Language of document : ECLI:EU:C:2007:152

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate l’8 marzo 2007 1(1)

Causa C‑467/05

Giovanni Dell’Orto

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Milano]

«Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Decisione quadro 2001/220/GAI – Direttiva 2004/80/CE – Nozione di vittima – Restituzione dei fondi distratti sottoposti a sequestro»





I –    Introduzione

1.        Nel presente procedimento occorre accertare se la decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (2), in combinato disposto con la direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato (3), imponga la restituzione, nell’ambito di un procedimento penale, di somme di denaro indebitamente sottratte a una società per azioni che ha subíto un pregiudizio. In particolare sorge la questione se la nozione di vittima di cui alla decisione quadro riguardi, contrariamente alla definizione contenuta all’art. 1, lett. a), non solo le persone fisiche, ma debba estendersi alle persone giuridiche. Il giudice del rinvio si fonda al riguardo sulla direttiva, in cui non compare alcuna definizione di vittima.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione europea e delle Comunità europee

2.        Ai sensi dell’art. 1, lett. a), della decisione quadro 2001/220/GAI, per vittima s’intende «la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro».

3.        L’art. 2, n. 1, descrive in generale il riconoscimento degli interessi della vittima:

«Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale».

4.        L’art. 9 della decisione quadro riguarda il diritto di risarcimento nell’ambito del procedimento penale:

«1. Ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento.

2. (…).

3. Tranne quando il procedimento penale imponga altrimenti, i beni restituibili appartenenti alla vittima e sequestrati nell’ambito del procedimento penale sono restituiti alla vittima senza ritardo».

5.        Il settimo ‘considerando’ della decisione quadro illustra i rapporti con il procedimento civile:

«Le misure di aiuto alle vittime della criminalità e, in particolare, le disposizioni in materia di risarcimento e di mediazione non riguardano le soluzioni che sono proprie del procedimento civile».

6.        La direttiva 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato da parte dello Stato, contiene disposizioni volte a facilitare l’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere. I principi di base sostanziali figurano nei primi due articoli:

«Articolo 1

Diritto di presentare la domanda nello Stato membro di residenza

Gli Stati membri assicurano che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l’indennizzo risiede abitualmente, il richiedente ha diritto a presentare la domanda presso un’autorità o qualsiasi altro organismo di quest’ultimo Stato membro.

Articolo 2

Responsabilità per il pagamento dell’indennizzo

L’indennizzo è erogato dall’autorità competente dello Stato membro nel cui territorio è stato commesso il reato».

7.        A differenza della proposta originaria della Commissione, si è rinunciato all’armonizzazione dei sistemi in materia di indennizzo. Tuttavia, al sesto ‘considerando’ si afferma quanto segue:

«Le vittime di reato nell’Unione europea dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo della Comunità europea in cui il reato è stato commesso».

8.        A questo proposito l’art. 12 della direttiva 2004/80/CE così dispone:

«1. Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

2. Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

9.        L’art. 17, lett. a), evidenzia che la direttiva non preclude agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere, nella misura in cui siano compatibili con la direttiva stessa, disposizioni più favorevoli a vantaggio delle vittime di reato o di qualsiasi altra persona lesa da un reato.

B –    Diritto italiano

10.      L’Italia sembra non aver espressamente recepito la definizione di vittima a norma dell’art. 1, lett. a), della decisione quadro 2001/220/GAI.

11.      Gli artt. 262 e 263 del codice di procedura penale italiano disciplinano la restituzione delle cose sequestrate nell’ambito del procedimento penale. La decisione sulla restituzione spetta in linea di principio al giudice penale. Tuttavia, in caso di controversia sulla proprietà, il giudice rimette la controversia al giudice civile competente.

12.      Inoltre, gli artt. 74 e segg. e 538 e segg. del codice di procedura penale italiano prevedono la decisione sui diritti della vittima al risarcimento dei danni nell’ambito del procedimento penale.

III – Fatti e questioni pregiudiziali

13.      Con sentenza 4 maggio 1999, a seguito di patteggiamento, Giovanni Dell’Orto veniva condannato, assieme ad altri imputati, alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e al pagamento di una multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, in relazione ai reati di false comunicazioni sociali, poste in essere anche al fine di commettere i reati di appropriazione indebita aggravata e illecito finanziamento ai partiti politici, a danno della SAIPEM s.p.a. Nel frattempo questa sentenza è passata in giudicato.

14.      Ancora nella fase delle indagini preliminari il sig. Dell’Orto trasferiva in Italia da un conto corrente straniero la somma di EUR 1 064 069,78, proveniente, secondo quanto indicato dal giudice del rinvio, dagli importi distratti e sempre di proprietà della SAIPEM. Il conto corrente italiano veniva sottoposto a sequestro conservativo.

15.      Nella sentenza nulla veniva disposto in merito alla somma in sequestro. Su istanza della SAIPEM veniva disposta la restituzione a quest’ultima del denaro in sequestro con ordinanza 3 dicembre 1999, eseguita in data 10 dicembre 1999 mediante prelievo dell’ammontare giacente sul conto corrente, che veniva poi estinto.

16.      Il giudice del rinvio non comunica il giudice che ha condannato il sig. Dell’Orto e deciso sulla restituzione delle somme in sequestro, ma sembra aver adottato esso stesso i rispettivi provvedimenti.

17.      Il provvedimento in parola veniva annullato dalla Corte di Cassazione in data 8 novembre 2001. La restituzione del denaro in sequestro non sarebbe infatti stata oggetto del patteggiamento. Pertanto, non la si potrebbe disporre nell’ambito del procedimento penale.

18.      A seguito di ulteriori decisioni nel frattempo adottate, il giudice del rinvio, in funzione di giudice dell’esecuzione, deve ora pronunciarsi sugli altri provvedimenti in relazione alla somma di denaro controversa. Per poter decidere, sottopone alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«a)      se le regole di cui agli artt. 2 e 9 della decisione quadro 2001/220/GAI possono applicarsi nell’ambito del procedimento penale in generale a qualsiasi parte lesa da reato, per effetto delle disposizioni di cui agli artt. 1 e seguenti della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa all’indennizzo delle vittime di reato o di altre disposizioni di diritto comunitario;

b)      se le regole di cui agli artt. 2 e 9 della decisione quadro 2001/220/GAI possono applicarsi nell’ambito del procedimento penale di esecuzione successivo alla sentenza definitiva di condanna [e, quindi, anche al (…) (patteggiamento (4))] a qualsiasi parte lesa da reato, per effetto delle disposizioni di cui agli artt. 1 e seguenti della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa all’indennizzo delle vittime di reato o di altre disposizioni di diritto comunitario».

19.      Hanno presentato osservazioni nel procedimento il sig. Dell’Orto, l’Irlanda, l’Italia, i Paesi Bassi, l’Austria, il Regno Unito e la Commissione.

