Language of document : ECLI:EU:C:2012:488

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 19 luglio 2012 (1)

Causa C‑123/11

A Oy

[domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dal Korkein hallinto‑oikeus (Finlandia)]

«Normativa tributaria – Libertà di stabilimento – Direttiva 2009/133/CE – Normativa nazionale relativa all’imposta sui redditi – Fusione di due società aventi sede in Stati membri diversi – Deducibilità delle perdite della società incorporata nello Stato membro della società incorporante»






I –    Introduzione

1.        I nomi Marks & Spencer indicano, in realtà, una catena di grandi magazzini. Tuttavia, nella giurisprudenza della Corte in materia di diritto tributario, essi rappresentano l’esplicito riconoscimento del fatto che la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri può giustificare alcune restrizioni alla libertà di stabilimento (2). Nella giurisprudenza e nella dottrina degli Stati membri, invece, i nomi Marks & Spencer sembrano essere anche sinonimo di caos e sconforto (3).

2.        Questo dipende da una frase di circa cento parole, formulata dalla Corte nella sentenza che ha preso il nome da Marks & Spencer e che descrive le circostanze in cui gli Stati membri possono essere obbligati, in via eccezionale, a tener conto delle perdite di società controllate non residenti ai fini dell’imposizione della controllante residente sul loro territorio. Malgrado così tante parole, non vi è alcuna chiarezza circa la portata di questa eccezione e sul fatto se essa, anzi – alla luce della successiva giurisprudenza della Corte –, sia ancora valida.

3.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame potrebbe ora offrire l’occasione per rimediare alla situazione di confusione venutasi a creare a causa di detta eccezione. Il contribuente finlandese, parte del procedimento principale, si richiama ivi infatti all’eccezione formulata dalla Corte. Questi intende attuare una fusione con una controllata svedese e, in futuro, intende servirsi in Finlandia del riporto delle perdite accumulate da quest’ultima in Svezia, il che, tuttavia, gli è precluso dalla normativa fiscale finlandese.

II – Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

1.      La libertà di stabilimento

4.        L’articolo 49 TFUE disciplina la libertà di stabilimento nei seguenti termini:

«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali».

5.        L’articolo 54 TFUE amplia l’ambito di applicazione della libertà di stabilimento nel modo seguente:

«Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

(...)».

2.      La direttiva in materia di fusioni

6.        La direttiva 2009/133/CE (4) (in prosieguo: la «direttiva in materia di fusioni») disciplina le conseguenze fiscali di determinate concentrazioni transfrontaliere di società. Il secondo e il terzo considerando illustrano lo scopo della direttiva in materia di fusioni, per quanto qui di rilievo, come segue:

«(2)      Le fusioni (...) che interessano società di Stati membri diversi possono essere necessari[e] per porre in essere nella Comunità condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e per garantire in tal modo il buon funzionamento di tale mercato interno. Tali operazioni non dovrebbero essere intralciate da restrizioni, svantaggi e distorsioni particolari derivanti, in particolare, dalle disposizioni fiscali degli Stati membri. (...)

(3)      Disposizioni di ordine fiscale penalizzano attualmente tali operazioni rispetto a quelle che interessano società di uno stesso Stato membro. È indispensabile eliminare tale penalizzazione».

7.        Il quarto considerando descrive la strada imboccata a tal fine con la direttiva in materia di fusioni:

«Non è possibile conseguire tale scopo mediante un’estensione a livello comunitario dei regimi interni in vigore negli Stati membri, dato che le differenze esistenti fra questi regimi possono provocare distorsioni. Soltanto un regime fiscale comune può costituire una soluzione soddisfacente in proposito».

8.        Con specifico riguardo al trattamento delle perdite fiscali delle società, il nono considerando prevede quanto segue:

«È opportuno altresì definire il regime fiscale da applicare ad alcuni accantonamenti, riserve o perdite della società conferente e disciplinare i problemi fiscali che si pongono allorché una delle due società detiene una partecipazione nel capitale dell’altra».

9.        Infine, dal quattordicesimo considerando si evince quanto segue:

«Uno degli scopi della presente direttiva è eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno, quali la duplice imposizione. Nella misura in cui tale obiettivo non è pienamente raggiunto con le disposizioni della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure necessarie al raggiungimento di tale scopo».

10.      L’ambito di applicazione della direttiva in materia di fusioni comprende, ai sensi dell’articolo 1, lettera a), le «(...) operazioni di fusioni (...) riguardanti società di due o più Stati membri». L’articolo 2, lettera a), punto iii), della direttiva, inter alia, definisce come «fusione» l’operazione mediante la quale «una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la totalità del proprio patrimonio, attivamente e passivamente, alla società che detiene la totalità dei titoli rappresentativi del suo capitale sociale». L’articolo 3 della direttiva in materia di fusioni stabilisce quali società sono «società di uno Stato membro» ai fini dell’applicazione della direttiva.

11.      Con riferimento alle perdite della società incorporata, l’unica norma prevista dalla direttiva in materia di fusioni è contenuta nell’articolo 6:

«Se gli Stati membri applicano, per le operazioni di cui all’articolo 1, lettera a), effettuate tra società dello Stato della società conferente, disposizioni che consentono l’accollo, da parte della società beneficiaria, delle perdite della società conferente non ancora ammortizzate dal punto di vista fiscale, essi estendono il beneficio di tali disposizioni all’accollo, da parte delle stabili organizzazioni della società beneficiaria situate sul loro territorio, delle perdite della società conferente non ancora ammortizzate dal punto di vista fiscale».

B –    Il diritto finlandese

12.      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, dell’accordo concluso tra la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia allo scopo di evitare la doppia imposizione sui redditi e sui patrimoni, gli utili di una società stabilita in Svezia possono essere assoggettati ad imposta in Finlandia solo nella misura in cui essi provengano da un’organizzazione stabile in Finlandia.

13.      Ai sensi della normativa finlandese in materia di imposte sui redditi, le perdite accertate nell’arco di un determinato periodo d’imposta possono essere riportate agli esercizi successivi. L’articolo 119, paragrafi 1 e 2, del Tuloverolaki (in prosieguo: la «legge finlandese relativa alle imposte sui redditi») prevede, a tal fine, la seguente norma:

«Le perdite derivanti da un’attività commerciale ed agricola sono dedotte dal reddito commerciale ed agricolo nei dieci anni successivi all’epoca in cui è stato realizzato il reddito.

