Language of document : ECLI:EU:C:2010:341

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 15 giugno 2010 1(1)

Causa C‑108/09

Ker-Optika Bt.

contro

ÀNTSZ Dél-dunántúli Regionális Intézete

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Baranya Megyei Bíróság (Ungheria)]

«Libera circolazione delle merci – Misure di effetto equivalente – Modalità di vendita – Vendita di lenti a contatto tramite Internet – Normativa nazionale che riserva la vendita di lenti a contatto ai soli negozi specializzati in dispositivi medici»





I –    Introduzione

1.        Nella presente causa, si chiede alla Corte di voler precisare l’ambito di applicazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (in prosieguo: la «direttiva sul commercio elettronico») (2), nonché di applicare nuovamente la sua giurisprudenza Keck e Mithouard (3), pronunciandosi sulla questione se un divieto di vendere lenti a contatto via Internet sia compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci.

II – Contesto normativo

A –    Il diritto primario dell’Unione

2.        L’art. 28 CE prevede che «[s]ono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente».

3.        L’art. 30 CE stabilisce che «[l]e disposizioni degli articoli 28 [CE] e 29 [CE] lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri».

B –    Il diritto derivato dell’Unione

4.        L’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE (4), che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE (5) (in prosieguo: «la direttiva 98/34»), definisce i servizi della società dell’informazione, così come devono essere intesi ai sensi di tale direttiva, come segue:

«“servizio”: qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.

Ai fini della presente definizione si intende:

–        “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;

–        “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;

–        “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.

Nell’allegato V figura un elenco indicativo di servizi non contemplati da tale definizione.

(…)».

5.        Il diciottesimo ‘considerando’ della citata direttiva sul commercio elettronico precisa in particolare che «[l]e attività che, per loro stessa natura, non possono essere esercitate a distanza o con mezzi elettronici, quali la revisione dei conti delle società o le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, non sono servizi della società dell’informazione».

6.        Il ventunesimo ‘considerando’ precisa che «[l]’ambito regolamentato comprende unicamente requisiti riguardanti le attività in linea, quali l’informazione in linea, la pubblicità in linea, la vendita in linea, i contratti in linea, e non comprende i requisiti legali degli Stati membri relativi alle merci, quali le norme in materia di sicurezza, gli obblighi di etichettatura e la responsabilità per le merci, o i requisiti degli Stati membri relativi alla consegna o al trasporto delle merci, compresa la distribuzione di prodotti medicinali».

7.        L’art. 1, n. 3, della direttiva sul commercio elettronico stabilisce che «[l]a presente direttiva completa il diritto comunitario relativo ai servizi della società dell’informazione facendo salvo il livello di tutela, in particolare, della sanità pubblica e dei consumatori, garantito dagli strumenti comunitari e dalla legislazione nazionale di attuazione nella misura in cui esso non limita la libertà di fornire servizi della società dell’informazione».

8.        L’art. 2, lett. a), della direttiva sul commercio elettronico definisce i servizi della società dell’informazione come «i servizi ai sensi dell’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34/CE, come modificata dalla direttiva 98/48/CE».

9.        L’art. 2, lett. h), della direttiva sul commercio elettronico definisce l’ambito regolamentato come «le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri (...) applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinati».

10.      L’art. 2, lett. h), i), di tale direttiva stabilisce quanto segue:

«L’ambito regolamentato riguarda le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:

–        l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica;

–        l’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore».

11.      L’art. 2, lett. h), ii), di questa stessa direttiva prosegue:

«L’ambito regolamentato non comprende le norme su:

–        le merci in quanto tali,

–        la consegna delle merci,

–        i servizi non prestati per via elettronica».

12.      L’art. 4 della direttiva sul commercio elettronico sancisce, al n. 1, che «[g]li Stati membri garantiscono che l’accesso all’attività di un prestatore di un servizio della società dell’informazione e il suo esercizio non siano soggetti ad autorizzazione preventiva o ad altri requisiti di effetto equivalente», prima di precisare, al n. 2, che «[i]l paragrafo 1 fa salvi i sistemi di autorizzazione che non riguardano specificatamente ed esclusivamente i servizi della società dell’informazione».

C –    La disciplina legislativa e regolamentare ungherese

13.      L’art. 1, n. 3, della legge CVIII del 2001 sui servizi di commercio elettronico e sui servizi della società dell’informazione (Az elektronikus kereskedelmi szolgáltatások, valamint az információs társadalommal összefüggő szolgáltatásokról szóló 2001. évi CVIII. Törvény; in prosieguo: la «legge CVIII del 2001») enuncia che «l’ambito di applicazione della presente legge non si estende ai servizi della società dell’informazione accordati e utilizzati in procedimenti giudiziari o amministrativi e non incide sull’applicazione delle norme relative alla protezione dei dati personali». Il n. 4 prosegue: «L’ambito di applicazione della presente legge non si estende alle comunicazioni effettuate da una persona, facendo ricorso a servizi della società dell’informazione, a fini estranei allo svolgimento di attività commerciali o professionali ovvero di incombenze di servizio pubblico, incluse le dichiarazioni di volontà contrattuale in tal modo effettuate».

