Language of document : ECLI:EU:T:2011:356

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

13 luglio 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato della gomma butadiene e della gomma stirene e butadiene del tipo emulsione – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE – Imputabilità del comportamento illecito – Ammende –– Gravità dell’infrazione – Circostanze aggravanti»

Nella causa T‑39/07,

ENI SpA, con sede in Roma, rappresentata dagli avv.ti G.M. Roberti e I. Perego,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata dai sigg. V. Di Bucci, G. Conte e V. Bottka, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda diretta a ottenere l’annullamento, per quanto riguarda l’ENI SpA, della decisione della Commissione 29 novembre 2006, C (2006) 5700 def., relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/F/38.638 – Gomma butadiene e gomma stirene e butadiene del tipo emulsione), o, in subordine, l’annullamento o la riduzione dell’ammenda inflitta all’ENI,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto dal sig. F. Dehousse (relatore), facente funzione di presidente, dalla sig.ra I. Wiszniewska-Białecka e dal sig. N. Wahl, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Pocheć, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 ottobre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Con decisione 29 novembre 2006, C (2006) 5700 def. (Caso COMP/F/38.638 – Gomma butadiene e gomma stirene e butadiene del tipo emulsione; in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione delle Comunità europee ha constatato che varie imprese avevano violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53 dell’Accordo sullo spazio economico europeo (SEE) partecipando a un’intesa sul mercato dei prodotti soprammenzionati.

2         Le imprese destinatarie della decisione impugnata sono:

–        la Bayer AG, con sede in Leverkusen (Germania);

–        The Dow Chemical Company, con sede in Midland, Michigan (Stati Uniti) (in prosieguo: la «Dow Chemical»);

–        la Dow Deutschland Inc., con sede in Schwalbach (Germania);

–        la Dow Deutschland Anlagengesellschaft mbH (già Dow Deutschland GmbH & Co. OHG), con sede in Schwalbach;

–        la Dow Europe, con sede in Horgen (Svizzera);

–        l’ENI SpA, con sede in Roma;

–        la Polimeri Europa SpA, con sede in Brindisi (in prosieguo: la «Polimeri»);

–        la Shell Petroleum NV, con sede in L’Aia (Paesi Bassi); 

–        la Shell Nederland BV, con sede in L’Aia;

–        la Shell Nederland Chemie BV, con sede in Rotterdam (Paesi Bassi); 

–        l’Unipetrol a.s., con sede in Praga (Repubblica ceca);

–        la Kaučuk a.s., con sede in Kralupy nad Vltavou (Repubblica ceca);

–        la Trade-Stomil sp. z o.o., con sede in Łódź (Polonia) (in prosieguo: la «Stomil»).

3        La Dow Deutschland, la Dow Deutschland Anlagengesellschaft e la Dow Europe sono interamente controllate, direttamente o indirettamente, dalla Dow Chemical (in prosieguo, congiuntamente: la «Dow») (punti 16-21 della decisione impugnata).

4        L’attività dell’ENI relativa ai prodotti interessati è stata svolta inizialmente dall’EniChem Elastomeri Srl, indirettamente controllata dall’ENI tramite la sua controllata EniChem SpA (in prosieguo: l’«EniChem SpA»). Il 1° novembre 1997, l’EniChem Elastomeri è stata assorbita dall’EniChem SpA. L’ENI controllava il 99,97% dell’EniChem SpA. Il 1° gennaio 2002, l’EniChem SpA ha trasferito la sua attività chimica strategica (compresa l’attività concernente la gomma butadiene e la gomma stirene e butadiene del tipo emulsione) alla Polimeri, propria controllata al 100%. L’ENI controlla direttamente e integralmente la Polimeri dal 21 ottobre 2002. A decorrere dal 1° maggio 2003, l’EniChem SpA ha cambiato la sua denominazione in Syndial SpA (punti 26‑32 della decisione impugnata). La Commissione utilizza, nella decisione impugnata, la denominazione «EniChem» per fare riferimento a qualsiasi società appartenente all’ENI (in prosieguo: l’«EniChem») (punto 36 della decisione impugnata).

5        La Shell Nederland Chemie è una controllata della Shell Nederland, che è a sua volta interamente controllata dalla Shell Petroleum (in prosieguo, congiuntamente: la «Shell») (punti 38‑40 della decisione impugnata).

6        La Kaučuk è stata creata nel 1997 a seguito della fusione tra la Kaučuk Group a.s. e la Chemopetrol Group a.s. Il 21 luglio 1997, l’Unipetrol ha acquisito tutti i beni, i diritti e gli obblighi delle imprese interessate dalla fusione. L’Unipetrol detiene il 100% delle azioni della Kaučuk (punti 45 e 46 della decisione impugnata). Peraltro, secondo la decisione impugnata, la Tavorex s.r.o. (in prosieguo: la «Tavorex»), avente sede nella Repubblica ceca, ha rappresentato la Kaučuk (e il suo predecessore, la Kaučuk Group) nel commercio con l’estero tra il 1991 e il 28 febbraio 2003. Sempre secondo la decisione impugnata, la Tavorex ha rappresentato la Kaučuk, dal 1996, nelle riunioni dell’Associazione europea della gomma sintetica (punto 49 della decisione impugnata).

7        Secondo la decisione impugnata, la Stomil ha rappresentato il produttore polacco Chemical Company Dwory S.A. (in prosieguo: la «Dwory») nelle attività di esportazione per circa trent’anni, almeno fino al 2001. Sempre secondo la decisione impugnata, la Stomil ha rappresentato la Dwory, tra il 1997 e il 2000, nelle riunioni dell’Associazione europea della gomma sintetica (punto 51 della decisione impugnata).

8        Il periodo con riferimento al quale è stata accertata l’infrazione va dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002 (per la Bayer, l’ENI e la Polimeri), dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999 (per la Shell Petroleum, la Shell Nederland e la Shell Nederland Chemie), dal 1° luglio 1996 al 28 novembre 2002 (per la Dow Chemical), dal 1° luglio 1996 al 27 novembre 2001 (per la Dow Deutschland), dal 16 novembre 1999 al 28 novembre 2002 (per l’Unipetrol e la Kaučuk), dal 16 novembre 1999 al 22 febbraio 2000 (per la Stomil), dal 22 febbraio 2001 al 28 febbraio 2002 (per la Dow Deutschland Anlagengesellschaft) e dal 26 novembre 2001 al 28 novembre 2002 (per la Dow Europe) (punti 476‑485 e art. 1 del dispositivo della decisione impugnata).

9        La gomma butadiene (in prosieguo: la «BR») e la gomma stirene butadiene del tipo emulsione (in prosieguo: l’«ESBR») sono gomme sintetiche utilizzate essenzialmente per la produzione di pneumatici. Questi due prodotti sono sostituibili tra loro nonché con altre gomme sintetiche e con la gomma naturale (punti 3‑6 della decisione impugnata).

10      Oltre ai destinatari della decisione impugnata, altri produttori asiatici e dell’Europa orientale hanno venduto quantitativi limitati di BR e di ESBR nel territorio del SEE. Inoltre, un volume considerevole di BR viene prodotto direttamente dai principali produttori di pneumatici (punto 54 della decisione impugnata).

11      Il 20 dicembre 2002, la Bayer ha contattato i servizi della Commissione e ha espresso la propria intenzione di cooperare a titolo della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in relazione alla BR e all’ESBR. Per quanto riguarda l’ESBR, la Bayer ha fornito una dichiarazione orale con cui ha descritto le attività dell’intesa. Tale dichiarazione è stata registrata su cassetta (punto 67 della decisione impugnata).

12      Il 14 gennaio 2003, la Bayer ha fornito una dichiarazione orale con cui ha descritto le attività dell’intesa relativa alla BR. Tale dichiarazione orale è stata registrata su cassetta. La Bayer ha del pari fornito verbali delle riunioni del comitato BR dell’Associazione europea della gomma sintetica (punto 68 della decisione impugnata).

13      Il 5 febbraio 2003, la Commissione ha notificato alla Bayer la propria decisione di concederle un’immunità condizionale dall’ammenda (punto 69 della decisione impugnata).

14      Il 27 marzo 2003, la Commissione ha effettuato un accertamento, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), presso i locali della Dow Deutschland & Co. (punto 70 della decisione impugnata).

15      Tra il settembre 2003 e il luglio 2006 la Commissione ha inviato alle imprese interessate dalla decisione impugnata varie richieste di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 e dell’art. 18 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1) (punto 71 della decisione impugnata).

16      Il 16 ottobre 2003, la Dow Deutschland e la Dow Deutschland & Co. si sono incontrate con i servizi della Commissione e hanno manifestato l’intenzione di cooperare a titolo della comunicazione sulla cooperazione. In occasione di tale incontro è stata fornita una presentazione orale delle attività dell’intesa relative alla BR e all’ESBR. Tale presentazione orale è stata registrata. È stato inoltre costituito un fascicolo contenente i documenti inerenti all’intesa (punto 72 della decisione impugnata).

17      Il 4 marzo 2005, la Dow Deutschland è stata informata che la Commissione intendeva concederle una riduzione dell’ammenda compresa tra il 30% e il 50% (punto 73 della decisione impugnata).

18      Il 7 giugno 2005, la Commissione ha avviato il procedimento e ha inviato una prima comunicazione degli addebiti alle imprese destinatarie della decisione impugnata – ad eccezione dell’Unipetrol – nonché alla Dwory. La prima comunicazione degli addebiti è stata adottata anche nei confronti della Tavorex, ma non le è stata notificata in quanto detta società era in liquidazione dall’ottobre del 2004. Il procedimento nei suoi confronti è stato quindi archiviato (punti 49 e 74 della decisione impugnata).

19      Le imprese di cui trattasi hanno depositato osservazioni scritte relative a tale prima comunicazione degli addebiti (punto 75 della decisione impugnata). Esse hanno inoltre avuto accesso al fascicolo, sotto forma di CD-ROM, nonché alle dichiarazioni orali e ai documenti ad esse relativi presso i locali della Commissione (punto 76 della decisione impugnata).

20      Il 3 novembre 2005, la Manufacture Française des Pneumatiques Michelin (in prosieguo: la «Michelin») ha chiesto di intervenire. Essa ha fornito osservazioni scritte il 13 gennaio 2006 (punto 78 della decisione impugnata).

21      Il 6 aprile 2006, la Commissione ha adottato una seconda comunicazione degli addebiti indirizzata alle imprese destinatarie della decisione impugnata. Le imprese di cui trattasi hanno depositato osservazioni scritte a tale riguardo (punto 84 della decisione impugnata).

22      Il 12 maggio 2006, la Michelin ha presentato una denuncia ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) della Commissione 7 aprile 2004, n. 773, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU L 123, pag. 18) (punto 85 della decisione impugnata).

23      Il 22 giugno 2006, le imprese destinatarie della decisione impugnata, ad eccezione della Stomil, e la Michelin, hanno partecipato all’audizione dinanzi alla Commissione (punto 86 della decisione impugnata).

24      In mancanza di sufficienti elementi di prova della partecipazione della Dwory all’intesa, la Commissione ha deciso di archiviare il procedimento nei suoi confronti (punto 88 della decisione impugnata). La Commissione ha inoltre deciso di archiviare il procedimento nei confronti della Syndial (punto 89 della decisione impugnata).

25      Peraltro, mentre inizialmente erano stati utilizzati due numeri di caso diversi (uno per la BR e l’altro per l’ESBR) (COMP/E-1/38.637 e COMP/E-1/38.638), la Commissione ha utilizzato, dopo la prima comunicazione degli addebiti, un unico numero (COMP/F/38.638) (punti 90 e 91 della decisione impugnata).

26      Il procedimento amministrativo si è concluso con l’adozione della decisione impugnata, da parte della Commissione, il 29 novembre 2006.

27      Ai sensi dell’art. 1 del dispositivo della decisione impugnata, le seguenti imprese hanno violato l’art. 81 CE e l’art. 53 SEE, commettendo, nei periodi indicati, un’infrazione unica e continuata consistente nel concordare obiettivi di prezzo, nella ripartizione dei clienti mediante accordi di non aggressione e nello scambio di informazioni riservate concernenti prezzi, concorrenti e clienti nei settori della BR e dell’ESBR:

a)      la Bayer, dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002;

b)       la Dow Chemical, dal 1° luglio 1996 al 28 novembre 2002; la Dow Deutschland, dal 1° luglio 1996 al 27 novembre 2001; la Dow Deutschland Anlagengesellschaft, dal 22 febbraio 2001 al 28 febbraio 2002; la Dow Europe, dal 26 novembre 2001 al 28 novembre 2002;

c)       l’ENI, dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002; la Polimeri, dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002;

d)       la Shell Petroleum, dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999; la Shell Nederland, dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999; la Shell Nederland Chemie, dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999;

e)       l’Unipetrol, dal 16 novembre 1999 al 28 novembre 2002; la Kaučuk, dal 16 novembre 1999 al 28 novembre 2002;

f)       la Stomil, dal 16 novembre 1999 al 22 febbraio 2000.

28      Sulla base degli accertamenti di fatto e delle valutazioni giuridiche operate nella decisione impugnata, la Commissione ha irrogato alle imprese interessate varie ammende il cui importo è stato calcolato conformemente al metodo illustrato negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») nonché nella comunicazione sulla cooperazione.

29      L’art. 2 del dispositivo della decisione impugnata infligge le seguenti ammende:

a)       alla Bayer: EUR 0;

b)       alla Dow Chemical: EUR 64,575 milioni, di cui:

i)       EUR 60,27 milioni in solido con la Dow Deutschland;

ii)      EUR 47,355 milioni in solido con la Dow Deutschland Anlagengesellschaft e la Dow Europe;

c)       all’ENI e alla Polimeri, in solido: EUR 272,25 milioni;

d)       alla Shell Petroleum, alla Shell Nederland e alla Shell Nederland Chemie, in solido: EUR 160,875 milioni;

e)       all’Unipetrol e alla Kaučuk, in solido: EUR 17,55 milioni;

f)       alla Stomil: EUR 3,8 milioni.