Per perdita di un’attività commerciale si intende la perdita di esercizio accertata a norma della legge sull’imposizione dei redditi derivanti da attività commerciali e per perdita di un’attività agricola la perdita di esercizio accertata secondo la legge relativa all’imposta sui redditi».

14.      In caso di una fusione tra società, l’articolo 123, paragrafo 2, della legge finlandese relativa all’imposta sui redditi stabilisce in relazione alla sorte delle perdite accertate in capo a una società incorporata, per quanto qui di rilievo, quanto segue:

«In seguito alla fusione di società o alla scissione di una società, la società assorbente ha il diritto di dedurre dal reddito imponibile le perdite della società assorbita o scissa secondo le modalità previste agli articoli 119 e 120, nella misura in cui la società assorbente ovvero i suoi azionisti o membri o la società ed i suoi azionisti o membri abbiano posseduto dall’inizio dell’anno in perdita più della metà di azioni o parti della società assorbita o scissa (…)».

15.      In base alla giurisprudenza finlandese, inoltre, il diritto di far valere la perdita della società incorporata è subordinato al fatto che la fusione non sia avvenuta unicamente a tal fine.

III – Fatti e questioni pregiudiziali

16.      Oggetto del procedimento principale è una decisione preliminare in materia di imposta finlandese sui redditi delle persone giuridiche (yhteisöjen tulovero). Il procedimento è stato avviato dalla A Oy (in prosieguo: il «soggetto passivo») dinanzi alla Keskusverolautakunta (in prosieguo: la «Commissione tributaria centrale») per chiarire in modo vincolante una questione fiscale relativa al riporto delle perdite.

17.      Il soggetto passivo, con sede in Finlandia, detiene la totalità delle quote della società svedese B AB. Medio tempore, questa controllata ha cessato la propria attività dopo aver gestito in Svezia tre negozi al dettaglio. Tuttavia, essa deve ancora far fronte ad obblighi derivanti da due contratti di locazione a lungo termine relativi ai locali commerciali. In relazione a tale attività, nel quadro delle procedure fiscali svedesi, sono state accertate in capo alla società controllata, per gli anni dal 2001 al 2007, perdite per 44,8 milioni di corone svedesi, pari, al tasso di cambio attuale, a circa EUR 5 milioni.

18.      Il soggetto passivo intende ora attuare una fusione con la propria controllata svedese. Per effetto della fusione, la controllata svedese verrebbe ad essere liquidata e il suo intero patrimonio sarebbe trasferito in capo al soggetto passivo.

19.      Nella sua decisione preliminare del 25 marzo 2009, la Commissione tributaria centrale ha sostenuto che, dopo la fusione, il soggetto passivo non potrebbe portare in deduzione le perdite della sua controllata svedese ai fini dell’imposta finlandese sui redditi delle persone giuridiche.

20.      In senso conforme, il Korkein hallinto‑oikeus (Suprema Corte amministrativa), chiamato ora a dirimere la controversia, ha rilevato che la normativa finlandese non ammette l’accollo delle perdite di una società incorporata, se questa ha la propria sede all’estero e le sue perdite non sono riconducibili a un’organizzazione stabile in Finlandia. Esso nutre tuttavia dubbi circa la compatibilità di tale interpretazione con il diritto dell’Unione e, in particolare, con la libertà di stabilimento. Pertanto, ha sottoposto alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali:

1.     Se gli articoli 49 e 54 TFUE impongano che la società assorbente possa dedurre in sede di imposizione le perdite dell’attività esercitata in un altro Stato membro, negli anni precedenti alla fusione, dalla società che ha assorbito, quando la società assorbente non dispone di una sede stabile nello Stato ove è stabilita la società assorbita e quando la società assorbente può, in conformità della normativa nazionale, dedurre le perdite della società assorbita, se quest’ultima era nazionale o le perdite sono state generate in una sede fissa in tale Stato.


2.     In caso di soluzione positiva della prima questione, se gli articoli 49 e 54 TFUE influiscano sul punto se l’entità della perdita deducibile debba calcolarsi a norma della legislazione tributaria dello Stato ove è stabilita la società assorbente oppure se occorra ritenere quali perdite deducibili le perdite consolidate nello Stato ove è stabilita la società assorbita secondo il diritto di quest’ultimo.

IV – Analisi giuridica

21.      Le questioni – che devono essere ritenute ricevibili (5) – sono state sollevate nell’ambito di un procedimento principale inerente alle conseguenze fiscali di una fattispecie non ancora verificatasi. Nel rispondere, farò pertanto riferimento al diritto dell’Unione attualmente vigente.

A –    Sulla prima questione: l’accollo del riporto delle perdite

22.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se il diritto dell’Unione osti a una normativa nazionale che, in caso di fusione, autorizzi, in linea di principio, la società incorporante ad avvalersi del riporto delle perdite della società incorporata, escludendo peraltro tale possibilità in relazione a perdite derivanti da un’attività non soggetta a tassazione in Finlandia (riporto di perdite straniere).

23.      Per fornire al giudice del rinvio una risposta utile in merito al diritto dell’Unione applicabile (6), non limiterò il mio esame alla libertà di stabilimento disciplinata agli articoli 49 e 54 TFUE. Il diritto dell’Unione prevede, infatti, una disciplina giuridica specifica per le conseguenze fiscali delle concentrazioni transfrontaliere di società: la direttiva in materia di fusioni. Inizio il mio esame da questa normativa più specifica.

1.      Applicazione della direttiva in materia di fusioni

24.      A norma dell’articolo 1, lettera a), gli Stati membri devono applicare la direttiva in materia di fusioni a tutte le fusioni riguardanti società di diversi Stati membri. Ai sensi dell’articolo 2, lettera a), punto iii), della direttiva in materia di fusioni, l’incorporazione di una controllata al 100% costituisce una fusione. Il soggetto passivo con sede in Finlandia sta valutando di incorporare la sua controllata svedese di cui detiene la totalità delle quote. Il giudice del rinvio ha inoltre accertato che entrambe le società soddisfano i requisiti in materia di forma sociale, cosicché sono rispettate anche le condizioni di cui all’articolo 3, lettera a), della direttiva in materia di fusioni, il quale, in combinato disposto con l’allegato I, parte A, indica le forme societarie che, ai fini dell’applicazione della direttiva, devono essere considerate «società di uno Stato membro». Nel procedimento in esame dovrebbero essere soddisfatte anche le condizioni poste dalle lettere b) e c) di detta disposizione riguardo al domicilio fiscale e all’assoggettamento ad imposta in base alla legge finlandese relativa all’imposta sui redditi. Ne consegue che la direttiva in materia di fusioni trova applicazione ad una fattispecie come quella del procedimento principale.

