo di presentare una dichiarazione né al pagamento di diritti o imposte al momento di uscire dalla Francia o farvi ingresso.

Il viaggiatore deve pagare l’imposta sul valore aggiunto (IVA) direttamente nel paese in cui ha effettuato gli acquisti e in base all’aliquota vigente in tale paese. Per gli acquisti di bevande e tabacco, la normativa comunitaria ha previsto livelli massimi indicativi in relazione all’acquisto di tali prodotti per il suo uso personale.

Per quantitativi superiori ai livelli applicabili al tabacco e all’alcol, enunciati nel prosieguo, e in funzione di altri criteri, i servizi doganali francesi possono ritenere che il viaggiatore abbia effettuato gli acquisti per scopi commerciali. In tale caso, il viaggiatore dovrà liquidare i corrispondenti diritti ed imposte esigibili in Francia per ciascuno dei prodotti in questione. Gli stessi limiti si applicano anche in caso di uscita dalla Francia con destinazione in qualsiasi altro Stato membro dell’Unione europea.

Tabacco

Alla luce delle disposizioni di cui agli articoli 575 G e 575 H del codice generale delle imposte, come modificati dalla legge di finanziamento della previdenza sociale per l’esercizio 2006, le seguenti disposizioni si applicano a decorrere dal 1º gennaio 2006 agli acquisti di tabacco realizzati da privati in altri Stati membri dell’Unione europea, ad eccezione dei 10 nuovi Stati membri:

– è consentito trasportare 5 cartoni di sigarette (vale a dire un quantitativo di tabacco pari a Kg 1) senza permesso di circolazione.

Attenzione: detto limite si applica a ciascun mezzo di trasporto individuale o ad ogni persona di età superiore ai diciassette anni in caso di trasporto collettivo (vale a dire, qualsiasi mezzo di trasporto con più di nove passeggeri a bordo, incluso il conducente).

– Qualora trasporti da sei a dieci cartoni, il viaggiatore deve munirsi di un documento di accompagnamento semplificato (DAS). In mancanza del DAS, il viaggiatore ispezionato è soggetto alla confisca del tabacco, nonché al pagamento di una sanzione. Il viaggiatore può rinunciare alla merce. In tal caso, non gli verranno inflitte sanzioni.

– Per ottenere tale documento basta presentarsi al primo ufficio doganale francese, presso il posto di frontiera.

– L’introduzione nel paese di più di dieci cartoni di sigarette (ovvero di Kg 2 di tabacco) è vietata in tutti gli altri casi. Il viaggiatore ispezionato è soggetto alle suddette misure sanzionatorie (confisca del tabacco e pagamento di una sanzione pecuniaria).

Nel caso di mezzi di trasporto collettivi (aeromobili, imbarcazioni, autobus, treni) tali disposizioni si applicano individualmente a ciascun passeggero».

II – Fase precontenziosa

10.      Il 20 novembre 2006 la Commissione indirizzava alla Repubblica francese una richiesta di informazioni riguardante le disposizioni e le prassi amministrative in materia di importazione del tabacco proveniente da altri Stati membri. Alla luce delle informazioni fornite dalle autorità francesi, in data 23 ottobre 2007 la Commissione inviava alle medesime una lettera di diffida, contestando allo Stato membro convenuto la violazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12, nonché dell’allora articolo 28 CE (divenuto articolo 34 TFUE).

11.      A seguito di una domanda di informazioni integrative, inoltrata alle autorità francesi il 4 giugno 2008, la Commissione emetteva un parere motivato in data 23 novembre 2009, invitando la Repubblica francese ad adottare le misure necessarie per adeguare la legislazione e la prassi interne entro il termine di due mesi dalla data di ricezione di detto parere. Successivamente, la Commissione e le autorità francesi prendevano parte a due riunioni al fine di fissare il calendario delle date e le modalità di adattamento della normativa e della prassi francesi al diritto dell’Unione. Con lettera del 15 luglio 2010, le autorità francesi trasmettevano alla Commissione una bozza delle disposizioni di modifica della regolamentazione nazionale, dirette ad adattare l’ordinamento interno al diritto dell’Unione.

12.      Nel novembre 2010 veniva presentato all’Assemblea Nazionale il progetto di legge finanziaria recante modifiche delle disposizioni contestate dalla Commissione. Tuttavia, il 21 dicembre dello stesso anno l’Assemblea Nazionale respingeva il progetto di legge, mantenendo in vigore le disposizioni considerate illegittime dalla Commissione.

13.      In seguito al rigetto del progetto di legge da parte dell’Assemblea Nazionale, la Commissione ha proposto il presente ricorso per inadempimento.

