Language of document : ECLI:EU:C:2009:101

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

19 febbraio 2009 (*)

«Accordo di associazione CEE-Turchia – Libera prestazione dei servizi – Obbligo di disporre di un visto per l’ammissione nel territorio di uno Stato membro»

Nel procedimento C‑228/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Oberverwaltungsgericht Berlin‑Brandenburg (Germania), con decisione 30 marzo 2006, pervenuta in cancelleria il 19 maggio 2006, nella causa

Mehmet Soysal,

Ibrahim Savatli

contro

Repubblica federale di Germania,

con l’intervento di:

Bundesagentur für Arbeit,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, A. Tizzano, A. Borg Barthet e J.-J. Kasel (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra K. Sztranc‑Sławiczek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 ottobre 2008,

considerate le osservazioni presentate:

–        per i sigg. Soysal e Savatli, dall’avv. R. Gutmann, Rechtsanwalt;

–        per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

–        per il governo danese, dal sig. R. Holdgaard, in qualità di agente;

–        per il governo greco, dal sig. G. Karipsiadis e dalla sig.ra T. Papadopoulou, in qualità di agenti;

–        per il governo sloveno, dalla sig.ra T. Mihelič, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. M. Wilderspin e G. Braun, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 e concluso, approvato e ratificato a nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo addizionale»).

2        La questione è sorta nell’ambito di una controversia tra i sigg. Soysal e Savatli, cittadini turchi, da una parte, e la Repubblica federale di Germania, dall’altra, riguardo all’obbligo, per gli autotrasportatori turchi, di conseguire un visto per effettuare prestazioni di servizi in forma di trasporti internazionali di merci su strada.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

 L’associazione CEE-Turchia

3        In conformità al suo art. 2, n. 1, l’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, che è stato firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e che è stato concluso, approvato e ratificato a nome di quest’ultima dalla decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, n. 217, pag. 3685; in prosieguo: l’«accordo di associazione»), ha lo scopo di promuovere il rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, incluso il settore della manodopera, mediante la realizzazione graduale della libera circolazione dei lavoratori (art. 12 dell’accordo di associazione), nonché mediante l’eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento (art. 13 del detto accordo) e alla libera prestazione dei servizi (art. 14 dello stesso accordo), allo scopo di elevare il tenore di vita del popolo turco e di facilitare ulteriormente l’adesione della Repubblica di Turchia alla Comunità (quarto ‘considerando’ e art. 28 del detto accordo).

4        A tal fine, l’accordo di associazione comporta una fase preparatoria, che consente alla Repubblica di Turchia di rafforzare la sua economia con l’aiuto della Comunità (art. 3 di tale accordo), una fase transitoria, nel corso della quale vengono garantiti l’attuazione progressiva di un’unione doganale e il ravvicinamento delle politiche economiche (art. 4 del detto accordo), nonché una fase definitiva, che si basa sull’unione doganale e implica il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche delle parti contraenti (art. 5 dello stesso accordo).

5        L’art. 6 dell’accordo di associazione dispone quanto segue:

«Per assicurare l’applicazione ed il progressivo sviluppo del regime di Associazione, le Parti Contraenti si riuniscono in un Consiglio di Associazione che agisce nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall’Accordo».

6        Ai sensi dell’art. 8 dell’accordo di associazione, inserito nel titolo II di quest’ultimo, intitolato «Attuazione della fase transitoria»:

«Per realizzare gli obiettivi enunciati nell’articolo 4, il Consiglio di Associazione stabilisce, prima che abbia inizio la fase transitoria e secondo la procedura prevista dall’articolo 1 del Protocollo provvisorio, le condizioni, le modalità e il ritmo di applicazione delle disposizioni riguardanti i settori contemplati nel Trattato istitutivo della Comunità che dovranno essere presi in considerazione, e in particolare quelli menzionati nel presente Titolo, nonché ogni clausola di salvaguardia che risultasse utile».

7        Gli artt. 12‑14 dell’accordo di associazione figurano anch’essi nel suo titolo II, al capitolo 3, intitolato «Altre disposizioni di carattere economico».

8        L’art. 12 prevede quanto segue:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli [39 CE], [40 CE] e [41 CE] per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori».

9        L’art. 13 così dispone:

«Le Parti Contraenti convengono d’ispirarsi agli articoli da [43 CE] a [46 CE] incluso e all’articolo [48 CE] per eliminare tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento».