IV – Analisi

20.      Il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare la decisione quadro 2001/220/GAI alla luce della direttiva 2004/80/CE. Infatti, esso vorrebbe interpretare il diritto nazionale, sulla scorta delle dichiarazioni della Corte nella sentenza Pupino sul principio dell’interpretazione conforme riguardo alle decisioni quadro, per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da questa perseguito e di conformarsi così all’art. 34, n. 2, lett. b), UE (5). Nel caso di specie esso si aspetta chiaramente di essere tenuto, in forza della decisione quadro, a decidere sulla restituzione alla SAIPEM delle somme in sequestro.

A –    Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

21.      Il Regno Unito reputa irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale. Il giudice del rinvio si fonda sull’art. 234 CE, chiedendo però alla Corte di interpretare le disposizioni di una decisione quadro, ossia di un atto giuridico ai sensi dell’art. 34, n. 2, lett. b), UE. Tuttavia, una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione potrebbe essere proposta solo in conformità dell’art. 35, n. 1, UE. L’Irlanda esprime un’opinione simile, pur ritenendo sanabile l’errore del giudice del rinvio, data la ricevibilità di una corrispondente domanda ai sensi dell’art. 35 UE.

22.      Come rilevato dall’Irlanda all’udienza, naturalmente è escluso che si possano sottoporre alla Corte, con il pretesto della presentazione di questioni sul diritto comunitario in forza dell’art. 234 CE, questioni riguardanti di fatto l’interpretazione del diritto dell’Unione, ricevibili solo secondo le condizioni aggiuntive di cui all’art. 35 UE. In quale misura, tuttavia, un rinvio pregiudiziale sul diritto comunitario possa riferirsi all’ordinamento dell’Unione potrebbe porre nella pratica complessi problemi di delimitazione, data la reciproca influenza ancora da esaminare dei due ordinamenti giuridici. Nondimeno, nel caso di specie non occorre decidere a tale proposito.

23.      L’argomento dedotto dal Regno Unito avverso la ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale non è comunque convincente. Come ha dichiarato la Corte, in forza dell’art. 46, lett. b), UE, le disposizioni dei Trattati CE, CECA e CEEA relative alle competenze della Corte ed all’esercizio di tali competenze, tra le quali figura l’art. 234 CE, sono applicabili a quelle del titolo VI del Trattato sull’Unione europea, alle condizioni previste all’art. 35 UE. Ne risulta che il regime previsto all’art. 234 CE è destinato ad applicarsi alla competenza pregiudiziale della Corte ai sensi dell’art. 35 UE, fatte salve le condizioni previste da tale disposizione (6).

24.      Pertanto, in linea di principio, anche le domande pregiudiziali sul diritto dell’Unione – ai sensi dell’art. 35 UE – sono domande a norma dell’art. 234 CE. Ai fini della ricevibilità della domanda non può essere determinante in che misura il giudice nazionale menzioni espressamente queste disposizioni. Piuttosto è rilevante il rispetto delle relative condizioni, che nel caso di questioni riguardanti l’ordinamento dell’Unione derivano in particolare dall’art. 35 UE.

25.      La condizione più importante prevista all’art. 35 UE, in special modo ad avviso del Regno Unito e dell’Irlanda, potrebbe configurarsi nel fatto che lo Stato membro interessato deve riconoscere la competenza della Corte a statuire sulle domande di pronuncia pregiudiziale sul diritto dell’Unione. Infatti, i due Stati membri non hanno effettuato una dichiarazione in tal senso. Come ammette anche l’Irlanda, nel caso di specie è tuttavia fuori discussione che il giudice a quo è legittimato a proporre il rinvio. Difatti l’Italia ha effettuato una dichiarazione, con effetto dal 1° maggio 1999, data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, di accettazione della competenza della Corte a pronunciarsi sulla validità e l’interpretazione degli atti di cui all’art. 35 UE secondo le modalità di cui all’art. 35, n. 3, lett. b), UE (7).

26.      Inoltre diversi governi hanno messo in dubbio la rilevanza del rinvio pregiudiziale ai fini della decisione.

27.      Sulla necessità della rilevanza ai fini della decisione la Corte ha dichiarato, applicando la giurisprudenza sull’art. 234 CE all’art. 35 UE, che la presunzione di pertinenza che inerisce alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali può essere esclusa solo in casi eccezionali, qualora risulti manifestamente che la sollecitata interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione considerate in tali questioni non abbia alcun rapporto con la realtà o con l’oggetto della causa principale o qualora il problema sia di natura ipotetica o la Corte non disponga di elementi di fatto o di diritto necessari per risolvere utilmente le questioni che le vengono sottoposte. Fatte salve tali ipotesi, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire sulle questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione degli atti previsti all’art. 35, n. 1, UE (8).

28.      Il governo olandese obietta che la domanda di pronuncia pregiudiziale non indica quali siano le disposizioni del diritto italiano da interpretare in conformità della decisione quadro. Data l’esclusione di un’applicazione diretta di quest’ultima, sarebbero necessarie precisazioni in tal senso.

29.      Secondo una costante giurisprudenza, si può fornire un’interpretazione del diritto comunitario utile per il giudice nazionale solo qualora tale giudice nella sua ordinanza di rinvio esponga il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, o per lo meno spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Tale esposizione deve servire, tra l’altro, anche a dare ai governi degli Stati membri e agli altri partecipanti al procedimento la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte. In proposito si deve tener conto del fatto che a tali soggetti viene notificata solo la domanda di pronuncia pregiudiziale (9).

30.      Pertanto il giudice del rinvio deve esporre il contesto giuridico nella misura necessaria per risolvere utilmente la questione pregiudiziale. Per contro, esso non è tenuto a dimostrare che l’interpretazione conforme ricercata è effettivamente possibile. Secondo la sentenza Pupino, i meri dubbi sulla possibilità di un’interpretazione del diritto nazionale conforme alla decisione quadro non comportano l’irricevibilità della domanda; piuttosto tale interpretazione dev’essere evidentemente impossibile. In caso contrario, spetta al giudice nazionale verificare se, nella detta causa, un’interpretazione conforme del suo diritto nazionale sia possibile (10). Questa posizione è anche logica, poiché l’interpretazione del diritto nazionale – e neppure l’interpretazione in conformità dell’ordinamento dell’Unione o del diritto comunitario – non è compito della Corte chiamata a pronunciarsi su una domanda pregiudiziale.

31.      Conseguentemente, anche se forse sarebbe stato utile conoscere più a fondo le disposizioni che il giudice del rinvio intende interpretare in conformità della decisione quadro (11), la mancanza di dati di riferimento non impedisce di risolvere utilmente le questioni pregiudiziali proposte.

