Language of document : ECLI:EU:C:2013:8

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

15 gennaio 2013 (*)

«Articolo 267 TFUE – Annullamento di una decisione giurisdizionale – Rinvio al giudice interessato – Obbligo di conformarsi alla decisione di annullamento – Rinvio pregiudiziale – Possibilità – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Direttiva 85/337/CEE – Direttiva 96/61/CE – Partecipazione del pubblico al processo decisionale – Costruzione di una discarica di rifiuti – Domanda di autorizzazione – Segreto commerciale – Omessa comunicazione di un documento al pubblico – Effetti sulla validità della decisione di autorizzazione della discarica – Regolarizzazione – Valutazione dell’impatto ambientale del progetto – Parere definitivo antecedente all’adesione dello Stato membro all’Unione – Applicazione nel tempo della direttiva 85/337 – Ricorso giurisdizionale – Provvedimenti provvisori – Sospensione dell’esecuzione – Annullamento della decisione impugnata – Diritto di proprietà – Lesione»

Nella causa C‑416/10,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Najvyšší súd Slovenskej republiky (Slovacchia) con decisione del 17 agosto 2010, pervenuta in cancelleria il 23 agosto 2010, nel procedimento

Jozef Križan,

Katarína Aksamitová,

Gabriela Kokošková,

Jozef Kokoška,

Martina Strezenická,

Jozef Strezenický,

Peter Šidlo,

Lenka Šidlová,

Drahoslava Šidlová,

Milan Šimovič,

Elena Šimovičová,

Stanislav Aksamit,

Tomáš Pitoňák,

Petra Pitoňáková,

Mária Križanová,

Vladimír Mizerák,

Ľubomír Pevný,

Darina Brunovská,

Mária Fišerová,

Lenka Fišerová,

Peter Zvolenský,

Katarína Zvolenská,

Kamila Mizeráková,

Anna Konfráterová,

Milan Konfráter,

Michaela Konfráterová,

Tomáš Pavlovič,

Jozef Krivošík,

Ema Krivošíková,

Eva Pavlovičová,

Jaroslav Pavlovič,

Pavol Šipoš,

Martina Šipošová,

Jozefína Šipošová,

Zuzana Šipošová,

Ivan Čaputa,

Zuzana Čaputová,

Štefan Strapák,

Katarína Strapáková,

František Slezák,

Agnesa Slezáková,

Vincent Zimka,

Elena Zimková,

Marián Šipoš,

Mesto Pezinok

contro

Slovenská inšpekcia životného prostredia,

con l’intervento di:

Ekologická skládka as,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dal sig. K. Lenaerts, vicepresidente, dai sigg. A. Tizzano, M. Ilešič, L. Bay Larsen (relatore), J. Malenovský, presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, J.‑C. Bonichot, dalla sig.ra C. Toader, dai sigg. J.‑J. Kasel e M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 gennaio 2012,

considerate le osservazioni presentate:

–        per Jozef Križan, Katarína Aksamitová, Gabriela Kokošková, Jozef Kokoška, Martina Strezenická, Jozef Strezenický, Peter Šidlo, Lenka Šidlová, Drahoslava Šidlová, Milan Šimovič, Elena Šimovičová, Stanislav Aksamit, Tomáš Pitoňák, Petra Pitoňáková, Mária Križanová, Vladimír Mizerák, Ľubomír Pevný, Darina Brunovská, Mária Fišerová, Lenka Fišerová, Peter Zvolenský, Katarína Zvolenská, Kamila Mizeráková, Anna Konfráterová, Milan Konfráter, Michaela Konfráterová, Tomáš Pavlovič, Jozef Krivošík, Ema Krivošíková, Eva Pavlovičová, Jaroslav Pavlovič, Pavol Šipoš, Martina Šipošová, Jozefína Šipošová, Zuzana Šipošová, Ivan Čaputa, Zuzana Čaputová, Štefan Strapák, Katarína Strapáková, František Slezák, Agnesa Slezáková, Vincent Zimka, Elena Zimková, Marián Šipoš, da T. Kamenec e Z. Čaputová, advokáti;

–        per il Mesto Pezinok, da J. Ondruš e K. Siváková, advokáti;

–        per la Slovenská inšpekcia životného prostredia, da L. Fogaš, advokát;

–        per la Ekologická skládka as, da P. Kováč, advokát;

–        per il governo slovacco, da B. Ricziová, in qualità di agente;

–        per il governo ceco, da M. Smolek e D. Hadroušek, in qualità di agenti;

–        per il governo francese, da S. Menez, in qualità di agente;

–        per il governo austriaco, da C. Pesendorfer, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da P. Oliver e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 aprile 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 ed approvata a nome della Comunità europea mediante la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU L 124, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Aarhus»), degli articoli 191, paragrafi 1 e 2, TFUE e 267 TFUE, della direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), come modificata dalla direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003 (GU L 156, pag. 17; in prosieguo: la «direttiva 85/337»), nonché della direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26), come modificata dal regolamento (CE) n. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 gennaio 2006 (GU L 33, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 96/61»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia instaurata dal sig. Križan e da altri 43 ricorrenti persone fisiche, abitanti della città di Pezinok, nonché dal Mesto Pezinok (Comune di Pezinok) contro la Slovenská inšpekcia životného prostredia (Ente slovacco per il controllo dell’ambiente; in prosieguo: l’«Inšpekcia»), in merito alla legittimità di decisioni dell’autorità amministrativa che autorizzano la costruzione e la gestione di una discarica di rifiuti da parte della Ekologická skládka as (in prosieguo: la «Ekologická skládka»), parte interveniente nel giudizio principale.

 Contesto normativo

 Il diritto internazionale

3        L’articolo 6 della convenzione di Aarhus, intitolato «Partecipazione del pubblico alle decisioni relative ad attività specifiche», enuncia, ai paragrafi 1, 2, 4 e 6, quanto segue:

«1.      Ciascuna Parte:

a)      applica le disposizioni del presente articolo alle decisioni relative all’autorizzazione delle attività elencate nell’allegato I;

(...)

2.      Il pubblico interessato è informato nella fase iniziale del processo decisionale in materia ambientale in modo adeguato, tempestivo ed efficace, mediante pubblici avvisi o individualmente. Le informazioni riguardano in particolare:

(…)

d)      la procedura prevista, ivi compresi (nella misura in cui tali informazioni possano essere fornite):

(…)

iv)      l’indicazione dell’autorità pubblica cui è possibile rivolgersi per ottenere le pertinenti informazioni e presso la quale tali informazioni sono state depositate per consentirne l’esame da parte del pubblico;

(…)

4.      Ciascuna Parte provvede affinché la partecipazione del pubblico avvenga in una fase iniziale, quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione può avere un’influenza effettiva.

(…)

6.      Ciascuna Parte impone alle pubbliche autorità competenti di consentire al pubblico interessato, su sua richiesta e qualora ciò sia previsto dal diritto nazionale, di consultare gratuitamente, non appena siano disponibili, tutte le informazioni rilevanti ai fini del processo decisionale di cui al presente articolo ottenibili al momento della procedura di partecipazione del pubblico, fatto salvo il diritto delle Parti di rifiutare la divulgazione di determinate informazioni ai sensi[, in particolare,] dell’articolo 4, [paragrafo] 4.

(...)».

4        L’articolo 9 della medesima convenzione, intitolato «Accesso alla giustizia», prevede, ai paragrafi 2 e 4, quanto segue:

«2.       Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato

(…)

b)      (…) abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell’articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente convenzione.

(...)

4.      Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose. (…)».

5        L’allegato I, paragrafo 5, della convenzione di Aarhus menziona, tra le attività contemplate dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), di quest’ultima:

«Gestione dei rifiuti:

(...)

–        discariche che ricevono più di 10 tonnellate al giorno oppure con una capacità totale superiore a 25 000 tonnellate, escluse le discariche di rifiuti inerti».

 Il diritto dell’Unione

 La direttiva 85/337

6        L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 85/337 precisa la nozione di «autorizzazione», definendola come la «decisione dell’autorità competente, o delle autorità competenti, che conferisce al committente il diritto di realizzare il progetto».

7        L’articolo 2 della citata direttiva è così formulato:

«1.      Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, per i progetti per i quali si prevede un notevole impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, sia prevista un’autorizzazione e una valutazione del loro impatto. Detti progetti sono definiti nell’articolo 4.

2.      La valutazione dell’impatto ambientale può essere integrata nelle procedure esistenti di autorizzazione dei progetti negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste, in altre procedure o nelle procedure da stabilire per raggiungere gli obiettivi della presente direttiva.

(…)».

 La direttiva 96/61

8        Il considerando 23 della direttiva 96/61 enuncia quanto segue:

«(…)               per informare il pubblico sul funzionamento degli impianti e sui possibili effetti per l’ambiente, e garantire la trasparenza delle procedure di autorizzazione in tutta la Comunità, il pubblico deve avere liberamente accesso, prima di qualsiasi decisione, alle informazioni relative alle domande di autorizzazione di nuovi impianti (…)».

