Language of document : ECLI:EU:C:2011:858

SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

21 dicembre 2011 (*)

«Impugnazione – Aiuti di Stato – Regime di aiuti concessi a talune imprese di servizi pubblici – Esenzioni fiscali – Decisione che dichiara il regime di aiuti incompatibile con il mercato comune – Ricorso di annullamento – Ricevibilità – Legittimazione ad agire – Interesse ad agire – Art. 87 CE – Nozione di “aiuto” – Art. 88 CE – Nozione di “aiuto nuovo” – Art. 10 CE – Obbligo di leale cooperazione – Regolamento (CE) n. 659/1999 – Artt. 1 e 14 – Legittimità di un ordine di recupero – Principio della certezza del diritto – Obbligo di motivazione»

Nel procedimento C‑320/09 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposta il 10 agosto 2009,

A2A SpA, già AEM SpA, con sede in Brescia, rappresentata dagli avv.ti A. Santa Maria, A. Giardina e G. Pizzonia,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra E. Righini nonché dai sigg. V. Di Bucci e D. Grespan, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dal sig. A. Rosas, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, dai sigg. A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra K. Sztranc-Sławiczek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 luglio 2011,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la sua impugnazione, l’A2A SpA (in prosieguo: l’«A2A»), già AEM SpA (in prosieguo: l’«AEM»), chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 11 giugno 2009, causa T‑301/02, AEM/Commissione (Racc. pag. II‑1757; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale esso ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento degli artt. 2 e 3 della decisione della Commissione 5 giugno 2002, 2003/193/CE, relativa all’aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi dall’Italia in favore di imprese di servizi pubblici a prevalente capitale pubblico (GU 2003, L 77, pag. 21; in prosieguo: la «decisione controversa»).

2        Nella sua comparsa di risposta, la Commissione europea ha proposto un’impugnazione incidentale, chiedendo sia l’annullamento della sentenza impugnata, nella parte in cui dichiara ricevibile il ricorso, sia che il ricorso sia dichiarato irricevibile.

 Fatti

3        L’AEM era una società per azioni quotata in borsa e detenuta per il 51% dal Comune di Milano, ove essa svolgeva, segnatamente, le proprie attività. Costituita nel corso del 1996 a partire dall’omonima azienda municipale, essa operava nei settori dell’energia e del gas.

4        La legge italiana 8 giugno 1990, n. 142, recante ordinamento delle autonomie locali (GURI n. 135 del 12 giugno 1990), ha introdotto una riforma degli strumenti giuridici organizzativi offerti ai comuni per la gestione dei servizi pubblici, in particolare nei settori della distribuzione dell’acqua, del gas e dell’elettricità. A tal fine, l’art. 22 di detta legge, nella versione modificata, ha previsto la facoltà, per i comuni, di costituire, in particolare, società commerciali o società a responsabilità limitata a partecipazione maggioritaria pubblica (in prosieguo: le «società ex lege n. 142/90»).

5        Il combinato disposto dell’art. 3, comma 70, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 302 del 29 dicembre 1995), e dell’art. 66, comma 14, del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, recante armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie (GURI n. 203 del 30 agosto 1993), ha introdotto, a favore delle società ex lege n. 142/90, l’esenzione totale dall’imposta sulle imprese, vale a dire dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dall’imposta locale sul reddito, per un periodo di tre anni e non oltre l’anno fiscale 1999 (in prosieguo: l’«esenzione triennale»).

6        In seguito ad una denuncia riguardante, in particolare, detta misura e ad uno scambio d’informazioni in merito con le autorità italiane, la Commissione ha comunicato a queste ultime, con lettera del 17 maggio 1999, la sua decisione di avviare il procedimento di cui all’art. 88, n. 2, CE.

7        Il 5 giugno 2002 la Commissione adottava la decisione controversa.

8        In tale decisione, la Commissione ha sottolineato che la sua inchiesta verte solo su regimi di aiuto di portata generale istituiti con le misure controverse e non su misure individuali di aiuto concesse alle singole imprese. Al riguardo, essa ha dichiarato che la Repubblica italiana «non ha concesso vantaggi fiscali su base individuale e non [le] ha notificato alcun caso individuale di aiuto fornendole tutte le informazioni necessarie per poterlo valutare».

9        La Commissione ha spiegato che si considera, pertanto, tenuta a procedere a un esame generale ed astratto dei regimi di cui trattasi, sia in ordine alla loro qualificazione, sia in ordine alla questione della loro compatibilità con il mercato comune.

10      Secondo la Commissione, l’esenzione triennale costituisce un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune, in quanto non rispetta né i presupposti di cui all’art. 87, nn. 2 e 3, CE, né quelli previsti ex art. 86, n. 2, CE e viola, inoltre, l’art. 43 CE.

11      Gli artt. 2 e 3 della decisione controversa sono così formulati:

«Articolo 2

L’esenzione triennale dall’imposta sul reddito [d’impresa] (…) e (...) costituiscono aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87, paragrafo 1, [CE].

Detti aiuti non sono compatibili con il mercato comune.

Articolo 3

L’Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari l’aiuto concesso in virtù dei regimi di cui all’articolo 2, già posti illegittimamente a loro disposizione.

Il recupero viene eseguito senza indugio e secondo le procedure del diritto nazionale, sempreché queste consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione [controversa].

L’aiuto da recuperare comprende gli interessi che decorrono dalla data in cui l’aiuto è divenuto disponibile per il beneficiario, fino alla data del recupero. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione netto nell’ambito degli aiuti a finalità regionale.

(…)».

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

12      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 settembre 2002, l’AEM ha proposto un ricorso diretto all’annullamento degli artt. 2 e 3 della decisione controversa.

13      Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 gennaio 2003, la Commissione ha sollevato un’eccezione d’irricevibilità a norma dell’art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale.

14      Con ordinanza 5 agosto 2004, il Tribunale ha deciso di pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione unitamente al merito della causa.

15      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del suo regolamento di procedura, il Tribunale ha posto per iscritto alcuni quesiti alle parti, cui queste ultime hanno risposto nel termine stabilito.

16      Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale nel corso dell’udienza svoltasi il 16 aprile 2008.

17      A sostegno del suo ricorso, l’AEM ha sollevato cinque motivi. Il primo era riferito ad una violazione dell’art. 87, n. 1, CE e dell’art. 253 CE, riguardo alla qualificazione dell’esenzione triennale come aiuto di Stato. Il secondo motivo verteva sulla violazione degli artt. 88, n. 1, CE e 253 CE, a causa della qualificazione di detta esenzione quale aiuto nuovo. Con il suo terzo motivo, l’AEM ha invocato una violazione dell’art. 87, n. 3, lett. c), CE e dell’art. 253 CE. Il quarto motivo si basava sulla violazione dei principi di non discriminazione e di libertà di stabilimento, nonché su di un difetto di motivazione. Infine, con il suo quinto motivo l’AEM lamentava l’illegittimità dell’ordine di recupero.

18      Con la sentenza impugnata il Tribunale, pur giudicando il ricorso ricevibile, l’ha respinto nel merito.

19      Quanto alla ricevibilità, il Tribunale ha statuito, nei punti 42 e 43 della sentenza impugnata, che le persone fisiche o giuridiche, diverse dai destinatari di una decisione della Commissione, possono sostenere che detta decisione le riguarda individualmente solo se essa le concerne a causa di determinate qualità loro particolari o di una situazione di fatto che le contraddistingue rispetto a chiunque altro e, quindi, le identifica così come avverrebbe con il destinatario di una tale decisione. Pertanto un’impresa, in via di principio, non può impugnare una decisione della Commissione che vieta un regime di aiuti settoriale se è interessata da questa decisione solo a causa della sua appartenenza al settore in questione e della sua qualità di beneficiaria potenziale di tale regime.

20      Tuttavia, nei punti 44 e 45 della sentenza impugnata, il Tribunale ha giudicato che, qualora un’impresa sia interessata da una decisione della Commissione non solo in quanto impresa di un settore economico, potenzialmente beneficiaria del regime di aiuti ad esso relativo, ma anche nella sua qualità di beneficiaria effettiva di un aiuto individuale concesso a titolo di questo regime e del quale la Commissione ha ordinato il recupero, essa è individualmente interessata da detta decisione e il suo ricorso contro quest’ultima è ricevibile. Di conseguenza, il Tribunale ha dichiarato che occorreva verificare se l’AEM possedesse la qualità di beneficiaria effettiva di un aiuto individuale, concesso in base a un regime di aiuti settoriale e di cui la Commissione avesse ordinato il recupero.

21      A questo riguardo il Tribunale ha constatato, nei punti 46‑48 della sentenza impugnata, che dalla risposta dell’AEM ai quesiti posti per iscritto dal Tribunale si ricavava che quest’ultima era beneficiaria dell’esenzione triennale e che questa affermazione non era stata contraddetta dalla Repubblica italiana. Inoltre, poiché la Commissione aveva disposto il recupero dell’aiuto in questione, il Tribunale ha giudicato che l’AEM era individualmente interessata dalla decisione controversa.

22      Quanto al merito, il Tribunale ha statuito, con riferimento al primo motivo, che la Commissione non era tenuta a procedere ad un esame per settore e che essa ha constatato giustamente e chiarito sufficientemente che l’esenzione triennale poteva incidere sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri, creando un ostacolo alle imprese straniere che intendessero installarsi o vendere i loro servizi in Italia.

