Language of document : ECLI:EU:C:2014:42

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 30 gennaio 2014 (1)

Causa C‑382/12 P

MasterCard e altri

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Concorrenza – Articolo 81 CE – Sistema di pagamento mediante carte di debito, di debito differito e di credito – Commissioni interbancarie multilaterali standard – Decisioni di un’associazione di imprese – Restrizioni della concorrenza per effetto – Nozione di “restrizione accessoria” – Carattere oggettivamente necessario – Accordi sulle commissioni interbancarie multilaterali intra‑SEE applicate dalla MasterCard alle transazioni transfrontaliere mediante carta di pagamento – Condizioni di esenzione ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE – Procedimento dinanzi al Tribunale – Condizioni di ricevibilità degli allegati all’atto introduttivo del ricorso»






I –          Introduzione

1.        La causa in esame ha ad oggetto un’impugnazione proposta dalla società holding MasterCard Incorporated e dalle sue due controllate (in prosieguo, rispettivamente: la «MasterCard Inc.», la «MasterCard International Inc.» e la «MasterCard Europe», e, congiuntamente considerate, le «ricorrenti nell’impugnazione principale»), nonché due impugnazioni incidentali proposte, rispettivamente, da The Royal Bank of Scotland plc (in prosieguo: la «RBS») nonché dalla Lloyds TSB Bank plc (in prosieguo: la «LTSB») e dalla Bank of Scotland plc (in prosieguo: la «BOS») avverso la sentenza del 24 maggio 2012, MasterCard e a./Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata») (2), con la quale il Tribunale ha respinto il ricorso di annullamento delle ricorrenti avverso la decisione della Commissione C (2007) 6474 def., del 19 dicembre 2007, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (casi COMP/34.579 – MasterCard, COMP/36.518 – EuroCommerce, COMP/38.580 – Commercial Cards; in prosieguo: la «decisione controversa»).

2.        La causa è incentrata sull’organizzazione di pagamento rappresentata dalle ricorrenti nell’impugnazione principale (in prosieguo: l’«organizzazione di pagamento MasterCard» o la «MasterCard»). Tale organizzazione era detenuta e amministrata dagli istituti bancari affiliati sino al 25 maggio 2006. In tale data, e mentre era in corso il procedimento amministrativo che ha condotto all’adozione della decisione controversa, la MasterCard Inc. è stata oggetto di quotazione alla Borsa di New-York (Stati Uniti) (in prosieguo: l’«IPO»), che ne ha modificato la struttura e il sistema di gestione.

3.        La MasterCard gestisce un sistema di carte di pagamento cosiddetto «aperto» (o «quadripartito»). A differenza di un sistema chiuso (o «tripartito»), come quello dell’American Express, nel quale il proprietario del sistema conclude, esso stesso, contratti con i titolari delle carte e con gli esercenti, un sistema aperto, al quale possono aderire diverse istituzioni finanziarie sotto un marchio di carte comune, implica tre livelli di interazione: il primo tra il proprietario del sistema e le banche affiliate, il secondo tra le banche di emissione (o le emittenti) (3) e di affiliazione (o le affilianti) (4) e il terzo tra dette banche e i rispettivi clienti, ossia i titolari delle carte e gli esercenti (5). In siffatto sistema, il relativo proprietario, oltre a detenere e a promuovere il logo delle carte di pagamento, coordina, in genere, le attività delle banche affiliate e può agire quale operatore di rete, fornendo un’infrastruttura informatica per la trasmissione dei messaggi elettronici di chiusura delle transazioni. Esso fattura canoni e contributi alle banche per la partecipazione al sistema e, quando agisce quale operatore di rete, fattura spese per la gestione dei pagamenti effettuati tramite carte (6).

4.        Nella causa in esame si fa riferimento, più precisamente, alle decisioni della MasterCard che fissano le commissioni interbancarie multilaterali applicabili all’interno dello Spazio economico europeo (SEE) o della zona euro in modo standard, ossia in mancanza di accordo bilaterale tra la banca di affiliazione e la banca di emissione o di commissioni interbancarie fissate collettivamente a livello nazionale (in prosieguo: le «CMI») (7). Tali commissioni sono versate dalle banche di affiliazione alle banche di emissione per qualsiasi transazione effettuata mediante carte di pagamento recanti il logo MasterCard o Maestro (8) (in prosieguo, congiuntamente considerate, le «carte MasterCard») tra gli Stati membri del SEE o della zona euro. In linea di principio, le CMI sono interamente incluse nelle spese fatturate dalle banche di affiliazione agli esercenti [«merchant service charges», commissioni per il servizio all’esercente (in prosieguo: le «MSC»)] (9) e così riversate su questi ultimi come costi di produzione comuni (10). Secondo la tesi sostenuta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nel corso del procedimento amministrativo, e accolta dalla Commissione come fondamento della sua valutazione, le CMI costituiscono un «meccanismo volto a equilibrare la domanda del titolare della carta, da un lato, e quella dell’esercente, dall’altro», al fine di ripartire il costo della fornitura del servizio tra gli emittenti e gli affiliati del sistema (11).

5.        Sino al 25 maggio 2006, le CMI venivano fissate dal consiglio d’amministrazione regionale per l’Europa della MasterCard (in prosieguo: il «consiglio d’amministrazione europeo»), che riunisce i rappresentanti delle banche con sede in tutto il SEE. Dopo tale data, il consiglio d’amministrazione mondiale della MasterCard, nella sua nuova composizione, è rimasto l’unico organo competente ad adottare decisioni in materia di CMI.

6.        Nella decisione controversa la Commissione ha considerato che le decisioni che fissano le CMI, dalla stessa qualificate come decisioni di un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, restringono la concorrenza tra le banche di affiliazione in violazione del medesimo articolo e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, in quanto equivalgono, di fatto, alla fissazione di una soglia minima per le MSC (12). Essa ha pertanto ingiunto all’organizzazione di pagamento MasterCard e alle ricorrenti nell’impugnazione principale, salvo applicazione di una penalità giornaliera (13), di porre fine all’infrazione entro sei mesi, ossia prima del 21 giugno 2008, abolendo le CMI (14), modificando, di conseguenza, le regole della rete, annullando tutte le decisioni relative alle CMI (15) nonché comunicando le iniziative intraprese agli istituti finanziari appartenenti alla rete MasterCard (16).

7.        Dinanzi al Tribunale, le ricorrenti nell’impugnazione principale hanno concluso, in via principale, per l’annullamento della decisione controversa nella sua integralità e, in subordine, per l’annullamento degli articoli da 3 a 5 e 7 di tale decisione, con i quali la Commissione ha fissato le misure correttive summenzionate nonché la penalità giornaliera. Sei istituti finanziari, fra i quali le tre ricorrenti nelle impugnazioni incidentali, sono intervenuti a sostegno delle suddette conclusioni, mentre il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché due associazioni, una, in rappresentanza dei commercianti al dettaglio del Regno Unito e, l’altra, del commercio al dettaglio, all’ingrosso e internazionale nell’Unione europea, ossia, rispettivamente, la British Retail Consortium (in prosieguo: la «BRC») e la Eurocommerce, sono intervenuti a sostegno delle conclusioni della Commissione, volte al rigetto del ricorso. Il Tribunale, dopo aver esaminato tutti i motivi dedotti a sostegno delle conclusioni formulate in via principale e di quelle formulate in subordine e aver dichiarato irricevibili taluni allegati all’atto introduttivo del ricorso, ha respinto il ricorso e ha condannato le ricorrenti nell’impugnazione al pagamento delle spese.

8.        Il 12 giugno 2008 la MasterCard ha provvisoriamente abolito le CMI transfrontaliere, pur proseguendo le discussioni con la Commissione. Queste ultime sono alla fine sfociate in alcuni impegni assunti dalla MasterCard riguardanti, tra l’altro, l’adozione di un nuovo metodo di calcolo delle CMI, che doveva ridurre sostanzialmente il loro livello rispetto a quello dichiarato contrario alle norme sulla concorrenza previste dal Trattato (17).

9.        Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 4 agosto 2012, la MasterCard International Inc. e la MasterCard Europe hanno proposto l’impugnazione principale nel presente procedimento. Sono intervenute a sostegno delle loro conclusioni, oltre alla RBS, alla LTSB e alla BOS, che hanno proposto a loro volta un’impugnazione incidentale, la MBNA Europe Bank Ltd. (in prosieguo: la «MBNA») e la HSBC Bank plc (in prosieguo: la «HSBC»). Sono intervenuti a sostegno delle conclusioni della Commissione, volte al rigetto dell’impugnazione principale, la BRC, la Eurocommerce e il Regno Unito.

II –       Sulle impugnazioni

A –          Sulla ricevibilità

10.      La Commissione nutre dubbi riguardo alla ricevibilità delle impugnazioni incidentali, in quanto esse non sarebbero conformi ai requisiti di forma di cui all’articolo 176, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, entrato in vigore il 1° novembre 2012. Tale disposizione, che modifica il precedente regolamento di procedura, prevede che l’impugnazione incidentale sia proposta con atto separato, distinto dalla comparsa di risposta.

11.      Nel caso di specie, l’impugnazione incidentale della RBS e quella della LTSB e della BOS sono state inviate per e‑mail il 31 ottobre 2012 e l’originale di tali atti è pervenuto alla cancelleria della Corte, rispettivamente, il 2 e il 5 novembre 2012. Orbene, ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 7, del regolamento di procedura, «la data e l’ora in cui una copia dell’originale firmato di un atto processuale (…) perviene alla cancelleria, mediante telefax o qualsiasi altro mezzo tecnico di comunicazione di cui dispone la Corte, sono prese in considerazione ai fini dell’osservanza dei termini processuali, purché l’originale firmato dell’atto, corredato degli allegati e delle copie menzionati nel paragrafo 2, sia depositato in cancelleria entro i dieci giorni successivi». Dato che le impugnazioni incidentali sono state depositate nella cancelleria della Corte in data anteriore al 1° novembre 2012, l’eccezione di irricevibilità della Commissione è carente sotto il profilo dei fatti e dev’essere quindi respinta.

12.      La Commissione deduce altresì una serie di censure di irricevibilità specifiche, riguardanti la maggior parte dei motivi e degli argomenti dedotti a sostegno sia dell’impugnazione principale sia delle impugnazioni incidentali. Le suddette censure saranno esaminate separatamente, nell’ambito dell’analisi relativa a tali diversi motivi e argomenti.

B –          Sul merito

13.      La MasterCard Inc., la MasterCard International Inc. e la MasterCard Europe fanno valere tre motivi a sostegno della loro impugnazione. I primi due vertono su un errore di diritto e/o su un difetto di motivazione da cui sarebbero viziate le parti della sentenza impugnata nelle quali il Tribunale ha esaminato, rispettivamente, il carattere oggettivamente necessario della presunta restrizione della concorrenza e la natura di associazione di imprese della MasterCard. Con il terzo motivo, esse sostengono che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso, in quanto irricevibili, vari allegati all’atto introduttivo del ricorso in primo grado.

14.      A sostegno della sua impugnazione incidentale, la RBS fa valere un motivo unico, vertente su un errore di diritto commesso dal Tribunale nella valutazione dell’esistenza di un effetto restrittivo sulla concorrenza. L’impugnazione incidentale congiunta della LTSB e della BOS (in prosieguo, congiuntamente considerate: la «LBG»), a sua volta, si fonda su due motivi. Il primo verte, al pari del primo motivo dedotto a sostegno dell’impugnazione incidentale della RBS, su un errore di diritto che inficia la valutazione del Tribunale relativa agli effetti delle CMI sulla concorrenza. Con il secondo motivo, la LBG sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nella sua analisi ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE. Sia la RBS che la LBG sostengono e sviluppano il primo e il secondo motivo dell’impugnazione principale.

15.      Fatta eccezione per il terzo motivo dell’impugnazione principale, i vari motivi e argomenti a sostegno delle impugnazioni, sia quella principale che quelle incidentali, possono essere raggruppati attorno alle quattro tematiche seguenti: la qualificazione di associazione di imprese della MasterCard, l’esistenza di effetti restrittivi sulla concorrenza, il carattere necessario della restrizione e l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE.

16.      Prima di affrontare ognuna di queste tematiche, occorre esaminare il terzo motivo dell’impugnazione principale, in quanto, sostenendo che il Tribunale ha illegittimamente escluso taluni documenti allegati all’atto introduttivo del ricorso, esso mira, in sostanza, a dimostrare che quest’ultimo ha fondato la sua valutazione su un quadro probatorio incompleto.

1.            Sul terzo motivo dell’impugnazione principale, vertente sulla circostanza che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso, in quanto irricevibili, vari allegati all’atto introduttivo del ricorso in primo grado

17.      Le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere che il Tribunale ha commesso errori di diritto nel dichiarare irricevibili taluni allegati da esse prodotti dinanzi al medesimo Tribunale. In primo luogo, esse contestano l’esistenza di un fondamento normativo che giustifichi il criterio seguito nella sentenza impugnata. Le disposizioni cui si riferisce il Tribunale nella suddetta sentenza esigerebbero semplicemente che il ricorrente menzioni, nel suo ricorso, l’oggetto della controversia e presenti un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Non sussisterebbe, per contro, alcun fondamento normativo che impedisca a un ricorrente di suffragare i motivi da esso dedotti includendo argomenti negli allegati, a condizione che i medesimi siano sintetizzati in modo chiaro nell’atto introduttivo del ricorso. Il criterio troppo restrittivo adottato dal Tribunale violerebbe così sia il principio della tutela giurisdizionale effettiva, garantito al contempo dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dall’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), le cui limitazioni devono essere previste dalla legge, sia il principio di proporzionalità. In secondo luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale contestano il trattamento cui sono stati sottoposti, in concreto, alcuni allegati da parte del Tribunale.

18.      Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura relativa al fondamento normativo per il trattamento degli allegati, occorre rilevare che, ai punti 68 e 69 della sentenza impugnata, il Tribunale si è basato sull’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia e sull’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del Tribunale. In forza di tali disposizioni, qualsiasi ricorso deve contenere l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti.

19.      Riguardo a tali disposizioni, la Corte ha già avuto occasione di chiarire che esse vanno interpretate nel senso che, affinché un ricorso sia ricevibile, occorre che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali lo stesso è basato risultino, quantomeno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile, dal testo del ricorso medesimo e che, sebbene tale testo possa essere suffragato e completato in punti specifici con rinvii a determinati passi di atti che vi sono allegati, un rinvio globale ad altri scritti, anche allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto che, ai sensi delle norme menzionate al punto precedente, devono figurare nel ricorso. Nel medesimo contesto la Corte ha precisato che requisiti analoghi vanno rispettati, quando viene formulato un argomento a sostegno di un motivo (18). Tale interpretazione trova il suo fondamento nella funzione meramente probatoria e strumentale degli allegati, la quale implica che, nella parte in cui un documento allegato all’atto introduttivo del ricorso contiene elementi di diritto sui quali si fondano alcuni motivi formulati nel ricorso, siffatti elementi devono figurare nel testo stesso del ricorso al quale tale documento è allegato o, almeno, essere sufficientemente individuati nel medesimo. Infatti, alla luce di tale funzione degli allegati, non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati, i motivi sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere fondato (19).

20.      Siffatta interpretazione dell’articolo 21 dello Statuto della Corte e dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del Tribunale non è affatto in contrasto con il principio della tutela giurisdizionale effettiva. Risulta, infatti, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), relativa all’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU, alla quale occorre fare riferimento conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, che il diritto ad un Tribunale non è assoluto. L’esercizio di tale diritto si presta a limitazioni, segnatamente per quanto riguarda le condizioni di ricevibilità di un ricorso (20) e quindi, a fortiori, di un motivo, di un argomento o di un allegato alle memorie delle parti. Tali limitazioni sono tuttavia ammissibili, secondo detta Corte, solo ove perseguano uno scopo legittimo e a condizione che siano proporzionate rispetto a tale scopo e che non restringano l’accesso al giudice offerto al singolo in maniera tale da pregiudicare la sostanza stessa del suddetto diritto (21). Inoltre, se gli interessati devono aspettarsi che tali limitazioni siano applicate, l’applicazione che ne viene effettuata non deve tuttavia impedire ai singoli di avvalersi di un mezzo di ricorso disponibile (22).

21.      Orbene, per quanto riguarda lo scopo perseguito dall’articolo 21 dello Statuto della Corte e dall’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura del Tribunale, ossia quello di garantire la certezza del diritto e la buona amministrazione della giustizia, le stesse ricorrenti nell’impugnazione principale ne riconoscono la legittimità. Inoltre, un approccio che richieda ai ricorrenti di esporre nel ricorso, quantomeno sommariamente, gli elementi di fatto e di diritto sui quali si fondano i motivi e gli argomenti dedotti non risulta sproporzionato rispetto a tali scopi e non può neppure pregiudicare la sostanza del diritto a un Tribunale.

22.      Risulta da quanto precede che fondando, nella sentenza impugnata, segnatamente ai punti 68 e 69 della stessa, il suo approccio nel trattamento degli allegati alle memorie delle parti sulle disposizioni menzionate al paragrafo 20 supra, come interpretate dalla Corte, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto.

23.      Occorre analizzare, in secondo luogo, l’applicazione in concreto di tali disposizioni, da parte del Tribunale, per quanto riguarda gli allegati il cui trattamento viene contestato dalle ricorrenti nell’impugnazione principale. Gli argomenti da esse dedotti riguardano specificamente l’analisi contenuta ai punti da 183 a 190 della sentenza impugnata e, in particolare, il trattamento degli allegati A.13, A.14 e A.15, nonché l’analisi contenuta ai punti da 275 a 282 della sentenza impugnata e, in particolare, il trattamento dell’allegato A.20. Le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere di aver sintetizzato i motivi nel ricorso e sostengono che tanto il Tribunale quanto la Commissione avrebbero compreso gli argomenti da esse dedotti. Inoltre, gli elementi esposti negli allegati sarebbero elementi di fatto. Orbene, quando gli allegati contengono soltanto elementi di fatto, tali elementi non dovrebbero essere esposti nel testo del ricorso. Il Tribunale avrebbe quindi dovuto concludere che il ricorso era sufficientemente preciso per quanto riguarda i motivi e gli argomenti dedotti e che i suddetti allegati erano, di conseguenza, ricevibili.

24.      Per quanto attiene, innanzi tutto, al trattamento degli allegati A.13, A.14 e A.15, la lettura del ricorso proposto in primo grado dalle ricorrenti nell’impugnazione principale dimostra che il Tribunale ha correttamente considerato che le medesime avevano esposto la loro censura – relativa all’esame degli elementi di prova di natura economica presentati nel corso del procedimento amministrativo – in modo talmente succinto da rendere impossibile l’individuazione nel testo del ricorso di un’argomentazione idonea a suffragarla. Infatti, gli argomenti a sostegno della censura si trovano, e devono essere esaminati, per intero, nei suddetti allegati. Ciò emerge, del resto, chiaramente dai punti 185 e 186 della sentenza impugnata. La stessa analisi vale anche per il trattamento dell’allegato A.20, menzionato al punto 280 della sentenza impugnata. Infatti, per quanto riguarda tale allegato, è giocoforza constatare che le ricorrenti nell’impugnazione principale, nel loro ricorso dinanzi al Tribunale, si sono limitate a effettuare un rinvio generale a tale allegato in una nota a piè di pagina senza ulteriori precisazioni. Date tali circostanze, ritengo che il Tribunale non abbia commesso alcun errore nel trattamento dei suddetti allegati.

25.      Quanto all’argomento secondo il quale, quando gli allegati contengono soltanto elementi di fatto, tali elementi non dovrebbero essere esposti nel testo del ricorso, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza menzionata al precedente paragrafo 19, gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda il ricorso, o un motivo o anche un argomento, non solo devono essere esposti sommariamente nel ricorso, ma devono anche emergere, in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso medesimo, il che, come risulta dal paragrafo 24 supra, non avviene nella presente fattispecie.

26.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che il motivo vertente su errori di diritto inerenti alla ricevibilità di taluni allegati debba essere respinto.