30      L’art. 3 del dispositivo della decisione impugnata ordina alle imprese elencate all’art. 1 di porre immediatamente fine, qualora non vi abbiano ancora provveduto, alle infrazioni descritte nel medesimo articolo e di astenersi dal ripetere qualsiasi atto o comportamento di cui all’art. 1 nonché qualsiasi atto o comportamento che abbia oggetto o effetto equivalente.

 Procedimento e conclusioni delle parti

31      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 febbraio 2007, l’ENI ha proposto il presente ricorso.

32      Con decisione del presidente del Tribunale in data 31 marzo 2009, il sig. N. Wahl è stato designato per completare la sezione, in seguito ad impedimento di uno dei suoi membri.

33      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

34      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste nell’art. 64 del suo regolamento di procedura, il Tribunale ha invitato le parti a rispondere a determinati quesiti e a produrre alcuni documenti. Le parti hanno ottemperato a tali domande nei termini impartiti.

35      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza che ha avuto luogo il 12 ottobre 2009.

36      L’ENI chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui le imputa la responsabilità dei comportamenti oggetto dell’ammenda di cui trattasi;

–        in subordine, annullare o ridurre l’ammenda che le è stata inflitta a titolo dell’art. 2 della decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

37      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare l’ENI alle spese.

 In diritto

38      L’ENI fa valere due motivi a sostegno delle sue conclusioni. Con il suo primo motivo, l’ENI censura il fatto che la Commissione le ha imputato la responsabilità dell’infrazione. Con il suo secondo motivo, l’ENI sostiene che la Commissione ha determinato in modo errato l’importo dell’ammenda.

A –  Sulle conclusioni dirette all’annullamento parziale della decisione impugnata

1.     Sul primo motivo, vertente sull’imputazione illegittima dell’infrazione all’ENI

39      L’ENI osserva che, secondo la decisione impugnata, la detenzione del 100% del capitale di una società darebbe luogo ad una presunzione a carico della controllante dell’esercizio di un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata, tale da escludere ogni reale autonomia di quest’ultima nella determinazione della propria politica commerciale. In tal caso, alla luce della lettura della decisione impugnata effettuata dall’ENI, vi sarebbe un’inversione dell’onere della prova, per cui spetterebbe all’impresa interessata dimostrare che la presunzione derivante dal controllo proprietario è erronea.

40      Il primo motivo dell’ENI si scompone in quattro parti. Nell’ambito della prima parte, l’ENI considera che la Commissione ha applicato un criterio errato di valutazione della responsabilità di una società controllante. Nell’ambito della seconda parte, l’ENI sostiene che la Commissione ha erroneamente accertato una responsabilità oggettiva per quanto la riguarda. Nell’ambito del terzo motivo, l’ENI osserva di aver fornito, nel corso del procedimento amministrativo, elementi che avrebbero dovuto indurre la Commissione a ritenere che essa non avesse esercitato alcuna influenza sulle politiche commerciali della Syndial/Polimeri. Nell’ambito della quarta parte, l’ENI afferma che la Commissione ha violato il principio della responsabilità limitata delle società di capitali e i principi comuni in materia di responsabilità.

a)     Sulla prima parte, vertente sull’applicazione errata delle condizioni di imputabilità dell’infrazione

 Argomenti delle parti

41      Osservando che l’onere di provare un’infrazione alle regole di concorrenza spetterebbe alla Commissione (sentenza della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, e art. 2 del regolamento n. 1/2003), l’ENI ritiene che l’approccio adottato da quest’ultima nella decisione impugnata contrasti con la giurisprudenza e con la prassi della medesima.

42      Per quanto riguarda la giurisprudenza, rinviando in primo luogo alle sentenze pronunciate nella causa Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione dal Tribunale (sentenza del Tribunale14 maggio 1998, causa T‑354/94, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. II‑2111) e, su impugnazione, dalla Corte (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I‑9925; in prosieguo: la «sentenza Stora»), l’ENI considera che tali sentenze confermano il principio consolidato secondo il quale è possibile imputare alla controllante il comportamento posto in essere dalla controllata solo qualora la controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante (sentenza Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, cit.). In tale contesto, la Corte avrebbe confermato che la considerazione della sola struttura proprietaria non può costituire il fondamento della responsabilità per violazioni delle regole di concorrenza (sentenza Stora, cit.). L’ENI rinvia parimenti alle conclusioni dell’avvocato generale Mischo relativa alla sentenza Stora, citata (Racc. pag. I‑9928), che sarebbero state seguite dalla Corte. In tale causa, la linea di condotta della ricorrente nel corso del procedimento amministrativo e la partecipazione all’intesa di diverse società del gruppo Stora avrebbero consentito di concludere che il controllo totalitario del capitale delle controllate da parte della Stora fosse sufficiente a fondarne la responsabilità per i comportamenti posti in essere dalle prime. L’ENI ne conclude che solo in presenza di condizioni del tutto peculiari e, comunque, ulteriori sarebbe possibile ritenere che la responsabilità della capogruppo sia provata, senza bisogno di un’ulteriore indagine volta a verificare se l’influenza dominante sia stata effettivamente esercitata con riferimento alle specifiche condotte realizzate dalla controllata in violazione dell’art. 81 CE.

43      Ad una conclusione non dissimile la Corte sarebbe pervenuta in successive cause, in cui si poneva una questione analoga. L’ENI rinvia, a tal proposito, alle sentenze della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑196/99 P, Aristrain/Commissione, (Racc. pag. I‑11005), e 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P Dansk Rørindustri e a./Commissione (Racc. pag. I‑5425). Tali sentenze, benché riguardino società sorelle, sarebbero rilevanti in quanto confermano come, nell’individuare la persona giuridica responsabile all’interno di un gruppo, la Commissione sia tenuta a condurre un’approfondita analisi del complesso di relazioni esistenti tra le imprese di tale gruppo. L’ENI rinvia altresì alla sentenza della Corte 10 gennaio 2006, causa C‑222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a. (Racc. pag. I‑289). Contrariamente a quanto sosterrebbe la Commissione, tale sentenza non sarebbe sfavorevole alla posizione dell’ENI. Infatti, essa confermerebbe che la mera titolarità di una partecipazione di controllo totalitaria non equivale a influenza effettiva sulla gestione.

44      Neppure il Tribunale avrebbe mai ritenuto che la detenzione del 100% del capitale della società che aveva materialmente posto in essere i comportamenti anticompetitivi fosse sufficiente di per sé a giustificare la responsabilità della controllante, in assenza di elementi aggiuntivi idonei a dimostrare l’effettivo esercizio da parte sua dei poteri derivanti dalla propria partecipazione. L’ENI cita, a tal riguardo, diversi «indizi» che consentono di confermare la presunzione relativa alla detenzione di capitale, che sarebbero stati identificati dal Tribunale in talune cause.

45      L’ENI riconosce che, in due sentenze recenti, il Tribunale ha considerato che, quando una società madre controllava al 100% la società controllata colpevole di un comportamento trasgressivo, sussisteva una presunzione confutabile che la suddetta società controllante esercitasse effettivamente un influsso determinante sulla propria controllata. Spettava quindi alla società controllante invertire tale presunzione fornendo elementi di prova idonei a dimostrare l’autonomia della sua controllata (sentenze del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II‑3085, e causa T‑330/01, Akzo Nobel/Commissione, Racc. pag. II‑3389). Tuttavia, ad una più attenta lettura delle pronunce in questione, si rileverebbe che la legittimità delle decisioni della Commissione nella parte in cui avevano imputato in capo alle società controllanti la responsabilità dei comportamenti anticompetitivi posti in essere dalle controllate sarebbe, in realtà, stata ritenuta solo sulla base di una serie di elementi più articolati, che l’ENI rileva, non riconducibili alla mera detenzione del capitale.

46      Quanto alla sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione (Racc. pag. II 3435), cui si riferisce la Commissione nelle sue memorie, il tema della presunzione di responsabilità sarebbe abbordato in via del tutto incidentale e al solo fine di affermare l’inapplicabilità al caso oggetto di scrutinio. Inoltre, l’ENI sottolinea che la controllante Jungbunzlauer Holding AG non sarebbe stata coinvolta nell’infrazione sanzionata anche se essa deteneva la totalità del capitale sia della ricorrente in tale causa sia della Jungbunzlauer GmbH.

47      L’ENI ne conclude che, segnatamente alla luce della sentenza Avebe/Commissione, punto 45 supra, un’eventuale presunzione di «influenza determinante» della controllante sulla controllata al 100% possa essere configurabile solo qualora la detenzione della totalità del capitale sia supportata da ulteriori «indizi sufficientemente importanti». Ad ogni modo, sarebbe sempre possibile per la società interessata «invertire tale presunzione fornendo alla Commissione elementi di prova sufficienti nel corso del procedimento amministrativo» (sentenza Akzo Nobel/Commissione, punto 45 supra).

48      L’impostazione seguita dall’ENI sarebbe stata confermata, per di più, dalla sentenza del Tribunale 26 aprile 2007, cause riunite T‑109/02, T‑118/02, T‑122/02, T‑125/02, T‑126/02, T‑128/02, T‑129/02, T‑132/02 e T‑136/02, Bolloré e a./Commissione, Racc. pag. II‑947). In tale sentenza verrebbe esplicitamente affermato che la tesi della Commissione, secondo cui sarebbe possibile concludere per la responsabilità della società madre sulla sola presunzione derivante dal controllo totalitario, non è giuridicamente fondata. La titolarità del 100% del capitale, se può certamente rappresentare un indice dell’influenza decisiva, non è di per sé sufficiente a fornirne la prova. Secondo tale giurisprudenza, infatti, in questo caso la prova di un elemento supplementare rispetto al tasso di partecipazione resterebbe comunque necessaria.

49      Quanto alla prassi decisionale precedente della Commissione, l’ENI rileva che, sino all’adozione della decisione della Commissione 19 gennaio 2005 relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.773 – AMCA; in prosieguo: la «decisione AMCA»), la responsabilità di una società per infrazione all’art. 81 CE non era mai stata accertata per il mero fatto del controllo esercitato su un’altra società. In mancanza di altri elementi, la Commissione non avrebbe imputato né esteso la responsabilità alla società capogruppo.

50      L’ENI rinvia, più in particolare, alla decisione della Commissione 16 dicembre 2003, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 SEE (Caso COMP/E‑1/38.240 – Tubi industriali) (sintesi nella GU 2004, L 125, pag. 50), e alle decisioni della Commissione 20 ottobre 2004 (Caso COMP/C. 38.238/B. 2 – Tabacco greggio – Spagna) e 20 ottobre 2005 (Caso COMP/C. 38.281/B. 2 – Tabacco greggio – Italia), relative a procedimenti ai sensi dell’art. 81 CE. L’ENI ricorda le conclusioni che essa trae da tali decisioni, per le quali un esame dettagliato sarebbe stato fornito con la seconda comunicazione degli addebiti.

51      Da tali decisioni risulterebbe che la prassi della Commissione è stata univoca – almeno fino al 2005 – nel senso di non attribuire un rilievo decisivo, per stabilire l’influenza sulla politica commerciale della controllata da parte della controllante, alla titolarità in capo a quest’ultima dell’intero capitale dell’impresa che ha materialmente partecipato all’infrazione. Il controllo totalitario o quasi totalitario «agevol[erebbe]» l’onere della prova in capo alla Commissione, ma non lo avrebbe mai fatto venir meno. L’ENI menziona poi gli elementi di prova cui la Commissione avrebbe riconosciuto un’importanza particolare nell’ambito di altre decisioni. Nessuno di questi elementi esisterebbe nei vincoli che uniscono l’ENI e la Polimeri o la Syndial.

52      Inoltre, l’ENI osserva di essere consapevole della giurisprudenza che non prende in considerazione, nell’applicazione delle ammende in materia di concorrenza, qualsiasi contestazione che si basi sulla prassi decisionale precedente della Commissione. Tuttavia, il Tribunale avrebbe indicato che, anche nell’applicazione di tale disposizione (nel caso particolare l’art. 15 del regolamento n. 17) a ciascun caso di specie, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, tra i quali figura il principio di parità di trattamento, quale interpretato dai giudici comunitari (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3627). Il potere discrezionale che la Commissione pretende di esercitare sarebbe, comunque, limitato dal rispetto dei principi fondamentali. Inoltre, occorrerebbe distinguere la determinazione dell’importo dell’ammenda, per la quale la Commissione dispone di un potere discrezionale, e l’individuazione del soggetto responsabile o dei soggetti responsabili di un’infrazione. In quest’ultimo caso, la Commissione non avrebbe potere discrezionale. Ciò sarebbe confermato dalle conclusioni dell’avvocato generale Kokott relative alla sentenza della Corte 11 dicembre 2007, causa C‑280/06, ETI e a. (Racc. pag. I‑10893, in particolare pag. I‑10896). Essa non potrebbe dunque invocare un tale potere per ignorare la propria prassi decisionale anteriore. Infine, l’ENI rileva che il cambiamento nella prassi della Commissione non è sorretto da un’adeguata e specifica motivazione, che s’impone ogni qualvolta l’istituzione intenda deviare da una prassi consolidata precedente. L’ENI considera che una tale motivazione s’imponeva a maggior ragione, nella fattispecie, atteso che tale nuovo orientamento implica un’imputazione della responsabilità a soggetti che non hanno minimamente partecipato alla violazione contestata (sentenza del Tribunale 28 aprile 1994, causa T‑38/92, AWS Benelux/Commissione, Racc. pag. II‑211).