32.      Il governo austriaco si spinge addirittura oltre rispetto al governo olandese, sostenendo che, secondo il diritto italiano, nel procedimento penale di esecuzione non è possibile pronunciarsi in merito ai diritti di natura civile della vittima. La domanda di pronuncia pregiudiziale sarebbe pertanto ipotetica. Tuttavia anche questo argomento è privo di efficacia, in quanto non contiene elementi atti a fondare dubbi evidenti sulla possibilità di un’interpretazione del diritto nazionale conforme alla decisione quadro.

33.      Di maggior peso sono i dubbi del governo irlandese sul fatto che la decisione quadro 2001/220/GAI possa produrre nella causa principale effetti giuridici sotto il profilo temporale. La condanna del sig. Dell’Orto risale al 4 maggio 1999, gli importi controversi erano già stati sottoposti a sequestro conservativo il 29 dicembre 1997 e la presunta appropriazione indebita o malversazione è ancora anteriore. Per contro, il termine di recepimento delle disposizioni della decisione quadro applicabili è scaduto solo il 22 marzo 2002, mentre per la direttiva 2004/80/CE le date utili erano addirittura il 1° luglio 2005 ovvero il 1° gennaio 2006. Pertanto, se per ragioni temporali la decisione quadro non può avere efficacia giuridica ai fini della restituzione delle somme che sarebbero state distratte, si esclude un’interpretazione del diritto italiano conforme alla decisione quadro e la domanda di pronuncia pregiudiziale è irrilevante per la causa principale.

34.      Conformemente alle conclusioni da me presentate nella causa Pupino, ad un’interpretazione conforme non si oppone tuttavia la circostanza che i fatti da indagare siano collocati cronologicamente prima dell’adozione della decisione quadro. In base a una giurisprudenza costante, nel caso di norme procedurali si deve infatti tener presente, in generale, che esse sono applicabili a tutte le controversie giuridiche pendenti alla data della loro entrata in vigore (12). Neanche la Corte sembra aver rilevato nella questione dell’applicabilità temporale ostacoli all’interpretazione conforme alla decisione quadro, in quanto nella sentenza Pupino non ha affrontato il punto di cui trattasi. Come nella causa Pupino, anche nella causa principale si tratta di questioni procedurali, vale a dire della competenza del giudice a decidere se i depositi bancari sottoposti a sequestro nel procedimento penale debbano essere liquidati a un’impresa che ha subíto un pregiudizio. All’udienza l’Irlanda ha rinunciato alle sue riserve in tal senso.

35.      Pertanto, poiché nel caso di specie si è ancora in attesa di decisioni, l’applicazione della decisione quadro 2001/220/GAI nella causa principale è possibile ratione temporis.

36.      Un ultimo dubbio sulla rilevanza della domanda pregiudiziale riguarda la legittimità della decisione quadro 2001/220/GAI. Se quest’ultima è illegittima e quindi inapplicabile, allora non può neppure vincolare a un’interpretazione conforme alla decisione quadro e le questioni interpretative sono prive di importanza ai fini del procedimento principale.

37.      A questo proposito vorrei ricordare che, nelle conclusioni presentate nella causa Pupino, ho espresso dubbi sul relativo fondamento giuridico, pur giungendo alla conclusione che la Corte non deve occuparsi d’ufficio di tali dubbi, giacché comunque non sorgono gravi dubbi (13). L’adozione della decisione quadro sulla base del fondamento giuridico prescelto appare perlomeno difendibile. Di conseguenza, nella sentenza Pupino la Corte non si è espressa sulla questione. Poiché anche nel presente procedimento né il giudice del rinvio né i soggetti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte sollevano la questione del fondamento giuridico della decisione quadro, non c’è motivo di approfondire nuovamente tale punto in questa sede.

38.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è pertanto ricevibile.

B –    Sulle questioni pregiudiziali

39.      Per risolvere le questioni sottoposte dal giudice del rinvio sull’interpretazione della decisione quadro 2001/220/GAI alla luce della direttiva 2004/80/CE, occorre anzitutto discutere le possibilità e i limiti della reciproca influenza degli atti giuridici sulla base del Trattato CE e del Trattato sull’Unione (v., al riguardo, parte 1 infra). Quindi, alla luce dei risultati, si dovrà interpretare la decisione quadro (in proposito, v. parti 2 e 3 infra).

1.      Sulla relazione tra diritto dell’Unione e diritto comunitario per quanto riguarda l’interpretazione

40.      In particolare l’Irlanda e il Regno Unito si oppongono all’utilizzo di una direttiva comunitaria (la cui adozione è posteriore) per l’interpretazione di una decisione quadro dell’ordinamento dell’Unione. Si tratterebbe di due ordinamenti giuridici diversi da tenere ben distinti. Pur poggiando, almeno in parte, su buoni motivi, questa tesi non può tuttavia essere seguita appieno.

41.      Occorre anzitutto chiarire che ogni caso di reciproca influenza nell’interpretazione presuppone un corrispondente margine interpretativo. Un’interpretazione contra legem non sarebbe affatto conciliabile con il principio della certezza del diritto (14).

42.      Come sostiene in special modo il Regno Unito, anche considerando i margini interpretativi esistenti, le diverse competenze del Trattato sull’Unione e del Trattato CE impediscono che, nell’ambito dell’interpretazione, vengano trasposte norme dell’altro ordinamento giuridico per le quali non esiste un fondamento giuridico nell’ordinamento che le accoglie. Ogni interpretazione deve infatti tener conto dei fondamenti giuridici del provvedimento da interpretare e non può pertanto condurre a un risultato incompatibile con il fondamento giuridico.

43.      Ciò vale in particolare per la trasposizione di contenuti del diritto comunitario nell’ordinamento dell’Unione, poiché, ai sensi dell’art. 47 UE, nessuna disposizione del Trattato sull’Unione pregiudica le disposizioni del Trattato CE. Pertanto la Corte reputa di essere tenuta a vigilare affinché gli atti che il Consiglio considera rientrare nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione non sconfinino nelle competenze che le disposizioni del Trattato CE attribuiscono alla Comunità (15).

44.      Nel rispetto di tali limiti, già i Trattati concepiscono scambi tra il diritto comunitario e l’ordinamento dell’Unione. L’Unione e la Comunità coesistono infatti come ordinamenti giuridici integrati ma distinti (16). Ai sensi dell’art. 1, terzo comma, UE, l’Unione è fondata sulle Comunità europee. In conformità dell’art. 3, primo comma, UE, l’Unione dispone di un quadro istituzionale unico che assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte per il perseguimento dei suoi obiettivi, rispettando e sviluppando nel contempo l’acquis comunitario. Inoltre, l’art. 61, lett. a) ed e), CE prevede che si adottino misure a norma del titolo IV del Trattato CE, unitamente a misure sulla base del titolo VI del Trattato UE, per contribuire a istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

45.      Nella sentenza Pupino la Corte ha pertanto dichiarato che è perfettamente comprensibile che gli autori del Trattato sull’Unione europea abbiano ritenuto utile prevedere, nell’ambito del titolo VI di tale Trattato, il ricorso a strumenti giuridici che comportano effetti analoghi a quelli previsti dal Trattato CE, al fine di contribuire efficacemente al perseguimento degli obiettivi dell’Unione (17). Lo stesso vale, com’è ovvio, anche per l’attività legislativa dell’Unione. Le tecniche normative, gli approcci e i concetti che si sono dimostrati efficaci nel diritto comunitario derivato possono trovare applicazione anche negli atti giuridici dell’ordinamento dell’Unione.