14.      L’art. 3, n. 1, della medesima legge stabilisce che «al fine di intraprendere o esercitare un’attività di prestazione di servizi della società dell’informazione non è necessaria una previa autorizzazione né una decisione amministrativa avente effetti analoghi».

15.      L’art. 1 del regolamento 7/2004 (XI. 23.) del Ministro della Salute in materia di requisiti professionali ai fini della vendita, della riparazione e del noleggio di dispositivi medici [A gyógyászati segédeszközök forgalmazásának, javításának, kölcsönzésének szakmai követelményeiről szóló 7/2004 (XI. 23.) egészségügyi miniszteri rendelet; in prosieguo: il «regolamento 7/2004»] prevede che «il presente regolamento si applica, salvo per quanto riguarda i dispositivi medici elencati all’allegato 1, allo svolgimento di attività di vendita, riparazione e noleggio di dispositivi medici, e di fornitura degli stessi, nonché alle attività di fabbricazione di dispositivi medici realizzati in conformità alle misure individuali. (…) La vendita, la riparazione e il noleggio di dispositivi medici che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento vengono considerati servizi sanitari».

16.      L’art. 2 del medesimo regolamento così dispone:

«Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, si intende per:

a)      dispositivo medico, un dispositivo destinato al trattamento o alle cure di cui disponga chi soffre, in modo temporaneo o permanente, di un deterioramento dello stato di salute, di un handicap o di un’invalidità,

(…)».

17.      Secondo l’art. 3, n. 1, del regolamento 7/2004, «la vendita, la riparazione e il noleggio di dispositivi medici (…) possono avere luogo in negozi specializzati, a condizione che dispongano della licenza d’esercizio conforme alla normativa in materia e soddisfino le condizioni di cui ai punti I.1 e I.2 di cui all’allegato 2 del presente regolamento».

18.      L’art. 4, n. 5, del regolamento 7/2004 disciplina come segue la consegna a domicilio:

«È possibile consegnare a domicilio:

a)      dispositivi medici prodotti in serie e riparati,

b)      dispositivi medici utilizzati a fini di prova e/o di adattamento, o realizzati in funzione delle misure individuali unicamente allo scopo di consentire una prova e una familiarizzazione, ove siano destinati al consumo finale».

19.      L’allegato 1 di detto regolamento precisa espressamente quanto segue:

«Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente regolamento i seguenti dispositivi medici:

(…)

–      gli articoli ottici di serie, fatta eccezione per le lenti a contatto;

(…)».

20.      Inoltre, l’allegato 2 del regolamento 7/2004 enuncia due delle condizioni specifiche di cui all’art. 3, n. 1, di detto regolamento. Il punto I.1, lett. d), di tale allegato prevede, tra le condizioni materiali che devono essere soddisfatte, che, «ai fini della commercializzazione di lenti a contatto e occhiali realizzati in conformità alle misure individuali, è necessario disporre di un negozio avente una superficie minima di 18 m2 o di un locale separato del laboratorio». Il punto I.2, lett. c), del medesimo allegato enuncia, dal canto suo, una delle condizioni personali, poiché per poter commercializzare lenti a contatto è necessario «esercitare la professione di optometrista o di medico oftalmologo qualificato in materia di lenti a contatto».

III – Causa principale e questioni pregiudiziali

21.      La Ker-Optika Bt. (in prosieguo: la «Ker‑Optika» o la «ricorrente nella causa principale») è una società in accomandita semplice di diritto ungherese che, tra le varie attività, commercializza lenti a contatto tramite il suo sito Internet.

22.      In data 29 agosto 2008, la Ker-Optika è stata oggetto di una decisione amministrativa, adottata dall’ÀNTSZ Pécsi, Sellyei, Siklósi Kistérségi Intézete, istituto locale dell’ÀNTSZ, ossia del Servizio nazionale per la sanità pubblica e le questioni sanitarie, che le ha vietato di commercializzare le lenti a contatto via Internet.

23.      La Ker-Optika presentava un reclamo dinanzi all’ÀNTSZ Dél‑dunántúli Regionális Intézete, direzione regionale del servizio summenzionato, la quale, con decisione del 14 novembre 2008, respingeva detto reclamo e confermava la decisione di diniego adottata dall’istituto locale nei confronti della Ker‑Optika basandosi sull’art. 3, n. 1, del regolamento 7/2004. Tale regolamento osterebbe pertanto alla commercializzazione delle lenti a contatto per via elettronica, esigendo, piuttosto, che queste ultime siano vendute in negozi di ottica specializzati, che devono soddisfare le condizioni materiali e personali cui rinvia l’art. 3, n. 1, del medesimo regolamento.

