Language of document : ECLI:EU:C:2006:140

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GEELHOED

presentate il 23 febbraio 2006 1(1)

Causa C-432/04

Commissione delle Comunità europee

contro

Edith Cresson

«Azione ai sensi dell’art. 213, n. 2, terzo comma, CE e dell’art. 126, n. 2, terzo comma, EA – Decadenza dai diritti a pensione di un ex membro della Commissione – Violazione degli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione»





I –    Introduzione

1.        Nel presente ricorso, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la sig.ra Edith Cresson, avendo assunto e conferito loro vantaggi a due amici personali nel periodo in cui ricopriva la carica di membro della Commissione, si è resa colpevole di favoritismo o, per lo meno, di grave negligenza. La Commissione sostiene che, agendo in tal modo, la sig.ra Cresson ha violato gli obblighi che le incombono in forza degli artt. 213, n. 2, CE e 126, n. 2, EA (2). Pertanto, essa chiede alla Corte di infliggere un’adeguata sanzione economica, come previsto dall’ultimo numero di tali disposizioni del Trattato.

2.        La causa in esame è la prima di questo genere che porterà ad una sentenza della Corte. In una precedente causa, proposta dal Consiglio contro l’ex Commissario Bangemann e vertente su una nomina che egli intendeva accettare dopo la fine del suo mandato, si è rinunciato agli atti (3). Pertanto, questa causa offre alla Corte un’opportunità unica per chiarire quali sono gli obblighi dei membri della Commissione ai sensi dell’art. 213 CE. Inoltre, più in generale, la sentenza della Corte sarà rilevante per stabilire le norme di comportamento che devono essere rispettate da tutti coloro che ricoprono alte cariche in seno alle istituzioni dell’Unione europea.

II – Contesto normativo

3.        L’art. 213, n. 2, CE dispone quanto segue:

«I membri della Commissione esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità.

Nell’adempimento dei loro doveri, essi non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni. Ciascuno Stato membro si impegna a rispettare tale carattere e a non cercare di influenzare i membri della Commissione nell’esecuzione dei loro compiti.

I membri della Commissione non possono, per la durata delle loro funzioni, esercitare alcun’altra attività professionale, rimunerata o meno. Fin dal loro insediamento, essi assumono l’impegno solenne di rispettare, per la durata delle loro funzioni e dopo la cessazione di queste, gli obblighi derivanti dalla loro carica, ed in particolare i doveri di onestà e delicatezza per quanto riguarda l’accettare, dopo tale cessazione, determinate funzioni o vantaggi. In caso di violazione degli obblighi stessi, la Corte di giustizia, su istanza del Consiglio o della Commissione, può, a seconda dei casi, pronunciare le dimissioni d’ufficio alle condizioni previste dall’articolo 216 ovvero la decadenza dal diritto a pensione dell’interessato o da altri vantaggi sostitutivi».

4.        L’art. 216 CE così recita:

«Qualsiasi membro della Commissione che non risponda più alle condizioni necessarie all’esercizio delle sue funzioni o che abbia commesso una colpa grave può essere dichiarato dimissionario dalla Corte di giustizia, su istanza del Consiglio o della Commissione».

III – Fatti esposti dalla Commissione

5.        La sig.ra Edith Cresson ha esercitato le funzioni di membro della Commissione europea dal 24 gennaio 1995 all’8 settembre 1999. La Commissione ha presentato le sue dimissioni collettive il 16 marzo 1999, ma ha continuato ad esercitare le sue funzioni fino all’8 settembre 1999. Il portafoglio della sig.ra Cresson in seno alla Commissione comprendeva i settori della Scienza, della Ricerca e Sviluppo, il Centro comune di ricerca (CCR) e le risorse umane, l’educazione, la formazione e la gioventù. I servizi della Commissione responsabili per tali settori all’epoca erano le Direzioni generali (DG) XII, XIII.D e XXII ed il CCR.

6.        L’accusa della Commissione secondo cui la sig.ra Cresson, quando era in carica, si è resa colpevole di favoritismo, riguarda casi concernenti due suoi conoscenti, il sig. René Berthelot ed il sig. Timm Riedinger.

A –    Il caso Berthelot

7.        Poco dopo avere assunto le sue funzioni, la sig.ra Cresson espresse l’intenzione di assumere il sig. Berthelot in qualità di consigliere personale. Il sig. Berthelot, che era un dentista diplomato, all’epoca viveva nei pressi di Châtellerault, città francese di cui la sig.ra Cresson era sindaco. Considerato che il sig. Berthelot aveva 66 anni ed il gabinetto della sig.ra Cresson era già stato costituito, il suo capo di gabinetto le espresse un parere secondo cui non c’erano possibilità di assunzione del sig. Berthelot da parte della Commissione. Tuttavia, qualche mese dopo, su richiesta della sig.ra Cresson, venne offerto al sig. Berthelot un contratto di consulente scientifico presso la DG XII a partire dal 1° settembre 1995 per un periodo iniziale di sei mesi. Nonostante la posizione di consulente scientifico implichi che la persona interessata lavori in uno dei centri o dei servizi della Commissione che si occupano di ricerca, emerse che il sig. Berthelot lavorava esclusivamente in qualità di consigliere personale della sig.ra Cresson. Il periodo iniziale di sei mesi venne infine esteso sino alla fine del febbraio 1997.

8.        Alla fine dell’aprile 1996, in forza di una norma anticumulo applicabile agli ospiti scientifici, la retribuzione del sig. Berthelot fu ridotta tenendo conto della pensione che questi riceveva in Francia. Poco dopo l’adozione di questa misura, su personale richiesta della sig.ra Cresson, furono redatti ed inviati ai servizi amministrativi della Commissione 13 ordini di missione a Châtellerault a nome del sig. Berthelot. Tali ordini si riferivano a missioni asseritamente avvenute tra il 23 maggio ed il 21 giugno 1996. Di conseguenza, furono versati al sig. Berthelot EUR 6 930. Dal 1° settembre 1996 il sig. Berthelot fu reinquadrato in un grado superiore per ospiti scientifici, con relativo significativo aumento della sua retribuzione di circa 1 000 euro. Tale incremento compensò ampiamente la perdita di retribuzione dovuta all’applicazione della misura anticumulo.

9.        Una volta scaduto il suo contratto con la DG XII, al sig. Berthelot ne fu offerto uno nuovo, in qualità di consulente scientifico, questa volta presso il CCR, per la durata di un anno. In tal modo, la sua permanenza alla Commissione fu estesa a due anni e mezzo, nonostante gli ospiti scientifici possano essere assunti solo per un periodo massimo di 24 mesi.

10.      Il 2 ottobre 1997 la Sezione controllo finanziario della Commissione richiese le relazioni sull’attività che il sig. Berthelot avrebbe dovuto consegnare alla fine del suo contratto. Le relazioni inviate a tale sezione erano estremamente brevi e consistevano, in realtà, in una serie di promemoria redatti da diversi autori e raccolti dal gabinetto della sig.ra Cresson.

11.      In data 11 dicembre 1997 il sig. Berthelot, per motive di salute, chiese che fosse messa fine al suo contratto dal 31 dicembre 1997. La richiesta fu accettata. La sig.ra Cresson chiese allora al suo capo di gabinetto di trovare una soluzione per prolungare il rapporto contrattuale con il sig. Berthelot dal 1° gennaio 1998. Tale soluzione sarebbe stata quella di assumerlo come consulente speciale. Tuttavia, il sig. Berthelot non accettò la detta posizione.

12.      Il sig. Berthelot è morto il 2 marzo 2000.

B –    Il caso Riedinger

13.      Nel 1995 i servizi della Commissione offrirono al sig. Riedinger, avvocato specializzato nel settore del commercio, tre contratti nell’ambito di competenza della sig.ra Cresson. Almeno di due essi furono proposti su esplicita richiesta di quest’ultima.

14.      Tali contratti avevano i seguenti tre oggetti: 1) uno studio di fattibilità della creazione di una rete di gruppi di ricerca in Europa centrale e nella Comunità europea; 2) l’accompagnamento della sig.ra Cresson in una visita ufficiale in Sudafrica dal 13 al 16 maggio 1995 e la redazione di una relazione e 3) uno studio di pre-fattibilità della creazione di un istituto europeo di diritto comparato.

15.      Sebbene le somme necessarie per questi tre contratti fossero già state iscritte nel bilancio, nessuno di questi ultimi venne eseguito e non ci fu alcun pagamento al sig. Riedinger in relazione a tali contratti.

IV – Procedimento

A –    Indagini preliminari

16.      Prima del ricorso della Commissione alla Corte ai sensi dell’art. 213 CE, i casi relativi ai sigg. Berthelot e Riedinger furono oggetto di diverse indagini da parte di vari organi. Il ricorso della Commissione è basato sulle risultanze di tali indagini.

17.      La prima indagine fu condotta dal Comitato di esperti indipendenti, creato sotto gli auspici del Parlamento europeo. Il suo compito era di redigere una prima relazione che «cerca[sse] di determinare in quale misura la Commissione, in qualità di collegio, o i singoli Commissari, a titolo individuale, rivest[issero] specifiche responsabilità in merito ai recenti casi di frode, cattiva gestione o nepotismo sollevati nelle discussioni parlamentari, o nelle affermazioni pronunciate in tali occasioni». Nella relazione del 15 Marzo 1999 (4), il comitato concluse, per quanto riguarda il caso Berthelot, che «ci si trova[va] in presenza di un chiaro caso di favoritismo. Una persona il cui profilo non corrispondeva ai diversi posti ricoperti [era] stata comunque assunta. Le prestazioni fornite [erano] manifestamente insufficienti in termini di quantità, qualità e pertinenza. La Comunità “non ha ricevuto in misura di quello che ha pagato”» (5).

18.      Sulla scia della relazione del Comitato di esperti indipendenti, la Commissione, entrata in carica il 9 settembre 1999, decise di avviare un processo di riforme diretto a prevenire i comportamenti criticati dal Comitato e a migliorare le sue procedure amministrative e finanziarie interne. In tale contesto l’OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode) portò avanti una sua indagine che culminò nella relazione del 23 novembre 1999. Sulla base di quest’ultima furono aperti taluni procedimenti disciplinari a carico di una serie di funzionari ed agenti della Commissione.

19.      Il 20 febbraio 2001 la Commissione decise di avviare un procedimento al fine di recuperare le somme indebitamente corrisposte al sig. Berthelot. Tale procedimento riguarda i suoi eredi.

20.      Un’ulteriore indagine venne svolta dalla DG ADMIN e più tardi, sulla base di quanto da essa stabilito il 19 febbraio 2002, dall’IDOC (Ufficio investigativo e disciplinare della Commissione) relativamente al caso Riedinger. Essa effettuò altresì due ulteriori indagini sul caso Berthelot, una in merito al ruolo della DG XII, l’altra sul coinvolgimento del CCR. Nel corso di tali indagini ebbero luogo varie audizioni. La sig.ra Cresson fu invitata dai competenti servizi e dal Commissario responsabile per le riforme interne, sig. Kinnock, a farsi sentire, ma preferì presentare risposte scritte. L’8 agosto 2001 fu ultimata una relazione riguardante il sig. Riedinger. Una relazione dell’IDOC vertente esclusivamente sul caso Berthelot venne presentata il 22 febbraio 2002.