46.      Agli elementi assorbiti dal diritto comunitario va pertanto ascritto nell’ordinamento dell’Unione, in linea di principio, lo stesso contenuto del diritto comunitario. Quanto precede si applica tuttavia solo nella misura in cui lo speciale carattere dell’ordinamento dell’Unione, per esempio l’esclusione dell’efficacia diretta di decisioni quadro, non vi si frappone. Neppure mediante un’interpretazione coerente si possono infatti appianare le differenze stabilite a livello di Trattato tra il diritto comunitario sovranazionale e l’ordinamento dell’Unione più saldamente ancorato al diritto internazionale di tipo tradizionale.

47.      Tuttavia, in determinate circostanze, la netta divisione delle competenze normative impone persino l’adozione di atti dell’ordinamento dell’Unione e del diritto comunitario di reciproca integrazione. Vengono così emanate modifiche della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen per quanto riguarda il Sistema d’informazione Schengen mediante atti paralleli sulla base dell’art. 66 CE e degli artt. 30, n. 1, lett. a) e b), 31, lett. a) e b), nonché 34, n. 2, lett. c), UE (18). Tali atti vanno interpretati conformemente alla loro finalità comune in modo che funzionino in maniera integrata. In questo contesto in particolare può essere opportuno interpretare le definizioni con modalità uniformi.

48.      Proprio in siffatti casi, contrariamente a quanto sostiene l’Irlanda, può rivelarsi utile interpretare l’atto anteriore di un ordinamento giuridico alla luce di un atto adottato successivamente dell’altro ordinamento giuridico. Viceversa, in questa circostanza può anche essere opportuno interpretare l’atto posteriore alla luce del diritto anteriore, che esso va a integrare.

49.      Di conseguenza, l’interpretazione di misure dell’ordinamento dell’Unione alla luce del diritto comunitario è possibile, nel rispetto però dei limiti derivanti dalle differenze esistenti tra Unione e Comunità, segnatamente per quanto riguarda le loro competenze e i tipi di atti a loro disposizione.

2.      Sulla nozione di vittima

50.      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se la definizione di vittima ai sensi della decisione quadro 2001/220/GAI possa includere anche le persone giuridiche. Ciò interessa in quanto tutte le disposizioni della decisione quadro applicabili, soprattutto gli artt. 2 e 9, sono operanti solo a favore delle vittime. Dimostrerò tuttavia, in prosieguo, che si è lontani dall’ipotesi che le persone giuridiche possano essere considerate vittime ai sensi della decisione quadro, anche tenuto conto della direttiva 2004/80/CE.

a)      Sulla decisione quadro 2001/220/GAI

51.      Come fanno notare tutti i partecipanti, la SAIPEM non costituisce una vittima secondo la definizione di vittima di cui all’art. 1, lett. a), della decisione quadro 2001/220/GAI, in quanto ai sensi di tale definizione la nozione di vittima è ristretta alle persone fisiche.

52.      L’Irlanda e la Commissione sottolineano a ragione che la genesi di questa definizione depone a sfavore dell’inclusione delle persone giuridiche. La limitazione alle persone fisiche era già prevista in origine; corrisponde infatti all’iniziativa portoghese per la decisione quadro. La Commissione osserva che anche la sua comunicazione sulle vittime di reati, precedente all’iniziativa (19), aveva a oggetto esclusivamente le persone fisiche. Vero è che nel procedimento legislativo il Consiglio ha esaminato la possibilità di inserire le persone giuridiche (20), tuttavia ciò non ha condotto a un ampliamento in tal senso della definizione di vittima.

53.      Tale genesi osta anche alla tesi ritenuta plausibile dall’Irlanda di considerare le persone fisiche costituenti una persona giuridica quali vittime dei reati subiti dalla persona giuridica. Se si fossero dovute tutelare anche queste vittime indirette, sarebbe stato più coerente considerare come vittime le persone giuridiche stesse. Del resto, il procedimento principale non verte su diritti di persone fisiche che hanno subíto un pregiudizio indiretto, bensì sui diritti di una persona giuridica che è direttamente parte lesa. Non sorge quindi la questione se la qualità di vittima a norma della decisione quadro 2001/220/GAI possa poggiare su un pregiudizio indiretto.

54.      Prendendo in considerazione le persone fisiche che costituiscono una persona giuridica, tuttavia, si confuta un’ulteriore obiezione sollevata dal Regno Unito avverso l’estensione della nozione di vittima alle persone giuridiche. Questo Stato membro sostiene che l’obiettivo di cui all’art. 29 UE di fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia si riferisce giocoforza alle persone fisiche. Ciò non può però impedire al legislatore dell’Unione di tutelare le persone giuridiche esattamente come le persone fisiche, giacché la criminalità che colpisce le persone giuridiche riguarda in ultima analisi anche le persone fisiche, vale a dire i loro titolari nonché i lavoratori. Inoltre anche questo tipo di criminalità può incidere sul senso di sicurezza percepito a livello soggettivo dai cittadini.

55.      A prescindere dalla finalità generale del titolo VI del Trattato sull’Unione, la limitata definizione di vittima della decisione quadro 2001/220/GAI collima nondimeno con le altre sue disposizioni e i suoi obiettivi individuabili.

56.      Le altre disposizioni della decisione quadro potrebbero di fatto essere applicate in parte, in linea di principio, anche alle persone giuridiche, se si dovessero considerare queste ultime come vittime; tuttavia, come fa notare giustamente l’Austria, alcuni elementi della decisione quadro sono efficaci esclusivamente a favore delle persone fisiche. Già i pregiudizi subiti da una vittima citati a titolo di esempio all’art. 1, lett. a), della decisione quadro 2001/220/GAI, vale a dire un pregiudizio fisico o mentale, sofferenze fisiche o danni materiali, riguardano per lo più solo persone fisiche. Anche l’art. 2, n. 1, va messo in evidenza. Secondo questa disposizione, alla vittima dev’essere riservato un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale. Difficilmente si può immaginare la tutela rafforzata per le vittime particolarmente vulnerabili di cui all’art. 2, n. 2, anche per le persone giuridiche. Del pari, le disposizioni di tutela per la vittima e i suoi familiari di cui all’art. 8 non sono applicabili per analogia alle persone giuridiche.