9        L’articolo 1 della direttiva sopra citata, intitolato «Finalità e campo di applicazione», così dispone:

«La presente direttiva ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività di cui all’allegato I. Essa prevede misure intese a evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria, nell’acqua e nel terreno, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso, lasciando impregiudicate le disposizioni della direttiva [85/337] nonché [le altre disposizioni comunitarie in materia]».

10      L’articolo 15 della medesima direttiva, intitolato «Accesso all’informazione e partecipazione del pubblico alla procedura di autorizzazione», prevede quanto segue:

«1.      Gli Stati membri provvedono affinché al pubblico interessato vengano offerte tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alla procedura relativa:

–        al rilascio di un’autorizzazione per nuovi impianti,

(…).

Ai fini di tale partecipazione si applica la procedura stabilita nell’allegato V.

(…)

4.      Le disposizioni [segnatamente del paragrafo 1] si applicano nel rispetto delle restrizioni previste dall’articolo 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 90/313/CEE [del Consiglio, del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente (GU L 158, pag. 56)].

(…)».

11      L’articolo 15 bis della direttiva 96/61, intitolato «Accesso alla giustizia», è redatto nei seguenti termini:

«Gli Stati membri provvedono, nel quadro del proprio ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato:

(…)

abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva.

(…)

Tale procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa.

(…)».

12      L’allegato I della direttiva 96/61, intitolato «Categorie di attività industriali di cui all’articolo 1», menziona, al punto 5.4, le «[d]iscariche che ricevono più di 10 tonnellate al giorno o con una capacità totale di oltre 25 000 tonnellate, ad esclusione delle discariche per i rifiuti inerti».

13      L’allegato V della medesima direttiva, intitolato «Partecipazione del pubblico [al processo decisionale]», prevede in particolare quanto segue:

«1.      Il pubblico è informato (attraverso pubblici avvisi oppure in altra forma adeguata quali mezzi di comunicazione elettronici, se disponibili) in una fase precoce della procedura di adozione di una decisione o, al più tardi, non appena sia ragionevolmente possibile fornire le informazioni, sui seguenti aspetti:

(…)

c)      [indicazioni precise circa le] autorità competenti responsabili dell’adozione della decisione, quelle da cui possono essere ottenute informazioni [pertinenti], quelle cui possono essere presentati osservazioni o quesiti, nonché indicazioni sui termini per la trasmissione di osservazioni o quesiti;

(…)

f)      l’indicazione dei tempi e dei luoghi in cui possono essere ottenute le informazioni [pertinenti] e le modalità alle quali esse sono rese disponibili;

[...]».

 La direttiva 2003/4/CE

14      Il considerando 16 della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313 (GU L 41, pag. 26), è così formulato:

«Il diritto all’informazione implica che la divulgazione dell’informazione [dovrebbe essere la regola] generale e che alle autorità pubbliche [dovrebbe essere] consentito respingere una richiesta di informazione ambientale in casi specifici e chiaramente definiti. Le ragioni di rifiuto dovrebbero essere interpretate in maniera restrittiva, ponderando l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione delle informazioni con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgarle. Le ragioni del rifiuto dovrebbero essere comunicate al richiedente entro il periodo stabilito dalla presente direttiva».

15      L’articolo 4, paragrafi 2 e 4, di detta direttiva stabilisce, in particolare, quanto segue:

«2.      Gli Stati membri possono disporre che la richiesta di informazione ambientale sia respinta qualora la divulgazione di tale informazione rechi pregiudizio:

(...)

d)      alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali qualora la riservatezza sia prevista dal diritto nazionale o comunitario per tutelare un legittimo interesse economico, compreso l’interesse pubblico di mantenere la riservatezza statistica ed il segreto fiscale;

(...)

I motivi di rifiuto di cui [in particolare al paragrafo 2] sono interpretati in modo restrittivo tenendo conto nel caso specifico dell’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione. In ogni caso specifico l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione è ponderato con l’interesse tutelato dal rifiuto. (…)

(…)

4.      L’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per loro conto e oggetto di richiesta è messa a disposizione in maniera parziale quando è possibile estrarre dal resto dell’informazione richiesta le informazioni indicate al paragrafo 1, lettere d) ed e), o al paragrafo 2».

La direttiva 2003/35

16      Il considerando 5 della direttiva 2003/35 dichiara che il diritto dell’Unione dovrebbe essere adeguatamente allineato alla convenzione di Aarhus in vista della ratifica di quest’ultima.

 Il diritto slovacco

 Le norme procedurali

17      L’articolo 135, paragrafo 1, del codice di procedura civile dispone:

«(...) Il giudice è altresì vincolato dalle decisioni dell’Ústavný súd Slovenskej republiky o della Corte europea dei diritti dell’uomo che coinvolgono i diritti e le libertà fondamentali».

18      L’articolo 56, paragrafo 6, della legge n. 38/1993 Rep., relativa all’organizzazione, alle norme di procedura e allo status dei giudici dell’Ústavný súd Slovenskej republiky, nel testo applicabile ai fatti di cui al giudizio principale, prevede:

«Se l’Ústavný súd Slovenskej republiky annulla una decisione, un provvedimento o un altro valido intervento e rinvia la causa, il soggetto che in tale causa ha adottato la decisione o la misura ovvero ha effettuato l’intervento è tenuto a riesaminare la causa e a pronunciarsi nuovamente. Nell’ambito di tale procedimento o di tale iniziativa, detto soggetto è vincolato al právny názor [valutazione in diritto] espresso dall’Ústavný súd Slovenskej republiky».

 Le disposizioni relative alla valutazione dell’impatto ambientale, alle regole in materia urbanistico‑edilizia e alle autorizzazioni integrate

–       La legge n. 24/2006 Rep.

19      L’articolo 1, paragrafo 1, della legge n. 24/2006 Rep., relativa alla valutazione dell’impatto ambientale e recante modifica di varie leggi, nel testo applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, enuncia quanto segue:

«La presente legge disciplina:

a)      il processo di valutazione, ad opera di professionisti e del pubblico, del presunto impatto ambientale:

(...)

2.      di attività in progetto, prima dell’adozione della decisione che si pronuncia sul loro insediamento o prima della loro autorizzazione in applicazione della normativa specifica.

(...)».

20      L’articolo 37 della legge suddetta dispone:

«(...)

6)      La durata di validità del parere definitivo riguardante un’attività è di tre anni dal rilascio del medesimo. Il parere definitivo conserva la propria validità se, durante tale periodo, viene avviata una procedura di insediamento o di autorizzazione di attività ai sensi della normativa specifica.

7)      La validità del parere definitivo riguardante un’attività può essere prorogata di due anni rinnovabili su istanza del richiedente qualora questi fornisca la prova scritta che l’attività in progetto e le condizioni sul territorio non hanno subìto modifiche sostanziali, che non è intervenuta alcuna nuova circostanza collegata con il contenuto sostanziale del rapporto di valutazione dell’attività e che non sono state sviluppate nuove tecnologie utili alla realizzazione dell’attività progettata. La decisione di prorogare la validità del parere definitivo riguardante l’attività spetta all’organismo competente».

21      L’articolo 65, paragrafo 5, della legge sopra citata precisa quanto segue:

«Se il parere definitivo è stato rilasciato prima del 1º febbraio 2006 e se la procedura di autorizzazione dell’attività soggetta a valutazione non è stata avviata ai sensi della normativa specifica, occorre sollecitare presso il Ministero una proroga della sua validità, conformemente all’articolo 37, paragrafo 7».

–       La legge n. 50/1976 Rep.

22      L’articolo 32 della legge n. 50/1976 Rep., contenente il codice dell’urbanistica e dell’edilizia, nel testo applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, dispone:

«L’insediamento di un’opera edilizia, la modifica della destinazione dei suoli e la protezione di interessi maggiori sul territorio sono possibili soltanto sulla base di una decisione urbanistico‑edilizia sotto forma di:

a)      decisione sull’insediamento di un’opera edilizia;

(...)».

–       La legge n. 245/2003 Rep.

23      L’articolo 8, paragrafi 3 e 4, della legge n. 245/2003 Rep., relativa alla prevenzione e alla riduzione integrate dell’inquinamento e recante modifica di varie leggi, come modificata dalla legge n. 532/2005 (in prosieguo: la «legge n. 245/2003»), stabilisce quanto segue:

«3)      Ove si tratti di un’autorizzazione integrata di gestione che richiede al tempo stesso un’autorizzazione di costruzione di una nuova opera edilizia o di modifica di un’opera edilizia preesistente, il procedimento comprende altresì un procedimento di autorizzazione edilizia, un procedimento di modifica prima del completamento dell’opera e un procedimento di autorizzazione di lavori di sistemazione.

4)      Il procedimento di assenso urbanistico‑edilizio, la valutazione dell’impatto ambientale dell’impianto e la fissazione delle condizioni per la prevenzione di gravi incidenti industriali non formano parte dell’autorizzazione integrata».