B –    Procedimento in seno alla Commissione nei confronti della sig.ra Cresson

21.      Il 21 gennaio 2003 il collegio dei membri della Commissione ha deciso di inviare alla sig.ra Cresson una comunicazione degli addebiti (communication des griefs) nell’ambito di un possibile procedimento fondato sull’art. 213, n. 2, CE. In tale comunicazione, la Commissione ha affermato che, per quanto concerne i casi dei sigg. Berthelot e Riedinger, la sig.ra Cresson aveva agito in violazione degli obblighi derivanti dalla sua carica di membro della Commissione. Essa ritiene che in entrambi i casi il suo comportamento non sia stato determinato dall’interesse generale bensì, sostanzialmente, dall’intenzione di favorire due suoi conoscenti personali. In ogni caso, essa non avrebbe dato prova di adeguata precauzione, non avendo verificato se in entrambi i casi fossero state rispettate le procedure interne. La Commissione l’ha pertanto accusata di violazione – volontaria o, per lo meno, dovuta a grave negligenza - degli obblighi derivanti dalla sua carica.

22.      Per garantire i diritti della difesa, la Commissione ha deciso di concedere alla sig.ra Cresson l’accesso agli atti di causa e di invitarla a rispondere alla comunicazione degli addebiti della Commissione. Ne è seguito un fitto scambio di corrispondenza tra i legali della sig.ra Cresson e la Commissione in merito alla portata del procedimento e all’eventuale accesso a taluni documenti.

23.      La sig.ra Cresson ha replicato alla comunicazione degli addebiti il 30 settembre 2003. Essa contesta, innanzi tutto, che l’art. 213, n. 2, CE sia il fondamento normativo adeguato della comunicazione degli addebiti e afferma che quest’ultima norma viola taluni diritti fondamentali della difesa. Lamenta inoltre che i fatti che le sono ascritti non possono essere sanzionati a titolo di tale articolo e che, in ogni caso, gli addebiti della Commissione non sono stati dimostrati. Critica l’imprecisione con cui sono definite le nozioni di favoritismo e di grave negligenza nella comunicazione degli addebiti e chiede infine un risarcimento di EUR 50 000 per i danni materiali e morali sofferti a causa del procedimento disciplinare a suo carico.

24.      Alla luce delle sue osservazioni scritte, la Commissione ha deciso di reiterare alla sig.ra Cresson l’offerta di sottoporsi ad un’audizione diretta e personale da parte del collegio dei Commissari. L’audizione si è svolta il 30 giugno 2004.

25.      Nella riunione del 19 luglio 2004, la Commissione ha deciso di adire la Corte.

C –    Procedimento penale in Belgio

26.      Parallelamente alle indagini ed al procedimento in seno alla Commissione, il caso Berthelot è stato oggetto di un’indagine penale da parte delle autorità belghe competenti in materia. Tale procedimento è stato avviato a seguito di una denuncia presentata da un membro del Parlamento europeo contro alcune persone, compresa la sig.ra Cresson, ritenute colpevoli di vari comportamenti professionalmente scorretti all’interno della Commissione. Quest’ultima è intervenuta nel procedimento come parte civile.

27.      Il giudice istruttore (juge d’instruction) ha valutato se poteva sorgere la responsabilità penale in capo alla sig.ra Cresson relativamente ai seguenti punti:

–        l’assunzione del sig. Berthelot in qualità di consulente scientifico, in violazione delle norme interne della Commissione, considerando che ciò avrebbe potuto integrare gli estremi del falso e abuso d’ufficio (faux, usage de faux et prise d’intérêt);

–        la relazione finale del sig. Berthelot – falso e frode;

–        ordini e dichiarazioni (décomptes de mission) relativi alle missioni del sig. Berthelot – falso e frode.

28.      Nella fase successiva di tale procedimento, il pubblico ministero ha tuttavia deciso di ritirare il primo punto, considerando che l’assunzione non era contraria alle norme comunitarie. Il secondo punto è stato respinto in quanto non diretto contro la sig.ra Cresson. Riguardo al terzo punto, esso è stato inizialmente mantenuto per poi essere a sua volta respinto.

29.      Con ordinanza 30 giugno 2004, la Chambre du conseil del Tribunal de première instance di Bruxelles ha deciso che non vi era motivo di proseguire il procedimento penale a carico degli imputati (non-lieu). Quanto alla sig.ra Cresson, in particolare, la Corte ha osservato che non vi era alcuna accusa vertente sul fatto che essa fosse al corrente dei fatti in esame.

D –    Procedimento dinanzi alla Corte

30.      Il ricorso della Commissione è stato depositato il 7 ottobre 2004.

31.      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        constatare che la sig.ra Cresson ha violato gli obblighi che le incombevano in virtù dell’art. 213 CE;

–        pronunciare la decadenza, parziale o totale, della sig.ra Cresson dai suoi diritti a pensione e/o da tutti gli altri vantaggi collegati a tali diritti, o da altri vantaggi sostitutivi, lasciando alla discrezionalità della Corte la determinazione della durata e della portata di tale decadenza;

–        condannare la sig.ra Cresson alle spese del procedimento.

32.      La sig.ra Cresson chiede che la Corte voglia:

–        in via principale, dichiarare irricevibile il ricorso presentato dalla Commissione;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto illegittimo ed infondato;

–        ordinare alla Commissione di produrre l’intero verbale delle discussioni che hanno portato l’istituzione a prendere, il 19 luglio 2004, la decisione di adire la Corte, nonché di produrre una serie di altri documenti elencati nella domanda della convenuta e nelle domande confermative, rispettivamente, del 26 aprile e del 5 ottobre 2004;

–        condannare la Commissione alla totalità delle spese.

33.      Con ordinanza del presidente della Corte 2 giugno 2005, la Repubblica francese, ai sensi dell’art. 93, n. 7, del regolamento di procedura, è stata ammessa ad intervenire nella fase orale a sostegno della sig.ra Cresson.

34.      Con ordinanza della Corte 9 settembre 2005 è stata respinta la richiesta della sig.ra Cresson di ordinare alla Commissione di darle accesso a taluni documenti relativi alla decisione della Commissione di avviare un procedimento nei suoi confronti ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE.

35.      La Commissione, la sig.ra Cresson e la Repubblica francese hanno presentato osservazioni orali nell’udienza del 9 novembre 2005.

V –    Osservazioni delle parti

A –    Commissione

1.      L’art. 213 CE

36.      La Commissione spiega che un’azione in forza dell’art. 213, n. 2, CE contro un (ex) membro della Commissione presuppone che egli abbia agito violando gli obblighi derivanti da tale carica, ai sensi della detta disposizione del Trattato. Essa ritiene che le spetti, sotto il controllo giurisdizionale della Corte, determinare la portata e la sostanza di tali obblighi. In tale prospettiva, vi è violazione dei detti obblighi quando un Commissario non agisce nell’interesse generale o si lascia guidare dai suoi interessi personali, privati o finanziari.

37.      Secondo tale interpretazione, il favoritismo è in contrasto sia con l’interesse generale, sia con i doveri di onestà e delicatezza inerenti alla carica di Commissario. La Commissione definisce favoritismo un atto o un comportamento contrario all’interesse generale e all’onestà che deve contraddistinguere chi ricopre una carica pubblica, atto che consiste nell’accordare un vantaggio (spesso tramite un’assunzione) ad una persona che non possiede né le qualità né la competenza adeguate o le cui qualità sono palesemente insufficienti rispetto alla funzione che viene assegnata, oppure nell’attribuire un vantaggio senza riguardo per la funzione in questione, ma solo perché il destinatario è un amico personale o qualsiasi altra persona che si intende ricompensare.

38.      La Commissione spiega che in taluni casi i membri della Commissione godono di un ampio margine discrezionale, soprattutto quando si tratta di formare il loro gabinetto. All’infuori di questa ipotesi, essi sono tenuti all’osservanza delle norme comunitarie in materia di assunzione e devono verificare con particolare accuratezza che le relative decisioni siano adottate nell’interesse generale e nel rispetto delle norme applicabili. Questi doveri si estendono a tutte le fasi amministrative che seguono l’assunzione, quindi anche, ad esempio, al prolungamento di un contratto o alle promozioni.

2.      Risposta alla replica della sig.ra Cresson alla comunicazione degli addebiti

39.      Nel ricorso, la Commissione risponde alla reazione della sig.ra Cresson alla comunicazione degli addebiti.

40.      La sig.ra Cresson contesta che il ricorso della Commissione possa essere basato sull’art. 213 CE e afferma che il procedimento di cui a tale norma non è applicabile alle accuse mosse nei suoi confronti. Tale disposizione non offrirebbe neppure mezzi di tutela giurisdizionale adeguati. Al contrario, la Commissione sostiene che l’art. 213 CE costituisce il fondamento normativo adeguato del ricorso. A suo avviso, il procedimento in esame può essere assimilato a quelli previsti dalle costituzioni nazionali per i casi di abuso di potere. Nell’ambito di tali procedimenti, è conferito un accesso diretto alle istanze giudiziarie superiori dello Stato proprio al fine di fornire garanzie ulteriori. Il comportamento e gli atti dei membri della Commissione sono oggetto di disposizioni specifiche. Ad essi non si applicano le norme previste per i funzionari della Comunità. La Commissione non ritiene che l’art. 213 CE violi il diritto a una tutela giurisdizionale efficace. A suo parere, l’art. 213, n. 2, CE concerne tutti gli obblighi che gravano sui Commissari, non solo gli esempi menzionati in tale disposizione.

41.      Quanto all’obiezione formulata della sig.ra Cresson, secondo cui le relazioni dell’IDOC non possono costituire la base di una comunicazione di addebiti in quanto tale ufficio non è competente, la Commissione rileva che le indagini amministrative erano cominciate prima dell’istituzione di tale servizio e che la comunicazione degli addebiti era basata sia su tali indagini e sia sulle relazioni dell’IDOC e dell’OLAF. In ogni caso, è la Commissione, e non l’IDOC, che ha inviato la comunicazione degli addebiti alla sig.ra Cresson.