2.            Sulla natura di associazione di imprese della MasterCard (secondo motivo dell’impugnazione principale)

a)            La sentenza impugnata

27.      Il Tribunale ha affrontato la questione della qualificazione della MasterCard e delle decisioni che fissano le CMI alla luce dell’articolo 81, paragrafo 1, CE ai punti da 241 a 260 della sentenza impugnata. Esso ha, innanzi tutto, circoscritto la portata di tale questione al fatto di stabilire se, «nonostante i cambiamenti apportati dall’IPO, l’organizzazione di pagamento MasterCard [avesse continuato] a costituire una forma istituzionalizzata di coordinamento del comportamento delle banche» (punto 244) e le CMI espressione di tale coordinamento (23). Esso ha poi constatato, da un lato, ai punti da 245 a 247, che, successivamente all’IPO, «le banche [avevano] continuato ad esercitare collettivamente un potere decisionale su aspetti essenziali del funzionamento dell’organizzazione di pagamento MasterCard (…), sia a livello nazionale che europeo», e che il mantenimento di siffatto potere decisionale «induce[va] a relativizzare sensibilmente le conseguenze dell’IPO». Dall’altro, ai punti da 250 a 258, esso ha dichiarato che, a causa dell’esistenza di una comunione di interessi tra la MasterCard e le banche nella fissazione delle CMI a un livello elevato, la Commissione aveva potuto validamente considerare che «le CMI riflettevano gli interessi delle banche – sebbene queste non controllassero più la MasterCard sin dall’IPO». Esso ha quindi concluso, alla luce degli stessi elementi di continuità sui quali si era basata la Commissione, che quest’ultima aveva correttamente mantenuto la qualificazione di associazione di imprese della MasterCard nonché quella di decisioni di un’associazione di imprese relativamente alle decisioni degli organi della MasterCard che fissano le CMI.

b)            L’impugnazione

28.      Le ricorrenti nell’impugnazione principale, sostenute dalla RBS, dalla LBG, dalla HSBC e dalla MBNA, fanno valere che la conclusione del Tribunale, secondo cui la MasterCard è un’associazione di imprese quando fissa le CMI, è viziata da un errore di diritto e/o da un difetto di motivazione. Esse sostengono, da un lato, che il primo elemento della motivazione formulato nella sentenza impugnata al fine di suffragare tale conclusione, ossia la circostanza che, successivamente all’IPO, le banche hanno mantenuto un potere decisionale residuale in seno all’organizzazione di pagamento MasterCard, è irrilevante, dato che tale potere viene esercitato su questioni diverse dalla fissazione delle CMI e che il Tribunale avrebbe esso stesso riconosciuto, al punto 245 della sentenza impugnata, che le decisioni relative a tali commissioni «ven[ivano] adottate dagli organi dell’organizzazione di pagamento MasterCard e che le banche non partecipa[va]no a tale processo decisionale». Dall’altro, esse fanno valere che il secondo elemento della motivazione sul quale si fonda il Tribunale, ossia la presunta comunione di interessi tra l’organizzazione di pagamento MasterCard e le banche nella fissazione delle CMI, non è né rilevante, alla luce della giurisprudenza della Corte, né sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’associazione di imprese, in quanto quest’ultima non può essere in particolare desunta dalla sola circostanza che una società possa essere indotta a tener conto, nelle sue decisioni commerciali, degli interessi dei suoi clienti. Inoltre, il ragionamento del Tribunale equivarrebbe a sostenere che le banche di affiliazione hanno, anch’esse, un interesse a che le CMI siano fissate a un livello elevato, benché ciò comporti un aumento dei loro costi e quindi una riduzione potenziale dei loro profitti.

c)            Analisi

29.      La questione della qualificazione della MasterCard e delle sue decisioni alla luce dell’articolo 81, paragrafo 1, CE dopo la quotazione in borsa della MasterCard Inc. si inserisce, a partire dal procedimento amministrativo, in un rapporto dialettico tra rottura e continuità. Sebbene le ricorrenti nell’impugnazione principale – che non hanno contestato la qualificazione di associazione di imprese della MasterCard per il periodo precedente al 25 maggio 2006 – abbiano insistito sull’importanza delle modifiche intervenute a livello di struttura e di sistema di gestione dell’organizzazione dopo tale data, sia la Commissione che il Tribunale hanno constatato un’identità sostanziale delle sue modalità di funzionamento prima e dopo l’IPO e hanno concluso che quest’ultima non aveva alterato né l’equilibrio preesistente degli interessi reciproci dei vari operatori del sistema né la realtà economica delle CMI.

30.      Sebbene, in siffatto contesto, le censure in esame contengano diversi elementi di critica delle valutazioni di fatto svolte dal Tribunale, esse sollevano nondimeno, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, una questione di diritto, vertente sull’interpretazione e sull’applicazione, nella fattispecie, della nozione di associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE.

i)            Sulla presunta inosservanza della giurisprudenza della Corte relativa alla nozione di associazione di imprese

31.      Le ricorrenti nell’impugnazione principale addebitano, innanzi tutto, al Tribunale di essersi discostato dalla giurisprudenza della Corte relativa a tale nozione. Esse ritengono che, secondo tale giurisprudenza, un ente può essere qualificato come associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE solo se è composto da una maggioranza di rappresentanti delle imprese in questione e se, tenuto conto della legislazione nazionale applicabile, è libero di prendere decisioni nell’interesse esclusivo delle suddette imprese.

32.      Anzitutto, siffatta interpretazione mi sembra eccessivamente restrittiva. Sebbene sia fondata effettivamente su due criteri, relativi alla composizione e alla disciplina legislativa delle attività dell’ente in questione, derivanti dalla giurisprudenza della Corte, essa propende, tuttavia, per un’applicazione rigorosa degli stessi che mal si concilia sia con la vocazione dell’articolo 81 CE ad applicarsi a qualsiasi forma di cooperazione tra imprese in contrasto con gli obiettivi da esso perseguiti sia con l’ampia portata riconosciuta dalla giurisprudenza alla nozione di associazione di imprese.

33.      Come ha correttamente ricordato il Tribunale nella sentenza impugnata (24), risulta, in generale, dalla giurisprudenza che le nozioni di «accordo», di «pratica concordata» e di «decisione di associazione di imprese» contenute nell’articolo 81, paragrafo 1, CE tendono a ricomprendere qualsiasi collusione tra imprese volta a produrre gli effetti vietati da tale disposizione, indipendentemente dalla forma in cui essa si manifesta (25). Pertanto, le imprese non possono sottrarsi al divieto previsto dalla suddetta disposizione per il semplice fatto che esse coordinano il loro comportamento sul mercato attraverso un organo o una struttura comune o che esse affidano siffatto coordinamento a un organismo indipendente (26). Per quanto riguarda, più specificamente, la nozione di associazione di imprese, questa è stata interpretata estensivamente nel senso che designa qualsiasi organismo, anche privo di personalità giuridica o che persegua uno scopo non di lucro (27) e indipendentemente sia dalla sua qualificazione giuridica alla luce del diritto nazionale (28) che dalla circostanza che i suoi membri siano persone fisiche o giuridiche o, esse stesse, associazioni di imprese (29). Un’interpretazione estensiva è stata parimenti adottata per quanto riguarda la nozione di decisione di associazione di imprese. Risulta infatti dalla giurisprudenza che tale nozione riguarda qualsiasi atto, anche privo di obbligatorietà (30), che, indipendentemente dalla sua precisa natura giuridica, costituisce l’espressione fedele della volontà dell’associazione di coordinare il comportamento dei soci (31).

34.      Contrariamente a quanto affermano le ricorrenti nell’impugnazione principale, non è possibile dedurre dai precedenti giurisprudenziali dalle stesse citati, e in particolare dalla sentenza Wouters (32), che i due criteri summenzionati siano applicabili a qualsiasi organismo di cui trattasi. La causa che ha dato luogo a tale sentenza, al pari delle altre cause cui fanno riferimento le ricorrenti nell’impugnazione principale (33), non riguardava organismi privati di natura meramente commerciale, come la MasterCard, ma organismi pubblici a vocazione segnatamente professionale, spesso dotati per legge di poteri di regolamentazione e che perseguivano, oltre agli interessi collettivi dei loro membri, fini di interesse generale (34). In tutte queste cause, si trattava essenzialmente di valutare se, tenuto conto del regime di diritto pubblico al quale tali organismi erano assoggettati, i medesimi agissero nel mercato in modo autonomo, cosicché i comportamenti che essi tenevano e gli atti che adottavano, o alla cui adozione partecipavano, potevano essere considerati come intese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE. Nell’ambito di tale valutazione, la Corte è stata talvolta indotta, come è avvenuto nella causa Wouters e, più di recente, nella causa Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas (35), a dissociare le attività in cui l’ente in questione agiva quale organismo investito di pubblici poteri e/o perseguiva fini di pubblico interesse da quelle in cui esso si comportava come un’associazione che agiva nell’interesse esclusivo dei suoi membri.

35.      I due criteri sui quali si fondano le ricorrenti nell’impugnazione principale sono stati elaborati e applicati dalla Corte proprio in tale contesto di commistione tra poteri e interessi pubblici e privati. In questo stesso contesto la Corte si è attenuta al criterio funzionale parimenti menzionato dalle medesime ricorrenti, secondo il quale un ente può costituire un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE quando assolve taluni compiti e non altri, cosicché, ai fini della sua esatta qualificazione alla luce delle norme in materia di concorrenza, rileverebbe soltanto la natura delle funzioni che esso esercita al momento dell’adozione dell’atto assunto in violazione di tali norme.

36.      Orbene, non è in discussione il fatto che la MasterCard sia un organismo di diritto privato che persegue uno scopo commerciale. Essa non è soggetta a un regime di diritto pubblico, né è incaricata di un servizio pubblico e le decisioni adottate dai suoi organi dipendono unicamente da interessi privati. In siffatte circostanze, tenuto conto delle considerazioni esposte ai paragrafi 34 e 35 supra, il ricorso ai suddetti criteri, elaborati al fine di valutare contesti sostanzialmente diversi da quello del caso di specie, non era obbligatorio e il Tribunale, senza incorrere nell’inosservanza della nozione di associazione di imprese come interpretata dalla giurisprudenza della Corte, poteva prendere in considerazione altri elementi di valutazione.

ii)          Sulla presunta irrilevanza degli elementi sui quali si è fondato il Tribunale

37.      Le ricorrenti nell’impugnazione principale affermano, inoltre, che gli elementi sui quali si è fondato il Tribunale, ossia, da un lato, la circostanza che le banche hanno mantenuto un potere decisionale residuale in seno all’organizzazione di pagamento MasterCard e, dall’altro, la presunta comunione di interessi tra tale organizzazione e le banche nella fissazione delle CMI, sono irrilevanti al fine di valutare se si sia in presenza di un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE e, in ogni caso, non sono sufficienti a far ritenere che ci si trovi in presenza di un’associazione siffatta.

38.      Per quanto riguarda il primo di tali elementi, esse fanno valere che la circostanza che le banche abbiano mantenuto poteri decisionali dopo l’IPO è irrilevante in quanto tali poteri non riguardano la fissazione delle CMI. Fondandosi su tale circostanza per concludere che la MasterCard agiva come un’associazione di imprese quando fissava le CMI, il Tribunale non avrebbe rispettato il criterio funzionale seguito dalla Corte nella sentenza Wouters.

39.      A tal proposito, senza ritornare sulla fondatezza della valutazione effettuata dal Tribunale riguardo all’importanza riconosciuta ai suddetti poteri decisionali, constato, in via preliminare, che tale valutazione differisce da quella accolta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, che tendono a presentare tali poteri come sostanzialmente trascurabili. Al punto 247 della sentenza impugnata, il Tribunale ha infatti sottolineato che il consiglio di amministrazione europeo aveva mantenuto una competenza a decidere su «questioni fondamentali», riguardanti diversi aspetti del funzionamento dell’organizzazione a livello regionale.

40.      Ciò precisato, rinvio alle considerazioni contenute ai paragrafi 34 e 35 supra, nonché alle constatazioni effettuate al paragrafo 36 supra, da cui emerge che il Tribunale non era tenuto, nelle circostanze del caso di specie, ad attenersi al suddetto criterio funzionale e poteva, quindi, prendere in considerazione, quale elemento di valutazione, i poteri decisionali mantenuti dalle banche dopo l’IPO, senza dover verificare, come sostengono le ricorrenti nell’impugnazione principale, se siffatti poteri potessero avere un impatto sulla fissazione delle CMI.

41.      Per quanto riguarda il secondo degli elementi summenzionati, ossia l’esistenza di una comunione di interessi tra la MasterCard e le banche nella fissazione delle CMI, le ricorrenti nell’impugnazione principale sostengono essenzialmente che desumere da una mera coincidenza di interessi tra due o più operatori economici l’esistenza di un’associazione di imprese condurrebbe ad applicare l’articolo 81 CE in mancanza di qualsiasi prova di collusione, la quale presuppone una concordanza di volontà.

42.      Tale argomento dev’essere, a mio avviso, disatteso. Infatti, nel caso di specie, il Tribunale ha constatato l’esistenza di un quadro istituzionalizzato cui le banche aderiscono e all’interno del quale esse cooperano tra loro e con la MasterCard ai fini della realizzazione di un progetto comune che comporta limitazioni alla loro autonomia commerciale e definisce gli orientamenti della loro azione reciproca. Si tratta quindi di una fattispecie assai diversa da quella del mero parallelismo di comportamenti, menzionato dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, in cui l’interesse delle imprese in questione a non farsi concorrenza viene perseguito da ciascuna di esse in modo autonomo, allineando il suo comportamento a quello dei concorrenti. La causa in esame si distingue altresì dalla causa Bayer (36), menzionata dalla LBG. Se è vero che, in tale causa, il Tribunale ha concluso che la Commissione aveva errato nel ravvisare l’esistenza di un accordo ai sensi dell’articolo 81 CE, dato che non aveva dimostrato una concordanza di volontà tra la Bayer e i suoi grossisti al fine di ridurre il commercio parallelo, tale conclusione era tuttavia fondata sulla constatazione che la rispettiva volontà delle parti non era stata interpretata correttamente e che non erano state dimostrate né l’intenzione della Bayer di imporre un divieto di esportazione, né un’accettazione, sia pure tacita, di tale imposizione da parte dei grossisti (37).

43.      Dall’analisi svolta ai paragrafi da 32 a 35 supra emerge che un organismo rientra nella nozione di associazione di imprese ai sensi della disposizione in parola quando costituisce l’ambito nel quale o lo strumento tramite il quale le imprese coordinano i loro comportamenti sul mercato, sempreché tale coordinamento o i risultati ai quali esso perviene non siano imposti dai pubblici poteri. Risulta inoltre da tale analisi che, tenuto conto della funzione assolta dalle nozioni di «associazione di imprese» e di «decisione di un’associazione di imprese» nell’impianto sistematico dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, la questione se esse si applichino in un caso concreto dev’essere valutata tenendo conto dell’insieme degli elementi rilevanti del caso di specie, dai quali deve emergere la volontà delle imprese in questione di coordinare i loro comportamenti sul mercato tramite una struttura collettiva o un organo comune.

44.      Orbene, la rilevanza dei due elementi menzionati al paragrafo 37 supra non può essere contestata nelle circostanze del caso di specie, in cui la questione della qualificazione della MasterCard come associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE implicava essenzialmente la valutazione dell’impatto dell’IPO sulle sue modalità di funzionamento, sui suoi rapporti con le banche affiliate nonché, più in generale, sui suoi equilibri interni. Rammento, al riguardo, che gli argomenti dedotti in primo grado dalle ricorrenti nell’impugnazione principale al fine di contestare siffatta qualificazione si fondano essenzialmente sull’affermazione che, dopo il 25 maggio 2006, non poteva essere imputato alle banche alcun coordinamento per quanto riguarda le CMI, in quanto queste ultime erano ormai fissate dalla MasterCard e applicate alle banche affiliate nell’ambito di un rapporto fornitore‑cliente.

45.      Per quanto riguarda la questione se i suddetti elementi fossero sufficienti, nel caso di specie, a confermare la qualificazione di associazione di imprese della MasterCard, operata dalla Commissione, ritengo, sulla base di tutte le suesposte considerazioni, che non si possa escludere a priori che un organismo possa essere qualificato come associazione di imprese anche quando, come nel caso della MasterCard, le decisioni che esso adotta non siano prese da una maggioranza di rappresentanti delle imprese in questione né nell’interesse esclusivo delle medesime, laddove da una valutazione d’insieme delle circostanze del caso di specie risulti che le suddette imprese intendono o, quantomeno, accettano di coordinare il loro comportamento sul mercato mediante tali decisioni e i loro interessi collettivi coincidono con quelli presi in considerazione al momento dell’adozione delle suddette decisioni. Siffatta qualificazione non può, a maggior ragione, essere esclusa a priori in un contesto come quello del caso di specie, in cui le imprese in questione hanno perseguito, per molti anni, lo stesso obiettivo di regolamentazione in comune del mercato nell’ambito della medesima organizzazione, benché in forme diverse.

46.      Orbene, sulla base della sua valutazione dei fatti e delle circostanze del caso di specie, il Tribunale ha concluso che le decisioni del consiglio di amministrazione mondiale della MasterCard Inc., che fissavano le CMI, continuavano a riflettere gli interessi collettivi delle banche affiliate al sistema e che queste ultime continuavano a coordinare scientemente la loro politica in materia di commissioni interbancarie transfrontaliere mediante le suddette decisioni, nonostante la circostanza che esse non partecipassero più al processo decisionale che portava alla loro adozione. Tale valutazione, salvo uno snaturamento dei fatti e/o degli elementi di prova (38), è di per sé sottratta al sindacato della Corte.

47.      Al riguardo occorre disattendere la censura rivolta al Tribunale dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, sostenute dalla HSBC, di aver confermato l’affermazione della Commissione secondo la quale le banche di affiliazione avevano anch’esse un interesse alla fissazione di CMI elevate. In primo luogo, tale censura tende a rimettere in discussione la valutazione dei fatti e degli elementi di prova effettuata dal Tribunale senza dedurre né uno snaturamento degli uni o degli altri, né una dimostrazione che vada al di là di mere asserzioni (39). In secondo luogo, contrariamente a quanto affermano le ricorrenti nell’impugnazione principale, il Tribunale non si è limitato, al riguardo, a constatare che le banche di affiliazione avevano la possibilità di riversare l’onere delle CMI sui loro clienti, ma ha precisato che un sistema di fissazione multilaterale standard delle commissioni interbancarie come quello delle CMI costituiva per le banche di affiliazione la garanzia che un aumento delle suddette commissioni non avrebbe inciso sulla loro posizione concorrenziale (40). Infine, quanto al riferimento fatto dal Tribunale alla regola del sistema MasterCard, secondo la quale le banche che intendevano acquisire transazioni erano anche tenute a svolgere un’attività di emissione di carte, le ricorrenti nell’impugnazione principale non possono sostenerne l’irrilevanza fondandosi semplicemente sulla circostanza che tale regola era applicata sino al 31 dicembre 2004 e non era più in vigore alla data dell’IPO. Infatti, dal punto 254 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha accolto la spiegazione della Commissione, secondo la quale, grazie alla menzionata regola, il sistema si era evoluto nel senso che quasi tutte le banche che esercitavano un’attività di affiliazione erano al contempo emittenti di carte, che traevano pertanto vantaggio dalle CMI, e tale era rimasto anche dopo l’abolizione della suddetta regola. Risulta, peraltro, dal medesimo punto della sentenza impugnata che le ricorrenti non hanno presentato, dinanzi al Tribunale, elementi atti a contestare la fondatezza di siffatta spiegazione.

48.      In conclusione, l’esame delle censure in oggetto non ha consentito di dimostrare che, confermando la qualificazione di associazione di imprese della MasterCard, adottata dalla Commissione, il Tribunale abbia disatteso la nozione di associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, come interpretata dal giudice dell’Unione.

3.            Sull’esistenza di effetti restrittivi sulla concorrenza (motivo unico dell’impugnazione incidentale della RBS e primo motivo dell’impugnazione incidentale della LBG)

a)            La decisione controversa e la sentenza impugnata

49.      Per motivi di chiarezza, occorre ripercorrere brevemente i vari passaggi dell’analisi, contenuta nella decisione controversa, relativa agli effetti delle CMI sulla concorrenza. In tale decisione la Commissione ha concluso che, poiché influivano sull’importo delle commissioni interbancarie che le banche di emissione prelevavano dalle banche di affiliazione (41), le quali riversavano tale costo sulle spese imputate agli esercenti, le CMI producevano effetti restrittivi sulla concorrenza attraverso i prezzi praticati nel mercato dell’affiliazione, a danno degli esercenti e dei loro clienti (42). Per giungere a tale conclusione essa ha, in primo luogo, constatato, basandosi su due analisi di tipo quantitativo, che le CMI costituivano una soglia minima per le commissioni imputate dalle banche di affiliazione agli esercenti indipendentemente dalle loro dimensioni (43). In secondo luogo, da un’indagine tra gli esercenti da essa stessa condotta nel 2004 (in prosieguo: lo «studio di mercato del 2004») essa ha desunto che le CMI impedivano una riduzione delle MSC al di sotto di un determinato livello. In terzo luogo, dopo aver respinto gli argomenti della MasterCard diretti a confutare la tesi di un effetto restrittivo delle CMI sulla concorrenza nel mercato dell’affiliazione (44), la Commissione ha esaminato gli effetti delle CMI sul mercato dell’emissione, concludendo che le banche operanti su tale mercato tendevano a favorire le carte che generavano gli utili interbancari più elevati e che tale strategia poteva produrre un ulteriore aumento del costo di accettazione delle carte nel mercato dell’affiliazione (45). Essa ha osservato, in quarto luogo, che la concorrenza intersistemica (tra le diverse reti di pagamento mediante carte, essenzialmente tra la Visa e la MasterCard) non solo non impediva alla MasterCard di mantenere le commissioni interbancarie a un livello elevato, ma esercitava sulle stesse una pressione al rialzo, che amplificava le distorsioni della concorrenza nel mercato dell’affiliazione (46). In quinto luogo, essa ha constatato che le CMI non erano soggette ad alcuna restrizione né da parte delle banche di affiliazione né da parte degli esercenti (47). A quest’ultimo proposito, la Commissione ha preso in considerazione, tra altri fattori, la regola della rete Mastercard che impone l’obbligo agli esercenti (e alle banche di affiliazione) di onorare tutte le carte, ossia tutti i prodotti offerti dalla MasterCard nel mercato dell’emissione e a prescindere dalla banca di emissione (Honour‑All‑Cards Rule; in prosieguo: la «HACR»). Infine, la Commissione ha considerato che i membri della MasterCard esercitavano collettivamente un potere di mercato sugli esercenti e sui loro clienti e che le CMI consentivano loro di sfruttarlo.