10      L’art. 14 recita:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli [45 CE], [46 CE] e da [48 CE] a [54 CE] incluso per eliminare tra loro le restrizioni alla libera prestazione dei servizi».

11      Secondo il dettato dell’art. 22, n. 1, dell’accordo di associazione:

«Per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo e nei casi da questo previsti, il Consiglio di Associazione dispone di un potere di decisione. Ognuna delle due parti è tenuta a prendere le misure necessarie all’esecuzione delle decisioni adottate (…)».

12      Il protocollo addizionale che, in conformità al suo art. 62, costituisce parte integrante dell’accordo di associazione, stabilisce, ai sensi del suo art. 1, le condizioni, le modalità e i ritmi di realizzazione della fase transitoria prevista dall’art. 4 di detto accordo.

13      Il protocollo addizionale comprende un titolo II, rubricato «Circolazione delle persone e dei servizi», il cui capitolo I riguarda «[i] lavoratori» e il cui capitolo II è dedicato al «diritto di stabilimento, servizi e trasporti».

14      L’art. 36 del protocollo addizionale, che appartiene al detto capitolo I, prevede che la libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia sia realizzata gradualmente, conformemente ai principi enunciati all’art. 12 dell’accordo di associazione, tra la fine del dodicesimo e del ventiduesimo anno dall’entrata in vigore di detto accordo, e che il consiglio di associazione stabilisca le modalità necessarie a tale scopo.

15      L’art. 41 del protocollo addizionale, che figura nel capitolo II del detto titolo II, è così formulato:

«1. Le Parti Contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

2. Conformemente ai principi enunciati agli articoli 13 e 14 dell’Accordo di Associazione, il consiglio di Associazione stabilisce il ritmo e le modalità secondo le quali le Parti Contraenti sopprimono progressivamente tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.

Il Consiglio di Associazione stabilisce tale ritmo e tali modalità per le diverse categorie di attività, tenendo conto delle disposizioni analoghe già adottate dalla Comunità in questi settori, nonché della particolare situazione economica e sociale della Turchia. Sarà accordata priorità alle attività che contribuiscono particolarmente allo sviluppo della produzione e degli scambi».

16      È pacifico che, finora, il consiglio di associazione, istituito dall’accordo di associazione e composto, da un lato, da membri dei governi degli Stati membri, del Consiglio dell’Unione europea nonché della Commissione delle Comunità europee e, dall’altro, da membri del governo turco, non ha adottato alcuna decisione sulla base dell’art. 41, n. 2, del protocollo addizionale.

17      L’art. 59 del protocollo addizionale, che figura nel titolo IV di quest’ultimo, intitolato «Disposizioni generali e finali», è redatto come segue:

«Nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato che istituisce la Comunità».

 Il regolamento (CE) n. 539/2001

18      A termini dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CE) del Consiglio 15 marzo 2001, n. 539, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU L 81, pag. 1):

«I cittadini dei paesi terzi che figurano nell’elenco di cui all’allegato I devono essere in possesso di visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri».

19      Da detto allegato I risulta che la Repubblica di Turchia è tra gli Stati che figurano nell’elenco contenuto in tale allegato.

20      Il primo ‘considerando’ del regolamento n. 539/2001 ricorda che l’art. 61 CE annovera la formazione dell’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri nonché quello dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo «fra le misure di accompagnamento direttamente collegate alla libera circolazione delle persone in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

 La normativa nazionale

21      Dalla decisione di rinvio risulta che il 1° gennaio 1973, data in cui il protocollo addizionale è entrato in vigore nei confronti della Repubblica federale di Germania, i cittadini turchi che, come i ricorrenti nella causa principale, esercitavano in detto Stato membro un’attività di durata non superiore a due mesi nel settore del trasporto internazionale di merci su strada, non dovevano presentare alcuna autorizzazione per entrare nel territorio tedesco. Tali cittadini turchi, infatti, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, n. 2, della Verordnung zur Durchführung des Ausländergesetzes (regolamento di attuazione della legge sugli stranieri), nella versione pubblicata il 12 marzo 1969 (BGBl. 1969 I, pag. 207), avevano il diritto di ingresso in Germania senza visto.