24      L’articolo 11, paragrafo 2, della legge suddetta precisa:

«Alla domanda [di autorizzazione integrata] vengono acclusi:

(…)

c)      il parere definitivo risultante dal processo di valutazione dell’impatto ambientale, se l’impianto lo richiede,

(…)

g)      la decisione di assenso urbanistico‑edilizio, se si tratta di un nuovo impianto o dell’estensione di un impianto esistente (…)».

25      L’articolo 12 della legge suddetta, intitolato «Inizio del procedimento», recita:

«(…)

(2)      Dopo aver constatato che la domanda è completa e aver individuato i soggetti parti del procedimento nonché gli organi interessati, l’amministrazione

(…)

c)      (...) pubblica la domanda sulla propria pagina Internet, ad eccezione degli allegati che non sono disponibili in formato elettronico, e, per almeno 15 giorni, pubblica nel proprio albo ufficiale le informazioni essenziali relative alla domanda presentata, al gestore e all’impianto,

(…)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

 Il procedimento amministrativo

26      Il 26 giugno 1997 il Mesto Pezinok ha adottato il regolamento generale n. 2/1997, recante approvazione del piano urbanistico, il quale prevedeva, in particolare, l’insediamento di una discarica di rifiuti in una cava di terra per mattoni, denominata «Nová jama» (cava nuova).

27      Sulla base di un rapporto di valutazione relativo ad un progetto di insediamento di una discarica di rifiuti presentato dalla Pezinské tehelne as il 16 dicembre 1998, il Ministero dell’Ambiente ha proceduto nel 1999 ad una valutazione dell’impatto ambientale. Esso ha emesso un parere definitivo il 26 luglio 1999.

28      Il 7 agosto 2002 la Ekologická skládka ha presentato all’ufficio competente del Mesto Pezinok una domanda per ottenere una decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento di una discarica di rifiuti nel sito di Nová jama.

29      Il 27 marzo 2006 il Ministero dell’Ambiente, su domanda della Pezinské tehelne as, ha prorogato la validità del proprio parere definitivo del 26 luglio 1999 fino al 1º febbraio 2008.

30      Con decisione del 30 novembre 2006, nel testo risultante a seguito di una decisione del Krajský stavebný úrad v Bratislave (Ufficio urbanistico regionale di Bratislava) del 7 maggio 2007, il Mesto Pezinok ha autorizzato, su domanda della Ekologická skládka, l’insediamento di una discarica di rifiuti nel sito di Nová jama.

31      A seguito di una domanda di autorizzazione integrata presentata il 25 settembre 2007 dalla Ekologická skládka, la Slovenská inšpekcia životného prostredia, Inšpektorát životného prostredia Bratislava (Ente slovacco per il controllo dell’ambiente, Ispettorato dell’ambiente di Bratislava; in prosieguo: l’«Inšpektorát»), ha avviato una procedura integrata sulla base della legge n. 245/2003, che ha trasposto la direttiva 96/61. Il 17 ottobre 2007, insieme con i servizi pubblici di protezione dell’ambiente, l’organo suddetto ha pubblicato la domanda di cui sopra fissando un termine di 30 giorni per il deposito di osservazioni da parte del pubblico e degli uffici dello Stato interessati.

32      Poiché i ricorrenti nel giudizio principale hanno fatto valere il carattere incompleto della domanda di autorizzazione integrata presentata dalla Ekologická skládka, per il fatto che essa non conteneva, quale allegato previsto dall’articolo 11, paragrafo 2, lettera g), della legge n. 245/2003, la decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento della discarica, l’Inšpektorát ha sospeso la procedura integrata in data 26 novembre 2007 ed ha chiesto la comunicazione di tale decisione.

33      Il 27 dicembre 2007 la Ekologická skládka ha trasmesso la suddetta decisione facendo presente che la considerava un segreto commerciale. Sulla base di tale indicazione, l’Inšpektorát non ha messo il documento in questione a disposizione delle parti ricorrenti nell’odierno giudizio a quo.

34      Il 22 gennaio 2008, l’Inšpektorát ha rilasciato alla Ekologická skládka un’autorizzazione integrata per la costruzione dell’impianto «Pezinok – discarica di rifiuti» e per la gestione dello stesso.

35      Gli odierni ricorrenti nel giudizio principale hanno proposto ricorso contro tale decisione dinanzi all’Inšpekcia, organo di seconda istanza per la tutela dell’ambiente. Tale organo ha deciso di pubblicare nell’albo ufficiale dal 14 marzo al 14 aprile 2008 la decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento della discarica.

36      Nell’ambito del procedimento amministrativo di secondo grado, gli odierni ricorrenti nel giudizio a quo hanno fatto valere, in particolare, l’errore di diritto derivante dal fatto che la procedura di autorizzazione integrata era stata avviata senza disporre della decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento della discarica, e poi, dopo che tale decisione era stata depositata, senza pubblicazione della stessa, per il fatto che avrebbe costituito un segreto commerciale.

37      Con decisione del 18 agosto 2008, l’Inšpekcia ha respinto il ricorso in quanto infondato.

 Il procedimento giurisdizionale

38      I ricorrenti nell’odierno giudizio principale hanno proposto un ricorso avverso la decisione dell’Inšpekcia del 18 agosto 2008 dinanzi al Krajský súd Bratislava (Tribunale regionale di Bratislava), giudice di primo grado in materia amministrativa. Con sentenza in data 4 dicembre 2008, quest’ultimo ha respinto il ricorso.

39      I suddetti ricorrenti hanno interposto appello avverso tale pronuncia dinanzi al Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema di cassazione della Repubblica slovacca).

40      Con ordinanza del 6 aprile 2009, tale giudice ha sospeso l’esecuzione dell’autorizzazione integrata.

41      Con sentenza del 28 maggio 2009, il medesimo giudice ha riformato la sentenza del Krajský súd Bratislava ed ha annullato la decisione dell’Inšpekcia del 18 agosto 2008 nonché la decisione dell’Inšpektorát del 22 gennaio 2008, addebitando essenzialmente alle autorità competenti il mancato rispetto delle norme disciplinanti la partecipazione del pubblico interessato alla procedura integrata nonché l’insufficiente valutazione dell’impatto ambientale derivante dalla costruzione della discarica.

42      La Ekologická skládka ha proposto dinanzi all’Ústavný súd Slovenskej republiky (Corte costituzionale della Repubblica slovacca), il 25 giugno 2009, un ricorso costituzionale contro l’ordinanza del Najvyšší súd Slovenskej republiky del 6 aprile 2009 e, il 3 settembre 2009, un ricorso costituzionale contro la sentenza di tale giudice del 28 maggio 2009.

43      Con sentenza in data 27 maggio 2010, l’Ústavný súd Slovenskej republiky ha statuito che il Najvyšší súd Slovenskej republiky aveva violato il diritto fondamentale della Ekologická skládka alla tutela giurisdizionale, riconosciuto dall’articolo 46, paragrafo 1, della Costituzione, il suo diritto fondamentale di proprietà, riconosciuto dall’articolo 20, paragrafo 1, della Costituzione, nonché il suo diritto al pacifico godimento del proprio bene, riconosciuto dall’articolo 1 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

44      Il giudice costituzionale ha in particolare affermato che il Najvyšší súd Slovenskej republiky non aveva tenuto conto di tutti i principi applicabili in materia di procedimento amministrativo ed aveva ecceduto i propri poteri esaminando la legittimità del procedimento e della decisione di valutazione dell’impatto ambientale malgrado che i ricorrenti non avessero mosso contestazioni al riguardo e che detto giudice non fosse competente a pronunciarsi in ordine a tale aspetto.

45      Con la propria sentenza, l’Ústavný súd Slovenskej republiky ha dunque annullato l’ordinanza e la sentenza impugnate ed ha rinviato la causa dinanzi al Najvyšší súd Slovenskej republiky ai fini di una nuova decisione.

46      Il Najvyšší súd Slovenskej republiky rileva che varie parti del giudizio in corso fanno valere che esso giudice è vincolato dalla sentenza dell’Ústavný súd Slovenskej republiky del 27 maggio 2010. Tuttavia, detto giudice sottolinea i propri dubbi in merito alla compatibilità delle decisioni contestate con il diritto dell’Unione.

47      In tale contesto, il Najvyšší súd Slovenskej republiky ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto [dell’Unione] (segnatamente l’articolo 267 TFUE) obblighi oppure consenta alla Corte suprema di cassazione di uno Stato membro di proporre d’ufficio alla [Corte] una domanda di pronuncia pregiudiziale anche in una fase del procedimento principale nella quale la Corte costituzionale abbia annullato la sentenza della Corte suprema di cassazione, fondata principalmente sull’applicazione della normativa [dell’Unione] in materia di tutela dell’ambiente, imponendo a quest’ultimo giudice l’obbligo di attenersi alle valutazioni giuridiche di detta Corte costituzionale fondate sulla violazione dei diritti costituzionali processuali e sostanziali di una parte del procedimento giurisdizionale, senza punto considerare i profili di diritto [dell’Unione] della controversia – vale a dire nel caso in cui la Corte costituzionale, in veste di giudice di ultima istanza, non sia giunta in tale procedimento alla conclusione di dover sottoporre alla [Corte] una questione pregiudiziale e abbia provvisoriamente escluso l’applicazione nel procedimento principale del diritto ad un ambiente adeguato e alla sua tutela.