42.      La Commissione sostiene che i diritti di difesa della sig.ra Cresson, contrariamente a quanto affermato da quest’ultima, non sono stati violati. Quanto al suo diritto ad un procedimento avviato entro un termine ragionevole, la Commissione rileva che l’art. 213 CE non menziona alcun termine e che la sig.ra Cresson non ha dimostrato che il tempo passato abbia pregiudicato in qualche modo il suo diritto a difendersi. La Commissione era tenuta ad agire con la dovuta cautela nell’applicare, per la prima volta, l’art. 213 CE. Secondo la Commissione, inoltre, non si può affermare che il procedimento previsto dall’art. 213 CE è iniquo, dato che esso presuppone il rispetto delle norme dello Statuto della Corte di giustizia e del regolamento di procedura. La Commissione afferma che la decisione di avviare un procedimento dinanzi alla Corte non è stata preceduta da alcuna decisione pregiudizievole dei suoi interessi e che tale procedimento non ha inciso sul diritto della sig.ra Cresson ad essere informata delle ragioni che sottendono l’accusa. Dalla sua risposta alla comunicazione degli addebiti si evince chiaramente che essa era perfettamente al corrente delle censure mosse dalla Commissione e che aveva avuto l’opportunità di rispondervi. Quanto all’asserita parzialità della Commissione, quest’ultima osserva che non è lei stessa, bensì la Corte a decidere se debba o meno essere irrogata una sanzione. Infine, per quanto concerne la violazione del suo diritto di accesso ai documenti, la Commissione rileva che alla sig.ra Cresson è stato costantemente offerto di accedere agli atti processuali riguardanti il suo caso.

43.      Per quanto riguarda gli effetti della decisione adottata al termine dell’indagine penale belga, la Commissione osserva che il principio «le pénal tient le disciplinaire en l’état», richiamato dal Tribunale di primo grado nella sentenza François (6), significa che il procedimento disciplinare deve essere sospeso fino al termine del procedimento penale. Ad ogni modo, tale principio non va applicato alla Commissione, bensì alla Corte, che è l’organo disciplinare in questo contesto. La Commissione accetta che l’organo disciplinare sia vincolato dalle constatazioni di fatto operate dal giudice penale. Tale circostanza, tuttavia, non presenta alcuna utilità per la sig.ra Cresson, dato che la decisione nel procedimento penale non riguarda i fatti in esame in questo procedimento, ossia il favoritismo di cui essa ha dato prova con l’assunzione del sig. Berthelot ed il rinnovo del suo contratto, nonché con gli atti compiuti a favore del sig. Riedinger. La decisione di non perseguire la sig.ra Cresson, pertanto, non costituisce un ostacolo giuridico alla presente azione disciplinare.

44.      La Commissione respinge l’argomento della sig.ra Cresson vertente sull’applicabilità di una regola de minimis con riferimento agli importi in questione. Anche se la detta regola fosse valida, tale argomento riguarderebbe la sostanza, non la ricevibilità del ricorso della Commissione.

45.      La sig.ra Cresson lamenta una serie di irregolarità procedurali nelle indagini svolte dalla Commissione. Essa si riferisce ad una violazione della decisione che istituisce l’IDOC, al fatto che quest’ultimo ha invaso il settore di competenza dell’OLAF, alla circostanza che le relazioni dell’IDOC erano incomplete e che i procedimenti disciplinari si sono sovrapposti, nonché al fatto che la questione relativa al sig. Riedinger è stata affrontata nel fascicolo riguardante il sig. Berthelot. La Commissione replica che non vi è alcuna indicazione di come tali presunte irregolarità abbiano inciso sui diritti della difesa. Per quanto riguarda, inoltre, le osservazioni della sig. Cresson in merito all’indagine svolta dall’OLAF, la Commissione rileva che tale servizio è titolare di un mandato generale per indagare sulle presunte frodi e che non era necessario conferire uno specifico mandato per ogni fase del procedimento. Essa afferma che non era neppure tenuta ad informare la sig.ra Cresson dei suoi contatti con l’OLAF e che non era necessario firmare il resoconto di talune riunioni. Infine, la Commissione non ritiene che la presunta illegittimità della relazione del Comitato degli esperti indipendenti sia rilevante, dato che il suo ricorso è fondato sulla sua propria indagine sui fatti.

46.      Quanto alla richiesta di risarcimento danni da parte della sig.ra Cresson, la Commissione non vede come l’avvio di un procedimento ai sensi dell’art. 213 CE possa essere qualificato come comportamento illegittimo, se non qualora la decisione in questione costituisca un abuso di potere o sia deliberatamente pregiudizievole, come nel caso della presentazione di un fascicolo vuoto.

3.      I casi Berthelot e Riedinger

47.      I fatti principali su cui si basa la Commissione sono già stati riassunti al Capitolo III di queste conclusioni, quindi non è necessario riesporli qui, ma è sufficiente rilevare che, secondo la Commissione, se li si considera congiuntamente, dai due casi emerge che è occorso un intervento personale da parte della sig.ra Cresson a favore di due suoi conoscenti. Sebbene dal punto di vista formale gli atti siano imputabili al competente servizio o al suo gabinetto, occorre concludere che le decisioni rilevanti possono essere attribuite alla sig.ra Cresson. La Commissione sostiene che il comportamento di quest’ultima costituisce una grave violazione, intenzionale o per lo meno dovuta a grave negligenza, degli obblighi che essa deve rispettare in forza dell’art. 213, n. 2, CE.

4.      Sanzione

48.      La Commissione chiede alla Corte di infliggere una sanzione, ma le lascia la scelta sulla portata di quest’ultima. Essa potrebbe consistere nella pronuncia della totale o parziale decadenza dai diritti a pensione o da altri vantaggi. La Commissione sostiene che la sanzione deve essere irrogata tenendo conto del principio di proporzionalità. In proposito, essa suggerisce che i fattori enunciati all’art. 10 dell’allegato IX dello Statuto del personale potrebbero essere rilevanti. Nella causa in esame, la Commissione sostiene che il comportamento illecito è grave perché riguarda una regola etica la cui violazione ha minato la fiducia nella sig.ra Cresson, anche se quest’ultima non è più membro della Commissione; che essa era perfettamente consapevole che i suoi atti rappresentavano un favoritismo e che ci sono elementi credibili per ritenere che almeno alcuni degli atti della sig.ra Cresson fossero intenzionali.

B –    La sig.ra Cresson

1.      Osservazioni generali

49.      La sig.ra Cresson lamenta innanzi tutto di essere vittima di una vera e propria macchina da guerra messa in moto contro di lei, in quanto ha dovuto presentarsi dinanzi alla commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento europeo (COCOBU) ed essere oggetto, in successione, di indagini da parte dell’OLAF, dell’IDOC e della DG ADMIN. Queste misure sarebbero completamente sproporzionate rispetto ai fatti che le sono addebitati. Tale circostanza, a suo avviso, è indubbiamente il risultato del clima sorto intorno a questa vicenda, che ha portato alle dimissioni collettive della Commissione Santer. Essa afferma poi che il caso è stato innescato da un articolo di giornale pubblicato da un giornalista belga già condannato in Belgio e Francia per vari reati. Successivamente, un ex funzionario della Commissione, il sig Van Buitenen, nel suo sforzo di svelare presunti casi di frode a danno della Comunità, ha inviato gli atti alle autorità giudiziarie belghe, al Comitato di esperti indipendenti, all’OLAF ed alla stampa. Nel giugno 1999 un giudice istruttore belga si è incaricato del caso ed ha ottenuto la revoca dell’immunità della sig.ra Cresson.

50.      Per quanto concerne il procedimento penale in Belgio, la sig.ra Cresson rileva di essere stata sentita solo una volta in cinque anni dal giudice istruttore. Essa osserva che la Commissione ha inviato la comunicazione degli addebiti all’incirca nello stesso momento in cui essa è venuta a conoscenza, tramite la stampa, che stava per essere accusata. Ciò illustra, a suo avviso, lo stretto legame tra la procedura penale e quella disciplinare. La sig.ra Cresson sottolinea che, alla fine, nessuna delle accuse nei suoi confronti è stata confermata e che il procedimento è terminato con la decisione di non luogo a procedere (non-lieu). La Commissione, tra l’altro, non ha impugnato tale decisione.

51.      Quanto al procedimento dinanzi alla Commissione, la sig.ra Cresson afferma di essere stata informata solo tre anni dopo le dimissioni della Commissione Santer che la Commissione la riteneva colpevole di favoritismo e reputava che ciò costituisse una grave violazione dei suoi obblighi di Commissario. I legali della sig.ra Cresson hanno criticato il detto procedimento anche per quanto riguarda l’inosservanza dei termini per quanto concerne la reazione della Commissione, l’indipendenza di quest’ultima, il rispetto dei diritti fondamentali e l’assenza di una precisa cornice procedurale per quanto riguarda tale caso. La sig.ra Cresson rileva inoltre che ad un certo punto il Segretario generale della Commissione ha sollevato la questione del coordinamento tra il procedimento penale e quello disciplinare. La sig.ra Cresson ritiene che, considerato come è stato condotto il procedimento e, in particolare, il fatto che nel corso dell’audizione da parte del collegio dei Commissari non le è stata posta alcuna questione, apparentemente la Commissione era intenzionata a trasmettere il caso alla Corte.

2.      Argomenti di diritto

a)      Irricevibilità

52.      La sig.ra Cresson afferma che l’art. 213 CE deve essere interpretato restrittivamente, alla luce del suo scopo, che è di consentire di infliggere pesanti sanzioni ai membri della Commissione. Essa ricorda che, ai sensi dell’art. 213, n. 2, primo e secondo comma, CE, i membri della Commissione «esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità». Se essi non rispettano tale principio, si applica l’art. 216 CE. L’art. 213, n. 2, terzo comma, invece, trova applicazione quando un Commissario non dà prova di onestà e delicatezza nell’accettare di svolgere determinate attività esterne nel periodo in cui è in carica o dopo la fine del suo mandato. In tale ipotesi, la sanzione applicabile è la dichiarazione delle sue dimissioni ai sensi dell’art. 216 CE o la decadenza dai suoi diritti a pensione o da altri vantaggi. Poiché la sig.ra Cresson non è accusata di avere agito in violazione dei suoi doveri per quanto riguarda attività esterne, le disposizioni dell’art. 213, n. 2, terzo comma, CE non le possono essere applicate. Oltre all’art. 213, n. 2, CE, a suo avviso non esiste nessun altro obbligo giuridicamente vincolante che possa essere fatto valere contro di lei. Il Codice di condotta dei Commissari è stato adottato solo dopo i fatti di causa e, per di più, non contiene nessun obbligo rilevante ai fini dei fatti che le sono contestati. Essa lamenta nuovamente l’assenza di norme procedimentali scritte che garantiscano i diritti della difesa in questo contesto, dal che si evincerebbe l’illegittimità dell’azione della Commissione. A suo parere, l’art. 213, n. 2, CE non può quindi fungere da fondamento normativo della decisione della Commissione del 19 luglio 2004 di adire la Corte.

53.      La sig.ra Cresson afferma che, dal momento in cui la Commissione è intervenuta nel procedimento penale in qualità di parte civile, è divenuto applicabile il principio secondo cui il procedimento disciplinare basato sugli stessi fatti di quello penale deve aspettare il risultato del processo penale, secondo il brocardo «le pénal tient le disciplinaire en l’état». A suo avviso, quando i fatti in entrambi i procedimenti sono identici, il procedimento disciplinare perde la sua ragion d’essere nel caso in cui le stesse censure siano state respinte nel contesto del procedimento penale. La sig.ra Cresson rileva che, sebbene il pubblico ministero belga avesse inizialmente mantenuto l’accusa relativa alle missioni del sig. Berthelot, esso ha infine concluso che non vi era motivo per attribuirle la responsabilità. Posto che i fatti alla base delle censure sono identici in entrambi i procedimenti, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica, secondo la sig.ra Cresson il ricorso in esame è privo di scopo e va considerato irricevibile. La decisione nella causa penale avrebbe vanificato l’azione della Commissione.