57.      Un motivo per estendere la nozione di vittima alle persone giuridiche potrebbe emergere al massimo se la loro mancata inclusione fosse incompatibile con norme di rango superiore, vale a dire in particolare con i diritti fondamentali menzionati dall’Irlanda, che l’Unione rispetta a norma dell’art. 6, n. 2, UE. A questo proposito sorge soprattutto la questione se la disparità di trattamento riservato a persone fisiche e giuridiche sia compatibile con il principio generale di uguaglianza, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che un siffatto trattamento sia obiettivamente giustificato (21).

58.      Il legislatore dell’Unione poteva comunque limitarsi, anche alla luce del principio di uguaglianza, a disciplinare solo il trattamento delle persone fisiche. Se è vero che anche le persone giuridiche possono subire un pregiudizio per reati, è altrettanto vero che già la definizione di vittima di cui all’art. 1, lett. a), della decisione quadro 2001/220/GAI dimostra che di frequente i pregiudizi subiti dalle persone fisiche non si riducono a danni materiali, bensì possono risolversi in pregiudizi fisici o mentali nonché in sofferenze psichiche di tutt’altra dimensione rispetto a quanto avviene per le persone giuridiche. Inoltre, spesso nei procedimenti penali le persone fisiche necessitano di un grado di tutela decisamente maggiore della protezione destinata alle persone giuridiche di norma sostenute a livello professionale. Si tratta di motivi obiettivi per un trattamento privilegiato delle persone fisiche vittime di reati.

59.      Occorre altresì osservare che la decisione quadro non impedisce agli Stati membri di adottare proprie misure, nel caso in cui le persone giuridiche abbiano parimenti bisogno di protezione in procedimenti penali (22).

60.      Di conseguenza è d’uopo rilevare che la decisione quadro 2001/220/GAI – anche alla luce dei diritti fondamentali – non dà adito a un’estensione della definizione di vittima, al di là della sua formulazione, alle persone giuridiche.

b)      Sulla direttiva 2004/80/CE

61.      Occorre anzitutto convenire con il Regno Unito che nel caso di specie non può trovare applicazione la direttiva 2004/80/CE, indipendentemente dall’interpretazione della nozione di vittima. La direttiva prevede un indennizzo solo per reati intenzionali violenti, mentre la somma controversa riguarda malversazione o appropriazione indebita. Inoltre il reato è stato commesso, perlomeno nella sostanza, se non addirittura esclusivamente, nello Stato membro in cui la vittima – la SAIPEM – aveva sede. La direttiva disciplina per contro l’indennizzo in caso di reato commesso in uno Stato membro diverso. Infine la direttiva consente agli Stati membri di limitare l’indennizzo a richiedenti il cui pregiudizio derivi da reati commessi dopo il 30 giugno 2005; nella fattispecie il reato risale invece a circa un decennio prima.

62.      Tuttavia la direttiva 2004/80/CE va inserita nel più ampio contesto della decisione quadro 2001/220/GAI. Anch’essa mira alla protezione delle vittime e fa espresso riferimento, al quinto ‘considerando’, alla decisione quadro. Come rileva la Commissione, i due atti sono complementari perlomeno per quanto riguarda l’obiettivo della tutela delle vittime.

63.      Come fanno giustamente notare il Regno Unito e la Commissione, i due atti presentano nondimeno oggetti distinti, ovvero, se da un lato la decisione quadro – per quanto applicabile nel caso di specie – verte sul risarcimento da parte dell’autore del reato, dall’altro la direttiva riguarda l’indennizzo da parte dello Stato.

64.      Pertanto il nesso esistente tra i due atti non è strettamente complementare. Un’interpretazione uniforme della nozione di vittima non si impone necessariamente ai fini del loro funzionamento, ma presenta piuttosto un interesse sistematico. In particolare, potrebbe facilitare il recepimento e l’applicazione pratica negli Stati membri. Già lo scarso peso di questo interesse a un’interpretazione coerente fa dubitare che in generale la direttiva 2004/80/CE sia idonea a giustificare un’interpretazione estensiva della nozione di vittima nella decisione quadro 2001/220/GAI, per esempio per analogia.

65.      Tuttavia, un’interpretazione estensiva della nozione di vittima di cui alla decisione quadro 2001/220/GAI in base alla direttiva 2004/80/CE è superflua anche perché non vi si può dedurre in modo inequivocabile che essa consideri le persone giuridiche come vittime.

66.      A differenza della decisione quadro 2001/220/GAI, la direttiva 2004/80/CE non definisce espressamente la nozione di vittima, il che si spiega con la sua genesi. La proposta di direttiva relativa al risarcimento alle vittime di reato presentata dalla Commissione non mirava solo ad agevolare il risarcimento alle vittime in situazioni transfrontaliere, ma anche a istituire norme minime comuni in materia di risarcimento alle vittime. In questo contesto la proposta conteneva una definizione di vittima limitata alle persone fisiche e considerava soltanto i reati contro la persona (23).

67.      Il Consiglio ha tuttavia desistito dall’armonizzare il risarcimento alle vittime (24). L’unica disposizione della direttiva sui diritti all’indennizzo è l’art. 12 della direttiva 2004/80/CE, ai cui sensi gli Stati membri garantiscono un indennizzo equo e adeguato delle vittime di reati intenzionali violenti. Inoltre dall’art. 2 discende che si tratta di un indennizzo erogato dalle autorità statali.

68.      L’art. 12 della direttiva 2004/80/CE può includere nella categoria di vittima, per come è formulato, anche le persone giuridiche, in quanto anch’esse possono subire danni per reati intenzionali violenti in altri Stati membri (25). Non va pertanto escluso che il legislatore comunitario abbia ampliato la categoria di vittime beneficiarie d’indennizzo al di là degli obiettivi originari della proposta di direttiva presentata dalla Commissione.

69.      I governi neerlandese, austriaco e britannico nonché la Commissione sostengono tuttavia la tesi secondo cui solo le persone fisiche possono essere vittime di reati intenzionali violenti ai sensi della direttiva 2004/80/CE. A tal fine osservano che la limitazione alle persone fisiche emergerebbe dall’obiettivo, posto al primo ‘considerando’, dell’abolizione degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi, dalla sentenza Cowan, citata al secondo ‘considerando’ (26), che invoca la protezione delle persone fisiche, nonché dal riferimento del quinto ‘considerando’ alla decisione quadro 2001/220/GAI, che definisce, quali potenziali vittime, solo le persone fisiche. Del resto, presumibilmente il Consiglio, desistendo dall’armonizzazione proposta dalla Commissione, non intendeva ampliare la categoria dei beneficiari, al di là della proposta della Commissione, alle persone giuridiche.