53      In conclusione, l’ENI ritiene che la Commissione, fondandosi sulla mera presunzione dell’influenza determinante che essa avrebbe esercitato sulla Polimeri grazie alla partecipazione al 100% del capitale di quest’ultima per imputarle la responsabilità dei comportamenti contestati, abbia violato i principi relativi alla responsabilità delle società controllanti per le infrazioni commesse dalle loro controllate, come sono stati definiti dalla giurisprudenza comunitaria vertente sugli artt. 81 CE e 82 CE, e l’art. 2 del regolamento n. 1/2003, che impone alla Commissione l’onere della prova dell’infrazione alle regole di concorrenza.

54      Quanto agli «elementi ulteriori» figuranti nella decisione impugnata, e invocati dalla Commissione nelle sue memorie, l’ENI indica innanzitutto che i rapporti gerarchici menzionati si situavano e si esaurivano all’interno delle società controllate, senza risalire verso le società collocate a monte. La Commissione si limiterebbe a rilevare che alla controllante spettavano le tipiche prerogative concernenti la designazione del consiglio di amministrazione. Non si tratterebbe dunque di un elemento distinto dal controllo. Il fatto poi che l’ENI non si sia mai separata dalle attività del settore chimico nemmeno costituisce un elemento di questo tipo. Tale affermazione, che sarebbe priva di senso, non figurerebbe peraltro nella decisione impugnata. Infine, quanto alle «sistematiche riorganizzazioni» cui si riferisce la Commissione, esse sarebbero state dedotte nella decisione impugnata per contestare la pertinenza di un elemento rilevato dall’ENI stessa. Inoltre, tali riorganizzazioni mostrerebbero che le attività non essenziali, come la chimica, sarebbero rimaste a società distinte, a differenza di altri settori.

55      La Commissione conclude per il rigetto della prima parte del primo motivo. Essa sostiene, in sostanza, che, quando una controllante detiene la totalità del capitale di una controllata, sussiste una presunzione che la controllante eserciti un’influenza determinante sul comportamento della controllata.

 Giudizio del Tribunale

56      La Commissione osserva, nella decisione impugnata, che una controllante può essere considerata responsabile del comportamento illegittimo di una controllata qualora quest’ultima non determini autonomamente il proprio comportamento sul mercato. La Commissione si riferisce, a tal riguardo, in particolare, alla nozione di impresa in diritto della concorrenza (punti 333 e 334 della decisione impugnata). La Commissione osserva peraltro di poter presumere che una controllata al 100% segua essenzialmente le istruzioni che le sono impartite dalla società controllante senza dover verificare se quest’ultima abbia effettivamente esercitato quel potere. Incomberebbe alla società controllante o alla controllata confutare tale presunzione fornendo prove sufficienti del fatto che la controllata ha deciso autonomamente il suo comportamento sul mercato, senza seguire le istruzioni ricevute dalla società controllante, di modo che esse non rientrerebbero quindi nella nozione di «impresa» (punto 335 della decisione impugnata).

57      La Commissione osserva poi che l’EniChem SpA è responsabile per la sua partecipazione diretta all’infrazione. Essa precisa che l’attività dell’ENI per i prodotti interessati era inizialmente esercitata dall’EniChem Elastomeri, indirettamente controllata dall’ENI tramite la controllata EniChem SpA. Come ricordato sopra al punto 4, il 1° novembre 1997, l’EniChem Elastomeri è stata assorbita dall’EniChem SpA. L’ENI controllava il 99,97% dell’EniChem SpA. Il 1° gennaio 2002, l’EniChem SpA ha trasferito la sua attività chimica strategica (compresa l’attività concernente la BR e l’ESBR) alla Polimeri, propria controllata al 100%. L’ENI controlla direttamente e integralmente la Polimeri dal 21 ottobre 2002. A decorrere dal 1° maggio 2003, l’EniChem SpA ha cambiato la sua denominazione in Syndial (punti 26-32 e 365-367 della decisione impugnata).

58      Infine, la Commissione rileva che l’ENI controllava, direttamente o indirettamente, quasi la totalità del capitale dell’EniChem Elastomeri, dell’EniChem SpA, della Syndial e della Polimeri, e diversi elementi confermano, a suo avviso, che si poteva presumere che l’ENI avesse esercitato un’influenza determinante sul comportamento delle sue controllate. Peraltro, ricordando segnatamente che la Polimeri aveva ripreso l’attività chimica strategica dell’EniChem SpA il 1° gennaio 2002 e che sussisteva un serio rischio che, al momento dell’esecuzione della decisione impugnata, la Syndial non possedesse più attività sufficienti per pagare l’ammenda, la Commissione ha considerato che la Polimeri dovesse essere ritenuta responsabile per il comportamento della Syndial e ha deciso di non indirizzare la decisione impugnata alla Syndial. La Commissione ne ha concluso che la decisione impugnata dovesse essere indirizzata alla Polimeri e all’ENI, le quali dovevano essere ritenute responsabili per l’infrazione in solido (punti 365-401 della decisione impugnata).

59      La prima parte del primo motivo sollevato dall’ENI si basa, in sostanza, sul postulato giuridico secondo cui non esisterebbe una presunzione secondo cui una società controllante la totalità del capitale della sua controllata eserciti un’influenza determinante sul suo comportamento.

60       Si deve rilevare, a tal riguardo, che il diritto comunitario in materia di concorrenza riguarda le attività delle imprese, e che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico del soggetto stesso e dalle sue modalità di finanziamento. La Corte ha inoltre precisato che la nozione di impresa, in tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce a un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche. Qualora un ente di tal genere violi le regole della concorrenza, esso è tenuto, secondo il principio della responsabilità personale, a rispondere di tale infrazione. L’infrazione al diritto comunitario in materia di concorrenza deve essere imputata in maniera inequivocabile alla persona giuridica alla quale potranno essere inflitte ammende e la comunicazione degli addebiti dev’essere inviata a quest’ultima. È parimenti necessario che la comunicazione degli addebiti indichi in che qualità a una persona giuridica vengano addebitati i fatti invocati (v. sentenza 10 settembre 2009, causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. I‑8237, punti 54‑57 e la giurisprudenza citata).

61      Peraltro, secondo costante giurisprudenza, il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche. Infatti, ciò si verifica perché, in tale situazione, la società controllante e la propria controllata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa, ai sensi della giurisprudenza citata supra. Così, il fatto che una società controllante e la propria controllata costituiscano una sola impresa consente alla Commissione di emanare una decisione che infligge ammende nei confronti della società controllante, senza necessità di dimostrare l’implicazione personale di quest’ultima nell’infrazione (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 60 supra, punti 58 e 59 nonché la giurisprudenza citata).

62       Riguardo al caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata che abbia infranto le norme comunitarie in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata. Alla luce di tali considerazioni, è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla controllante per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla propria controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di confutare tale presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato. Se è pur vero che la Corte, ai punti 28 e 29 della sentenza Stora, citata al punto 42 supra, ha menzionato, oltre alla detenzione del 100% del capitale della controllata, altre circostanze, quali la mancata contestazione dell’influenza esercitata dalla controllante sulla politica commerciale della propria controllata e la rappresentanza comune delle due società durante il procedimento amministrativo, ciò non toglie che tali circostanze siano state rilevate dalla Corte solo con l’obiettivo di esporre tutti gli elementi su cui il Tribunale aveva fondato il suo ragionamento e non per subordinare l’applicazione della presunzione menzionata precedentemente alla produzione di indizi supplementari relativi all’effettivo esercizio di un’influenza della società controllante (v. sentenza Akzo Nobel e a., cit. al punto 60 supra, punti 60‑62 e la giurisprudenza citata).

63      Ne deriva che, contrariamente a quanto sostiene l’ENI, esiste una presunzione relativa secondo cui una società controllante che detenga il 100% del capitale della propria controllata esercita un’influenza determinante sul suo comportamento. Il postulato giuridico dell’ENI è dunque errato.

64      Quanto alla prassi decisionale anteriore della Commissione dedotta dall’ENI, e nei limiti in cui quest’ultima invoca una violazione del principio della parità di trattamento, occorre innanzitutto ricordare che, per i motivi indicati supra ai punti 60-62, il comportamento di una controllata che viola le regole di concorrenza può essere imputato alla controllante. Occorre poi rilevare che l’imputazione dell’infrazione alla controllante è una facoltà lasciata alla discrezionalità della Commissione (v., in tal senso, sentenze della Corte 24 settembre 2009, cause riunite C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Erste Bank der österreichischen Sparkassen/Commissione, Racc. pag. I‑8681, punto 82, e del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punto 331). Ciò premesso, occorre considerare che il solo fatto che la Commissione abbia valutato, nell’ambito della sua precedente prassi decisionale, che le circostanze di una causa non giustificavano l’imputazione del comportamento della controllata alla sua controllante non vuol dire che essa sia obbligata a effettuare la medesima valutazione in occasione dell’adozione di una successiva decisione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. II‑931, punto 990). Ad abundantiam, occorre ricordare che un’impresa che ha violato l’art. 81, n. 1, CE non può sottrarsi a qualsiasi sanzione per il motivo che nessuna ammenda è stata inflitta ad un altro operatore economico, se il procedimento dinanzi al Tribunale non riguarda la situazione di quest’ultimo (v. sentenza PVC II, cit., punto 1237 e la giurisprudenza citata).

65      Nei limiti in cui, con i suoi argomenti relativi alla prassi decisionale precedente, l’ENI invoca una violazione dell’obbligo di motivazione incombente sulla Commissione, basta constatare che, con riferimento agli elementi menzionati nella decisione impugnata (indicati ai punti 56-58 supra), la Commissione ha fornito una motivazione sufficiente delle ragioni per cui essa aveva deciso di imputare all’ENI il comportamento delle sue controllate.

66      Infine, nei limiti in cui, con i suoi argomenti relativi alla prassi decisionale anteriore, l’ENI invoca una violazione del principio della certezza del diritto, occorre ricordare che la prassi della Commissione, come risulta dal caso di specie, è fondata su un’interpretazione corretta dell’art. 81, n. 1, CE. Il principio della certezza del diritto non può dunque vanificare il riorientamento eventuale della prassi decisionale della Commissione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 8 luglio 2008, causa T‑99/04, AC‑Treuhand/Commissione, Racc. pag. II‑1501, punto 163).

67      Alla luce di tali elementi, la prima parte del primo motivo dedotto dall’ENI deve essere respinta in quanto infondata.

b)     Sulla seconda parte, vertente sull’applicazione erronea di una responsabilità oggettiva

 Argomenti delle parti

68      Secondo l’ENI, la Commissione, nella decisione impugnata, va anche al di là della mera presunzione di riferibilità alla società madre dei comportamenti, eventualmente illeciti, posti in essere dalle controllate al 100% e giunge a configurare una vera e propria responsabilità oggettiva della controllante, oggetto di una presunzione assoluta, non suscettibile di prova contraria. Ciò appare in contrasto sia con l’art. 81 CE, che con i principi generali della responsabilità personale e della personalità delle pene.

69      L’ENI sottolinea, in particolare, che la Commissione ha affermato che, per principio, gli elementi di confutazione dedotti erano sostanzialmente irrilevanti. Tale posizione dimostrerebbe che la portata della decisione impugnata sarebbe quella di creare una responsabilità assoluta non suscettibile di prova contraria. La Commissione avrebbe dichiarato all’uopo non pertinenti l’assenza di flussi informativi tra società controllate e società controllante, l’assenza di sovrapposizione a livello gestionale tra le diverse società del gruppo, la circostanza che l’ENI operasse come mera holding finanziaria con riguardo alle imprese operative nel settore chimico, nonché la stessa consapevolezza della capogruppo circa le eventuali infrazioni al diritto della concorrenza poste eventualmente in essere dalle controllate.

70      La circostanza che l’ENI abbia nominato, «direttamente o indirettamente», «[l]a maggior parte, se non tutti, i membri del consiglio di amministrazione» delle controllate rappresenterebbe, ad avviso della Commissione, l’elemento di per sé sufficiente a determinare l’imputabilità dell’ENI per i presunti comportamenti anticompetitivi posti in essere dalla Syndial/Polimeri. Tuttavia, la detenzione della totalità del capitale (o anche solo di una sua maggioranza) implicherebbe naturalmente un siffatto potere. L’ENI non vede pertanto quale possa essere la prova contraria capace di rovesciare tale presunzione.

71      La decisione AMCA (v. punto 49 supra), che l’ENI esamina, mostrerebbe la radicalizzazione dell’intento della Commissione di fare della responsabilità delle società controllanti una responsabilità oggettiva. Ciò costituirebbe una violazione dei principi fondamentali della responsabilità personale e della personalità della pena, in quanto la responsabilità delle società si fonderebbe sulla mera detenzione di una partecipazione tra persone giuridicamente distinte. Ne deriverebbe parimenti una violazione del principio stesso di legalità.

72      È vero che il principio della responsabilità personale andrebbe modulato quando ne viene fatta applicazione nel quadro di un procedimento amministrativo e con riguardo a persone giuridiche, in relazione alle quali non si può parlare, in senso stretto, di volontà e di colpa. Ciò detto, esisterebbe anche in capo ad entità collettive «la capacità di infrangere le norme alla cui applicazione esse sono soggette. Il corollario è chiaro: non si può imputare a una persona giuridica un’infrazione che non ha commesso» (conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer relative alla sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, in particolare pag. I‑133). Come confermato a più riprese dalla giurisprudenza della Corte, non vi sarebbero dubbi che, con riguardo alla natura delle infrazioni di cui trattasi nonché alla natura e al grado di severità delle sanzioni conseguenti, la responsabilità per la commissione di tali infrazioni riveste carattere personale (sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125) e che una persona giuridica può essere sanzionata esclusivamente per i fatti ad essa specificamente contestati (sentenza della Corte 14 luglio 2005, cause riunite C‑65/02 P e C‑73/02 P, ThyssenKrupp/Commissione, Racc. pag. I‑6773). Il Tribunale avrebbe ricordato tali principi nelle sentenze 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione (Racc. pag. II‑897), e 4 luglio 2006, causa T‑304/02, Hoek Loos/Commissione (Racc. pag. II‑1887). L’individuazione del soggetto imputabile di un’infrazione non potrebbe mai prescindere dal carattere personale della responsabilità, che andrebbe necessariamente ricondotta, pertanto, al ruolo svolto dall’entità giuridica destinataria della decisione nella gestione del settore di attività interessato dalle intese. Ne conseguirebbe che non è la mera proprietà, ma la responsabilità nella gestione di quote di capitale che si pone all’origine della responsabilità in materia di concorrenza.