23      Esso ha respinto il secondo motivo, constatando che la Commissione aveva sostenuto giustamente e chiarito sufficientemente che l’esenzione triennale aveva modificato nella sostanza un aiuto esistente, il quale pertanto doveva considerarsi come aiuto nuovo ai sensi dell’art. 88 CE e del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659/1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [88 CE] (GU L 83, pag. 1).

24      Con riferimento al terzo motivo, il Tribunale ha statuito che la Commissione non aveva commesso errori nel constatare che l’esenzione triennale non soddisfaceva i requisiti previsti dall’art. 87, n. 3, lett. c), CE, in quanto non mirava a ripristinare la redditività dei beneficiari, non era riservata ad imprese in difficoltà e non poteva facilitare l’introduzione di un regime di concorrenza sui mercati interessati.

25      Il Tribunale ha dichiarato il quarto motivo inconferente, in quanto relativo ad un motivo dedotto in subordine nella decisione controversa.

26      Infine, il Tribunale ha respinto il quinto motivo, rilevando che la Commissione aveva ordinato unicamente il recupero degli aiuti incompatibili con il mercato comune ai sensi dell’art. 87 CE e che, dato che la nozione di aiuto presenta carattere giuridico, il giudice nazionale è competente ad interpretare le nozioni di aiuto e di aiuto esistente. Il Tribunale ha aggiunto che accogliere la tesi sostenuta dall’AEM equivarrebbe ad eliminare sistematicamente la possibilità di recuperare gli aiuti indebitamente versati e quindi svuoterebbe di significato gli artt. 87 CE e 88 CE.

 Conclusioni delle parti

27      L’A2A, in qualità di successore giuridico dell’AEM in seguito a una fusione per incorporazione dell’ASM Brescia SpA da parte dell’AEM e a una successiva modifica della denominazione sociale, chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata e la decisione controversa;

–        respingere l’impugnazione incidentale; e

–        condannare la Commissione alle spese relative ai due gradi di giudizio.

28      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata, limitatamente alla parte in cui essa dichiara ricevibile il ricorso;

–        dichiarare il ricorso irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso; e

–        condannare l’A2A alle spese dei due gradi di giudizio.

 Sulle impugnazioni

 Sull’impugnazione incidentale

29      A sostegno della sua impugnazione incidentale, la Commissione invoca due motivi, vertenti su errori di diritto che il Tribunale avrebbe commesso relativamente alla valutazione della legittimazione e dell’interesse ad agire dell’AEM.

 Sul primo motivo, vertente sul difetto di legittimazione ad agire

–       Argomenti delle parti

30      In primo luogo, la Commissione ritiene che l’AEM non avesse la legittimazione ad agire nei confronti della decisione controversa, in quanto le imprese beneficiarie di sgravi fiscali concessi in via automatica in base ad una normativa nazionale qualificata come «regime di aiuti incompatibile con il mercato comune» non avrebbero un interesse individuale ad impugnare tale decisione.

31      Secondo la Commissione, la Corte riconosce detto interesse individuale a quei soggetti che rientrano in una cerchia ristretta i cui componenti, da un lato, sono identificati o identificabili e, dall’altro, si trovano in una posizione particolare, tale da conferire loro il diritto ad una protezione specifica e da obbligare l’istituzione a tenerne conto nell’adottare l’atto che li concerne.

32      Orbene, dalla giurisprudenza della Corte in tema di ricevibilità dei ricorsi relativi alle decisioni vertenti sui regimi di aiuti non risulterebbe che il Tribunale potesse dichiarare ricevibile il ricorso presentato dall’AEM contro la decisione controversa. Infatti, anche se una tale decisione è integrata da un ordine di recupero, dalle sentenze 19 ottobre 2000, cause riunite C‑15/98 e C‑105/99, Italia e Sardegna Lines/Commissione (Racc. pag. I‑8855), e 29 aprile 2004, causa C‑298/00 P, Italia/Commissione (Racc. pag. I‑4087), si ricaverebbe che l’esistenza di un interesse individuale tale da conferire la legittimazione ad agire dipende dall’esistenza di situazioni specifiche, note alla Commissione, inerenti alla concessione degli aiuti mediante atti individuali, tali da contraddistinguere i beneficiari tenuti al rimborso degli aiuti erogati rispetto a tutti gli altri beneficiari di detti aiuti.

33      Inoltre, anche nel caso in cui gli aiuti vengano erogati con atti individuali, ma in funzione di criteri prefissati e senza alcuna valutazione discrezionale, la decisione che dichiara il regime di aiuti incompatibile con il mercato comune, che costituisce il fondamento di tali atti, non riguarderebbe individualmente i beneficiari, neppure se la Commissione conoscesse l'identità di questi ultimi e ordinasse il recupero degli aiuti versati.

34      Secondo la Commissione, la situazione starebbe in questi termini perché, in primo luogo, l’ordine di recupero degli aiuti già versati è solo uno degli elementi della decisione controversa che continua a riguardare, per mezzo dell’ordine di soppressione in essa contenuto, tutti i beneficiari del regime di aiuti, ivi compresi i beneficiari potenziali.

35      In secondo luogo, le cose starebbero comunque così perché la situazione dei beneficiari degli aiuti concessi a titolo del regime di aiuti dichiarato incompatibile con il mercato comune non avrebbe rilevanza alcuna e non conferirebbe loro nessun diritto ad una protezione particolare, in quanto il singolo caso non può essere oggetto di un esame individuale da parte della Commissione nella decisione mediante la quale essa si pronuncia su un tale regime di aiuti.

36      In terzo luogo, i beneficiari di un regime di aiuti dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune non sarebbero interessati individualmente, perché l’identità di quelli tra essi che sono obbligati a restituire gli aiuti erogati verrebbe determinata solamente in un secondo momento, in ragione di criteri relativi ai casi individuali, come l’incidenza degli aiuti sugli scambi tra gli Stati membri, i requisiti di compatibilità parziale menzionati in detta decisione e l’applicazione di soglie minime.

37      Infine, le cose starebbero comunque così, in quarto luogo, perché riconoscere la legittimazione ad agire a beneficiari di un regime di aiuti che solo in seguito, in base ad un successivo ordine di recupero emanato dalle autorità nazionali, sapranno se sono tenuti a rimborsare gli aiuti erogati produrrebbe l’effetto di costringere questi ultimi a contestare la validità della decisione della Commissione dinanzi agli organi giudicanti dell’Unione europea, prima ancora di sapere se detta decisione implichi l’adozione di un provvedimento di recupero per quanto li concerne.

38      Infatti i giudici nazionali, successivamente investiti di un contenzioso attinente alla legittimità dell’ordine di recupero, non potrebbero più effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte per chiederle di pronunciarsi sulla validità della decisione della Commissione che abbia dichiarato incompatibile questo regime di aiuti con il mercato comune, dato che le imprese beneficiarie di detto regime avrebbero potuto impugnare l’atto direttamente dinanzi al giudice dell’Unione nei termini stabiliti.

39      La Commissione ammette che, nel punto 39 della citata sentenza Italia/Commissione, la Corte ha notato tuttavia che le ricorrenti nel caso che ha dato luogo a detta sentenza erano individualmente interessate dalla decisione della Commissione che vietava un regime di aiuti settoriale, in base alla loro qualità di beneficiarie effettive di un aiuto individuale concesso in applicazione di detto regime, di cui la Commissione aveva disposto il recupero, in quanto essa conosceva il numero di richieste accolte nonché l’ammontare dei crediti previsti e, in tal modo, era al corrente dell’esistenza dei suddetti beneficiari.

40      La Commissione invita la Corte a rimeditare questa soluzione.

41      A suo parere, la predetta soluzione appare poco conforme ai criteri generalmente applicabili in materia e mal si concilia con l’art. 230, quarto comma, CE. Nei punti 33 e 34 della sentenza 23 febbraio 2006, cause riunite C‑346/03 e C‑529/03, Atzeni e a. (Racc. pag. I‑1875), la Corte medesima avrebbe nutrito qualche dubbio a tal riguardo, dal momento che essa avrebbe concluso, per quanto concerne una decisione vertente su regimi di aiuti destinati a categorie di persone definite in maniera generale, la quale non è stata notificata da parte dello Stato membro interessato ai beneficiari effettivi degli aiuti in questione, che non era chiaro se sarebbe stato ricevibile un ricorso di annullamento presentato da detti beneficiari.

42      Orbene, anche se si dovesse accogliere la soluzione di cui alla citata sentenza Italia/Commissione, la Commissione ritiene che il Tribunale abbia indebitamente esteso questa giurisprudenza agli aiuti erogati in modo automatico in base, in particolare, ad un regime di esenzioni fiscali. Invero, né la Commissione, né lo Stato membro in questione conoscerebbero, al momento dell’adozione di una decisione del tipo di quella controversa, l’identità dei beneficiari del regime di aiuti in questione, l’entità degli aiuti concessi, la loro compatibilità o meno con il mercato comune e la necessità o meno di far luogo al loro recupero.

43      Nel caso di specie, la Commissione avrebbe espresso simili riserve nei punti 72, 85 e 126 della decisione controversa. In particolare, essa avrebbe fatto presente che tale decisione non pregiudicava la possibilità che aiuti individuali fossero considerati, interamente o parzialmente, compatibili con il mercato comune per ragioni attinenti al caso specifico, in particolare grazie alla regola de minimis, a una decisione futura della Commissione o a un regolamento di esenzione.