70.      Di conseguenza, è vero che il tenore della direttiva 2004/80/CE consente di estendere la nozione di vittima alle persone fisiche e giuridiche; tuttavia c’è una serie di motivi per limitarla alle persone fisiche. Pertanto, senza che sia necessario, nel caso di specie, stabilire in modo definitivo la portata della nozione di vittima di cui alla direttiva, essa non può comunque comportare un ampliamento della nozione di vittima contenuta nella decisione quadro 2001/220/GAI al di là del tenore della definizione.

71.      Neppure l’art. 17 della direttiva 2004/80/CE, citato dal giudice del rinvio, può giustificare un’apertura della nozione di vittima alle persone giuridiche. Come sostengono a ragione l’Austria, l’Italia, i Paesi bassi, il Regno Unito e la Commissione, tale disposizione offre agli Stati membri la possibilità di adottare una normativa nazionale di più ampio respiro. Gli Stati membri possono quindi considerare come vittime anche le persone giuridiche. Ciò non comporta tuttavia, un obbligo a loro carico di agire in tal senso.

72.      Pertanto, anche alla luce della direttiva 2004/80/CE, sono vittime ai sensi della decisione quadro 2001/220/GAI esclusivamente le persone fisiche.

3.      Sull’applicazione dell’art. 9 della decisione quadro 2001/220/GAI in un procedimento penale di esecuzione

73.      Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede se i diritti della vittima ai sensi degli artt. 2 e 9 della decisione quadro 2001/220/GAI sussistano anche nel corso del procedimento penale di esecuzione. Poiché, sulla base della soluzione alla prima questione, il caso di specie non tratta di una vittima ai sensi della decisione quadro, alcuni soggetti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte sostengono che tale questione è puramente ipotetica.

74.      Tuttavia, in forza dell’art. 234 CE, la Corte si è ripetutamente dichiarata competente a statuire su domande di pronuncia pregiudiziale vertenti su disposizioni comunitarie in situazioni in cui i fatti della causa principale si collocavano al di fuori dell’ambito d’applicazione del diritto comunitario, ma nelle quali tali disposizioni di diritto erano state rese applicabili o dal diritto nazionale o in forza di semplici disposizioni contrattuali (27). Lo stesso dovrebbe valere per le disposizioni dell’ordinamento dell’Unione.

75.      Nel caso di specie non va escluso che in linea di principio nel diritto italiano trovi applicazione una più ampia nozione di vittima, di modo che le persone giuridiche sono ammesse a far valere i propri diritti di vittime anche in procedimenti che si applicano a favore di persone fisiche. Questo sembra confermato dal fatto che l’Italia non ha esplicitamente trasposto la nozione di vittima di cui all’art. 1, lett. a), della decisione quadro 2001/220/GAI (28) e che a loro volta le disposizioni vigenti italiane non utilizzano, a quanto pare, una specifica nozione di vittima (29).

76.      Se il diritto italiano prevede un’applicazione uniforme di queste disposizioni indipendentemente dal fatto che le vittime siano o meno persone fisiche o giuridiche, per il giudice del rinvio possono essere rilevanti i requisiti posti dalla decisione quadro per il procedimento esecutivo. Di conseguenza è necessario che la Corte si pronunci anche su tale questione.

77.      Sotto il profilo del contenuto, la questione di cui trattasi riguarda l’interpretazione dell’art. 9, nn. 1 e 3, della decisione quadro, che disciplina il risarcimento della vittima e la restituzione dei beni a essa appartenenti.

78.      Il giudice del rinvio sembra partire dal presupposto che nella fattispecie occorra prendere in considerazione una restituzione. Al riguardo, l’art. 9, n. 3, prevede che, tranne quando il procedimento penale imponga altrimenti, i beni restituibili appartenenti alla vittima e sequestrati nell’ambito del procedimento penale siano restituiti alla vittima senza ritardo.

79.      Trattandosi della restituzione di denaro, presumibilmente trasferito come moneta scritturale su conti correnti dell’autore del reato, sembra tuttavia possibile che le somme in questione, contrariamente a quanto espone il giudice del rinvio, non siano rimaste di proprietà della SAIPEM. Quindi non si dovrebbe trascurare neanche l’eventualità di un risarcimento della vittima. A questo proposito, ai sensi dell’art. 9, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI, ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento. In questo caso occorre chiarire, non da ultimo, quale tipologia di diritti includa la nozione di risarcimento. Risulta nondimeno evidente che tale nozione comprende i danni patrimoniali, in particolare perché l’art. 1, lett. a), menziona espressamente i danni materiali come esempio del pregiudizio subíto da una vittima.

80.      A differenza della prima questione, la direttiva 2004/80/CE non ha effetti tangibili sull’interpretazione, in linea con il suo oggetto di indennizzo delle vittime da parte dello Stato, desistendo da un’armonizzazione dettagliata. Essa non contiene pertanto norme relative al risarcimento da parte dell’autore del reato o alla restituzione dei beni sequestrati alla vittima. La direttiva non riguarda neanche il procedimento penale, in quanto il risarcimento delle vittime da parte dello Stato avviene tradizionalmente nell’ambito di un procedimento separato di diritto pubblico.

a)      Sul risarcimento

81.      Per quanto riguarda il risarcimento, ai sensi dell’art. 9, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI, ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento.

82.      Le vittime devono dunque disporre del diritto di ottenere una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale. Tuttavia, tale situazione è soggetta a una riserva. In casi determinati gli Stati membri possono prevedere un risarcimento in un’altra sede. Ciò non significa però che gli Stati membri abbiano piena discrezionalità nel definire le modalità del risarcimento della vittima, bensì soltanto che in determinati casi si possono applicare modalità di risarcimento diverse. Le vittime devono essere di norma libere di ottenere un risarcimento nell’ambito del procedimento penale.

83.      Il nesso tra il procedimento penale e la decisione relativa al risarcimento mira a evitare alla vittima l’onere e i rischi di un procedimento giudiziario aggiuntivo. Nella misura in cui il procedimento penale chiarisce o può chiarire senza grosse difficoltà determinate questioni, se il giudice penale traspone direttamente i dati acquisiti in decisioni corrispondenti si riconoscono gli interessi legittimi delle vittime di cui all’art. 2, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI.

84.      Nella causa principale questo obiettivo sarebbe stato soddisfatto se, già nell’ambito della sentenza che ha concluso il procedimento penale, si fosse deciso, per quanto possibile, sul risarcimento della SAIPEM.

85.      Tuttavia, la Commissione sottolinea a ragione che la decisione quadro 2001/220/GAI non disciplina l’inquadramento della decisione nel procedimento penale nazionale. La decisione quadro permetterebbe quindi che l’organo giurisdizionale decida anzitutto sulla pena e, sulla base dei dati acquisiti nel procedimento penale, si pronunci, in un procedimento successivo, sul risarcimento da parte dell’autore del reato. Occorrerebbe nondimeno garantire in tale ambito che la decisione posteriore sia adottata, come prevede l’art. 9, n. 1, entro un ragionevole lasso di tempo.