73      Infine, l’ENI considera che la decisione impugnata è viziata da difetto di motivazione. La Commissione affermerebbe pertanto che i flussi informativi tra la controllata e la controllante sono irrilevanti mentre, peraltro, essa analizzerebbe nel dettaglio proprio tali flussi informativi e gli obblighi esistenti in capo ai soggetti che hanno partecipato materialmente ai comportamenti asseritamente contrari alle regole di concorrenza. D’altronde, il risultato di tale analisi risulterebbe del tutto inconcludente, in quanto non avrebbe consentito in alcun modo di risalire fino all’ENI (punto 376 della decisione impugnata). Orbene, tenuto conto della novità della posizione della Commissione quanto al fondamento della responsabilità per le infrazioni alle regole di concorrenza, tale motivazione superficiale non sembrerebbe conforme all’art. 253 CE. L’ENI osserva a tal proposito che, «[n]ell’ipotesi in cui essa vada notevolmente al di là delle decisioni precedenti, spetta alla Commissione di motivare esaurientemente il provvedimento» (sentenza della Corte 26 novembre 1975, causa 73/74, Groupement des fabricants de papiers peints de Belgique e a./Commissione, Racc. pag. 1491).

74      La Commissione conclude per il rigetto della seconda parte del primo motivo. Essa considera, in sostanza, che nella decisione impugnata non viene applicata una responsabilità oggettiva.

 Giudizio del Tribunale

75      Nell’ambito della seconda parte del primo motivo, l’ENI parte dalla premessa che la Commissione avrebbe posto, nella decisione impugnata, una presunzione assoluta di responsabilità della società controllante per le condotte delle sue controllate detenute al 100%. 

76      Orbene, una siffatta premessa è errata.

77      Infatti, nella decisione impugnata, la Commissione ha chiaramente indicato che essa poteva presumere che una controllata detenuta al 100% applicasse essenzialmente le istruzioni impartite dalla controllante, senza dover verificare se la controllante avesse effettivamente esercitato tale potere, e che spettava alla controllante o alla controllata confutare tale presunzione. La Commissione ha precisato, a tal riguardo, che potevano essere forniti elementi di prova per dimostrare che la controllata aveva determinato autonomamente il suo comportamento sul mercato, senza seguire le istruzioni ricevute dalla controllante, di modo che esse non rientravano quindi nella nozione di «impresa» (punto 335 della decisione impugnata).

78      Ne deriva che, contrariamente a quanto sostiene l’ENI, la Commissione non ha posto una presunzione assoluta nella decisione impugnata. La circostanza che la Commissione, ai punti 383-394 della decisione impugnata, abbia respinto gli argomenti presentati dall’ENI per confutare la presunzione derivante dal controllo totalitario delle sue controllate non equivale a rendere assoluta tale presunzione. La Commissione ha semplicemente espresso la sua posizione secondo cui gli argomenti dedotti dall’ENI non consentivano di rovesciare tale presunzione. Ciò non impedisce all’ENI, cosa che essa peraltro fa nell’ambito della terza parte del presente motivo, di contestare la posizione della Commissione a tal riguardo.

79      Ne deriva altresì che il difetto di motivazione dedotto dall’ENI a tal riguardo è privo di fondamento.

80      Alla luce di tali elementi, la seconda parte del primo motivo dedotto dall’ENI deve essere respinta in quanto infondata.

c)     Sulla terza parte, relativa ad un errore nell’analisi degli elementi dedotti dall’ENI

 Argomenti delle parti

81      Pur contestando la tesi della Commissione sulla presunzione gravante su di essa, l’ENI sostiene di aver fatto valere, durante il procedimento amministrativo, un insieme articolato di dati ed informazioni idonei a dimostrare l’autonomia del comportamento delle società del gruppo operanti nel settore chimico.

82      In primo luogo, quanto all’analisi dei flussi informativi tra le società del gruppo, la Commissione concluderebbe che «[i] rapporti gerarchici tra manager nel comparto BR/ESBR culminano infatti nei CEO di EniChem SpA e Polimeri Europa SpA» (punto 376 della decisione impugnata). I flussi informativi non consentirebbero in alcun modo di risalire all’ENI. Infatti, la Commissione riuscirebbe a risalire ai consigli d’amministrazione delle società operative solo in modo indiretto e grazie ad una descrizione artificiale. L’ENI rinvia, a tal proposito, al punto 377 della decisione impugnata e precisa che ciò che viene descritto illustra la normale organizzazione interna di una qualsiasi società commerciale. Ciò, tuttavia, non fornirebbe alcuna indicazione circa il livello al quale vengono prese le singole decisioni all’interno della società operativa. La presente situazione sarebbe sostanzialmente diversa da quelle caratterizzanti altre cause, in cui sui soggetti che avevano materialmente preso parte alle infrazioni per conto della controllata gravavano precisi oneri di rapporto verso la controllante. L’ENI rinvia, su tale punto, a diverse decisioni della Commissione. Da questo punto di vista, parimenti, la situazione dell’ENI sarebbe diversa da quella della Dow, della Shell e dell’Unipetrol.

83      La Commissione avrebbe affermato, senza motivare al riguardo, che essa «non [era] tenuta a provare l’esistenza di un flusso di informazioni per applicare la presunzione» (punto 392 della decisione impugnata) e che l’«affermazione [dell’ENI] circa (...) l’asserita ignoranza [del comportamento anticoncorrenziale delle sue controllate era] irrilevante» (punto 383 della decisione impugnata). Ebbene, l’accertamento dei flussi informativi tra le società del gruppo e, quindi, della consapevolezza da parte della controllante dei comportamenti posti in essere sul mercato da parte delle controllate sarebbe un elemento pertinente che avrebbe la funzione di dimostrare l’effettiva ingerenza delle capogruppo nella gestione delle attività delle controllate.

84      Inoltre, l’affermazione secondo cui «[l]’esercizio di un’influenza decisiva sulla politica commerciale di una controllata non richiede la gestione quotidiana del funzionamento di quest’ultima» (punto 384 della decisione impugnata) non sembra corretta, in quanto l’«influenza determinante» che una controllante esercita sulle condotte della sua controllata sul mercato comporterebbe un coinvolgimento attivo della prima nella gestione della seconda. Nella fattispecie, non vi sarebbero elementi atti a dimostrare che le politiche commerciali e gli obiettivi della Syndial/Polimeri sarebbero stati determinati dall’ENI. Quest’ultima aggiunge che la Commissione, nelle sue memorie dinanzi al Tribunale, avrebbe tentato di sminuire l’importanza di tale aspetto, affermando che esso può tutt’al più rappresentare un «elemento supplementare» che si aggiunge alla presunzione. Ciò varrebbe tuttavia a corroborare la non imputabilità all’ENI della responsabilità dell’infrazione.

85      In secondo luogo, l’ENI osserva di aver fatto valere, durante il procedimento amministrativo, di non aver mai operato direttamente nel settore interessato dalle infrazioni. Essa avrebbe parimenti sottolineato che la chimica non faceva parte della sua attività principale. Nel corso degli anni ‘90, la stessa si sarebbe trasformata da holding in società operativa ed avrebbe proceduto ad un articolato processo di divisionalizzazione delle attività in tre diversi settori, da cui sarebbero state escluse le attività del comparto chimico. Dette attività sarebbero, peraltro, state razionalizzate, e tale processo si sarebbe concluso, nel corso del 2002, con il trasferimento alla Polimeri del complesso delle attività chimiche del gruppo. I ricavi netti della Polimeri, nel 2002, in particolare per quanto riguarda il settore interessato, confrontati con quelli dell’ENI per il medesimo anno, dimostrerebbero che le attività chimiche rappresentano attività di importanza relativa nella politica industriale del gruppo. L’autonomia del comparto chimico sarebbe ancora confermata dalle regole di «corporate governance» del gruppo, descritte dall’ENI durante il procedimento amministrativo. In particolare, le decisioni relative alle strategie industriali delle controllate sarebbero discusse ed adottate all’interno delle singole «Divisioni operative» e delle diverse «Unità» di tali aziende, senza che vi sia un diretto coinvolgimento dei membri del consiglio di amministrazione e del presidente della società operativa e, meno che mai, di altre funzioni della società controllante. Inoltre, lo statuto dell’ENI e le sue regole di «corporate governance» mostrerebbero che essa svolge, nei confronti delle sue controllate, un ruolo di mero coordinamento tecnico e finanziario nonché di prestazione, in loro favore, dell’opportuna assistenza finanziaria. Quanto ad ipotetici atti di sostegno finanziario accordati dall’ENI alle sue controllate, a cui si riferirebbe la Commissione nelle sue memorie dinanzi al Tribunale, essi non sarebbero stati menzionati nella decisione impugnata. Del resto, tale elemento sarebbe irrilevante, poiché qualsiasi azionista può partecipare ad operazioni finanziarie che riguardino la società partecipata.

86      Rinviando ai punti 387, 388, 390 e 391 della decisione impugnata, l’ENI ritiene che la Commissione abbia effettuato un esame superficiale, o addirittura manifestamente erroneo, delle informazioni fornite durante il procedimento amministrativo. La decisione impugnata tralascerebbe sistematicamente ogni elemento idoneo ad indebolire il presupposto da cui parte la Commissione secondo cui la controllante al 100% di un’altra società va in ogni caso considerata responsabile per i comportamenti della controllata.

87      Inoltre, l’affermazione secondo cui «la definizione di core business [attività principale] e la qualifica del ruolo di una società madre in termini di “società holding” non costituiscono un argomento decisivo quanto all’effettiva autonomia di una controllata» si porrebbe in contrasto con una consolidata prassi della Commissione, confermata anche dalla recente decisione Tabacco greggio – Italia (v. punto 50 supra). Una tale disparità di trattamento, peraltro senza alcuna motivazione, integrerebbe altresì una violazione del principio di non discriminazione, alla cui osservanza la Commissione è tenuta nell’esercizio del suo potere discrezionale.

88       L’ENI rileva altresì che, almeno nel 2001, essa non deteneva direttamente il 100% del capitale delle imprese attive nella produzione e commercializzazione di BR e di ESBR e che essa ha acquisito il capitale della Polimeri solo il 21 ottobre 2002, vale a dire al momento della chiusura del procedimento amministrativo. Quanto all’argomento secondo cui l’ENI continuava a «riorganizzarne sistematicamente le attività» delle controllate, esso non aggiungerebbe nulla alla tesi della Commissione.

89      In terzo luogo, la Commissione rileverebbe che «l’assenza di una sovrapposizione a livello gestionale non può essere ritenuta un elemento significativo, e ancor meno decisivo» (punto 393 della decisione impugnata). Mediante tale affermazione, la Commissione eviterebbe di prendere posizione sugli elementi dedotti dall’ENI in sede di procedimento amministrativo, che dimostrerebbero che non si era mai verificato che una stessa persona fisica avesse assunto incarichi direttivi all’interno delle società del settore della BR/ESBR e, contemporaneamente, nella società controllante.

90      Infine, la Commissione riterrebbe, nelle sue memorie dinanzi al Tribunale, che, per rovesciare la presunzione gravante su una società controllante al 100% il capitale di una controllata che ha commesso un’infrazione, occorrerebbe tener conto di circostanze particolari ed inusuali. Tale posizione confermerebbe che, ogni qualvolta vi sia, conformemente al diritto comune, un controllo proprietario, la controllante dovrebbe essere considerata ipso facto imputabile solidalmente per eventuali violazioni delle regole di concorrenza della controllata. La tesi della Commissione sarebbe estremista e massimalista e in manifesta contraddizione con la sua prassi anteriore, e condurrebbe pertanto ad una disparità di trattamento.

91      In conclusione, l’ENI considera che le prove da essa addotte a dimostrazione dell’autonomia di comportamento delle controllate sono state o considerate e respinte senza procedere ad una loro contestuale e complessiva valutazione o, addirittura, rigettate in termini talmente generici da rendere non comprensibili i motivi del rigetto. Ciò integrerebbe altresì un’evidente violazione del principio di buona amministrazione.

92      La Commissione conclude per il rigetto della terza parte del primo motivo. Essa considera, in sostanza, che gli elementi dedotti dall’ENI non sono sufficienti per rovesciare la presunzione che esiste nella fattispecie.

 Giudizio del Tribunale

93      Per le ragioni esposte nell’ambito della prima parte del primo motivo, la Commissione poteva presumere che l’ENI, a causa della detenzione diretta o indiretta della totalità del capitale delle sue controllate, esercitasse un’influenza determinante sul loro comportamento.

94      Spettava quindi all’ENI rovesciare tale presunzione dimostrando che dette controllate determinavano la loro politica commerciale autonomamente, per cui non costituivano con la medesima un’entità economica unica e, dunque, una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE.

95      Più in particolare, incombeva all’ENI sottoporre ogni elemento relativo ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti con le proprie controllate che essa considerava atto a dimostrare che la controllante e le controllate non costituivano un’entità economica unica. Infatti, nella sua valutazione, il Tribunale deve tener conto di tutti gli elementi sottopostigli dalle parti, il cui carattere e la cui importanza possono variare a seconda delle caratteristiche proprie di ciascun caso di specie (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, causa T‑112/05, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. II‑5049, punto 65).