54.      L’unica censura considerata dal pubblico ministero belga riguardava i falsi ordini di missione, per un valore di EUR 6 930. A prescindere dal fatto che il pubblico ministero ha deciso che tale censura non poteva essere imputata alla sig.ra Cresson, secondo quest’ultima tale somma di denaro deve essere ritenuta relativamente modesta, per cui ad essa andrebbe applicato il principio de minimis non curat praetor.

55.      Per tutti questi motivi, secondo la sig.ra Cresson, il ricorso della Commissione deve essere dichiarato irricevibile.

b)      Nel merito

56.      In subordine, la sig.ra Cresson afferma che le censure mosse nei suoi confronti sono infondate.

57.      Per la sig.ra Cresson, il sig. Berthelot è stato assunto in conformità alle norme applicabili a fine di fornirle servizi di consulenza. Dato che l’amministrazione aveva considerato lo status di consulente scientifico come il più consono, la sig.ra Cresson non lo aveva mai messo in discussione. Le qualifiche del sig. Berthelot non erano inferiori a quelle di altri ospiti scientifici ed egli ha effettivamente lavorato ed accompagnato la sig.ra Cresson nelle sue missioni. È stato lui stesso a porre fine al suo contratto per motivi di salute. La questione della relazione finale è sorta solo dopo le sue dimissioni. In precedenza non ne era stato fatto alcun cenno. Il sig. Berthelot ha redatto la relazione sulla base di promemoria e sarebbe diffamatorio insinuare che non li abbia scritti da sé. Quanto agli ordini di missione, la sig.ra Cresson fa rinvio ai fatti accertati dal pubblico ministero belga.

58.      Ad avviso della sig.ra Cresson, il caso relativo al sig. Riedinger è privo di contenuto. Essa sostiene che i tre contratti offertigli rispondevano all’interesse generale e che il sig. Riedinger ha fornito il suo contributo senza ricevere alcuna retribuzione. Tale censura vertente su un comportamento disonesto è stata sollevata per la prima volta nel ricorso della Commissione ed è infondata. Per la sig.ra Cresson sembrerebbe che le sia stato contestato un comportamento disonesto per aver suggerito la stipulazione di due contratti che non si sono conclusi né con una relazione, né con uno studio e per i quali il sig. Riedinger non ha ricevuto alcuna retribuzione.

59.      In subordine, la sig.ra Cresson invoca una serie di gravi irregolarità procedimentali.

60.      La sig.ra Cresson osserva, in primo luogo, che l’indagine amministrativa è stata erroneamente avviata dal Direttore generale del personale e dell’amministrazione in qualità di autorità che ha il potere di nomina sulla base della relazione dell’IDOC, mentre avrebbe dovuto essere iniziata dal collegio dei Commissari.

61.      Sempre per quanto riguarda questo capo d’accusa, la sig.ra Cresson afferma che la Commissione ha violato diritti e principi fondamentali nel procedimento che ha condotto al presente ricorso alla Corte. In primo luogo, avviando il procedimento nel 2003, ossia sette anni dopo i fatti – il che è inaccettabile considerato che le relazioni su cui si fonda la Commissione erano disponibili da tempo ed il caso non è complesso. In secondo luogo, sebbene la Commissione sostenga (a torto) di non essere l’autorità disciplinare, essa ricopre diversi ruoli nel procedimento che dovrebbero rimanere separati. In terzo luogo, la Commissione si sarebbe piegata a pressioni provenienti, in particolare, dal Parlamento europeo e non potrebbe pertanto essere considerata imparziale. In quarto luogo, la sig.ra Cresson afferma che sono state commesse diverse irregolarità nello svolgimento del procedimento interno, relative, tra l’altro, al ruolo dell’IDOC, al fatto che si sono sovrapposti più procedimenti per quanto riguarda il caso Berthelot e all’imposizione di termini sproporzionati.

62.      Tuttavia, per quanto attiene al procedimento, il problema maggiore è rappresentato dal fatto che, diversamente dai funzionari comunitari e dal resto del personale, la sig.ra Cresson non dispone della possibilità di proporre appello nel caso in cui la Corte dovesse statuire contro di lei ed infliggerle una sanzione. Nel contesto dei procedimenti disciplinari, i membri della Commissione godono di garanzie e tutela giurisdizionale inferiori rispetto ai funzionari della Comunità. Essa considera che ciò costituisca una violazione dei suoi diritti fondamentali. I diritti alla difesa dei ministri negli Stati membri, sotto questo profilo, sono tutelati meglio.

63.      La sig.ra Cresson sottolinea le significative differenze esistenti tra il trattamento riservato ai funzionari della Commissione e quello riservato ai Commissari nell’ambito di un procedimento disciplinare. I Commissari godono di meno garanzie e non dispongono di una tutela giurisdizionale effettiva. Essa ritiene che ciò costituisca una violazione dei suoi diritti fondamentali.

64.      La sig.ra Cresson riconosce di non poter agire per il risarcimento danni in sede riconvenzionale. Tuttavia, essa desidera sottolineare il danno subito in seguito a causa del metodo lesivo e sproporzionato seguito dalla Commissione e richiede alla Corte di condannare la Commissione alle spese.

C –    La posizione della Repubblica francese

65.      La Repubblica francese concorda con la sig.ra Cresson che l’art. 213, n. 2, CE è una base normativa inadeguata per un’azione nei suoi confronti, sia dal punto di vista sostanziale che da quello temporale. Essa afferma che tale procedimento si sovrappone al meccanismo della responsabilità politica collegiale della Commissione, che ha già prodotto i suoi effetti con le dimissioni della Commissione Santer. Dimettendosi collettivamente, la Commissione ha fatto capire che i comportamenti professionalmente scorretti riscontrati all’epoca erano responsabilità collettiva della Commissione. Pertanto non venne adottato alcun provvedimento contro i singoli membri.

66.      La Repubblica francese condivide l’opinione della sig.ra Cresson secondo cui la decisione di non proseguire il procedimento penale in Belgio priva di fondamento l’azione disciplinare e, in tale contesto, fa riferimento ai risultati dell’indagine del pubblico ministero in tale procedimento. Essa reputa confusa l’affermazione della Commissione secondo cui il procedimento belga non riguardava il favoritismo e si domanda se quest’ultima consideri che le qualificazioni giuridiche siano diverse o che siano i fatti ad essere differenti. In ogni caso, il giudice belga ha, a suo parere, concluso chiaramente che i fatti non erano dimostrati o che essi non potevano essere addebitati alla sig.ra Cresson. Esso ha altresì dichiarato che l’assunzione del sig. Berthelot non era in contrasto con le norme comunitarie. L’accusa di favoritismo proposta dalla Commissione si scontra con gli accertamenti di fatto del giudice belga.

67.      In tali circostanze, il governo francese ritiene che infliggere una sanzione sul fondamento normativo dell’art. 213, n. 2, CE sia sproporzionato. A suo avviso, siffatta sanzione presuppone una grave violazione dei propri doveri. Esso afferma che, per quanto riguarda i funzionari comunitari, la sanzione della decadenza dai diritti a pensione è stata inflitta una sola volta in 50 anni, con una riduzione del 35% di tali diritti, relativa ad un caso di corruzione (7). Una sanzione sarebbe sproporzionata anche considerato che sono passati otto anni dai fatti in esame. In tale contesto esso si riferisce alla rapidità con cui è stata adottata un’azione nei confronti dell’ex Commissario Bangemann. Il caso della sig.ra Cresson non dovrebbe essere considerato in modo isolato, senza tener conto dalla prassi esistente all’epoca in seno alla Commissione. Quest’ultima non ha adottato nessun provvedimento contro la sig.ra Cresson quando questa era ancora in carica. Sarebbe sproporzionato sanzionarla per attività che sono state addebitate all’intera Commissione.

VI – Osservazioni generali sull’art. 213, n. 2, CE

68.      Sebbene gli argomenti della causa in esame siano ovviamente incentrati sulle accuse rivolte alla sig.ra Cresson e sul preciso significato e scopo dell’art. 213, n. 2, CE, questa causa solleva questioni di più ampia rilevanza costituzionale per l’Unione europea e le sue istituzioni. Essa riguarda le norme di comportamento che devono essere rispettate dalle persone che ricoprono posizioni di potere in seno alle istituzioni comunitarie e le conseguenze in caso di mancato rispetto di tali norme. Per il corretto funzionamento delle istituzioni comunitarie è fondamentale che le persone che ricoprono alte cariche non solo siano considerate competenti sotto il profilo professionale, ma anche che esse abbiano fama di mantenere un comportamento irreprensibile. Le qualità personali di questi soggetti si ripercuotono direttamente sulla fiducia nutrita dalla collettività nelle istituzioni comunitarie, sulla loro credibilità e, di conseguenza, sull’efficacia della loro azione. Come giustamente sottolineato dal Comitato di esperti indipendenti nella relazione del 15 Marzo 1999, solo rispettando tali regole basilari di comportamento «i titolari di alti incarichi possono avere l’autorità e la credibilità che consentono loro di assumere quel ruolo guida che sono tenuti a garantire» (8).

69.      Per valutare la funzione dell’art. 213, n. 2, CE nel sistema costituzionale comunitario e per inquadrare il procedimento in esame nella giusta prospettiva è importante rilevare che esistono disposizioni parallele relative ad altri organi ed istituzioni comunitari che devono agire in piena indipendenza ed ispirarsi ad assoluta imparzialità nello svolgimento delle funzioni loro assegnate. In proposito, mi riferisco all’art. 195, n. 2, CE per quanto riguarda il Mediatore europeo, all’art. 247, n. 7, per quanto concerne la Corte dei conti, all’art. 11, n. 4 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali relativamente al Comitato esecutivo della Banca centrale europea ed agli artt. 6 e 47 dello Statuto della Corte di giustizia riguardo, rispettivamente, alla Corte di giustizia ed al Tribunale di primo grado.

70.      La Commissione e tali istituzioni ed organi – ovviamente ad eccezione del Mediatore europeo – condividono la caratteristica di agire in modo collegiale e che i loro singoli membri non possono essere rimossi dal loro incarico per motivi inerenti all’esercizio delle funzioni di tali organi. Posto che i membri di tali istituzioni ricoprono le massime cariche nei loro rispettivi settori e non sono soggetti ad alcun genere di controllo gerarchico, devono essere previsti meccanismi speciali per garantire che ogni abuso di potere sia adeguatamente punito. È proprio di tale funzione che la competenza sanzionatoria spetti o all’istituzione cui appartiene il singolo interessato o ad un’altra istituzione di rango equivalente nel sistema costituzionale (9).