III – Sul ricorso

A –    Argomenti delle parti

14.      La Commissione deduce, in primo luogo, che la Repubblica francese ha violato gli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12. A sostegno del proprio ricorso, la Commissione deduce i seguenti argomenti:

– che la normativa francese introduce erroneamente criteri oggettivi e fissi per stabilire se l’acquisto di tabacco in un altro Stato membro sia destinato ad un uso personale o commerciale.

– che la normativa francese applica detto criterio oggettivo e fisso all’insieme dei prodotti acquistati e non a ciascun tipo di prodotto individualmente considerato.

– che, nel caso in cui il soggetto passivo si sposti con un veicolo, la normativa francese applica detto criterio oggettivo e fisso in funzione di ciascun veicolo, e non di ogni persona individualmente considerata.

– che la normativa francese prevede, una volta che sia stato applicato il detto criterio e accertato un uso commerciale del prodotto in questione, sanzioni sproporzionate, in quanto impone la confisca «sistematica» nel caso in cui il quantitativo di tabacco detenuto risulti superiore a Kg 2 per ciascun veicolo. Una deroga a tale misura è ammessa soltanto nei casi in cui risulti la «buona fede», nozione questa che, secondo la Commissione, non viene definita dalla legislazione interna e genera incertezza giuridica. Analogamente, la Commissione censura il regime di «abbandono» delle merci che, a suo avviso, non appare minimamente distinto dal potere di confisca.

15.      In secondo luogo, la Commissione deduce che la Repubblica francese ha violato l’articolo 34 TFUE, stabilendo che i quantitativi di tabacco superiori a Kg 2, o a dieci cartoni di sigarette, siano automaticamente soggetti ad accisa, a prescindere dal fatto che si dimostri la loro destinazione ad uso personale. A sostegno di tale censura, la Commissione rileva principalmente che l’articolo 575 H CGI, sebbene si riferisca al tabacco detenuto indipendentemente dal luogo di acquisto dello stesso, ha l’effetto di ostacolare l’acquisto di tabacco in altri Stati membri e, pertanto, costituisce una restrizione alla libera circolazione delle merci. A riprova di ciò, la Commissione osserva che i controlli destinati a garantire l’applicazione di tale disposizione sono previsti esclusivamente presso i punti transfrontalieri. Analogamente, sempre secondo la Commissione, le autorità francesi non hanno mai celato che tali disposizioni hanno come obiettivo l’acquisto di lavorati del tabacco non nel territorio francese, bensì in altri Stati membri, allo scopo di sopprimere quelle pratiche che sono state definite come «turismo fiscale».

16.      Il governo francese asserisce, in risposta al primo addebito dedotto dalla Commissione, che l’ordinamento interno e la prassi amministrativa di cui trattasi non violano in nessun modo la direttiva 92/12, e ciò per i seguenti motivi:

– Gli articoli 575 G e H non disciplinano l’accisa applicabile al tabacco ma si riferiscono alla detenzione di quest’ultimo. Pertanto, le disposizioni contestate dalla Commissione esulano dall’ambito di applicazione della direttiva 92/12 e non possono essere esaminate alla luce di quest’ultima.

– Qualora la direttiva 92/12 venisse applicata alle disposizioni in questione, si dovrebbe tenere a mente che anche quest’ultima esige la presa in considerazione di altri fattori, come l’attività professionale dell’acquirente, il mezzo di trasporto utilizzato e la natura del prodotto. Il fatto che la prassi amministrativa applichi un solo criterio non fa venir meno la compatibilità degli articoli 575 G e H con la direttiva 92/12.

– Quanto al criterio che prende in considerazione l’insieme dei prodotti detenuti dalla persona interessata e non ciascun tipo di prodotto individualmente considerato, l’articolo 9 della direttiva 92/12 non aggiunge nulla sull’argomento. In assenza di precisazioni al riguardo, non si può ritenere che la normativa francese violi la citata disposizione.

– Rispetto al carattere sproporzionato della normativa, il governo francese osserva che le sanzioni non si applicano «sistematicamente» né sono sproporzionate.

17.      Il governo francese contesta parimenti il secondo addebito relativo all’articolo 34 TFUE e deduce i seguenti argomenti a sua difesa:

– sebbene riconosca apertamente che il limite previsto dall’articolo 575 H costituisce una restrizione quantitativa all’importazione, nondimeno il governo francese sostiene che la misura in questione risulta giustificata, in quanto persegue l’obiettivo della protezione della salute e della vita delle persone, come riconosce lo stesso articolo 36 TFUE.

– La protezione della salute e della vita delle persone, come si riflette nelle disposizioni dell’ordinamento nazionale, non genera una disparità di trattamento arbitraria né costituisce una misura sproporzionata.