96      In primo luogo, tramite alcuni dei suoi argomenti, l’ENI afferma in sostanza che, tenuto conto del loro ruolo assegnatole, in particolare dal suo statuto, essa non avrebbe potuto esercitare un’influenza determinante sulle operazioni commerciali delle sue controllate. In particolare, essa rileva di svolgere un ruolo di «mero coordinatore tecnico e finanziario». Essa non avrebbe «mai operato direttamente nel settore interessato». Non si sarebbe mai verificato che una stessa persona fisica assumesse incarichi direttivi all’interno delle controllate e, contemporaneamente, dell’ENI. La consapevolezza che la società controllante ha dei comportamenti della sua controllata sul mercato sarebbe, inoltre, un elemento pertinente. Nella fattispecie, i flussi informativi rilevati dalla Commissione non consentirebbero di risalire all’ENI.

97      Orbene, non è una relazione di istigazione a commettere l’illecito tra la controllante e la sua controllata né, a maggior ragione, un’implicazione della prima in tale illecito, ma il fatto che esse costituiscono un’unica impresa nel senso innanzi precisato che autorizza la Commissione ad adottare la decisione che impone ammende nei confronti della società controllante di un gruppo di società. Pertanto, ai fini dell’imputazione del comportamento illecito di una controllata alla sua società controllante non occorre la prova che la società controllante influenzi la politica della propria controllata nel settore specifico oggetto dell’infrazione (sentenza 12 dicembre 2007, Akzo Nobel e a./Commissione, punto 95 supra, punti 58 e 83). In particolare, il fatto che l’ENI svolga un ruolo di mero coordinatore tecnico e finanziario, e che fornisca, a favore delle sue controllate, l’assistenza finanziaria necessaria non basta ad escludere che essa eserciti un’influenza determinante sul comportamento di dette controllate coordinando in particolare gli investimenti finanziari nell’ambito del gruppo. Difatti, nell’ambito di un gruppo di società, una società che segnatamente coordini gli investimenti finanziari all’interno del gruppo è destinata a raggruppare partecipazioni in varie società ed ha la funzione di assicurarne l’unità di direzione, in particolare tramite tale controllo di bilancio (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 30 settembre 2009, causa T‑168/05, Arkema/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, punto 76).

98      Quanto alla circostanza dedotta che le attività chimiche sarebbero di importanza relativa nella politica industriale del gruppo, essa non può provare che l’ENI abbia lasciato alle sue controllate un’autonomia totale per definire il loro comportamento sul mercato (v., in tal senso, sentenza Bolloré e a./Commissione, punto 48 supra, punto 144).

99      In secondo luogo, ad abundantiam, la Commissione menziona nella decisione impugnata elementi supplementari che consentono di ritenere che l’ENI avesse esercitato un’influenza determinante sul comportamento delle sue controllate. In particolare, la Commissione rileva che i rapporti gerarchici conducevano direttamente al CEO dell’EniChem SpA (divenuta Syndial) e a quello della Polimeri. L’ENI non contesta tale conclusione, ma precisa solamente che si tratta in tal caso dell’organizzazione interna normale di una società commerciale. Peraltro, la Commissione osserva, al punto 379 della decisione impugnata, che i CEO dell’EniChem SpA (divenuta Syndial) e della Polimeri rispondono della loro attività ai rispettivi consigli di amministrazione. Orbene, tali consigli di amministrazione erano direttamente o indirettamente nominati dall’ENI, cosa che essa non contesta.

100    In terzo luogo, quanto ai punti 387, 388, 390 e 391 della decisione impugnata, occorre constatare, contrariamente a quanto sostiene l’ENI, che la Commissione non ha effettuato un esame superficiale degli elementi dedotti durante il procedimento amministrativo. La Commissione ha risposto con precisione agli argomenti presentati dall’ENI. Del resto, l’ENI non spiega sotto quale profilo la posizione della Commissione a tal riguardo sia «manifestamente erronea», come essa sostiene tuttavia nel suo ricorso.

101    In quarto luogo, quanto alla circostanza che la decisione impugnata sarebbe contraria ad una prassi decisionale della Commissione, occorre respingere gli argomenti dell’ENI per i medesimi motivi esposti nell’ambito della prima parte del primo motivo e riprodotti ai punti 64-66 supra.

102    In quinto luogo, quanto al fatto che l’ENI non deteneva direttamente – ma indirettamente – il 100% del capitale delle imprese operanti nella produzione di BR e di ESBR, occorre considerare che tale elemento non è di per sé idoneo a dimostrare che l’ENI e le imprese di cui trattasi non formassero un’entità economica unica.

103    In sesto luogo, quanto all’asserita violazione del principio di buona amministrazione, occorre ricordare che, tra le garanzie previste dall’ordinamento comunitario nei procedimenti amministrativi, figura in particolare detto principio, al quale si collega l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare, con cura ed imparzialità, tutti gli elementi utili del caso (sentenze del Tribunale 24 gennaio 1992, causa T‑44/90, La Cinq/Commissione, Racc. pag. II‑1, punto 86, e 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/Commissione, Racc. pag. II‑1881, punto 99). Orbene, tenuto conto in particolare degli elementi ripresi al punto 100 supra, nulla consente di ritenere che la Commissione non abbia esaminato con cura ed imparzialità gli elementi del caso di specie.

104    Da tutti questi elementi risulta che gli argomenti dedotti nell’ambito della presente parte del primo motivo non sono idonei a rimettere in discussione il fatto che l’ENI e le sue controllate potevano essere considerate come un’unica entità economica.

105    Alla luce di tali elementi, la terza parte del primo motivo dedotto dall’ENI deve essere respinta in quanto infondata.

d)     Sulla quarta parte, vertente sulla violazione del principio della responsabilità limitata delle società di capitali e dei principi comuni in materia di responsabilità

 Argomenti delle parti

106    Secondo l’ENI, l’operato della Commissione non è coerente con i principi comunemente accolti nel diritto societario comunitario e nazionale ed i criteri di attribuzione della responsabilità ivi afferenti, che confermano, ed anzi hanno quale principale presupposto, la natura del tutto personale della responsabilità. Il principio della responsabilità limitata condizionerebbe inevitabilmente i criteri di imputazione della responsabilità. Non sarebbe possibile un allargamento della cerchia dei responsabili di un’infrazione o di un illecito che, oltre alla società controllata agente, porti al coinvolgimento, a titolo derivato o autonomo, anche della sua controllante sulla base di una presunzione assoluta ricollegata alla struttura proprietaria del gruppo.

107    La Commissione avrebbe considerato, senza motivazione particolare, che tali principi non erano pertinenti nella fattispecie, in particolare in quanto riguarderebbero altri settori giuridici. L’ENI rinvia a tal riguardo al punto 396 della decisione impugnata. Orbene, l’interprete di una norma comunitaria non potrebbe ignorare arbitrariamente portata ed implicazioni di una nozione comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri sul presupposto che detto principio si collocherebbe formalmente in un ambito del diritto differente da quello cui si pretende di dare applicazione.

108    Quanto al principio della responsabilità limitata nel diritto comune delle società, esso implicherebbe che i soci rispondono delle obbligazioni sociali soltanto nei limiti del proprio conferimento, per cui per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. In altre parole, i soci – siano essi persone fisiche o, come anche nel caso di gruppi di società, persone giuridiche – non assumerebbero alcuna responsabilità verso l’esterno. Tale principio sarebbe stato condiviso nel diritto comunitario. L’ENI rinvia, a tal riguardo, a diverse direttive relative al diritto societario.

109    In tale quadro, in virtù del principio della responsabilità limitata, il mero controllo esercitato da parte della società holding, posta al vertice di tale gruppo, non determinerebbe necessariamente e (soprattutto) automaticamente il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di distinta soggettività giuridica. L’abbandono del principio della responsabilità limitata sarebbe ammesso solo nel caso in cui si produca un abuso della forma societaria, vale a dire in presenza di un insieme concordante di indizi che dimostrino l’esistenza di un unico centro di interessi, anche in senso giuridico. Tali principi sarebbero riconosciuti negli Stati Uniti, in Francia e nel Regno Unito, paesi per i quali l’ENI fornisce un’analisi della normativa applicabile in diritto societario. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’ENI rinvia a due pareri redatti da esperti. A suo avviso, tali pareri corroborerebbero gli argomenti esposti analiticamente nel primo motivo del ricorso. Tali pareri non costituirebbero lo sviluppo di un nuovo motivo o di un motivo che sia stato esposto solo sommariamente.

110    Oltre a tali principi, a suo avviso riconosciuti nel diritto degli Stati membri, l’ENI invoca anche le regole applicabili, in diritto della concorrenza, alle successioni di imprese. A tal riguardo, incomberebbe in linea di principio alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa interessata al momento in cui l’infrazione è stata commessa rispondere della medesima, pur se, alla data di adozione della decisione che ha constatato l’infrazione, la gestione dell’impresa fosse stata posta sotto la responsabilità di un’altra persona. L’ENI rinvia, in particolare, alle sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione (Racc. pag. I‑9693), e causa C‑297/98 P, SCA Holding/Commissione (Racc. pag. I‑10101), e del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑6/89, EniChem Anic/Commissione (Racc. pag. II‑1623). Tale criterio della continuità economica potrebbe entrare in gioco solo ed unicamente qualora la persona giuridica responsabile della gestione dell’impresa abbia cessato di esistere giuridicamente dopo avere commesso l’infrazione (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. al punto 72 supra). Anche in questo caso, il risultato di sanzionare un soggetto diverso dal gestore originario non avverrebbe affatto in via automatica e in considerazione del solo collegamento strutturale, ma risponderebbe a specifiche e motivate esigenze, vale a dire, segnatamente, la necessità di evitare configurazioni giuridiche artificiose che determinino un’elusione delle norme in materia di concorrenza. In altre parole, l’applicazione del criterio della continuità economica avrebbe una funzione del tutto eccezionale. Infatti, «concentrarsi sull’attività e non sulla persona che la svolge, ignorando il fatto che quest’ultima esiste ancora e può rispondere delle proprie azioni significa contravvenire ai principi di colpevolezza e della personalità della sanzione» (conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer relative alla sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 72 supra). L’ENI rinvia anche alle conclusioni dell’avvocato generale Kokott relative alla sentenza ETI e a., citata al punto 52 supra.

111    In conclusione, l’ENI considera che costruire o giustificare la violazione dell’art. 81 CE addebitatale sul solo elemento dell’assetto proprietario di controllo, presunzione assoluta e non contestabile, si traduce indebitamente in una fonte di una responsabilità oggettiva, ovvero senza colpa, ed indiretta in quanto riferita a fatti materialmente commessi da un altro soggetto. Tali ipotesi comportano una parziale compressione dei diritti della difesa, dovuta vuoi al rovesciamento dell’onere della prova, vuoi alla stessa limitazione della possibilità di fornire una prova liberatoria. Peraltro, la decisione impugnata sarebbe viziata a tal riguardo da un difetto di motivazione, in quanto la Commissione non indicherebbe le ragioni particolari che hanno condotto all’adozione di tale posizione.

112    La Commissione conclude per il rigetto della quarta parte del primo motivo. Essa sottolinea, in particolare, che gli argomenti dell’ENI sono già stati confutati al punto 396 della decisione impugnata.

 Giudizio del Tribunale

113    La quarta parte del primo motivo dedotto dall’ENI si basa sulla premessa che la sua responsabilità sarebbe stata accertata, dalla Commissione, per il semplice fatto della detenzione di una partecipazione di controllo, in applicazione di una presunzione assoluta e non contestabile. Ciò equivarrebbe, secondo l’ENI, a creare una fonte di responsabilità oggettiva, vale a dire senza colpa, e indiretta.

114    Orbene, per le ragioni esposte nell’ambito della seconda parte del presente motivo, dalla decisione impugnata deriva che la Commissione non ha posto una presunzione assoluta nella fattispecie. L’ENI poteva dunque contestare l’imputazione della responsabilità dell’infrazione che è stata constatata nei suoi confronti, cosa che essa ha peraltro fatto durante il procedimento amministrativo e nell’ambito della terza parte del presente motivo.

115    Ne risulta che la quarta parte del presente motivo dedotto dall’ENI si basa su una premessa erronea.

116    Inoltre, per le ragioni esposte ai punti 60-62 supra, la Commissione può imputare alla società controllante la responsabilità di un’infrazione commessa da una controllata, allorché detta filiale non determina in modo autonomo il suo comportamento sul mercato. Nella fattispecie, risulta dalle considerazioni esposte nell’ambito delle tre prime parti del presente motivo che la Commissione non ha commesso alcun errore a tal riguardo.

117    Infine, per quanto riguarda gli argomenti dedotti dall’ENI riguardanti le norme applicabili, in diritto della concorrenza, alle successioni di imprese, è giocoforza constatare che essi sono inconferenti, poiché la responsabilità dell’ENI, constatata nella fattispecie dalla Commissione, non risulta da una tale situazione. Supponendo che, con i suoi argomenti, l’ENI contesti di fatto la responsabilità che è stata accertata nei suoi confronti per l’infrazione commessa dall’EniChem SpA (divenuta Syndial), quando invece la Syndial non è interessata dalla decisione impugnata, occorre respingerli. Infatti, occorre sottolineare che, contrariamente a quanto sostiene l’ENI in sostanza, quando due enti costituiscano una medesima entità economica, il fatto che l’ente che ha commesso l’infrazione continui ad esistere non esclude, di per sé, che sia sanzionato l’ente cui essa ha ceduto le sue attività economiche (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 72 supra, punti 355-358, e sentenza Jungbunzlauer/Commissione, cit. al punto 46 supra, punto 132). In particolare, una tale configurazione della sanzione è ammissibile qualora tali enti siano stati sotto il controllo della stessa persona e, considerati gli stretti legami che li uniscono sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali (sentenza ETI e a., cit. al punto 52 supra, punto 49). Nella fattispecie è pacifico che, nel momento in cui hanno commesso le infrazioni, l’EniChem SpA e la Polimeri erano detenute integralmente, direttamente o indirettamente, dalla medesima società, vale a dire l’ENI. Ciò premesso, il principio della responsabilità personale non si oppone a che la sanzione per l’infrazione commessa inizialmente dall’EniChem SpA e poi continuata dalla Polimeri sia inflitta interamente a quest’ultima, come è stato stabilito ai punti 369-373 della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza ETI e a., cit. al punto 52 supra, punto 51). Di conseguenza, considerato che l’ENI era la società controllante dell’EniChem SpA e della Polimeri, nulla ostava a che il comportamento illecito di tali imprese, incluso quello risultante dalla cessione di attività dell’EniChem SpA (divenuta Syndial), venisse imputato all’ENI, mentre la Syndial non è stata oggetto della decisione impugnata.