71.      Assicurando che i titolari di cariche pubbliche, in virtù della funzione che esercitano, non siano immuni da qualsiasi provvedimento sanzionatorio quando non rispettano le norme di condotta personale previste, procedimenti di questo tipo forniscono garanzie di base che le istituzioni interessate operino nel rispetto della loro funzione costituzionale. La mera esistenza di tali meccanismi svolge, a tale proposito, anche una funzione preventiva.

72.      Occorre anche sottolineare che l’applicazione di queste disposizioni costituzionali non osta all’applicazione ai titolari di cariche pubbliche di altri meccanismi punitivi relativi al medesimo comportamento. Né, tanto meno, l’attuazione di altri meccanismi costituisce un ostacolo al procedimento costituzionale. Mi riferisco, in particolare, alla responsabilità politica ed alla responsabilità penale. Quanto alla prima, la Commissione risponde al Parlamento europeo ai sensi degli artt. 197 e 201 CE solo in qualità di organo collegiale. Al Parlamento non è data possibilità di censurare la condotta di un singolo membro della Commissione. Tuttavia, in seguito all’emendamento introdotto dal Trattato di Nizza, l’art. 217, n. 4, CE prevede che i singoli membri della Commissione rassegnino le dimissioni se il presidente della Commissione, previa approvazione del collegio, glielo chiede. Quanto alla seconda, se il comportamento in questione costituisce un reato ai sensi del diritto nazionale, il titolare della carica pubblica in questione può essere perseguito penalmente in uno degli Stati membri. In tal caso, l’immunità di membro della Commissione dev’essere revocata, come previsto dal combinato disposto degli artt. 20 e 18 del Protocollo sui privilegi e le immunità delle Comunità europee dell’8 aprile 1965. La scelta del meccanismo da applicare dipende dalla natura dell’infrazione e dal tipo di norma coinvolta. Tutti questi meccanismi perseguono scopi differenti e quindi non si escludono a vicenda.

73.      Nel caso della Commissione, sussiste un nesso funzionale diretto tra le norme di comportamento che devono essere osservate dai suoi membri ed il suo ruolo nel contesto istituzionale comunitario. A tale proposito occorre sottolineare che, oltre ad essere l’organo esecutivo della Comunità, la Commissione svolge un ruolo essenziale di intermediazione nel conciliare gli interessi degli Stati membri, del commercio e dell’industria, nonché dei cittadini comunitari, nell’ambito del processo di definizione delle politiche comunitarie e di proposta della normativa comunitaria. In determinati settori essa svolge altresì un ruolo quasi giurisdizionale, come nel settore della concorrenza o nel far rispettare agli Stati membri gli obblighi di diritto comunitario ai sensi degli artt. 226 e 228 CE. La Commissione può svolgere con successo tale missione solo se è noto che essa ed i suoi singoli membri operano in modo assolutamente imparziale ed indipendente. Solo in questo caso essa disporrà dell’autorità per guadagnarsi la necessaria fiducia da parte delle altre istituzioni comunitarie, degli Stati membri e della collettività.

74.      Quindi è intrinseco nella funzione e nei compiti della Commissione che i singoli Commissari rispettino i più alti standard di comportamento per garantire la loro indipendenza, imparzialità ed onestà. Ciò vale non solo per la loro attività esterna, bensì anche per il modo in cui operano all’interno della Commissione nella gestione dei servizi per cui sono responsabili e nelle relazioni con gli altri servizi interni della Commissione. La stessa cultura del lavoro in seno alla Commissione rappresenta un fattore determinante per assicurare l’efficacia delle attività della Commissione.

75.      Il mancato rispetto di tali norme di comportamento da parte di singoli membri della Commissione può potenzialmente cagionare un danno significativo all’immagine pubblica dell’istituzione e minare la fiducia in essa, il che implicherebbe una diminuzione dell’efficacia della sua azione. Gli effetti degli avvenimenti che hanno portato alle dimissioni collettive della Commissione Santer nel 1999 dimostrano che non si tratta di un’osservazione meramente ipotetica.

76.      Gli obblighi che gravano sui membri della Commissione sono descritti in modo generale all’art. 213, n. 2, CE. Da tale disposizione risulta che i detti membri esercitano le loro funzioni in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità. Essi si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere della loro carica. Quando assumono le loro funzioni, i membri della Commissione sono tenuti ad assumere l’impegno solenne di «rispettare, per la durata delle loro funzioni e dopo la cessazione di queste, gli obblighi derivanti dalla loro carica, ed in particolare i doveri di onestà e delicatezza per quanto riguarda l’accettare, dopo tale cessazione, determinate funzioni o vantaggi».

77.      Ciò che gli obblighi contenuti nell’art. 213, n. 2, CE implicano, più nello specifico, è oggetto di interpretazione ed è, in realtà, la questione centrale di questa causa. All’epoca dei fatti di cui è accusata la sig.ra Cresson non esisteva alcun codice di condotta per i membri della Commissione che specificasse quali norme di comportamento devono essere rispettate. Nel frattempo, siffatto codice è stato redatto e messo in vigore (10). Il codice contiene varie linee guida relative a questioni etiche vertenti sull’indipendenza e sull’onestà nell’esercizio della funzione di Commissario e sulla lealtà, la fiducia e la trasparenza nel funzionamento interno della Commissione. Esso non sembra contenere però linee guida o principi relativi ai fatti alla base della causa in esame. Sia come sia, il rispetto di talune norme etiche è intrinseco alla carica di membro della Commissione e fondamentale ai fini di un efficace funzionamento di tale istituzione. A tale proposito, occorre rilevare che per i dipendenti della Comunità le norme di comportamento sono stabilite dagli artt. 10‑12bis dello Statuto del personale. Sebbene tali norme non si applichino ai membri della Commissione, si può ammettere che costituiscano una base minima che deve essere rispettata da tali membri.

78.      Non è del tutto possibile, e neppure utile, cercare di elencare in modo esaustivo le norme di comportamento che devono essere rispettate nell’esercizio di cariche pubbliche. Ci saranno sempre situazioni in cui è difficile individuare quale norma di comportamento non è stata rispettata, ma si può comunque concludere che una certa condotta è contraria all’interesse generale. Similmente, in una certa misura, Kenneth Clark una volta descrisse il fenomeno «civiltà»: «cos’è la civiltà? Non so, non posso ancora definirla in termini astratti. Ma credo di poterla riconoscere quando la vedo (...)» (11).

79.      Il Comitato di esperti indipendenti, a tale proposito, ha fatto riferimento ad un «nucleo comune di “norme minime”» che garantiscano che si agisca nell’interesse generale della Comunità e in completa indipendenza. Ciò impone che le decisioni siano adottate unicamente in nome del pubblico interesse secondo criteri oggettivi e non siano influenzate da interessi privati propri o altrui. Ciò implica altresì che ci si comporti con onestà e delicatezza e in conformità ai principi di responsabilità e apertura nei confronti del pubblico, il che impone anche che qualsiasi conflitto di interessi sia riconosciuto onestamente e pubblicamente (12).

80.      Per definire le norme di comportamento cui devono attenersi i titolari di cariche pubbliche e quindi per specificare il «nucleo comune» cui si riferisce il Comitato di esperti indipendenti è utile richiamare i c. d. sette principi della vita pubblica, individuati dal Comitato Nolan sulle norme di condotta nella vita pubblica nel Regno Unito. Tali principi sono: agire in modo disinteressato, l’integrità, l’obiettività, l’agire in modo responsabile, la trasparenza, l’onestà e il ruolo guida. Il primo di questi principi, l’agire in modo disinteressato, è definito nei seguenti termini: «i titolari di cariche pubbliche devono agire solo in nome del pubblico interesse. Non devono mirare a conseguire vantaggi economici o di altro tipo per se stessi, la loro famiglia o i loro amici».

81.      Infine, occorre rilevare che l’enfasi che pongo sulla necessità che i Commissari siano in grado di garantire la loro assoluta indipendenza ed imparzialità per l’intera durata del loro mandato come condizione affinché la Commissione possa svolgere i compiti che le sono affidati non è il risultato di idee recenti o di cambiamenti di valori. Riferendosi al giuramento che i membri della Commissione devono prestare al momento dell’assunzione della carica, come previsto dall’art. 213, n. 2, CE, in occasione della riunione costituente della Commissione, tenuta a Val Duchesse il 16 gennaio 1958, il presidente Walter Hallstein descrisse la sostanza degli obblighi dei membri della Commissione nei seguenti termini:

«En prononçant solennellement ces paroles, en notre nom à tous ainsi que l’exigent les termes du Traité, nous reconnaissons l’essentiel des obligations qui nous sont désormais communes.

Nous entendons par “l’essentiel” que nos travaux servent l’Europe – l’Europe et non quelconques intérêts particuliers qu’ils soient d’ordre national, professionnel, économique ou personnel.

C’est en cela que réside la difficulté de nôtre tâche, mais c’est aussi ce qui lui confère une insigne dignité» (13).

Non ci potrebbe essere testimonianza più chiara della validità delle osservazioni formulate sopra.

VII – Analisi

82.      Il ricorso della Commissione solleva una serie di questioni giuridiche che possono essere raggruppate nelle seguenti quattro categorie: ricevibilità, questioni procedurali, merito della causa e possibilità di infliggere una sanzione.

A –    Ricevibilità

83.      La sig.ra Cresson afferma innanzi tutto che l’azione della Commissione è irricevibile in quanto l’art. 213 CE non costituisce un adeguato fondamento normativo per tale azione; che, in seguito alla decisione della Chambre du conseil del Tribunal de première instance di Bruxelles di non proseguire il procedimento penale nei suoi confronti, l’azione in esame è stata svuotata di significato e che, alla luce degli importi relativamente modesti che formano oggetto della controversia, andrebbe applicato il principio “de minimis non curat praetor”.

84.      L’art. 213, n. 2, CE in quanto tale non prevede alcuna specifica condizione relativa alla ricevibilità di un ricorso presentato dalla Commissione o dal Consiglio ai sensi di tale disposizione. Tuttavia, le questioni procedurali sollevate dalla sig.ra Cresson sono importanti e impongono una riflessione sulla funzione e sulla portata di tale norma e sul suo rapporto con altri procedimenti vertenti sulle stesse accuse.

1.      L’art. 213, n. 2, CE come fondamento normativo dell’azione in esame

85.      La sig.ra Cresson traccia una distinzione tra le diverse sanzioni previste dall’ultima frase dell’art. 213, n. 2, CE. Da una parte, afferma che la sanzione delle dimissioni d’ufficio è applicabile quando un Commissario non ha rispettato i suoi obblighi di esercitare la propria funzione nell’interesse generale durante il suo mandato. Tale caso è previsto dall’art. 216 CE, cui fa riferimento l’art. 213, n. 2, CE. Dall’altra, la sanzione della decadenza del Commissario dai diritti a pensione o da altri vantaggi può essere inflitta solo dopo che il Commissario ha terminato il mandato. Tale provvedimento, inoltre, può essere adottato solo quando il Commissario interessato non ha dato prova di sufficiente onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o vantaggi dopo la cessazione delle sue funzioni. La sig.ra Cresson ne conclude che, visto che le accuse rivolte nei suoi confronti non riguardano questo genere di infrazione, il ricorso della Commissione non può avere come fondamento normativo l’art. 213, n. 2, CE.