44      Secondo la Commissione, da ciò consegue che il recupero degli aiuti poteva svolgersi solo in esito ad un’operazione di accertamento delle effettive posizioni di ciascun beneficiario vertente, tra l’altro, sulla qualità di impresa, sull’incidenza degli aiuti sugli scambi, sul rischio di distorsione della concorrenza, sull’applicabilità della regola de minimis e sulla possibilità, o meno, di qualificare gli aiuti come «aiuti esistenti».

45      Cosciente di queste difficoltà, il Tribunale avrebbe posto quesiti in proposito alle imprese che avevano proposto ricorso contro la decisione controversa ed alla Repubblica italiana e, sulla base delle risposte ottenute, avrebbe dichiarato irricevibili i ricorsi presentati da alcune di tali imprese, in quanto le medesime non avevano dimostrato di aver goduto di aiuti erogati in base al regime controverso e di essere tenute a restituirli.

46      La Commissione fa notare che attualmente, da un lato, l’A2A e altre imprese interessate dalla decisione controversa negano l’obbligo di restituire gli aiuti di cui esse hanno goduto e, dall’altro, è in corso una procedura ex art. 228 CE contro la Repubblica italiana per l’omessa adozione delle misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza che aveva accertato l’inadempimento dell’obbligo di recupero.

47      In secondo luogo, la Commissione fa notare che il Tribunale ha violato l’art. 230, quarto comma, CE constatando che la decisione controversa riguardava individualmente l’AEM in base alla mera circostanza che, mediante tale decisione, la Commissione ordinava il recupero degli aiuti erogati a titolo di detto regime.

48      Dato che scaturisce da una giurisprudenza costante che la Commissione non è tenuta a esaminare le posizioni individuali in una decisione riguardante un regime di aiuti, la Commissione ne conclude, allo stato dei fatti, che detta decisione non può concernere individualmente le società beneficiarie degli aiuti, in quanto queste ultime non si trovano in una posizione particolare, tale da conferire loro il diritto ad una protezione specifica e da obbligare la Commissione a tenerne conto nell’adottare la suddetta decisione.

49      La Commissione ritiene di essere in grado di esaminare le posizioni individuali quando gli aiuti previsti da un regime sono concessi mediante atti individuali ad essa comunicati e ciò non sarebbe avvenuto nel caso delle agevolazioni fiscali, applicate dai beneficiari in sede di autoliquidazione dei loro tributi. In queste ultime fattispecie, solo a posteriori e con grandi difficoltà sarebbe possibile identificare i beneficiari degli aiuti in questione, obbligati a restituirli.

50      Secondo la Commissione, il confronto tra la sentenza impugnata e le sentenze con cui il Tribunale ha dichiarato ricevibili i ricorsi proposti da altre società contro la decisione controversa rende manifesto l’errore di diritto del Tribunale, posto che quest’ultimo ha basato le sue decisioni definitive su di una situazione instabile: difatti, l’obbligo delle società beneficiarie di restituire gli aiuti di cui esse hanno goduto poteva essere modificato in funzione dell’andamento delle procedure di recupero in corso a livello nazionale.

51      In proposito, la Commissione rammenta che la ricevibilità del ricorso dev’essere valutata con riferimento alla situazione esistente al momento del deposito dell’atto introduttivo e deduce che, di conseguenza, non è possibile attendere l’esito dei controlli effettuati dallo Stato membro in questione per determinare la legittimazione ad agire di un ricorrente. Inoltre, i procedimenti in corso dinanzi al Tribunale dovrebbero essere definiti più speditamente di quanto sia accaduto nel caso di specie.

52      La Commissione aggiunge che la soluzione che essa propone è consona alla logica che ha condotto gli estensori del Trattato di Lisbona a modificare l’art. 230 CE, divenuto art. 263, quarto comma, TFUE, nel senso che gli atti regolamentari che riguardano direttamente una persona e che non comportano nessuna misura d’esecuzione sono impugnabili. Invero, anche ipotizzando che le decisioni aventi ad oggetto un regime di aiuti di Stato possano essere classificate come atti regolamentari, esse comportano, secondo la Commissione, l’adozione di provvedimenti di esecuzione e, pertanto, non figurano tra gli atti impugnabili.

53      Infine, la Commissione ritiene che il carattere non automatico, secondo l’A2A, dell’effetto preclusivo risultante dalla sentenza 9 marzo 1994, causa C‑188/92, TWD Textilwerke Deggendorf (Racc. pag. I‑833), non escluda che, se la legittimazione ad agire dei beneficiari di un regime di aiuti è collegata al dovere di restituire gli aiuti percepiti, tutti i beneficiari di detto regime si vedano costretti, per evitare di essere privati di ogni forma di tutela giurisdizionale, a proporre ricorso ex art. 263 TFUE, benché i beneficiari di un regime di aiuti che sono tenuti a restituire gli aiuti ricevuti non possano essere identificati al momento dell’adozione della decisione di condanna di detto regime di aiuti.

54      Infatti, dato che l’applicazione di questa giurisprudenza dipenderebbe dalle circostanze proprie al caso concreto, i beneficiari degli aiuti il cui obbligo di restituzione non è stato ancora determinato si troverebbero in una situazione d’incertezza. La Commissione reputa che la suddetta giurisprudenza sia tale da favorire la presentazione di ricorsi inutili.

–       Giudizio della Corte

55      In forza dell’art. 230, quarto comma, CE, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro una decisione presa nei confronti di un’altra persona solo se detta decisione la riguarda, anche, individualmente.

56      Secondo una giurisprudenza costante, i soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere che essa li riguarda individualmente solo se detta decisione li concerne a causa di determinate qualità loro personali o di una situazione di fatto, che li caratterizza rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingue in modo analogo ai destinatari (sentenza 9 giugno 2011, cause riunite C‑71/09 P, C‑73/09 P e C‑76/09 P, Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 52, e giurisprudenza ivi citata).

57      A tal proposito, la Corte ha specificato che i beneficiari effettivi di aiuti individuali concessi in base ad un regime di aiuti di cui la Commissione ha ordinato il recupero sono, per tale ragione, individualmente interessati ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE (v. citate sentenze Italia e Sardegna Lines/Commissione, punti 34 e 35; Italia/Commissione, punti 38 e 39, nonché Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, punto 53).

58      Invero, dalla giurisprudenza scaturisce che l’obbligo di recupero imposto da una decisione della Commissione relativa ad un regime di aiuti individualizza sufficientemente tutti i beneficiari del regime di cui trattasi, in quanto costoro sono esposti, fin dall’adozione di detta decisione, al rischio che le agevolazioni che hanno ottenuto siano recuperate, e vedono così lesa la loro posizione giuridica. In particolare, l’eventualità che, successivamente, le agevolazioni dichiarate illegittime non siano recuperate presso i rispettivi beneficiari non esclude che questi siano considerati individualmente interessati (sentenza Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, cit., punto 56).

59      Tali beneficiari, pertanto, fanno parte di una cerchia ristretta, senza che sia necessario esaminare condizioni ulteriori, relative a situazioni in cui detta decisione non è accompagnata da un ordine di recupero (sentenze 17 settembre 2009, causa C‑519/07 P, Commissione/Koninklijke FrieslandCampina, Racc. pag. I‑8495, punto 54, nonché Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, cit., punto 56).

60      Peraltro, la Corte ha già respinto l’argomento della Commissione, secondo cui il riconoscimento della ricevibilità del ricorso contro una decisione della Commissione, che ordina il recupero degli aiuti di Stato, avrebbe l’effetto di costringere i beneficiari di detti aiuti ad impugnare immediatamente la suddetta decisione prima ancora di sapere se questa sfocerà in un ordine di recupero che li colpisca, salvo perdere il diritto di far valere, nell’ambito di un procedimento nazionale, l’invalidità delle disposizioni contenute in atti dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, cit., punti 57‑59).

61      Di conseguenza, nel giudicare che l’AEM è individualmente interessata dalla decisione controversa, il Tribunale non ha commesso errori di diritto.

62      Ne consegue che il primo motivo dell’impugnazione incidentale dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo ad una carenza di interesse ad agire

–       Argomenti delle parti

63      La Commissione rileva che era compito del Tribunale verificare d’ufficio se l’AEM avesse un interesse ad ottenere l’annullamento della decisione controversa, in quanto la carenza di interesse ad agire rientra tra i motivi di irricevibilità di ordine pubblico.

64      Secondo la Commissione, l’interesse ad agire di un ricorrente dev’essere certo e attuale, ossia deve esistere, a pena di irricevibilità, nei confronti dell’oggetto del ricorso a partire dal giorno della proposizione di quest’ultimo. Un interesse che riguardi una situazione giuridica futura sarebbe sufficiente, secondo la giurisprudenza, soltanto allorquando il ricorrente dimostra che il pregiudizio a tale situazione era comunque già certo, con l’esclusione di situazioni future ed incerte.

65      Orbene, secondo la Commissione, nel caso di vicende relative alle decisioni vertenti su regimi di aiuti, il recupero degli aiuti erogati dipende da fattori estrinseci rispetto a tali decisioni e, di norma, possono essere stabiliti solo più tardi, in esito agli accertamenti effettuati dallo Stato membro in questione e dalla Commissione.

66      Invero, il ricorso proposto dall’AEM si fondava, ad avviso della Commissione, sull’eventualità di un ordine di recupero futuro. Orbene, ci sarebbero voluti anni per ottenere un’indicazione provvisoria relativa ai beneficiari del citato regime di aiuti tenuti al rimborso degli aiuti stessi, alcuni dei quali continuerebbero a contestare dinanzi ai giudici italiani di essere tenuti a rimborsare gli aiuti. A tal riguardo, non sarebbe comunque dimostrato che l’A2A sia obbligata a restituire gli aiuti in questione in base al regime dichiarato incompatibile con il mercato comune.