2)      Se sia possibile realizzare lo scopo fondamentale della prevenzione integrata, quale risulta anzitutto dai considerando 8, 9 e 23 della direttiva [96/61] e dagli articoli 1 e 15 di quest’ultima, nonché in generale dal diritto [dell’Unione] in materia di ambiente, – ossia la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento anche tramite la partecipazione del pubblico all’obiettivo di raggiungere un elevato livello di tutela dell’ambiente nel suo complesso, – in una situazione in cui il pubblico interessato non abbia, alla data di inizio del procedimento relativo alla prevenzione integrata, accesso garantito a tutta la documentazione pertinente (articoli 6 e, in combinato disposto, 15 della direttiva [96/61]), e soprattutto alla decisione sull’insediamento di un impianto di discarica di rifiuti, ma successivamente, durante il procedimento di primo grado, il documento mancante venga prodotto dal soggetto istante a condizione che non lo si divulghi alle altre parti del procedimento, poiché si tratta di materiale coperto da segreto commerciale; se si possa fondatamente ritenere che la decisione sull’insediamento dell’impianto (soprattutto la sua motivazione) influisca in modo sostanziale sulla presentazione di argomenti, osservazioni o altri rilievi.

3)      Se siano soddisfatte le finalità della direttiva [85/337], soprattutto sotto il profilo del diritto [dell’Unione] in materia di ambiente, – e più specificamente nell’ottica della condizione enunciata all’articolo 2, secondo la quale, prima di essere autorizzati, determinati progetti devono essere stati valutati con riferimento al loro impatto sull’ambiente, – nel caso in cui il parere inizialmente formulato dal Ministero dell’Ambiente nel 1999, con il quale si concludeva in passato una procedura di valutazione di impatto ambientale, venga prorogato a distanza di diversi anni con una semplice decisione, senza prima condurre una nuova procedura di valutazione dell’impatto ambientale. Altrimenti detto: se si possa ritenere che, una volta emanata, una decisione adottata ai sensi della direttiva [85/337] abbia validità illimitata.

4)      Se la condizione generale stabilita dalla direttiva [96/61] (segnatamente dal suo preambolo e dagli articoli 1 e 15 bis), – in base alla quale ogni Stato membro assicura la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento anche con l’offrire al pubblico interessato procedure di ricorso amministrativo o giurisdizionale giuste, eque e tempestive, – in combinato disposto con l’articolo 10 bis della direttiva [85/337] e con gli articoli 6 e 9, paragrafi 2 e 4, della convenzione di Aahrus, comprenda anche la possibilità per detto pubblico di richiedere l’adozione di una misura provvisoria amministrativa o giurisdizionale ai sensi del diritto nazionale (per esempio, un’ordinanza di sospensione dell’esecuzione di una decisione integrata), che consenta provvisoriamente, ossia fino alla decisione nel merito, di fermare la realizzazione di un impianto progettato.

5)      Se, mediante una decisione giudiziaria che soddisfa la condizione stabilita dalla direttiva [96/61] o dalla direttiva [85/337] ovvero dall’articolo 9, paragrafi 2 e 4, della convenzione di Aahrus, – cioè in applicazione del diritto del pubblico, sancito da dette disposizioni, ad un’equa tutela giurisdizionale ai sensi dell’articolo 191, paragrafi 1 e 2, [TFUE], relativo alla politica dell’Unione europea in materia ambientale, – sia possibile ledere illegittimamente il diritto di proprietà di un gestore sul suo impianto, quale garantito tra l’altro dall’articolo 1 del Protocollo aggiuntivo annesso alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ad esempio annullando, nell’ambito di un procedimento giurisdizionale, un’autorizzazione integrata per un nuovo impianto validamente concessa al richiedente».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità

48      L’Inšpekcia, la Ekologická skládka ed il governo slovacco contestano, a vario titolo, la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale o di alcune delle questioni sollevate.

49      In primo luogo, secondo l’Inšpekcia e la Ekologická skládka, tutte le questioni sollevate sono irricevibili perché vertono su situazioni interamente disciplinate da norme interne, in particolare dagli atti che hanno trasposto le direttive 85/337 e 96/61. La Ekologická skládka ne deduce che tali direttive sono prive di effetto diretto, mentre l’Inšpekcia ritiene che esse siano sufficientemente chiare per rendere inutile il rinvio pregiudiziale. L’Inšpekcia sostiene inoltre che le questioni pregiudiziali avrebbero dovuto essere sollevate nell’ambito della prima fase del procedimento condotto dinanzi al Najvyšší súd Slovenskej republiky. Del pari, la Ekologická skládka ritiene che tali questioni siano superflue nella misura in cui il Najvyšší súd Slovenskej republiky è a questo punto vincolato dalla valutazione in diritto effettuata dall’Ústavný súd Slovenskej republiky e nessuna delle parti del giudizio principale ha chiesto di sottoporre alla Corte dette questioni.

50      In secondo luogo, la Ekologická skládka sostiene che la separazione stabilita dal diritto nazionale tra il procedimento integrato, il procedimento di assenso urbanistico‑edilizio e la valutazione di impatto ambientale rende prive di rilevanza, ai fini dell’esito del giudizio a quo, le questioni seconda e terza. Per l’Inšpekcia, tale separazione giustifica l’irricevibilità delle questioni terza, quarta e quinta. Infatti, essa implicherebbe che un vizio riguardante la decisione di assenso urbanistico‑edilizio o la valutazione di impatto ambientale è irrilevante ai fini della legittimità dell’autorizzazione integrata.

51      In terzo luogo, la Ekologická skládka e il governo slovacco ritengono che la quarta questione abbia natura ipotetica. Da un lato, i provvedimenti provvisori adottati dal Najvyšší súd Slovenskej republiky nella sua ordinanza del 6 aprile 2009 sarebbero ormai privi di qualunque effetto. Dall’altro, tale questione sarebbe priva di rilevanza per il giudizio in corso dinanzi al giudice del rinvio, in quanto esso verte non sulla pronuncia di nuove misure provvisorie, bensì sulla validità delle decisioni amministrative contestate.

52      In quarto ed ultimo luogo, la Ekologická skládka sostiene che anche la quinta questione presenta carattere ipotetico, in quanto verte sulla decisione che il Najvyšší súd Slovenskej republiky sarà chiamato a emettere al termine del giudizio principale. Inoltre, tale questione sarebbe altresì irricevibile per il fatto che concerne l’interpretazione del diritto costituzionale nazionale.

53      A questo proposito occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenze del 10 marzo 2009, Hartlauer, C‑169/07, Racc. pag. I‑1721, punto 24, e del 19 luglio 2012, Garkalns, C‑470/11, punto 17).

54      Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenze del 1º giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez, C‑570/07 e C‑571/07, Racc. pag. I‑4629, punto 36, nonché del 5 luglio 2012, Geistbeck, C‑509/10, punto 48).

55      Orbene, l’argomento relativo all’esaustività del diritto nazionale non consente di dimostrare che l’interpretazione delle norme di diritto dell’Unione citate dal giudice del rinvio sia manifestamente priva di qualsiasi rapporto con la controversia oggetto del giudizio a quo, tanto più che non è contestato il fatto che le disposizioni nazionali applicabili costituiscono in parte misure di trasposizione degli atti dell’Unione. Pertanto, tale argomento non è sufficiente per confutare la presunzione di rilevanza ricordata al punto precedente.

56      È giocoforza constatare che l’asserita mancanza di effetto diretto delle direttive in questione non modifica tale valutazione, dal momento che la Corte è competente, a norma dell’articolo 267 TFUE, a statuire, in via pregiudiziale, sull’interpretazione degli atti emanati dalle istituzioni dell’Unione, indipendentemente dal fatto che essi siano o no direttamente applicabili (sentenze del 10 luglio 1997, Maso e a., C‑373/95, Racc. pag. I‑4051, punto 28; del 16 luglio 2009, Futura Immobiliare e a., C‑254/08, Racc. pag. I‑6995, punto 34, e del 27 novembre 2012, Pringle, C‑370/12, punto 89). Inoltre, per quanto riguarda la presunta inutilità della domanda di pronuncia pregiudiziale a motivo della chiarezza delle norme applicabili, occorre ricordare che l’articolo 267 TFUE permette sempre ad un giudice nazionale, ove quest’ultimo lo ritenga opportuno, di deferire alla Corte questioni di interpretazione (v., in tal senso, sentenza del 26 maggio 2011, Stichting Natuur en Milieu e a., da C‑165/09 a C‑167/09, Racc. pag. I‑4599, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata).