50.      Il Tribunale ha esaminato la questione degli effetti delle CMI sulla concorrenza ai punti da 123 a 193 della sentenza impugnata. Esso ha, in primo luogo, esaminato e respinto le censure vertenti sul mancato esame del gioco della concorrenza in mancanza delle CMI. In tale contesto esso ha respinto, da un lato, le censure relative alla presa in considerazione, da parte della Commissione, nella sua analisi controfattuale, di una regola che vieta la tariffazione a posteriori (48) come regola standard che sostituisce le CMI (punto 132 della sentenza impugnata) e, dall’altro, le censure riguardanti il riferimento, fatto dalla Commissione nell’ambito di tale analisi, alla circostanza che si sarebbero svolte trattative bilaterali tra banche di emissione e banche di affiliazione, risultanti, a termine, nel venir meno delle commissioni interbancarie (punto 133). Esso ha poi respinto gli argomenti volti a contestare alla Commissione il fatto di non aver dimostrato che l’abolizione delle CMI avrebbe incrementato il grado di concorrenza esistente tra affilianti (punti da 135 a 136) e, in particolare, l’argomento vertente sull’assimilazione delle CMI a un costo d’entrata comune, neutro dal punto di vista della concorrenza (punto 143). In secondo luogo, ai punti da 168 a 182 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato e respinto un certo numero di censure connesse all’esame del mercato dei prodotti, confermando l’analisi del mercato accolta nella decisione controversa. Per quanto riguarda, in particolare, l’esistenza di un mercato autonomo dell’affiliazione, esso ha sottolineato che, nonostante la sussistenza di una certa complementarità tra le fasi di «emissione» e di «affiliazione», da un lato, i servizi forniti ai titolari di carte e agli esercenti potevano essere distinti e, dall’altro, i titolari di carte e gli esercenti esercitavano pressioni concorrenziali separate, rispettivamente, sulle banche di emissione e sulle banche di affiliazione (punti 176 e 177). Nello stesso contesto, esso ha ritenuto che le censure riguardanti la mancata considerazione della natura dualistica del mercato evidenziassero i vantaggi economici che sarebbero derivati dalle CMI e fossero quindi irrilevanti nell’ambito di un motivo concernente la violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE. Infine, il Tribunale ha respinto sia la censura, relativa all’esame degli elementi di prova di natura economica presentati nel corso del procedimento amministrativo, dedotta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale (v. paragrafi 139 e seguenti infra) sia la censura relativa a un difetto di motivazione riguardo al cambiamento di approccio della Commissione rispetto alla decisione Visa del 24 luglio 2002 (49).

b)            Sul motivo unico dell’impugnazione incidentale della RBS

i)            Sulla censura relativa a un errore di diritto che inficia l’analisi controfattuale svolta dal Tribunale

51.      Con il suo unico motivo di impugnazione, la RBS, sostenuta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, addebita, innanzi tutto, al Tribunale di non aver verificato se l’ipotesi elaborata dalla Commissione nell’ambito della sua analisi controfattuale, fondata sull’applicazione di una regola che vieta alle banche emittenti la tariffazione a posteriori, avrebbe potuto verosimilmente realizzarsi in mancanza delle CMI. Limitandosi ad affermare la praticabilità economica di siffatta regola, esso avrebbe confuso l’analisi degli effetti delle CMI sulla concorrenza con quella riguardante la necessità obiettiva della restrizione che esse produrrebbero.

52.      Secondo una giurisprudenza costante, per valutare se un accordo (o una decisione di un’associazione di imprese) debba essere considerato vietato a causa dei suoi effetti sul mercato, occorre esaminare il gioco della concorrenza nel contesto effettivo in cui esso si svolgerebbe in mancanza dell’accordo (o della decisione) controversi (50). Il metodo di analisi indicato dalla Corte implica, pertanto, un paragone tra la struttura concorrenziale determinata dalla presunta restrizione e quella che sarebbe prevalsa in sua assenza.

53.      Poiché il secondo termine di tale paragone era il risultato di una valutazione fondata su ipotesi, non si può richiedere che sia fornita la prova che lo scenario, considerato nell’ambito di tale valutazione, si verifichi inevitabilmente in mancanza della presunta restrizione (51). Tale scenario deve risultare tuttavia sufficientemente realistico e plausibile, e quindi non semplicemente possibile sul piano teorico, alla luce di un’analisi di tutti i fattori rilevanti, come, in particolare, le caratteristiche dei prodotti o dei servizi considerati, la posizione delle parti dell’accordo nel mercato in questione (52), la struttura di quest’ultimo nonché il contesto economico, giuridico e tecnico che disciplina il suo funzionamento (53), le condizioni della concorrenza sia attuale che potenziale (54), l’esistenza di barriere all’ingresso (55), il grado di saturazione del mercato e la fedeltà dei consumatori alle marche esistenti (56), l’esistenza o l’esercizio di diritti di proprietà intellettuale.

54.      Nella fattispecie, la Commissione ha esaminato il processo concorrenziale che si sarebbe sviluppato nel mercato dell’affiliazione in mancanza delle CMI ai punti da 458 a 460 della decisione controversa, per concludere che, in mancanza delle CMI e con un divieto di tariffazione a posteriori, i prezzi fatturati agli esercenti da parte degli affilianti «sarebbero fissati prendendo in considerazione soltanto i costi marginali dell’affiliante e il suo margine commerciale». Secondo la Commissione, «l’incertezza delle banche di affiliazione quanto al livello delle commissioni interbancarie che i loro concorrenti accetterebbero, su base bilaterale, di versare agli emittenti eserciterebbe una pressione sugli affilianti», cosicché, «a lungo termine, è possibile attendersi che siffatto processo sfoci nella fissazione dei crediti e dei debiti interbancari al valore nominale del pagamento, vale a dire senza deduzione della benché minima commissione interbancaria». Al punto 133 della sentenza impugnata, il Tribunale ha confermato tale analisi. Pertanto, contrariamente a quanto hanno fatto valere la RBS e le ricorrenti nell’impugnazione principale, segnatamente in udienza, la decisione controversa non è priva di analisi controfattuale e la sentenza del Tribunale non è incorsa in un errore di diritto non sanzionando la Commissione per tale presunta omissione.

55.      La RBS contesta l’affermazione, contenuta al punto 132 della sentenza impugnata, secondo la quale «la circostanza che l’ipotesi di un sistema MasterCard che funzioni senza CMI – unicamente sulla base della regola che vieta le tariffazioni “ex post” – risulti avere un carattere economicamente praticabile è sufficiente per giustificare la sua presa in considerazione nel contesto della sua analisi degli effetti delle CMI sulla concorrenza».

56.      Per comprendere il significato e la portata di tale punto, occorre rilevare che, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato le censure relative a errori di valutazione nell’analisi degli effetti delle CMI sulla concorrenza dopo quella relativa all’esame non corretto del carattere oggettivamente necessario delle CMI. Esso ha infatti considerato, tenuto conto delle censure dedotte contro la valutazione della Commissione ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, che era preferibile verificare il carattere economicamente praticabile di un sistema MasterCard che funzioni senza CMI prima di valutare, come richiesto dalla giurisprudenza citata al paragrafo 52 supra, le modalità di esercizio della concorrenza sul mercato dell’affiliazione nell’ambito di siffatto sistema.

57.      Siffatto procedimento ha indotto il Tribunale a introdurre nell’esame degli effetti delle CMI sulla concorrenza le conclusioni cui era giunto al termine del suo esame relativo al carattere oggettivamente necessario di tali commissioni. Pertanto, dopo aver concluso, al termine di tale esame, che la Commissione aveva potuto legittimamente ritenere che un meccanismo standard di pagamento che comportasse CMI di livello positivo non fosse oggettivamente necessario per la praticabilità del sistema MasterCard, e che il medesimo avrebbe potuto funzionare in base a un’alternativa meno restrittiva, ossia una regola consistente in un divieto di tariffazione a posteriori, esso ha considerato, al suddetto punto 132, che tale istituzione poteva assumere come punto di partenza della sua analisi del gioco della concorrenza in mancanza delle CMI uno scenario caratterizzato da siffatta regola. Contrariamente a quanto ha fatto valere la RBS in udienza, siffatto scenario controfattuale non è stato elaborato dal Tribunale al fine di colmare una lacuna della decisione controversa, ma era già contenuto nella stessa (57).

58.      Il Tribunale non ha quindi confuso i criteri dell’analisi degli effetti di una restrizione sulla concorrenza con quelli applicabili all’esame del carattere oggettivamente necessario di una restrizione accessoria, né ha violato i principi fissati dalla giurisprudenza richiamata al paragrafo 52 supra, sostituendo il «contesto effettivo» nel quale dev’essere valutato il gioco della concorrenza in mancanza della presunta restrizione con un contesto «economicamente praticabile». Al summenzionato punto 132 della sentenza impugnata esso si è limitato, in sostanza, a richiamare, in base ai risultati della sua valutazione circa il carattere oggettivamente necessario delle CMI, le condizioni alle quali, in mancanza della presunta restrizione, il sistema MasterCard avrebbe potuto continuare a funzionare.

59.      Per quanto riguarda l’affermazione, ribadita dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nella loro comparsa di risposta all’impugnazione incidentale della RBS, secondo la quale l’introduzione di una regola che vieta la tariffazione standard non sarebbe realistica, che siffatta regola non sarebbe il risultato delle forze del mercato e che essa non sarebbe mai stata adottata dalla MasterCard, salvo esservi obbligata da un intervento di regolamentazione, rinvio alle considerazioni esposte ai paragrafi da 101 a 106 infra nell’ambito dell’esame della necessità obiettiva delle CMI. In tale fase, mi limito a rilevare che, in primo grado, le ricorrenti nell’impugnazione principale hanno a lungo insistito, da un lato, sul fatto che un meccanismo standard di pagamento delle transazioni è un’esigenza essenziale di qualsiasi sistema quadripartito caratterizzato dalla HACR e, dall’altro, sull’assenza di processi di mercato tra banche di emissione e banche di affiliazione. In tali circostanze, mi chiedo se siffatto meccanismo standard non sia necessariamente il risultato di un intervento estraneo alle forze del mercato, a prescindere dal fatto che si tratti di una decisione adottata all’interno del sistema di pagamento (58) oppure di un intervento dell’autorità garante della concorrenza (59).

60.      Pertanto, siamo in presenza di un caso di specie assai diverso rispetto a quello che ha dato luogo alla sentenza O2 (Germany)/Commissione (60), anch’essa menzionata dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nella loro comparsa di risposta all’impugnazione incidentale della RBS. In tale sentenza, il Tribunale ha censurato la Commissione per non aver correttamente ricostruito la struttura concorrenziale che sarebbe prevalsa in mancanza dell’accordo controverso, in quanto essa aveva in particolare considerato come acquisita la presenza della O2 nel mercato della telefonia mobile 3G, mentre siffatto dato non solo non era suffragato, ma era, del resto, contraddetto dall’analisi che essa aveva svolto ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE. Nel caso di specie, per contro, si addebita in sostanza alla Commissione di aver esaminato la situazione concorrenziale nel mercato dell’affiliazione in mancanza delle CMI, senza tener conto del meccanismo standard che la MasterCard avrebbe verosimilmente deciso di adottare al fine di sostituire le CMI.

61.      Per i motivi esposti supra, la censura della RBS, relativa a un errore di diritto che inficia l’analisi controfattuale svolta dal Tribunale, dev’essere a mio avviso respinta.

ii)          Sulla censura relativa all’analisi insufficiente degli effetti delle CMI sulla concorrenza

62.      La RBS censura poi la Commissione ed il Tribunale per non aver fondato la loro analisi degli effetti delle CMI sulla concorrenza su prove specifiche e concrete, ma di essersi limitati a considerazioni di ordine generale e a semplici congetture, seguendo un criterio che risulta adeguato quando si presume una restrizione per oggetto e non già, come nella fattispecie, una restrizione per effetto.

63.      Tale censura è poco circostanziata, in quanto si limita in sostanza a menzionare la genericità delle affermazioni del Tribunale, e procede a una lettura selettiva della sentenza impugnata. Contrariamente a quanto lascia intendere la RBS rinviando alla formulazione utilizzata nella seconda frase del punto 143 della sentenza impugnata (61), il Tribunale non si è limitato a dedurre gli effetti restrittivi delle CMI dalla mera constatazione che esse fissavano una soglia minima alle MSC. Al contrario, esso ha ricordato, in primo luogo, al punto 140 della sentenza impugnata, il contenuto dell’articolo 81, paragrafo 1, lettera a), CE, sottolineando che il suo oggetto «consiste nel vietare alle imprese di falsare la normale evoluzione dei prezzi sul mercato». In secondo luogo, respingendo la censura relativa alla circostanza che le CMI avrebbero operato come un costo d’entrata comune, esso ha spiegato che «le CMI limitano la pressione che gli esercenti possono esercitare sulle banche di affiliazione in occasione della negoziazione delle [MSC], riducendo le possibilità che i prezzi scendano sotto una certa soglia» (punto 143, terza frase). In terzo luogo, esso ha esaminato e respinto le varie censure e i diversi argomenti presentati dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nonché dalle parti intervenienti contro l’analisi degli effetti restrittivi delle CMI contenuta nella decisione controversa. In tale contesto, esso ha esaminato e confermato la valutazione effettuata dalla Commissione riguardante, in particolare, le questioni se quest’ultima avesse sufficientemente dimostrato che le CMI fissavano una soglia minima per le MSC (punti da 159 a 165) e che la pressione esercitata dagli esercenti sulle CMI era insufficiente (punti 157 e 158), se essa avesse correttamente definito il mercato dei prodotti (punti da 169 a 173), avesse considerato come mercato autonomo e rilevante quello dell’affiliazione (punti da 175 a 178) e avesse giustamente escluso dalla sua analisi la pressione concorrenziale esercitata da altri metodi di pagamento sul livello delle CMI (punto 180) nonché la natura dualistica del mercato (punti 181 e 182). Infine, il Tribunale ha esaminato e confermato sia l’affidabilità che il valore probatorio dei documenti sui quali si era basata la Commissione, ossia, da un lato, le dichiarazioni di una compagnia petrolifera, di una catena di supermercati con sede nel Regno Unito, di una compagnia aerea e di un negozio di arredamenti (punti 146 e 147) e, dall’altro, lo studio di mercato del 2004 (punti da 148 a 158).

64.      Alla luce di quanto precede, non si può, a mio avviso, addebitare al Tribunale il fatto di avere svolto, come afferma la RBS, un’analisi insufficiente riguardo alla restrizione per effetto. In ogni caso, sebbene sia vero che, nella decisione controversa, la Commissione non ha adottato una posizione definitiva quanto a un possibile obiettivo anticoncorrenziale delle CMI e che, pertanto, essa era tenuta a valutare i loro effetti sul mercato, cionondimeno, quando si tratta, come nella fattispecie, di un’intesa che incide direttamente sul meccanismo di formazione dei prezzi, la sua capacità di falsare l’andamento normale dei prezzi nel mercato può risultare, in concreto, relativamente più agevole da dimostrare. Al riguardo rilevo che, nella sentenza relativa alle banche austriache (62), il Tribunale, senza essere stato smentito dalla Corte adita in sede di impugnazione (63), ha affermato che, affinché sia dimostrato che un’intesa sui prezzi, attuata dalle imprese che vi hanno partecipato, abbia avuto un impatto concreto sul mercato, «è sufficiente che i prezzi concordati siano serviti come base per la fissazione dei prezzi di transazione individuali, limitando in tal modo il margine di negoziazione dei clienti» (64). È vero che l’intesa di cui trattasi nella causa che ha dato luogo alla suddetta sentenza era stata considerata restrittiva per oggetto e che la Commissione aveva preso in considerazione i suoi effetti sul mercato solo al momento di valutare la gravità dell’infrazione ai fini della determinazione dell’ammenda. Tuttavia, non si può ritenere che sia richiesto un minor grado di rigore nella prova degli effetti di un’intesa sul mercato ai fini della determinazione del livello dell’ammenda rispetto al fine di valutare se essa rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE (65).

iii)       Sulla censura relativa al vizio di contraddittorietà da cui è affetta la motivazione della sentenza impugnata

65.      La RBS rileva infine una contraddizione, riguardo alla capacità degli esercenti di influire sulla politica della MasterCard e dei suoi membri in materia di prezzi, tra quanto viene affermato al punto 143 della sentenza impugnata e le constatazioni contenute ai punti 150, 157 e 158 della medesima sentenza.

66.      Tale censura dev’essere, a mio avviso, parimenti respinta. Infatti, la «pressione» [«contrainte»] di cui si discute ai punti 150, 157 e 158 della sentenza impugnata è quella che poteva essere esercitata dagli esercenti sul livello delle CMI rifiutando o scoraggiando l’utilizzo delle carte MasterCard, pressione che, in base allo studio di mercato del 2004, la Commissione e il Tribunale hanno dichiarato insufficiente, in considerazione delle conseguenze negative che siffatto comportamento degli esercenti avrebbe potuto avere sulla loro clientela (66). Per contro, al punto 143 della sentenza impugnata, il Tribunale fa riferimento alla «pressione» [«pression»] che gli esercenti possono esercitare sulle banche di affiliazione al momento della negoziazione delle MSC, pressione limitata dalle CMI – che costituiscono la soglia al di sotto della quale le MSC, in via di principio, non possono scendere –, ma che aumenterebbe in un mercato dell’affiliazione che funzionasse in loro assenza. Non sussiste quindi alcuna contraddizione manifesta tra i punti della sentenza impugnata menzionati dalla RBS, in quanto essi riguardano situazioni differenti.

iv)          Conclusioni sul motivo unico dell’impugnazione incidentale della RBS

67.      Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, ritengo che il motivo unico dell’impugnazione incidentale della RBS, e quindi l’impugnazione incidentale in sé, debbano essere respinti in quanto infondati.

c)            Sul primo motivo dell’impugnazione incidentale della LBG

68.      Nell’ambito del suo primo motivo di impugnazione, la LBG deduce, in sostanza, tre censure contro la sentenza impugnata.

69.      Essa addebita, in primo luogo, al Tribunale di non aver fornito una motivazione adeguata quanto alla ragione per cui le CMI falsano la concorrenza nel mercato dell’affiliazione sebbene esse costituiscano un costo d’entrata comune. Al riguardo è sufficiente rammentare che il Tribunale ha respinto la censura relativa alla circostanza che le CMI avrebbero operato come un costo d’entrata comune al punto 143 della sentenza impugnata, in cui esso ha spiegato che, rispetto a un mercato dell’affiliazione che funzioni in loro assenza, «le CMI limitano la pressione che gli esercenti possono esercitare sulle banche di affiliazione in occasione della negoziazione delle [MSC], riducendo le possibilità che i prezzi scendano sotto una certa soglia». Tale spiegazione si accompagna al rinvio alla constatazione effettuata dalla Commissione, e confermata dal Tribunale, relativa alla praticabilità di un sistema MasterCard che funzioni senza CMI. Nel suo insieme, siffatta motivazione, che si fonda sull’esistenza di un rapporto inversamente proporzionale tra il margine di negoziazione degli esercenti sulle MSC e il livello delle CMI nonché sull’affermazione del carattere artificiale e non oggettivamente necessario delle CMI, è, a mio avviso, sufficiente per poter comprendere l’iter logico seguito dal Tribunale.

70.      In secondo luogo, la LBG imputa, in sostanza, al Tribunale di aver riconosciuto l’esistenza di un’intesa sui prezzi nel mercato dell’emissione, ma di averne esaminato gli effetti sul mercato a valle dell’affiliazione. Essa si limita, al riguardo, a rinviare agli argomenti esposti ai punti da 48 a 52 della sua memoria d’intervento dinanzi al Tribunale, alla quale quest’ultimo non avrebbe risposto.

71.      Secondo la Commissione, tale censura è irricevibile poiché, nella sua qualità di interveniente, la LBG non era legittimata a far valere i suddetti argomenti, che comportavano, in realtà, la deduzione di un motivo nuovo rispetto a quelli invocati a sostegno del ricorso, relativo a un errore nella definizione del mercato pertinente. Al riguardo rilevo che, ai punti summenzionati della memoria d’intervento in primo grado della LBG, quest’ultima mirava, in sostanza, a criticare la Commissione, in primo luogo, perché nella sua analisi controfattuale aveva optato per un’ipotesi – ossia un sistema MasterCard che funzioni senza CMI, ma con una regola che vieta la tariffazione a posteriori – avente lo stesso impatto sulla concorrenza tra banche di affiliazione delle CMI (punti 49 e 50), in secondo luogo, di essersi basata sullo studio di mercato del 2004, il cui valore probatorio viene messo in discussione (punto 51), e, in terzo luogo, di aver adottato un criterio «inconsueto», esaminando gli effetti restrittivi delle CMI sul mercato dell’affiliazione e non su quello dell’emissione, in cui l’intesa era costituita (punti da 52 a 54). Orbene, il Tribunale ha risposto ai primi due addebiti, o ad addebiti molto simili dedotti in primo grado dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, rispettivamente ai punti 143 e da 149 a 156 della sentenza impugnata. Per quanto attiene al terzo addebito, esso, in parte, si confonde con quello relativo alla mancata considerazione della natura dualistica del mercato, dedotto anch’esso dalla LBG in primo grado, e di cui si discute nella terza censura dedotta da quest’ultima nell’ambito del motivo in oggetto, esaminata ai paragrafi da 73 a 75 infra, e, in parte, mira a rimettere in discussione la scelta del mercato pertinente operata dalla Commissione. Sotto quest’ultimo profilo, il Tribunale ha fornito ad esso una risposta ai punti da 168 a 178 della sentenza impugnata. La LBG era quindi, in linea di principio, legittimata a far valere eventuali errori di diritto che inficiavano le valutazioni contenute ai punti summenzionati della sentenza impugnata.

72.      Nella parte in cui fa valere una presunta omissione di pronuncia, la censura in oggetto dev’essere tuttavia respinta nel merito, dato che, come ho appena affermato, il Tribunale ha in realtà risposto ai vari argomenti dedotti dalla LBG nei punti summenzionati della sua memoria d’intervento. Per il resto, in mancanza di contestazioni specificamente dirette contro i punti della sentenza impugnata contenenti siffatta risposta, la mera affermazione secondo cui il Tribunale non avrebbe «adeguatamente trattato» gli argomenti e gli elementi ad esso presentati può essere interpretata soltanto come una domanda di riesame dei suddetti argomenti ed elementi rivolta alla Corte, in quanto tale, irricevibile in fase di impugnazione.

73.      Ciò vale anche per la terza censura dedotta dalla LBG contro la sentenza impugnata, diretta ad addebitare al Tribunale di non aver tenuto conto né dell’importanza delle pressioni esercitate dagli «altri sistemi di pagamento» sul mercato dell’emissione, né della natura dualistica del mercato.