25.      Occorre quindi chiedersi quali conseguenze giuridiche preveda la direttiva in materia di fusioni in relazione alla rilevanza delle perdite a livello transfrontaliero. A tal riguardo, il giudice del rinvio sostiene che la direttiva in materia di fusioni non contiene alcuna disposizione volta a disciplinare come lo Stato membro della società incorporante debba trattare le perdite accertate da un altro Stato membro in capo alla società incorporata. In modo analogo si sono espresse le parti del procedimento. Sembrerebbe doversene desumere che la direttiva in materia di fusioni non disciplina la fattispecie oggetto del procedimento principale e che da essa non si può trarre alcuna conclusione ai fini dell’ammissibilità della normativa finlandese dal punto di vista del diritto dell’Unione.

26.      Questo punto di vista deve essere corretto. Come già rilevato, una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione della direttiva in materia di fusioni. Detta direttiva, in base ai suoi considerando secondo, terzo e quarto, mira a creare un regime comune volto a eliminare, per il bene del mercato interno, una penalizzazione fiscale delle fusioni transnazionali rispetto a quelle interne. Il nono considerando include espressamente in detto obiettivo anche la rilevanza ai fini fiscali delle perdite.

27.      La direttiva contiene pertanto, al suo articolo 6, una norma relativa all’assunzione, da parte della società incorporante, delle perdite della società incorporata non ancora ammortizzate dal punto di vista fiscale. In base a tale norma, la società incorporante può trasferire le perdite di una società incorporata con sede in un altro Stato membro su un’organizzazione stabile di detto Stato membro, laddove un simile trasferimento sia possibile anche tra società di tale Stato membro.

28.      L’articolo 6 della direttiva in materia di fusioni prevede, pertanto, la possibilità di un riporto delle perdite della società incorporata soltanto nel suo Stato membro e non nello Stato membro della società incorporante. A norma di tale disposizione, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa fiscale svedese, il soggetto passivo del procedimento principale sarebbe legittimato a far valere il riporto della perdita della sua controllata svedese successivamente ad una fusione attraverso un’organizzazione stabile collocata in Svezia e nell’ambito della procedura tributaria svedese. Tuttavia, questo diritto riconosciuto in Svezia è evidentemente privo di valore per il soggetto passivo, dato che, in base alle informazioni fornite dal giudice del rinvio, questi non disporrà, a seguito della fusione, di alcuna organizzazione stabile in Svezia. Esso, infatti, non dispone attualmente di una simile organizzazione in Svezia e neppure potrà acquisire un’organizzazione stabile dell’incorporata, avendo quest’ultima già cessato la propria attività commerciale in tale Stato.

29.      In conclusione occorre tuttavia riconoscere che la direttiva in materia di fusioni disciplina la fattispecie oggetto del procedimento principale. Essa semplicemente non prevede la conseguenza giuridica auspicata dal soggetto passivo, vale a dire l’utilizzo del riporto delle perdite svedesi ai fini della tassazione in Finlandia. Ai sensi della direttiva in materia di fusioni è possibile utilizzare il riporto delle perdite svedesi soltanto nel quadro della tassazione in Svezia. Pertanto, in base alla direttiva in materia di fusioni, lo Stato membro della società incorporante non è tenuto a riconoscere il riporto delle perdite di una società incorporata di un altro Stato membro.

2.      Violazione della libertà di stabilimento

30.      Questa constatazione, tuttavia, non permette ancora di stabilire se il diritto dell’Unione, nel suo insieme, osti ad una normativa nazionale che escluda l’accollo dei riporti delle perdite straniere. Una simile esclusione potrebbe infatti non essere compatibile con la libertà di stabilimento della società incorporante garantita dagli articoli 49 e 54 TFUE.

31.      In un tal caso, il legislatore dell’Unione, con l’adozione della direttiva in materia di fusioni, non avrebbe compiuto tutti gli sforzi necessari a norma del Trattato per garantire il funzionamento del mercato interno mediante l’eliminazione delle penalizzazioni fiscali a carico delle fusioni transnazionali. Il legislatore dell’Unione ha già indicato al quattordicesimo considerando della direttiva in materia di fusioni che lo ritiene possibile. In base a tale considerando, gli Stati membri vengono invitati ad adottare, se necessario, misure unilaterali per eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno.

32.      In prosieguo si rende pertanto necessario chiarire se l’esclusione dell’accollo dei riporti delle perdite straniere prevista dal diritto tributario finlandese in caso di una fusione violi la libertà di stabilimento.

a)      Restrizione alla libertà di stabilimento

33.      In virtù degli articoli 49 e 54 TFUE, le restrizioni alla libertà di stabilimento delle società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro sono, in linea di principio, vietate.

34.      Secondo giurisprudenza costante, devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà (7). Anche se, in base al loro tenore letterale, le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento intendono assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato membro di stabilimento, esse ostano parimenti, per giurisprudenza costante, a che lo Stato membro d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di una società costituita conformemente alla propria legislazione (8). La Corte riconosce un simile ostacolo quando lo Stato di origine accordi a tale società un trattamento diverso rispetto alle società attive esclusivamente a livello interno e tale disparità di trattamento sia tale da dissuadere detta società dall’esercizio del suo diritto di stabilimento in un altro Stato membro (9).

35.      Secondo quanto accertato dal giudice del rinvio, gli articoli 119 e 123 della legge finlandese relativa all’imposta sui redditi escludono il trasferimento di perdite derivanti da un’attività non soggetta a tassazione in Finlandia. Mentre una controllante, in caso di fusione, può utilizzare in Finlandia a fini fiscali il riporto delle perdite della sua controllata nazionale, ciò non è possibile per il riporto delle perdite di una controllata straniera in relazione alla sua attività in un altro Stato membro. Questa mancata possibilità di far valere in Finlandia, a fini fiscali, le perdite accumulate nell’ambito di un’attività svolta in un altro Stato membro potrebbe scoraggiare una società finlandese dal costituire o dall’acquisire una controllata in un altro Stato membro. Pertanto, la normativa fiscale finlandese può far desistere le società finlandesi dallo svolgere un’attività in altri Stati membri attraverso una controllata. La normativa fiscale finlandese comporta, pertanto, una restrizione alla libertà di stabilimento.