67      Infatti, solo l’emanazione di un ordine di recupero da parte delle autorità nazionali potrebbe fondare un interesse concreto, effettivo e attuale ad agire per ottenere l’annullamento della decisione controversa che è all’origine di tale ordine. Orbene, l’AEM non avrebbe dimostrato, al momento del ricorso, che era destinataria di un tale ordine.

–       Giudizio della Corte

68      Occorre ricordare che l’interesse ad agire costituisce una condizione di ricevibilità che deve perdurare fino alla decisione del giudice nel merito. Secondo una giurisprudenza costante, un siffatto interesse esiste fintantoché il ricorso, con il suo esito, può procurare un beneficio alla parte che l’ha proposto (v., in questo senso, sentenza 14 settembre 2010, causa C‑550/07 P, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 22 e 23, nonché giurisprudenza ivi citata).

69      Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, l’interesse ad agire dell’AEM non si fondava sulla semplice eventualità che le autorità italiane possano emettere un ordine di recupero nei suoi confronti. Difatti, l’adozione della decisione controversa ha modificato la posizione giuridica dell’AEM dal momento che la Commissione, con detta decisione, ha dichiarato incompatibili con il mercato comune gli aiuti di cui l’AEM aveva goduto e ne ha ordinato il recupero (v. sentenza Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, cit., punto 77).

70      Quindi, fin dall’adozione della decisione controversa, l’AEM doveva attendersi, in linea di principio, di essere obbligata a restituire gli aiuti di cui essa aveva già goduto: ciò giustifica l’esistenza di un interesse ad agire in capo a essa. Inoltre, la Commissione non ha dedotto elementi che consentano di escludere l’emissione di un ordine di rimborso nei confronti dell’AEM (v., in tal senso, sentenza Comitato «Venezia vuole vivere» e a./Commissione, cit., punto 77).

71      Pertanto, nessun elemento era tale da rimettere in discussione l’interesse ad agire dell’AEM ed è a giusto titolo che il Tribunale non ha esaminato questa condizione di ricevibilità.

72      Di conseguenza, il secondo motivo dev’essere respinto.

73      Alla luce di quanto precede, l’impugnazione incidentale della Commissione dev’essere integralmente respinta.

 Sull’impugnazione principale

74      A sostegno della propria impugnazione, l’A2A deduce tre motivi. Il primo verte sulla violazione dell’art. 87, n. 1, CE, e dell’obbligo di motivazione, in quanto la sentenza impugnata qualifica come «aiuto di Stato» l’esenzione triennale. Con il suo secondo motivo, l’A2A lamenta una violazione dell’art. 88 CE e dell’obbligo di motivazione, in quanto la sentenza impugnata qualifica come «aiuto nuovo» la suddetta esenzione. Infine, con il terzo e ultimo motivo, l’A2A sostiene che il Tribunale avrebbe violato gli artt. 88 CE e 10 CE, nonché l’art. 14 del regolamento n. 659/1999 e il principio della certezza del diritto, confermando la legittimità dell’ordine di recupero degli aiuti in questione contenuto nella decisione controversa. L’A2A precisa che essa deduce il secondo motivo solo in subordine e il terzo in via ulteriormente subordinata.

 Sul primo motivo, vertente su violazioni dell’art. 87, n. 1, CE e dell’obbligo di motivazione

–       Argomenti delle parti

75      L’A2A addebita al Tribunale di aver qualificato l’esenzione triennale come «aiuto di Stato» basandosi su un’analisi superficiale, nonché su argomenti forniti dalla Commissione in pendenza del giudizio, senza aver dimostrato che detta esenzione pregiudicasse gli scambi tra gli Stati membri e falsasse la concorrenza.

76      L’A2A rileva che, come ribadito dalla giurisprudenza, il Tribunale deve esercitare un controllo completo, sulla base di elementi obiettivi, circa la qualificazione come «aiuto di Stato» di un provvedimento, tenuto conto sia degli elementi concreti della causa che del carattere complesso delle valutazioni della Commissione. Da ciò deriverebbe altresì che, in materia di aiuti di Stato, il Tribunale ha il dovere di verificare la correttezza e la congruità della motivazione delle decisioni della Commissione, la quale deve tenere conto di tutti gli elementi rilevanti del caso.

77      In particolare, l’A2A ritiene che, quando la Commissione deve dimostrare che il provvedimento in questione può incidere sugli scambi tra Stati membri e minacciare di falsare la concorrenza, essa deve apportare sufficienti elementi di prova; sono le circostanze a determinare ciò che costituisce un simile elemento di prova. Invero, nell'ipotesi in cui la misura fosse, di per sé, tale da pregiudicare gli scambi o da falsare la concorrenza, basterebbe, al fine di dimostrare che essa costituisce un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE, che la Commissione esponesse le circostanze stesse nella propria decisione. Viceversa, nell'ipotesi contraria, la Commissione sarebbe tenuta a fornire ulteriori elementi di prova.

78      Secondo l’A2A, le caratteristiche dei settori economici interessati rendono dubbia, nel caso di specie, la sussistenza dei requisiti costituitivi di un aiuto di Stato, sicché l’obbligo di motivazione della Commissione e, pertanto, il dovere di controllo del Tribunale sarebbero ancor più stringenti.

79      In casi come questo, secondo la giurisprudenza dell’Unione non basterebbe una motivazione generica, basata sul richiamo dei principi tratti da detta giurisprudenza e sulla circostanza che non possano escludersi effetti sugli scambi tra Stati membri ovvero sulla concorrenza. Sarebbe invero necessario far emergere con sufficiente chiarezza il nesso tra i principi enunciati e i dati di fatto specifici del caso, in modo tale da poter concludere che gli aiuti controversi possono produrre effetti di tal genere.

80      L’A2A sottolinea che il carattere generale del regime di aiuti in questione non può esimere la Commissione dall’esaminare l’incidenza concreta di tale regime sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri. Semmai, l’esame richiesto potrebbe differenziarsi da quello relativo agli aiuti singoli o agli aiuti concessi a singoli settori mediante un ricorso più intenso a dati statistici e macroeconomici, a scenari prospettici e al panorama normativo concernente settori fortemente regolamentati, quali quelli in esame.

81      Orbene, secondo l’A2A, nella fattispecie la Commissione si è limitata, senza alcun approfondimento e senza tenere conto delle particolarità dei settori interessati, alla mera allegazione di effetti di detto regime sul commercio o sulla concorrenza. Il Tribunale, avendo giudicato sufficiente accertare che si trattava di un regime destinato ad una specifica categoria di imprese attive in più di un settore per concluderne che il regime di aiuti in questione era tale da influire sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri, ha ignorato le argomentazioni dell’A2A, si sarebbe astenuto dal verificare i presupposti che integrano la nozione di «aiuto di Stato» e si sarebbe limitato a ribadire la predetta allegazione della Commissione.

82      In particolare, quando ha rilevato che le misure in questione riguardavano solamente determinate società, il Tribunale avrebbe confuso il requisito della «selettività», insufficiente di per sé perché si configuri un aiuto, con quello della distorsione della concorrenza. Peraltro, benché le società ex lege n. 142/90 fossero attive in vari settori dei servizi pubblici locali, tale assunto non implicherebbe affatto l’esistenza di una situazione concorrenziale in detti settori, in quanto la somma di più settori monopolistici non costituisce un settore concorrenziale.

83      In particolare, quanto alla possibilità per le società ex lege n. 142/90 di operare liberamente sul mercato, il Tribunale avrebbe ripreso due sentenze rese dai giudici italiani, alle quali la Commissione avrebbe già fatto riferimento, ai sensi delle quali le predette società hanno la possibilità di operare in settori diversi da quelli dei servizi pubblici locali. Orbene, da un lato, la sentenza della Corte Suprema di Cassazione 6 maggio 1995, n. 4989, si limiterebbe a chiarire il regime giuridico delle società ex lege n. 142/90 e nulla stabilirebbe in merito al loro ambito di attività. Dall’altro, secondo l’A2A, la sentenza del Consiglio di Stato 3 settembre 2001, n. 4586, è intervenuta successivamente tanto al periodo di vigenza dell’esenzione triennale, quanto alla liberalizzazione, nel corso del 1999, dei settori della distribuzione del gas naturale e dell’energia elettrica.

84      L’A2A osserva che, secondo lei, dalla giurisprudenza dell’Unione discende che la legittimità di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato dev’essere giudicata alla sola stregua delle valutazioni espresse nella stessa decisione. Eventuali considerazioni e affermazioni dedotte dinanzi al Tribunale non potrebbero porre rimedio ad un vizio di motivazione.

85      Orbene, nel caso di specie la Commissione avrebbe tentato di integrare, nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, la carenza di motivazione della decisione controversa in tema d’incidenza sugli scambi tra Stati membri e di distorsione della concorrenza, mediante il riferimento alla citata sentenza 3 settembre 2001, n. 4586. L’A2A sottolinea come, nel punto 96 della sentenza impugnata, il Tribunale si sia riferito segnatamente a detto elemento, sebbene la decisione controversa non vi faccia riferimento.