24.      Contro tale interpretazione, che ha come conseguenza di vietare parte della sua attività, la Ker-Optika proponeva ricorso dinanzi al Baranya Megyei Bíróság (Tribunale del dipartimento di Baranya, Ungheria) per ottenere l’annullamento della decisione della direzione regionale del Servizio nazionale per la sanità pubblica e le questioni sanitarie.

25.      Dinanzi al giudice del rinvio, la ricorrente nella causa principale sosteneva, da un lato, che la commercializzazione di lenti a contatto costituiva un servizio della società dell’informazione e che, a tal riguardo, la decisione controversa sarebbe stata contraria all’art. 3, n. 1, della legge CVIII del 2001, ai sensi del quale, al fine di intraprendere o esercitare un’attività di prestazione di servizi della società dell’informazione, non è necessaria alcuna previa autorizzazione né una decisione amministrativa avente effetti analoghi. Dall’altro lato, la commercializzazione delle lenti a contatto via Internet dovrebbe essere consentita, poiché il regolamento 7/2004 autorizza la consegna a domicilio dei dispositivi medici.

26.      Dal canto suo, la convenuta nella causa principale invocava la direttiva sul commercio elettronico e, segnatamente, il suo diciottesimo ‘considerando’. A suo avviso, la vendita delle lenti a contatto sarebbe un’attività che non può essere esercitata a distanza, in quanto assimilabile ad una consulenza medica che necessita di un esame fisico del paziente, e non rientrerebbe, pertanto, nell’ambito di applicazione di tale direttiva. Ne consegue che le disposizioni della legge CVIII del 2001, la quale traspone nell’ordinamento giuridico ungherese la direttiva sul commercio elettronico, non si applicherebbero all’attività di cui alla causa principale.

27.      Considerata l’esistenza di difficoltà interpretative del diritto dell’Unione, il Baranya Megyei Bíróság ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione di rinvio in data 10 febbraio 2009, di sottoporre alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, le tre seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la vendita di lenti a contatto rientri tra le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente e, pertanto, sia esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva [sul commercio elettronico].

2)      Ove la vendita di lenti a contatto non rientri tra le consulenze mediche che necessitano di un esame fisico del paziente, se l’art. 30 CE sia allora da interpretarsi nel senso che osta a una normativa nazionale ai sensi della quale le lenti a contatto possono essere vendute esclusivamente in negozi specializzati in dispositivi medici.

3)      Se il principio della libera circolazione delle merci di cui all’art. 28 CE osti alla normativa ungherese che consente la vendita di lenti a contatto esclusivamente in negozi specializzati in dispositivi medici».

28.      In sostanza, il giudice del rinvio domanda innanzitutto di stabilire se l’attività di cui alla causa principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico e, solo nel caso di soluzione negativa da parte della Corte, solleva una questione di interpretazione del diritto primario dell’Unione. Il problema dell’applicazione della citata giurisprudenza Keck e Mithouard potrebbe porsi segnatamente in quest’ultima eventualità.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

29.      Hanno presentato osservazioni scritte i governi ceco, ellenico, spagnolo, ungherese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea.

30.      All’udienza svoltasi il 15 aprile 2010, hanno formulato osservazioni orali i governi ellenico, spagnolo, ungherese e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione.

V –    Sulla prima questione pregiudiziale

31.      Il giudice del rinvio, chiedendo alla Corte di stabilire se la vendita di lenti a contatto rientri tra le consulenze mediche che necessitano della presenza fisica del paziente, vuole sapere innanzitutto se l’attività in questione ricada nell’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico e se, pertanto, la compatibilità del regolamento 7/2004 con il diritto dell’Unione debba essere esaminata alla luce di detta direttiva.

32.      Il regolamento 7/2004 di cui trattasi nella causa principale riserva la possibilità di vendere le lenti a contatto – che nel diritto ungherese sono considerate dispositivi medici – a negozi specializzati, aventi una superficie minima di 18 m2 o che prevedano un locale separato del laboratorio, e a persone che esercitano la professione di optometrista o di medico oftalmologo. Conseguentemente, la vendita di questo tipo di prodotti via Internet è vietata. Tuttavia, il giudice del rinvio rammenta che la consegna a domicilio a fini di consumo finale dei dispositivi medici oggetto del regolamento di cui trattasi, comprese quindi le lenti a contatto, è autorizzata, fatto salvo il rispetto delle condizioni prescritte da tale regolamento (6).