B –    Analisi

1.      Sul primo addebito, relativo alla violazione degli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12

18.      Gli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12 introducono una deroga, in virtù della quale vengono esonerate dal pagamento dell’accisa le persone che acquistano prodotti tassabili «per il proprio uso». L’articolo 9 elenca vari criteri di cui gli Stati membri «devono (…) tenere conto», tra i quali figurano lo status commerciale, il luogo in cui i prodotti si trovano, le modalità di trasporto utilizzato, la natura dei prodotti e il loro quantitativo.

19.      Rispetto a quest’ultimo criterio, che si riferisce al quantitativo, tale disposizione conferisce agli Stati la facoltà di stabilire, «esclusivamente come elemento di prova, livelli indicativi». Nel prosieguo, vengono elencati, per ciascun prodotto a base di tabacco, i quantitativi minimi cui gli Stati membri devono attenersi nel caso in cui utilizzino un criterio quantitativo come elemento di prova.

20.      In sostanza, la direttiva 92/12 ha armonizzato gli elementi che uno Stato membro deve prendere in considerazione al momento di stabilire se l’acquisto di un bene soggetto ad accisa venga destinato al consumo personale o ad un uso commerciale. Di conseguenza, sebbene la direttiva 92/12 costituisca uno strumento di armonizzazione che concede agli Stati membri un ampio margine discrezionale, come la Corte di giustizia ha già avuto modo di sottolineare in varie occasioni (3), è anche vero che tali livelli minimi possono trasformarsi, nel caso concreto, in limiti tassativi (4). Di conseguenza, gli Stati membri disporrebbero di un margine discrezionale nella valutazione se un prodotto sia destinato all’uno o all’altro scopo, ma tale valutazione si produrrebbe all’interno di un perimetro delimitato dall’articolo 9 della direttiva 92/12. Detto perimetro circoscrive l’ambito del potere discrezionale dello Stato membro imponendogli, in forma categorica e tassativa, una serie di limiti che rappresentano un confine.

21.      Il primo limite categorico e tassativo consiste nell’obbligo di applicare più di un criterio nel determinare l’uso cui il prodotto è destinato. L’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 92/12 è del tutto esplicito al riguardo, in quanto pone in rilievo che gli Stati membri «devono, fra l’altro, tenere conto» degli elementi poc’anzi elencati (5). Qualsiasi disposizione o prassi nazionale che tenga conto unicamente, ad esempio, del criterio quantitativo, fuoriesce dal perimetro tracciato dall’articolo 9, paragrafo 2.

22.      Un secondo limite categorico e tassativo appare nell’enunciazione dei livelli indicativi applicabili al criterio quantitativo. In proposito, l’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 92/12 consente agli Stati membri di stabilire livelli quantitativi indicativi, ma, aggiunge, «unicamente come elemento di prova». Pertanto, se uno Stato membro impedisce al soggetto interessato di presentare gli elementi di prova che possono confermare la versione dei fatti di quest’ultimo, contrariamente a quanto possa risultare dal criterio legalmente applicato, anche in questo caso saranno stati ecceduti i limiti previsti dall’articolo 9, paragrafo 2.

23.      Un terzo limite categorico e tassativo si desume poi dalla lettura sistematica e teleologica degli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12, che richiedono agli Stati membri, qualora utilizzino criteri quantitativi, di applicare livelli minimi al fine di stabilire se l’uso sia commerciale. Tali livelli minimi sono elencati all’articolo 9, paragrafo 2, e si dividono e suddividono in funzione del prodotto (prodotti a base di tabacco e bevande alcoliche, e loro rispettive sottocategorie). I limiti quantitativi non si riferiscono espressamente al detentore dei prodotti, ma è evidente che, laddove viene menzionato, ad esempio, un limite minimo di 800 unità di sigarette, la direttiva allude ad un numero di sigarette pro capite. Tale interpretazione è confermata dal testo dell’articolo 8, che si riferisce ai prodotti acquistati «dai privati». Analogamente, l’articolo 9, primo comma, della direttiva individua il soggetto passivo allorché i beni in questione siano destinati ad un uso commerciale, qualità che ricade sul «detentore dei prodotti». Pertanto, i livelli minimi elencati nella citata disposizione della direttiva sono applicabili ad ogni detentore, vale a dire, sono criteri minimi applicabili individualmente a ciascun soggetto.