118    Alla luce di tali elementi, devono essere respinti la quarta parte del primo motivo dedotto dall’ENI, in quanto infondata e, di conseguenza, il primo motivo nel suo complesso.

2.     Sul secondo motivo, dedotto in via subordinata, relativo alla determinazione illegittima dell’importo dell’ammenda

119    In subordine, l’ENI sostiene che si dovrebbe pervenire all’annullamento o, quantomeno, ad una significativa riduzione dell’ammenda inflittale in solido con la Polimeri poiché il suo importo è stato determinato in modo illegittimo.

120    Il secondo motivo dell’ENI si scompone in tre parti. Nell’ambito della prima parte, essa contesta l’applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente. Nell’ambito della seconda parte, essa considera che la Commissione è incorsa in un errore ritenendo sussistente la circostanza aggravante della recidiva nella fattispecie. Nell’ambito della terza parte, essa fa valere che la Commissione avrebbe dovuto tener conto dell’esclusione della Syndial procedendo al calcolo dell’ammenda.

a)     Sulla prima parte, relativa all’applicazione erronea di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente

 Argomenti delle parti

121    In primo luogo, l’ENI sottolinea che, determinando l’importo di partenza dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha tenuto conto esclusivamente della natura dell’infrazione, facendo totalmente astrazione dai suoi effetti reali sul mercato. L’ENI rinvia, a tal riguardo, al punto 462 della decisione impugnata.

122    Tuttavia, le parti del procedimento amministrativo avrebbero fornito elementi che consentono di valutare gli effetti dell’infrazione. In particolare, la Syndial avrebbe fatto valere che le imprese partecipanti al cartello presunto detenevano solo una quota limitata della totalità del mercato della BR (30%) e dell’ESBR (40%).

123    In tali circostanze apparirebbe difficile ritenere che un eventuale accordo tra le imprese interessate avrebbe potuto avere una significativa incidenza sui prezzi. La Commissione avrebbe trascurato tali informazioni nell’ambito della seconda comunicazione degli addebiti. Anche ad ammettere che gli orientamenti autorizzino la Commissione di non misurare gli effetti dell’infrazione, questi ultimi avrebbero dovuto essere considerati ai fini di un corretto apprezzamento della gravità dell’infrazione, come del resto riconosciuto dalla prassi decisionale della Commissione e dalla giurisprudenza (sentenza Degussa/Commissione, cit. al punto 72 supra).

124    In secondo luogo, per tener conto della capacità degli autori dell’infrazione di pregiudicare effettivamente il buon funzionamento della concorrenza e garantire un «sufficiente effetto deterrente» all’ammenda, la Commissione si baserebbe sulle vendite di BR e di ESBR delle imprese di cui trattasi (punto 467 della decisione impugnata) nonché sul fatturato globale dei gruppi cui appartengono dette imprese (punto 474 della decisione impugnata).

125    Il risultato nei confronti dell’ENI sarebbe manifestamente contrario al principio di proporzionalità. Infatti, nella decisione impugnata, verrebbe completamente omessa ogni considerazione dell’elemento soggettivo, vale a dire della consapevolezza del carattere anticoncorrenziale delle condotte contestate o, ancora, delle dimensioni e dell’importanza del mercato interessato il cui valore complessivo nel SEE è stato di EUR 550 milioni nel 2001 (punto 467 della decisione impugnata).

126    Inoltre, l’importanza del fatturato globale del gruppo ENI sarebbe sovrastimata, cosa che sarebbe vietata dalla giurisprudenza del Tribunale. L’ENI rinvia, a tal riguardo, alla sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione (Racc. pag. II‑2473). Pur riconoscendo la rilevanza del criterio del fatturato di gruppo ai fini della deterrenza, il Tribunale avrebbe precisato tuttavia che, onde evitare risultati del tutto meccanicistici e sproporzionati, si deve necessariamente tener conto del «peso specifico» dell’impresa nel mercato in cui si è verificata l’infrazione. Orbene, come sarebbe già stato dimostrato nell’ambito del primo motivo, circostanza che sarebbe confermata dalla decisione impugnata, le attività del settore chimico non hanno mai fatto parte dell’attività principale dell’ENI. Pertanto, prendendo in considerazione il mero fatturato globale del gruppo e applicando di conseguenza un fattore moltiplicatore pari a 2 all’importo dell’ammenda a fini di deterrenza, la Commissione avrebbe inflitto all’ENI un’ammenda eccessiva e sproporzionata.

127    La Commissione conclude per il rigetto della prima parte del secondo motivo. Essa considera, in sostanza, di non aver commesso errori nella determinazione della gravità dell’infrazione.

 Giudizio del Tribunale

128    In via preliminare, occorre rilevare che, nonostante il titolo della prima parte del secondo motivo, l’ENI contesta, di fatto, la determinazione della gravità dell’infrazione, come essa ha confermato in udienza.

129    La gravità delle infrazioni dev’essere stabilita in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze specifiche della causa, il suo contesto e la portata deterrente delle ammende, e ciò senza che sia stato stabilito un elenco vincolante o esaustivo di criteri che devono obbligatoriamente essere presi in considerazione (sentenze 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 465, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 43 supra, punto 241).

130    Tra i fattori che possono entrare nella valutazione della gravità dell’infrazione figurano il comportamento di ciascuna impresa, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere le pratiche concordate, il vantaggio che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi della Comunità (v. sentenza della Corte 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑829, punto 130 e la giurisprudenza citata).

131    Peraltro, gli orientamenti enunciano, in particolare, che, per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Le infrazioni sono pertanto classificate in tre categorie, in modo tale da distinguere tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi (punto 1 A, primo e secondo comma, degli orientamenti).

132    Inoltre, gli orientamenti prevedono che, a parte la natura propria dell’infrazione, il suo concreto impatto sul mercato e l’estensione geografica di quest’ultimo, è necessario prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente deterrente (punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti).

133    Il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81 CE costituisce uno dei mezzi di cui dispone la Commissione per potere svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario, compito che comprende il dovere di perseguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese. Ne consegue che, per valutare la gravità di un’infrazione, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve curare che la sua azione abbia carattere deterrente, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 105‑106; sentenze del Tribunale ABB Asea Brown Boveri/Commissione, cit. al punto 103 supra, punto 166, e 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 169).

134    Occorre quindi che l’importo dell’ammenda venga modulato al fine di tenere conto dell’impatto voluto sull’impresa cui l’ammenda stessa viene inflitta, affinché questa non venga resa trascurabile o, al contrario, eccessiva, in considerazione, segnatamente, della capacità finanziaria dell’impresa in questione, conformemente agli obblighi derivanti, da un lato, dalla necessità di assicurare l’effettività dell’ammenda e, dall’altro, dal rispetto del principio di proporzionalità. Un’impresa di grandi dimensioni, dotata di considerevoli risorse finanziarie rispetto a quelle degli altri membri di un’intesa, è in grado di svincolare più facilmente i fondi necessari al pagamento della sua ammenda, il che giustifica, in vista di un effetto deterrente sufficiente della stessa, che si infligga, in particolare mediante applicazione di un fattore moltiplicatore, un’ammenda proporzionalmente più elevata rispetto a quella che sanziona la stessa infrazione commessa da un’impresa che non dispone di pari risorse (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punti 241 e 243; v., altresì, sentenze ABB Asea Brown Boveri/Commissione, cit. al punto 103 supra, punto 170, e 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 235).

135    Occorre aggiungere che la Corte ha sottolineato, in particolare, la pertinenza della presa in considerazione del fatturato globale di ciascuna impresa che faccia parte di un’intesa al fine di determinare l’importo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I‑9991, punti 85 e 86, e 14 luglio 2005, causa C‑57/02 P, Acerinox/Commissione, Racc. pag. I‑6689, punti 74 e 75; v., altresì, sentenza della Corte 29 giugno 2006, causa C‑289/04 P, Showa Denko/Commissione, Racc. pag. I‑5859, punto 17).

136     Infine, occorre sottolineare che lo scopo deterrente che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza da parte delle imprese delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità o del SEE. Ne consegue che il fattore deterrente, che può essere incluso nel calcolo dell’ammenda, è valutato tenendo conto di molteplici elementi, e non solo della situazione particolare dell’impresa interessata. Tale principio si applica segnatamente allorquando la Commissione ha determinato il «fattore moltiplicatore di dissuasione» applicato all’ammenda inflitta alla ricorrente (v., in tal senso, sentenza Showa Denko/Commissione, cit. al punto 135 supra, punti 23 e 24).

137    Nella fattispecie la Commissione, nella decisione impugnata, ha ritenuto, innanzitutto, che le imprese interessate avessero concluso accordi consistenti nel concordare obiettivi di prezzo nonché nella ripartizione del mercato e che avessero scambiato informazioni commerciali riservate. Secondo la Commissione, tali pratiche sono, per loro natura, infrazioni molto gravi (punto 461 e art. 1 del dispositivo della decisione impugnata). La Commissione ha poi osservato che non era possibile misurare l’impatto effettivo dell’intesa sul mercato SEE. La Commissione ha altresì aggiunto che, anche se non era possibile misurare l’impatto effettivo dell’intesa, gli accordi di cui trattasi erano stati attuati dalle imprese interessate e avevano avuto, di conseguenza, un impatto sul mercato. La Commissione ha concluso precisando che essa non avrebbe tenuto conto dell’impatto sul mercato ai fini della determinazione dell’importo delle ammende (punto 462 della decisione impugnata). Infine, la Commissione ha rilevato che l’infrazione copriva tutto il territorio SEE (punto 463 della decisione impugnata). Per tali motivi, la Commissione ha ritenuto che l’infrazione di cui trattasi potesse essere qualificata come molto grave (punto 464 della decisione impugnata).

138    In seguito a ciò, la Commissione ha effettuato un trattamento differenziato tra le imprese interessate sulla base del loro fatturato globale relativo alla BR e all’ESBR combinate per il 2001, ultimo anno completo dell’infrazione tranne per la Shell (1998) e per la Stomil (1999). La Commissione ha classificato le imprese di cui trattasi in cinque categorie e ha situato l’EniChem nella prima (EUR 55 milioni di importo di partenza dell’ammenda) (punti 465-473 della decisione impugnata).

139    La Commissione ha inoltre osservato che, nella categoria delle infrazioni molto gravi, la scala delle possibili ammende consentiva che queste venissero fissate a un livello tale da garantire un sufficiente effetto deterrente, tenuto conto delle dimensioni di ciascuna impresa. Basandosi sui fatturati mondiali delle imprese interessate, realizzati nel corso del 2005, la Commissione ha rilevato che esistevano notevoli differenze di dimensioni tra la Kaučuk (EUR 2,718 miliardi di fatturato) e la Stomil (EUR 38 milioni di fatturato), da una parte, e le altre imprese interessate, dall’altra, in particolare la Bayer (EUR 27,383 miliardi di fatturato), ovvero la prima delle grandi imprese interessate dalla decisione impugnata. Su tale base e viste le circostanze della fattispecie, la Commissione ha ritenuto che non dovesse essere imposto alcun fattore moltiplicatore a finalità deterrente alla Kaučuk e alla Stomil e, quanto alla Bayer, che un fattore moltiplicatore di 1,5 fosse adeguato. Infine, sempre su tale base e tenuto conto delle circostanze della fattispecie, la Commissione ha imposto fattori moltiplicatori di 1,75 alla Dow (EUR 37,221 miliardi di fatturato), di 2 alla EniChem (EUR 73,738 miliardi di fatturato) e di 3 alla Shell (EUR 246,549 miliardi di fatturato) (punto 474 della decisione impugnata).

140    In primo luogo, occorre constatare che, nell’ambito del suo ricorso, l’ENI non rimette in discussione l’oggetto illecito dell’intesa, come ripreso nella decisione impugnata, in particolare all’art. 1 del dispositivo. A tal riguardo, risulta dalla descrizione delle infrazioni molto gravi negli orientamenti che accordi o pratiche concertate che si riferiscono segnatamente, come nella fattispecie, alla fissazione di obiettivi di prezzi o alla ripartizione di quote di mercato possono essere qualificati come infrazioni «molti gravi» sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato (v., in tal senso, sentenza della Corte 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punto 75; v. anche sentenze del Tribunale 27 luglio 2005, cause riunite da T‑49/02 a T‑51/02, Brasserie nationale e a./Commissione, Racc. pag. II‑3033, punto 178, e 18 giugno 2008, causa T‑410/03, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑881, punto 345). Parimenti, secondo una costante giurisprudenza, le intese orizzontali in materia di prezzi fanno parte delle infrazioni più gravi del diritto comunitario della concorrenza e possono quindi essere qualificate, di per sé, come molto gravi (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 103, e Groupe Danone/Commissione, punto 133 supra, punto 147).

141    La Commissione non è dunque incorsa in errore ritenendo che le pratiche di cui trattasi costituissero, per loro natura, infrazioni molto gravi.