36.      Tale rilievo va tenuto distinto dalla questione se il soggetto passivo, in un caso come quello oggetto del procedimento principale, potesse invocare il proprio diritto di stabilimento. Il governo del Regno Unito ha osservato, in particolare, che il caso di specie, data la cessazione dell’attività commerciale della controllata svedese, non si riferisce all’esercizio del diritto di stabilimento, quanto piuttosto al contrario. È vero che una risposta alla presente questione rileva soltanto nella misura in cui la normativa fiscale finlandese integri, in conclusione, una violazione della libertà di stabilimento. Tuttavia, mi sembra già chiaro, prima facie, che le restrizioni dovute ad astratte conseguenze giuridiche fiscali di una fusione, che ostacolino l’avvio di un’attività transnazionale, possano essere impedite in concreto solo al momento della fusione. In tale momento, il soggetto passivo si è già avvalso della sua libertà di stabilimento, malgrado le restrizioni esistenti. Al fine di permettere che la libertà di stabilimento esercitata possa esplicare pienamente i suoi effetti, il soggetto passivo potrà parimenti opporsi però alla concreta applicazione della restrizione. Pertanto, anche nel caso di specie, egli può invocare l’esercizio della sua libertà di stabilimento.

37.      Il governo del Regno Unito ha tuttavia correttamente osservato che non può essere riscontrata una restrizione della libertà di stabilimento nei casi in cui il diritto finlandese non distingue, in sede di accollo dei riporti delle perdite, tra riporti delle perdite nazionali e quelli stranieri. Stando alle indicazioni del giudice del rinvio, tale ipotesi ricorre laddove l’accollo di un riporto delle perdite costituisce l’unico motivo della fusione. In tal caso, il diritto finlandese vieta l’accollo a tutte le società. A tal riguardo – in mancanza di un trattamento diverso – andrebbe esclusa una restrizione della libertà di stabilimento e per l’effetto un’eventuale violazione degli articoli 49 e 54 TFUE da parte della disposizione di diritto nazionale.

38.      Spetta al giudice nazionale accertare se nel procedimento principale ricorra una tale ipotesi e se, pertanto, l’interpretazione degli articoli 49 e 54 TFUE risulti irrilevante. Nel rispondere alle questioni pregiudiziali muoverò tuttavia, in tale contesto, dal presupposto che la questione relativa all’interpretazione della libertà di stabilimento posta dal giudice del rinvio si riferisca solo ai casi in cui l’accollo del riporto delle perdite non costituisce l’unico motivo della fusione.

39.      Risultano quindi superflue, nel caso in esame, anche le ulteriori considerazioni svolte da numerose delle parti del procedimento in relazione al significato di un’eventuale condotta abusiva del soggetto passivo. In ogni caso, infatti, il solo fatto che la decisione di attuare una fusione, motivata da ragioni commerciali, implichi l’accollo di un riporto delle perdite della società incorporata non può giustificare la contestazione di un abuso, quando è lo stesso diritto finlandese a prevederla per le fusioni in relazione ai riporti delle perdite nazionali.

40.      Dopo aver accertato l’esistenza di una disparità di trattamento, nel quadro della restrizione della libertà di stabilimento, la Corte esamina, poi, in parte se le situazioni siano oggettivamente comparabili (10). Mi sembra tuttavia sempre meno chiaro quale contenuto la Corte attribuisca a tale condizione nei casi in cui – come quello in esame – si tratti di esaminare una restrizione al diritto di stabilimento posta dallo Stato d’origine e, quindi, la comparabilità della situazione di soggetto residente. Se la Corte ritiene qui sufficiente che, in entrambi i casi, il soggetto passivo residente miri a trarre vantaggio da una normativa fiscale (11), allora l’esame di tale condizione è meramente formale, dato che in ogni caso – come quello in esame – essa sarà soddisfatta. Lo stesso vale se la Corte riconosce l’oggettiva comparabilità delle situazioni senza alcuna motivazione (12).

41.      Ciò detto, mi sembra ragionevole seguire l’esempio di alcune sentenze della Corte e rinunciare ad un esame della comparabilità oggettiva delle situazioni nel quadro dell’accertamento di una restrizione alla libertà di stabilimento da parte dello Stato di origine (13). In tal senso depone anche il fatto che un esame della comparabilità oggettiva delle situazioni, a mio avviso, non può essere esaustivo, se non si analizza il motivo del diverso trattamento. Si tratta proprio di una questione relativa al problema della giustificazione di una restrizione, di cui mi occuperò nel capitolo seguente.

42.      Si può quindi affermare, a titolo di conclusione intermedia, che una normativa nazionale la quale, in caso di fusione, autorizzi in linea di principio la società incorporante ad avvalersi del riporto delle perdite della società incorporata, ma escluda tale possibilità in relazione alle perdite derivanti da un’attività svolta in un altro Stato membro e non soggetta a tassazione nazionale, costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.

b)      Giustificazione

43.      Secondo giurisprudenza costante, una restrizione alla libertà di stabilimento può tuttavia essere ammessa se è giustificata da ragioni imperative di interesse generale (14). Per giurisprudenza consolidata, la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri può costituire un simile motivo di giustificazione (15). In base ad esso, gli Stati membri possono adottare misure per garantire l’esercizio del loro potere impositivo (16). A tal fine può essere necessaria l’applicazione, alle attività economiche delle società residenti in uno di tali Stati, delle sole norme tributarie di quest’ultimo, per quanto riguarda tanto i profitti quanto le perdite (17).

44.      Come ho già avuto modo di osservare nelle mie conclusioni nella causa Philips Electronics, il potere impositivo di uno Stato membro viene ad essere pregiudicato se si attribuisce rilevanza fiscale alle perdite che rientrano nell’ambito esclusivo del potere impositivo di un altro Stato membro (18). Le perdite, di cui si discute nel caso di specie, sono insorte a causa dell’attività di una controllata svedese in Svezia. In base all’articolo 7, paragrafo 1, dell’accordo contro la doppia imposizione qui applicabile, questa attività è soggetta all’esclusivo potere impositivo del Regno di Svezia. La rilevanza fiscale di dette perdite lederebbe pertanto il potere impositivo finlandese. La Repubblica di Finlandia terrebbe conto di perdite derivanti da un’attività che essa non può assoggettare a tassazione. In linea di principio, la Repubblica di Finlandia può pertanto vietare ai soggetti passivi di far valere, al riguardo, le perdite della controllata svedese.