22      Detti cittadini sono stati assoggettati all’obbligo generale di visto solo con l’entrata in vigore dell’undicesimo regolamento che modifica il regolamento di attuazione della legge sugli stranieri, del 1° luglio 1980 (BGBl. 1980 I, pag. 782).

23      Attualmente, l’obbligo per cittadini turchi quali i ricorrenti nella causa principale di possedere un visto per poter entrare in Germania risulta dagli artt. 4, primo comma, e 6 dell’Aufenthaltsgesetz (legge in materia di soggiorno degli stranieri), del 30 luglio 2004 (BGBl 2004 I, pag. 1950; in prosieguo: l’«Aufenthaltsgesetz»), che ha sostituito l’Ausländergesetz (legge sugli stranieri) ed è entrato in vigore il 1° gennaio 2005, nonché dal combinato disposto dell’art. 1, primo comma, e dell’allegato I del regolamento n. 539/2001.

24      Rubricato «Necessità di un titolo di soggiorno», l’art. 4, primo comma, dell’Aufenthaltsgesetz dispone quanto segue:

         «1)   Per entrare e soggiornare nel territorio della Repubblica federale, gli stranieri sono tenuti a presentare un titolo di soggiorno, salvo che sia diversamente stabilito dal diritto dell’Unione europea o da una disposizione regolamentare o salvo che non sussista un diritto di soggiorno in base all’accordo 12 settembre 1963 che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (...). I titoli di soggiorno vengono rilasciati nella forma di:

1.      visto (art. 6),

2.      permesso di soggiorno (art. 7) o

3.      permesso di stabilimento (art. 9)».

25      L’art. 6 dell’Aufenthaltsgesetz, intitolato «Visto», prevede quanto segue:

         «1)   Può essere rilasciato a uno straniero:

1.      un visto Schengen per il transito o

2.      un visto Schengen per soggiorni di una durata non superiore a tre mesi entro sei mesi decorrenti dal giorno del suo primo ingresso (soggiorni di breve durata)

qualora ricorrano i presupposti per il rilascio sanciti dalla convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen e delle relative disposizioni di attuazione. In casi eccezionali, il visto Schengen può essere concesso sulla base del diritto internazionale o per ragioni umanitarie o, ancora, a tutela di interessi politici della Repubblica federale di Germania, anche quando non risultino soddisfatti i presupposti per il rilascio previsti dalla convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen. In tale ipotesi, la validità del visto deve essere limitata al territorio della Repubblica federale di Germania.

         2)     Il visto per soggiorni di breve durata può essere inoltre prolungato per vari soggiorni, per una durata non superiore a cinque anni, fermo restando che il periodo di soggiorno non può essere superiore ogni volta a tre mesi calcolati entro sei mesi dal giorno del primo ingresso.

         3)     Un visto Schengen concesso ai sensi del primo comma, punto 1, in casi particolari può essere prolungato fino a una complessiva durata del soggiorno di tre mesi entro sei mesi dal giorno del primo ingresso. Tale regola vige anche quando il visto sia stato rilasciato da una rappresentanza diplomatica o consolare competente di un altro Stato aderente all’accordo di Schengen. Il visto può essere prolungato per ulteriori tre mesi entro detto termine di sei mesi solo alle condizioni di cui al primo comma, punto 2.

         4)     Per soggiorni di lunga durata è obbligatorio un visto per il territorio federale (visto nazionale), rilasciato prima dell’ingresso. Il rilascio è regolato dalle disposizioni vigenti relative al permesso di soggiorno e di stabilimento (…)».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

26      Dalla decisione di rinvio risulta che i sigg. Soysal e Savatli sono cittadini turchi residenti in Turchia, dipendenti di una società turca di trasporto internazionale di merci quali conducenti di automezzi pesanti appartenenti ad una società tedesca e immatricolati in Germania.

27      Fino al 2000, la Repubblica federale di Germania ha rilasciato in più occasioni ai ricorrenti nella causa principale, a fronte di specifiche richieste in tal senso, visti di ingresso in qualità di conducenti di automezzi pesanti immatricolati in Turchia e al fine di effettuare prestazioni di servizi in Germania.

28      Dopo aver accertato che gli interessati conducevano automezzi pesanti immatricolati in Germania, il consolato generale di Germania a Istanbul ha respinto ulteriori richieste di visto dagli stessi presentate nel corso del 2001 e del 2002.