74.      Infatti, la LBG si limita, in sostanza, ad affermare che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso tali questioni dalla sua analisi ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE e avrebbe riconosciuto la loro pertinenza unicamente ai fini dell’applicazione del paragrafo 3 di tale articolo, senza tuttavia spiegare le ragioni per cui siffatto procedimento sarebbe errato, ma limitandosi a riproporre gli argomenti già dedotti nell’ambito della prima e della seconda censura e a rinviare al contenuto della sua memoria d’intervento in primo grado. Al riguardo rilevo che, ai punti 180 e 181 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che le censure vertenti sulla mancata considerazione della natura dualistica del mercato «non [fossero] pertinenti nel contesto di un motivo che lamenta la violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE», in quanto esse «sottolinea[va]no i vantaggi economici che deriverebbero dalle CMI». Orbene, la LBG non ha dedotto, nella sua impugnazione incidentale, alcun argomento diretto a rimettere in discussione siffatta interpretazione degli argomenti da essa presentati, a tal riguardo, in primo grado, né a spiegare quali vantaggi avrebbero dovuto essere presi in considerazione dal Tribunale ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE e le ragioni per cui siffatta presa in considerazione si rivelava necessaria nella fattispecie, tenuto conto in particolare della giurisprudenza della Corte e del Tribunale in materia. Rilevo inoltre che, contrariamente a quanto sembra sostenere la LBG, ai punti 179 e 180 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato e respinto l’argomento relativo alla mancata considerazione, da parte della Commissione, «[di] altre modalità di pagamento, vuoi nel contesto di un mercato unico (…), vuoi, in ogni caso, in quanto esercitano una pressione concorrenziale». Anche in tal caso, la LBG non contesta in alcun modo la valutazione svolta dal Tribunale. In mancanza di un’argomentazione più dettagliata, la Corte sarebbe indotta a esercitare il suo controllo sulla base della mera affermazione di un’analisi asseritamente carente da parte del Tribunale.

75.      Nella parte in cui la censura in oggetto fa valere un difetto di motivazione sui punti in questione, essa dev’essere, a mio avviso, respinta in quanto infondata, dato che la motivazione pertinente della sentenza impugnata consente di comprendere l’iter logico seguito dal Tribunale.

76.      Sulla base di quanto precede, occorre, a mio avviso, respingere il primo motivo dell’impugnazione incidentale della LBG nella sua interezza.

4.            Sul carattere oggettivamente necessario delle CMI (primo motivo dell’impugnazione principale)

a)            La sentenza impugnata

77.      Il Tribunale ha esaminato la questione della necessità oggettiva delle CMI ai punti da 77 a 121 della sentenza impugnata. Prima di procedere a tale esame, esso ha precisato, al punto 75, che il riferimento operato dalle ricorrenti nell’impugnazione principale al presunto carattere oggettivamente necessario delle CMI doveva essere inteso «nel senso che la Commissione avrebbe dovuto concludere che esse costituivano una restrizione accessoria rispetto al sistema MasterCard e che, pertanto, essa non era autorizzata ad esaminare i loro effetti sulla concorrenza in modo autonomo, ma che avrebbe dovuto esaminarli contestualmente a quelli del sistema MasterCard cui erano collegate».

78.      Dopo aver brevemente ricordato i principi sanciti dalla sentenza M6 e a./Commissione (67) in materia di restrizioni accessorie, il Tribunale ha esaminato e respinto la censura, dedotta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, relativa all’applicazione di criteri giuridici errati (punti da 84 a 92 della sentenza impugnata). Esso ha poi analizzato separatamente la presunta necessità oggettiva delle CMI quale modalità di pagamento standard delle transazioni (punti da 94 a 99) e quale meccanismo di trasferimento dei fondi a favore delle banche di emissione (punti da 100 a 121). Nell’ambito del primo esame, esso ha confermato la valutazione della Commissione secondo la quale l’introduzione nel sistema MasterCard di una regola che impone un divieto di tariffazione a posteriori sarebbe un’alternativa meno restrittiva rispetto a CMI di valore positivo. Al termine della sua analisi, il Tribunale ha concluso che la Commissione aveva potuto validamente stabilire che le CMI non erano oggettivamente necessarie per il funzionamento del sistema MasterCard.

b)            Sul primo motivo dell’impugnazione principale

79.      Con il loro primo motivo, le ricorrenti nell’impugnazione principale, sostenute dalla RBS, dalla MBNA, dalla HSBC e dalla LBG, addebitano al Tribunale più errori di diritto nonché un difetto di motivazione per quanto riguarda la valutazione della necessità oggettiva delle CMI. Tale motivo è suddiviso in quattro parti, vertenti rispettivamente sull’applicazione di un criterio giuridico errato, sul mancato esame della restrizione della concorrenza nel suo contesto, sulla sostituzione della valutazione del Tribunale a quella della Commissione e sull’applicazione di un livello di controllo insufficiente.

i)            Sulla prima parte del primo motivo dell’impugnazione principale, vertente sull’applicazione di un criterio giuridico errato

80.      Con la prima parte del loro primo motivo, le ricorrenti nell’impugnazione principale addebitano al Tribunale di non aver osservato il criterio giuridico applicabile all’esame del carattere oggettivamente necessario di una restrizione accessoria, come definito, in particolare, nelle sentenze della Corte DLG (68) e del Tribunale M6 e a./Commissione (69). Sebbene, in tali precedenti, il giudice dell’Unione abbia precisato che una restrizione è oggettivamente necessaria quando, in sua assenza, lo scopo perseguito dall’operazione principale non potrebbe essere raggiunto o la capacità delle parti di perseguirlo ne risulterebbe indebolita, ossia quando tale operazione «risult[erebbe] difficilmente realizzabile o addirittura irrealizzabile» (70), al punto 89 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe irrigidito tale criterio affermando che «solo le restrizioni necessarie affinché l’operazione principale possa, in ogni ipotesi, funzionare possono essere considerate rientranti nell’ambito di applicazione della teoria delle restrizioni accessorie». Secondo le ricorrenti nell’impugnazione principale e le parti intervenienti, il criterio corretto da applicare dovrebbe essere «realistico dal punto di vista commerciale» e non esigere una stretta necessità sul piano logico. Esso dovrebbe consentire di considerare come oggettivamente necessaria una restrizione la cui assenza «impedisca materialmente il funzionamento effettivo» dell’operazione principale o la sua capacità di funzionare «in modo efficace».

81.      Occorre ricordare che, secondo la citata sentenza M6 e a./Commissione, di cui figurano ampie citazioni ai punti da 77 a 82 della sentenza impugnata, «la nozione di restrizione accessoria riguarda qualsiasi restrizione che è direttamente collegata e necessaria alla realizzazione di un’operazione principale» (71). Secondo tale sentenza, al fine di valutare il carattere necessario di siffatta restrizione, «occorre accertare, da un lato, se [essa] sia obiettivamente necessaria alla realizzazione dell’operazione principale e, dall’altro, se sia proporzionata rispetto a quest’ultima» (72). Per quanto riguarda l’esame del carattere oggettivamente necessario della restrizione, la suddetta sentenza precisa che «[n]on si tratta di analizzare se, in considerazione della situazione concorrenziale sul mercato in esame, la restrizione sia necessaria per il successo commerciale dell’operazione principale, ma proprio di determinare se, nell’ambito particolare dell’operazione principale, la restrizione sia necessaria alla realizzazione di tale operazione» e che, «[s]e, in mancanza della restrizione, l’operazione principale risulta difficilmente realizzabile o addirittura irrealizzabile, la restrizione può essere considerata obiettivamente necessaria alla sua realizzazione» (73).

82.      Occorre altresì rilevare che né le ricorrenti nell’impugnazione principale né le parti intervenienti contestano, di per sé, il criterio giuridico applicabile all’esame della necessità oggettiva di una restrizione accessoria come definito dalla citata sentenza M6 e a./Commissione, ma si limitano a sostenere che il Tribunale avrebbe applicato tale criterio solo in parte, omettendo, in particolare, di valutare se l’eliminazione delle CMI avrebbe reso il sistema MasterCard «difficilmente realizzabile». Occorre, quindi, da un lato, definire l’esatta portata di tale criterio e, dall’altro, verificare se il Tribunale abbia commesso l’errore che gli viene addebitato.

83.      Per quanto attiene al primo aspetto, rilevo che, nel diritto dell’Unione, la teoria delle restrizioni accessorie ha origine in una serie di precedenti della Corte, a partire dalla sentenza Metro SB–Großmärkte/Commissione (74), nei quali la Corte ha considerato che non costituiscono restrizioni della concorrenza, ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, limitazioni dell’autonomia delle parti di un accordo «necessarie» al conseguimento di un determinato scopo commerciale legittimo. In tali precedenti, la condizione della necessità della restrizione è stata interpretata e applicata in modo relativamente restrittivo, in quanto la Corte ha richiesto, in linea generale, che la limitazione in questione fosse necessaria al fine di consentire la realizzazione dell’operazione commerciale prevista in termini di «possibilità», «effettività», «praticabilità» (75).

84.      La ragione di tale rigore è dovuta principalmente al fatto che siffatte restrizioni beneficiano, in linea di principio, automaticamente, della valutazione di compatibilità con l’articolo 81, paragrafo 1, CE di cui gode l’accordo. Siffatto trattamento è la conseguenza della valutazione positiva riservata dall’ordinamento giuridico dell’Unione alla funzione giuridico‑economica assolta dall’accordo e della priorità che tale ordinamento giuridico riconosce all’obiettivo legittimo dallo stesso perseguito, tollerando le eventuali restrizioni (moderate) della concorrenza che risultano necessarie per il conseguimento di tale obiettivo. Coerentemente con tale ratio, si può riconoscere la qualificazione di restrizione accessoria oggettivamente necessaria solo alle restrizioni senza le quali l’accordo non può assolvere pienamente la funzione giuridico‑economica che lo contraddistingue e/o senza le quali la sua esecuzione sarebbe irrealizzabile o posta seriamente in pericolo. In questi termini dev’essere, a mio avviso, interpretato tanto il riferimento, contenuto nella citata sentenza DLG, al «buon funzionamento» dell’operazione principale quanto il riferimento, contenuto nella citata sentenza M6 e a./Commissione, al carattere «difficilmente realizzabile» della stessa (76).

85.      Nell’ambito della valutazione della necessità oggettiva di una restrizione accessoria è stata anche menzionata l’esigenza di evitare che l’esame relativo al carattere oggettivamente necessario di una restrizione accessoria si sovrapponga a quello svolto ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE (77). È così stato precisato che è nel contesto di tale disposizione, e non in quello del paragrafo 1 del medesimo articolo, che devono essere prese in considerazione le restrizioni che consentono di agevolare la realizzazione dell’operazione principale, di migliorarne l’efficacia o di garantirne il successo commerciale e, in genere, quelle che si rendono «indispensabili» tenuto conto della situazione concorrenziale del mercato (78).

86.      Passo quindi ad esaminare se, valutando la necessità oggettiva delle CMI rispetto al sistema MasterCard, il Tribunale si sia discostato dal criterio giuridico definito supra.

87.      Rilevo, al riguardo, che il Tribunale ha innanzi tutto richiamato, ai punti da 77 a 82 della sentenza impugnata, i principi sanciti nella citata sentenza M6 e a./Commissione, ivi compresa la precisazione fornita al punto 109 di tale sentenza relativa al carattere «difficilmente realizzabile» dell’operazione principale. Ai punti 88 e 89, esso ha poi osservato che i vantaggi costituiti, per il sistema MasterCard, dalle CMI nonché le considerazioni che si riferiscono al loro carattere necessario, tenuto conto della situazione concorrenziale nel mercato in esame, non vengono presi in considerazione al fine di dimostrare il loro carattere oggettivamente necessario secondo la teoria delle restrizioni accessorie (79). Nello stesso contesto, esso ha precisato, al punto 89 della sentenza impugnata, che «solo le restrizioni necessarie affinché l’operazione principale possa, in ogni ipotesi, funzionare possono essere considerate rientranti nell’ambito di applicazione di [tale teoria]» e, al punto 90, esso ha concluso che «la circostanza che l’assenza delle CMI possa produrre conseguenze negative sul funzionamento del sistema MasterCard non implica, di per sé, che le CMI debbano essere considerate obiettivamente necessarie, qualora, dall’esame del sistema MasterCard nel suo contesto economico e giuridico, risulti che esso rimane in condizione di funzionare in loro assenza». Contrariamente a quanto affermano le ricorrenti nell’impugnazione principale, non credo che si possano interpretare tali passaggi, isolandoli dal loro contesto, come un tentativo da parte del Tribunale di irrigidire ulteriormente i criteri di valutazione, già rigidi, accolti dalla giurisprudenza richiamata al paragrafo 83 supra.

88.      Siffatta interpretazione non risulta confermata né alla luce di una lettura unitaria dei punti della motivazione della sentenza impugnata relativi all’esposizione di tali criteri, né alla luce della valutazione operata nella fattispecie dal Tribunale. Infatti, quest’ultimo ha concluso, al termine della sua analisi, che le difficoltà che deriverebbero dall’abolizione delle CMI per il funzionamento del sistema MasterCard, evidenziate dalle ricorrenti nell’impugnazione principale e dalle parti intervenienti, non erano idonee a impedire in concreto il funzionamento di tale sistema, valutato nel suo contesto giuridico ed economico. Al riguardo rilevo peraltro che, nel loro ricorso in primo grado, le ricorrenti nell’impugnazione principale avevano sostenuto che l’abolizione delle CMI avrebbe messo in discussione la sopravvivenza stessa del sistema MasterCard – dato che quest’ultimo non poteva funzionare solo sulla base di accordi bilaterali tra banche di emissione e banche di affiliazione aventi ad oggetto le commissioni interbancarie e in mancanza di una regola standard – e non semplicemente che avrebbe reso più difficile la sua attuazione.

89.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la prima parte del primo motivo dell’impugnazione principale debba essere respinta in quanto infondata.

ii)          Sulla seconda parte del primo motivo dell’impugnazione principale, vertente sul mancato esame della restrizione della concorrenza nel suo contesto

90.      Nell’ambito della seconda parte del loro primo motivo, le ricorrenti nell’impugnazione principale deducono, in sostanza, cinque censure.

–             Sulla censura relativa all’adozione di un’alternativa meno restrittiva non costituente il risultato delle forze del mercato

91.      Esse contestano, in primo luogo, l’affermazione, contenuta al punto 99 della sentenza impugnata, secondo la quale la Commissione «non era tenuta a dimostrare che le dinamiche del mercato avrebbero indotto le banche di emissione e di affiliazione a decidere autonomamente sull’adozione di una regola meno restrittiva della concorrenza rispetto alle CMI». Esse ritengono che l’ipotesi controfattuale adeguata ai fini della valutazione del carattere oggettivamente necessario di una restrizione debba essere necessariamente il risultato delle forze del mercato e non già di un intervento dell’autorità di regolamentazione, salvo non rispettare la giurisprudenza citata al paragrafo 53 supra, che impone di tener conto del «contesto effettivo» che si realizzerebbe in mancanza dell’accordo, della decisione di associazione di imprese o della pratica concordata.

92.      La Commissione contesta la ricevibilità di tale censura. La sua tesi consiste nell’affermare che le ricorrenti nell’impugnazione principale non possono far valere, a sostegno del loro motivo vertente sul carattere oggettivamente necessario delle CMI, un argomento, ossia quello dell’inadeguatezza di un’ipotesi controfattuale fondata su un divieto di tariffazione ex post, che le stesse hanno dedotto in primo grado al fine di suffragare un motivo diverso, ossia quello relativo alla mancanza di restrizione della concorrenza. Tale contestazione dev’essere, a mio avviso, respinta. Infatti, dato che il Tribunale ha risposto a tale argomento nella parte della motivazione della sentenza impugnata relativa alla valutazione della necessità oggettiva delle CMI e che le ricorrenti nell’impugnazione principale contestano la fondatezza in diritto di tale risposta nel medesimo ambito, la censura in oggetto è, a mio avviso, ricevibile.

93.      Quanto al merito, rilevo che dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale emerge che la condizione relativa al carattere necessario di una restrizione implica che si verifichi, da un lato, «se la restrizione sia obiettivamente necessaria alla realizzazione dell’operazione principale e, dall’altro, se sia proporzionata rispetto a quest’ultima», ossia se il suo ambito di applicazione ratione materiae e geografico non ecceda (o sia strettamente limitato a) quanto necessario alla realizzazione di detta operazione (80).

94.      Siffatto esame di proporzionalità implica che, quando esiste un’alternativa meno restrittiva che consente di conseguire gli obiettivi legittimi perseguiti dalla restrizione in questione, la medesima non può essere considerata necessaria per la realizzazione dell’operazione principale e rientra, quindi, nell’ambito di applicazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE. La possibilità di siffatta alternativa dev’essere valutata alla luce di tutti gli elementi pertinenti e, come afferma il Tribunale al punto 99 della sentenza impugnata, deve risultare realistica, in particolare dal punto di vista economico.

95.      Per contro, non si può chiedere, a mio avviso, alla Commissione, onde poter considerare uno scenario alternativo meno restrittivo nell’ambito dell’esame della proporzionalità di una restrizione accessoria, di dimostrare che, in mancanza della suddetta restrizione, le forze del mercato spingerebbero verso siffatto scenario.

96.      Al riguardo, le ricorrenti nell’impugnazione principale non possono fondarsi sulla giurisprudenza citata al paragrafo 53 supra, che non riguarda specificamente l’esame della necessità oggettiva di una restrizione accessoria. È vero che la Corte ha riconosciuto, in linea con tale giurisprudenza, che, al fine di valutare se una restrizione sia oggettivamente necessaria per la realizzazione dell’operazione principale alla quale essa è collegata, occorre esaminare come si svolgerebbe la concorrenza in sua assenza (81), onde stabilire se, in un caso siffatto, la suddetta operazione risulti difficilmente realizzabile o addirittura irrealizzabile (82). Tuttavia, tale esigenza non può essere interpretata nel senso che, quando la Commissione ritiene che esista un’alternativa meno restrittiva, essa deve dimostrare che la medesima risulterebbe dalle dinamiche della concorrenza se la limitazione posta dalle parti dell’operazione principale non esistesse e, tanto meno, che queste ultime deciderebbero verosimilmente di adottarla (83).

97.      Risulta per contro dalla giurisprudenza che ciò che conta, in un contesto di tal genere, è, da un lato, la praticabilità di siffatta alternativa, segnatamente dal punto di vista economico (84), e, dall’altro, la capacità della stessa di rispondere agli obiettivi legittimi per i quali la restrizione in questione era stata prevista, senza andare al di là di quanto è a tal fine necessario, pur consentendo la realizzazione dell’operazione principale (85).

98.      Osservo infine, su tale punto, che la valutazione della proporzionalità di una restrizione accessoria, in quanto finalizzata a verificare l’esistenza di alternative meno restrittive che possano sostituirsi alle clausole convenute tra le parti dell’operazione principale nonché all’equilibrio degli obblighi reciproci cui le stesse mirano, contiene necessariamente un aspetto di tipo «regolatorio», per utilizzare il termine impiegato dalle ricorrenti nell’impugnazione principale.

–             Sulla censura relativa al carattere non plausibile dell’introduzione nel sistema MasterCard di una regola che vieta la tariffazione ex post

99.      In secondo luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale addebitano al Tribunale di aver «consentito» alla Commissione di fondarsi su fatti e su uno scenario alternativo «non plausibili».

100. Siffatta censura dev’essere, a mio avviso, respinta in quanto irricevibile, dato che essa è, in realtà, diretta a ottenere dalla Corte una nuova valutazione dei fatti. Peraltro, l’argomento su cui la stessa si fonda dev’essere anch’esso respinto in quanto inconferente. Infatti, quando affermano che «è virtualmente inconcepibile» che, una volta abolite le CMI, le forze del mercato inducano la MasterCard a escludere altri mezzi per remunerare le banche di emissione dei vantaggi che esse procurano alle banche di affiliazione e agli esercenti vietando la tariffazione a posteriori, e che sarebbe invece logico il contrario, le ricorrenti nell’impugnazione principale non tengono conto del fatto che, in esito all’esame svolto ai punti da 100 a 119 della sentenza impugnata, il Tribunale è giunto alla conclusione che non fosse necessario alcun meccanismo di trasferimento di fondi dalle banche di affiliazione alle banche di emissione. Pertanto, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti nell’impugnazione principale, il Tribunale non ha implicitamente ammesso che CMI di valore positivo fossero necessarie per il funzionamento della MasterCard, ma ha affermato esplicitamente il contrario. Quanto all’introduzione nel sistema MasterCard di una regola che vieta la tariffazione ex post, l’argomento delle ricorrenti nell’impugnazione principale non tiene conto del fatto che siffatta possibilità è stata menzionata, ai punti 95 e 96 della sentenza impugnata, quale alternativa meno restrittiva rispetto alle CMI al fine di evitare che le banche di emissione siano in grado, fissando unilateralmente l’importo della commissione interbancaria, di sfruttare le banche di affiliazione, vincolate dalla HACR.

101. Rilevo infine, in via incidentale, che, dal momento che considerano le CMI come un meccanismo di remunerazione per i servizi che le banche di emissione offrono alle banche di affiliazione e agli esercenti, le ricorrenti nell’impugnazione principale sembrano ritornare sulla posizione dalle stesse sostenuta nel procedimento amministrativo nonché dinanzi al Tribunale, ossia che le CMI sono piuttosto un meccanismo che serve a equilibrare le domande dei titolari di carte e degli esercenti e a ripartire il costo del servizio tra gli emittenti e gli affilianti del sistema (86).

–             Sulla mancata considerazione, da parte del Tribunale, dell’argomento secondo il quale il divieto di tariffazione ex post produrrebbe, sulla concorrenza, gli stessi effetti delle CMI, e sul difetto di motivazione al riguardo

102. In terzo luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale imputano al Tribunale di non aver preso in considerazione gli argomenti, da esse dedotti in primo grado, relativi alla sostanziale identità, sotto il profilo degli effetti sulla concorrenza tra, da un lato, le CMI e, dall’altro, un divieto di tariffazione ex post. Infatti, in entrambi i casi, si tratterebbe di una regola standard, adottata a livello centrale dalla MasterCard e che «fissa il prezzo applicato tra emittenti e affilianti».