45.      La questione, determinante ai fini della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, è tuttavia se ciò valga anche nel caso di una fusione con la quale la società incorporata cessa di esistere giuridicamente perdendo così ogni possibilità di utilizzare il riporto delle perdite nel quadro della tassazione svedese.

i)      Necessità della disciplina finlandese

46.      Sul punto, la disciplina finlandese potrebbe andare oltre quanto necessario per garantire la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. Per giurisprudenza costante, infatti, una misura restrittiva non può eccedere quanto necessario per il conseguimento degli scopi perseguiti (19).

–       Sull’applicabilità della deroga prevista nella causa Marks & Spencer

47.      Nella sentenza Marks & Spencer la Corte, avendo riguardo al requisito della necessità ed al contrasto con misure meno restrittive, ha riconosciuto, in via eccezionale, una violazione della libertà di stabilimento nel caso in cui la controllata non residente abbia esaurito le possibilità di far valere le perdite previste nel proprio Stato di residenza e non vi sia alcuna possibilità di far ivi valere le perdite medesime in futuro (20). Occorrerebbe, pertanto, riconoscere alla società controllante residente la detrazione delle perdite di una controllata estera derivanti dalle sue attività ivi svolte «in una situazione in cui (…) la controllata non residente ha esaurito le possibilità di [riconoscimento fiscale] delle perdite esistenti nel suo Stato di residenza per l’esercizio fiscale considerato nella domanda di sgravio, nonché degli esercizi fiscali precedenti, eventualmente mediante un trasferimento di tali perdite ad un terzo, oppure l’imputazione delle dette perdite ai profitti realizzati dalla controllata durante gli esercizi precedenti, e (…) le perdite della controllata estera non possano essere prese in considerazione nel suo Stato di residenza per gli esercizi fiscali futuri né da essa stessa, né da un terzo, in particolare in caso di cessione a quest’ultimo della controllata» (21).

48.      Ritengo che questa deroga possa essere compresa soltanto alla luce dei motivi di giustificazione esaminati nella sentenza Marks & Spencer. Nella specie, la Corte aveva fondato la giustificazione non soltanto sull’obiettivo di tutelare la ripartizione del potere impositivo degli Stati membri, ma anche, in particolare, sul diritto degli Stati membri di impedire un duplice uso delle perdite (22). Non vi è però più motivo di temere tale duplice uso quando le perdite di una società controllata straniera non possano più essere fatte valere nello Stato in cui essa ha sede. Una normativa nazionale che precluda, anche in un simile caso, l’uso delle perdite da parte della controllante va oltre quanto necessario per impedirne un duplice uso.

49.      Tuttavia, la giurisprudenza della Corte si è evoluta dopo la sentenza Marks & Spencer. Come ho già osservato nelle mie conclusioni nella causa Philips Electronics, in base alle sentenze successive, ai fini della giustificazione è decisivo, in ultima analisi, soltanto il fatto che con una normativa nazionale si persegua lo scopo di tutelare la ripartizione del potere impositivo (23). Lo scopo di impedire una doppia contabilizzazione delle perdite non riveste invece un significato autonomo (24).

50.      La deroga elaborata dalla Corte nella sentenza Marks & Spencer non è però più applicabile al motivo di giustificazione della tutela della ripartizione del potere impositivo riconosciuto, medio tempore, dalla giurisprudenza come motivo autonomo (25). Ai fini della tutela della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri è, infatti, irrilevante se sussista o meno la possibilità di far valere fiscalmente la perdita nello Stato membro titolare del potere impositivo su una determinata attività. Ciò che rileva è soltanto a quale attività e, così, a quale potere impositivo vada ricondotta una determinata perdita.

51.      Il riferimento all’elemento di giustificazione della ripartizione dei poteri impositivi degli Stati membri offre una prospettiva del tutto diversa ai fini della valutazione della necessità di una misura nazionale. In relazione a questo elemento di giustificazione non ricorre, infatti, una misura meno restrittiva se lo Stato membro, cui non spetta il potere impositivo, deve riconoscere le perdite, insorte nell’ambito della competenza fiscale di un altro Stato membro, qualora una simile possibilità sia ivi ormai preclusa. In una simile ipotesi, lo scopo della tutela della ripartizione dei poteri impositivi non viene, infatti, più conseguito.

52.      L’evoluzione del significato degli elementi di giustificazione, che nella sentenza Marks & Spencer erano stati in un primo momento impiegati parallelamente, ha quindi spostato anche l’ambito di applicazione della deroga ivi elaborata. Detta deroga può essere presa in considerazione, ai fini della valutazione della necessità di una misura nazionale, soltanto laddove l’esigenza di impedire il duplice uso dalle perdite venga considerata quale elemento di giustificazione autonomo. Se la giustificazione si fonda, invece, unicamente sulla ripartizione dei poteri impositivi degli Stati membri, la deroga elaborata nella sentenza Marks & Spencer non può più trovare applicazione sulla base della giurisprudenza successiva.

53.      Conformemente a questa opinione, la Corte ha motivato anche la sua sentenza più recente in materia di rilevanza fiscale delle perdite transnazionali. Nella sentenza X Holding essa ha fondato la giustificazione soltanto sull’obiettivo della tutela della ripartizione dei poteri impositivi e, di conseguenza, non ha più fatto menzione della deroga elaborata nella sentenza Marks & Spencer, pur occupandosi in dettaglio del requisito di necessità della normativa nazionale (26).

54.      Ne consegue che la restrizione alla libertà di stabilimento derivante dal mancato riconoscimento fiscale dei riporti delle perdite straniere è necessaria alla luce dell’obiettivo della tutela della ripartizione dei poteri impositivi a prescindere dal fatto che la società controllata svedese abbia o meno ancora la possibilità di far valere il proprio riporto delle perdite nello Stato in cui ha sede.

–       Sull’applicazione della deroga elaborata nella sentenza Marks & Spencer

55.      Anche a voler riconoscere comunque ancora rilevanza a tale questione, occorre osservare che, nel caso di una fusione come quella in esame, non sono soddisfatte le condizioni poste nella sentenza Marks & Spencer per poter eccezionalmente riconoscere fiscalmente una perdita della società controllata non residente nello Stato membro della controllante.