24.      Infine, un quarto ed ultimo limite categorico e tassativo si rileva nell’elenco delle categorie di prodotti e nella fissazione di livelli minimi quantitativi. L’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva introduce limiti per ciascuna categoria di prodotti e, nel caso dei prodotti del tabacco, detti limiti si applicano alle sigarette, ai sigari e al tabacco da fumo. Per ciascuna categoria viene fissato un quantitativo minimo. Benché la direttiva 92/12 non lo dica espressamente, un’interpretazione sistematica nello stesso senso di quella operata supra nel paragrafo precedente ci dovrebbe indurre ad applicare tali limiti a ciascuna categoria del prodotto. In tal modo, una persona potrà detenere 799 unità di sigarette e 399 unità di sigari, senza che la somma dei prodotti detenuti conduca alla conclusione che i prodotti medesimi sono destinati ad un uso commerciale. Pertanto, ricapitolando, i livelli minimi quantitativi si applicano per persona e per categoria di prodotto.

25.      Alla luce delle suesposte considerazioni, è evidente che la normativa e la prassi sviluppate dalla Repubblica francese non rispondono ai criteri indicati dalla direttiva 92/12.

26.      In primo luogo, l’argomento dedotto dalla Repubblica francese secondo cui gli articoli 575 G e H CGI non disciplinerebbero l’accisa sul tabacco, trattandosi invece di norme relative alla sua detenzione, non resiste ad una lettura della direttiva 92/12. Qualunque sia l’obiettivo formalmente dichiarato dalla norma in questione, la Corte di giustizia deve considerare il contenuto e gli effetti di quest’ultima, dovendo ad essi ispirarsi, come rilevato poc’anzi, l’attività amministrativa posta in essere dal potere esecutivo francese. Inoltre, l’articolo 575 H CGI introduce non un criterio bensì un limite minimo quantitativo di Kg 2 di lavorati del tabacco per ogni mezzo di trasporto, a partire dal quale l’imposta diventa esigibile. È pertanto evidente che entrambe le disposizioni del CGI contengono regole essenziali per la disciplina dell’accisa sul tabacco, imposta questa che è stata armonizzata dalla direttiva 92/12.

27.      La Repubblica francese sostiene, in secondo luogo, la legittimità dell’utilizzo di un solo criterio per determinare gli scopi dell’acquisto del prodotto. Tuttavia, come ho avuto modo di esporre supra al paragrafo 21, l’articolo 9, paragrafo 2, il cui contenuto è altamente espressivo, afferma che gli Stati membri «devono, fra l’altro, tenere conto» di vari elementi, tra i quali sono compresi lo status commerciale del detentore del prodotto, la natura ed il quantitativo di quest’ultimo (6). Un regime nazionale come quello francese, il cui unico criterio per determinare lo scopo di un acquisto è di tipo quantitativo, risulta chiaramente incompatibile con il precetto di cui al citato articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 92/12. La Repubblica francese ha ammesso in varie occasioni che nella prassi amministrativa le autorità nazionali impiegano esclusivamente un criterio, ossia quello quantitativo. Come già riconosciuto dalla Corte di giustizia con consolidata giurisprudenza, le prassi amministrative contrarie al diritto dell’Unione, ancorché abbiano luogo in un ambito giuridico nazionale formalmente conforme a quest’ultimo, costituiscono materiale sufficiente per constatare l’inadempimento (7). Considerato che la Repubblica francese ha ammesso l’esistenza di una prassi amministrativa incompatibile con il disposto di cui all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 92/12, il secondo argomento addotto dalla convenuta deve essere parimenti respinto.

28.      In terzo luogo, la Repubblica francese utilizza un sistema di calcolo basato sul mezzo di trasporto utilizzato (e non sul singolo detentore del prodotto) e sul quantitativo globale del prodotto in termini di peso (e non in base al numero di unità di ciascun tipo di prodotto). Ai paragrafi 23 e 24 supra è stato già messo in rilievo, alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica della direttiva 92/12, che quest’ultima ha introdotto limiti minimi quantitativi per persona e per categoria di prodotto, appunto per impedire l’introduzione di criteri nazionali il cui effetto possa sfociare in una restrizione alla libera circolazione delle merci, in questo caso, del tabacco e delle bevande alcoliche. L’uso di un criterio, impiegato tanto dalla normativa quanto dalla prassi amministrativa, basato sui veicoli e non sul numero di persone, così come sul peso totale del prodotto e non sul numero di unità di ciascuna categoria, non è compatibile con gli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12.

29.      Quanto al regime sanzionatorio, l’illegittimità delle norme che costituiscono il fondamento delle sanzioni è di per sé sufficiente per giungere alla conclusione che la Repubblica francese, con l’adozione del regime sanzionatorio poc’anzi descritto, ha violato altresì le disposizioni di cui agli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12.

30.      Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di giustizia di accogliere il primo addebito dedotto dalla Commissione.