86      Quanto alla circostanza che il Tribunale avrebbe rilevato la sussistenza di un mercato concorrenziale, l’A2A osserva che, al pari delle aziende preesistenti, le società ex lege n. 142/90, sino alla liberalizzazione nel corso del 1999 e a detta sentenza 3 settembre 2001, n. 4586, altro non erano che organi strumentali degli enti locali per la gestione efficiente dei servizi pubblici locali. L’A2A sottolinea che, in virtù dell’affidamento diretto, non vi erano gare per l’attribuzione del servizio pubblico che fosse possibile falsare, e che le società ex lege n. 142/90 non partecipavano a gare del genere.

87      Quando il Tribunale ha dichiarato che l’affidamento diretto delle concessioni non consentiva di provare l’assenza di concorrenza sul mercato interessato, ma dimostrava gli effetti restrittivi di tali misure su detto mercato, secondo l’A2A esso ha confuso l’affidamento diretto del servizio con il regime fiscale di cui beneficiano le società ex lege n. 142/90; ogni potenziale effetto restrittivo sulla concorrenza sarebbe determinato a monte dall’affidamento diretto del servizio e non dall’esenzione triennale. La considerazione secondo la quale non si potrebbe escludere che la predetta esenzione abbia incentivato l’affidamento diretto delle concessioni sarebbe solo una motivazione generica e meramente ipotetica, non ammessa dalla giurisprudenza.

88      L’A2A ritiene che le medesime considerazioni si applichino a maggior ragione in relazione ai pretesi effetti sugli scambi tra Stati membri. Invero, le società ex lege n. 142/90, all’epoca della decisione controversa, avrebbero operato solamente sui mercati che erano loro riservati e l’affidamento diretto dei servizi pubblici locali non avrebbe consentito ad altre società di intromettersi. Le peculiarità del settore dei servizi pubblici locali in questione avrebbero inoltre sempre condotto le istituzioni dell’Unione a esaminarlo in una prospettiva particolare, il che avrebbe dovuto indurre il Tribunale a verificare la correttezza dell’iter logico seguito dalla Commissione.

89      Secondo l’A2A, attraverso la mera riproposizione della tesi della Commissione, senza verificare la congruenza e la fondatezza degli argomenti addotti da tutte le parti, il Tribunale ha violato il suo obbligo di motivazione. In particolare, riferendosi all’impossibilità di escludere che l’affidamento diretto dei servizi pubblici locali comporti effetti sulla concorrenza, il Tribunale avrebbe effettuato un generico rinvio a considerazioni astratte e ipotetiche, mentre era richiesta una motivazione analitica.

90      La Commissione chiede il rigetto del motivo. In particolare, essa sostiene che questo motivo sarebbe parzialmente irricevibile per la parte in cui mira a convincere la Corte dell’assenza di concorrenza nei settori interessati, dell’assenza di una possibile incidenza sugli scambi tra Stati membri e della natura superficiale dell’esame della Commissione. Invero, con detta tesi l’A2A non farebbe valere errori di diritto commessi dal Tribunale, bensì inviterebbe la Corte a procedere ad un nuovo esame nel merito della decisione controversa.

–       Giudizio della Corte

91      In primo luogo, l’A2A addebita al Tribunale di aver effettuato un controllo giurisdizionale insufficiente e di aver viziato la propria sentenza per carenza di motivazione.

92      A tal riguardo, occorre notare che il Tribunale, nei punti 88‑92 della sentenza impugnata, ha richiamato la giurisprudenza rilevante della Corte che gli forniva i criteri applicabili alla valutazione della legittimità della decisione controversa.

93      In seguito, nei punti 93‑105 della sentenza impugnata il Tribunale ha esaminato la legittimità della decisione controversa alla luce dei suddetti criteri e degli argomenti dell’AEM. In particolare, il Tribunale ha constatato, nei punti 93‑95 di detta sentenza, che giustamente la Commissione ha potuto accertare, in ragione degli elementi di cui disponeva, che alcuni dei settori interessati dal regime di aiuti in questione erano caratterizzati da un certo grado di concorrenza alla data di entrata in vigore dell’esenzione triennale, e che l’AEM non ha fornito nessuna prova valida per suffragare la propria affermazione secondo cui detti settori, a tale data, non erano aperti alla concorrenza.

94      Inoltre, nei punti 96‑105 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato dettagliatamente la fondatezza delle varie constatazioni effettuate dalla Commissione nella decisione controversa alla luce degli argomenti presentati dall’A2A. Ne consegue che il Tribunale non ha ignorato gli argomenti di quest’ultima, bensì li ha respinti all’esito della verifica che esso ha effettuato, relativa all’accertamento della sussistenza dei requisiti necessari alla qualificazione dell’esenzione triennale quale «aiuto di Stato».

95      Relativamente alla contestazione dell’A2A secondo cui il Tribunale avrebbe riproposto in maniera generica e astratta le allegazioni della Commissione, occorre sottolineare che il compito del Tribunale è di controllare la motivazione e la fondatezza della decisione controversa e non di adottare una nuova decisione. Ne consegue che, quando il Tribunale è del parere che gli elementi di cui disponeva la Commissione gli consentano di seguire l’iter logico esposto nella decisione controversa, esso non è obbligato a modificare né ad appronfondire detto iter. Ad esso spetta in particolare il compito di respingere gli argomenti addotti, così come ha appunto fatto nel caso di specie.

96      Di conseguenza il Tribunale, avendo giudicato, in virtù di un esame circostanziato, che l’esenzione triennale fosse tale da falsare o minacciare di falsare la concorrenza ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE e da incidere sugli scambi tra Stati membri, e che la Commissione non aveva commesso errori di diritto a tal proposito, non ha effettuato un controllo giurisdizionale insufficiente.

97      Per quanto concerne il presunto difetto di motivazione, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, l’obbligo di motivare le sentenze, che incombe al Tribunale ai sensi degli artt. 36 e 53, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia, non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia. La motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere i motivi sui quali si basa il Tribunale, e alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo in sede di impugnazione (v. sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 372).

98      Nella fattispecie è sufficiente rilevare che il ragionamento seguito dal Tribunale nei punti 88‑105 della sentenza impugnata è tale da consentire tanto all’A2A di conoscere le ragioni per le quali il Tribunale ha respinto il motivo vertente sul difetto di motivazione, quanto alla Corte di disporre di elementi sufficienti per esercitare il proprio controllo giurisdizionale.

99      In secondo luogo, l’A2A sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto avendo confuso, da un lato, ai fini della qualificazione come «aiuto di Stato» dell’esenzione triennale, il requisito della selettività con quello dell’esistenza di un pregiudizio alla concorrenza nei settori interessati da detta esenzione. Dall’altro, il Tribunale avrebbe giudicato erroneamente, a questo stesso scopo, che la circostanza che le società ex lege n. 142/90 esercitavano le proprie attività in più mercati monopolistici condurrebbe a riconoscere l’esistenza di una concorrenza nei mercati stessi.

100    È tuttavia giocoforza constatare che detti argomenti derivano da una lettura erronea della sentenza impugnata. Nel punto 81 della sentenza impugnata, in particolare, il Tribunale ha sottolineato che l’esenzione triennale è destinata a una categoria specifica di imprese, ossia le società ex lege n. 142/90, e che la circostanza di essere una società di tal genere costituisce l’unica condizione richiesta per poter godere di detto regime. Ne consegue che il Tribunale non ha confuso il requisito della selettività con quello dell’esistenza di un pregiudizio alla concorrenza.

101    Inoltre, è già stato rilevato che il Tribunale ha constatato che la Commissione disponeva di elementi che le consentivano di concludere per l’esistenza di un certo grado di concorrenza in alcuni fra i settori interessati, e che gli argomenti addotti dall’A2A non erano tali da rimettere in discussione detta valutazione. Pertanto, contrariamente alle asserzioni dell’A2A, il Tribunale non ha dichiarato che le società ex lege n. 142/90 fossero attive in settori monopolistici e non ha commesso l’errore di ragionamento che l’A2A gli rimprovera.

102    In terzo luogo, l’A2A rimette in discussione alcune valutazioni di natura materiale svolte dal Tribunale senza tuttavia lamentare uno snaturamento degli elementi di prova.

103    A tal riguardo, è importante rammentare che dagli artt. 225 CE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia risulta che solo il Tribunale è competente, da un lato, ad accertare i fatti, salvo il caso in cui l’inesattezza materiale dei suoi accertamenti risulti dai documenti del fascicolo ad esso sottoposti, e, dall’altro, a valutare tali fatti. Quando il Tribunale ha accertato o valutato i fatti, la Corte è competente, ai sensi dell’art. 225 CE, ad effettuare un controllo sulla qualificazione giuridica di tali fatti e sulle conseguenze di diritto che il Tribunale ne ha tratto (sentenze 6 aprile 2006, causa C‑551/03 P, General Motors/Commissione, Racc. pag. I‑3173, punto 51, e 29 marzo 2011, causa C‑352/09 P, ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 179).

104    La Corte ha precisato parimenti che la valutazione dei fatti, salvo il caso di snaturamento degli elementi di prova addotti dinanzi al Tribunale, non costituisce una questione di diritto soggetta, come tale, al sindacato della Corte (sentenze 18 maggio 2006, causa C‑397/03 P, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. I‑4429, punto 85, nonché ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, cit., punto 180).

105    In proposito, occorre ricordare che siffatto snaturamento deve risultare manifestamente dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione dei fatti né delle prove (sentenze 22 dicembre 2008, causa C‑487/06 P, British Aggregates/Commissione, Racc. pag. I‑10515, punto 98, nonché 10 febbraio 2011, causa C‑260/09 P, Activision Blizzard Germany/Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

106    In quarto luogo, l’A2A lamenta che il Tribunale ha tenuto conto, nel punto 96 della sentenza impugnata, di un elemento addotto dalla Commissione nel suo controricorso, e ciò al fine di suffragare il fatto che le società ex lege n. 142/90 agivano in settori concorrenziali diversi da quelli dei servizi pubblici previsti nei loro statuti, minacciando quindi di falsare la concorrenza, laddove detto elemento non figurava nella decisione controversa.