103. Al riguardo è sufficiente rilevare, come ho già osservato al paragrafo 69 supra, esaminando un’analoga censura dedotta dalla LBG nella sua impugnazione incidentale, che il Tribunale ha risposto ai suddetti argomenti al punto 143 della sentenza impugnata, in cui esso ha precisato che la differenza tra le due situazioni risiede nel fatto che, «[r]ispetto ad un mercato dell’affiliazione che funzioni in loro assenza, le CMI limitano la pressione che gli esercenti possono esercitare sulle banche di affiliazione in occasione della negoziazione delle [MSC], riducendo le possibilità che i prezzi scendano sotto una certa soglia». È vero che da tale spiegazione emerge che il Tribunale ha focalizzato l’attenzione sugli aspetti collegati al livello dei prezzi, mentre gli argomenti dedotti dalle ricorrenti nell’impugnazione principale riguardavano piuttosto gli aspetti connessi alla struttura degli stessi. Tuttavia, tale diversità di approccio non può condurre di per sé all’accoglimento della censura in oggetto, relativa a un’omissione di pronuncia (87). La valutazione contenuta in tale punto è, peraltro, sottratta al controllo della Corte, salvo il caso di snaturamento dei fatti o degli elementi di prova, che non è stato affermato nel caso di specie.

104. Si deve altresì respingere la censura relativa al difetto di motivazione concernente la medesima questione, in quanto il suddetto punto 143 della sentenza impugnata fa emergere in modo chiaro e inequivocabile l’iter logico seguito dal Tribunale.

–             Sulla censura relativa alla mancata considerazione degli effetti restrittivi di una regola che vieta la tariffazione ex post sulla «parte emissione» del sistema MasterCard

105. In quarto luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere che «le CMI fissate a zero, proposte dalla Commissione, creano anch’esse una restrizione dell’altra parte del mercato dualistico, impedendo agli emittenti di far pagare agli affilianti i servizi che forniscono loro». Esse sottolineano, al riguardo, che «la Commissione ha rifiutato di concentrarsi su tale effetto inevitabile e si è invece preoccupata unicamente di una sola parte del mercato dualistico, ossia l’effetto sugli esercenti».

106. È giocoforza constatare che tale censura è rivolta unicamente alla valutazione effettuata dalla Commissione e non individua né i punti della motivazione della sentenza impugnata cui verrebbe fatto riferimento, né gli errori da cui i medesimi sarebbero viziati. In ogni caso, dato che andrebbe intesa come volta a criticare indirettamente il Tribunale per non aver correttamente valutato gli effetti sulla concorrenza di una riduzione delle CMI a zero rispetto alle CMI esistenti, in quanto ha omesso di prendere in considerazione le restrizioni che siffatta riduzione causerebbe sull’altra parte del mercato dualistico, rilevo, da un lato, che il Tribunale ha risposto ad argomenti volti a mettere in discussione la valutazione della Commissione per aver circoscritto la sua analisi economica al solo mercato dell’affiliazione ai punti da 172 a 182 della sentenza impugnata, nei quali esso convalida in sostanza la definizione dei mercati dell’emissione e dell’affiliazione come mercati autonomi. Dall’altro, osservo che le ricorrenti nell’impugnazione principale non spiegano il motivo per cui una limitazione nei rapporti tra banche di emissione e banche di affiliazione avrebbe effetti restrittivi sulla concorrenza nel mercato dell’emissione (88). Ricordo infine, al riguardo, che la spiegazione secondo cui le CMI costituirebbero un meccanismo di remunerazione per i servizi che le banche di emissione offrono alle banche di affiliazione e agli esercenti era stata abbandonata dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nel procedimento amministrativo.

–             Sulla censura relativa a uno snaturamento della decisione controversa come interpretata dalla Commissione in primo grado

107. In quinto, e ultimo, luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale sostengono che il Tribunale ha presentato in modo errato l’ipotesi controfattuale quale prospettata dalla Commissione, in quanto quest’ultima ha chiarito, nella sua controreplica, che tale ipotesi consisteva nell’abolire totalmente le CMI e nel raccomandare negoziazioni bilaterali tra le banche, mentre il divieto di tariffazione a posteriori veniva aggiunto solo in subordine.

108. Al riguardo occorre rilevare che, al punto 95 della sentenza impugnata, il Tribunale ha riprodotto per intero il contenuto del punto 554 della decisione controversa, in cui la Commissione prevedeva, quale possibile alternativa meno restrittiva rispetto alle CMI, una regola che imponesse un divieto di tariffazione ex post. Dopo aver considerato, al punto 96 della sentenza impugnata, che l’iter logico seguito in tale punto era esente da errori manifesti di valutazione, il Tribunale ha fondato il seguito della sua analisi sull’ipotesi ivi formulata. Orbene, anche supponendo, come sostengono le ricorrenti nell’impugnazione principale, che la Commissione abbia effettivamente modificato in modo sostanziale la sua posizione in corso di causa, l’approccio del Tribunale, consistente nell’attenersi al contenuto dell’atto impugnato, del resto chiaro per quanto riguarda il punto in questione, non è di per sé censurabile.

–             Conclusioni sulla seconda parte del primo motivo dell’impugnazione principale

109. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, ritengo che la seconda parte del primo motivo dell’impugnazione principale debba essere respinta.

iii)       Sulla terza parte del primo motivo dell’impugnazione principale, vertente sulla sostituzione della valutazione del Tribunale a quella della Commissione

110. Nell’ambito della terza parte del loro primo motivo, le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere che, nella sua analisi del carattere oggettivamente necessario delle CMI, il Tribunale ha sostituito la propria valutazione a quella della Commissione prendendo in considerazione solo un numero limitato di punti della motivazione sui quali quest’ultima ha fondato la decisione controversa.

111. Al riguardo ricordo che, secondo una giurisprudenza costante, fatta valere dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il giudice dell’Unione non può sostituire la propria motivazione a quella dell’autore dell’atto impugnato (89), né può sostituire, al momento del controllo delle valutazioni economiche complesse effettuate dalla Commissione, la sua valutazione economica a quella di tale istituzione (90).

112. In primo luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale addebitano al Tribunale, «per quanto riguarda la possibilità di applicare una regola che vieta la tariffazione a posteriori, [di aver] accettato tale conclusione senza analizzarne la ragione». Tale censura è diretta, in realtà, ad imputare al Tribunale di avere svolto un’analisi carente più che di aver sostituito la sua valutazione a quella della Commissione e, quindi, si confonde con gli argomenti fatti valere a sostegno della quarta censura del motivo in oggetto, relativa a un controllo giurisdizionale insufficiente. In ogni caso, osservo che l’iter logico seguito dal Tribunale ai punti da 95 a 99 della sentenza impugnata è rigorosamente improntato su quello della Commissione. Pertanto, non può trattarsi, su tale punto, di una sostituzione della valutazione e/o della motivazione contenute nella decisione controversa.

113. In secondo luogo, le ricorrenti nell’impugnazione principale criticano il Tribunale per aver «attribuito molto più peso» di quanto non abbia fatto la Commissione al «contesto più generale delle risorse e dei vantaggi economici che le banche traggono dalla loro attività di emissione di carte» nonché all’assenza di effetti sul sistema MasterCard, in Australia, della riduzione delle commissioni interbancarie imposta dalla Banca centrale d’Australia (91) (in prosieguo: l’«esempio australiano»).

114. Al riguardo ritengo che non si possa impedire al giudice dell’Unione, investito di un ricorso di annullamento, di riconoscere, nell’ambito del controllo di legittimità che esso esercita sull’atto impugnato, maggiore importanza a taluni elementi della motivazione di tale atto rispetto ad altri, a condizione che siffatto approccio non alteri la logica interna dell’atto in questione al punto tale che la motivazione o la valutazione in esso contenute ne risultino, di fatto, sostituite. Ciò non avviene, a mio parere, nel caso di specie. Infatti, se è vero che il Tribunale focalizza la sua attenzione sull’analisi degli utili che le banche ricavano dalla loro attività di emissione e attribuisce particolare rilevanza all’esempio australiano, non risulta che siano state ignorate o sostituite né la valutazione della Commissione né la motivazione della decisione controversa, che si fondano anch’esse su siffatti elementi (92).

iv)          Sulla quarta parte del primo motivo dell’impugnazione principale, vertente sull’applicazione di un livello di controllo insufficiente

115. Nell’ambito della quarta parte del loro primo motivo, le ricorrenti nell’impugnazione principale, sostenute dalla MBNA, dalla HSBC, dalla RBS e dalla LBG, lamentano che il Tribunale ha esercitato un controllo giurisdizionale assai limitato riguardo al carattere oggettivamente necessario delle CMI. Da un lato, considerata l’entrata in vigore della Carta e la giurisprudenza della Corte EDU, il Tribunale avrebbe dovuto effettuare un controllo integrale di tali valutazioni, non limitato all’errore manifesto. Dall’altro, esso non avrebbe rispettato il livello di controllo giurisdizionale richiesto dalla Corte, in quanto, in primo luogo, avrebbe applicato il criterio dell’errore manifesto a constatazioni della Commissione che non implicavano valutazioni economiche realmente «complesse» e, in secondo luogo, avrebbe sostituito tale criterio con un altro criterio, meno rigoroso, limitato alla verifica della loro «ragionevolezza».

116. Prima di procedere all’esame di tali censure, osservo che, nell’ambito della parte di motivo in oggetto, le ricorrenti nell’impugnazione principale ripropongono altresì un certo numero di argomenti che coincidono con quelli dedotti nella terza parte sopra esaminata. Si tratta, in particolare, dell’affermazione secondo la quale il Tribunale si sarebbe fondato unicamente su una parte della motivazione della decisione controversa, avrebbe attribuito ad alcuni elementi di tale motivazione un’importanza maggiore rispetto a quella ad essi riconosciuta dalla Commissione e avrebbe sostituito la sua valutazione a quella della Commissione. Poiché tali argomenti sono già stati discussi al momento dell’esame della suddetta parte, mi limito a rinviare, in proposito, alle considerazioni esposte ai paragrafi da 110 a 114 supra, non senza rilevare una certa contraddizione di fondo tra le suddette affermazioni e l’asserzione secondo la quale il Tribunale avrebbe dato prova di un’eccessiva deferenza verso il potere discrezionale della Commissione in materia economica.

117. Ciò precisato, rilevo che le censure in esame sollevano ancora una volta dinanzi alla Corte la delicata questione della portata del controllo giurisdizionale da esercitare sulle decisioni della Commissione che infliggono sanzioni alle imprese per infrazioni alle norme in materia di concorrenza (93).

118. Tale controllo è innanzi tutto delimitato dal tipo di sindacato che il giudice dell’Unione è chiamato a esercitare nell’ambito della funzione giurisdizionale conferitagli dal Trattato. Salvo che in materia di ammende, sulle quali esso gode di una competenza estesa al merito ai sensi dell’articolo 261 TFUE e dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003 (94), tale giudice effettua, conformemente all’articolo 263, primo comma, TFUE, un controllo di legittimità, il che gli consente soltanto di respingere il ricorso di annullamento o di annullare la decisione impugnata, e non già di riformarla né di riesaminare la sua opportunità. Un secondo limite, evidenziato dalla giurisprudenza, è di ordine istituzionale e risulta dalla ripartizione delle competenze tra la Commissione e i giudici dell’Unione, in quanto il Trattato ha conferito alla prima una funzione di sorveglianza nel settore del diritto della concorrenza, la quale include, oltre al compito di indagare e di reprimere le infrazioni alle norme in materia di concorrenza, quello di elaborare e perseguire una politica generale «mirante ad applicare (…) i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese» (95). In tale contesto, la giurisprudenza ha riconosciuto che non spetta al giudice dell’Unione, nell’ambito del suo controllo di legittimità delle decisioni della Commissione in materia di concorrenza, sostituire il suo punto di vista a quello di tale istituzione, né di riformare la decisione controversa, salvo turbare l’equilibrio interistituzionale previsto dal Trattato (96). Un terzo limite riguarda, infine, la natura delle valutazioni che la Commissione è indotta ad effettuare nelle sue decisioni ai sensi dell’articolo 81 CE. Un certo potere discrezionale le è stato riconosciuto quando effettua valutazioni economiche o tecniche complesse in base alla considerazione che siffatte valutazioni possono necessitare di una competenza tecnica e di una perizia in campo economico elevate nonché implicare scelte di politica economica che spetta alla Commissione effettuare. Il controllo del giudice dell’Unione su tali valutazioni risulterebbe, di conseguenza, circoscritto. Pertanto, secondo una giurisprudenza costante, tale controllo è limitato «alla verifica del rispetto delle regole di procedura e di motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’insussistenza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere» (97).

119. Da alcuni anni, la portata della giurisprudenza sul controllo marginale è stata notevolmente ridotta (98), anche in conseguenza del progressivo passaggio all’ambito penale del diritto dell’Unione in materia di concorrenza. Così, nelle sentenze KME e Chalkor/Commissione, la Corte ha precisato che, «sebbene negli ambiti che richiedono valutazioni economiche complesse la Commissione disponga di un potere discrezionale in materia economica, ciò non implica che il giudice dell’Unione debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Infatti, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte» (99). La Corte ha peraltro aggiunto che «il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dalla ricorrente a sostegno dei motivi dedotti» e non può, in occasione di tale controllo, basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione «al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto» (100). L’esatta portata di tale precisazione, che, di per sé, è potenzialmente in grado di neutralizzare, di fatto, il principio stesso del riconoscimento alla Commissione di un potere discrezionale in ambito economico, non è ancora chiara (101). Per contro, essa dimostra con tutta evidenza l’intento della Corte di ridurre quanto più possibile l’incidenza di siffatto potere discrezionale sulla portata del controllo giurisdizionale delle decisioni della Commissione che infliggono sanzioni per violazione dell’articolo 81 CE (102).

120. Per quanto riguarda la questione se la portata del controllo giurisdizionale esercitato dai giudici dell’Unione, come descritto supra, sia compatibile con il rispetto dei diritti a un ricorso giurisdizionale effettivo e a un equo processo, occorre rilevare che, nelle citate sentenze KME e Chalkor/Commissione, la Corte ha affermato che «[n]on risulta (…) che il controllo di legittimità di cui all’art[icolo] 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, prevista all’art[icolo] 31 del regolamento n. 1/2003, sia contrario ai dettami del principio della tutela giurisdizionale effettiva che figura all’art[icolo] 47 della Carta» (103). Inoltre, nella recente sentenza Schindler Holding e a./Commissione, la Corte ha confermato tale giudizio di conformità anche alla luce dell’articolo 6 CEDU, sul cui fondamento devono essere definiti il significato e la portata dell’articolo 47 della Carta, in forza dell’articolo 52, paragrafo 3, della stessa (104).

121. L’articolo 6, paragrafo 1, CEDU, che viene qui applicato nella sua parte penalistica (105), non esclude l’irrogazione di una sanzione di natura repressiva da parte di un’autorità amministrativa, a condizione, tuttavia, che la decisione di tale autorità possa essere assoggettata al successivo controllo di un organo giudiziario avente «competenza estesa al merito». Tra le caratteristiche di siffatto organo figura, secondo la Corte EDU, «il potere di riformare la decisione impugnata in qualsiasi punto, in fatto come in diritto», nonché la «competenza a esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto rilevanti per la controversia per cui viene adito» (106). Nonostante siffatta formulazione (107) sembri esigere che l’organo al quale è conferito il controllo giurisdizionale differito, richiesto dall’articolo 6, paragrafo 1, CEDU, sia dotato di competenze che vanno oltre quelle esercitabili in occasione di un controllo di legittimità (108) nonché del potere di procedere ad un esame effettivo della causa (109), l’applicazione che ne è stata fatta in concreto dalla Corte EDU è estremamente flessibile (110).

122. In particolare, e si tratta di un fattore di convergenza metodologica particolarmente importante tra la giurisprudenza della CEDU e quella dell’Unione (111), secondo la Corte EDU, ciò che conta ai fini dell’applicazione dell’articolo 6 CEDU è non tanto l’enunciazione astratta, da parte del giudice, del tipo di controllo («debole» o «forte») che esso è legittimato a effettuare o che intende effettuare nel caso di specie, quanto piuttosto il fatto che, mediante l’esercizio stesso di tale controllo, i diritti sanciti da tale Convenzione siano stati effettivamente tutelati. Tale approccio casistico è stato confermato, in modo implicito (112) ma chiaro, dalla Corte EDU nella recente sentenza Menarini Diagnostics Srl c. Italia (113). In siffatto contesto, se, come la Corte ha implicitamente affermato nella sentenza Schindler Holding e a./Commissione, il controllo esercitato dai giudici dell’Unione sulle decisioni della Commissione che infliggono sanzioni per violazione delle norme in materia di concorrenza sembra poter rispondere alle esigenze dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU (114), ciò dipende dal modo in cui tale controllo è stato concretamente esercitato.

123. È sulla base dei suesposti principi che occorre esaminare se, nel caso di specie, il Tribunale abbia esercitato un controllo giurisdizionale sufficiente delle constatazioni della Commissione relative al carattere oggettivamente necessario delle CMI.

124. Al riguardo occorre anzitutto respingere l’obiezione della Commissione secondo la quale incombeva alle ricorrenti nell’impugnazione principale provare che le CMI erano oggettivamente necessarie per il funzionamento della MasterCard al fine di sottrarsi al divieto di cui all’articolo 81, paragrafo 1, CE. Infatti, anche supponendo che siffatta affermazione sia corretta, resta pur sempre il fatto che il Tribunale è tenuto a esercitare un controllo tendenzialmente completo su tutte le valutazioni effettuate dalla Commissione, anche quando esse mirano a respingere argomenti difensivi delle imprese interessate.

125. Occorre poi rilevare che, al punto 82 della sentenza impugnata, il Tribunale, rinviando alle citate sentenze M6 e a./Commissione nonché Remia e a./Commissione, ha ricordato che il giudice dell’Unione esercita un controllo limitato sulle valutazioni economiche complesse effettuate al fine di vagliare il carattere oggettivamente necessario di una restrizione accessoria. Come è stato osservato supra, siffatta enunciazione astratta dei criteri che definiscono la portata del controllo che il Tribunale intende esercitare non è di per sé censurabile se risulta che esso ha in concreto effettuato un controllo approfondito, sia in fatto che in diritto, condotto alla luce degli elementi prodotti a sostegno dei motivi dinanzi ad esso dedotti (115).

126. Le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno anzitutto valere che il Tribunale non avrebbe esercitato un controllo sufficiente sull’affermazione della Commissione secondo la quale le CMI avrebbero potuto essere sostituite, quale regola standard, da un divieto di tariffazione a posteriori.

127. È vero che, su tale questione, il Tribunale si è limitato, ai punti 95 e 96 della sentenza impugnata, a riprodurre integralmente il punto 554 della decisione controversa e ad affermare che il ragionamento ivi esposto era esente da errori manifesti di valutazione (116). Tuttavia, dalla lettura dell’atto introduttivo del ricorso in primo grado emerge che le censure dedotte dalle ricorrenti nell’impugnazione principale riguardavano essenzialmente la natura regolatrice dell’ipotesi di un sistema MasterCard che funzionasse con un divieto di tariffazione ex post, la mancata analisi del contesto concorrenziale nonché l’omessa produzione, da parte della Commissione, della prova che siffatto divieto avesse una portata meno restrittiva della concorrenza rispetto alle CMI. Orbene, il Tribunale ha esaminato i diversi argomenti in parola ai punti da 97 a 99 e 143 della sentenza impugnata. Per contro, fra tali censure non figurava quella, fatta valere attualmente dalle stesse, relativa al carattere asseritamente irrealistico di una regola standard che impedisca alle banche di emissione di ottenere un compenso per i servizi da esse offerti alle banche affilianti. Come ho già constatato al paragrafo 105 supra, e come emerge in particolare dal punto 19 della sentenza impugnata e dai punti da 146 a 155 della decisione controversa, la tesi secondo la quale le CMI costituiscono un prezzo pagato dalle banche di affiliazione alle banche di emissione per i servizi che sono ad esse prestati da queste ultime, inizialmente sostenuta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nel corso del procedimento amministrativo, era stata poi abbandonata a favore della loro qualificazione come meccanismo di equilibrio tra la domanda dei titolari delle carte e quella degli esercenti. Dal canto suo, la HSBC si limita a rinviare alla dichiarazione di un suo dipendente, allegata alla sua memoria d’intervento in primo grado, in cui viene affermato che l’introduzione di una regola di tariffazione ex post avrebbe verosimilmente condotto all’abbandono del meccanismo di fissazione delle commissioni interbancarie su base bilaterale. Essa non spiega, tuttavia, come siffatto risultato, ammesso che sia dimostrato, avrebbe influito sul sistema MasterCard tanto da rendere non ipotizzabile un meccanismo standard basato su un divieto di tariffazione ex post, né il motivo per cui la mancata considerazione di tale risultato da parte del Tribunale, ammesso che ciò sia avvenuto, avrebbe inciso sull’effettività del suo controllo giurisdizionale.

128. Le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno poi valere che il Tribunale non avrebbe esercitato un controllo sufficiente sulle constatazioni della Commissione riguardo al carattere oggettivamente necessario delle CMI quale meccanismo di trasferimento di fondi a favore delle banche di emissione.

129. Rilevo, in proposito, che l’analisi del Tribunale al riguardo, contenuta ai punti da 100 a 119 della sentenza impugnata, non fa emergere alcuna «deferenza» verso un presunto potere discrezionale della Commissione ed è, all’inverso, talmente autonoma da essere parallelamente oggetto, nell’impugnazione principale, di una censura riguardante una presunta sostituzione della valutazione del Tribunale a quella della Commissione. È infatti alla luce della propria analisi dei dati contenuti nella decisione controversa, relativi ai vantaggi economici che le banche del sistema MasterCard traggono dalla loro attività di emissione di carte – di per sé sottratta al sindacato della Corte salvo il caso di snaturamento che non è stato affermato – che il Tribunale ha considerato, al punto 110 della sentenza impugnata, che si poteva ragionevolmente concludere che la riduzione di tali vantaggi, in caso di abolizione delle CMI, non sarebbe stata sufficiente a rimettere in discussione la praticabilità del sistema MasterCard ed è parimenti sulla base di una valutazione autonoma dei risultati dell’analisi concernente gli effetti della riduzione, da parte della Banca d’Australia, del livello delle commissioni interbancarie della MasterCard che il Tribunale ha considerato, al punto 111 della sentenza impugnata, che tale analisi confermava la conclusione secondo la quale l’abolizione delle CMI non avrebbe comportato il crollo del sistema MasterCard (117).