29      I sigg. Soysal e Savatli hanno presentato ricorso avverso le decisioni di diniego del visto dinanzi Verwaltungsgericht Berlin, chiedendo di dichiarare che, nella loro qualità di autotrasportatori che effettuano prestazioni di servizi in forma di trasporto internazionale di merci, sono legittimati ad entrare in Germania senza possedere un apposito visto. Essi si fondano, al riguardo, sulla clausola di «standstill» di cui all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, che vieterebbe di applicare loro condizioni di accesso al territorio tedesco meno favorevoli di quelle applicabili alla data di entrata in vigore di detto protocollo nei confronti della Repubblica federale di Germania, vale a dire il 1° gennaio 1973. Orbene, all’epoca non esisteva un obbligo di visto per l’attività da essi esercitata, dato che tale obbligo è stato introdotto solo nel 1980. Detta clausola prevarrebbe peraltro sull’obbligo di visto prescritto dal regolamento n. 539/2001, che è stato adottato posteriormente a tale data.

30      Avendo il Verwaltungsgericht Berlin respinto il ricorso con sentenza 3 luglio 2002, i sigg. Soysal e Savatli hanno proposto appello dinanzi all’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg, a parere del quale la soluzione della controversia dipende dall’interpretazione dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

31      A tal riguardo, il giudice del rinvio osserva che i ricorrenti nella causa principale sono dipendenti, in qualità di autotrasportatori, di un’impresa avente sede in Turchia, che effettua legittimamente prestazioni di servizi in Germania. In particolare, essi non eserciterebbero la loro attività per la società tedesca a nome della quale gli automezzi pesanti utilizzati per effettuare i trasporti di merci sono immatricolati nel contesto della messa a disposizione dei lavoratori, per la quale, nel diritto tedesco, occorre un’autorizzazione, atteso che il potere direttivo nei confronti di tali dipendenti riguardo all’esercizio del loro lavoro spetta, essenzialmente, anche durante il loro periodo di lavoro al servizio di detta società, alla società turca da cui dipendono.

32      Inoltre, dalla sentenza 21 ottobre 2003, cause riunite C‑317/01 e C‑369/01, Abatay e a. (Racc. pag. I‑12301, punto 106), risulta che lavoratori turchi quali i ricorrenti nella causa principale possono legittimamente far valere, per l’attività esercitata, l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

33      Infine, quando è entrato in vigore detto protocollo, lavoratori siffatti, che esercitano le loro attività in Germania nel settore del trasporto internazionale di merci su strada, avrebbero avuto il diritto di entrare nel territorio di tale Stato membro senza visto, dato che un obbligo in tal senso è stato introdotto nel diritto tedesco solo a far data dal 1° luglio 1980.

34      Tuttavia, non sussisterebbe, sinora, una giurisprudenza della Corte che risponda alla questione se l’instaurazione, da parte della normativa nazionale relativa agli stranieri o da parte della normativa comunitaria, di un obbligo di visto sia da annoverare tra le «nuove restrizioni» alla libera prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

35      Da una parte, infatti, se è pur vero che i punti 69 e 70 della sentenza 11 maggio 2000, causa C‑37/98, Savas (Racc. pag. I‑2927), sono tali da corroborare l’interpretazione secondo cui l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale comporta un divieto globale di aggravio che si applica anche al diritto di ammissione e di soggiorno, sicché è sufficiente determinare se la misura di cui è causa abbia per oggetto o per effetto di sottoporre la situazione del cittadino turco in materia di libertà di stabilimento o di libera prestazione dei servizi a condizioni più restrittive di quelle che erano applicabili al momento dell’entrata in vigore del protocollo addizionale (v., nello stesso senso, sentenza Abatay e a., citata supra, punto 116), a tale interpretazione si sarebbe obiettato che detta disposizione non può comportare un blocco del potere normativo generale degli Stati membri idoneo ad influire in qualsivoglia modo sulla situazione dei cittadini turchi.

36      D’altra parte, anche se il tenore letterale dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, che prende in considerazione le «[p]arti [c]ontraenti», avvalora la tesi secondo cui la clausola di «standstill» prevista da tale disposizione non si applica solo alle norme degli Stati membri, ma anche a quelle che discendono dal diritto comunitario derivato, la Corte non si sarebbe ancora pronunciata al riguardo.