2.      Sul secondo addebito, fondato sulla violazione dell’articolo 34 TFUE

31.      La Commissione ritiene altresì che la Repubblica francese sia venuta meno ai propri obblighi in forza dell’articolo 34 TFUE, per aver adottato una disposizione quale l’articolo 575 H CGI ed avendola applicata in modo tale da restringere la libera circolazione delle merci. Sebbene la citata disposizione francese contempli la detenzione di tabacco a prescindere dal luogo in cui quest’ultimo sia stato acquistato, la Commissione considera che tale disposizione abbia l’effetto di ostacolare l’acquisto di tabacco in altri Stati membri e che, pertanto, costituisca una restrizione alla libera circolazione delle merci. A riprova di ciò, la Commissione rileva che i controlli effettuati dalle autorità francesi per garantire l’applicazione del suddetto precetto si svolgono esclusivamente nei posti di frontiera tra la Francia e gli Stati membri confinanti.

32.      Da parte sua, la Repubblica francese, benché non neghi il carattere restrittivo delle misure controverse, considera applicabile l’articolo 36 TFUE e, in particolare, la giustificazione relativa alla tutela della salute. Secondo lo Stato convenuto, le misure in parola sarebbero coerenti con l’obiettivo di tutelare la sanità pubblica, non costituirebbero una discriminazione arbitraria né risulterebbero sproporzionate rispetto al fine perseguito.

33.      Come appena rilevato, con il secondo addebito, la Commissione, dopo aver contestato alla Repubblica francese l’inosservanza della direttiva, deduce la violazione dell’articolo 34 TFUE. Benché l’oggetto del primo addebito abbracci un numero maggiore di disposizioni e di prassi amministrative nazionali, il secondo si proietta su una di queste stesse norme, l’articolo 575 H CGI e su alcune delle menzionate prassi amministrative.

34.      In ogni caso, la Commissione muove dall’assunto secondo cui gli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12 e l’articolo 34 TFUE possano sempre essere invocati in successione rispetto a quegli elementi dell’oggetto del ricorso sui quali i due addebiti coincidono. Tuttavia, come rilevato infra, un’impostazione di tale natura incontra non poche difficoltà.

35.      Secondo costante giurisprudenza della Corte di giustizia, «qualsiasi misura nazionale in un settore che costituisce oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello comunitario deve essere valutata in rapporto alle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del diritto primario» (8). In altri termini, in conseguenza dell’approvazione di un atto normativo dell’Unione, si produce una sorta di rimozione o di «attrazione» sul piano procedurale, talché, ai fini della soluzione di una lite, il Trattato viene accantonato, quale parametro necessario di giudizio, a favore dell’atto di diritto derivato dell’Unione. Tale effetto si produce, come è logico, unicamente quando l’atto normativo dell’Unione regola una materia in modo esaustivo, vuoi con carattere generale e per un intero settore, vuoi con carattere specifico e con riferimento unicamente ad aspetti puntuali.

36.      Orbene, per i motivi che esporrò in prosieguo, è importante osservare che l’effetto della «rimozione» avviene sul piano strettamente procedurale, poiché, dal punto di vista della coesistenza di più disposizioni, il Trattato e la direttiva mantengono pienamente la loro efficacia ed applicabilità generale.

37.      Tuttavia, i termini in cui la giurisprudenza si è riferita al rapporto tra le libertà fondamentali e gli atti normativi del diritto derivato, non sempre sono stati tanto chiari come sarebbe stato invece auspicabile. Prima facie, potremmo ritenere che si tratti di un rapporto basato sull’applicabilità, sicché l’esistenza di un atto normativo del diritto derivato richiederebbe la disapplicazione della libertà fondamentale prevista dal Trattato. Tale tesi sembra confermata da un determinato linguaggio della Corte di giustizia, i cui termini potrebbero far intendere che esista un criterio sostanziale, in virtù del quale si determini l’applicabilità delle norme del diritto dell’Unione, nella specie, degli atti normativi che sviluppano le libertà e le norme del Trattato relative a queste ultime (9).

38.      Tuttavia, ciò non avviene nel caso in esame né potrebbe avvenire in nessun’altra fattispecie.

39.      A mio parere, la situazione processuale creatasi in un caso come quello in esame non può essere intesa in termini di «applicabilità» poiché, altrimenti, si produrrebbe una sorta di inversione della gerarchia delle fonti del diritto dell’Unione. La normativa derivata dell’Unione non può avere l’effetto di escludere l’«applicazione» delle libertà fondamentali garantite dal Trattato.