57      Quanto agli altri argomenti addotti dall’Inšpekcia e dalla Ekologická skládka per dimostrare l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale nel suo insieme, essi si ricollegano all’oggetto della prima questione e saranno dunque valutati dalla Corte nell’ambito dell’esame di quest’ultima.

58      Quanto agli elementi attinenti alla separazione tra le diverse procedure ai sensi della normativa nazionale, è importante sottolineare come il giudice del rinvio adotti una concezione delle conseguenze che occorre trarre da tale separazione alla luce del diritto nazionale assai differente da quella propugnata dall’Inšpekcia e dalla Ekologická skládka. Orbene, nell’ambito del procedimento previsto dall’articolo 267 TFUE, le funzioni della Corte e quelle del giudice del rinvio sono chiaramente distinte, ed è esclusivamente a quest’ultimo che spetta interpretare il proprio diritto nazionale (sentenze del 17 giugno 1999, Piaggio, C‑295/97, Racc. pag. I‑3735, punto 29, e del 17 luglio 2008, Corporación Dermoestética, C‑500/06, Racc. pag. I‑5785, punto 21). Di conseguenza, i suddetti elementi non sono sufficienti per dimostrare che le questioni sollevate siano manifestamente prive di rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia.

59      Per quanto riguarda la ricevibilità della quarta questione, risulta dalla decisione di rinvio che il Najvyšší súd Slovenskej republiky ha adottato nuove misure provvisorie intese a sospendere gli effetti delle decisioni controverse nel giudizio a quo. Oltre a ciò, nelle proprie osservazioni scritte la Ekologická skládka precisa che ha ritenuto utile presentare un ricorso contro le suddette misure. Date tali circostanze, non risulta che la quarta questione possa essere considerata ipotetica.

60      Infine, per quanto riguarda la ricevibilità della quinta questione, è pacifico che l’Ústavný súd Slovenskej republiky ha statuito che il Najvyšší súd Slovenskej republiky ha violato il diritto di proprietà della Ekologická skládka in virtù della sentenza da esso emessa il 28 maggio 2009, la quale constatava che l’autorizzazione integrata era stata concessa in base a presupposti incompatibili con il diritto dell’Unione. Dal momento che il giudice del rinvio nutre tuttora dei dubbi riguardo alla compatibilità col diritto dell’Unione delle decisioni impugnate nel giudizio principale, la quinta questione non ha natura puramente ipotetica. Inoltre, risulta dalla formulazione di tale questione che essa non verte sull’interpretazione del diritto costituzionale nazionale.

61      Pertanto, occorre dichiarare ricevibili le questioni sottoposte dal giudice del rinvio.

 Sulla prima questione

62      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che un giudice nazionale può sottoporre d’ufficio alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale, malgrado che esso statuisca su rinvio a seguito dell’annullamento della sua prima decisione ad opera del giudice costituzionale dello Stato membro di cui trattasi e che una norma nazionale gli imponga di risolvere la controversia adeguandosi alla valutazione in diritto espressa da quest’ultimo giudice. Il giudice del rinvio si chiede altresì se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che tale norma obbliga detto giudice a rivolgersi alla Corte, malgrado che le sue decisioni possano costituire l’oggetto, dinanzi ad un giudice costituzionale, di un ricorso limitato alla verifica di un’eventuale violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione nazionale o da una convenzione internazionale.

63      In limine occorre rilevare che, con la sua prima questione, il Najvyšší súd Slovenskej republiky desidera altresì sapere se il diritto dell’Unione gli consenta di disapplicare una norma nazionale che gli vieta di sollevare una questione attinente alla violazione del diritto dell’Unione che non sia stata dedotta dalle parti del procedimento principale. Tuttavia, risulta dalla decisione di rinvio che tale interrogativo riguarda soltanto la direttiva 85/337, e occorrerà di conseguenza pronunciarsi in proposito soltanto qualora consti, alla luce della risposta fornita al terzo quesito pregiudiziale, che tale direttiva è applicabile nel giudizio a quo.

64      Per quanto riguarda gli altri aspetti della prima questione pregiudiziale, secondo una giurisprudenza consolidata, l’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora essi ritengano che una causa dinanzi ad essi pendente faccia sorgere questioni che richiedono un’interpretazione o un esame della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione essenziali ai fini della soluzione della lite di cui sono investiti (sentenze del 27 giugno 1991, Mecanarte, C‑348/89, Racc. pag. I‑3277, punto 44, e del 5 ottobre 2010, Elchinov, C‑173/09, Racc. pag. I‑8889, punto 26).

65      L’articolo 267 TFUE conferisce dunque ai giudici nazionali la facoltà – ed eventualmente impone loro l’obbligo – di effettuare un rinvio pregiudiziale qualora essi constatino, d’ufficio o su domanda di parte, che il merito della controversia implica la soluzione di una questione ricadente sotto le previsioni del primo comma dell’articolo sopra citato (sentenze del 10 luglio 1997, Palmisani, C‑261/95, Racc. pag. I‑4025, punto 20, e del 21 luglio 2011, Kelly, C‑104/10, Racc. pag. I‑6813, punto 61). Per tale motivo, il fatto che le parti del giudizio a quo non abbiano prospettato, dinanzi al giudice del rinvio, una problematica attinente al diritto dell’Unione non osta a che la Corte possa essere adita da detto giudice (sentenze del 16 giugno 1981, Salonia, 126/80, Racc. pag. 1563, punto 7, e dell’8 marzo 2012, Huet, C‑251/11, punto 23).

66      Infatti, il rinvio pregiudiziale si fonda su un dialogo tra giudici, il cui avvio dipende interamente dalla valutazione operata dal giudice nazionale in merito alla rilevanza e alla necessità del rinvio stesso (sentenze del 16 dicembre 2008, Cartesio, C‑210/06, Racc. pag. I‑9641, punto 91, e del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing, C‑137/08, Racc. pag. I‑10847, punto 29).

67      Inoltre, l’esistenza di una norma procedurale nazionale non può rimettere in discussione la facoltà, spettante ai giudici nazionali, di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora essi nutrano dubbi, come nell’odierno procedimento principale, in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenze Elchinov, cit., punto 25, e del 20 ottobre 2011, Interedil, C‑396/09, Racc. pag. I‑9915, punto 35).

68      Pertanto, una norma di diritto nazionale in virtù della quale le valutazioni formulate da un organo giurisdizionale superiore vincolano un altro giudice nazionale non può privare quest’ultimo della facoltà di sottoporre alla Corte questioni riguardanti l’interpretazione del diritto dell’Unione interessato da dette valutazioni in diritto. Infatti, tale giudice, ove ritenga che la valutazione in diritto compiuta nel grado superiore potrebbe indurlo ad emettere una decisione contraria al diritto dell’Unione, deve essere libero di sottoporre alla Corte le questioni costituenti per esso motivo di perplessità (sentenze del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑378/08, Racc. pag. I‑1919, punto 32, nonché Elchinov, cit., punto 27).

69      In tale ambito, occorre sottolineare che il giudice nazionale che abbia esercitato la facoltà conferitagli dall’articolo 267 TFUE è vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora ritenga, alla luce di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione (sentenza Elchinov, cit., punto 30).

70      I principi enunciati ai punti precedenti si impongono in egual maniera nei confronti del giudice del rinvio per quanto riguarda la valutazione in diritto espressa, nella presente fattispecie, dal giudice costituzionale dello Stato membro di cui trattasi, dal momento che, secondo una giurisprudenza consolidata, è inammissibile che norme di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, possano menomare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, Racc. pag. 1125, punto 3, e dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, C‑409/06, Racc. pag. I‑8015, punto 61). La Corte ha d’altronde già precisato che i suddetti principi si applicano nei rapporti tra un giudice costituzionale e qualsiasi altro giudice nazionale (sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli, C‑188/10 e C‑189/10, Racc. pag. I‑5667, punti 41‑45).

71      Pertanto, la norma nazionale che obbliga il Najvyšší súd Slovenskej republiky a conformarsi alla valutazione in diritto enunciata dall’Ústavný súd Slovenskej republiky non può impedire al giudice del rinvio di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale in qualsiasi fase del procedimento che esso reputi appropriata e di lasciare disapplicati, se del caso, gli apprezzamenti formulati dall’Ústavný súd Slovenskej republiky che si rivelassero in contrasto con il diritto dell’Unione.

72      Infine, in quanto corte suprema, il Najvyšší súd Slovenskej republiky è addirittura obbligato a sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale una volta che esso constati che il merito della controversia implica la soluzione di una questione ricadente sotto le previsioni del primo comma dell’articolo 267 TFUE. Infatti, la possibilità di presentare, dinanzi al giudice costituzionale dello Stato membro di cui trattasi, un ricorso contro le decisioni di un giudice nazionale limitato alla verifica dell’eventuale violazione dei diritti e delle libertà garantite dalla Costituzione nazionale o da una convenzione internazionale non consente di ritenere che a quest’ultimo giudice nazionale debba essere negata la qualifica di giudice avverso le cui decisioni non può essere proposto un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE.