142    In secondo luogo, per quanto riguarda la sentenza Degussa/Commissione, citata al punto 72 supra, invocata dall’ENI, basta constatare che, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, la Commissione aveva misurato l’impatto effettivo dell’intesa, cosa che essa non ha fatto nel caso di specie. L’ENI non può dunque basarsi sulla sentenza Degussa/Commissione, citata al punto 72 supra, per contestare la legittimità della decisione impugnata a tal riguardo.

143    In terzo luogo, per quanto riguarda il riferimento fatto dall’ENI, nelle sue memorie, alle dimensioni del mercato rilevante, nel territorio SEE, per l’anno 2001 (vale a dire EUR 550 milioni), o alla quota di mercato detenuta dalle imprese interessate, occorre considerare che, sebbene tali elementi possano essere presi in considerazione per accertare la gravità dell’infrazione, occorre tener conto di ulteriori elementi pertinenti del caso di specie (v., in tal senso, sentenza Dalmine/Commissione, cit. al punto 130 supra, punto 132, e sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3255, punto 102). Nella fattispecie, occorre tener conto della circostanza che l’infrazione di cui trattasi è intrinsecamente molto grave e che essa copre l’insieme del territorio SEE. In particolare, occorre sottolineare che le imprese interessate hanno convenuto di fissare obiettivi di prezzo, di ripartire i clienti mediante accordi di non aggressione e di scambiare informazioni riservate relative ai prezzi, ai concorrenti e ai clienti. Peraltro, va ricordato che, a titolo del punto 1 A degli orientamenti, l’importo dell’ammenda che può essere inflitta per un’infrazione molto grave è superiore a EUR 20 milioni. Occorre poi rilevare che le vendite dell’EniChem per i prodotti di cui trattasi, nel 2001, si elevavano ad un importo di oltre EUR 164 milioni (punto 468 della decisione impugnata). Infine, l’ENI non contesta che l’importo dell’ammenda che la riguarda non oltrepassa il tetto del 10% del suo fatturato totale realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente, previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, limite questo diretto ad evitare che l’impresa interessata si trovi nell’impossibilità di pagare l’ammenda di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 133 supra, punto 119). Tenendo conto di tali circostanze, la determinazione di un importo di partenza dell’ammenda di EUR 55 milioni, prima dell’applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente, non sembra sproporzionata.

144    In quarto luogo, quanto alla circostanza dedotta secondo cui le imprese di cui trattasi avrebbero detenuto solo una quota limitata dell’insieme del mercato di BR e di ESBR, l’ENI ha precisato, in udienza, che la sua valutazione si basava su un mercato che includeva tali due prodotti nonché la gomma naturale, e quest’ultimo prodotto non è considerato dalla decisione impugnata. Ciò premesso, gli argomenti dell’ENI a tal proposito sono inconferenti.

145    In quinto luogo, per quanto riguarda l’assenza di «consapevolezza del carattere anticoncorrenziale», risulta dalla decisione impugnata e dalla gravità dell’infrazione che l’EniChem SpA aveva necessariamente consapevolezza del carattere anticoncorrenziale del suo comportamento. Peraltro, per le ragioni esposte nell’ambito del primo motivo, la Commissione ha correttamente imputato la responsabilità dell’infrazione di cui trattasi all’ENI. Di conseguenza, gli argomenti dedotti da quest’ultima devono essere respinti.

146    In sesto luogo, quanto all’applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente, occorre sottolineare che il nesso tra, da una parte, le dimensioni e le risorse globali delle imprese e, dall’altra, la necessità di garantire l’effetto deterrente dell’ammenda non può essere contestato. Occorre infatti ricordare che un’impresa di grandi dimensioni, dotata di considerevoli risorse finanziarie rispetto a quelle degli altri membri di un’intesa, è in grado di svincolare più facilmente i fondi necessari al pagamento della sua ammenda (sentenza BASF/Commissione, cit. al punto 134 supra, punto 235).

147    Tale questione è diversa da quella della classificazione delle imprese nell’ambito della categoria delle infrazioni molto gravi, classificazione che può richiedere la presa in considerazione del peso specifico delle imprese sul mercato rilevante (v., in tal senso, sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. al punto 126 supra, punti 88 e 89). Di conseguenza, non vi sono elementi che consentano di ritenere che la Commissione sia incorsa in un errore decidendo di tener conto delle dimensioni e delle risorse globali delle imprese nell’ambito dell’applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente.

148    Occorre peraltro rilevare che, nella fattispecie, la Commissione ha altresì tenuto conto del peso specifico delle imprese interessate sul mercato rilevante quando ha usato l’importo delle vendite delle imprese per la BR e l’ESBR durante l’ultimo anno dell’infrazione, per ponderare l’importo dell’ammenda nell’ambito della categoria delle infrazioni molto gravi.

149    Alla luce di tali elementi, la prima parte del secondo motivo dedotto dall’ENI deve essere respinta in quanto infondata.

b)     Sulla seconda parte, relativa all’aumento ingiustificato dell’importo di base dell’ammenda per recidiva

 Argomenti delle parti

–       Argomenti dell’ENI

150    Rinviando ai punti 487 e 488 della decisione impugnata, l’ENI riconosce che le condotte collusive sanzionate dalla decisione della Commissione 23 aprile 1986, 86/398/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (IV/31.149 – Polipropilene) (GU L 230, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Polipropilene»), e dalla decisione della Commissione 27 luglio 1994, 94/599/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81 CE] (IV/31.865 – PVC) (GU L 239, pag. 14; in prosieguo: la «decisione PVC II»), cui si riferisce la Commissione per fondare la recidiva, potrebbero dirsi assimilabili a quelle che sono state dedotte nella decisione impugnata.

151    Tuttavia, la condizione soggettiva della recidiva – vale a dire il fatto che le infrazioni di cui trattasi sono state commesse dalla medesima impresa - non sarebbe soddisfatta.

152    A tal riguardo, in primo luogo, l’ENI rileva che le attività interessate riguardavano prodotti e mercati diversi da quelli oggetto della decisione impugnata ed erano state cedute già in un momento antecedente all’adozione delle decisioni Polipropilene e PVC II.

153    In secondo luogo, le persone giuridiche sanzionate dalle decisioni Polipropilene e PVC II sarebbero diverse dall’ENI. L’impresa del gruppo destinataria di dette decisioni sarebbe l’EniChem SpA, divenuta Syndial, o Anic SpA. Orbene, tali imprese non sarebbero destinatarie della decisione impugnata. L’ENI non sarebbe stata coinvolta in alcuna delle decisioni cui si riferisce la Commissione, né come partecipante attivo dell’intesa sanzionata, né in ragione del controllo proprietario esercitato su dette società del gruppo.

154    In terzo luogo, l’approccio seguito dalla Commissione risulterebbe incoerente con il principio della responsabilità limitata e della sua natura personale, in quanto comporta la contestazione di un’aggravante alla controllante, anche se la responsabilità di detta società non sarebbe stata accertata nelle decisioni anteriori. Ciò sarebbe ancor più grave se si considera che siamo nell’ambito dell’esercizio di poteri sanzionatori limitati dall’osservanza del principio di legalità, il cui rispetto deve garantire alle imprese una piena prevedibilità circa le sanzioni che la Commissione è autorizzata ad irrogare in base all’art. 81 CE. Del resto, le espressioni vaghe e indefinite di «violazioni analoghe» e di «stessa impresa», impiegate dalla Commissione, rivelerebbero un difetto di motivazione della decisione impugnata a tal riguardo.

155    In quarto luogo, l’ENI contesta il potere della Commissione di ritenere sussistente la circostanza aggravante della recidiva, indipendentemente dal tempo trascorso tra le infrazioni. Essa rinvia, a tal riguardo, alla sentenza della Corte 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione (Racc. pag. I‑1331), e alle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro relative a tale sentenza (Racc. pag. I‑1337). Essa aggiunge che, a differenza di detta sentenza, in cui la Corte ha rilevato che la Commissione aveva debitamente preso in considerazione gli elementi pertinenti, un’analisi di questo tipo non è compiuta nella fattispecie, né vi è sul punto un’adeguata motivazione.

–       Argomenti della Commissione

156    In via preliminare, la Commissione rileva che la questione della recidiva era stata sollevata nella seconda comunicazione degli addebiti, senza che l’ENI avesse formulato contestazioni né nella risposta, né in occasione dell’audizione.

157    Nel merito, in primo luogo, la Commissione osserva che, dal momento che il diritto comunitario della concorrenza ammette che varie società appartenenti a uno stesso gruppo costituiscono un’entità economica, essa avrebbe potuto, se avesse voluto, imporre l’ammenda alla stessa società controllante anche nelle decisioni precedenti. Di conseguenza, la Commissione ritiene di aver potuto considerare a giusto titolo nella decisione impugnata che la stessa impresa era già stata condannata per il medesimo tipo di infrazione (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071). Essa sottolinea che, in detta sentenza, il Tribunale ha approvato l’applicazione di una maggiorazione dell’ammenda per recidiva ad un’altra società del gruppo, precisamente ad una società «sorella» di quella precedentemente sanzionata. Inoltre, la nozione di recidiva, tenuto conto dell’obiettivo perseguito, non implicherebbe necessariamente che sia stata in precedenza inflitta una sanzione pecuniaria, ma solo che sia stata constatata una precedente infrazione (sentenza 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 133 supra). Di conseguenza, a nulla rileverebbe che la Commissione non abbia irrogato un’ammenda all’ENI in quanto tale nei casi del PVC II e del polipropilene. Sarebbe invece decisivo il fatto che le società destinatarie delle precedenti decisioni fossero interamente controllate dall’ENI. D’altronde, non si potrebbe ammettere che le società del gruppo, rientranti nella stessa impresa, sfuggano alla recidiva solo a motivo della particolare struttura organizzativa del gruppo stesso.

158    In secondo luogo, sarebbe irrilevante che le precedenti infrazioni abbiano riguardato settori distinti e che questi siano stati frattanto ceduti ad altre persone giuridiche. La maggiorazione dell’ammenda per recidiva si fonderebbe sulla circostanza che la precedente constatazione di un’infrazione non sia stata sufficiente a impedire la reiterazione di un comportamento illecito da parte dell’impresa. Peraltro, la giurisprudenza avrebbe, inoltre, precisato che, in via di principio, la responsabilità per l’infrazione incombeva alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa interessata al momento in cui l’infrazione è stata commessa, pur se, alla data di adozione della decisione che ha constatato l’infrazione, la gestione dell’impresa fosse stata posta sotto la responsabilità di un’altra persona (sentenza Cascades/Commissione, cit. al punto 110 supra). Tali criteri dovrebbero applicarsi in materia di recidiva.

159    In terzo luogo, la Corte, nella sentenza 8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, citata al punto 155 supra, avrebbe ribadito che un’eventuale recidiva rientrava fra gli elementi da prendere in considerazione in sede di analisi della gravità dell’infrazione, ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e che, in tale contesto, la ricorrente era sempre stata in grado di prevedere le conseguenze giuridiche dei suoi comportamenti. Lo stesso varrebbe in relazione all’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, che costituisce il fondamento normativo della decisione impugnata. L’applicazione di una maggiorazione per recidiva non infrangerebbe pertanto il principio di legalità.

160    In quarto luogo, sarebbe ormai pacifico che la constatazione e la valutazione delle caratteristiche specifiche di una recidiva rientrano nel potere discrezionale della Commissione, la quale non può essere vincolata ad un eventuale termine di prescrizione per una constatazione del genere (sentenza 8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 155 supra). Comunque, le infrazioni relative al polipropilene ed al PVC sarebbero state accertate con decisioni adottate rispettivamente nel 1986 e nel 1994. Sarebbe perfettamente logico, naturale e adeguato tener conto di tali precedenti a proposito di una nuova infrazione commessa a partire dal 1996. Il termine trascorso tra le due infrazioni non sarebbe rilevante di per sé (sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347) Quanto all’intervallo temporale tra le precedenti decisioni e l’inizio della nuova violazione, esso sarebbe pari o addirittura inferiore, nella specie, a quelli già presi in considerazione dalla Corte e dal Tribunale nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze Michelin/Commissione, citata al punto 157 supra, e 8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, citata al punto 155 supra. La Commissione aggiunge che, conformemente a quest’ultima sentenza, essa «può» prendere in considerazione il tempo trascorso dalla precedente infrazione tra i fattori che confermano una tendenza a violare le regole della concorrenza. Nella fattispecie, la Commissione avrebbe proprio esaminato tale questione al punto 489 della decisione impugnata e avrebbe concluso nel senso che occorreva prendere in considerazione la recidiva.

 Giudizio del Tribunale

161     Il punto 2 degli orientamenti menziona, quale esempio di circostanze aggravanti, la «recidiva della/delle medesima/e impresa/e per un’infrazione del medesimo tipo».

162     La nozione di recidiva, come è intesa in un certo numero di ordinamenti giuridici nazionali, implica che una persona abbia commesso nuove infrazioni dopo essere stata punita per violazioni analoghe (sentenze Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 160 supra, punto 617, e Michelin/Commissione, cit. al punto 157 supra, punto 284).

163    Un’eventuale recidiva rientra fra gli elementi da prendere in considerazione in sede di analisi della gravità dell’infrazione di cui trattasi (sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 72 supra, punto 91, e 8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 155 supra, punto 26).

164    Nel caso di specie la Commissione, nella decisione impugnata, rileva che l’EniChem era già stata destinataria di decisioni della Commissione relative ad attività di cartello (segnatamente le decisioni Polipropilene e PVC II). Tale circostanza dimostrerebbe che le prime ammende non l’hanno indotta a cambiare comportamento. La Commissione ne fa derivare che tale recidiva costituisce una circostanza aggravante che giustifica un aumento del 50% dell’importo di base dell’ammenda (punto 487 della decisione impugnata).