86.      Come fanno notare in particolare i Paesi Bassi, l’effettiva possibilità di tale esito dipende, in mancanza di una normativa esplicita nella decisione quadro 2001/220/GAI, dal diritto nazionale. Qualora quest’ultimo non consenta più – anche con un’interpretazione alla luce della decisione quadro – di decidere sul risarcimento in seguito alla condanna dell’autore del reato, gli organi giurisdizionali devono adottare la decisione in questione prima della sentenza penale o in concomitanza con essa, in funzione di quanto prevede al riguardo il diritto nazionale.

87.      Del resto mi sembra che si debba escludere l’ipotesi di pretendere di mantenere in essere, nel corso dell’intero procedimento penale di esecuzione, un diritto a ottenere una decisione relativa al risarcimento della vittima. Ci sarebbe altrimenti da temere che siffatte richieste si presentino a distanza di anni dalla soluzione giudiziaria dei reati. A parte l’eventuale prescrizione, ciò non solo contrasterebbe con il diritto, di cui all’art. 9, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI, di risarcimento entro un ragionevole lasso di tempo, bensì sarebbe anche controproducente. Andrebbero persi i vantaggi di una decisione contestuale, o perlomeno ravvicinata nel tempo, da parte dello stesso organo giurisdizionale sulla pena e sul risarcimento.

88.      Nel contempo, di frequente verrebbero interessati procedimenti per i quali non occorreva rispettare la decisione quadro né durante il procedimento che ha portato alla condanna né per la sentenza. Il caso di specie è esemplificativo: la condanna risale al 1999, ossia a un’epoca in cui la decisione quadro non esisteva ancora. Essa non poteva pertanto obbligare il giudice competente a decidere sui diritti di risarcimento al momento della condanna o a far luce su eventuali elementi fattuali necessari. Se in questi casi non si è ancora deciso sul risarcimento, non ci si deve neppure aspettare, quindi, che una decisione futura sia preferibile a una decisione adottata nell’ambito del procedimento civile.

89.      Di conseguenza, l’art. 9, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI non osta all’ottenimento della decisione relativa al risarcimento della vittima entro un lasso di tempo ragionevole nell’ambito del procedimento penale di esecuzione, ma neppure l’impone.

b)      Sulla restituzione dei beni

90.      Ai fini della restituzione dei beni è determinante l’art. 9, n. 3, della decisione quadro 2001/220/GAI, secondo cui, tranne quando il procedimento penale imponga altrimenti, i beni restituibili appartenenti alla vittima e sequestrati nell’ambito del procedimento penale sono restituiti alla vittima senza ritardo.

91.      A differenza dell’art. 9, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI, per quanto riguarda il risarcimento questa disposizione non prevede decisioni in merito all’attribuzione della proprietà alla vittima. Per questo la Commissione sostiene che la disposizione è applicabile solo nel caso in cui la proprietà non sia controversa. Come il governo austriaco, la Commissione ritiene che una controversia sulla proprietà rientri invece nel diritto civile e che pertanto non sia contemplata dal settimo ‘considerando’ della decisione quadro.

92.      Facendo riferimento al settimo ‘considerando’ della decisione quadro 2001/220/GAI, la Commissione e l’Austria non tengono conto che esso si riferisce solo al procedimento civile, ma non al diritto civile. Sarebbe in contrasto con la decisione prevista all’art. 9, n. 1, relativa a un risarcimento da parte dell’autore del reato, se la decisione quadro lasciasse impregiudicate questioni di diritto civile. Infatti, la decisione relativa a un risarcimento da parte dell’autore del reato rientra di norma nel diritto civile.

93.      Ciononostante è d’altro canto vero che l’art. 9, n. 3, della decisione quadro 2001/220/GAI non prevede una decisione sulla proprietà. In linea di principio questa disposizione riguarda pertanto la restituzione di beni non contesi, per esempio oggetti appartenenti alla vittima sequestrati a scopo probatorio. Come fa notare a piena ragione il governo irlandese, l’art. 9, n. 3, della decisione quadro 2001/220/GAI si limita in tal modo a concretare il diritto fondamentale di proprietà.

94.      Inoltre non tutte le contestazioni sulla proprietà possono essere d’ostacolo alla restituzione prevista. Infatti, se nell’ambito del procedimento penale si è accertato in maniera giuridicamente vincolante, ai fini di tale procedimento, il soggetto cui spetta la proprietà, per esempio, nel caso di refurtiva, per permettere una condanna per furto, tale accertamento deve essere determinante anche per la restituzione. Solo questo modus operandi soddisfa il disposto dell’art. 2, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI, che impone di riconoscere gli interessi legittimi della vittima nell’ambito del procedimento penale. Un accertamento dei fatti sufficiente a condannare l’autore di un reato deve fondare anche la valutazione sulla restituzione dei beni appartenenti alla vittima.

95.      Per contro la vittima non può pretendere la restituzione di beni di proprietà controversa se il procedimento penale non ha condotto ai corrispondenti accertamenti. A questo riguardo gli Stati membri sono liberi di rimettere la controversia sulla proprietà alla giurisdizione civile. Sorge al massimo il problema di stabilire in quale misura la decisione quadro 2001/220/GAI imponga all’organo giurisdizionale di procedere ai relativi accertamenti se non sono assolutamente necessari per la conclusione del procedimento penale. Ai fini del presente procedimento tale questione è nondimeno irrilevante in quanto tutti gli accertamenti eventuali hanno già avuto luogo nell’ambito della condanna del sig. Dell’Orto o comunque non possono più intervenire ora.

96.      Occorre pertanto dichiarare che la restituzione senza ritardo dei beni sequestrati appartenenti alla vittima, secondo l’art. 9, n. 3, della decisione quadro 2001/220/GAI, deve avvenire se la proprietà da parte della vittima non è controversa o se è stata accertata nel procedimento penale passato in giudicato.

V –    Conclusione

97.      Propongo pertanto alla Corte di risolvere la domanda di pronuncia pregiudiziale come segue:

1)      Per vittime ai sensi della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, si intendono, anche alla luce della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/80/CE, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, esclusivamente le persone fisiche.

2)      L’art. 9, n. 1, della decisione quadro 2001/220/GAI non osta all’ottenimento della decisione relativa al risarcimento della vittima entro un lasso di tempo ragionevole nell’ambito del procedimento penale di esecuzione, ma neppure l’impone.

3)      La restituzione senza ritardo dei beni sequestrati alla vittima, ai sensi dell’art. 9, n. 3, della decisione quadro 2001/220/GAI, deve avvenire se la proprietà da parte della vittima non è controversa o se è stata accertata nel procedimento penale passato in giudicato.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 82, pag. 1.


3 – GU L 261, pag. 15 (versioni linguistiche dell’UE dei 15).


4 –      L’integrazione è mia.