130. Nel loro argomento, sia le ricorrenti nell’impugnazione principale che la LGB non si limitano tuttavia a menzionare una «deferenza giudiziaria» verso le valutazioni della Commissione, ma fanno altresì valere la natura «speculativa e superficiale» dell’analisi del Tribunale, la mancata considerazione degli elementi che esse avevano prodotto dinanzi allo stesso nonché l’omessa constatazione di tale carenza relativamente all’analisi contenuta nella decisione controversa. Esse affermano, in particolare, che il Tribunale non ha esaminato la questione se la fissazione standard delle commissioni interbancarie di valore positivo non fosse necessaria alla luce della natura dualistica del mercato. Esso non avrebbe neppure preso in considerazione gli effetti restrittivi che CMI a livello zero producevano sull’altra parte del mercato dualistico, ossia quella dell’emissione.

131. Al riguardo ricordo che dai punti 101, 181 e 182 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha ritenuto che gli argomenti relativi alla mancata considerazione della natura dualistica del mercato nonché agli effetti dell’abolizione delle CMI sulla parte «emissione» di tale mercato fossero irrilevanti nell’ambito dell’analisi ai sensi del paragrafo 3 dell’articolo 81 CE, sotto il profilo della necessità oggettiva delle CMI oppure dell’analisi dei loro effetti sulla concorrenza. Il Tribunale ha peraltro confermato, ai punti da 176 a 178 della sentenza impugnata, la qualificazione del mercato dell’emissione come mercato pertinente nonché il suo carattere autonomo, il che giustificava, nell’impianto del suo ragionamento, il fatto che la Commissione avesse limitato a tale mercato la sua analisi degli effetti delle CMI sulla concorrenza. Orbene, le ricorrenti nell’impugnazione principale non deducono argomenti volti a dimostrare che i motivi summenzionati della sentenza impugnata sono viziati da un errore di diritto e la LBG si limita, al riguardo, ad affermazioni assai generiche.

132. Infine, le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere che la circostanza che il Tribunale abbia menzionato, a conferma del suo ragionamento, l’esempio australiano, riguardante un’ipotesi di riduzione e non già di abolizione delle CMI, «evidenzia il carattere lacunoso» della sua analisi.

133. Al riguardo mi limito a rilevare che il Tribunale ha esaminato e respinto gli argomenti riguardanti la presunta irrilevanza dell’esempio australiano ai punti da 112 a 114 della sentenza impugnata. Dato che rimette in discussione la valutazione contenuta in tali punti senza dedurre un qualsiasi argomento diretto a confutarla, né, tanto meno, alcun vizio di snaturamento, la censura in oggetto dev’essere, a mio avviso, respinta.

134. Alla luce di quanto precede, ritengo che la quarta parte del primo motivo dell’impugnazione principale e, quindi, il motivo nella sua interezza debba essere integralmente respinto.

5.            Sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE (terzo motivo dell’impugnazione principale)

135. Nella sua impugnazione incidentale la LBG, sostenuta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, addebita al Tribunale di aver commesso diversi errori di diritto nell’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE. Le censure della LBG e delle ricorrenti nell’impugnazione principale possono essere suddivise in tre parti.

a)            Sul livello probatorio e sul principio in dubio pro reo

136. In primo luogo, secondo la LBG, il Tribunale avrebbe dovuto constatare che la Commissione era incorsa in errori di diritto imponendo un livello probatorio eccessivo. Il livello probatorio per la valutazione delle condizioni previste dall’articolo 81, paragrafo 3, CE dovrebbe essere quello della ponderazione delle probabilità. Nella fattispecie, tale valutazione avrebbe dovuto essere operata rispetto all’intero sistema MasterCard, il quale apporterebbe notevoli vantaggi ai consumatori e agli esercenti. Non sarebbe giuridicamente corretto chiedere alla MasterCard di giustificare il livello preciso delle CMI anziché dimostrare semplicemente, sulla base di elementi di prova solidi, che il metodo da essa seguito per fissare le CMI è giustificabile. Nello stesso contesto, le ricorrenti nell’impugnazione principale sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto concludendo, senza fornire del resto una spiegazione sufficiente, che il principio in dubio pro reo non dovrebbe essere applicato quando, come nel caso di specie, l’impresa che fa valere l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE ha fornito prove che fanno sorgere quantomeno dubbi riguardo all’applicazione di tale disposizione e la Commissione non ha completamente dissipato tali dubbi.

137. Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura relativa al livello probatorio eccessivo, è giocoforza constatare che la censura dedotta dalla LGB nella sua impugnazione incidentale si fonda su un argomento presentato in modo alquanto sintetico e vago. La LGB non individua i punti della sentenza impugnata che sarebbero viziati da errori e si limita a far valere che il livello probatorio imposto sarebbe stato eccessivo senza specificare quali elementi della sentenza impugnata sono oggetto di critica da parte sua. Per suffragare il suo argomento, la LBG si limita a rinviare genericamente agli argomenti esposti nella sua memoria d’intervento, presentata dinanzi al Tribunale. In tali circostanze, nutro seri dubbi quanto alla ricevibilità di tale censura alla luce dell’articolo 168, paragrafo 1, lettera d) del regolamento di procedura della Corte.

138. Ritengo, in ogni caso, che tale censura sia altresì infondata.

139. Innanzi tutto, quanto all’argomento relativo alla presunta necessità di valutare le CMI nell’ambito dell’intero sistema MasterCard, ricordo che, al punto 207 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che, dal momento che le CMI non costituiscono restrizioni accessorie, la Commissione aveva giustamente esaminato se esistessero vantaggi obiettivi significativi derivanti specificamente dalle CMI senza prendere in considerazione l’intero sistema MasterCard. Orbene, da un lato, è giocoforza constatare che la LBG, nella sua impugnazione incidentale, non ha fornito alcun elemento né alcun argomento per rimettere in discussione tale conclusione del Tribunale. Dall’altro, alla luce dell’analisi svolta ai punti da 79 a 134 supra, propongo di respingere le censure dedotte dalle ricorrenti nell’impugnazione principale contro i punti della motivazione della sentenza impugnata concernenti la necessità oggettiva delle CMI.

140. Per quanto riguarda, poi, l’argomento relativo alla circostanza che il livello probatorio per la valutazione delle condizioni previste dall’articolo 81, paragrafo 3, CE avrebbe dovuto essere quello della ponderazione delle probabilità, occorre anzitutto ricordare che l’articolo 2 del regolamento n. 1/2003 prevede che incomba all’impresa che invoca l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE l’onere di provare che le condizioni in esso enunciate sono soddisfatte, senza tuttavia stabilire il livello di prova a tal fine necessario.

141. Secondo costante giurisprudenza, come ha giustamente ricordato il Tribunale al punto 196 della sentenza impugnata, colui che si avvalga di tale disposizione deve dimostrare, mediante argomenti ed elementi di prova convincenti, che sussistono le condizioni necessarie per beneficiare di un’esenzione e, in particolare per quanto riguarda la prima condizione prevista all’articolo 81, paragrafo 3, CE, che il miglioramento derivante dall’accordo in questione presenta vantaggi obiettivi significativi, idonei a compensare gli inconvenienti derivanti dall’accordo sul piano della concorrenza (118). Occorre altresì rilevare che, nella citata sentenza GlaxoSmithKline Services, la Corte ha affermato che, nell’ambito dell’analisi ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE, per poter presumere che l’accordo implichi siffatti vantaggi, è sufficiente che la Commissione pervenga, sulla base degli elementi di cui dispone, alla convinzione della probabilità che il vantaggio oggettivo sensibile si concretizzi (119). Tuttavia, è giocoforza constatare che, come risulta espressamente dal punto 93 della suddetta sentenza, tale affermazione si inserisce nel contesto dell’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE in vigore prima dell’adozione del regolamento n. 1/2003, il quale prevedeva un sistema di autorizzazioni preventive concesse dalla Commissione (120). In siffatto contesto, l’analisi che doveva essere effettuata dalla Commissione era un’analisi di natura prospettica e previsionale dei probabili vantaggi derivanti dall’accordo che le veniva notificato.

142. Orbene, è giocoforza constatare che, nelle loro memorie, la LBG e le ricorrenti nell’impugnazione principale non solo non hanno specificato i punti della sentenza impugnata che sarebbero viziati da errori, limitandosi ad affermare in generale che il livello probatorio avrebbe dovuto essere quello della ponderazione delle probabilità, ma non hanno assolutamente specificato le ragioni per cui siffatto livello probatorio avrebbe dovuto essere applicato nel presente caso nel quale, da un lato, la Commissione non era chiamata a effettuare un’analisi prospettica e, dall’altro, invece, spettava alle ricorrenti nell’impugnazione principale produrre elementi di prova convincenti dei significativi vantaggi obiettivi apportati dalle CMI che avrebbero dovuto essere idonee a compensare gli inconvenienti individuati dalla Commissione.

143. In tali circostanze, ritengo che, qualora la Corte dovesse considerarlo ricevibile, l’argomento relativo al livello probatorio eccessivo debba essere respinto.

144. Per quanto riguarda, in secondo luogo, la censura relativa alla violazione del principio in dubio pro reo, fatta valere dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, occorre ricordare che tale principio è un corollario del principio della presunzione di innocenza (121) che opera al momento della valutazione della prova di un’infrazione (122). Ai sensi di tale principio la prova dell’infrazione dev’essere stabilita in modo completo e i dubbi e le incertezze, riguardo a tale prova, devono avvantaggiare la persona di cui viene censurato il comportamento e, quindi, impediscono che gli vengano inflitte sanzioni.

145. L’argomento delle ricorrenti nell’impugnazione principale ha ad oggetto l’articolo 237 della sentenza impugnata, nel quale, concludendo la sua analisi relativa all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE, il Tribunale ha considerato che, dal momento che le ricorrenti non avevano fornito la prova dell’eccezione da esse sollevata, occorreva respingere l’affermazione vertente sulla violazione del principio in dubio pro reo.

146. Ritengo che tale valutazione non sia viziata da errori. Infatti, a mio avviso, il principio in dubio pro reo può trovare applicazione nell’analisi effettuata dalla Commissione ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, nella quale essa deve provare l’esistenza di un’infrazione alla suddetta norma commessa dall’impresa in questione. In tale contesto, detto principio esige che gli elementi di prova prodotti dalla Commissione dimostrino in modo completo tale infrazione così che non sussistano dubbi quanto alla sua commissione.

147. Per contro, non credo che il principio in dubio pro reo possa essere fatto valere, come nel caso delle ricorrenti nell’impugnazione principale, per tentare di ridurre il livello probatorio necessario all’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE. Come ho rilevato al paragrafo 141 supra, secondo costante giurisprudenza, spetta all’impresa che si avvale dell’articolo 81, paragrafo 3, CE dimostrare, mediante argomenti ed elementi di prova convincenti, che sussistono le condizioni necessarie per beneficiare di un’esenzione. Non basta quindi, come sembrano ipotizzare le ricorrenti nell’impugnazione principale, fornire elementi di prova che si limitino a sollevare dubbi quanto all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE.

148. È vero che, come ha ricordato il Tribunale al punto 197 della sentenza impugnata, in taluni casi, gli argomenti e gli elementi di fatto sollevati dall’impresa che intende avvalersi dell’esenzione possono essere tali da obbligare la controparte, ossia la Commissione, a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato soddisfatto (123). Tuttavia, è giocoforza constatare che le ricorrenti nell’impugnazione principale non contestano la conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale al punto 231 della sentenza impugnata, secondo la quale la Commissione ha esaminato e validamente negato la fondatezza dell’argomento da esse esposto nel corso del procedimento amministrativo, ma si limitano a far valere che il Tribunale avrebbe ammesso, nella sentenza impugnata, che sussistevano dubbi quanto all’applicabilità dell’articolo 81, paragrafo 3, CE alle CMI. Tuttavia siffatti dubbi non sono riscontrabili nella sentenza impugnata e, in particolare, non figurano nella frase contenuta all’inizio del punto 233 della sentenza impugnata, cui fanno riferimento le ricorrenti nell’impugnazione principale. Anzi, al punto 237 della sentenza impugnata, il Tribunale ha chiaramente concluso, senza esprimere dubbi, che la Commissione poteva correttamente trarre la conclusione che le ricorrenti non avevano fornito la prova che sussistessero le condizioni per l’applicabilità dell’articolo 81, paragrafo 3, CE.

149. Infine, nei limiti in cui la censura in questione può essere interpretata nel senso che fa valere un difetto di motivazione della sentenza impugnata riguardo all’applicabilità del principio in dubio pro reo, alla luce delle considerazioni da me esposte ai paragrafi 30 e 31 supra, ritengo che, data la sua conclusione che la prova della sussistenza delle condizioni per l’esenzione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE non era stata fornita, il Tribunale non fosse anche tenuto a spiegare le ragioni per cui, nella fattispecie, il principio in dubio pro reo non dovesse applicarsi.

b)            Sulla presunta erroneità dell’approccio con riferimento al mercato nel quale sorgono i vantaggi di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE nonché con riferimento alle categorie di utilizzatori interessati

150. In secondo luogo, la LBG, sostenuta dalle ricorrenti nell’impugnazione principale, afferma che il Tribunale ha adottato un approccio inesatto per quanto riguarda il mercato nel quale devono sorgere i vantaggi di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE. La LBG fa valere che, pur riconoscendo che, secondo la giurisprudenza, i suddetti vantaggi possono essere presi in considerazione per qualsiasi mercato che benefici dell’esistenza dell’accordo e pur ammettendo l’esistenza di un nesso tra le due parti del mercato in questione (ossia i titolari di carte e gli esercenti), il Tribunale si è concentrato esclusivamente sui vantaggi a favore degli esercenti. Così facendo, esso non avrebbe tenuto conto dei notevoli vantaggi derivanti dal sistema MasterCard e dalle stesse CMI per i titolari di carte, nonché della natura dualistica del mercato e dell’ottimizzazione del sistema che le CMI contribuiscono a realizzare. Le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere che il Tribunale non avrebbe spiegato il motivo per cui le prime due condizioni dell’articolo 81, paragrafo 3, CE non possano essere soddisfatte fondandosi unicamente sui vantaggi derivanti dalle CMI per i titolari di carte, sempre che tali vantaggi siano in grado di compensare tutti i presunti svantaggi risultanti, per gli esercenti, dagli effetti restrittivi delle CMI. Nessun elemento nel testo dell’articolo 81, paragrafo 3, CE confermerebbe la tesi del Tribunale secondo la quale, qualora esistano due o più categorie di consumatori interessati, per considerare una restrizione della concorrenza compatibile con l’articolo 81 CE, l’insieme di tali categorie deve beneficiare della medesima parte di utile risultante da tale restrizione.

151. Le censure della LBG e delle ricorrenti nell’impugnazione principale si riferiscono all’analisi contenuta ai punti 228 e 229 della sentenza impugnata in cui, dopo aver richiamato la propria giurisprudenza, secondo la quale i vantaggi di cui alla prima condizione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE possono realizzarsi non solo nel mercato in questione, ma anche in qualsiasi altro mercato sul quale l’accordo possa produrre effetti favorevoli, il Tribunale ha tuttavia considerato che, poiché gli esercenti costituivano uno dei due gruppi di utilizzatori interessati dalle carte di pagamento, era necessario, affinché l’articolo 81, paragrafo 3, CE potesse essere applicato, che l’esistenza di vantaggi oggettivi significativi, imputabili alle CMI, fosse dimostrata anche nei loro confronti. Su tale fondamento, il Tribunale ha concluso che, in assenza di tale prova, l’argomento con cui le ricorrenti lamentano che i vantaggi che i titolari di carte traggono dalle CMI non sono stati presi sufficientemente in considerazione è in ogni caso inconferente.

152. Le suddette censure riguardano l’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE in un contesto contraddistinto dall’esistenza di due mercati distinti sui quali l’accordo restrittivo può produrre effetti. Nella fattispecie, si tratta dei mercati dell’affiliazione e dell’emissione i quali, pur essendo distinti, presentano tuttavia importanti interazioni e complementarietà (124). Occorre al riguardo rilevare che, sebbene la definizione del mercato pertinente operata dalla Commissione sia stata confermata dal Tribunale, tale aspetto della sentenza impugnata non forma tuttavia oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte.

153. La LGB e le ricorrenti nell’impugnazione principale fanno valere, in sostanza, che il Tribunale ha commesso un errore non tenendo conto dei vantaggi derivanti dalle CMI per i titolari di carte, utilizzatori diretti dei servizi offerti nel mercato dell’emissione, mentre tali vantaggi avrebbero potuto, virtualmente, controbilanciare gli effetti restrittivi risultanti dalle CMI per gli esercenti, utilizzatori diretti dei servizi offerti nel mercato dell’affiliazione.

154. La questione di diritto sottesa a tale censura è quindi quella di stabilire se, affinché l’esenzione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE possa trovare applicazione in siffatto contesto, sia necessario che la congrua parte dell’utile risultante dai vantaggi prodotti dall’accordo, come prevista dall’articolo 81, paragrafo 3, CE, sia riservata agli utilizzatori diretti dei servizi offerti nel mercato in cui si producono gli effetti restrittivi per la concorrenza – nella specie, in particolare, gli esercenti – oppure se sia possibile ritenere che gli effetti restrittivi, che ledono tali utilizzatori, possano essere compensati dai vantaggi prodotti per gli utilizzatori dei servizi offerti in un mercato connesso, ossia nella fattispecie i titolari di carte.

155. Occorre preliminarmente ricordare che la seconda condizione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE esige che, affinché un accordo restrittivo possa beneficiare dell’esenzione prevista da tale disposizione, una congrua parte dell’utile risultante dal suddetto accordo sia riservata agli utilizzatori.

156. Al riguardo occorre in primo luogo rilevare che gli utilizzatori ai quali fa riferimento la suddetta disposizione devono essere considerati come utilizzatori diretti o indiretti dei prodotti o dei servizi coperti dall’accordo. In secondo luogo, emerge da costante giurisprudenza che, affinché un accordo restrittivo della concorrenza possa essere esentato ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE, i vantaggi obiettivi significativi generati da tale accordo devono essere tali da compensare gli inconvenienti che ne derivano per la concorrenza (125). Da tale giurisprudenza si può desumere che, affinché un accordo restrittivo possa beneficiare dell’esenzione, è necessario che i vantaggi derivanti da tale accordo garantiscano agli utilizzatori la compensazione integrale degli effetti pregiudizievoli, effettivi o probabili, che i medesimi devono sopportare a causa della restrizione della concorrenza risultante dall’accordo. In altri termini, i vantaggi derivanti dall’accordo restrittivo devono controbilanciare i suoi effetti negativi.

157. Tuttavia, a mio parere, tale compensazione deve riguardare gli utilizzatori direttamente o indirettamente interessati dall’accordo (126). È infatti agli utilizzatori che subiscono il danno causato dagli effetti restrittivi dell’accordo in questione che va riservata, in via di principio, a compensazione di tale danno, la congrua parte dell’utile risultante dal suddetto accordo alla quale viene fatto riferimento nell’articolo 81, paragrafo 3, CE.

158. Infatti, nel caso in cui fosse possibile prendere in considerazione i vantaggi derivanti da un accordo per una categoria di utilizzatori di taluni servizi per controbilanciare gli effetti negativi su un’altra categoria di utilizzatori di altri servizi in un altro mercato, ciò equivarrebbe a consentire che sia favorita la prima categoria di utilizzatori a svantaggio della seconda. Orbene, logiche distributive di tal genere mi sembrano, in via di principio, estranee all’ambito di applicazione del diritto della concorrenza (127). Tale diritto mira, infatti, a tutelare la struttura del mercato e, in tal modo, la concorrenza, nell’interesse dei concorrenti e, in definitiva, dei consumatori (128) in genere. Esso non tende, per contro, a favorire una categoria di consumatori a danno di un’altra (129).

159. Al riguardo devo ancora rilevare che tali considerazioni non sono necessariamente in contrasto con la giurisprudenza consolidata del Tribunale, menzionata al punto 228 della sentenza impugnata, secondo la quale non è escluso che si possano prendere in considerazione vantaggi risultanti dall’accordo che si realizzano in un mercato diverso rispetto a quello in cui l’accordo produce gli effetti restrittivi. Infatti, simili vantaggi possono essere presi in considerazione quando, ad esempio, la categoria di consumatori interessata dall’accordo nei due mercati distinti è la stessa (130).

160. Nella fattispecie, il Tribunale ha considerato che, affinché l’esenzione di cui all’articolo 81, paragrafo 3, CE trovi applicazione, è necessario che la sussistenza di vantaggi obiettivi significativi derivanti dalle CMI sia, in ogni caso, provata per gli esercenti. Orbene, dato che gli esercenti costituiscono la categoria di consumatori che subiscono direttamente gli effetti restrittivi delle CMI nel mercato in cui tali effetti si realizzano, ritengo che il Tribunale non abbia commesso alcun errore di diritto.

161. Ne deriva che sia gli argomenti delle ricorrenti nell’impugnazione principale sia l’argomento della LBG secondo il quale il Tribunale non avrebbe tenuto conto dei notevoli vantaggi derivanti dalle CMI (131) per i titolari di carte non possono essere accolti. La stessa conclusione vale, non essendo contestata la definizione del mercato pertinente, per l’argomento relativo alla mancata considerazione della natura dualistica del mercato. Infine, risulta altresì da quanto precede che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti nell’impugnazione principale, il Tribunale, ai punti 228 e 229 della sentenza impugnata, non ha considerato che, qualora esistano due o più categorie di consumatori interessati, per considerare una restrizione della concorrenza compatibile con l’articolo 81 CE, l’insieme di tali categorie deve beneficiare della medesima parte di utile risultante da tale restrizione. Esso ha solamente considerato che dovevano essere provati per gli esercenti vantaggi oggettivi derivanti dalle CMI.

162. Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, ritengo pertanto che le censure della LBG e delle ricorrenti nell’impugnazione principale, relative a un approccio asseritamente errato con riferimento al mercato in cui i vantaggi previsti dall’articolo 81, paragrafo 3, CE devono sorgere e con riferimento alle categorie di consumatori da prendere in considerazione, debbano essere respinte nella loro interezza.

c)            Sull’approvazione di un criterio troppo rigoroso per l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE

163. In terzo luogo, la LBG sostiene che il Tribunale ha commesso un errore approvando un criterio troppo rigoroso per l’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE. La LBG fa riferimento, in particolare, al punto 233 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale lascerebbe intendere che l’unico elemento da prendere in considerazione per stabilire che le CMI sono fissate a un livello adeguato sarebbe la compensazione, da parte degli esercenti, delle spese sostenute dalle banche di emissione per i servizi ad essi forniti o da cui i medesimi traggono evidenti benefici e che il calcolo della compensazione dovrebbe tener conto degli altri utili conseguiti dalle banche di emissione. La LBG sostiene che anche la Commissione, in casi più recenti, sembrerebbe aver adottato un approccio focalizzato unicamente sui vantaggi per gli esercenti, in quanto essa avrebbe utilizzato una metodologia restrittiva designata come il «criterio del turista» (132). L’applicazione di siffatto approccio sarebbe, secondo la LBG, impraticabile e inadeguata e la Commissione stessa non sarebbe in grado di applicare tale criterio per mancanza di dati. In tali circostanze, la LBG si chiede come si ritiene che possano ragionevolmente applicarlo la MasterCard o, a fortiori, le banche titolari di una licenza, che non dispongono di dati completi sul mercato. La metodologia prescelta sarebbe parimenti inapplicabile nella pratica poiché essa esigerebbe che siano forniti elementi di prova precisi per giustificare livelli specifici di CMI. Tali elementi di prova, tuttavia, potrebbero essere difficilmente prodotti. Né la Commissione né il Tribunale avrebbero fornito la benché minima indicazione sulla metodologia precisa cui dovrebbe attenersi la MasterCard al fine di fissare le CMI ad un livello ammissibile. L’ambiguità derivante da tale approccio creerebbe rilevanti incertezze per gli operatori del mercato e potrebbe arrecare pregiudizio al consumatore bloccando l’innovazione nel mercato.

164. Tale censura si fonda, a mio avviso, su una lettura errata della sentenza impugnata. Infatti, al punto 233, unico punto della sentenza impugnata specificamente considerato da tale censura, il Tribunale non ha affermato che la compensazione delle spese sostenute dalle banche di emissione per i servizi forniti sarebbe l’unico elemento da prendere in considerazione per stabilire che le CMI sono fissate a un livello adeguato. Al suddetto punto della sentenza impugnata il Tribunale ha risposto all’argomento dinanzi ad esso dedotto, relativo alla mancanza di dati che consentano di soddisfare il livello di prova economica richiesto dalla Commissione. Le considerazioni contenute nel punto 233 della sentenza impugnata devono essere quindi lette alla luce del punto precedente, nel quale il Tribunale ha spiegato che la difficoltà di soddisfare il livello di prova economica richiesto dalla Commissione aveva origine nell’argomento elaborato dalle ricorrenti nell’impugnazione principale nel corso del procedimento amministrativo.

165. Per quanto riguarda l’allusione alla metodologia designata come il «criterio del turista», è giocoforza constatare che non viene operato alcun riferimento a tale metodologia né nella sentenza impugnata né nella decisione controversa, cosicché l’argomento fondato su tale metodologia è irrilevante. La LBG non fornisce del resto alcun elemento per spiegare come il suo riferimento a tale metodologia possa consentire di individuare un errore nella sentenza impugnata.

166. Quanto all’argomento secondo il quale la Commissione e il Tribunale non avrebbero fornito la benché minima indicazione sulla metodologia precisa cui dovrebbe attenersi la MasterCard per fissare le CMI, esso non è idoneo a individuare alcun errore di diritto del Tribunale nella sentenza impugnata ed è, quindi, inconferente.

167. Da quanto precede consegue che anche la terza parte del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE non può essere accolta e, pertanto, il suddetto motivo dev’essere integralmente respinto.

III – Conclusioni

168. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)      L’impugnazione principale e le impugnazioni incidentali sono respinte.

2)      La MasterCard Incorporated, la MasterCard International Incorporated e la MasterCard Europe SPRL sono condannate alle spese relative all’impugnazione principale.

3)      The Royal Bank of Scotland plc è condannata alle spese relative alla sua impugnazione incidentale.

4)      La Lloyds TSB Bank plc e la Bank of Scotland plc sono condannate alle spese relative alla loro impugnazione incidentale.

5)      La MBNA Europe Bank Ltd., la HSBC Bank plc e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopportano le proprie spese.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      T‑111/08.


3 –      Gli istituti di credito che mettono la carta a disposizione del titolare consentendogli di utilizzarla.


4 –      Gli istituti di credito che hanno un rapporto contrattuale con un esercente ai fini dell’accettazione della carta presso un punto vendita. Le banche emittenti trasmettono alle banche affilianti i dati relativi al titolare della carta e quelli relativi alla carta (autenticazione, autorizzazione, ecc.) e procedono al trasferimento dei fondi attraverso l’infrastruttura informatica della rete, mentre le banche affilianti convogliano le transazioni dal terminale dei punti vendita degli esercenti sino al centro di elaborazione dati degli emittenti, trasmettono i dati per l’autorizzazione e partecipano alla compensazione e al trattamento della transazione.


5 –      V. punti da 234 a 238 e 242.


6 –      V. punti da 239 a 241 della decisione controversa.


7 –      V. punti 118 e segg. della decisione controversa.


8 –      Si tratta, più precisamente, delle carte di credito e di debito differito «consumatori», recanti il logo MasterCard, nonché delle carte di debito recanti il logo MasterCard o Maestro (v. articolo 1 della decisione controversa).


9 –      Tali commissioni includono la fornitura dei terminali di pagamento e di altri servizi tecnici e finanziari e sono costituite da una percentuale del valore di transazione o da una commissione forfettaria (v. punti 246 e 247 della decisione controversa).


10 –      V. punto 248 della decisione controversa.


11 –      V. punti da 146 a 155 della decisione controversa, in particolare il punto 153.


12 –      V. articolo 1 della decisione controversa. Occorre sottolineare che la Commissione si era già occupata delle commissioni interbancarie nell’ambito di sistemi di pagamento mediante carte, segnatamente nella decisione 2002/914/CE, del 24 luglio 2002 (Caso COMP/29.373 – Visa International – Commissione interbancaria multilaterale, GU L 318, pag. 17), in cui le CMI intraregionali della Visa nell’Unione europea sono state esentate, per un periodo di cinque anni, a determinate condizioni, tra cui la principale consistente nel fatto che tali commissioni fossero collegate e sottoposte a un limite massimo corrispondente al livello di taluni costi. L’8 gennaio 2010 è stata adottata dalla Commissione una seconda decisione Visa (COMP/D‑1/39.398, Visa MIF), che rende obbligatori gli impegni proposti dalla Visa, i quali comportano, tra l’altro, la fissazione di un limite massimo per le sue CMI. Nel gennaio 2012 la Commissione ha pubblicato il Libro verde – Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti tramite carte, Internet e telefono mobile [COM(2011) 941 def.], e ha avviato una consultazione pubblica che ha affrontato anche taluni aspetti relativi alle commissioni interbancarie nell’ambito di sistemi di pagamento mediante carte.


13 –      V. articolo 7 della decisione controversa.


14 –      E le commissioni interbancarie standard del SEPA (Single Euro Payments Area) interne alla zona euro.


15 –      Nonché le commissioni interbancarie standard del SEPA/interne alla zona euro. V. articoli 2 e 3 della decisione controversa.


16 –      V. articolo 5 della decisione controversa. Tale articolo impone inoltre alla MasterCard di rendere accessibili sul suo sito Internet, per un certo periodo, le informazioni contenute nell’allegato 5 della suddetta decisione.


17 –      V. il comunicato stampa della Commissione del 1° aprile 2009 (IP/09/515). Un riferimento agli impegni sottoscritti dalle ricorrenti nell’impugnazione principale è contenuto al punto 60 della sentenza impugnata.


18 –      Sentenza del 13 giugno 2013, Versalis/Commissione (C‑511/11 P, punto 115).


19 –      Sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punti 97 e 99).


20 –      V. sentenza del 28 febbraio 2013, Arango Jaramillo e a./BEI (C‑334/12 RX-II, punto 43), e ordinanza del 16 novembre 2010, Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Commissione (C‑73/10 P, Racc. pag. I‑11535, punto 53), che contengono riferimenti alla giurisprudenza della CEDU.


21 –      V. segnatamente, in tal senso, paragrafo 83 delle mie conclusioni nella causa Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio (sentenza del 27 febbraio 2007, C‑354/04 P, Racc. pag. I‑1579), in cui sono presenti altri riferimenti alla giurisprudenza della CEDU.V. anche ordinanza Internationale Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Commissione, cit., punto 53, nonché paragrafo 73 delle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 26 settembre 2013, PPG e SNF/ECHA (C‑625/11 P).


22 –      V. sentenza Arango Jaramillo e a./BEI, cit., punto 43, e paragrafo 73 delle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa PPG e SNF/ECHA, cit.


23 –      Fondandosi su una serie di elementi attinenti, in particolare, alle regole di funzionamento dell’organizzazione, ai rapporti tra i suoi organi direttivi e le banche affilate, al sistema di affiliazione alla rete, nonché alla natura delle decisioni relative alle CMI e alla loro obbligatorietà per le banche affiliate, la Commissione ha concluso, nella decisione controversa, che la MasterCard costituiva un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE (punti da 344 a 349) sino al 25 maggio 2006, data dell’IPO, e che le decisioni che essa adottava riguardo alle CMI erano, sino a tale data, «decisioni di un’associazione di imprese» ai sensi della medesima disposizione (punto 371).


24 –      V. punti 241 e 242.


25 –      V. sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni (C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punto 131); del 23 novembre 2006, Asnef‑Equifax e Administración del Estado (C‑238/05, Racc. pag. I‑11125, punti 31 e 32), e del 4 giugno 2009, T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, Racc. pag. I‑4529, punto 23); v. anche sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, FMC Foret/Commissione (T‑191/06, Racc. pag. II‑2959, punto 102).


26 –      V. le conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Wouters, cit., paragrafo 62. Risulta altresì dalla giurisprudenza che, in siffatto sistema chiuso, non si può vietare alla Commissione di qualificare l’intesa alternativamente come accordo, pratica concordata o decisione di associazione di imprese (v., ad esempio, sentenza del Tribunale del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Racc. pag. II‑931, punto 697, e, da ultimo, sentenza del 5 dicembre 2013, Solvay Solexis/Commissione, C‑449/11 P, punti 61 e 62).


27 –      V. sentenza della Corte del 29 ottobre 1980, van Landewyck e a./Commissione (da 209/78 a 215/78 e 218/78, Racc. pag. 3125, punto 88).


28 –      V. sentenze della Corte del 30 gennaio 1985, Clair (123/83, Racc. pag. 391, punto 17); del 18 giugno 1998, Commissione/Italia (C‑35/96, Racc. pag. I‑3851, punto 40), e del 12 settembre 2000, Pavlov e a. (da C‑180/98 a C‑184/98, Racc. pag. I‑6451, punto 85).


29 –      V. sentenze del Tribunale del 26 gennaio 2005, Piau/Commissione (T‑193/02, Racc. pag. II‑209, punto 69), e del 13 dicembre 2006, FNCBV/Commissione (T‑217/03 e T‑245/03, Racc. pag. II‑4987, punto 49), confermate dalla sentenza della Corte del 18 dicembre 2008, Coop de France bétail e viande e a./Commissione (C‑101/07 P e C‑110/07 P, Racc. pag. I‑10193).


30 –      V. sentenza del Tribunale del 15 settembre 2005, DaimlerChrysler/Commissione (T‑325/01, Racc. pag. II‑3319, punto 210).


31 –      V., in tal senso, sentenza della Corte del 27 gennaio 1987, Verband der Sachversicherer/Commissione (45/85, Racc. pag. 405, punto 32).


32 –      Citata alla nota 26.


33 –      V., segnatamente, sentenze della Corte del 17 novembre 1993, Reiff (C‑185/91, Racc. pag. I‑5801); del 9 giugno 1994, Delta Schiffahrts‑ und Speditionsgesellschaft (C‑153/93, Racc. pag. I‑2517); del 5 ottobre 1995, Centro Servizi Spediporto (C‑96/94, Racc. pag. I‑2883); del 17 ottobre 1995, DIP e a. (da C‑140/94 a C‑142/94, Racc. pag. I‑3257), e Commissione/Italia, cit., punti da 36 a 38.


34 –      Nella citata causa Wouters, si trattava dell’ordine degli avvocati olandese, nella citata causa Commissione/Italia, del Consiglio nazionale degli spedizionieri doganali, nelle citate cause Reiff e Delta Schiffahrts‑ und Speditionsgesellschaft, delle commissioni incaricate della fissazione, rispettivamente, delle tariffe dei trasporti di merci su strada a lunga distanza e delle tariffe del traffico fluviale commerciale in Germania, nella citata causa Centro Servizi Spediporto, del comitato incaricato dalla legge italiana della tenuta del registro nazionale dei trasportatori di merci su strada e coinvolto nella fissazione delle tariffe dei trasporti e, infine, nella citata causa DIP, delle commissioni comunali che intervengono nel procedimento di rilascio, in Italia, delle autorizzazioni all’apertura di esercizi di vendita al minuto.


35 –      Sentenza della Corte del 28 febbraio 2013 (C‑1/12).


36 –      Sentenza del 6 gennaio 2004, BAI e Commissione/Bayer (C‑2/01 P e C‑3/01 P, Racc. pag. I‑23).


37 –      Confermando la sentenza di primo grado, la Corte ha del resto precisato che, «[p]erché un accordo (…) possa ritenersi concluso in virtù di una accettazione tacita, è necessario che la manifestazione di volontà di una delle parti contraenti volta a un fine lesivo della concorrenza costituisca un invito all’altra parte, espresso o tacito, alla realizzazione comune di tale scopo, tanto più che tale accordo non è, nel caso in esame, prima facie nell’interesse dell’altra parte, vale a dire i grossisti», v. punto 102.


38 –      Nelle loro rispettive comparse di risposta la LBG e la HSBC fanno valere uno snaturamento dei fatti, addebitando al Tribunale di non aver tenuto conto delle prove testimoniali che esse avevano prodotto dinanzi ad esso, dalle quali risultava che, dopo l’IPO, le banche non avevano alcun controllo né alcuna influenza sulla fissazione delle CMI, riguardo alle quali esse non erano né consultate preventivamente né informate se non dopo la loro adozione. Al riguardo è sufficiente rilevare che il Tribunale non si è basato, nella sua valutazione dei fatti, su un qualsiasi coinvolgimento delle banche nel procedimento di adozione delle CMI. Al contrario, al punto 245 della sentenza impugnata, esso ha definito «pacifico» il fatto che «a partire dall’IPO le decisioni relative alle CMI vengono adottate dagli organi dell’organizzazione di pagamento MasterCard e che le banche non partecipano a tale processo decisionale». Pertanto tali censure, sempre che non debbano essere dichiarate irricevibili in quanto nuove rispetto all’impugnazione principale e non dedotte nell’ambito di un’impugnazione incidentale, sono inconferenti.


39 –      Le ricorrenti nell’impugnazione principale si limitano ad affermare la natura «manifestamente erronea» del ragionamento del Tribunale e a sostenere che le banche di emissione hanno interesse a ridurre il livello delle CMI al fine di ridurre i loro costi e di aumentare i loro utili sulle MSC.


40 –      V. punti 253 e 134 della sentenza impugnata.


41 –      Tale influenza veniva esercitata sia in caso di transazioni transfrontaliere, alle quali le CMI si applicavano in mancanza di commissioni interbancarie più specifiche, sia in caso di transazioni nazionali, rispetto alle quali le CMI si applicavano in mancanza di commissioni interbancarie interne oppure fungevano da riferimento al momento dell’adozione di queste ultime (punti da 412 a 424 della decisione controversa).


42 –      Pur non escludendo la possibilità che le CMI, operando una restrizione sulla determinazione dei prezzi realizzata mediante il gioco della concorrenza, abbiano potuto avere uno scopo anticoncorrenziale, la Commissione ha tuttavia deciso di non prendere posizione al riguardo, ritenendo che i loro effetti restrittivi fossero chiaramente dimostrati (punti da 401 a 407).


43 –      Fondandosi su dati relativi al 2002, la Commissione ha valutato che le CMI potevano rappresentare in media sino al 73 % di tali spese.


44 –      Punti da 439 a 460.


45 –      Punti da 461 a 466.


46 –      Punti da 467 a 496.


47 –      Punti da 497 a 521.


48 –      Vale a dire una regola che vieta agli emittenti e agli affilianti di definire l’importo delle CMI dopo che un detentore di carte dell’emittente abbia effettuato un acquisto da un esercente dell’affiliante, e la transazione sia stata presentata in pagamento.


49 –      Decisione 2002/914.


50 –      Sentenze della Corte del 30 giugno 1966, LTM (56/65, Racc. pagg. 262, 281 e 282); dell’11 dicembre 1980, L’Oréal (31/80, Racc. pag. 3775, punto 19); del 12 dicembre 1995, Oude Luttikhuis e a. (C‑399/93, Racc. pag. I‑4515, punto 10); del 28 maggio 1998, Deere/Commissione (C‑7/95 P, Racc. pag. I‑3111, punto 76); New Holland Ford/Commissione (C‑8/95 P, Racc. pag. I‑3175, punto 90); del 21 gennaio 1999, Bagnasco e a. (C‑215/96 e C‑216/96, Racc. pag. I‑135, punto 33), nonché sentenza del Tribunale del 2 maggio 2006, O2 (Germany)/Commissione (T‑328/03, Racc. pag. II‑1231, punto 68).


51 –      V. sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione (C‑389/10 P, Racc. pag. I‑13125,, punto 39).


52 –      V., in particolare, sentenza LTM, cit., Racc. pag. 283.


53 –      V. anche sentenza O2 (Germany)/Commissione, cit., punto 72, in cui il Tribunale ha sottolineato l’importanza dell’esame del gioco della concorrenza in assenza di accordo con riguardo ai mercati in corso di liberalizzazione o ai mercati emergenti.


54 –      Sentenza del Tribunale del 15 settembre 1998, European Night Services e a./Commissione (T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, Racc. pag. II‑3141, punto 137).


55 –      V. sentenza O2 (Germany)/Commissione, cit., punto 72.


56 –      Sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Delimitis (C‑234/89, Racc. pag. I‑935).


57 –      V., in particolare, i punti 408 e 410 della decisione controversa in cui la Commissione afferma che «i prezzi fissati dalle banche affilianti sarebbero inferiori se [la regola multilaterale “standard”] non esistesse e se il sistema prevedesse una regola che vieta la tariffazione a posteriori», nonché il punto 460 summenzionato.


58 –      In base, tra l’altro, a considerazioni inerenti alla concorrenza intersistemica.


59 –      Chiaramente ciò non pregiudica in alcun modo l’analisi della Commissione, secondo la quale, in mancanza delle CMI, il gioco della concorrenza tra banche di affiliazione condurrebbe, presto o tardi, all’abolizione di qualsiasi commissione interbancaria.


60 –      Citata alla nota 50.


61 –      Tale frase è formulata come segue: «Se si riconosce che le CMI fissano una soglia minima per le [MSC] e che la Commissione ha correttamente dichiarato che un sistema MasterCard che funzionasse senza CMI rimarrebbe economicamente praticabile, risulta necessariamente che esse producono effetti restrittivi della concorrenza».


62 –      Sentenza del Tribunale del 14 dicembre 2006, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione (da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Racc. pag. II‑5169).


63 –      Sentenza della Corte del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione (C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punti da 116 a 119).


64 –      Punto 285 e giurisprudenza ivi citata.


65 –      V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Erste Group Bank e a./Commissione, cit.


66 –      Il Tribunale, innanzi tutto, al punto 150 della sentenza impugnata ha richiamato le conclusioni che la Commissione aveva tratto dallo studio di mercato del 2004 quanto all’incapacità degli esercenti di operare una pressione sufficiente sull’importo delle CMI «in quanto l’elemento essenziale ai fini dell’accettazione dei pagamenti con carte da parte degli esercenti era costituito dall’attrattiva che esse esercita[va]no nei confronti dei consumatori e che, pertanto, il rifiuto di tale modalità di pagamento, o una discriminazione per quanto lo riguarda, poteva produrre effetti negativi sulla loro clientela»; al punto 157, esso ha poi constatato la fondatezza di tali conclusioni e, infine, al punto 158, ne ha discusso talune conseguenze.


67 –      Sentenza del Tribunale del 18 settembre 2001, M6 e a./Commissione (T‑112/99, Racc. pag. II‑2459).


68 –      Sentenza della Corte del 15 dicembre 1994, DLG (C‑250/92, Racc. pag. I‑5641).


69 –      Cit. alla nota 67.


70 –      Ibidem, punto 109.


71 –      Ibidem, punto 104.


72 –      Ibidem, punto 106.


73 –      Nello stesso senso, v. sentenza del Tribunale del 29 giugno 2012, E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione (T‑360/09). I principi stabiliti dalla citata sentenza M6 e a./Commissione sono stati parimenti applicati per analogia nella sentenza del Tribunale del 12 aprile 2013, Stim/Commissione (T‑451/08).