86.      La Commissione, al contrario, sostiene che ciascuna delle sanzioni previste dall’art. 213, n. 2, CE può essere inflitta ad un Commissario in carica o ad un ex Commissario quando è stato provato che questi non ha rispettato gli obblighi derivanti dalla sua carica. Il favoritismo dimostrato nell’assumere persone alla Commissione può essere considerato una violazione di tali obblighi.

87.      La discussione riguarda, in sostanza, tre aspetti inerenti alla portata dell’art. 213, n. 2, CE. In primo luogo, ci si domanda se possa essere fatta una distinzione in merito all’applicabilità delle sanzioni delle dimissioni d’ufficio e della decadenza dai diritti a pensione a seconda che il Commissario coinvolto sia o meno ancora in carica. In secondo luogo, occorre capire se la sanzione della decadenza di un membro della Commissione dal suo diritto alla pensione può essere inflitta per ogni infrazione di un obbligo derivante dalla carica di Commissario o solo quando si tratta di obblighi relativi ad attività esterne. In terzo luogo va chiarito quali sono gli obblighi compresi nell’art. 213, n. 2, CE.

88.      Per quanto riguarda la prima questione, è sufficiente rifarsi all’univoca formulazione dell’art. 213, n. 2, CE il quale, nella frase finale, stabilisce che, in caso di violazione degli obblighi di Commissario, può essere inflitta l’una o l’altra delle due sanzioni. Il termine «obblighi» può riferirsi solo allo stesso termine utilizzato nella frase precedente vertente sull’impegno solenne dei Commissari a rispettare gli obblighi derivanti dalla loro carica per la durata delle loro funzioni e dopo la cessazione di queste. In altre parole, i Commissari devono sempre rispettare gli obblighi in questione, a prescindere dal fatto che il ricorso alla Corte sia proposto prima o dopo la scadenza del mandato. Pertanto, è teoricamente possibile che l’art. 213, n. 2, CE possa essere fatto valere contro un Commissario ancora in carica non per chiederne le dimissioni d’ufficio, bensì la decadenza dai diritti a pensione o da altri vantaggi.

89.      Pertanto, la distinzione operata dalla sig.ra Cresson, quanto all’applicazione dell’art. 213 CE, tra Commissari in carica ed ex Commissari non ha alcun fondamento. Nel suo caso è possibile infliggere una sanzione economica alla luce del fatto che non è stata costretta alle dimissioni d’ufficio in forza dell’art. 216 CE, ma si è dimessa volontariamente insieme al resto della Commissione Santer.

90.      Il secondo argomento, ossia che la seconda sanzione prevista dall’art. 213, n. 2, CE, può essere irrogata solo quando il Commissario coinvolto non ha osservato gli obblighi di onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o vantaggi dopo la scadenza del suo mandato, è basato su una lettura troppo restrittiva di tale norma. Questa specifica regola deve essere considerata alla stregua di una specie degli obblighi generali che devono essere rispettati dai Commissari. Ciò si evince dall’uso dei termini «in particolare» che la precedono. Vista la sua importanza, questo obbligo meritava una specifica menzione in tale norma.

91.      Il terzo aspetto, relativo alla portata dell’art. 213, n. 2, CE, è già stato discusso nel contesto delle osservazioni contenute nella mia introduzione generale. Qualsiasi condotta che possa suscitare dubbi sull’indipendenza e sull’imparzialità di un singolo membro della Commissione dev’essere considerata una violazione degli obblighi ai sensi di tale norma, che può implicare le previste sanzioni. Contrariamente all’affermazione della sig.ra Cresson, secondo cui l’art. 213, n. 2, CE va interpretato restrittivamente viste le gravi conseguenze che la violazione degli obblighi può implicare, è assolutamente giustificato interpretare tale disposizione estensivamente, per garantirne l’efficacia nel disincentivare comportamenti che possano cagionare pregiudizio al funzionamento della Commissione considerata nel suo complesso.

92.      Pertanto, l’art. 213, n. 2, CE può essere fatto valere in caso di violazione di qualsiasi obbligo che incomba ad un Commissario, a prescindere dal fatto che egli sia ancora in carica o il suo mandato sia terminato. Gli argomenti contrari della sig.ra Cresson devono essere respinti.

2.      Gli effetti della decisione del giudice penale belga

93.      Secondo la sig.ra Cresson, in sostanza, dato che il procedimento penale a suo carico in Belgio non è stato proseguito poiché il giudice istruttore ha concluso che i fatti costitutivi di falso e frode non le erano imputabili, e dato che la Commissione non ha impugnato tale decisione, non vi è una base per intentare un’azione ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE per gli stessi fatti. A sostegno di tale argomento essa adduce il principio «le pénal tient le disciplinaire en l’état», secondo cui l’organo disciplinare è vincolato dagli accertamenti di fatto da parte del giudice penale. La Commissione replica contestando l’identità dei fatti nelle due cause. Mentre il procedimento in Belgio riguardava un presunto caso di abuso e frode, la presente causa ha ad oggetto il favoritismo. Essa aggiunge inoltre che la decisione di non continuare il procedimento penale è stata presa per motivi di diritto e non di fatto.

94.      Anzitutto, è d’uopo sottolineare la natura speciale del procedimento previsto dall’art. 213, n. 2, CE che, sebbene sia stato spesso qualificato da entrambe le parti del procedimento come avente carattere disciplinare, deve in realtà essere distinto da tale tipo di procedimento vista l’importanza della carica pubblica coinvolta. Dato che sussiste un collegamento diretto tra il comportamento di un Commissario e l’immagine pubblica ed il funzionamento dell’istituzione in cui egli ricopre la carica, il procedimento ex art. 213, n. 2, CE presenta carattere costituzionale. Ciò si evince dal fatto che le decisioni da adottarsi nel contesto di tale procedimento non sono prese all’interno della stessa istituzione, bensì da un’altra istituzione, ossia il giudice imparziale della Comunità.

95.      In tale ambito, la Corte dispone di una giurisdizione esclusiva su cui non possono incidere decisioni adottate da giudici a livello nazionale. Dato che è la Corte l’autorità che in definitiva, su istanza della Commissione o del Consiglio, irroga la sanzione, essa deve essere in condizione di determinare se la condotta di cui si accusa un Commissario è tale da costituire una violazione degli obblighi ai sensi dell’art. 213 CE. Sebbene la Corte, a tal fine, possa prendere in considerazione gli accertamenti di fatto svolti da un organo giudiziario nazionale, essa ha una propria responsabilità in tale contesto, la quale non può essere limitata in alcuna maniera. Pertanto, quando un giudice nazionale, in un procedimento penale nazionale contro un (ex) membro della Commissione, ha dichiarato che determinati fatti non sono stati provati o lo sono stati ma non fanno sorgere la responsabilità penale, tale circostanza non può limitare i poteri della Corte di accertare e qualificare gli stessi fatti nel diverso e specifico contesto del procedimento di cui all’art. 213, n. 2, CE, che è disciplinato dal diritto comunitario.

96.      Per questi motivi, ritengo che il cosiddetto principio «le pénal tient le disciplinaire en l’état» non si possa applicare alla Corte nel contesto del procedimento ex art. 213, n. 2, CE.

97.      Anche se si considerasse tale principio applicabile in questa causa, concordo con la Commissione che i fatti sottoposti al giudice istruttore in Belgio e quelli oggetto della causa in esame non sono del tutto identici. Il primo procedimento a carico della sig.ra Cresson riguardava, tra l’altro, l’eventuale sussistenza di prove di falso e di frode commessi nel compilare gli ordini di missione per il sig. Berthelot e nel redigere la sua relazione finale al termine del suo primo periodo di contratto. Oggetto di questa causa è invece l’accusa di favoritismo di cui avrebbe dato prova la sig.ra Cresson per quanto riguarda l’assunzione ed il trattamento del sig. Berthelot e nell’offrire contratti al sig. Riedinger. Si tratta di una questione completamente diversa. I fatti oggetto del procedimento penale erano mere conseguenze secondarie o espressioni del trattamento preferenziale riservato ad entrambi questi signori su presunta iniziativa della sig.ra Cresson. Essi non vanno confusi con il soggiacente favoritismo in sé che, inoltre, è una questione che non rientra nell’ambito penale.

98.      Voglio inoltre ribadire che non sussiste alcun ostacolo all’applicazione concomitante di un procedimento penale nazionale ed un procedimento ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE. Questi due tipi di procedimento perseguono scopi differenti, rispettivamente nell’ordinamento nazionale e comunitario. Mentre il primo è diretto a far rispettare norme ritenute fondamentali per la struttura di una società a livello nazionale, il secondo è volto a garantire il buon funzionamento delle istituzioni comunitarie al fine di realizzare gli obiettivi del Trattato. Anche se il procedimento penale fosse proseguito e fosse terminato con l’irrogazione di una pena, ci sarebbe ancora stato spazio per infliggere le sanzioni stabilite dall’art. 213, n. 2, CE.

99.      Si deve quindi respingere l’argomento della sig.ra Cresson secondo cui la decisione della Chambre du conseil del Tribunal de première instance di Bruxelles del 30 giugno 2004 di non proseguire il procedimento penale a suo carico svuota di sostanza il ricorso della Commissione e lo rende di conseguenza irricevibile.

3.      De minimis non curat praetor

100. La sig.ra Cresson sostiene che il ricorso della Commissione è irricevibile considerata la modesta somma di denaro in gioco per quanto riguarda gli ordini di missione per il sig. Berthelot. La Commissione contesta tale argomento ed asserisce che esso, anche ammettendo che sia fondato, riguarda la fondatezza del ricorso, non la sua ricevibilità.

101. L’art. 213, n. 2, CE non contiene alcuna condizione relativa al grado di gravità della presunta violazione dei suoi obblighi da parte di un (ex) membro della Commissione come criterio cui la Commissione o il Consiglio devono attenersi nel presentare ricorso alla Corte. La decisione di avviare un procedimento ai sensi di tale norma del Trattato è lasciata alla sola discrezionalità dell’istituzione coinvolta. Qualsiasi decisione di iniziare un procedimento in forza di tale disposizione contro un (ex) membro della Commissione è adottata collettivamente dal collegio dei Commissari. Si può presumere che tale decisione non sia presa alla leggera.

102. Inoltre, la modestia del danno materiale causato agli interessi della Comunità non è un metro per valutare la gravità della violazione degli obblighi, che sta all’origine del danno, da parte del Commissario in questione. Ciò che rileva è se il comportamento in esame sia idoneo ad arrecare pregiudizio all’autorità ed alla credibilità della Commissione ed alla fiducia nella Commissione nutrita dalle altre istituzioni, dagli Stati membri e dalla collettività. Nella causa in esame è evidente che la condotta della sig.ra Cresson ha prodotto siffatto danno.