33.      Ancor prima di interrogarsi infra sul se la vendita delle lenti a contatto sia assimilabile a una consulenza medica che necessita della presenza fisica del paziente, l’obiettivo della prima questione, la quale va letta insieme alla seconda e alla terza questione, mi sembra essere quello di determinare se la compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che comporta l’esclusione della vendita tramite Internet di una particolare categoria di merci debba essere valutata esclusivamente alla luce della direttiva sul commercio elettronico.

34.      La direttiva sul commercio elettronico si prefigge di contribuire al buon funzionamento del mercato interno creando, in materia, un quadro giuridico inteso ad assicurare la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione tra gli Stati membri. Come si desume dal suo titolo, tale direttiva concerne «taluni» aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione e, come precisa il suo art. 1, n. 2, essa mira unicamente a ravvicinare «talune norme nazionali sui servizi della società dell’informazione e che interessano il mercato interno, lo stabilimento dei prestatori, le comunicazioni commerciali, i contratti per via elettronica, la responsabilità degli intermediari, i codici di condotta, la composizione extragiudiziaria delle controversie, i ricorsi giurisdizionali e la cooperazione tra Stati membri».

35.      Quindi, benché nell’immaginario collettivo la direttiva sul commercio elettronico sia intesa come la normativa che ha consentito lo sviluppo del commercio elettronico intracomunitario, in realtà essa si limita a disciplinare alcune delle fasi attraverso le quali tale commercio si realizza, fornendo un quadro giuridico ad esse specifico, ma non contempla le condizioni relative alla circolazione delle merci allo stesso eventualmente riconducibili. Tale direttiva, peraltro, pone l’accento sulla nozione di «servizio» e non di «merce».

36.      In altre parole, sarebbe erroneo sostenere che la direttiva sul commercio elettronico abbia ad oggetto una liberalizzazione generale del commercio elettronico delle merci. Nessuna delle sue disposizioni sembra infatti contemplare un obbligo per gli Stati membri di autorizzare in modo generale e sistematico, per tutti i tipi di merci, la vendita tramite Internet. La mia impressione sembra peraltro confermata dall’analisi dell’ambito regolamentato da tale direttiva.

37.      Infatti, anche se la Corte dovesse decidere di analizzare ulteriormente la direttiva sul commercio elettronico, sussisterebbero ancora, a mio avviso, almeno due ragioni idonee a giustificare il fatto che la compatibilità del regolamento 7/2004 con il diritto dell’Unione non possa essere valutata alla luce di tale direttiva. Da una parte, ciò può desumersi dalla definizione, in essa contenuta, dell’ambito regolamentato. Dall’altra parte, non mi sembra che la vendita delle lenti a contatto possa essere qualificata, in tutti i suoi aspetti, quale «servizio della società dell’informazione» ai sensi della direttiva di cui trattasi.

38.      In primo luogo, relativamente all’ambito regolamentato, l’obiettivo perseguito da tale direttiva, menzionato al paragrafo 34 delle presenti conclusioni, non consente di affermare che un divieto di vendita via Internet possa essere esaminato alla luce della direttiva sul commercio elettronico.

39.      Inoltre, definendo, in particolare, le condizioni alle quali le lenti a contatto possono essere commercializzate e distribuite ai consumatori finali e vietando incidentalmente la vendita via Internet e, quindi, la consegna a domicilio che contraddistingue tale modalità di immissione sul mercato quando essa non ha luogo alle condizioni stabilite dal regolamento 7/2004 (vale a dire unicamente per consentire una prova, un adattamento o una familiarizzazione), tale regolamento disciplina le modalità della consegna, intesa in senso lato, di dette lenti. La commercializzazione di queste ultime quale prevista da detto regolamento non mi sembra quindi, in ogni caso, rientrare nell’ambito regolamentato dalla direttiva sul commercio elettronico.

40.      Infatti, sebbene inizialmente il diciottesimo ‘considerando’ disponga che «[i] servizi della società dell’informazione abbracciano una vasta gamma di attività economiche svolte in linea (on line)» e che «[t]ali attività possono consistere, in particolare, nella vendita in linea di merci», esso precisa subito dopo che «[n]on sono contemplate attività come la consegna delle merci in quanto tale o la prestazione di servizi non in linea». Quanto al ventunesimo ‘considerando’, essa dispone in termini chiari che «[l]’ambito regolamentato comprende unicamente requisiti riguardanti le attività in linea, quali l’informazione in linea, la pubblicità in linea, la vendita in linea, i contratti in linea, e non comprende i requisiti legali degli Stati membri relativi alle merci, quali le norme in materia di sicurezza, gli obblighi di etichettatura e la responsabilità per le merci, o i requisiti degli Stati membri relativi alla consegna o al trasporto delle merci, compresa la distribuzione di prodotti medicinali».