37      Ciò premesso, l’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale (...) debba essere interpretato nel senso che costituisce una restrizione della libera prestazione di servizi il fatto che un cittadino turco, operante alle dipendenze di un’impresa turca nel settore del trasporto internazionale in qualità di conducente di un automezzo pesante immatricolato in Germania, debba essere provvisto di un visto Schengen per poter entrare nel territorio tedesco ai sensi degli artt. 4, n. 1, e 6 dell’Aufenthaltsgesetz (...) e dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 539/2001, laddove al momento dell’entrata in vigore del protocollo addizionale poteva entrare in Germania senza essere soggetto all’obbligo del visto.

2)      Qualora si dia una risposta affermativa al quesito sub 1), se l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale debba essere interpretato nel senso che il cittadino turco di cui al suddetto precedente quesito non è soggetto ad alcun obbligo di visto per entrare in Germania».

 Sulla competenza della Corte

38      Il governo tedesco ritiene che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale sia «irricevibile», in base al rilievo che la Corte è stata adita da un giudice che non figura tra quelli avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’art. 68, n. 1, CE, anche se le questioni sollevate sarebbero attinenti alla validità di un regolamento del Consiglio adottato in base al titolo IV della terza parte del Trattato CE.

39      Tale argomento non può essere tuttavia accolto.

40      Infatti, come risulta dallo stesso tenore letterale delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, esse vertono, in modo esplicito ed esclusivo, sull’interpretazione della disciplina dell’associazione CEE-Turchia e, più particolarmente, dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale.

41      Pertanto, la Corte è adita in modo valido ai sensi dell’art. 234 CE (v. sentenza 20 settembre 1990, causa C‑192/89, Sevince, Racc. pag. I‑3461, punti 8‑11 e giurisprudenza citata), sicché la circostanza che il giudice del rinvio non figuri tra quelli previsti dall’art. 68, n. 1, CE, che deroga a detto art. 234 CE, è irrilevante.

42      Alla luce di tali considerazioni, la Corte è competente a pronunciarsi sulle questioni poste dall’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg.

 Sulle questioni pregiudiziali

43      Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale debba essere interpretato nel senso che esso osta all’introduzione, a far data dall’entrata in vigore di detto protocollo, del requisito di un visto per consentire a cittadini turchi come i ricorrenti nella causa principale di entrare nel territorio di uno Stato membro al fine di effettuarvi prestazioni di servizi per conto di un’impresa avente sede in Turchia.

44      Occorre ricordare, in limine, che i ricorrenti nella causa principale sono autotrasportatori turchi, residenti in Turchia e dipendenti di una società di trasporti internazionali stabilita nel medesimo Stato, che effettuano a intervalli regolari trasporti di merci tra quest’ultimo e la Germania, mediante automezzi pesanti immatricolati in Germania. A tal riguardo, il giudice del rinvio ha rilevato che sia tali operazioni di trasporto sia le attività di conducenti esercitate nel loro contesto sono perfettamente lecite.

45      Per determinare l’esatta portata dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, in una situazione come quella oggetto della causa principale, occorre ricordare, anzitutto, come da costante giurisprudenza risulti che tale disposizione ha effetto diretto. Essa enuncia, infatti, in termini chiari, precisi e incondizionati, una clausola non equivoca di «standstill», comportante un obbligo assunto dalle parti contraenti che si risolve giuridicamente in una semplice astensione (v. sentenze Savas, cit., punti 46‑54 e 71, secondo trattino; Abatay e a., cit., punti 58, 59 e 117, primo trattino, nonché 20 settembre 2007, causa C‑16/05, Tum e Dari, Racc. pag. I‑7415, punto 46). Conseguentemente, i diritti che detta disposizione conferisce ai cittadini turchi ai quali si applica possono essere fatti valere dinanzi ai giudici degli Stati membri (v., segnatamente, citate sentenze Savas, punto 54, nonché Tum e Dari, punto 46).

46      Occorre poi precisare che l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale può essere validamente invocato da autotrasportatori turchi come i ricorrenti nella causa principale, dipendenti di un’impresa stabilita in Turchia, che svolgano legittimamente prestazioni di servizi in uno Stato membro, in base al rilievo che i dipendenti del prestatore di servizi sono indispensabili per consentire a quest’ultimo di fornire le sue prestazioni (v. sentenza Abatay e a., cit., punti 106 e 117, quinto trattino).