73      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, come l’odierno giudice del rinvio, ha l’obbligo di sottoporre d’ufficio alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale anche quando esso statuisca su rinvio a seguito dell’annullamento della sua prima decisione ad opera del giudice costituzionale dello Stato membro interessato e una norma nazionale gli imponga di risolvere la controversia conformandosi alla valutazione in diritto espressa da quest’ultimo giudice.

 Sulla seconda questione

74      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 96/61 debba essere interpretata nel senso che essa esige che il pubblico interessato abbia accesso, sin dall’inizio della procedura di autorizzazione di una discarica, ad una decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento di tale impianto. Detto giudice si chiede altresì se il rifiuto di mettere a disposizione tale decisione possa essere giustificato dall’allegazione di un segreto commerciale che proteggerebbe le informazioni contenute nella decisione stessa, o se possa altrimenti essere sanato in virtù dell’accesso a tale decisione conferito al pubblico interessato nel corso del procedimento amministrativo di secondo grado.

75      In via preliminare, occorre constatare come dalla decisione di rinvio risulti che l’impianto controverso nel giudizio a quo è una discarica che riceve più di 10 tonnellate di rifiuti al giorno o avente una capacità totale superiore a 25 000 tonnellate di rifiuti. Essa rientra dunque nella sfera di applicazione della direttiva 96/61, come risulta dall’articolo 1 di tale direttiva, letto in combinato disposto con il punto 5.4 del suo allegato I.

76      L’articolo 15 della suddetta direttiva prevede la partecipazione del pubblico interessato alla procedura di rilascio di un’autorizzazione per nuovi impianti e precisa che tale partecipazione si svolge con le modalità previste dall’allegato V della direttiva medesima. Tale allegato impone di fornire al pubblico, in particolare, indicazioni precise circa le autorità presso le quali possono essere ottenute informazioni pertinenti, nonché di indicare la data e il luogo in cui tali informazioni verranno rese disponibili al pubblico.

77      Tali norme sulla partecipazione del pubblico devono essere interpretate alla luce e tenendo conto delle disposizioni della convenzione di Aarhus, alla quale – come risulta dal considerando 5 della direttiva 2003/35, che ha parzialmente modificato la direttiva 96/61 – la normativa dell’Unione dovrebbe essere «adeguatamente allineata» (sentenza del 12 maggio 2011, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein‑Westfalen, C‑115/09, Racc. pag. I‑3673, punto 41). Orbene, l’articolo 6, paragrafo 6, di detta convenzione stabilisce che il pubblico interessato deve poter consultare tutte le informazioni rilevanti ai fini del processo decisionale relativo all’autorizzazione di attività contemplate dall’allegato I della convenzione stessa, tra le quali in particolare le discariche che ricevono più di 10 tonnellate di rifiuti al giorno o aventi una capacità totale superiore a 25 000 tonnellate di rifiuti.

78      Pertanto, il pubblico interessato dalla procedura di autorizzazione prevista dalla direttiva 96/61 deve, in linea di principio, avere accesso a tutte le informazioni pertinenti ai fini di tale procedura.

79      Risulta dalla decisione di rinvio e dal fascicolo presentato alla Corte che la decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento dell’impianto controverso nel giudizio a quo costituisce una delle misure sulla base delle quali verrà adottata la decisione definitiva di autorizzare o meno l’impianto medesimo, e che essa contiene informazioni in merito all’impatto ambientale del progetto, alle condizioni imposte al gestore al fine di limitare tale impatto, alle obiezioni mosse dalle parti della procedura di assenso urbanistico‑edilizio e alle ragioni che hanno motivato le scelte effettuate dall’autorità competente per rilasciare tale decisione di assenso urbanistico‑edilizio. Oltre a ciò, le norme nazionali applicabili impongono che detta decisione venga allegata alla domanda di autorizzazione integrata presentata all’autorità competente. Ne consegue che tale decisione deve essere considerata quale atto contenente informazioni pertinenti ai sensi dell’allegato V della direttiva 96/61, e che il pubblico interessato deve dunque, in linea di principio, potervi avere accesso nel corso della procedura di autorizzazione del suddetto impianto.

80      Nondimeno, risulta dall’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 96/61 che la partecipazione del pubblico interessato può essere limitata in virtù delle restrizioni previste dall’articolo 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 90/313. Tuttavia, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, la direttiva 90/313 era stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2003/4. Tenuto conto della tabella di corrispondenza allegata a quest’ultima direttiva, dell’obbligo di allineare la normativa dell’Unione alla convenzione di Aarhus, nonché della formulazione dell’articolo 15 della direttiva 96/61 adottata in occasione della successiva codificazione di quest’ultima ad opera della direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 24, pag. 8), occorre ritenere per via di interpretazione che l’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 96/61 operi un rinvio alle restrizioni previste dall’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 4, della direttiva 2003/4.

81      Ai sensi del paragrafo 2, primo comma, lettera d), di tale articolo 4, gli Stati membri possono disporre che la richiesta di informazioni sia respinta qualora la divulgazione di tali informazioni rechi pregiudizio alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, allorché tale riservatezza è prevista dal diritto nazionale o dell’Unione per tutelare un legittimo interesse economico.

82      Tuttavia, tenuto conto in particolare dell’importanza dell’ubicazione delle varie attività contemplate dalla direttiva 96/61, e come risulta dal punto 79 della presente sentenza, tale ipotesi non può configurarsi nel caso della decisione con cui un’autorità pubblica autorizza, alla luce delle norme urbanistico‑edilizie applicabili, l’insediamento di un impianto ricadente nella sfera di applicazione della direttiva suddetta.

83      Anche supponendo che non sia possibile escludere che, in via eccezionale, taluni elementi figuranti nella motivazione di una decisione in materia urbanistico‑edilizia possano costituire informazioni commerciali o industriali riservate, è pacifico nella specie che la tutela della riservatezza di informazioni siffatte è stata utilizzata, in violazione dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2003/4, per rifiutare al pubblico interessato qualsiasi accesso, anche parziale, alla decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento dell’impianto in discussione nel giudizio a quo.

84      Ne consegue che il rifiuto di mettere a disposizione del pubblico interessato la decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento dell’impianto in discussione nel giudizio a quo, rifiuto pronunciato nel corso del procedimento amministrativo di primo grado, non era giustificato a titolo dell’eccezione prevista dall’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 96/61. È dunque necessario per il giudice del rinvio sapere se l’accesso alla decisione suddetta consentito al pubblico interessato nel corso del procedimento amministrativo di secondo grado sia sufficiente per sanare il vizio procedurale inficiante il procedimento amministrativo di primo grado e per escludere così l’esistenza di una violazione dell’articolo 15 della direttiva 96/61.

85      In assenza di regole stabilite dal diritto dell’Unione in tale materia, spetta all’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, a condizione però che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle applicabili ad analoghi ricorsi di natura interna (principio di equivalenza) e che esse non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze del 14 dicembre 1995, Peterbroeck, C‑312/93, Racc. pag. I‑4599, punto 12, nonché del 12 luglio 2012, VALE Építési, C‑378/10, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).

86      Quanto al principio di equivalenza, esso richiede che l’insieme delle norme applicabili ai ricorsi si applichi indistintamente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli volti a far valere la violazione del diritto interno (v., in particolare, sentenze del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C‑591/10, punto 31, nonché del 4 ottobre 2012, Byankov, C‑249/11, punto 70). Spetta dunque al giudice nazionale verificare se il diritto del proprio Stato consenta la sanatoria di analoghi vizi procedurali di natura interna nel corso del procedimento amministrativo di secondo grado.

87      Quanto al principio di effettività, se è pur vero che il diritto dell’Unione non può ostare a che le norme nazionali applicabili consentano, in taluni casi, di sanare atti o comportamenti irregolari sotto il profilo del diritto dell’Unione, tale possibilità è però subordinata alla condizione che essa non offra agli interessati l’occasione di aggirare le norme giuridiche dell’Unione o di sottrarsi alla loro applicazione e che rimanga eccezionale (sentenza del 3 luglio 2008, Commissione/Irlanda, C‑215/06, Racc. pag. I‑4911, punto 57).

88      A questo proposito, è importante sottolineare che l’articolo 15 della direttiva 96/61 impone agli Stati membri di dare al pubblico interessato tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alla procedura di rilascio di un’autorizzazione. Tale disposizione deve essere interpretata alla luce del considerando 23 di detta direttiva, a mente del quale il pubblico deve avere liberamente accesso, prima di qualsiasi decisione, alle informazioni relative alle domande di autorizzazione di nuovi impianti, nonché alla luce dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus, il quale stabilisce, da un lato, che la partecipazione del pubblico comincia in una fase iniziale del procedimento, vale a dire quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione può avere un’influenza effettiva, e, dall’altro lato, che il pubblico deve avere accesso alle informazioni pertinenti non appena siano disponibili. Ne consegue che il pubblico interessato deve disporre dell’insieme delle informazioni pertinenti sin dallo stadio del procedimento amministrativo di primo grado, anteriormente all’adozione di una prima decisione, purché tali informazioni siano disponibili alla data in cui si svolge tale fase procedurale.