165    L’ENI fa valere, in particolare, il fatto di non essere stata interessata dalle decisioni precedenti menzionate dalla Commissione nella decisione impugnata.

166    Da quest’ultima risulta che la Commissione ha considerato, nella fattispecie, la nozione di «impresa», di cui all’art. 81 CE, ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante della recidiva, come peraltro confermato dalla Commissione nelle sue memorie. Più precisamente, la Commissione ha ritenuto, in sostanza, che la medesima impresa avesse reiterato un comportamento illecito, e ciò anche se non vi era identità tra le persone giuridiche coinvolte nelle infrazioni. Occorre ricordare al riguardo che la nozione di impresa ai sensi dell’art. 81 CE dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce ad un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche (v. la giurisprudenza citata al punto 60 supra). In tale contesto, occorre considerare che, quando la Commissione intende invocare la nozione di «impresa», ai sensi dell’art. 81 CE, essa deve addurre elementi precisi e circostanziati a sostegno della sua asserzione.

167    Orbene, in primo luogo, occorre rilevare che la Commissione, al punto 487 della decisione impugnata, si riferisce all’«EniChem» in modo generale, e tale denominazione è stata definita, al punto 36 della decisione impugnata, come «qualsiasi società appartenente a ENI SpA». Occorre pertanto rilevare come la denominazione utilizzata dalla Commissione nella decisione impugnata, nell’ambito dell’accertamento della recidiva, sia relativamente imprecisa, se non altro con riferimento alle persone giuridiche che farebbero parte dell’entità economica destinataria delle decisioni Polipropilene e PVC II. Inoltre, anche volendo supporre che tali persone giuridiche siano quelle indicate nei punti 26‑35 della decisione impugnata, occorre rilevare come la società destinataria della decisione Polipropilene, ovvero l’Anic, non rientri fra le persone giuridiche indicate nei punti precitati. Peraltro, i punti 26‑35 della decisione impugnata mirano essenzialmente a descrivere l’evoluzione delle società detenute dall’ENI durante il periodo dell’infrazione, la quale è posteriore rispetto all’adozione delle decisioni Polipropilene e PVC II. Tali punti non sono quindi idonei a fornire un’informazione sufficientemente circostanziata e precisa delle società detenute dall’ENI prima dell’infrazione sanzionata dalla decisione impugnata.

168    In secondo luogo, la Commissione, nella nota a piè di pagina n. 262 della decisione impugnata, rinvia alle decisioni Polipropilene e PVC II, indicando che l’«ENI» sarebbe stata interessata dalle suddette decisioni. Occorre rilevare innanzitutto che la denominazione «ENI» non è oggetto, nella decisione impugnata, di una convenzione di scrittura, a differenza di quanto è avvenuto per la denominazione «EniChem». In particolare, risulta dai punti 26‑36 della decisione impugnata che, allorquando la Commissione si riferisce alla società ENI quale società controllante delle altre società, essa utilizza la denominazione «ENI SpA».

169    In terzo luogo, anche supponendo che, mediante l’utilizzo della denominazione «ENI» nella nota a piè di pagina n. 262 della decisione impugnata, la Commissione si riferisca alle società rientranti nell’«impresa» ai sensi dell’art. 81 CE, costituita dalle persone giuridiche controllate dall’ENI, occorre rilevare che la Commissione non ha apportato alcun elemento circostanziato e preciso al riguardo nell’ambito della decisione impugnata. La Commissione si limita a rilevare, nelle sue memorie presentate al Tribunale, che le società destinatarie delle decisioni Polipropilene e PVC II erano «interamente» controllate dall’ENI. Orbene, tale affermazione, oltre a non essere corroborata da alcun elemento di prova, non è stata ripresa nella decisione impugnata.

170    In quarto luogo, occorre rilevare che, nel caso di specie, l’evoluzione della struttura e del controllo delle società di cui trattasi è particolarmente complesso. Più precisamente, la decisione Polipropilene è stata adottata nei confronti dell’Anic, senza che la denominazione ENI figurasse in detta decisione. Quanto alla decisione PVC II, la Commissione indica, al punto 8 di quest’ultima, che l’Anic sarebbe «ora» l’EniChem SpA e, al punto 43, il fatto che tale evoluzione sarebbe dovuta a «varie ristrutturazioni», senza altra specificazione. Inoltre, di nuovo, la denominazione «ENI» non figura in tale decisione. Occorre aggiungere che, nel caso di cui trattasi, le attività dell’ENI per i prodotti di cui trattasi erano inizialmente svolte dall’EniChem Elastomeri (prima che quest’ultima si fondesse con l’EniChem SpA nel 1997, ovvero dopo l’adozione della decisione PVC II) e che le attività dell’EniChem SpA sono state successivamente trasferite alla Polimeri, circostanza che ha reso più complessa l’evoluzione strutturale delle imprese di cui trattasi. Date tali premesse, la Commissione era tenuta ad essere particolarmente precisa e a fornire tutti gli elementi circostanziati necessari per concludere che le società cui si riferisce la decisione impugnata e le società cui si riferiscono le decisioni Polipropilene e PVC II formavano un’unica «impresa» ai sensi dell’art. 81 CE.

171    Tenuto conto di tutti questi elementi, il Tribunale considera che la Commissione, nella decisione impugnata, non ha fornito elementi sufficientemente circostanziati e precisi che permettano di concludere che un’unica «impresa», ai sensi dell’art. 81 CE, abbia reiterato un comportamento illecito. Ciò premesso, occorre accogliere la seconda parte del secondo motivo e, di conseguenza, l’art. 2, lett. c), della decisione impugnata deve essere annullato nella parte in cui fissa l’importo dell’ammenda inflitta all’ENI in EUR 272,25 milioni.

c)     Sulla terza parte, relativa ad un errore nel calcolo dell’ammenda, derivante dall’esclusione della Syndial

 Argomenti delle parti

172    L’ENI ricorda che la Commissione, dopo aver ricompreso, in un primo tempo, tra i soggetti responsabili dell’infrazione anche la Syndial, indirizzandole sia la prima che la seconda comunicazione degli addebiti, ha tuttavia ritenuto di escluderla dai destinatari della decisione impugnata. La Commissione avrebbe motivato tale scelta con il fatto che vi era «un notevole rischio che, al momento in cui [fosse] indirizzata e eseguita contro l’impresa una decisione che le infligga un’ammenda nel caso di specie, Syndial non posse[desse] più attività sufficienti per pagare l’ammenda» (punto 372 della decisione impugnata).

173    Orbene, il criterio impiegato dalla Commissione per giungere all’esclusione della Syndial non sarebbe affatto coerente con i principi relativi alle successioni/trasferimenti di imprese.

174    Rinviando agli argomenti esposti nell’ambito del primo motivo, l’ENI fa valere che, qualora in esito a mutamenti societari l’impresa ritenuta responsabile continui comunque ad esistere, la stessa continuerà a mantenere su di sé la responsabilità discendente dall’eventuale condotta collusiva accertata nei suoi confronti. L’unica eccezione a questo principio sarebbe rappresentata dall’ipotesi in cui si verifichi un’estinzione della persona giuridica. Nel caso di specie ciò non sarebbe avvenuto, posto che – come rilevato anche nella decisione impugnata – la Syndial avrebbe continuato ad esistere e non si sarebbe trovata in stato di liquidazione. L’ENI aggiunge che, nell’attribuire in capo alla Polimeri la responsabilità per i comportamenti asseritamente anticompetitivi posti in essere da altre società del gruppo anteriormente alla ripresa da parte della Polimeri del comparto chimico, la Commissione non ha tenuto conto che, fino alla fine del 200l, quest’ultima società era una joint venture sottoposta al controllo congiunto dell’ENI e dell’Union Carbide.

175    L’esclusione ingiustificata della Syndial avrebbe conseguenze sul livello dell’ammenda. L’ENI rileva, a tal proposito, che il fatturato globale realizzato dalla Syndial nell’anno precedente all’adozione della decisione impugnata è stato pari a EUR 860 milioni, e che in caso di responsabilità solidale l’importo totale dell’ammenda non può eccedere il 10% del fatturato della «smallest undertaking [impresa più piccola]». Essa rinvia, su quest’ultimo punto, alla dottrina. Mentre la Syndial verrebbe presa in considerazione ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante della recidiva, essa verrebbe ingiustificatamente messa da parte ai fini della riconduzione dell’ammontare della sanzione entro la soglia del 10% fissata dalla normativa. Ne risulterebbe che la determinazione dell’importo totale dell’ammenda inflitta all’ENI viola l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, e sembrerebbe essere il frutto di un evidente sviamento di potere.

176    La Commissione conclude per il rigetto della terza parte del secondo motivo. Essa sostiene, in particolare, che l’esclusione della Syndial non ha alcuna incidenza sull’importo dell’ammenda inflitta all’ENI.

 Giudizio del Tribunale

177    La circostanza secondo che più società siano solidalmente responsabili per il pagamento di un’ammenda per il motivo che costituiscono un’impresa ai sensi dell’art. 81 CE non implica, quanto all’applicazione del limite previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, che l’obbligazione di ciascuna si limiti al 10% del fatturato da essa realizzato durante l’ultimo esercizio sociale. Infatti, il limite del 10%, ai sensi di tale disposizione, dev’essere calcolato sulla base del fatturato complessivo di tutte le società che costituiscono l’entità economica unica che agisce in qualità di impresa ai sensi dell’art. 81 CE, poiché solo il fatturato complessivo delle società che la compongono può costituire un’indicazione delle dimensioni e del potere economico dell’impresa di cui trattasi (sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punti 528 e 529, e 12 dicembre 2007, Akzo Nobel e a./Commissione, punto 95 supra, punto 90).

178    Di conseguenza, anche supponendo che la Syndial fosse stata destinataria della decisione impugnata, l’importo dell’ammenda per il cui pagamento l’ENI sarebbe stata ritenuta responsabile in solido non avrebbe dovuto essere limitato al 10% del fatturato della Syndial. Ne risulta che gli argomenti dell’ENI sono inconferenti.

179    Inoltre, supponendo che, con i suoi argomenti, l’ENI contesti di fatto la responsabilità accertata nei suoi confronti per l’infrazione commessa dall’EniChem SpA (divenuta Syndial), anche se la Syndial non è stata interessata dalla decisione impugnata, occorre respingerli per i medesimi motivi esposti al punto 117 supra. La circostanza che, fino alla fine del 2001, la Polimeri sia stata un’impresa comune controllata congiuntamente dall’ENI e dall’Union Carbide non può modificare tale conclusione, poiché è pacifico che la cessione di attività tra l’EniChem SpA (divenuta Syndial) e la Polimeri è avvenuta il 1° gennaio 2002.

180    Alla luce di tali elementi, la terza parte del secondo motivo dedotto dall’ENI deve essere respinta in quanto infondata.

181    Risulta dall’insieme di tali motivi che occorre accogliere la seconda parte del secondo motivo e, di conseguenza, annullare l’art. 2, lett. c), della decisione impugnata, nella parte in cui fissa l’importo dell’ammenda inflitta all’ENI in EUR 272,25 milioni, e respingere le restanti conclusioni per l’annullamento parziale della decisione impugnata.

B –  Sulle conclusioni dirette alla riforma dell’importo dell’ammenda

182    Per i motivi esposti ai precedenti punti 166‑171, occorre che il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, ai sensi dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, riformi senz’altro l’art. 2, lett. c), della decisione impugnata, poiché la Commissione, per giungere alla determinazione dell’importo di EUR 275,25 milioni, ha ritenuto a torto la sussistenza, nei confronti dell’ENI, della circostanza aggravante della recidiva.

183    Nelle circostanze del caso di specie, al fine di fissare correttamente l’importo dell’ammenda, occorre mantenere inalterato, quanto al resto, il metodo di calcolo applicato dalla Commissione.

184    L’importo finale dell’ammenda inflitta all’ENI è quindi fissato in EUR 181,5 milioni.

 Sulle spese

185    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In applicazione del n. 3, primo comma, della medesima disposizione, il Tribunale può ripartire le spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi. Nelle circostanze della fattispecie, si deve stabilire che ciascuna parte sopporti le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 2, lett. c), della decisione della Commissione 29 novembre 2006, C (2006) 5700 def., relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/F/38.638 – Gomma butadiene e gomma stirene e butadiene del tipo emulsione), è annullato nella parte in cui fissa l’importo dell’ammenda inflitta all’ENI in EUR 272,25 milioni.

2)      L’importo dell’ammenda inflitta all’ENI è fissato in EUR 181,5 milioni.

3)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

4)      Ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

Dehousse

Wiszniewska-Białecka

Wahl

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2011.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A – Sulle conclusioni dirette all’annullamento parziale della decisione impugnata

1. Sul primo motivo, vertente sull’imputazione illegittima dell’infrazione all’ENI

a) Sulla prima parte, vertente sull’applicazione errata delle condizioni di imputabilità dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sulla seconda parte, vertente sull’applicazione erronea di una responsabilità oggettiva

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c) Sulla terza parte, relativa ad un errore nell’analisi degli elementi dedotti dall’ENI

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

d) Sulla quarta parte, vertente sulla violazione del principio della responsabilità limitata delle società di capitali e dei principi comuni in materia di responsabilità

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

2. Sul secondo motivo, dedotto in via subordinata, relativo alla determinazione illegittima dell’importo dell’ammenda

a) Sulla prima parte, relativa all’applicazione erronea di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sulla seconda parte, relativa all’aumento ingiustificato dell’importo di base dell’ammenda per recidiva

Argomenti delle parti

– Argomenti dell’ENI

– Argomenti della Commissione

Giudizio del Tribunale

c) Sulla terza parte, relativa ad un errore nel calcolo dell’ammenda, derivante dall’esclusione della Syndial

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

B – Sulle conclusioni dirette alla riforma dell’importo dell’ammenda

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.