41.      Come è stato fatto osservare dai governi ceco e dei Paesi Bassi nelle loro osservazioni scritte, la definizione dell’ambito regolamentato, di cui all’art. 2, lett. h), ii), della direttiva sul commercio elettronico, richiama tale esclusione di principio dall’ambito di applicazione della direttiva dei requisiti applicabili alle merci in quanto tali e alla loro consegna. In tal modo essa mira altresì a ricordare che tale direttiva «comprende unicamente requisiti riguardanti le attività in linea, la vendita in linea, i contratti in linea», ed è pertanto diretta a disciplinare taluni aspetti del commercio che si svolge eventualmente on line, e non, invece, a pronunciarsi sulla questione se tale tipo di attività o di transazione debba avere accesso al commercio via Internet. La direttiva non prevede quindi le condizioni alle quali può essere fondatamente vietata la vendita via Internet di una determinata categoria di merci.

42.      In secondo luogo, e al di là dell’analisi delle disposizioni relative all’ambito regolamentato, l’impiego dell’espressione «servizio della società dell’informazione» costituisce un ulteriore elemento che mi consente di concludere nel senso della non pertinenza del riferimento alla direttiva sul commercio elettronico nella causa principale.

43.      Tale direttiva non è destinata ad applicarsi a tutti i servizi, ma solo a quella particolare categoria costituita dai servizi della società dell’informazione. Sebbene, ai sensi della legislazione ungherese, la vendita delle lenti a contatto costituisca un servizio sanitario – il che, in ogni caso, rappresenta solo una qualificazione nazionale –, la definizione, fornita dalla legislazione dell’Unione, di servizio della società dell’informazione non appare effettivamente trasponibile a tale specifica attività.

44.      Infatti, per «servizio della società dell’informazione», ai sensi della citata direttiva 98/34, si deve intendere «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi» (7). Dalla definizione fornita risulta ancora che si deve intendere «“per via elettronica” (...) un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici».

45.      Contrariamente a quanto sostenuto dal governo ungherese, ritengo che la vendita di lenti a contatto, di per sé, possa senz’altro essere realizzata a distanza o via Internet. Tale constatazione implica, ovviamente, che sia accettata la distinzione tra la fase delle consulenze mediche, eventualmente imposte prima della consegna delle lenti a contatto, e la vendita stessa di tali lenti.

46.      Tuttavia, pur mantenendo distinte la consulenza medica e la vendita delle lenti a contatto, non mi sembra possibile ritenere che la commercializzazione di queste ultime costituisca, di per sé e relativamente a ciascuna delle sue fasi, un servizio «interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto» alle condizioni stabilite dalla direttiva sul commercio elettronico, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione. Se è vero che l’ordine delle lenti a contatto, l’accettazione dello stesso e la formazione del contratto di acquisto on line che ne discende possono essere trasmessi, eventualmente, per via elettronica, resta nondimeno il fatto che la spedizione delle lenti a contatto al consumatore finale è un’operazione non già elettronica, bensì fisica. È in questa fase del ragionamento che la distinzione tra i servizi della società dell’informazione e le attività da essi organizzate, operata dal diciottesimo ‘considerando’ di tale direttiva, acquista tutto il suo significato.

47.      Ricorderò, infine, che, in occasione della causa che ha dato luogo alla sentenza Dynamic Medien (8) a proposito del divieto, in Germania, di vendere tramite Internet supporti video che non erano stati sottoposti, come invece esigeva la normativa tedesca, a un controllo e a una classificazione da parte di un’autorità nazionale competente ai fini della tutela dei minori, avevo richiamato una giurisprudenza costante della Corte secondo la quale, qualora le norme nazionali adottate in un determinato settore costituiscano oggetto di un’armonizzazione esaustiva a livello dell’Unione europea, esse devono essere valutate con riguardo a tale misura di armonizzazione e non in rapporto al diritto primario (9). Ne avevo dedotto che, anche ammettendo che la vendita di supporti video potesse, per taluni suoi aspetti, rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico, era comunque plausibile chiedersi quale specifica disciplina contenuta nella direttiva avesse eventualmente realizzato quell’armonizzazione esaustiva delle norme nazionali di protezione dei minori che consentirebbe di escludere la verifica della compatibilità del suddetto divieto con le disposizioni pertinenti del Trattato (10). La Corte aveva peraltro seguito questo approccio (11).

48.      Ciò che mi aveva consentito di concludere in tal senso, ossia che taluni aspetti dell’attività in questione potevano rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico, era che la legislazione nazionale ammetteva, a monte, il principio della vendita tramite Internet dei supporti video. La situazione di cui alla presente causa si configura invece diversamente.