103. Pertanto, il fatto che l’importo di cui ha beneficiato il sig. Berthelot fosse relativamente esiguo non incide sulla ricevibilità del ricorso della Commissione. Come quest’ultima giustamente rileva, questo aspetto, al limite, può essere preso in considerazione nel giudicare il merito della causa.

4.      Conclusioni sulla ricevibilità

104. Alla luce delle considerazioni che precedono, concludo che gli argomenti avanzati dalla sig.ra Cresson vertenti sull’irricevibilità del ricorso della Commissione non sono fondati.

B –    Questioni procedurali

105. La sig.ra Cresson solleva una serie di obiezioni sul modo in cui si è svolto il procedimento dinanzi alla Commissione prima della presentazione del ricorso alla Corte e critica la mancanza di garanzie procedimentali nell’applicazione dello stesso art. 213, n. 2, CE. Sebbene tali censure, riassunte sopra, ai paragrafi 51 e da 60 a 62, siano state presentate in subordine, dal punto di vista sistematico è opportuno analizzarle prima di passare al merito della causa.

106. Come giustamente rilevato dalla sig.ra Cresson, non esiste un quadro procedimentale definito che disciplini la preparazione della decisione della Commissione di adire la Corte ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE qualora essa ritenga che uno dei suoi membri, o ex membri, abbia violato gli obblighi derivanti dalla sua carica di Commissario. Viste le gravi conseguenze personali che siffatta decisione può comportare, la Commissione deve agire con la dovuta cautela in sede di accertamento e valutazione dei fatti, comunicando la sua posizione alla persona coinvolta ed ascoltandola in merito alle accuse che le sono mosse. Tale dovere di procedere con prudenza e di tenere pienamente conto dei diritti della difesa è particolarmente intenso in mancanza di precedenti e di procedimenti preparatori sanciti dalla giurisprudenza. In linea di massima, la Commissione ha proceduto con cautela nella preparazione di tale procedimento, mettendo a punto una comunicazione degli addebiti e trasmettendola alla sig.ra Cresson, nonché offrendo a quest’ultima l’opportunità di replicare per iscritto ed oralmente. Ritengo importante sottolineare questo punto generale prima di valutare le singole censure mosse dalla sig.ra Cresson.

107. Non può essere accolta la prima censura sollevata dalla sig.ra Cresson, vertente sul fatto che l’indagine amministrativa di cui è stata oggetto avrebbe dovuto essere stata avviata del collegio dei Commissari poiché il Direttore generale del personale non era competente a tal fine. Oltre al fatto che non vi è alcuna regola, scritta o non scritta, secondo cui una decisione di indagare su sospette irregolarità commesse da un Commissario può essere adottata solo dai suoi pari, il Direttore generale opera sotto la diretta responsabilità di un membro della Commissione. Occorre nuovamente sottolineare che ciò che rileva è che, decidendo di ricorrere al procedimento ex art. 213, n. 2, CE, la Commissione ha assunto piena responsabilità per i fatti su cui basa le sue accuse.

108. Per quanto riguarda la violazione dei suoi diritti fondamentali, la sig.ra Cresson afferma innanzi tutto che il periodo di sette anni trascorso tra i fatti che le sono addebitati e l’avvio del procedimento a suo carico nel 2003 è inaccettabile. Relativamente a questa censura, occorre rilevare che l’art. 213, n. 2, CE non prevede alcun limite temporale per l’avvio di un procedimento a carico di un (ex) Commissario. Nel caso di specie, la decisione di iniziare il procedimento contro la sig.ra Cresson è giunta al termine di una serie di indagini e di riforme interne in seno alla Commissione di cui la sig.ra Cresson doveva essere al corrente. È vero che un periodo di sette anni prima dell’avvio di un procedimento diretto ad irrogare una sanzione economica è rilevante, tuttavia ciò non incide sulla legittimazione della Commissione ad adire la Corte ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE. Se tale periodo costituisse un motivo di irricevibilità – come rileva la Commissione – essa ed il Consiglio non potrebbero proporre un’azione quando i fatti sono accertati molto più tardi rispetto a quando sono accaduti. Ritengo tuttavia che il periodo trascorso tra i fatti di causa e la decisione di avviare il procedimento ex art. 213, n. 2, CE sia un elemento di cui tener conto in sede di decisione di una eventuale sanzione. Ritornerò su questo punto in seguito.

109. La seguente presunta violazione dei diritti fondamentali della difesa della sig.ra Cresson consisterebbe nel fatto che essa non è stata oggetto di un procedimento equo, poiché nel corso dell’intero procedimento la Commissione ha svolto il ruolo di giudice istruttore, intervenendo nel procedimento penale in Belgio e avviando diverse indagini amministrative, ed in seguito quello di pubblico ministero, ricorrendo alla Corte ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE. Inoltre, negando alla sig.ra Cresson l’accesso ai verbali della riunione della Commissione in cui è stata presa la decisione di avviare il procedimento in esame, la Commissione avrebbe violato il principio del contraddittorio. Quanto al primo punto, rilevo che per tutta la durata del procedimento la Commissione ha esercitato correttamente i suoi poteri ai sensi del Trattato, sia nello svolgimento delle indagini, sia nel decidere di adire la Corte. È fuorviante assimilare la sua azione in tale contesto a ruoli che le sono estranei. Quanto al secondo punto, posto che la sig.ra Cresson era stata pienamente informata delle accuse che le erano rivolte, contenute nella comunicazione degli addebiti, il rifiuto di concederle accesso ai verbali della riunione della Commissione del 19 luglio 2004 non ha violato il suo diritto ad un procedimento equo.

110. In seguito, sempre allo stesso titolo, la sig.ra Cresson lamenta che la Commissione non è stata imparziale nell’adottare la decisione di avviare il procedimento previsto dall’art. 213, n. 2, CE, in quanto ha agito a seguito di pressioni politiche da parte del Parlamento europeo. Ancora una volta occorre sottolineare che, sebbene rientri nella responsabilità della Commissione decidere se adire o meno la Corte in forza di tale disposizione, in definitiva è la Corte a decidere se sussistano le condizioni per irrogare una sanzione e quale sanzione sia adeguata alle circostanze. La questione se la Commissione abbia agito imparzialmente proponendo il ricorso è irrilevante. Occorre pertanto respingere questa censura.

111. La sig.ra Cresson afferma infine che è stata commessa una serie di irregolarità procedimentali nel contesto delle indagini amministrative. È opportuno rilevare che le varie indagini amministrative sui presunti casi di favoritismo a carico della sig.ra Cresson sono state la conseguenza diretta di accuse più generali relative a comportamenti professionalmente scorretti tenuti all’epoca in seno alla Commissione. Tali indagini non erano quindi considerate, in quanto tali, la preparazione dell’apertura di un procedimento ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE nei suoi confronti. Esse hanno acquisito tale funzione solo ex post, il 21 gennaio 2003, quando la Commissione ha deciso di inviare la sua comunicazione degli addebiti alla sig.ra Cresson. La decisione di avviare il procedimento ex art. 213, n. 2, CE rientra nella sola responsabilità della Commissione, nella sua veste di organo collegiale. Prendendo tale decisione essa assume altresì piena responsabilità per i fatti su cui fonda il suo ricorso. Spetta poi alla Corte valutare il merito della causa sulla base degli elementi di fatto. Considerate in questa prospettiva, le varie presunte irregolarità formali – a mio parere alquanto insignificanti – che si asserisce siano state commesse nella fase preparatoria non possono, anche se si sono verificate, incidere sulla veridicità o sulla validità dei fatti presentati alla Corte dalla Commissione.

112. La principale obiezione sollevata dalla sig.ra Cresson in tema di diritti della difesa consiste nel fatto che, nel procedimento in esame, essa non ha diritto di ricorso avverso la sentenza della Corte. Essa fa un paragone con la situazione delle cause che coinvolgono il personale della Comunità e con la situazione esistente in Belgio per quanto riguarda i ministri del governo, dove sono previsti due gradi di giudizio per decidere le cause in materia di abuso d’ufficio. È vero che la Corte, effettivamente, è giudice di prima ed ultima istanza nei procedimenti ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE; occorre tuttavia domandarsi se ciò comporti una violazione dei diritti fondamentali della difesa. Al riguardo, vorrei richiamare nuovamente la particolare natura del procedimento previsto dall’art. 213, n. 2, CE, il quale non può essere semplicemente assimilato ad un procedimento disciplinare contro un dipendente della Comunità. Detto procedimento presenta piuttosto natura costituzionale ed è avviato nell’interesse generale di ricostituire la fiducia nel funzionamento della Commissione. Trattandosi di una forma di «catarsi» costituzionale, è opportuno che sia il giudice supremo dell’ordinamento giuridico comunitario a statuire su tali cause in un unico grado e che le dette cause non rimangano sub judice più a lungo di quanto necessario per tale funzione. Il procedimento dinanzi alla Corte, inoltre, prevede sufficienti garanzie a tutela degli interessi del Commissario coinvolto. Oltre alle garanzie stabilite dallo Statuto della Corte di giustizia e dal suo regolamento di procedura, una garanzia ulteriore è costituita dal fatto che siffatte cause sono sottoposte alla seduta plenaria (art. 16, n. 4, dello Statuto). Alla luce della particolare natura e funzione del procedimento ex art. 213, n. 2, CE, ritengo che l’impossibilità di proporre appello contro la sentenza della Corte non costituisca una violazione dei diritti fondamentali della difesa.

113. A mio avviso, pertanto, le varie obiezioni sollevate dalla sig.ra Cresson contro il procedimento condotto dalla Commissione prima della presentazione del ricorso in esame e contro il procedimento ex art. 213, n. 2, CE in quanto tale devono essere respinte perché infondate.

C –    Merito

114. La prossima questione da affrontare è se i fatti imputati dalla Commissione alla sig.ra Cresson rappresentino una violazione degli obblighi derivanti dalla sua carica di Commissario ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE. La sig.ra Cresson non contesta, in quanto tali, i fatti relativi ai sigg. Berthelot e Riedinger. Essa afferma tuttavia, in sostanza, che in entrambi i casi le disposizioni comunitarie applicabili sono state osservate.

115. Come indicato sopra, al Capitolo VI di queste conclusioni, la carica di membro della Commissione richiede che il suo titolare rispetti i più alti standard di indipendenza, imparzialità ed onestà, sia nelle relazione esterne, sia nella sua condotta in seno alla Commissione.