56.      Nella sentenza Marks & Spencer la Corte ha evidentemente inteso riconoscere una deroga solo come ultima ratio. Questo si evince anche dal fatto che la Corte ha riconosciuto la possibilità di adottare ulteriori misure meno restrittive, la cui disciplina, però, è stata esplicitamente rimessa al legislatore dell’Unione (27). Per tale ragione, la deroga è formulata in termini molto restrittivi. In base alla sentenza, nello Stato di residenza della società controllata deve essere esclusa anche la mera possibilità che una perdita possa essere riconosciuta da tale società o da un terzo ai fini degli esercizi fiscali precedenti o futuri (28).

57.      Nel caso della fusione in esame, si deve effettivamente riconoscere che la società controllata, cessando di esistere giuridicamente, viene privata di ogni possibilità di far valere le perdite nel quadro del procedimento fiscale svedese. Si tratterebbe, però, soltanto di una conseguenza della decisione sulla fusione. La fusione stessa si fonda, invece, su una libera scelta della società controllante. Se si volesse collegare l’impossibilità di far valere fiscalmente le perdite unicamente alle conseguenze della decisione sulla fusione, allora anche ogni azione della controllata nell’ambito della procedura fiscale svedese – come, ad esempio, il consapevole rinvio della presentazione di una richiesta di azionare un riporto delle perdite o la rinuncia a far valere il riporto delle perdite – dovrebbe giustificare la negazione di ogni possibilità di far valere le perdite ai fini della deroga di cui alla sentenza Marks & Spencer.

58.      In un tale contesto, sarebbe lo stesso soggetto passivo, decidendo di attuare una fusione con la sua controllata, a precludersi la possibilità di far valere le perdite nel Regno di Svezia. La Corte ha peraltro più volte avuto modo di sottolineare che il soggetto passivo non può liberamente scegliere il regime fiscale applicabile alle perdite delle sue controllate né il luogo di imputazione delle perdite (29). Come correttamente osservato dal governo finlandese, nel caso di specie verrebbe tuttavia riconosciuta una simile libertà di scelta se le perdite della controllata svedese, dopo la fusione, potessero essere riconosciute fiscalmente anche ai fini della tassazione in Finlandia.

59.      A mio avviso, inoltre, il soggetto passivo non può neppure validamente sostenere che, già prima della fusione, l’utilizzo del riporto delle perdite svedesi non è più possibile a causa della cessazione dell’attività commerciale della controllata svedese. Egli dispone, invece, della possibilità di utilizzare in futuro i riporti delle perdite svedesi attraverso la riapertura dell’attività commerciale e gli utili così conseguiti. Qualora, invece, si volesse considerare, in questo contesto, decisiva unicamente la cessazione dell’attività commerciale da parte del soggetto passivo, ciò significherebbe ancora una volta accordare una possibilità di scelta che, come abbiamo visto, secondo la giurisprudenza della Corte, non spetta al soggetto passivo. Di norma, infatti, non è possibile stabilire in modo obiettivo se la cessazione di un’attività commerciale rappresenti una scelta obbligata dal punto di vista economico, in quanto la sua continuazione non permetterebbe più di conseguire utili.

60.      Da ultimo, nel procedimento dinanzi alla Corte, lo stesso soggetto passivo ha affermato che, a determinate condizioni, le perdite della sua controllata svedese potrebbero anche essere trasferite in capo a un’altra delle sue controllate svedesi. Spetterebbe, eventualmente, al giudice del rinvio chiarire in qual misura ciò rappresenti un’effettiva possibilità di prendere in considerazione le perdite in Svezia. In ogni caso, una simile possibilità non può essere esclusa per il solo fatto che le condizioni di un trasferimento delle perdite in base al regime svedese sono meno convenienti rispetto a un trasferimento in base al regime finlandese. Quanto al riconoscimento delle perdite di un’organizzazione stabile estera, la Corte ha infatti già dichiarato che uno Stato non può essere obbligato a tener conto, ai fini dall’applicazione della propria normativa fiscale, delle conseguenze eventualmente sfavorevoli dipendenti dalle specificità della normativa di un altro Stato (30).

ii)    Adeguatezza della disciplina finlandese

61.      Dalla necessità, in tal modo da dimostrare, della disciplina finlandese, ai fini del raggiungimento dell’obiettivo della tutela della ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri, va distinta la questione se gli inconvenienti causati nell’ambito della libertà di stabilimento siano proporzionati rispetto all’obiettivo perseguito (proporzionalità in senso stretto) (31).

62.      Tale aspetto potrebbe essere dubbio, dal momento che, in base all’esame sin qui compiuto, in definitiva, un riporto delle perdite straniere mediante una fusione non può mai essere utilizzato dalla società incorporante nel quadro della procedura fiscale finlandese. Non resterebbe alcun caso in cui, nell’ambito di una fusione, sarebbe possibile in via eccezionale un simile trasferimento dei riporti delle perdite provenienti da un altro regime fiscale.

63.      Tuttavia, nel caso di specie, la restrizione della libertà di stabilimento non mi sembra particolarmente gravosa. In definitiva, un soggetto passivo deve, in determinati casi, farsi carico definitivamente dal punto di vista economico di una perdita fiscale. Una sorte simile non rappresenta nulla di inusuale nei sistemi fiscali degli Stati membri e può verificarsi anche per il semplice decorso dei termini per il riporto delle perdite. Nel caso della normativa finlandese, sono poi poche le società interessate, vale a dire solo quelle per le quali, benché dopo la fusione non dispongano più di un’organizzazione stabile nell’altro Stato membro e un uso della perdita ai sensi dell’articolo 6 della direttiva in materia di fusioni sia pertanto escluso, l’utilizzazione ai fini fiscali della perdita non costituisce l’unico motivo della fusione.

64.      A quest’ultima considerazione si potrebbe certamente replicare che, in tal modo, neppure la gravità del pregiudizio per la ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri è elevata. Tuttavia, occorre qui considerare che il legislatore dell’Unione, nell’ambito della ripartizione di detti poteri impositivi, ha già compiuto una serie di scelte fondamentali con la direttiva in materia di fusioni le quali, a mio avviso, devono essere rispettate.