49.      Quindi, per riconoscere che la direttiva sul commercio elettronico copre taluni aspetti relativi alla commercializzazione delle lenti a contatto, occorrerebbe comunque che la vendita tramite Internet di queste ultime fosse previamente consentita. Orbene, come ho cercato di dimostrare, è difficile individuare, in seno a tale direttiva, le norme di armonizzazione delle disposizioni nazionali che consentirebbero di basare unicamente su queste ultime il controllo da parte della Corte vertente sulla compatibilità con il diritto dell’Unione della normativa nazionale oggetto della causa principale, la quale, lo ricordo, ha come conseguenza di vietare la vendita tramite Internet delle lenti a contatto.

50.      Identico rilievo s’impone, peraltro, con riguardo alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici (12), categoria di cui fanno parte le lenti a contatto, poiché essa non stabilisce alcuna condizione relativamente alla loro modalità di immissione sul mercato, di commercializzazione o di consegna.

51.      Propongo pertanto alla Corte di risolvere la prima questione sollevata dal giudice del rinvio, così come reinterpretata al paragrafo 33 delle presenti conclusioni, nel senso che la compatibilità, in rapporto al diritto dell’Unione, di una normativa nazionale che comporta il divieto della vendita tramite Internet delle lenti a contatto non può essere valutata alla luce delle disposizioni della direttiva sul commercio elettronico. La questione se la vendita delle lenti a contatto rientri tra le consulenze mediche che necessitano della presenza fisica del paziente, ai sensi del diciottesimo ‘considerando’ della suddetta direttiva, è, pertanto, irrilevante.

52.      Quindi, in assenza di qualsiasi misura di armonizzazione pertinente ai fini della soluzione della controversia principale, è necessario valutare il regolamento 7/2004 alla luce del diritto primario dell’Unione (13), cosa che costituisce per l’appunto l’oggetto delle due seguenti questioni pregiudiziali.

VI – Sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale

A –    Osservazione introduttiva

53.      In via preliminare, visto l’ordine logico delle questioni sollevate dal giudice a quo, occorre innanzitutto accertare se la compatibilità della normativa nazionale con il diritto dell’Unione debba essere valutata alla luce dell’art. 28 CE, e poi verificare se detta normativa possa eventualmente essere giustificata sulla base dell’art. 30 CE.

B –    Valutazione giuridica

1.      Considerazioni preliminari

54.      Qualora un provvedimento nazionale costituisca una restrizione sia alla libera circolazione delle merci sia alla libera prestazione di servizi, la Corte procede al suo esame, in linea di principio, solamente con riguardo ad una delle due dette libertà fondamentali qualora risulti che una delle due sia del tutto secondaria rispetto all’altra e possa essere a questa ricollegata (14).

55.      Il governo ungherese sostiene che la vendita delle lenti a contatto, come rilevato dalla Corte in occasione della sentenza LPO (15), non è un’attività commerciale come le altre e non può essere considerata se non unitamente ai servizi sanitari prestati al momento in cui essa è posta in essere. Tale governo deduce, peraltro, dalla sentenza Dollond & Aitchison (16) che la Corte avrebbe già riconosciuto l’inscindibilità dei servizi relativi alle lenti a contatto in rapporto alla vendita di queste ultime.

56.      Rimango tuttavia convinto che le due azioni, vale a dire, da un lato, la vendita delle lenti a contatto e, dall’altro, le consulenze eventualmente conseguenti, siano del tutto scindibili.

57.      Il richiamo della citata sentenza Dollond & Aitchison non mi sembra affatto pertinente, in considerazione della profonda differenza della ratio sottostante la questione che la Corte ha dovuto esaminare in tale causa rispetto a quella che ci occupa oggi. Infatti, in tale sentenza, la Corte era chiamata a pronunciarsi sulle modalità di calcolo dell’imposta sul valore aggiunto per una prestazione offerta da un’impresa comunitaria consistente nella fornitura di lenti a contatto e di servizi costituiti, in particolare, da esami della vista. Non si chiedeva alla Corte di pronunciarsi sulla necessità di considerare unitariamente, in modo sistematico, le due attività. Pertanto, e contrariamente a quanto sostenuto dal governo ungherese, la Corte, in occasione di detta sentenza, non si è vincolata, per il futuro, all’ipotesi dell’inscindibilità di tali attività.

58.      Inoltre, il governo ungherese è stato invitato a precisare, in udienza, le condizioni alle quali viene prestato, in linea di principio, il servizio sanitario, rappresentato, per detto governo, dalla vendita di lenti a contatto. Orbene, sebbene sia pacifico che una prescrizione medica dev’essere ottenuta prima della vendita, le altre prestazioni sanitarie non sono necessariamente contestuali a quest’ultima e il protocollo medico che all’occorrenza occorre seguire per la stessa varia notevolmente a seconda delle fasi previste del processo di vendita stesso.