107    A tal riguardo occorre ricordare che, nel punto 95 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione poteva giungere alla conclusione che l’esenzione triennale minacciava di falsare il grado di concorrenza esistente in alcuni settori dei servizi pubblici locali gestiti dalle società ex lege n. 142/90.

108    Ne consegue che, in ogni caso, l’argomento dell’A2A relativo al punto 96 della sentenza impugnata è diretto contro un motivo ultroneo della suddetta sentenza.

109    Orbene, risulta da costante giurisprudenza che, nell’ambito di un’impugnazione, un mezzo diretto contro un motivo ultroneo della sentenza impugnata, il cui dispositivo è adeguatamente basato su altri motivi di diritto, è inoperante e dev’essere pertanto respinto (v., in tal senso, sentenza della Corte 12 novembre 1996, causa C‑294/95 P, Ojha/Commissione, Racc. pag. I‑5863, punto 52).

110    Alla luce di ciò, il primo motivo dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo a violazioni dell’art. 88 CE e dell’obbligo di motivazione

–       Argomenti delle parti

111    L’A2A sostiene che il Tribunale, avendo affermato che l’esenzione triennale non costituiva un «aiuto esistente», ha commesso un errore di diritto. A suo parere, sulla base di peculiarità proprie delle società che ne beneficiano, detta esenzione non può essere considerata come «aiuto nuovo».

112    L’A2A deduce che dalla giurisprudenza della Corte risulta che è in riferimento alle disposizioni che lo prevedono, alle loro modalità e ai loro limiti, che un aiuto può essere qualificato come «aiuto nuovo» e che una qualificazione del genere non può essere mantenuta qualora l’aiuto risulti da disposizioni di legge precedenti che non vengono modificate.

113    In particolare, l’ampliamento del campo di attività di un ente pubblico beneficiario di aiuti in forza di una normativa precedente, dato che detto ampliamento non incide sul regime di aiuti istituito, non potrebbe essere considerato istituzione o modifica di questi aiuti esistenti. Invero, solo una modifica che incide sulla sostanza stessa del regime iniziale potrebbe essere considerata come aiuto nuovo.

114    Nel caso di specie, l’A2A rileva che, prima della loro trasformazione in società ex lege n. 142/90, le aziende municipalizzate incaricate dell’erogazione di servizi pubblici erano incorporate nel comune dal quale dipendevano, sicché il regime fiscale che si applicava loro era il medesimo del comune, ovvero il regime di radicale esclusione dalle imposte sui redditi, tuttora in vigore. In una logica di continuità, l’esenzione triennale avrebbe previsto che il regime fiscale applicabile ai comuni continuasse ad applicarsi, per un periodo transitorio, alle imprese municipalizzate trasformate nelle società ex lege n. 142/90.

115    L’A2A afferma che l’esenzione triennale ha quindi mantenuto in vigore, senza alcuna modifica sostanziale, il regime di cui godevano le imprese municipalizzate a favore delle società ex lege n. 142/90. La Commissione avrebbe riconosciuto tali circostanze nel punto 77 della decisione controversa, considerando l’azienda municipalizzata e la società ex lege n. 142/90 come una stessa entità economica operante con una forma giuridica diversa. L’A2A rileva che la Commissione non ha modificato la sua valutazione su questo punto, che non sarebbe peraltro viziato da nessun errore.

116    Secondo l’A2A ne consegue che, allorché il Tribunale, nel punto 126 della sentenza impugnata, ha dichiarato che le società ex lege n. 142/90 si distinguono sostanzialmente dalle imprese municipalizzate e costituiscono una nuova categoria di beneficiari, esso ha confuso «mutamento di forma» e «mutamento di attività». Inoltre, l’A2A ritiene contraddittorio che la Commissione ed il Tribunale abbiano considerato le società ex lege n. 142/90 e le aziende municipalizzate come una medesima entità economica per quanto riguarda l’assoggettamento alle imposte sui conferimenti, e come soggetto nuovo, ai fini dell’esenzione triennale.

117    Quanto al riferimento, effettuato dal Tribunale, alle citate sentenze 6 maggio 1995, n. 4989, e 3 settembre 2001, n. 4586, l’A2A rammenta che la prima sentenza si limitava a precisare il regime giuridico delle società ex lege n. 142/90, e che la seconda ha effettuato un mutamento di detto regime giuridico successivamente al periodo di validità dell’esenzione triennale. Inoltre il Consiglio di Stato, con sua sentenza 1º aprile 2000, n. 1885, avrebbe ridefinito la natura delle suddette società chiarendo che la veste formale di «società per azioni» non incide sulla natura pubblicistica di soggetti di diritto affidatari di rilevanti interessi pubblici e che, ai fini dell’identificazione della natura pubblica di un soggetto di diritto, la forma giuridica è neutra e la quasi integrale appartenenza a referenti pubblici del pacchetto azionario consente di ritenere le società come un’articolazione organizzativa degli enti locali.

118    L’A2A specifica che il Consiglio di Stato ha sottolineato la necessità di un vincolo di ordine funzionale tra l’attività delle società ex lege n. 142/90 e gli interessi dell’ente locale che le ha costituite. Secondo tale giudice, per evitare una riduzione delle risorse e dei mezzi di detto ente locale, che siano tali da arrecare loro pregiudizio, le suddette società potrebbero essere ammesse all’esercizio di attività extraterritoriali, successivamente alla fine del periodo di esenzione triennale, solo secondo limiti circoscritti e a condizione di una valutazione, effettuata volta per volta, della compatibilità di dette attività con il citato vincolo di ordine funzionale.

119    Secondo l’A2A, occorre parimenti evidenziare che, benché il Tribunale abbia affermato che le società ex lege n. 142/90 non avevano goduto di alcuna esenzione tra il 1990 e il 1993, durante detti anni non sarebbe stata creata nessuna società di questo tipo.

120    In ordine alla nozione di «aiuto esistente» ai sensi dell’art. 1, lett. b), v), del regolamento (CE) n. 659/1999 e alla valutazione del Tribunale, secondo la quale il regime di esenzione triennale è stato introdotto in un momento in cui i mercati erano, a diversi livelli, aperti alla concorrenza, l’A2A sostiene che si tratterebbe di un’affermazione erronea, generica ed indeterminata, che integrerebbe un difetto di motivazione.

121    Infatti, una nota dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, datata 9 febbraio 2009, avrebbe constatato, con riferimento a detti settori, che non sussistevano le condizioni per l’esercizio di un’attività in concorrenza al momento dell’entrata in vigore dell’esenzione triennale. Peraltro, la trasformazione in società ex lege n. 142/90 delle imprese municipalizzate non avrebbe modificato, riguardo alle prime società, né l’assetto monopolistico, né la concessione discrezionale degli appalti che erano applicabili alle seconde. Di conseguenza, detta trasformazione non avrebbe falsato la concorrenza nella concessione dei servizi da prestare.

122    In via subordinata l’A2A sostiene che, anche se il mantenimento provvisorio dello speciale regime fiscale per le imprese municipalizzate a favore delle società ex lege n. 142/90 dovesse essere considerato come un mutamento sostanziale di un aiuto esistente, sarebbe comunque necessario differenziare le attività di gestione dei servizi pubblici beneficiari dell’esenzione in questione dalle eventuali nuove attività idonee ad essere assoggettate all’imposta, in quanto l’esistenza di un nuovo aiuto deve valutarsi alla luce dei soli benefici scaturiti dall’esercizio di queste ultime attività. Orbene, la Commissione non si sarebbe riferita a simili attività o profitti.

123    La Commissione chiede il rigetto del motivo. In particolare, essa constata come questo sia irricevibile, là dove l’A2A critica il Tribunale per non aver chiarito che l’aiuto sarebbe nuovo solo rispetto ai profitti maturati dalle società ex lege n. 142/90 nelle eventuali attività esercitate al di fuori del territorio del loro comune di appartenenza. Invero, mediante questa tesi, l’A2A solleverebbe un nuovo motivo.

–       Giudizio della Corte

124    In primo luogo, l’A2A addebita al Tribunale di aver erroneamente sostenuto che le società ex lege n. 142/90 si distinguevano dalle imprese municipalizzate precedenti, e ciò malgrado il fatto che l’esenzione triennale avrebbe mantenuto in vigore, a favore delle prime società, il regime di cui godevano le seconde.

125    Riguardo al fatto che l’A2A sottende, con questa tesi, che il Tribunale ha erroneamente interpretato il diritto nazionale italiano, la Corte è competente solamente a verificare se il Tribunale non abbia snaturato detto diritto (v. sentenza 24 ottobre 2002, causa C‑82/01 P, Aéroports de Paris/Commissione, Racc. pag. I‑9297, punto 63). Orbene, è giocoforza constatare che l’A2A non ha fatto valere un simile snaturamento che deve rispondere, peraltro, ai requisiti richiamati nel punto 105 della presente sentenza.

126    Nel caso di specie, occorre tuttavia notare come l’A2A, con detta tesi, si limiti a rimettere in discussione una questione di natura materiale accertata dal Tribunale, per l’esattezza nel punto 126 della sentenza impugnata. Orbene, alla luce della giurisprudenza richiamata nei punti 103 e 104 della presente sentenza, l’A2A non può rimettere validamente in discussione detta valutazione dinanzi alla Corte.