116. In questa causa, per quanto riguarda il caso Berthelot, è pacifico che la sig.ra Cresson ha espresso il desiderio di assumere un suo amico personale, il sig. Berthelot, in qualità di suo consigliere personale. È stato altresì dimostrato che, nonostante il suo capo di gabinetto l’avesse avvertita che non vedeva alcun modo in cui la Commissione avrebbe potuto impiegare il sig. Berthelot, la sig.ra Cresson si rivolse ad uno dei servizi per i quali era responsabile, la DG XII, per individuare una modalità adeguata per assumerlo. In seguito, su proposta di tale servizio, al sig. Berthelot fu offerto un contratto di consulente scientifico. Il suo compito, come risulta dal fascicolo relativo al suo caso, era di «partecipare, in stretta collaborazione con il gabinetto della sig.ra Cresson, alla preparazione del Quinto Programma Quadro e di specifici programmi nell’ambito delle scienze della vita [e] di garantire i collegamenti con la comunità scientifica nazionale, in particolare con la comunità francese». Alla luce dell’atipicità delle sue credenziali scientifiche e del luogo di lavoro – presso la sig.ra Cresson invece della DG XII – è chiaro che si trattava di un modo di procedere insolito, volto a consentire al sig. Berthelot di essere assunto nel modo precedentemente indicato dalla sig.ra Cresson.

117. Non è neppure messo seriamente in discussione che il sig. Berthelot ricevette un rimborso di EUR 6 930 per missioni a Châtellerault, né che la durata complessiva dei suoi contratti venne prorogata oltre il massimo consentito, né che la sig.ra Cresson desiderava prolungare il rapporto contrattuale con il sig. Berthelot dopo le sue dimissioni per motivi di salute.

118. Quanto al caso Riedinger, è stato anche qui dimostrato che la sig.ra Cresson offerse ad un altro amico personale almeno due contratti per realizzare studi su materie che non risultano del tutto rilevanti per le aree politiche per le quali la sig.ra Cresson era competente. Sebbene tali contratti non siano stati eseguiti e non abbiano dato origine ad alcuna spesa a carico del bilancio comunitario, non si può ritenere che ciò fosse prevedibile al momento in cui essi furono offerti.

119. È importante che tali fatti siano valutati in maniera non isolata dal contesto generale in cui essi sono accaduti. La sig.ra Cresson, nella sua difesa, sottolinea che le disposizioni comunitarie sono state rispettate, ad esempio per quanto riguarda l’assunzione del sig. Berthelot, e che altre circostanze, come gli ordini di missione del sig. Berthelot a Châtellerault, non possono esserle imputate. Ciò che comunque rileva, è che tutte queste circostanze sono sintomatiche di un atteggiamento di fondo che dimostra come la sig.ra Cresson, nel periodo in cui ricopriva la carica di membro della Commissione, fosse disposta ad utilizzare la detta carica per estendere vantaggi ad amici personali a carico del bilancio comunitario. In altri termini, non ci si può immaginare che il sig. Berthelot sarebbe stato assunto dalla Commissione alle stesse condizioni e avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di favore se la sig.ra Cresson non avesse ricoperto la carica di membro della Commissione.

120. Alla luce dei fatti sottoposti alla Corte dalla Commissione e dalla sig.ra Cresson, ritengo che quest’ultima sia stata a buon diritto accusata di favoritismo da parte della Commissione, come già concluso in precedenza dal Comitato di esperti indipendenti nella sua relazione del 15 Marzo 1999, e che non sia necessario valutare se tale comportamento costituisca anche una grave negligenza. Anche se tale condotta si è concretizzata solo nei due casi su cui è incentrato il procedimento in esame, la mera disponibilità a tenere siffatta condotta mentre si ricopre un’alta carica è sufficiente a sollevare dubbi sull’onestà e l’imparzialità della sua attività di Commissario in generale. Il semplice sospetto di parzialità basta ad insinuare siffatti dubbi. Ciò si è riflettuto necessariamente sul ruolo della sig.ra Cresson nell’ambito del procedimento decisionale collegiale in seno alla Commissione, in quanto essa non era più in grado di garantire il soddisfacimento delle condizioni necessarie per svolgere tale funzione. Il suo comportamento era a sua volta tale da pregiudicare la fiducia del mondo esterno nell’indipendenza della Commissione. Visto lo sviluppo della vicenda, tale rischio si è effettivamente realizzato, con conseguente grave danno all’immagine pubblica della Commissione.

121. Pertanto, concludo che la sig.ra Cresson, dando prova di favoritismo, ossia della volontà di utilizzare la propria carica di Commissario per accordare vantaggi a conoscenti personali, ha violato gli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE.

D –    Sanzione

122. La Commissione chiede alla Corte, qualora quest’ultima statuisca contro la sig.ra Cresson, di pronunciare la decadenza totale o parziale dai suoi diritti a pensione e/o da altri benefici collegati a tali diritti o di privarla di altri vantaggi sostitutivi, come previsto dall’art. 213, n. 2, CE. La Commissione lascia al libero apprezzamento della Corte la determinazione della natura e della portata di tale sanzione, ma precisa tuttavia che qualsiasi sanzione deve essere inflitta tenendo conto del principio di proporzionalità. Essa indica che i fattori applicabili in sede di determinazione delle sanzioni nei procedimenti disciplinari contro i funzionari della Comunità, elencati all’art. 10 dell’allegato IX dello Statuto del personale, possono presentare valore indicativo a tal fine.

123. In sede di decisione sull’irrogazione e sulla portata di una sanzione pecuniaria ex art. 213, n. 2, CE, la considerazione principale da svolgere verte sulla gravità della violazione degli obblighi alla luce della natura del comportamento illecito e del danno causato alla Commissione come istituzione. Nelle mie considerazioni sul merito della causa ho già rilevato come un comportamento incline al favoritismo da parte di un membro della Commissione incida direttamente sul modo in cui viene percepita la funzione della persona interessata nel procedimento decisionale collegiale in seno alla Commissione. Tale comportamento produce inoltre effetti sull’immagine pubblica e sulla reputazione della Commissione, che in questa fattispecie è risultata gravemente danneggiata. A ciò si può aggiungere che il tempo necessario per recuperare la reputazione e la legittimità che tale istituzione si è guadagnata nel corso degli anni è sproporzionatamente lungo. Pertanto, il danno cagionato è grave e duraturo.

124. Alla luce di tali osservazioni, non esito a concludere che la violazione degli obblighi da parte della sig.ra Cresson merita una sanzione pecuniaria, come previsto dall’art. 213, n. 2, CE. A mio avviso, tale violazione è sufficientemente grave da giustificare la completa decadenza dai diritti a pensione e dai vantaggi ad essi collegati. Tuttavia sussistono una serie di fattori che giustificano solo una parziale decadenza da tali diritti e vantaggi.

125. Il primo di questi, come giustamente rilevato dalla sig.ra Cresson, è che tra la prima indagine amministrativa e la decisione di avviare il procedimento ex art. 213, n. 2, CE nei suoi confronti è trascorso un notevole lasso di tempo. Solo da quel momento essa ha potuto realisticamente considerare la possibilità di essere privata, in tutto o in parte, dei suoi diritti a pensione. Occorre poi considerare che la sig.ra Cresson ha già notevolmente sofferto di un danno alla sua reputazione a causa della copertura mediatica della vicenda. Occorre inoltre dare un certo peso al fatto che il comportamento della sig.ra Cresson, apparentemente, ha trovato un certo sostegno nella cultura amministrativa in seno alla Commissione all’epoca (14). Infine, occorre tener presente che questa è la prima volta che un ricorso ai sensi dell’art. 213, n. 2, CE sfocia in una sentenza della Corte.

126. D’altro lato, considerando che è necessario reagire in modo credibile alla violazione degli obblighi da parte della sig.ra Cresson, concludo che una riduzione del 50% dei suoi diritti a pensione e dei relativi vantaggi dal momento della pronuncia della sentenza della Corte in questa causa è una sanzione adeguata. Posto che essa ha beneficiato della totalità dei suoi diritti a pensione fin dalle sue dimissioni nel 1999, non vedo motivi per limitare tale sanzione nel tempo.

VIII – Spese

127. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la sig. Cresson, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese. In conformità all’art. 69, n. 4, la Repubblica francese, intervenuta a sostegno della sig.ra Cresson, sopporta le proprie spese.

IX – Conclusione

128. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di:

–        dichiarare ricevibile il ricorso della Commissione;

–        dichiarare che, dando prova di favoritismo, ossia della volontà di utilizzare la propria carica di Commissario per accordare vantaggi a conoscenti personali, la sig.ra Cresson ha violato gli obblighi derivanti dalla carica di membro della Commissione ai sensi degli artt. 213, n. 2, CE e 126, n. 2, EA;

–        pronunciare la decadenza della sig.ra Cresson dal 50% dei suoi diritti a pensione e dei relativi vantaggi a partire dalla data della sentenza in questa causa;

–        condannare la sig.ra Cresson alle spese;

–        condannare la Repubblica francese a sopportare le proprie spese.


1 – Lingua originale: l'inglese.


2 – Dato che queste due disposizioni sono identiche, nel resto del presente testo si farà riferimento solo all'art. 213, n. 2, CE.


3 – Causa C‑290/99, Consiglio/Bangemann, cancellata dal ruolo della Corte con ordinanza 3 febbraio 2000, GU C 122, pag. 17.


4 – Comitato di esperti indipendenti, Prima relazione sui presunti casi di frode, cattiva gestione e nepotismo in seno alla Commissione europea.


5 – Paragrafo 8.1.35 della relazione.


6 – Sentenza 10 giugno 2004, causa T‑307/01, François/Commissione (Racc. pag. II ‑1669).


7 – Sentenza 30 maggio 2002, causa T‑197/00, Onidi/Commissione [Racc. (2002) pag. II-325].


8 – Paragrafo 1.5.4 della relazione.


9 – Simili procedure costituzionali esistono negli Stati membri per i titolari di alte cariche pubbliche che non possono essere rimossi per decisioni prese nello svolgimento delle loro funzioni. È il caso, inter alia, dei presidenti della Repubblica federale di Germania (art. 61, n. 2 del Grundgesetz), della Repubblica francese (art. 68 della Costituzione del Repubblica francese) e della Repubblica italiana (art. 90 della Costituzione della Repubblica Italiana). V. anche la procedura di impeachment negli Stati Uniti d'America prevista dall'art. II, sezione 4 della Costituzione degli Stati Uniti.


10 – La versione più recente è contenuta nel documento SEC(2004) 1487/2.


11 – Tratto dalla prima trasmissione del famoso documentario televisivo della BBC «Civiltà» del 1968.


12 – V. paragrafo 1.5.4 della relazione.


13 –      «Pronunciando solennemente queste parole, in nome di tutti noi, come richiesto dal Trattato, riconosciamo l'essenza degli obblighi che ci sono ora comuni. Per “essenza” dei nostri obblighi intendiamo il fatto che serviamo l'Europa – l'Europa e non un qualsiasi interesse particolare, che sia nazionale, professionale, economico o personale. In ciò risiede la difficoltà della nostra missione, ma allo stesso tempo è questo che le conferisce una grande dignità». COM(58) PV 1 def. del 18 aprile 1958, disponibile anche su www.ena.lu.


14 – A tale proposito occorre rilevare che, sebbene il suo primo capo di gabinetto le avesse effettivamente sconsigliato di assumere il sig. Berthelot, altri servizi si sono dimostrati più disposti a collaborare per realizzare la sua intenzione.