40.      Analogamente, l’esclusione dell’applicazione del diritto primario, che potrebbe dedursi da alcune asserzioni come quelle poc’anzi citate, si scontrerebbe frontalmente con il controllo di legittimità degli atti normativi del diritto derivato alla luce del diritto dell’Unione. Gli atti che sviluppano le libertà fondamentali, compresi gli atti che realizzano un’armonizzazione completa, ammettono sempre, nel contesto adeguato, un esame della loro compatibilità formale e sostanziale con i Trattati, ivi incluse le libertà fondamentali. Come reiteratamente affermato dalla Corte di giustizia, «il divieto di restrizioni quantitative, come pure di misure di effetto equivalente, previsto dall’[articolo 34 TFUE], vale non solo per i provvedimenti nazionali, ma anche per quelli adottati dalle istituzioni [dell’Unione]» (10), comprese, evidentemente, le direttive di armonizzazione.

41.      Allo stesso modo, tale asserito effetto di esclusione dell’applicazione contrasterebbe anche con l’imperativo che richiede di interpretare il diritto derivato alla luce del diritto primario. Tale imperativo, frutto dell’effetto non solo vincolante ma anche ispiratore delle disposizioni del Trattato e di altre disposizioni di diritto primario e, segnatamente, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, preclude qualsiasi intento di far venir meno l’applicabilità delle libertà fondamentali.

42.      In sintesi, benché la giurisprudenza possa offrire alcuni elementi atti ad indicare una sorta di esclusione o perfino di sospensione dell’applicazione del diritto primario, certo è che il fenomeno della rimozione prodotto dal diritto derivato rispetto alle norme del Trattato relative alla libertà di circolazione, nel caso qui in esame, riveste una portata strettamente procedurale.

43.      Infatti, nel dare attuazione ad una libertà di circolazione attraverso il diritto derivato, il legislatore dell’Unione realizza una ponderazione tra gli interessi degli Stati membri, i singoli interessati e gli obiettivi dell’integrazione. In tal modo, la norma di diritto derivato delimita in termini regolatori l’ambito giuridico di un mercato specifico di dimensione europea. Non si tratta tanto di sostituire una libertà garantita dal Trattato con una norma di diritto derivato, quanto piuttosto del fatto che essa semplicemente traduca nell’ambito giuridico di un mercato specifico le esigenze derivanti dalla libertà medesima. Pertanto, la norma di diritto derivato gode non solo di una presunzione di conformità con il Trattato, ma anche di una presunzione di fedeltà agli obiettivi di integrazione applicati ad un mercato specifico. In nessun caso viene esclusa l’applicazione, poiché la norma di diritto derivato, come ho spiegato in precedenza, continua ad essere strettamente vincolata al contenuto dei Trattati, comprese le libertà fondamentali.

44.      L’effetto prodotto dalla norma di diritto derivato sulle libertà consiste, quindi, in una rimozione sul piano procedurale, poiché la libertà perde rilievo unicamente al fine di «valutare» se una determinata misura nazionale sia conforme al diritto dell’Unione. È in tal senso che il verbo «valutare» viene frequentemente usato dalla giurisprudenza della Corte in relazione all’effetto di cui trattasi (11), e riflette con chiarezza il carattere processuale della disapplicazione della libertà a favore dell’atto normativo di diritto derivato. La Corte non dichiara la non applicabilità della libertà al caso concreto, ma, al contrario, si limita a constatare l’assenza della necessità di valutare quest’ultima al fine di risolvere il caso concreto, ossia, come mi accingo a dimostrare, nel corso di un procedimento pregiudiziale o di un ricorso per inadempimento.

45.      Nella causa Parfumerie Fabrik 4711 (12), un giudice nazionale interrogava la Corte di giustizia circa la compatibilità di una normativa nazionale con una direttiva di armonizzazione esaustiva e con l’articolo 34 TFUE. Avendo constatato l’applicabilità di tale direttiva, la Corte di giustizia ha precisato che «non [era] necessario pronunciarsi sull’interpretazione dell’[articolo 34 TFUE], chiesta dal giudice nazionale» (13). Ad identica conclusione è giunta la Corte nella causa Daimler Chrysler (14) – ancora un procedimento pregiudiziale – quando nel dispositivo della sentenza ha dichiarato che, dopo aver confermato l’applicabilità di un regolamento, «non [era] necessario verificare inoltre, separatamente, se tale misura nazionale [fosse] conforme agli artt. 34 e 36 [TFUE]» (15).

46.      Detto in altri termini, nell’ambito di una questione pregiudiziale non è necessario andare oltre, una volta acclarato che la misura nazionale controversa viola il diritto derivato dell’Unione. Dalla prospettiva della competenza a conoscere della lite, la Corte può e addirittura «deve limitarsi» ad interpretare l’atto normativo di attuazione (16). Si tratta di un limite che opera sul piano procedurale allo scopo di delimitare il potere discrezionale della Corte, poiché, come ho già rilevato in precedenza, la coesistenza e altresì il rapporto gerarchico tra la libertà e l’atto normativo di attuazione conserva in ogni caso i suoi effetti in casi come quello di specie. La funzione interpretativa della Corte si esaurisce con il riconoscimento dell’asserita violazione dell’atto normativo di attuazione.