127    In secondo luogo, l’A2A ritiene che il Tribunale, da un lato, abbia giudicato erroneamente che i mercati interessati erano aperti alla concorrenza e, dall’altro, sia venuto meno al suo obbligo di motivazione su tale punto.

128    A tal riguardo, da un lato, l’A2A cerca di rimettere in discussione una valutazione di natura materiale del Tribunale, contenuta nel punto 129 della sentenza impugnata, secondo cui i mercati erano aperti alla concorrenza, cosa che essa non può validamente fare dinanzi alla Corte, alla luce della giurisprudenza richiamata nei punti 103 e 104 della presente sentenza.

129    Dall’altro, è sufficiente constatare come, alla luce della giurisprudenza richiamata nel punto 97 della presente sentenza, l’iter logico seguito dal Tribunale nei punti 117‑129 della sentenza impugnata e, in particolare, nei punti 126‑128 di questa, è tale da consentire sia all’A2A di conoscere i motivi per cui il Tribunale ha respinto il motivo vertente su una carenza di motivazione, sia alla Corte di disporre di elementi sufficienti per effettuare il suo controllo giurisdizionale.

130    In terzo luogo, l’A2A, per la prima volta dinanzi alla Corte, solleva l’argomento secondo cui l’esenzione triennale, di cui godono le società ex lege n. 142/90, può essere considerata come un «aiuto nuovo» solo allorché essa è applicata ai profitti maturati dalle società ex lege n. 142/90 nelle eventuali attività al di fuori del territorio del loro comune di appartenenza.

131    Orbene, risulta da una giurisprudenza consolidata che consentire ad una parte di sollevare dinanzi alla Corte, per la prima volta, un motivo da essa non dedotto dinanzi al Tribunale equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte una controversia più ampia di quella su cui ha dovuto pronunciarsi il Tribunale. Nell’ambito di un’impugnazione la competenza della Corte è limitata, in linea di principio, all’esame della valutazione compiuta dal Tribunale relativamente ai motivi discussi dinanzi ad esso (v., in particolare, sentenze 18 gennaio 2007, causa C‑229/05 P, PKK e KNK/Consiglio, Racc. pag. I‑439, punto 61; 27 febbraio 2007, causa C‑354/04 P, Gestoras Pro Amnistía e a./Consiglio, Racc. pag. I‑1579, punto 30, nonché 10 settembre 2009, causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. I‑8237, punto 38).

132    Ne discende che il secondo motivo dev’essere respinto.

 Sul terzo motivo, relativo a violazioni dell’art. 88 CE e dell’art. 10 CE, nonché dell’art. 14 del regolamento n. 659/1999

–       Argomenti delle parti

133    Con il terzo motivo, l’A2A addebita al Tribunale di aver dichiarato legittimo l’ordine di recupero contenuto nella decisione controversa nonostante l’assenza, in detta decisione, di parametri di valutazione degli importi da restituire. Dato che la restituzione degli aiuti erogati dev’essere analizzata in quanto misura mirante al ripristino dello statu quo ante, la circostanza che la Commissione ometta di citare i suddetti parametri, da un lato, le attribuirebbe un illimitato potere discrezionale quanto alla verifica della conformità dell’esecuzione di una decisione di censura, comportante un ordine di recupero. Un’omissione del genere, dall’altro, escluderebbe qualsivoglia margine discrezionale in capo alle autorità nazionali ed impedirebbe loro, pertanto, di svolgere i loro compiti in sede di valutazione dell’ammontare degli aiuti da recuperare.

134    In primo luogo, l’A2A ritiene che, anche se nessuna norma del diritto dell’Unione impone alla Commissione di recuperare un aiuto dichiarato incompatibile né di determinare l’importo dell’aiuto da restituire, dalla giurisprudenza della Corte deriva che la decisione deve contenere tutte le indicazioni adeguate che permettano al destinatario della decisione di stabilire esso stesso, senza difficoltà eccessive, l’importo definitivo dell’aiuto da recuperare.

135    Orbene, nella decisione controversa la Commissione non avrebbe fornito, in tal senso, nessuna indicazione alla Repubblica italiana, con la conseguenza che questo Stato membro ed i beneficiari degli aiuti dichiarati incompatibili non potevano determinare l’ammontare degli aiuti da restituire. Tale carenza non può essere imputata allo Stato membro interessato, dal momento che non è stata richiesta la sua collaborazione.

136    Di conseguenza, l’A2A ritiene che la giurisprudenza dell’Unione non sia stata rispettata né dalla Commissione né dal Tribunale, quando quest’ultimo, nel punto 89 della sentenza impugnata, ha giudicato che la tesi secondo cui la valutazione in astratto di un regime di aiuti non può dar luogo a un ordine di recupero equivarrebbe ad eliminare sistematicamente la possibilità di recuperare gli aiuti indebitamente versati, e quindi svuoterebbe di significato gli artt. 87 CE e 88 CE.

137    L’A2A rileva che il ripristino dello statu quo ante rispetto all’entrata in vigore del regime di aiuti costituisce la ratio stessa del diritto dell’Unione in materia di aiuti di Stato e che la Commissione, nell’ottica di tale ripristino, ha l’obbligo di stabilire in modo chiaro e trasparente quali debbano essere i criteri di determinazione dell’ammontare dell’aiuto da recuperare.

138    La sua mancanza al riguardo sarebbe connessa all’omessa analisi economica sul presunto impatto dell’esenzione triennale sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri, omissione che avrebbe comportato per la Commissione l’impossibilità di determinare la misura dell’aiuto da recuperare, necessaria a ripristinare lo statu quo ante. Secondo l’A2A, in circostanze del genere, dunque, il recupero non persegue più il suo scopo, di misura ripristinatoria dello statu quo ante, per assumere invece un carattere incerto e punitivo nei confronti dei beneficiari, confliggente con gli obiettivi in materia.

139    In secondo luogo, l’A2A fa notare che l’obbligo di leale cooperazione desunto dall’art. 10 CE vincola la Commissione e gli Stati membri nell’ambito dell’applicazione degli artt. 87 CE e 88 CE. Il fine della predetta cooperazione sarebbe quello di trovare un contemperamento tra i differenti interessi contrapposti, ivi compresi quelli dei beneficiari dell’aiuto. Orbene, in relazione al suo carattere generico ed indeterminato quanto ai parametri per la valutazione degli aiuti da recuperare, la decisione controversa svuoterebbe di contenuti la predetta cooperazione.

140    L’A2A constata parimenti che la Repubblica italiana aveva già recuperato EUR 279,7 milioni dai beneficiari degli aiuti controversi allorché la Commissione ha avviato, quale diretta conseguenza dell’indeterminatezza dell’ordine di recupero, un progressivo inasprimento dei criteri di valutazione. La mancanza di certezza del diritto generata dalla decisione controversa consentirebbe alla Commissione di continuare apoditticamente ed illimitatamente a contestare l’esatta valutazione degli importi da recuperare.

141    L’A2A aggiunge che dal punto 31 della comunicazione della Commissione, intitolato «Verso l’esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili» (GU 2007, C 272, pag. 4; in prosieguo la «comunicazione sul recupero»), deriva che «la rapidità con la quale sono eseguite le decisioni di recupero dipende dal grado di precisione o di completezza di detta decisione», e che «la Commissione pertanto continuerà ad adoperarsi per fare in modo che la decisione di recupero fornisca una chiara indicazione dell’importo (importi) di aiuto da recuperare». Orbene, come risulterebbe altresì dall’istruttoria del Tribunale, nella fattispecie la Commissione non avrebbe compiuto uno sforzo in tal senso.

142    In terzo luogo, l’A2A fa notare che la situazione equivoca in tema di importo dell’aiuto da recuperare costituisce altresì una violazione del principio della certezza del diritto sia nei confronti della Repubblica italiana, sia nei riguardi dei beneficiari degli aiuti di cui trattasi. Invero, risulterebbe dalla giurisprudenza del Tribunale che la Commissione viola questo principio quando crea una situazione equivoca che non chiarisce prima di prescrivere la restituzione degli aiuti già versati.

143    Per di più, affinché una decisione sia direttamente applicabile nei confronti dei destinatari cui è indirizzata, la giurisprudenza della Corte richiederebbe che essa contenga un obbligo categorico e sufficientemente chiaro e preciso per poter avere efficacia immediata nei rapporti fra gli Stati membri e i cittadini. Poiché la decisione controversa difetta di tali caratteristiche, la Repubblica italiana si è trovata, secondo l’A2A, in una posizione di mera ausiliarietà rispetto alle successive richieste della Commissione.

144    In quarto luogo, l’A2A addebita al Tribunale di aver considerato, da un lato, legittimo un ordine di recupero privo di un qualsiasi criterio applicativo e di aver sostenuto, dall’altro, che il ruolo delle autorità nazionali, allorché la Commissione adotta una decisione che dichiara un aiuto incompatibile con il mercato comune, si limita a dare esecuzione a questa decisione, senza alcun margine di discrezionalità.

145    Invero, l’A2A considera che tale ultima affermazione confligge con l’art. 14, n. 1, del regolamento n. 659/1999. Essa rileva che, nel punto 48 della comunicazione sul recupero, la Commissione riconoscerebbe agli Stati membri, al fine di valutare l’importo esatto dell’aiuto da recuperare presso ciascun beneficiario, un pieno potere discrezionale in presenza di una decisione di recupero che non contenga informazioni complete al riguardo.