65.      Nel quarto considerando della direttiva in materia di fusioni il legislatore dell’Unione ha anzitutto chiarito di privilegiare un regime fiscale comune nell’Unione rispetto all’estensione dei regimi nazionali interni in vigore nei singoli Stati membri, al fine di evitare distorsioni della concorrenza. Una simile estensione del regime fiscale finlandese significherebbe, però, l’accollo dei riporti delle perdite straniere nel caso di una fusione. In definitiva, tutte le società controllate da una società controllante finlandese aventi la loro sede all’interno dell’Unione beneficerebbero della disciplina finlandese in materia di riconoscimento delle perdite in caso di fusione. Al di fuori della Finlandia ciò comporterebbe, tuttavia, delle distorsioni della concorrenza, dato che non tutti gli Stati membri dispongono di una disciplina dell’accollo delle perdite analoga a quella del diritto tributario finlandese (32). Pertanto, in caso di fusione, le controllate con sede in Svezia, ad esempio, verrebbero a beneficiare di un trattamento diverso in relazione all’accollo di un riporto delle perdite, a seconda del regime fiscale dello Stato membro in cui, di volta in volta, la controllante abbia la propria sede.

66.      Per tale motivo l’articolo 6 della direttiva in materia di fusioni prevede, in modo unitario per tutta l’Unione, un’utilizzazione del riporto delle perdite nello Stato membro in cui la società incorporata aveva la propria sede. Il legislatore dell’Unione si è così consapevolmente pronunciato, nel caso di una fusione, per il riconoscimento fiscale delle perdite, in linea di principio, nello Stato membro della società incorporata. Tuttavia, se le condizioni per tale possibilità generale non sono soddisfatte nel singolo caso, il riconoscimento fiscale delle perdite nello Stato membro della società incorporante, invece previsto, ostacolerebbe la scelta fondamentale compiuta dal legislatore, oltre a mettere in discussione la validità delle condizioni poste all’articolo 6 della direttiva in materia di fusioni (33).

67.      Ritengo, infine, che giovi alla certezza del diritto riconoscere, nel caso di specie, peso preponderante ad una chiara ripartizione dei poteri impositivi degli Stati membri. Differenziazioni dettagliate, come quelle operate nel caso della sentenza Marks & Spencer, non giovano alla libertà di stabilimento se nella prassi giuridica determinano incertezza e controversie. All’udienza, il soggetto passivo ha illustrato in modo efficace quanto siano complesse le questioni di natura fiscale e societaria che una simile disciplina derogatoria può comportare. Si metterebbe, tuttavia, in dubbio l’efficacia uniforme del diritto dell’Unione se il chiarimento di queste questioni venisse rimesso – come proposto dalla Commissione – unicamente ai giudici nazionali.

68.      Tutto ciò premesso, ritengo che gli inconvenienti causati dalla normativa finlandese nel quadro della libertà di stabilimento siano anche proporzionati rispetto alla tutela della ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri in tal modo perseguito.

3.      Conclusione intermedia

69.      Occorre quindi rispondere alla prima questione pregiudiziale nel senso che né la direttiva in materia di fusioni né gli articoli 49 e 54 TFUE ostano a una normativa nazionale in base alla quale una società nazionale incorporante non può dedurre, in sede di imposizione, le perdite derivanti dall’attività che la società da essa incorporata ha esercitato in un altro Stato membro, soggetta unicamente al potere impositivo dell’altro Stato membro.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale: la determinazione della perdita

70.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio intende sapere se il riporto delle perdite straniere, che deve eventualmente essere riconosciuto, vada calcolato sulla base della normativa fiscale dello Stato in cui ha sede la società incorporante o in quello in cui ha sede la società incorporata.

71.      Alla luce della mia risposta alla prima questione pregiudiziale, non occorre più rispondere alla seconda. Il diritto dell’Unione non impone, infatti, allo Stato membro della società incorporante di riconoscere il riporto delle perdite straniere.

72.      Tuttavia, nell’eventualità in cui la Corte non dovesse condividere la mia proposta di risposta alla prima questione pregiudiziale e dovesse pertanto ammettere che la società incorporante può portare in deduzione le perdite dell’incorporata, occorre rispondere anche alla seconda questione pregiudiziale.

73.      Alla seconda questione pregiudiziale si deve, a mio avviso, rispondere nel senso che le perdite da considerare vanno determinate, in linea di principio, in base al diritto tributario dello Stato in cui ha sede la società incorporante. Come osservato anche dal governo francese, solo un simile calcolo porterebbe, infatti, ad una parità di trattamento tra le fattispecie interne e transfrontaliere, vale a dire ad una parità di trattamento dal punto di vista fiscale di una fusione con una società controllata nazionale e di una fusione con una società controllata straniera. Una simile parità di trattamento rimuoverebbe la restrizione alla libertà di stabilimento che, come abbiamo visto, si basa proprio sul diverso trattamento delle due fattispecie (34).

74.      Ciò premesso, non può essere accolta la posizione sostenuta dalla Commissione e dal governo finlandese secondo cui le perdite dovrebbero essere prese in considerazione, al massimo, nella misura stabilita in base alla normativa tributaria dello Stato in cui ha sede la società incorporata, nel caso di specie, quindi, il Regno di Svezia. Così facendo, non verrebbe garantita la parità di trattamento delle conseguenze fiscali di una fusione nazionale e di una fusione transfrontaliera. Continuerebbe a sussistere una restrizione alla libertà di stabilimento, in quanto le perdite, in caso di fusioni transfrontaliere, verrebbero riconosciute in misura minore rispetto a quanto accade per le fusioni puramente nazionali.

75.      Il principio secondo cui la determinazione delle perdite da riconoscere fiscalmente deve essere effettuata in base alla normativa fiscale dello Stato in cui ha sede la società incorporante può, tuttavia, subire deroghe in presenza di cause che determinino uno scostamento del calcolo delle perdite dal risultato commerciale. Potrebbero, ad esempio, operare deroghe in caso di meccanismi di incentivo fiscale previsti dallo Stato in cui ha sede la società incorporante – ad esempio maggiori ammortamenti – che possono comportare una perdita più elevata. In questo caso, non si può escludere che la limitazione dell’applicazione di tali norme alle attività interne sia di per sé giustificata. Ne conseguirebbe che, a tal riguardo, il calcolo delle perdite non dovrebbe avvenire ai sensi della normativa fiscale dello Stato incorporante.