74 –      Sentenza della Corte del 25 ottobre 1977, Metro SB‑Großmärkte/Commissione (26/76, Racc. pag. 1875, punti 20 e 27). In tale sentenza, la Corte, dopo aver affermato che, a talune condizioni, «sistemi di distribuzione selettiva costitui[scono] uno degli elementi di concorrenza conformi all’articolo 8[1], [paragrafo] 1, [CE]», ha considerato che «[q]ualsiasi sistema di vendita fondato sulla selezione dei punti di distribuzione implica inevitabilmente – altrimenti non avrebbe senso – l’obbligo, per i grossisti che fanno parte della rete, di rifornire solo i rivenditori autorizzati» e, quindi, che le limitazioni volte a consentire il controllo dell’osservanza di tale obbligo, «qualora non vadano oltre la finalità perseguita, non possono di per sé costituire una restrizione della concorrenza, ma sono il corollario dell’obbligo principale, del quale contribuiscono a garantire l’adempimento».


75 –      Così, ad esempio, nella sentenza dell’11 luglio 1985, Remia e a./Commissione (42/84, Racc. pag. 2545, punti 19 e 20), la Corte ha dichiarato che le clausole di non concorrenza inserite in contratti di cessione d’impresa, in quanto garantiscono, in via di principio, «la possibilità e l’effettività di tale cessione», contribuiscono «a rafforzare la concorrenza mediante l’accrescimento del numero delle imprese presenti sul mercato considerato», a condizione, tuttavia, che «[esse] siano necessarie per il trasferimento dell’impresa ceduta e che la loro durata e il loro campo di applicazione siano strettamente limitati a tale obiettivo». Nella fattispecie, la Corte aveva osservato che l’accordo di cessione d’impresa in questione «[non avrebbe potuto] essere realizzato» in mancanza della clausola controversa, poiché «il venditore, che conosce[va] particolarmente bene in tutti i suoi dettagli l’impresa ceduta, [avrebbe] conserv[ato] la possibilità di attirare di nuovo a sé la sua vecchia clientela immediatamente dopo la cessione, e di impedire in tal modo la sopravvivenza dell’impresa ceduta». Inoltre, nella sentenza Pronuptia de Paris (sentenza del 28 gennaio 1986, 161/84, Racc. pag. 353, punti 15 e segg. e punto 1.B del dispositivo), la Corte ha dichiarato che un certo numero di clausole accessorie ad accordi di franchising si sottraevano al divieto sancito dall’articolo 81, paragrafo 1, CE in quanto esse erano «indispensabili affinché il sistema di franchising po[tesse] funzionare». Infine, nella citata sentenza DLG, sulla quale si fondano le ricorrenti nell’impugnazione principale, la Corte ha dichiarato «che una norma statutaria di una cooperativa d’acquisto che vieti ai propri aderenti di partecipare ad altre forme di cooperazione organizzata in concorrenza diretta con la cooperativa stessa non rientra nel divieto di cui all’[articolo 81, paragrafo 1, CE], qualora tale disposizione statutaria si limiti a quanto necessario per garantire il buon funzionamento della cooperativa e per sostenere il suo potere contrattuale nei confronti dei produttori».


76 –      Pertanto, una clausola che si limiti ad agevolare l’esecuzione dell’accordo, senza essere necessaria nel senso descritto, si sottrarrà al divieto sancito dall’articolo 81, paragrafo 1, CE solo quando non comporti alcuna restrizione della concorrenza o quando possa essere esentata ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 3, CE.


77 –      V. sentenza M6 e a./Commissione, cit., punti 109 e 121.


78 –      Sentenza citata, punti 109 e 121, che rinvia in proposito, tra l’altro, al punto 24 della sentenza Pronuptia de Paris, in cui la Corte ha dichiarato che la clausola di esclusiva territoriale in questione costituiva una limitazione della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, pur riconoscendo che, in mancanza di siffatta protezione territoriale, il potenziale concessionario avrebbe potuto essere dissuaso dall’affrontare il rischio di entrare a far parte della catena di distribuzione.


79 –      Nello stesso senso, al punto 101 della sentenza impugnata, il Tribunale, prima di affrontare l’esame relativo al carattere oggettivamente necessario delle CMI quale meccanismo di trasferimento di fondi a favore delle banche di emissione, ha precisato che «[n]on si tratta di effettuare un paragone destinato a chiarire se il sistema MasterCard funzioni in modo più efficace con delle CMI piuttosto che in base a un divieto di tariffazione “ex post”».


80 –      V. sentenze Remia e a./Commissione, cit., punto 20, e M6 e a./Commissione, cit., punto 113.


81 –      V. sentenza Remia e.a, cit., punti 18 e 19.


82 –      Sentenza M6 e a./Commissione, cit., punto 109.


83 –      Rinvio, in proposito, per quanto riguarda il caso di specie, alle considerazioni esposte al paragrafo 66 supra.


84 –      Sebbene possano essere considerati anche altri elementi, ad esempio considerazioni inerenti al contesto politico in cui si inserisce l’operazione principale; v., in tal senso, sentenza E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, cit., punto 75.


85 –      Così, nella sentenza Remia e a./Commissione, la Corte ha confermato l’approccio della Commissione consistente nell’ammettere una durata di quattro anni per la clausola di non concorrenza, contenuta nel contratto di cessione d’impresa in questione, in luogo dei dieci anni convenuti dalle parti, approccio fondato sulla «convinzione», acquisita dopo aver esaminato tutte le circostanze del caso di specie, «che solo una durata di quattro anni era obiettivamente giustificata» per consentire al cessionario di introdurre il suo nuovo marchio e di legare a sé la clientela evitando una nuova penetrazione del mercato da parte del cedente (punto 30). Parimenti, quando, nella citata sentenza Metro SB–Großmärkte/Commissione, la Corte ha esaminato la proporzionalità delle clausole limitative della libertà d’azione delle parti, inserite in un contratto di distribuzione selettiva, la sua analisi ha riguardato unicamente la questione se siffatte clausole eccedessero quanto era necessario per il conseguimento del loro obiettivo, imponendo alle parti obblighi più vincolanti (in particolare, punti 27, 37, 39). Nella citata sentenza M6 e a./Commissione, esaminando la clausola di esclusiva della durata di dieci anni, contenuta nell’accordo, ai fini della creazione della società Télévision par satellite, il Tribunale conclude che siffatta durata «risulta[va] eccessiva» in quanto l’insediamento di tale società doveva realizzarsi prima della fine di tale periodo, che era «molto probabile» che lo svantaggio concorrenziale sarebbe diminuito nel corso del tempo e che «[d]i conseguenza, non [era] da escludere» che siffatta esclusiva, sebbene destinata inizialmente a rafforzare la posizione concorrenziale della suddetta società sul mercato della televisione a pagamento, «le consent[isse] eventualmente, dopo alcuni anni, di eliminare la concorrenza su tale mercato». V. anche sentenza DLG, cit., punti 35 e 40, e, sebbene in un contesto diverso, sentenza Wouters, cit., punto 109, nonché sentenze del 18 luglio 2006, Meca‑Medina e Majcen/Commissione (C‑519/04 P, Racc. pag. I‑6991, punto 47); del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, punto 54), e Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, cit., punto 100.


86 –      V. punto 19 della sentenza impugnata e punti da 146 a 155 della decisione controversa.


87 –      In ogni caso, anche supponendo che un divieto di tariffazione ex post abbia, sul mercato dell’affiliazione, effetti «qualitativamente» simili a quelli delle CMI, in quanto esso esclude, proprio come queste ultime, la trasparenza sui costi relativi alle commissioni interbancarie in mancanza di accordi bilaterali, tuttavia, «quantitativamente», tali effetti non sono assimilabili. Ricordo al riguardo che, nella decisione controversa, la Commissione, basandosi su dati relativi al 2002, ha valutato che le CMI potevano rappresentare in media sino al 73 % delle spese fatturate dalle banche di affiliazione agli esercenti (v. punti 425 e 426). Peraltro, anche supponendo esatto quanto sotteso all’argomento delle ricorrenti nell’impugnazione principale, ossia che la Commissione contesta semplicemente il livello delle CMI, ricordo, in primo luogo, che la valutazione della Commissione è stata effettuata in base alle CMI applicabili quando era in corso il procedimento amministrativo, in secondo luogo, che non è stata dedotta in primo grado alcuna censura relativa a un’eventuale soglia di sensibilità della restrizione connessa al livello delle CMI – e, in ogni caso, non è stata menzionata nel presente procedimento – e, in terzo luogo, che la parte della sentenza impugnata in cui il Tribunale respinge le censure relative al carattere sproporzionato della misura imposta, ossia l’abolizione totale delle CMI, rispetto al fatto che la Commissione avrebbe considerato solo il livello di queste ultime, non costituisce oggetto di contestazione nell’ambito del presente procedimento.


88 –      Non esiste alcuna concorrenza tra banche di emissione per i servizi offerti alle banche di affiliazione (per ogni transazione la banca di emissione è sempre quella di emissione della carta) e non è quindi possibile individuare un mercato per tali servizi.


89 –      Sentenza del 27 gennaio 2000, DIR International Film e a./Commissione (C‑164/98 P, Racc. pag. I‑447, punto 38). La Corte precisa tuttavia che, se il Tribunale può essere indotto ad interpretare la motivazione dell’atto impugnato in maniera diversa dal suo autore, o addirittura, in taluni casi, persino a respingere la motivazione formale adottata da quest’ultimo, esso non può farlo quando nessun elemento materiale lo giustifichi (punto 42).


90 –      Sentenze del 22 novembre 2007, Spagna/Lenzing (C‑525/04 P, Racc. pag. I‑9947, punto 57), e del 2 settembre 2010, Commissione/Scott (C‑290/07 P, Racc. pag. I‑7763, punto 66).


91 –      V. punti 106 e segg. della sentenza impugnata.


92 –      V. punti da 609 a 614 della decisione controversa.


93 –      Nella fattispecie, la decisione controversa non infligge alcuna ammenda ma prevede l’applicazione di penalità giornaliere in caso di inosservanza delle misure correttive inflitte.


94 –      Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1).


95 –      V. ad esempio, sentenza della Corte del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punto 105), e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punto 149.


96 –      V., ad esempio, sentenza del Tribunale del 10 marzo 1992, SIV e a./Commissione (T‑68/89, T‑77/89 e T‑78/89, Racc. pag. II‑1403, punti 160, 319 e 320).


97 –      Inizialmente confinata al campo di applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, CE, tale giurisprudenza è stata poi estesa, a partire dalla sentenza Remia e a./Commissione, cit., punto 34, all’ambito di applicazione del paragrafo 1 di tale disposizione; v., inter alia, sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P, C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 279). È lecito interrogarsi sulla persistenza, attualmente, delle ragioni sottese a siffatta deferenza dei giudici, tenuto conto segnatamente del processo di decentralizzazione dell’applicazione del diritto dell’Unione in materia di antitrust nonché dell’esperienza in tale settore, acquisita nel corso degli anni dai giudici dell’Unione.


98 –      Tale processo ha interessato inizialmente settori distinti, come il controllo delle concentrazioni e gli aiuti di Stato, v. rispettivamente sentenze del 15 febbraio 2005, Commissione/Tetra Laval (C‑12/03 P, Racc. pag. I‑987, punto 39) e del 22 novembre 2007, Spagna/Lenzing (C‑525/04 P, Racc. pag. I‑9947, punti 56 e 57).


99 –      V. sentenze dell’8 dicembre 2011, KME e a./Commissione (C‑272/09 P, Racc. pag. I‑12789, punto 94); KME Germany e a./Commissione, C‑389/10 P, cit., punto 121, e Chalkor/Commissione (C‑386/10 P, Racc. pag. I‑13085, punto 54).


100 –      Citate sentenze KME Germany e a./Commissione, C‑389/10, punto 129, e Chalkor/Commissione, cit., punto 62. V. anche sentenza della Corte del 6 novembre 2012, Otis e a. (C‑199/11, punti 59 e 61).


101 –      Tenuto conto sia del suo tenore che del contesto nel quale si inserisce, sembrerebbe che essa debba restare confinata alla scelta e alla valutazione dei fattori che vengono presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda e non estendersi al controllo sulle valutazioni effettuate al momento della constatazione dell’infrazione. Tuttavia, ci si può chiedere se il medesimo approccio restrittivo non sarebbe a maggior ragione giustificato nel contesto di tale controllo, dove, diversamente da quanto avviene in materia di ammende, il giudice dell’Unione non possiede una competenza estesa al merito.


102 –      Andando oltre in tale direzione, la Corte EFTA, nella sentenza del 18 aprile 2012 Posten Norge As/Autorità di vigilanza EFTA (E‑15/10, non ancora pubblicata), ha sancito espressamente l’abbandono del controllo limitato all’errore manifesto delle valutazioni economiche complesse effettuate dall’Autorità di vigilanza EFTA (punto 102). Nella motivazione della sentenza, dopo aver interpretato la giurisprudenza dei giudici dell’Unione al riguardo come un riferimento ai limiti del controllo di legittimità (punto 96), essa ha concluso che, tenuto conto dei vincoli derivanti dalla parte penalistica dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, l’Autorità di vigilanza EFTA, quando infligge ammende per infrazione alle norme in materia di concorrenza, l’Autorità di vigilanza EFTA non dispone di alcun potere discrezionale, nelle valutazioni economiche complesse, che vada al di là di quanto attiene a tali limiti (punto 100). Pertanto, secondo la Corte EFTA, sebbene non spetti al giudice, nell’ambito di siffatto controllo, sostituire la propria (divergente) valutazione delle situazioni economiche complesse a quella dell’autore dell’atto, quando non possa essere mossa alcuna obiezione giuridica contro le conclusioni di quest’ultimo, tale giudice dev’essere nondimeno «convinto del fatto che tali conclusioni sono sostenute dai fatti» (punto 101).


103 –      Citate sentenze Chalkor/Commissione, punto 67, KME Germany e a./Commissione, C‑389/10, punto 133, Otis e a., cit., punti da 59 a 63.


104 –      Sentenza della Corte del 18 luglio 2013 (C‑501/11 P, punti da 30 a 39). Da un punto di vista formale, l’esame è stato fondato sull’articolo 47 della Carta e non sull’articolo 6 CEDU; v., in particolare, il punto 32 della sentenza e la giurisprudenza ivi citata.


105 –      La natura penalistica delle sanzioni per violazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza ai fini dell’applicazione della parte penalistica dell’articolo 6, paragrafo 1, CEDU deriva dall’applicazione dei criteri stabiliti dalla Corte EDU nella sentenza Engel e a./Paesi Bassi, dell’8 giugno 1976, n. 5100/71. In tal senso si è pronunciata la Corte EFTA nella citata sentenza Posten Norgen/Autorità di vigilanza EFTA, punto 88. Detta natura sembra essere stata ammessa anche dalla Corte nella sentenza Schindler Holding e a./Commissione, cit., in particolare punto 33.


106 –      Sentenza della Corte EDU Menarini Diagnostics Srl c. Italia, del 27 settembre 2011 (ricorso n. 43509/08, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).


107 –      Almeno nella versione francese delle sentenze della Corte EDU, che fanno riferimento a un potere di riforma e non soltanto di annullamento, come accade invece nella versione inglese.


108 –      E ciò riguardo sia alla determinazione della sanzione che alla constatazione dell’infrazione.


109 –      La portata di tale controllo e la natura di tali competenze sono descritte, in termini particolarmente ampi, nel parere dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque nella citata sentenza Menarini Diagnostics Srl c. Italia. Se si dovesse accogliere l’approccio raccomandato in tale parere, si potrebbe dubitare della conformità all’articolo 6 CEDU del sindacato del giudice dell’Unione sulle decisioni che infliggono sanzioni per violazione del diritto della concorrenza, limitato, per quanto riguarda la constatazione dell’infrazione, a un controllo di legittimità.


110 –      V., in tal senso, le mie conclusioni nella causa Elf Aquitaine/Commissione, decisa con sentenza della Corte del 29 settembre 2011 (C‑521/09 P, Racc. pag. I‑8947, paragrafi da 32 a 36).


111 –      V. citate sentenze KME Germany e a./Commissione (C‑389/10) e Chalkor/Commissione, rispettivamente ai punti 136 e 82.


112 –      V., per un’affermazione più esplicita del suddetto approccio, che non è esente da critiche dal punto di vista della certezza del diritto, il parere conforme del giudice Sajò nella citata causa Menarini Diagnostics Srl c. Italia.


113 –      Cit. alla nota 106.


114 –      Al pari di quello esercitato dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e dal Consiglio di Stato italiano riguardo alle decisioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la cui conformità con la disposizione in parola è stata affermata dalla Corte EDU nella citata sentenza Menarini.


115 –      V. citate sentenze dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑272/09 P, punto 63, KME Germany e a./Commissione, C‑389/10 P, punto 136, e Chalkor/Commissione, cit., punto 82.


116 –      La precisazione che segue tale affermazione, al punto 96, è solo un’enunciazione del principio secondo cui una restrizione accessoria rispetto a un’operazione principale non può essere considerata oggettivamente necessaria in presenza di un’alternativa meno restrittiva.


117 –      Ai punti da 113 a 119 della sentenza impugnata, il Tribunale ha peraltro esaminato e respinto gli argomenti dedotti dalle ricorrenti nell’impugnazione principale e dalle parti intervenienti volti a mettere in discussione la rilevanza dell’esempio australiano, relativi, in primo luogo, al fatto che l’intervento dell’autorità di regolamentazione australiana aveva condotto a una riduzione e non già all’eliminazione delle CMI, in secondo luogo, all’incomparabilità tra le condizioni del mercato in Australia e quelle del SEE e, in terzo luogo, alle ripercussioni negative che siffatta riduzione aveva comportato per i titolari delle carte.


118 –      Sentenze del 6 ottobre 2009, GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a. (C‑501/06 P, C‑513/06 P, C‑515/06 P e C‑519/06 P, Racc. pag. I‑9291, punto 92; il corsivo è mio).


119 –      Ibidem, punto 93 (il corsivo è mio).


120 –      V., specificamente, articoli 4, 6 e 9 del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204).


121 –      V. paragrafo 66 delle conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak del 3 maggio 2007, nella causa ZF Zefeser, decisa con sentenza del 18 dicembre 2007 (C‑62/06, Racc. pag. I‑11995).


122 –      V. paragrafo 70 delle conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer presentale l’8 giugno 2006 nella causa van Straaten, decisa con sentenza del 28 settembre 2006 (C‑150/05, Racc. pag. I‑9327).


123 –      V., in tal senso, sentenza GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a., cit., punto 83 e giurisprudenza ivi citata.


124 –      V. punto 176 della sentenza impugnata.


125 –      V. sentenze del 13 luglio 1966, Consten e Grundig/Commissione (56/64 e 58/64, Racc. pagg. 458, 525)  e GlaxoSmithKline Services e a./Commissione, cit., punto 92. V. anche paragrafo 141 supra.


126 –      Non è per contro necessario che a ciascuno di tali utilizzatori sia riservata, singolarmente, una parte dei vantaggi obiettivi, in quanto ciò che dev’essere preso in considerazione è l’incidenza sull’insieme degli utilizzatori nel mercato pertinente. V., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2006, Asnef‑Equifax e Administración del Estado, cit., punti 70 e 72).


127 –      Tali considerazioni non sono in contrasto con l’affermazione della Corte nella citata sentenza Asnef‑Equifax, secondo la quale, affinché sia soddisfatta la condizione relativa alla riserva, a favore degli utilizzatori, di una congrua parte dell’utile «è necessario (…) che sia favorevole l’impatto complessivo sui consumatori nei mercati in questione» (v. punti 70 e 72). Come emerge dalla nota precedente, nella causa Asnef‑Equifax, infatti, veniva posta la questione se fosse necessario che ciascun membro della categoria di consumatori interessato dovesse fruire singolarmente dei vantaggi obiettivi derivanti dall’accordo restrittivo e non già la questione dell’eventualità di favorire una categoria di consumatori a danno di un’altra.


128 –      V., in tal senso, sentenza GlaxoSmithKline Services e a./Commissione e a., cit., punto 63.


129 –      Tali considerazioni non escludono, a mio avviso, in modo assoluto che, in casi particolari, la Commissione, nell’ambito di scelte di politica della concorrenza ad essa spettanti, possa riconoscere un’esenzione a un accordo per il fatto che l’accordo genera vantaggi obiettivi sostanziali e chiaramente dimostrati per una determinata categoria di utilizzatori, mentre produce effetti negativi limitati per un’altra categoria di consumatori, determinando un notevole aumento del benessere generale. Tuttavia, siffatta scelta di politica della concorrenza, che mi sembra in ogni caso di natura eccezionale, potrebbe eventualmente spettare alla Commissione, ma esula certamente dalla competenza delle parti dell’accordo nell’ambito della loro autovalutazione della compatibilità di un accordo con l’articolo 81 CE (ora articolo 101 TFUE) considerato nella sua integralità.


130 –      Ipotesi che ricorreva nella causa che ha dato luogo alla sentenza del Tribunale del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, Racc. pag. II‑1011), citata al punto 228 della sentenza impugnata. In tale causa, infatti, i due servizi sui quali vertevano le restrizioni della concorrenza erano offerti in due mercati distinti, ma oggetto della domanda della stessa categoria di utilizzatori, ossia i caricatori che richiedevano servizi di trasporto intermodale tra l’Europa settentrionale e l’Asia sudorientale e orientale (v., in particolare, punti 112 e da 343 a 345 di detta sentenza).


131 –      Quanto ai vantaggi derivanti direttamente dal sistema MasterCard o dalla sua ottimizzazione, non avrebbero potuto essere presi, in ogni caso, in considerazione alla luce del fatto che il Tribunale ha ritenuto che le CMI non costituissero una restrizione accessoria rispetto al suddetto sistema.


132 –      La LBG dichiara che tale criterio è diretto a valutare se le CMI e le MSC siano fissate a un livello che un esercente sarebbe disposto a pagare se dovesse comparare il costo di utilizzo, da parte del consumatore, di una carta di pagamento con quello dei pagamenti non effettuati mediante carta (in contanti).