146    In tal modo, secondo l’A2A, dato che la fase di recupero è demandata totalmente al diritto nazionale, le autorità nazionali disporrebbero in materia di un ampio margine di discrezionalità in sede di recupero. A tal proposito, dalla giurisprudenza dell’Unione risulterebbe che le controversie relative al recupero degli importi degli aiuti incompatibili vanno risolte dai giudici nazionali, a norma del loro diritto interno e secondo i criteri e le modalità stabilite dalla normativa nazionale.

147    L’A2A rammenta altresì che la Commissione, nelle eccezioni di irricevibilità sollevate in primo grado, avrebbe sostenuto che l’irricevibilità dei ricorsi promossi dalle società beneficiarie non le avrebbe private di una tutela giurisdizionale effettiva, posto che esse avrebbero ben potuto far valere l’invalidità della decisione controversa dinanzi ai giudici nazionali.

148    Ancora, nella sua comunicazione relativa all’applicazione della normativa in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali (GU 2009, C 85, pag. 1), la Commissione avrebbe enfatizzato il ruolo essenziale dei giudici nazionali nell’esecuzione delle decisioni di recupero e avrebbe ammesso che i giudici nazionali conservano un margine di discrezionalità, anche in casi in cui la Commissione abbia già ordinato il recupero.

149    In quinto luogo, l’A2A ritiene che il Tribunale abbia violato l’art. 10 CE, avendo compresso il margine di manovra delle autorità e dei giudici nazionali, dato che la delega allo Stato membro in sede di esecuzione di una decisione di recupero s’inquadra, secondo la giurisprudenza dell’Unione, nell’ambito più ampio dell’obbligo di leale cooperazione che vincola reciprocamente la Commissione e gli Stati membri.

150    In sesto luogo, il Tribunale si sarebbe contraddetto, nel punto 88 della sentenza impugnata, e avrebbe violato il principio della certezza del diritto quando ha affermato, da un lato, che le autorità nazionali non dispongono di nessuna discrezionalità in sede di esecuzione della decisione controversa e, dall’altro, che ciò non impedisce alle autorità nazionali di tener conto di specifiche riserve. Invero, una tale impostazione rischia, secondo l’A2A, di creare dubbi e fraintendimenti in capo alle autorità e ai giudici nazionali.

151    In settimo luogo, l’A2A fa notare che i rigidi binari entro i quali il Tribunale, mediante la sentenza impugnata, ha inquadrato l’azione delle autorità e dei giudici nazionali collidono con il principio di sussidiarietà, in forza del quale è l’autorità più prossima alla controversia a poterne meglio apprezzare gli aspetti specifici. Orbene il giudice nazionale, per quanto riguarda la definizione degli importi da recuperare nei singoli casi, non si troverebbe nell’impossibilità di valutare il grado, se non l’inesistenza, di un’effettiva concorrenza in un determinato settore.

152    Peraltro, secondo l’A2A le autorità nazionali disporrebbero di «riserve» di competenza, che la Commissione avrebbe elencato, nel caso di specie, nel punto 126 della decisione controversa. Orbene, detto elenco di riserve non può essere tassativo, a rischio di comprimere il margine di discrezionalità delle autorità e dei giudici nazionali e, pertanto, di travisare il principio di leale cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione.

153    In ottavo luogo, l’A2A sottolinea che, a sette anni dall’adozione della decisione controversa, a dieci anni dall’avvio del procedimento d’indagine e a undici anni dalla sua trasformazione in società ex lege n. 142/90, l’impossibilità di determinare con ragionevole certezza l’entità delle conseguenze negative derivanti dalla decisione controversa ha assunto connotati punitivi e discriminatori per l’A2A. Invero l’ordine di recupero, lungi dal realizzare il fine costituito dal ripristino dello statu quo ante, si configurerebbe come un balzello che incide sull’attività economica dell’A2A.

154    In nono luogo, l’A2A afferma che il Tribunale consente alla Commissione di privare i beneficiari di qualsiasi ruolo attivo nella tematica degli aiuti di Stato, per permetterle di trattare unicamente con lo Stato membro interessato il quale, in forza del rischio di avvio del procedimento previsto dall’art. 228 CE, si troverebbe in una posizione negoziale subalterna nei confronti della Commissione.

–       Giudizio della Corte

155    In primo luogo, con l’argomentazione riassunta nei punti 134-143 della presente sentenza, l’A2A afferma che il Tribunale ha giudicato erroneamente che la Commissione poteva ordinare il recupero degli aiuti in questione senza fornire elementi utili alla valutazione degli aiuti da recuperare. Il Tribunale si sarebbe allontanato dalla pertinente giurisprudenza dell’Unione in materia, avrebbe privato di senso la leale cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri, di cui all’art. 10 CE, e avrebbe violato il principio della certezza del diritto.

156    Innanzitutto, occorre notare che il riferimento del Tribunale, nei punti 89, 161 e 162 della sentenza impugnata, alla giurisprudenza della Corte e le valutazioni che esso ha effettuato nei punti 163 e 164 della sentenza impugnata non sono viziati da nessun errore di diritto.

157    Inoltre, quanto all’affermazione dell’A2A secondo la quale il Tribunale avrebbe avallato l’ordine di recupero degli aiuti in questione, contenuto nella decisione controversa, senza che questa contenesse elementi utili alla valutazione degli aiuti da recuperare, occorre rilevare che il Tribunale ha evidenziato che la Commissione ha descritto con precisione il regime di aiuti di cui trattasi ed il vantaggio selettivo accordato. Pertanto, la ricorrente non ha validi motivi per sostenere che il Tribunale avrebbe indebitamente respinto la censura secondo la quale la decisione controversa non conteneva simili elementi.

158    Infine, dato che la decisione controversa consente sia alle autorità nazionali, sia ai beneficiari degli aiuti, di determinare gli importi da recuperare, gli argomenti dell’A2A vertenti sulle violazioni dell’art. 10 CE e del principio della certezza del diritto sono destituiti di fondamento.

159    In secondo luogo, con l’argomentazione riassunta nei punti 144‑152 della presente sentenza, l’A2A critica il Tribunale per aver dichiarato, nei punti 165 e 166 della sentenza impugnata, che le autorità nazionali non dispongono di nessuna discrezionalità nell’esecuzione della decisione controversa. Il Tribunale avrebbe dunque violato l’art. 14, n. 1, del regolamento n. 659/1999, l’art. 10 CE, nonché i principi della certezza del diritto e di sussidiarietà.

160    Come il Tribunale ha giustamente constatato nei punti 165 e 166 della sentenza impugnata, le autorità nazionali non dispongono di nessuna discrezionalità riguardo al recupero degli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili dalla Commissione.

161    Infatti l’art. 14, n. 3, del regolamento n. 659/1999, ripreso nel punto 48 della comunicazione sul recupero, conferisce allo Stato membro un potere discrezionale solo riguardo alle modalità di esecuzione della decisione controversa; questo potere trova comunque i suoi limiti nella portata della predetta decisione e nell’obbligo di darne efficace esecuzione.

162    Sulla base dei criteri contenuti nella decisione controversa, spetta dunque alle autorità nazionali determinare in ciascun caso individuale l’importo preciso dell’aiuto da recuperare, secondo i propri procedimenti e sotto il controllo dei giudici nazionali.

163    Ne consegue che, con l’accertamento condotto nei punti 165 e 166 della sentenza impugnata, il Tribunale non ha violato né il principio della certezza del diritto, né quello di sussidiarietà.

164    In terzo luogo, con l’argomentazione riassunta nei punti 153 e 154 della presente sentenza, l’A2A addebita al Tribunale, da un lato, di aver conferito un connotato punitivo e discriminatorio al recupero degli aiuti in questione nonché, dall’altro, di aver privato i beneficiari dei suddetti aiuti di qualsiasi ruolo attivo nel corso del procedimento di recupero.

165    A tal riguardo basta notare che, nel caso di specie, il Tribunale ha controllato la legittimità della decisione controversa riguardo agli argomenti addotti dall’A2A contro di essa e che l’A2A non ha fornito nessun elemento che consentisse di concludere che il Tribunale, nell’esecuzione di detto compito, sia incorso in un errore di diritto.

166    In particolare, l’esecuzione particolarmente lenta della decisione controversa sottolineata dall’A2A non è tale da pregiudicare la legittimità di detta decisione. Peraltro, l’A2A non ha dimostrato che la sentenza impugnata permetta alla Commissione di privare i beneficiari degli aiuti di qualsiasi ruolo attivo nel corso del procedimento di recupero degli stessi. A tal riguardo, occorre rammentare che detti beneficiari possono prendere contatto con la Commissione, al momento dell’esame di una misura tale da essere qualificata come aiuto di Stato illegittimo e incompatibile.

167    Il terzo motivo va quindi respinto.

168    Di conseguenza, occorre respingere integralmente l’impugnazione.

 Sulle spese

169    Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’art. 118 dello stesso regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

170    Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, in relazione all’impugnazione principale, l’A2A, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese inerenti al giudizio di impugnazione.

171    Poiché l’A2A ne ha fatto domanda, in relazione all’impugnazione incidentale, la Commissione, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese inerenti a detta impugnazione.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione principale e l’impugnazione incidentale sono respinte.

2)      L’A2A SpA è condannata alle spese inerenti all’impugnazione principale.

3)      La Commissione europea è condannata alle spese inerenti all’impugnazione incidentale.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.