76.      A tal proposito non può essere fornita al giudice del rinvio alcuna risposta definitiva, dato che la domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene peraltro alcuna indicazione in merito ad eventuali differenze nel calcolo delle perdite in base al diritto finlandese e al diritto svedese o a disposizioni in materia di calcolo delle perdite dubbie nella loro applicazione.

V –    Conclusione

77.      In conclusione propongo tuttavia alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali del Korkein hallinto‑oikeus nei termini seguenti:

Né la direttiva in materia di fusioni né gli articoli 49 e 54 TFUE ostano a una normativa nazionale in base alla quale una società nazionale incorporante non può dedurre, in sede di imposizione, le perdite derivanti dall’attività che la società da essa incorporata ha esercitato in un altro Stato membro, soggetta unicamente al potere impositivo dell’altro Stato membro.


1 –      Lingua originale: il tedesco.


2 –      Sentenza del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C‑446/03, Racc. pag. I‑10837).


3 – V., ad esempio, Cordewener, «Cross-Border Loss Relief and the “Effet Utile” of EU Law: Are We Losing It?», EC Tax Review, 2011, pag. 58.


4 –      Direttiva 2009/133/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, alle scissioni parziali, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi e al trasferimento della sede sociale di una SE e di una SCE tra Stati membri (GU L 310, pag. 34) che ha riformulato la direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, dal medesimo titolo (GU L 225, pag. 1). Questa direttiva non deve essere confusa con la direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali (GU L 310, pag. 1), attinente agli aspetti di diritto societario connessi a determinate concentrazioni transfrontaliere di società.


5 –      Sentenza del 18 novembre 1999, X e Y (C‑200/98, Racc. pag. I‑8261, punti 21 e 22), relativa al diritto svedese, a tal riguardo, analogo.


6 – V., a tal riguardo, sulla possibilità di un’interpretazione estensiva di una domanda di pronuncia pregiudiziale, in particolare, sentenze del 12 luglio 1979, Union Laitière Normande (244/78, Racc. pag. 2663, punto 5), e del 26 aprile 2012, van Putten (da C‑578/10 a C‑580/10, punto 23).


7 – In questo senso, in particolare, sentenze del 15 gennaio 2002, Commissione/Italia (C‑439/99, Racc. pag. I‑305, punto 22), e del 29 novembre 2011, National Grid Indus (C‑371/10, Racc. pag. I‑12273, punto 36).


8 – In questo senso, in particolare, sentenze del 27 settembre 1988, Daily Mail e General Trust (81/87, Racc. pag. 5483, punto 16), e National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punto 35).


9 – V., in particolare, sentenze dell’11 marzo 2004, de Lasteyrie du Saillant (C‑9/02, Racc. pag. I‑2409, punto 46), e National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punto 37).


10 – V., in particolare, sentenze del 25 febbraio 2010, X Holding (C‑337/08, Racc. pag. I‑1215, punti 20‑24), e National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punto 38).


11 –      V. sentenza X Holding, cit. alla nota 10 (punto 24).


12 –      V. sentenza National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punto 38).


13 – V., in particolare, sentenze del 15 maggio 2008, Lidl Belgium (C‑414/06, Racc. pag. I‑3601, punti 18‑25), e del 23 ottobre 2008, Krankenheim Ruhesitz am Wannsee‑Seniorenheimstatt (C‑157/07, Racc. pag. I‑8061, punti 27‑39).


14 – In questo senso, in particolare, sentenze del 18 luglio 2007, Oy AA (C‑231/05, Racc. pag. I‑6373, punto 44), e del 13 ottobre 2011, Waypoint Aviation (C‑9/11, Racc. pag. I‑9697, punto 27).


15 – V., in particolare, sentenze Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punto 45), e National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punto 45).


16 – V., in particolare, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, Racc. pag. I‑7995, punto 56), e National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punto 46).


17 –      Sentenza X Holding, cit. alla nota 10 (punto 28).


18 –      V. conclusioni del 19 aprile 2012, Philips Electronics (C‑18/11, paragrafi 50 e seg.).


19 – V., in particolare, sentenze del 21 novembre 2002, X e Y (C‑436/00, Racc. pag. I‑10829, punto 49); Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punto 53), e Waypoint Aviation, cit. alla nota 14 (punto 27).


20 –      V. sentenza Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punti 54 e seg.).


21 – Sentenza Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punto 55).


22 –      V. sentenza Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punti 47 e seg.).


23 –      V. conclusioni Philips Electronics, cit. alla nota 18 (paragrafi 40‑42).


24 –      V. conclusioni Philips Electronics, cit. alla nota 18 (paragrafi 58 e segg.).


25 –      V. sentenze X Holding, cit. alla nota 10 (punti 28‑33), e National Grid Indus, cit. alla nota 7 (punti 45‑49); in questo senso, già sentenza del 7 settembre 2006, N (C‑470/04, Racc. pag. I‑7409, punto 42).


26 –      V. Sentenza X Holding, cit. alla nota 10 (punti 27 e segg.).


27 –      V. sentenza Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punto 58).


28 –      V. sentenza Marks & Spencer, cit. alla nota 2 (punto 55).


29 –      V. sentenza X Holding, cit. alla nota 10 (punti 29‑32); v., in questo senso, anche sentenza Oy AA, cit. alla nota 14 (punti 64 e seg.).


30 –      V. sentenza Krankenheim Ruhesitz am Wannsee‑Seniorenheimstatt, cit. alla nota 13 (punto 49).


31 – V., a tal riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak dell’8 marzo 2011, Commissione/Austria (C‑10/10, Racc. pag. I‑5389, paragrafi 67 e seg.), e le mie conclusioni del 12 settembre 2006, Oy AA (C‑231/05, Racc. pag. I‑6373, paragrafi 32 e 66); v. anche sentenza del 9 marzo 2010, ERG e a. (C-379/08 e C-380/08, Racc. pag. I‑2007, punto 86).


32 –      V. anche la proposta della Commissione di direttiva del Consiglio relativa alla contabilizzazione, da parte delle imprese, delle perdite subite dalle sedi stabili e dalle filiali situate in altri Stati membri del 24 gennaio 1991, COM(90) 595 def., punto 12 della motivazione.


33 – V., sul definitivo carattere vincolante dei presupposti della fattispecie, la sentenza dell’11 dicembre 2008, A.T. (C‑285/07, Racc. pag. I‑9329, punto 27), relativa all’articolo 8 della direttiva in materia di fusioni.


34 –      V., supra, paragrafi 33 e segg.