SENTENZA DELLA CORTE
22 giugno 1999 (1)
«Direttiva 89/104/CEE Diritto di marchio Rischio di confusione
Somiglianza fonetica»
Nel procedimento C-342/97,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a
norma dell'art. 234 CE (ex art. 177) dal Landgericht di Monaco I (Germania), nella
causa dinanzi ad esso pendente tra
Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co. GmbH
e
Klijsen Handel BV,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b), della prima direttiva
del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1),
LA CORTE,
composta dai signori P.J.G. Kapteyn, presidente della Quarta e della Sesta Sezione,
facente funzione di presidente, J.-P. Puissochet e P. Jann, presidenti di sezione,
G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, C. Gulmann (relatore), D.A.O. Edward,
L. Sevón e M. Wathelet, giudici,
avvocato generale: F.G. Jacobs
cancelliere: R. Grass
viste le osservazioni scritte presentate:
per la Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co. GmbH, dall'avv. Jürgen Kroher, del
foro di Monaco;
per la Klijsen Handel BV, dall'avv. Wolfgang A. Rehmann, del foro di
Monaco;
per la Commissione delle Comunità europee, dal signor Berend Jan Drijber,
membro del servizio giuridico, in qualità di agente, assistito dall'avv.
Bertrand Wägenbaur, dei fori di Amburgo e di Bruxelles,
vista la relazione d'udienza,
sentite le osservazioni orali della Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co. GmbH,
rappresentata dall'avv. Jürgen Kroher, della Klijsen Handel BV, rappresentata
dall'avv. Wolfgang A. Rehmann, e della Commissione, rappresentata dalla signora
Karen Banks, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, assistita dall'avv.
Bertrand Wägenbaur, all'udienza del 22 settembre 1998,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 29 ottobre
1998,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
- 1.
- Con ordinanza 11 settembre 1997, pervenuta alla Corte il 1° ottobre seguente, il
Landgericht di Monaco I ha sottoposto, ai sensi dell'art. 234 CE (ex art. 177),
quattro questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. b)
della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa
(GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
- 2.
- Tali questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la società tedesca
Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co. GmbH (in prosieguo: «Lloyd») e la società
olandese Klijsen Handel BV (in prosieguo: «Klijsen») circa l'uso commerciale da
parte della Klijsen in Germania del marchio Loint's per calzature.
- 3.
- La direttiva, che è stata trasposta in Germania dal Gesetz über den Schutz von
Marken und sonstigen Kennzeichen (legge sulla tutela dei marchi e altri
contrassegni) del 25 ottobre 1994 (BGBl. I, 1994, pag. 3082), stabilisce, all'art. 5
intitolato «Diritti conferiti dal marchio»:
«1. Il marchio d'impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il
titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel
commercio:
(...)
b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno con
il marchio d'impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi
contraddistinti dal marchio d'impresa e dal segno, possa dare adito a un
rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di
associazione tra il segno e il marchio d'impresa».
- 4.
- Una disposizione sostanzialmente identica figura all'art. 4, n. 1, lett. b), della
direttiva, il quale, ai fini della procedura di registrazione di un marchio, definisce
i motivi supplementari di rifiuto o di nullità concernenti i conflitti con diritti
anteriori.
- 5.
- La Lloyd fabbrica calzature che distribuisce dal 1927 con il marchio Lloyd. Essa è
titolare di vari marchi nominativi e figurativi registrati in Germania, i quali sono
tutti costituiti dal termine Lloyd.
- 6.
- La Klijsen fabbrica anch'essa calzature, che commercializza con il marchio Loint's
dal 1970 nei Paesi Bassi e dal 1991 in Germania. Esse sono diffuse in negozi
specializzati in calzature di lusso e più del 90% delle vendite sono realizzate con
calzature da donna. La Klijsen ha fatto registrare il marchio internazionale Loint's
nel Benelux nel 1995 e ha chiesto che la protezione si estenda alla Germania. Essa
ha inoltre fatto registrare nel 1996 nel Benelux un marchio nominativo e figurativo
Loint's la cui protezione si estende anche alla Germania.
- 7.