89      Quanto alla questione se il principio di effettività osti ad una regolarizzazione del procedimento in secondo grado mediante la messa a disposizione del pubblico di documenti pertinenti non accessibili nel corso del procedimento di primo grado, risulta dalle informazioni trasmesse dal giudice del rinvio che, in base alla normativa nazionale applicabile, l’organo amministrativo di secondo grado ha il potere di modificare la decisione amministrativa emessa in prima istanza. Spetta però al giudice del rinvio verificare se, da un lato, nell’ambito del procedimento amministrativo di secondo grado, tutte le alternative siano ancora praticabili ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 96/61, interpretato alla luce dell’articolo 6, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, e se, dall’altro lato, la regolarizzazione in tale stadio procedurale mediante la messa a disposizione del pubblico interessato di documenti pertinenti consenta ancora a tale pubblico di esercitare un’influenza effettiva sull’esito del processo decisionale.

90      Di conseguenza, il principio di effettività non osta a che un rifiuto ingiustificato di mettere a disposizione del pubblico interessato la decisione di assenso urbanistico‑edilizio di cui al giudizio a quo nel corso del procedimento amministrativo di primo grado possa essere sanato nel corso del procedimento amministrativo di secondo grado, a condizione che tutte le alternative siano ancora praticabili e che la regolarizzazione in tale stadio procedurale consenta ancora al pubblico interessato di esercitare un’influenza effettiva sull’esito del processo decisionale, circostanze queste la cui verifica spetta al giudice nazionale.

91      Occorre pertanto rispondere alla seconda questione dichiarando che la direttiva 96/61 va interpretata nel senso che essa:

–        esige che il pubblico interessato abbia accesso ad una decisione di assenso urbanistico‑edilizio, quale quella controversa nel giudizio principale, sin dall’inizio del procedimento di autorizzazione dell’impianto di cui trattasi;

–        non consente alle autorità nazionali competenti di rifiutare al pubblico interessato l’accesso a tale decisione adducendo la tutela della riservatezza delle informazioni commerciali o industriali prevista dal diritto nazionale o dell’Unione al fine di proteggere un legittimo interesse economico, e

–        non osta a che un rifiuto ingiustificato di mettere a disposizione del pubblico interessato una decisione di assenso urbanistico‑edilizio, come quella controversa nel giudizio a quo, nel corso del procedimento amministrativo di primo grado possa essere sanato nel corso del procedimento amministrativo di secondo grado, a condizione che tutte le alternative siano ancora praticabili e che la regolarizzazione in tale stadio procedurale consenta ancora al pubblico interessato di esercitare un’influenza effettiva sull’esito del processo decisionale, circostanze queste la cui verifica spetta al giudice nazionale.

 Sulla terza questione

92      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 85/337 debba essere interpretata nel senso che essa osta a che la validità di un parere concernente la valutazione dell’impatto ambientale di un progetto possa essere legittimamente prorogata svariati anni dopo l’adozione del parere medesimo, e se detta direttiva imponga di procedere, in tal caso, ad una nuova valutazione dell’impatto ambientale del progetto di cui trattasi.

93      A questo proposito, l’Inšpekcia ed i governi slovacco e ceco sostengono che la direttiva 85/337 non è applicabile, ratione temporis, alla situazione esaminata dal giudice del rinvio.

94      Secondo una costante giurisprudenza, il principio dell’assoggettamento a valutazione ambientale dei progetti idonei ad avere un notevole impatto sull’ambiente non si applica nel caso in cui la data di presentazione formale della domanda di autorizzazione di un progetto sia anteriore alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 85/337 (sentenze dell’11 agosto 1995, Commissione/Germania, C‑431/92, Racc. pag. I‑2189, punti 29 e 32, nonché del 18 giugno 1998, Gedeputeerde Staten van Noord‑Holland, C‑81/96, Racc. pag. I‑3923, punto 23).

95      Infatti, detta direttiva riguarda in gran parte progetti di una certa ampiezza, la cui realizzazione necessita molto spesso di un lungo periodo di tempo. Pertanto, non sarebbe opportuno che procedure, già complesse a livello nazionale, subiscano aggravi e ritardi in ragione delle specifiche prescrizioni imposte dalla citata direttiva e che ne risultino colpite situazioni già consolidate (sentenza Gedeputeerde Staten van Noord‑Holland, cit., punto 24).

96      Nel caso di specie, risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che le iniziative del gestore intese ad ottenere l’autorizzazione a realizzare il progetto di discarica controverso nel giudizio a quo hanno avuto inizio il 16 dicembre 1998, mediante il deposito di una domanda di valutazione dell’impatto ambientale di detto progetto. Orbene, risulta dall’articolo 2 dell’Atto relativo alle condizioni di adesione all’Unione europea della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca, nonché agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33), che la direttiva 85/337 doveva essere attuata dalla Repubblica slovacca a partire dalla data di adesione di tale Stato membro all’Unione, ossia il 1º maggio 2004.

97      Nondimeno, occorre rilevare che il rilascio, da parte dell’amministrazione slovacca, dell’autorizzazione a realizzare la discarica controversa nel giudizio principale ha richiesto tre successivi procedimenti conclusisi ciascuno con l’adozione di una decisione.

98      Le domande del gestore concernenti i primi due procedimenti sono state presentate rispettivamente il 16 dicembre 1998 e il 7 agosto 2002, ossia prima della scadenza del termine di trasposizione della direttiva 85/337. Per contro, la domanda di autorizzazione integrata è stata presentata il 25 settembre 2007, ossia dopo la scadenza di detto termine. Pertanto, occorre stabilire se il deposito delle prime due domande possa essere considerato come atto di formale avvio della procedura di autorizzazione ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 94 della presente sentenza.

99      A questo proposito, occorre anzitutto constatare che le domande presentate in occasione delle prime due tappe procedurali non possono confondersi con semplici contatti informali che non sarebbero idonei a segnare il formale avvio del procedimento di autorizzazione (v., in tal senso, sentenza Commissione/Germania, cit., punto 32).

100    Occorre poi sottolineare che la valutazione dell’impatto ambientale conclusa nel 1999 è stata effettuata al fine di consentire la realizzazione del progetto di discarica che costituisce l’oggetto dell’autorizzazione integrata. Il seguito del procedimento e, in particolare, il rilascio dell’autorizzazione a costruire si fondano su detta valutazione. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 115 delle sue conclusioni, il fatto che nell’ordinamento slovacco l’impatto ambientale venga valutato separatamente dalla procedura di autorizzazione propriamente detta non vale ad estendere l’ambito di applicazione temporale della direttiva 85/337.

101    Del pari, risulta dalle considerazioni svolte al punto 79 della presente sentenza che la decisione di assenso urbanistico‑edilizio all’insediamento della discarica in discussione nel giudizio principale costituisce una tappa indispensabile perché il gestore sia autorizzato a realizzare il progetto di discarica in parola. Tale decisione si basa d’altronde su un certo numero di condizioni che vengono imposte al gestore al momento della realizzazione del suo progetto.

102    Orbene, in occasione dell’esame di un’analoga procedura, la Corte ha dichiarato che la data che doveva fungere da riferimento per stabilire l’applicabilità nel tempo di una direttiva che impone una valutazione ambientale era quella in cui il progetto era stato formalmente presentato, in quanto le varie fasi dell’esame di un progetto sono collegate al punto da costituire un’operazione complessa (sentenza del 23 marzo 2006, Commissione/Austria, C‑209/04, Racc. pag. I‑2755, punto 58).

103    Infine, risulta da una costante giurisprudenza che un’autorizzazione ai sensi della direttiva 85/337 può essere costituita dalla combinazione di più decisioni distinte allorché la procedura nazionale che consente al committente di essere autorizzato ad iniziare i lavori per realizzare il suo progetto comprende varie tappe successive (v., in tal senso, sentenze del 7 gennaio 2004, Wells, C‑201/02, Racc. pag. I‑723, punto 52, e del 4 maggio 2006, Commissione/Regno Unito, C‑508/03, Racc. pag. I‑3969, punto 102). Ne consegue che, in tale ipotesi, la data di presentazione formale della domanda di autorizzazione del progetto deve essere identificata nel giorno in cui il committente ha presentato una domanda intesa all’avvio della prima tappa procedurale.

104    Dalle considerazioni sopra svolte risulta che la formale presentazione della domanda di autorizzazione del progetto di discarica in discussione nel giudizio a quo è antecedente alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva 85/337. Di conseguenza, gli obblighi risultanti da tale direttiva non sono applicabili al progetto suddetto e non vi è dunque luogo a rispondere alla terza questione sollevata.