47      Infine, secondo costante giurisprudenza, anche se la clausola di «standstill» di cui all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale non è di per sé tale da conferire ai cittadini turchi, sul semplice fondamento della normativa comunitaria, il diritto di stabilimento e, correlativamente, il diritto di soggiorno, né il diritto alla libera prestazione dei servizi, e nemmeno il diritto di entrare nel territorio di uno Stato membro (v. citate sentenze Savas, punti 64 e 71, terzo trattino; Abatay e a., punto 62, nonché Tum e Dari, punto 52), ciò nondimeno detta clausola osta in termini generali all’introduzione di qualsiasi nuova misura che abbia per oggetto o per effetto di sottoporre l’esercizio, da parte di un cittadino turco, di tali libertà economiche sul territorio nazionale a condizioni più restrittive di quelle che gli erano applicabili al momento dell’entrata in vigore del protocollo addizionale nei confronti dello Stato membro interessato (v. citate sentenze Savas, punti 69 e 71, quarto trattino; Abatay e a., punti 66 e 117, secondo trattino, nonché Tum e Dari, punti 49 e 53).

48      La Corte ha così dichiarato che l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale osta all’introduzione, nella normativa di uno Stato membro, dell’obbligo, non richiesto al momento dell’entrata in vigore di detto protocollo nei confronti di quest’ultimo, di un permesso di lavoro ai fini della fornitura di prestazioni di servizi nel territorio di tale Stato da parte di un’impresa con sede in Turchia e dei suoi lavoratori, che sono cittadini turchi (sentenza Abatay e a., cit., punto 117, sesto trattino).

49      Del pari, la Corte ha ritenuto che detta disposizione osti anche all’adozione, a far data dall’entrata in vigore del protocollo addizionale, di qualsiasi nuova restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento e riguardante le condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di ammissione nel territorio dello Stato membro interessato dei cittadini turchi che intendono esercitarvi un’attività professionale come lavoratori indipendenti (sentenza Tum e Dari, cit., punto 69).

50      In tali casi, si trattava della questione se normative nazionali che introducevano, per i cittadini turchi, ai fini dell’accesso al territorio di uno Stato membro o ad un’attività professionale, condizioni sostanziali e/o procedurali più restrittive di quelle che erano applicabili nei loro confronti, nello Stato membro interessato, al momento dell’entrata in vigore del protocollo addizionale, potessero essere considerate come nuove restrizioni ai sensi dell’art. 41, n. 1, di detto protocollo.

51      Orbene, lo stesso ragionamento può applicarsi nella causa principale. Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che, all’entrata in vigore del protocollo addizionale nei confronti della Repubblica federale di Germania, vale a dire il 1° gennaio 1973, cittadini turchi come i ricorrenti nella causa principale, che svolgevano attività di prestazione di servizi in Germania nel settore del trasporto internazionale di merci su strada per conto di un’impresa turca, avevano il diritto di entrare a tal fine sul territorio di detto Stato membro senza essere tenuti ad ottenere previamente un visto.

52      Solo a decorrere dal 1° luglio 1980 la normativa tedesca relativa agli stranieri ha assoggettato i cittadini originari di paesi terzi, ivi compresi i Turchi, che intendessero svolgere tali attività in Germania, al requisito del rilascio di un visto. Attualmente, l’obbligo dei cittadini turchi come i ricorrenti nella causa principale di possedere un visto per far ingresso nel territorio tedesco è previsto dall’Aufenthaltsgesetz, che ha sostituito la legge sugli stranieri con effetto a far data dal 1° gennaio 2005.

53      Certo, l’Aufenthaltsgesetz altro non è se non l’attuazione, nello Stato membro interessato, di un atto di diritto comunitario derivato, nel caso di specie il regolamento n. 539/2001, che, come emerge dal suo primo ‘considerando’, costituisce una misura di accompagnamento direttamente collegata alla libera circolazione delle persone in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia e adottata sul fondamento dell’art. 62, punto 2, lett. b), i), CE.