- Nella causa principale la Lloyd chiede in particolare che sia vietato alla Klijsen di
fare un uso commerciale in Germania del segno Loint's per calzature e prodotti
calzaturieri e che quest'ultima consenta, nei confronti del Deutsches Patentamt
(ufficio tedesco dei brevetti) alla radiazione delle parti tedesche del marchio
Loint's. Essa sostiene al riguardo che il marchio Loint's rischia di essere confuso
con il marchio Lloyd a causa della loro somiglianza fonetica, del loro uso per
prodotti identici, nonché del carattere distintivo particolare di quest'ultimo marchio,
conseguenza dell'assenza di elementi descrittivi, del grado elevato di notorietà di
questo marchio e del suo uso abbondante, uniforme e vasto per un lunghissimo
periodo.
- 8.
- La Klijsen chiede il rigetto di questo conclusioni, in quanto non esiste alcun rischio
di confusione tra i due marchi. Essa fa valere in particolare che non è dimostrato
che i prodotti della Lloyd godono di un grado elevato di notorietà. Inoltre questi
ultimi non presenterebbero punti comuni con i suoi dato che la Lloyd non esercita
un'attività rilevante sul mercato delle calzature di lusso, mentre la Klijsen fabbrica
esclusivamente questa categoria di prodotti. Infine, nel settore delle calzature, il
rischio di confusione non si porrebbe sul piano fonetico, ma unicamente dal punto
di vista dell'aspetto tipografico del marchio.
- 9.
- Il giudice nazionale, ritenendo che la soluzione della causa principale dipendesse
dall'interpretazione della direttiva, ha rilevato in particolare che:
il riconoscimento del rischio di confusione è verosimile sulla base della
giurisprudenza tedesca attuale. Tuttavia, esso dubita che tale orientamento
possa essere mantenuto dopo che è stata trasposta la direttiva.
Tutt'al più entra in considerazione un rischio di confusione fonetica.
Secondo un sondaggio effettuato nel novembre 1995, il grado di notorietà
del marchio Lloyd tra tutta la popolazione di età tra i 14 e i 64 anni è del
36%. Secondo un'indagine effettuata nell'aprile 1996, il 10% degli uomini
di almeno 14 anni hanno indicato il marchio Lloyd in risposta al quesito
«quale marche di scarpe per uomo conosce?».
Esso dubita che un carattere distintivo superiore, motivato da un grado di
notorietà del 36% negli ambienti interessati, possa giustificare un rischio di
confusione, anche se si tiene conto del rischio di associazione mentale. E'
importante rilevare al riguardo che dal sondaggio effettuato nel 1995 risulta
che 33 marche di calzature presentavano un grado di notorietà superiore al
20%, 13 di esse un grado di notorietà del 40% e più, e 6 di queste marche
raggiungevano una cifra superiore o pari al 70%.
Occorre considerare che, nella fattispecie, vi è identità di prodotti, in quanto
la gamma di prodotti delle due parti si compone di calzature e la tendenza
attuale è quella di ampliare il settore dei prodotti che vengono posti in
commercio con un marchio.
Anche se contrassegni simili non cadono quasi mai contemporaneamente
sotto gli occhi dei compratori di scarpe, non si potrebbe prendere un
«acquirente disattento» come modello per la valutazione del rischio di
confusione.
- 10.
- In considerazione di queste osservazioni il Landgericht di Monaco I ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Se, perché vi sia rischio di confusione per somiglianza del contrassegno con
il marchio e identità della merce o dei servizi cui si riferiscono il marchio
ed il contrassegno, sia sufficiente che il marchio ed il contrassegno
rispettivamente siano composti da una sola sillaba, che comincia con la
stessa consonante e prosegue lo stesso dittongo, mentre all'unica consonante
finale del marchio (una d) corrisponde nel contrassegno una consonante
di suono simile (una t), inserita però in un gruppo di tre consonanti, fra
cui una s; in concreto: se le denominazioni per calzature Lloyd e Loint's
collidano.
2) Quale rilevanza abbia in tale contesto l'espressione della direttiva secondo
cui il rischio di confusione comporta il rischio di associazione mentale del
contrassegno con il marchio.
3) Se, in caso di una notorietà del 10% presso le categorie commercialmente
interessate, sussista un particolare carattere distintivo e quindi una
protezione effettiva ampliata di un contrassegno.
Se tale sia il caso per una notorietà del 36% in generale.