59.      Una volta ammesso che tali operazioni possono essere disgiunte, risulta abbastanza chiaramente che la compatibilità del regolamento 7/2004 con il diritto dell’Unione dev’essere esaminata con riferimento alle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci. Il governo ungherese non sembra peraltro contestare la sussistenza di restrizioni alla vendita di lenti a contatto ai pazienti (17). Inoltre, occorre rilevare che la Corte, quando ha dovuto valutare la compatibilità di un provvedimento che vietava la vendita per corrispondenza di supporti video (18), ovvero – ipotesi ancor più simile al caso di specie – la vendita di medicinali via Internet (19), si è fondata sulla libera circolazione delle merci.

2.      Sull’esistenza di una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione

60.      La questione è allora se il divieto di vendere lenti a contatto che deriva dalla normativa di cui trattasi nella causa principale sia contrario all’art. 28 CE.

61.      Il regolamento 7/2004 non impone requisiti cui le lenti a contatto devono rispondere (20); esso semplicemente stabilisce che la vendita deve aver luogo in negozi specializzati, che rispettino i requisiti relativi alla superficie minima e al personale qualificato, ovvero, eventualmente, tramite consegna a domicilio a fini di prova o di adattamento, ma mai tramite Internet. Esso prevede quindi, in modo chiaro, le modalità di vendita proprie di questo tipo di merci.

62.      Orbene, secondo la formula consacrata nella sentenza Keck e Mithouard (21), «non può costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri (…) l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita, sempreché tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale, e sempreché incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri». Solo a queste condizioni la misura nazionale potrà sfuggire al divieto di cui all’art. 28 CE.

63.      Per quanto riguarda il primo requisito, è incontestabile che la misura nazionale in questione, in effetti, si applica indistintamente a tutti gli operatori interessati che svolgono la loro attività sul territorio ungherese, poiché ciascuno di essi, laddove intenda operare nel mercato ungherese delle lenti a contatto, deve conformarsi ai criteri stabiliti dal regolamento 7/2004.

64.      Mi sembra invece che i requisiti richiesti dal diritto ungherese per la vendita delle lenti a contatto incidano più pesantemente sulla commercializzazione dei prodotti provenienti da altri Stati membri.

65.      È vero che niente vieta agli operatori stabiliti nel territorio di un altro Stato membro di aprire un negozio specializzato che risponda alle condizioni richieste dal regolamento 7/2004 al fine della vendita di lenti a contatto. Tuttavia, il carattere maggiormente vincolante e oneroso di tale commercio è evidente. L’interesse della vendita on line consiste proprio nel fatto che Internet offre agli operatori una vetrina dotata di visibilità che oltrepassa le frontiere, senza che essi debbano sopportare i costi e i vincoli legati al possesso di un negozio «effettivo». La vendita on line è una modalità di vendita alternativa al commercio così come tradizionalmente inteso e rappresenta per gli operatori nazionali uno strumento complementare che consente loro di raggiungere una clientela che, da un punto di vista geografico, non è circoscritta alla popolazione adiacente alla sede fisica del negozio.

66.      In tal senso, a proposito del divieto tedesco di vendere medicinali via Internet, la Corte ha già statuito che «un divieto simile a quello in esame nella causa principale arreca un pregiudizio più significativo alle farmacie situate fuori della Germania che a quelle situate sul territorio tedesco. Se rispetto a queste ultime è difficilmente contestabile che tale divieto le privi di un mezzo supplementare o alternativo per raggiungere il mercato tedesco dei consumatori finali di medicinali, cionondimeno esse conservano la possibilità di vendere i medicinali nelle loro farmacie. Al contrario, Internet costituirebbe un mezzo più importante per le farmacie che non sono stabilite sul territorio tedesco per raggiungere direttamente tale mercato. Un divieto che colpisse in misura maggiore le farmacie stabilite al di fuori del territorio [nazionale] potrebbe essere tale da ostacolare maggiormente l’accesso al mercato dei prodotti provenienti da altri Stati membri rispetto a quello dei prodotti nazionali» (22). La Corte sembra quindi aver chiaramente ammesso che il divieto di vendita di una categoria di merci via Internet penalizza maggiormente gli operatori economici che non si trovano sul territorio nazionale. Tale ragionamento è pienamente applicabile, a mio avviso, alla causa di cui oggi ci occupiamo, in quanto la normativa ungherese richiede non solo che la vendita di lenti a contatto abbia luogo esclusivamente presso la sede fisica di un negozio, ma anche che quest’ultimo risponda a criteri di superficie minima e di qualificazione del personale.