47.      Nell’ambito di un ricorso per inadempimento, la Corte ha adattato il linguaggio al fine di porre in risalto ancor più la natura procedurale di tale rimozione. Così, nella causa Commissione/Germania (17), la Corte ha dichiarato che la sussistenza della violazione di un atto normativo d’attuazione «esclud[e] l’esame della compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi con [l’articolo 34 TFUE]» (18). Tale allusione all’«esame» del motivo conferma, pertanto, la presenza di un limite riguardante esclusivamente la dimensione giurisdizionale, ma non il merito, della causa.

48.      In definitiva, spetta a chi invoca in successione la violazione di un atto del diritto derivato e di una libertà fondamentale dimostrare che la misura nazionale contestata non sia soggetta esclusivamente all’ambito di applicazione di detto atto, ma si spinga su un terreno non contemplato da quest’ultimo e sul quale si proietti la libertà fondamentale in parola. In caso contrario, il giudice «deve limitarsi» a valutare la misura nazionale, come esige la Corte «in rapporto alle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non a quelle del diritto primario».

49.      Volgendo adesso l’attenzione alle circostanze specifiche del caso in esame, si deve rilevare, in limine, che la direttiva 92/12 ha realizzato un’armonizzazione de minimis sul piano fiscale, imponendo tuttavia agli Stati membri taluni limiti invalicabili. Tali limiti, laddove definiscono uno spazio vietato a livello nazionale, possono essere considerati aspetti puntuali di un’armonizzazione esaustiva. Questo è quanto avviene nel caso degli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12 e, in particolare, degli elementi descritti supra nei paragrafi 20 e 23, poiché indicano tassativamente i termini in cui si deve valutare se il tabacco sia detenuto a scopi commerciali o privati. In merito a tale questione, dalle citate disposizioni si evince che gli Stati membri non possono introdurre criteri oggettivi che privino il singolo della possibilità di provare il contrario. Allo stesso modo, detti criteri devono essere applicati ad ogni persona individualmente e, nel caso dei criteri quantitativi, tenuto conto dei limiti minimi elencati all’articolo 9, paragrafo 2, secondo comma.

50.      Di conseguenza, e dato che, come suggerito nei precedenti paragrafi 25 e 28, la Repubblica francese ha violato le disposizioni di armonizzazione esaustiva di cui alla direttiva 92/12, non è necessario esaminare se si sia altresì verificata una violazione dell’articolo 34 TFUE, poiché quest’ultimo rappresenta, in relazione ai fatti e alle misure specificamente analizzati nel presente procedimento, una disposizione che è stata rimpiazzata dagli articoli 8 e 9 della direttiva 92/12.

51.      Infatti, nelle memorie presentate in questo procedimento, la Commissione si è limitata ad evidenziare l’incompatibilità dell’articolo 575 H e delle prassi amministrative nazionali con l’articolo 34 TFUE. L’oggetto di questo secondo addebito coincide con quello del primo, ma in nessun momento la ricorrente ha spiegato in qual misura il comportamento contestato travalicherebbe l’ambito di applicazione della direttiva 92/12. Poiché gli articoli 8 e 9 operano un’armonizzazione esaustiva della materia, la possibilità che la Corte proceda ad un esame del secondo addebito sarebbe legata unicamente alla messa in atto, da parte delle autorità francesi, di un comportamento escluso dall’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva medesima. Tuttavia, la Commissione non ha fornito alcun elemento che dimostri un comportamento, da parte della Repubblica francese, escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 92/12 e, quindi, soggetto all’articolo 34 TFUE.

52.      Di conseguenza, l’invocazione del Trattato in un contesto in cui si produce ciò che ho appena chiamato una «rimozione sul piano procedurale» del Trattato stesso non può far altro che condurre a dichiarare irricevibile il secondo motivo di ricorso. In altre parole, l’invocazione del Trattato quale motivo autonomo, ma successivo, di inadempimento può essere considerata unicamente quale causa di irricevibilità. Infine, con il secondo addebito, la Commissione ha dedotto una presunta violazione ridondante e incapace di operare in maniera minimamente autonoma come criterio di valutazione delle misure nazionali che formano oggetto del presente procedimento.

53.      Pertanto, a norma dell’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura, propongo alla Corte di dichiarare irricevibile il secondo motivo.

IV – Sulle spese

54.      Conformemente all’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se il ricorso è accolto parzialmente ciascuna parte sopporta le proprie spese.