Se una protezione così ampliata comporti una diversa soluzione della
questione n. 1, qualora questa dovesse essere risolta in senso negativo dalla
Corte.
4) Se si debba ammettere per un marchio un carattere distintivo maggiore, già
per il solo fatto che esso non contiene alcun elemento descrittivo».
- 11.
- In via preliminare occorre ricordare, come ha fatto l'avvocato generale ai paragrafi
8-13 delle conclusioni, la giurisprudenza costante relativa alla ripartizione dei
compiti stabilita dall'art. 234 CE, in forza della quale il ruolo della Corte si limita
a fornire al giudice nazionale gli elementi di interpretazione necessari alla soluzione
della causa di cui è adito, mentre spetta a quest'ultimo applicare queste norme,
come interpretate dalla Corte, al caso concreto (v., in tal senso, sentenza 8 febbraio
1990, causa C-320/88, Shipping and Forwarding Enterprise Safe, Racc. pag. I-825,
punto 11). Ne deriva che spetta al giudice nazionale pronunciarsi sulla questione
se esista tra i due marchi di cui trattasi nella causa a qua un rischio di confusione
ai sensi della direttiva.
- 12.
- Pertanto, con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice
nazionale chiede alla Corte chiarimenti su
i criteri che occorre applicare per la valutazione del rischio di confusione ai
sensi dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva;
il significato che riveste la formulazione della direttiva, secondo cui il rischio
di confusione comprende il «rischio di associazione» con il marchio
anteriore, e
gli effetti che occorre attribuire, per la valutazione del rischio di confusione,
al fatto che il carattere distintivo di un marchio sia forte.
- 13.
- A tal riguardo, il giudice nazionale solleva da un lato la questione se un rischio di
confusione possa essere basato sulla sola somiglianza fonetica dei marchio di cui
trattasi e, dall'altro, se il solo fatto che un marchio non contenga elementi
descrittivi sia sufficiente affinché goda di un carattere distintivo superiore.
- 14.
- La Lloyd propone in sostanza di risolvere affermativamente la questione
pregiudiziale. Essa aggiunge che, per valutare un carattere distintivo particolare,
non occorre far riferimento schematicamente a percentuali di notorietà che
possono risultare dai sondaggi. Il riconoscimento di un carattere distintivo
particolare dipenderebbe per contro da una valutazione qualitativa di tutti i fattori
che costituiscono la notorietà di un marchio, ivi compreso il grado di carattere
distintivo iniziale, la durata e la rilevanza del suo uso, l'immagine di qualità che gli
ambienti interessati associano al marchio, nonché il grado di notorietà di
quest'ultimo. Inoltre, a suo parere, un marchio privo di elementi descrittivi possiede
di per sé un maggior carattere distintivo rispetto ai marchi che presentano un
carattere distintivo più debole o sono assoggettati ad un più forte imperativo di
disponibilità, inteso che la questione della somiglianza dei prodotti svolga un ruolo
rilevante nella determinazione del rischio di confusione.
- 15.
- La Klijsen sostiene che occorre far riferimento non ad una combinazione isolata
di vocali, ma all'impressione di insieme che producono i due marchi tenendo conto
di tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare dell'incontro concreto
dei marchi sul mercato. A suo parere gli ambienti interessati hanno una percezione
visiva dei marchi in quanto le calzature vengono acquistate solo dopo essere state
provate. La situazione concreta che caratterizza l'acquisto delle scarpe
escluderebbe che vi sia rischio di confusione da parte di un consumatore attento
e ragionevolmente avveduto. Il riconoscimento di un carattere distintivo particolare
non potrebbe essere basato unicamente su un grado di notorietà astrattamente
definito. Occorrerebbe per contro tener conto di tutti i fattori che caratterizzano
concretamente i rispettivi marchi. Di per sé solo, il fatto che un marchio sia privo
di elementi descrittivi non sarebbe sufficiente perché se ne deduca l'esistenza di un
carattere distintivo superiore.
- 16.