 Sulla quarta questione

105    Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 1 e 15 bis della direttiva 96/61, letti in combinato disposto con gli articoli 6 e 9 della convenzione di Aarhus, debbano essere interpretati nel senso che i membri del pubblico interessato devono avere la possibilità, nell’ambito del ricorso previsto dall’articolo 15 bis della citata direttiva, di chiedere al competente giudice od organo indipendente e imparziale istituito dalla legge l’adozione di misure provvisorie idonee a sospendere temporaneamente l’applicazione di un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4 della citata direttiva in attesa della futura decisione definitiva.

106    Gli Stati membri dispongono, in virtù della loro autonomia procedurale e fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, di un margine di manovra nell’attuazione dell’articolo 9 della convenzione di Aarhus e dell’articolo 15 bis della direttiva 96/61. Ad essi spetta, in particolare, stabilire quale organo giurisdizionale o quale organo indipendente e imparziale istituito dalla legge sia competente a conoscere dei ricorsi contemplati dalle suddette disposizioni e secondo quali modalità procedurali, purché tali disposizioni siano rispettate (v., per analogia, sentenza del 18 ottobre 2011, Boxus e a., da C‑128/09 a C‑131/09, C‑134/09 e C‑135/09, Racc. pag. I‑9711, punto 52).

107    Inoltre, per costante giurisprudenza, il giudice nazionale investito di una controversia disciplinata dal diritto dell’Unione deve essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della decisione giurisdizionale che statuirà sull’esistenza dei diritti invocati sulla base del diritto dell’Unione (sentenze del 19 giugno 1990, Factortame e a., C‑213/89, Racc. pag. I‑2433, punto 21, nonché del 13 marzo 2007, Unibet, C‑432/05, Racc. pag. I‑2271, punto 67).

108    Bisogna aggiungere che il diritto di proporre ricorso previsto dall’articolo 15 bis della direttiva 96/61 deve essere interpretato alla luce dell’obiettivo di quest’ultima. La Corte ha già statuito che tale obiettivo, quale definito all’articolo 1 di detta direttiva, consiste nella prevenzione e nella riduzione integrate degli inquinamenti attraverso l’adozione di misure intese a evitare oppure a ridurre le emissioni delle attività di cui all’allegato I della direttiva stessa nell’aria, nell’acqua e nel terreno, al fine di conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente (sentenze del 22 gennaio 2009, Association nationale pour la protection des eaux et rivières e OABA, C‑473/07, Racc. pag. I‑319, punto 25, nonché del 15 dicembre 2011, Møller, C‑585/10, Racc. pag. I‑13407, punto 29).

109    Orbene, l’esperimento del ricorso previsto dall’articolo 15 bis della direttiva 96/61 non consentirebbe di prevenire efficacemente gli inquinamenti di cui sopra se fosse impossibile evitare che un impianto, in ipotesi beneficiario di un’autorizzazione concessa in violazione della citata direttiva, continui a funzionare in attesa di una decisione definitiva in merito alla legittimità di tale autorizzazione. Ne consegue che la garanzia dell’effettività del diritto di esperire un ricorso previsto dal citato articolo 15 bis esige che i membri del pubblico interessato abbiano il diritto di chiedere al competente giudice od organo indipendente e imparziale di adottare misure provvisorie idonee a prevenire tali inquinamenti, compresa eventualmente la sospensione temporanea dell’autorizzazione contestata.

110    Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 15 bis della direttiva 96/61 deve essere interpretato nel senso che i membri del pubblico interessato devono avere la possibilità, nell’ambito del ricorso previsto da tale norma, di chiedere al competente giudice od organo indipendente e imparziale istituito dalla legge l’adozione di misure provvisorie idonee a sospendere temporaneamente l’applicazione di un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4 della citata direttiva in attesa della futura decisione definitiva.

 Sulla quinta questione

111    Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una decisione di un giudice nazionale, la quale sia stata adottata nell’ambito di un procedimento nazionale costituente attuazione degli obblighi imposti dall’articolo 15 bis della direttiva 96/61 e dall’articolo 9, paragrafi 2 e 4, della convenzione di Aarhus, e che disponga l’annullamento di un’autorizzazione concessa in violazione delle disposizioni di detta direttiva, sia idonea a configurare un’ingiustificata lesione del diritto di proprietà del gestore sancito dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

112    Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 182‑184 delle sue conclusioni, le condizioni fissate dalla direttiva 96/61 limitano il godimento del diritto di proprietà dei terreni interessati da un impianto rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

113    Tuttavia, il diritto di proprietà non si presenta quale prerogativa assoluta, bensì deve essere considerato in rapporto alla sua funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’esercizio di questo diritto, purché tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa del diritto così garantito (sentenze del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc. pag. I‑6351, punto 355, nonché del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑379/08 e C‑380/08, Racc. pag. I‑2007, punto 80).

114    Per quanto concerne gli obiettivi di interesse generale precedentemente menzionati, risulta da una giurisprudenza costante che la tutela dell’ambiente figura tra tali obiettivi ed è dunque idonea a giustificare una restrizione dell’esercizio del diritto di proprietà (v. sentenze del 7 febbraio 1985, ADBHU, 240/83, Racc. pag. 531, punto 13; del 20 settembre 1988, Commissione/Danimarca, 302/86, Racc. pag. I‑4607, punto 8; del 2 aprile 1998, Outokumpu, C‑213/96, Racc. pag. I‑1777, punto 32, nonché del 9 marzo 2010, ERG e a., C‑379/08 e C‑380/08, cit., punto 81).

115    Per quanto riguarda la proporzionalità della lesione del diritto di proprietà in questione, allorché è possibile accertare una lesione siffatta, è sufficiente constatare che la direttiva 96/61 trova un punto di equilibrio tra le esigenze di tale diritto e quelle connesse alla protezione dell’ambiente.

116    Di conseguenza, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che una decisione di un giudice nazionale, la quale sia stata adottata nell’ambito di un procedimento nazionale costituente attuazione degli obblighi imposti dall’articolo 15 bis della direttiva 96/61 e dall’articolo 9, paragrafi 2 e 4, della convenzione di Aarhus, e che disponga l’annullamento di un’autorizzazione concessa in violazione delle disposizioni di detta direttiva, non è idonea, in quanto tale, a configurare un’ingiustificata lesione del diritto di proprietà del gestore sancito dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 Sulle spese

117    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale, come l’odierno giudice del rinvio, ha l’obbligo di sottoporre d’ufficio alla Corte di giustizia dell’Unione europea una domanda di pronuncia pregiudiziale anche quando esso statuisca su rinvio a seguito dell’annullamento della sua prima decisione ad opera del giudice costituzionale dello Stato membro interessato e una norma nazionale gli imponga di risolvere la controversia conformandosi alla valutazione in diritto espressa da quest’ultimo giudice.

2)      La direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, come modificata dal regolamento (CE) n. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 gennaio 2006, va interpretata nel senso che essa:

–        esige che il pubblico interessato abbia accesso ad una decisione di assenso urbanistico‑edilizio, quale quella controversa nel giudizio principale, sin dall’inizio del procedimento di autorizzazione dell’impianto di cui trattasi;

–        non consente alle autorità nazionali competenti di rifiutare al pubblico interessato l’accesso a tale decisione adducendo la tutela della riservatezza delle informazioni commerciali o industriali prevista dal diritto nazionale o dell’Unione al fine di proteggere un legittimo interesse economico, e

–        non osta a che un rifiuto ingiustificato di mettere a disposizione del pubblico interessato una decisione di assenso urbanistico‑edilizio, come quella controversa nel giudizio a quo, nel corso del procedimento amministrativo di primo grado possa essere sanato nel corso del procedimento amministrativo di secondo grado, a condizione che tutte le alternative siano ancora praticabili e che la regolarizzazione in tale stadio procedurale consenta ancora al pubblico interessato di esercitare un’influenza effettiva sull’esito del processo decisionale, circostanze queste la cui verifica spetta al giudice nazionale.

3)      L’articolo 15 bis della direttiva 96/61, come modificata dal regolamento n. 166/2006, deve essere interpretato nel senso che i membri del pubblico interessato devono avere la possibilità, nell’ambito del ricorso previsto da tale norma, di chiedere al competente giudice od organo indipendente e imparziale istituito dalla legge l’adozione di misure provvisorie idonee a sospendere temporaneamente l’applicazione di un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4 della citata direttiva in attesa della futura decisione definitiva.

4)      Una decisione di un giudice nazionale, la quale sia stata adottata nell’ambito di un procedimento nazionale costituente attuazione degli obblighi imposti dall’articolo 15 bis della direttiva 96/61, come modificata dal regolamento n. 166/2006, e dall’articolo 9, paragrafi 2 e 4, della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 ed approvata a nome della Comunità europea mediante la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, e che disponga l’annullamento di un’autorizzazione concessa in violazione delle disposizioni di detta direttiva, non è idonea, in quanto tale, a configurare un’ingiustificata lesione del diritto di proprietà del gestore sancito dall’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Firme


* Lingua processuale: lo slovacco.