V –    Conclusione

55.      Di conseguenza, propongo alla Corte di giustizia di statuire come segue:

1)      dichiarare che la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva 92/12/CE, del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, per aver adottato le misure previste dagli articoli 575 G e 575 H del codice generale delle imposte, nonché una prassi amministrativa consolidata, in virtù delle quali i criteri quantitativi di determinazione dell’uso del tabacco, unici criteri considerati dalle autorità nazionali, sono applicati per ciascun veicolo e in base alle categorie generali di prodotti e non, invece, per ciascuna persona e in base alle categorie specifiche dei prodotti;

2)      dichiarare irricevibile il secondo motivo di ricorso;

3)      disporre che ciascuna parte sopporti le proprie spese.


1 –      Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Direttiva del 25 febbraio 1992 (GU L 76, pag. 1), abrogata dalla direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise (GU L 9, pag. 12).


3 – V., segnatamente, le sentenze del 15 giugno 2006, Heintz van Landewijck SARL (C‑494/04, Racc. pag. I‑5381, punto 41) e del 13 dicembre 2007, BATIG Gesellschaft für Beteiligungen mbH (C‑374/06, Racc. pag. I‑11271, punto 38).


4 –      V., in particolare, le sentenze del 18 dicembre 2008, Afton Chemical Limited (C‑517/07, Racc. pag. I‑427, punti 36 e 37) e del 17 giugno 2010, British American Tobacco (C‑550/08, Racc. pag. I‑5515, punto 38).


5 –      Il corsivo è mio.


6 –      Il corsivo è mio.


7 –      V., per tutte, sentenze del 13 marzo 1997, Commissione/Francia (C‑197/96, Racc. pag. I‑1489, punto 14); del 9 marzo 2000, Commissione/Italia (C‑358/98, Racc. pag. I‑1255, punto 17), e del 10 marzo 2005, Commissione/Regno Unito (C‑33/03, Racc. pag. I‑1865, punto 25).


8 – Formulazione già implicita nella giurisprudenza anteriore ma apparsa per la prima volta in forma articolata nella sentenza del 12 ottobre 1993, Vanacker e Lesage (C‑37/92, Racc. pag. I‑4947, punto 9), poi affermata in una serie di decisioni della Corte di giustizia, tra le quali spiccano le sentenze del 13 dicembre 2001, DaimlerChrysler (C‑324/99, Racc. pag. I‑9897, punto 32); dell’11 dicembre 2003, Deutscher Apothekerverband (C‑322/01, Racc. pag. I‑14887, punto 64), e del 14 dicembre 2004, Radlberger (C‑309/02, Racc. pag. I‑11763, punto 53).


9 – V., ad esempio, la sentenza del 15 novembre 2007, Commissione/Germania (C‑319/05, Racc. pag. I‑9811, punto 35), in cui la Corte di giustizia ha dichiarato che una misura nazionale, qualora rientri nell’ambito di applicazione di una direttiva «non può, in alcun caso, costituire una restrizione agli scambi intracomunitari vietata dall’art. 28 CE» (il corsivo è mio).


10 –      V. segnatamente, sentenze del 17 maggio 1984, Denkavit Nederland (15/83, Racc. pag. 2171, punto 15); del 9 agosto 1994, Meyhui (C‑51/93, Racc. pag. I‑3879, punto 11), e del 25 giugno 1997, Kieffer e Thill (C‑114/96, Racc. pag. I‑3629, punto 27).


11 – V., ex multis, le sentenze DaimlerChrysler, cit. (punto 32); del 24 ottobre 2002, Linhart e Biffl (C‑99/01, Racc. pag. I‑9375, punto 18); del 23 gennaio 2003, Commissione/Austria (C‑221/00, Racc. pag. I‑1007, punto 42) e, con la stessa data, la sentenza Sterbenz e Haug (C‑421/00, C‑426/00 e C‑16/01, Racc. pag. I‑1065, punto 24).


12 –      Sentenza del 23 novembre 1989 (150/88, Racc. pag. 3891).


13 –      Ibidem, punto 28.


14 –      Sentenza cit. supra.


15 –      Ibidem, punto 46. Nello stesso senso, facendo riferimento all’assenza della necessità di pronunciarsi, v. la sentenza del 14 dicembre 2004, Swedish Match (C‑210/03, Racc. pag. I‑11893, punto 83).


16 – Espressione utilizzata, inter alia, dalle sentenze Linhart e Biffl, cit. (punto 21); Sternbenz e Haug, cit. (punto 26); del 24 gennaio 2008, Roby Profumi (C-257/06, Racc. pag. I‑189, punto 15), e del 1º ottobre 2009, HSBC Holdings e Vidacos Nominees (C‑569/07, Racc. pag. I‑9047, punto 27).


17 –      Sentenza del 14 dicembre 2004, Commissione/Germania (C‑463/01, Racc. pag. I‑11705).


18 –      Ibidem, punto 36.