- La Commissione sostiene che non spetta alla Corte determinare se le
denominazioni Lloyd e Loint's, applicate a calzature, siano sufficientemente simili
sul piano fonetico per creare un rischio di confusione. Facendo riferimento alla
sentenza 11 novembre 1997, causa C-251/95, SABEL (Racc. pag. I-6191, punti 22
e 23), la Commissione fa presente che l'esistenza di un rischio di confusione ai
sensi dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva non dipende solo dalla questione della
somiglianza dei marchi sul piano fonetico. Inoltre, essa fa valere che il carattere
distintivo di un marchio non è collegato unicamente all'ampiezza della sua notorietà
ma deve anche essere valutato in funzione della questione se e in quale misura i
suoi componenti siano di natura descrittiva e presentino pochi elementi immaginari.
- 17.
- Secondo la giurisprudenza della Corte, costituisce un rischio di confusione ai sensi
dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva il rischio che il pubblico possa credere che
i prodotti o servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente,
da imprese economicamente collegate (v., in tal senso, sentenza SABEL,
soprammenzionata, punti 16-18, e 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc.
pag. I-5507, punto 29). Dalla formulazione stessa dell'art. 5, n. 1, lett. b), deriva che
la nozione di rischio di associazione non è un'alternativa alla nozione di rischio di
confusione, ma serve a precisarne la portata (v., in tal senso, sentenza SABEL,
soprammenzionata, punti 18 e 19).
- 18.
- Secondo questa stessa giurisprudenza, l'esistenza di un rischio di confusione nella
mente del pubblico deve essere oggetto di valutazione globale, prendendo in
considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie (v., in tal senso, sentenza
SABEL, soprammenzionata, punto 22).
- 19.
- Questa valutazione globale implica una certa interdipendenza tra i fattori che
entrano in considerazione, e in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei
prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti
o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra
i marchi e viceversa. L'interdipendenza tra questi fattori trova in effetti espressione
nel decimo 'considerando della direttiva, secondo il quale è indispensabile
interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione, la cui
valutazione a sua volta dipende in particolare dalla notorietà del marchio sul
mercato e dal grado di somiglianza tra il marchio e il contrassegno e tra i prodotti
o servizi contraddistinti (v. sentenza Canon, soprammenzionata, punto 17).
- 20.
- D'altro canto, poiché il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più
rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (sentenza SABEL,
soprammenzionata, punto 24) i marchi che hanno un elevato carattere distintivo,
o intrinsecamente o a motivo della loro notorietà sul mercato, godono di una tutela
più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore (v. sentenza
Canon, soprammenzionata, punto 18).
- 21.
- Ne consegue che, ai fini dell'art. 5, n. 1, lett. b) della direttiva, può esistere un
rischio di confusione, nonostante un tenue grado di somiglianza tra i marchi,
allorché la somiglianza dei prodotti o servizi designati da essi è grande e grande è
il carattere distintivo del marchio anteriore (v., in tal senso, sentenza Canon,
soprammenzionata, punto 19).
- 22.
- Per determinare il carattere distintivo di un marchio e quindi valutare se esso abbia
un carattere distintivo elevato, il giudice nazionale deve valutare globalmente i
fattori che possono dimostrare che il marchio è divenuto atto a identificare i
prodotti o servizi per i quali è stato registrato come provenienti da un'impresa
determinata e quindi a distinguere tali prodotti o servizi da quelli di altre imprese
(v., in tal senso, sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C-108/97 e C-109/97,
Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I-0000, punto 49).
- 23.
- Nell'effettuare tale valutazione, occorre prendere in considerazione in particolare
le qualità intrinseche del marchio, ivi compreso il fatto che esso sia o meno privo
di qualsiasi elemento descrittivo dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato,
la quota di mercato detenuta dal marchio, l'intensità, l'estensione geografica e la
durata dell'uso di tale marchio, l'entità degli investimenti effettuati dall'impresa per
promuoverlo, la percentuale degli ambienti interessati che identifica il prodotto
come proveniente da un'impresa determinata grazie al marchio nonché le
dichiarazioni delle camere di commercio e industria o di altre associazioni
professionali (v. sentenza Windsurfing Chiemsee, soprammenzionata, punto 51).
- 24.
- Nel deriva che non si può indicare in generale, ad esempio facendo ricorso a
determinate percentuali relative al grado di notorietà del marchio negli ambienti
interessati, quando un marchio abbia un forte carattere distintivo (v., in tal senso,
sentenza Windsurfing Chiemsee, soprammenzionata, punto 52).
- 25.