5 – Sentenza 16 giugno 2005, causa C‑105/03, Pupino (Racc. pag. I‑5285, punto 43). A proposito della dichiarazione della Corte occorre rilevare che dapprima nelle versioni tedesca e inglese della sentenza è stata erroneamente utilizzata la nozione di «interpretazione conforme alle direttive», non applicabile alle decisioni quadro. Questo errore di traduzione è ormai stato corretto.


6 – Sentenza Pupino (cit. alla nota 5, punto 19). V. altresì sentenze 27 febbraio 2007, causa C‑354/04 P, Gestoras Pro Amnistia e a./Consiglio (Racc. pag. I‑0000, punto 54), e causa C‑355/04 P, Segi e a./Consiglio (Racc. pag. I‑0000, punto 54).


7 – Informazione relativa alla data di entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (GU L 114, pag. 56).


8 – Sentenza Pupino (cit. alla nota 5, punti 29 e seg. con ulteriori rimandi alla giurisprudenza sull’art. 234 CE).


9 – Sentenza 14 dicembre 2006, causa C‑217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio (Racc. pag. I‑0000, punti 26-28), e conclusioni da me presentate il 13 luglio 2006 nella medesima causa, paragrafo 33, in entrambi i casi con ulteriori rimandi.


10 – Sentenza Pupino (cit. alla nota 5, punto 48).


11 – V. infra, paragrafo 79.


12 – Conclusioni 11 novembre 2004, causa C‑105/03 (Racc. pag. I‑5285, paragrafo 43), con riferimenti alle sentenze 12 novembre 1981, cause riunite da 212/80 a 217/80, Salumi e a. (Racc. pag. 2735, punto 9); 6 luglio 1993, cause riunite C‑121/91 e C‑122/91, CT Control Rotterdam e JCT Benelux/Commissione (Racc. pag. I‑3873, punto 22); 7 settembre 1999, causa C‑61/98, De Haan (Racc. pag. I‑5003, punti 13 e 14), nonché 1° luglio 2004, cause riunite C‑361/02 e C‑362/02, Tsapalos (Racc. pag. I‑6405, punto 19).


13 – Conclusioni Pupino (cit. alla nota 13, paragrafi 48-52).


14 – Sentenza Pupino (cit. alla nota 5, punti 44 e 47).


15 – Sentenze 12 maggio 1998, causa C‑170/96, Commissione/Consiglio (Transitvisa) (Racc. pag. I‑2763, punto 16), e 13 settembre 2005, causa C‑176/03, Commissione/Consiglio (diritto penale in materia ambientale) (Racc. pag. I‑7879, punto 39).


16 – V. sentenza del Tribunale 21 settembre 2005, causa T‑306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (Racc. pag. II‑3533, punto 156).


17 – Cit. alla nota 5, punto 36.


18 – V., per esempio, decisione del Consiglio 2004/201/GAI e regolamento (CE) del Consiglio 19 febbraio 2004, n. 378, sulle procedure di modifica del manuale SIRENE (GU L 64, pagg. 5 e 45).


19 – Viene fatto riferimento alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale – Vittime di reati nell’Unione europea – Riflessioni sul quadro normativo e sulle misure da prendere [COM (1999) 349 def].


20 – Risultati del gruppo «Cooperazione in materia penale» del 19 e 20 giugno 2000 (documento del Consiglio 9720/00 del 26 giugno 2000, pag. 3, nota 3) e relazione del gruppo «Cooperazione in materia penale» dell’11 luglio 2000 (documento del Consiglio 10387/00 del 14 luglio 2000, pag. 7, nota 1).


21 – Sentenze 20 settembre 1988, causa 203/86, Spagna/Consiglio (Racc. pag. 4563, punto 25); 17 luglio 1997, cause riunite C‑248/95 e C‑249/95, SAM Schiffahrt e Stapf (Racc. pag. I‑4475, punto 50); 13 aprile 2000, causa C‑292/97, Karlsson e a. (Racc. pag. I‑2737, punto 39); 12 marzo 2002, cause riunite C‑27/00 e C‑122/00, Omega Air e a. (Racc. pag. I‑2569, punto 79); 9 settembre 2003, causa C‑137/00, Milk Marque e National Farmers’ Union (Racc. pag. I‑7975, punto 126); 9 settembre 2004, causa C‑304/01, Spagna/Commissione (Racc. pag. I‑7655, punto 31), e 14 dicembre 2004, causa C‑210/03, Swedish Match (Racc. pag. I‑11893, punto 70).


22 – Del resto, la decisione quadro non contiene neppure disposizioni atte a legittimare una discriminazione delle persone giuridiche da parte degli Stati membri. In proposito essa si distingue dalla normativa in discussione nelle conclusioni da me presentate l’8 settembre 2005 nella causa C‑540/03, Parlamento/Consiglio (ricongiungimento familiare) (Racc. pag. I‑5769, paragrafi 99 e segg.), che sembrava giustificare un recepimento contrario ai diritti fondamentali.


23 – COM(2002) 562 def., GU 2003, C 45E, pagg. 69 e segg.


24 – V. il documento di opzioni della Presidenza, documento del Consiglio 7752/04 del 26 marzo 2004, per le discussioni del Consiglio in data 30 marzo 2004 e la proposta conseguente, documento del Consiglio 8033/04 del 5 aprile 2004.


25 – V., per esempio, sentenza 9 dicembre 1997, causa C‑265/95, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑6959).


26 – Sentenza 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan (Racc. pag. 195, punto 19).


27 – Sentenze 17 luglio 1997, causa C‑28/95, Leur-Bloem (Racc. pag. I‑4161, punto 27), e C‑130/95, Giloy (Racc. pag. I‑4291, punto 23); v. anche sentenze 8 novembre 1990, causa C‑231/89, Gmurzynska-Bscher (Racc. pag. I‑4003, punto 24); 18 ottobre 1990, cause riunite C‑297/88 e C‑197/89, Dzodzi (Racc. pag. I‑3763, punto 36); 11 gennaio 2001, causa C‑1/99, Kofisa Italia (Racc. pag. I‑207, punto 21); 17 marzo 2005, causa C‑170/03, Feron (Racc. pag. I‑2299, punto 11), e 16 marzo 2006, causa C‑3/04, Poseidon Chartering (Racc. pag. I‑2505, punto 15).


28 – V. documento della Commissione SEC(2004)102, pag. 3, http://ec.europa.eu/justice_home/doc_centre/criminal/doc/sec_2004_0102_fr.pdf. Si tratta dell’allegato, disponibile unicamente in francese, della relazione della Commissione sulla base dell’articolo 18 della decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, COM(2004) 54 def. del 16 aprile 2004.


29 – Si dovrebbe trattare degli artt. 74 e segg. e 538 e segg. del codice di procedura penale italiano per il risarcimento delle vittime nel procedimento penale nonché degli artt. 262 e 263 del codice di procedura penale italiano per la restituzione dei beni sequestrati.