54      È anche vero, come ha rilevato la Commissione all’udienza, che i requisiti applicabili a un «visto Schengen», come quello previsto dagli artt. 4, n. 1, e 6, n. 2, dell’Aufenthaltsgesetz, presentano taluni vantaggi rispetto ai requisiti applicabili in Germania, alla data in cui il protocollo addizionale è entrato in vigore in tale Stato membro, nei confronti dei cittadini turchi nella situazione dei ricorrenti nella causa principale. Infatti, mentre tali cittadini godevano esclusivamente di un diritto di accesso limitato al solo territorio tedesco, un visto rilasciato ai sensi dell’art. 6, n. 2, dell’Aufenthaltsgesetz consente loro di circolare liberamente sul territorio di tutti gli Stati parti dell’Accordo firmato a Schengen (Lussemburgo) il 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 13), accordo che si è concretizzato con la firma, a Schengen, il 19 giugno 1990, di una convenzione di applicazione (GU 2000, L 239, pag. 19), che prevede misure di cooperazione destinate a garantire, a compensazione della soppressione delle frontiere interne, la tutela dell’insieme dei territori delle parti contraenti.

55      Ciò nondimeno, riguardo a cittadini turchi, come i ricorrenti nella causa principale, che intendano avvalersi, sul territorio di uno Stato membro, del diritto alla libera circolazione dei servizi ai sensi dell’accordo di associazione, una normativa nazionale che subordini tale attività al rilascio di un visto, che non potrebbe invece imporsi ai cittadini comunitari, è tale da ostacolare l’esercizio effettivo di detta libertà in ragione, in particolare, degli oneri amministrativi e finanziari supplementari e ripetitivi connessi al conseguimento di una siffatta autorizzazione, la cui validità è limitata nel tempo. Inoltre, nel caso in cui la domanda di visto sia respinta, come nella causa principale, una normativa di tal genere impedisce l’esercizio di detta libertà.

56      Ne consegue che una siffatta normativa, che non sussisteva al 1° gennaio 1973, ha quantomeno l’effetto di subordinare l’esercizio, da parte di cittadini turchi quali i ricorrenti nella causa principale, delle libertà economiche garantite dall’accordo di associazione a requisiti più restrittivi di quelli che erano applicabili nello Stato membro interessato quando è entrato in vigore il protocollo addizionale.

57      Alla luce di quanto sopra, occorre concludere che una normativa come quella oggetto della causa principale costituisce una «nuova restrizione», ai sensi dell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, al diritto dei cittadini turchi residenti in Turchia di fornire liberamente prestazioni di servizi in Germania.

58      Tale conclusione non può essere messa in discussione dalla circostanza che la normativa attualmente vigente in Germania costituisce la mera attuazione di una disposizione comunitaria di diritto derivato.

59      Al riguardo, è sufficiente ricordare che la preminenza degli accordi internazionali conclusi dalla Comunità sugli atti di diritto comunitario derivato impone di interpretare questi ultimi in maniera per quanto possibile conforme ai detti accordi (v. sentenza 10 settembre 1996, causa C‑61/94, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3989, punto 52).

60      Inoltre, non può accogliersi l’obiezione, parimenti sollevata dal giudice del rinvio, secondo cui l’applicazione della clausola di «standstill» prevista dall’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale comporterebbe un blocco del potere normativo generale devoluto al legislatore.

61      Infatti, l’adozione di norme applicabili allo stesso modo nei confronti dei cittadini turchi e dei cittadini comunitari non si pone in contrasto con tale clausola. Del resto, se norme siffatte si applicassero nei confronti dei cittadini comunitari, ma non dei cittadini turchi, questi ultimi sarebbero posti in una situazione più favorevole di quella dei primi, il che sarebbe manifestamente in contrasto con l’esigenza posta dall’art. 59 del protocollo addizionale, secondo cui la Repubblica di Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato.

62      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sollevate dichiarando che l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale deve essere interpretato nel senso che esso osta all’introduzione, a far data dall’entrata in vigore di detto protocollo, del requisito di un visto per consentire a cittadini turchi, come i ricorrenti nella causa principale, di entrare nel territorio di uno Stato membro al fine di effettuarvi prestazioni di servizi per conto di un’impresa avente sede in Turchia, allorché, a tale data, detto visto non era richiesto.

 Sulle spese

63      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 e concluso, approvato e ratificato a nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760, deve essere interpretato nel senso che esso osta all’introduzione, a far data dall’entrata in vigore di detto protocollo, del requisito di un visto per consentire a cittadini turchi, come i ricorrenti nella causa principale, di entrare nel territorio di uno Stato membro al fine di effettuarvi prestazioni di servizi per conto di un’impresa avente sede in Turchia, allorché, a tale data, detto visto non era richiesto.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.