- Inoltre, la valutazione globale deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza
visuale, auditiva o concettuale dei marchi di cui trattasi, sull'impressione
complessiva prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi
distintivi e dominanti dei marchi medesimi. Infatti, dalla formulazione dell'art. 5,
n. 1, lett. b), della direttiva, in base al quale «l'identità o la somiglianza (...) può dar
adito a un rischio di confusione per il pubblico (...)», emerge che la percezione dei
marchi operata dal consumatore medio del tipo di prodotto o servizio di cui trattasi
svolge un ruolo determinante nella valutazione globale del rischio di confusione.
Orbene, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un
tutt'uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi (v. in tal senso, sentenza
SABEL, soprammenzionata, punto 23).
- 26.
- Ai fini di questa valutazione globale, si ritiene che il consumatore medio della
categoria di prodotti di cui trattasi sia normalmente informato e ragionevolmente
attento e avveduto (v., in tal senso, sentenza 16 luglio 1998, causa C-210/96, Gut
Springenheide e Tusky, Racc. pag. I-4657, punto 31). Tuttavia occorre tener conto
del fatto che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere
a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull'immagine non
perfetta che ne ha mantenuto nella memoria. Occorre anche prendere in
considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può
variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi.
- 27.
- Al fine di valutare il grado di somiglianza esistente tra i marchi di cui trattasi, il
giudice nazionale deve determinare il loro grado di somiglianza visuale, auditiva e
concettuale e, eventualmente, valutare la rilevanza che occorre attribuire a questi
diversi elementi, tenendo conto, della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi
e delle condizioni in cui essi sono messi in commercio.
- 28.
- In considerazione di quanto precede occorre risolvere le questioni poste nel senso
che non si può escludere che la somiglianza fonetica dei marchi possa creare un
rischio di confusione ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. b) della direttiva. Maggiore è la
somiglianza dei prodotti o dei servizi designati e più il carattere distintivo del
marchio anteriore è forte, più il rischio di confusione è elevato. Per determinare
il carattere distintivo di un marchio e quindi valutare se esso abbia un carattere
distintivo elevato, occorre valutare globalmente l'idoneità più o meno grande del
marchio a identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato come
provenienti da un'impresa determinata e quindi a distinguere questi prodotti o
servizi da quelli di altre imprese. In tale valutazione occorre prendere in
considerazione tutti gli elementi pertinenti e in particolare le qualità intrinseche del
marchio, ivi comprese il fatto che esso sia o meno privo di qualsiasi elemento
descrittivo dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato. Non si può indicare
in generale, ad esempio facendo ricorso a determinate percentuali relative al grado
di notorietà del marchio negli ambienti interessati, quando un marchio abbia un
forte carattere distintivo.
Sulle spese
- 29.
- Le spese sostenute dalla Commissione delle Comunità europee, che ha presentato
osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti
nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Landgericht di Monaco I con
ordinanza 11 settembre 1997, dichiara:
Non si può escludere che la somiglianza fonetica dei marchi possa creare un
rischio di confusione ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. b) della prima direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d'impresa. Maggiore è la somiglianza dei
prodotti o dei servizi designati e più il carattere distintivo del marchio anteriore
è forte, più il rischio di confusione è elevato. Per determinare il carattere distintivo
di un marchio e quindi valutare se esso abbia un carattere distintivo elevato,
occorre valutare globalmente l'idoneità più o meno grande del marchio a
identificare i prodotti o servizi per i quali è stato registrato come provenienti da
un'impresa determinata e quindi a distinguere questi prodotti o servizi da quelli
di altre imprese. In tale valutazione occorre prendere in considerazione tutti gli
elementi pertinenti e in particolare le qualità intrinseche del marchio, ivi comprese
il fatto che esso sia o meno privo di qualsiasi elemento descrittivo dei prodotti o
servizi per i quali è stato registrato. Non si può indicare in generale, ad esempio
facendo ricorso a determinate percentuali relative al grado di notorietà del
marchio negli ambienti interessati, quando un marchio abbia un forte carattere
distintivo.
KapteynPuissochet
Jann
Mancini Moitinho de Almeida
Gulmann
Edward Sevón
Wathelet
|
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 22 giugno 1999.
Il cancelliere
Il presidente
R. Grass
G.C. Rodríguez Iglesias