67.      Inoltre, il governo ungherese ha ammesso all’udienza che i prodotti ungheresi che possono essere venduti in negozi specializzati in dispositivi medici, segnatamente in lenti a contatto, rappresentano una quantità assolutamente trascurabile, senza tuttavia essere in grado di fornire dati numerici. È dunque evidente che il divieto colpisce sostanzialmente i prodotti provenienti da altri Stati membri dell’Unione.

68.      Infine, e per quanto riguarda la seconda condizione cumulativa fissata dal regolamento 7/2004, ossia la condizione personale, la Corte ha già concluso che una normativa diretta a riservare la vendita di lenti a contatto a personale specializzato era atta ad incidere sugli scambi intracomunitari (23).

69.      Quindi, un divieto nazionale di vendita tramite Internet di lenti a contatto, quale quello previsto dal regolamento 7/2004, costituisce, per l’appunto, una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell’art. 28 CE.

3.      Sulla possibilità di giustificare la misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa sulla base dell’art. 30 CE

70.      Il divieto di misure di effetto equivalente a una restrizione quantitativa sancito all’art. 28 CE non è, tuttavia, assoluto, in quanto siffatte misure possono essere giustificate laddove necessarie per soddisfare ragioni d’interesse generale elencate nell’art. 30 CE, o esigenze imperative. Il governo ungherese sostiene che il regolamento 7/2004 persegue un obiettivo di interesse generale, costituito dalla tutela della sanità pubblica.

71.      In effetti, secondo giurisprudenza costante, una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa può essere giustificata sulla base della tutela della salute e della vita delle persone. La Corte ha costantemente sottolineato che «la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato» (24).

72.      Se è corretto affermare che i Trattati non hanno attribuito all’Unione una competenza piena e illimitata in materia e che quest’ultima è ancora largamente condivisa tra l’Unione e i suoi Stati membri, come risulta dall’art. 152 CE, spetta a questi ultimi decidere il livello di tutela della sanità pubblica che intendono offrire e gli strumenti necessari per realizzarlo (25). È pacifico che i diversi livelli possano variare da uno Stato all’altro, il che presuppone che agli Stati sia riconosciuto un certo margine di discrezionalità. Pertanto il regolamento 7/2004 non può essere ritenuto non giustificato, in quanto sproporzionato, in relazione all’art. 30 CE, per il solo fatto che in alcuni altri Stati membri dell’Unione la vendita di lenti a contatto non necessita di prescrizione medica, di commercio specializzato ovvero di personale qualificato (26). Tuttavia, tale competenza lasciata agli Stati membri dev’essere esercitata nel rispetto delle disposizioni del Trattato (27).

73.      Pertanto, dev’essere analizzata la proporzionalità in sé del regime istituito rispetto all’obiettivo perseguito di tutela della sanità pubblica.

74.      Secondo il governo ungherese, il regolamento 7/2004 persegue un legittimo obiettivo di tutela della sanità pubblica, consistente nella salvaguardia degli interessi dei pazienti. Dal momento che le lenti a contatto sono dispositivi medici particolarmente invasivi, posti a contatto diretto con la membrana dell’occhio, è indispensabile evitare la banalizzazione dell’atto di vendita che le concerne per una più efficace prevenzione delle alterazioni della vista e delle malattie oftalmiche, causate da un impiego errato delle stesse, che potrebbero comportare danni irreparabili alla vista. Questo è il motivo per cui le condizioni di vendita delle lenti a contatto sono tassativamente fissate ed è richiesta come necessaria la presenza del paziente in ogni fase di tale vendita. Il paziente deve interagire con un professionista che sia in grado di consigliarlo e di seguirlo nel corso di tutta la sua esperienza con le lenti a contatto, vale a dire al momento della prescrizione e del successivo acquisto, ma anche durante le prove e l’adattamento. Il controllo effettuato in occasione delle visite del paziente richiede l’esistenza di un esercizio specializzato avente una superficie minima di 18 m2 o di un locale separato del laboratorio. La condizione relativa alla superficie minima, infatti, garantisce, sempre secondo il governo ungherese, che il negozio disponga del materiale e dello spazio necessari per effettuare gli esami, ma anche dello spazio sufficiente per la presentazione dei prodotti e delle istruzioni per l’uso. Ogni incontro del professionista con il paziente deve rappresentare l’occasione per verificare, se necessario, lo stato della vista di quest’ultimo tramite esami, nonché per fornire allo stesso consigli e informazioni. Essendo quindi impossibile prescindere dalla presenza del paziente, il governo ungherese esclude, nelle sue osservazioni scritte, che gli esami o le prove possano aver luogo a distanza (28). Infine, il governo ungherese ritiene che il regolamento 7/2004 sia necessario e proporzionato. L’obiettivo della salvaguardia della salute degli occhi stabilito dalla Repubblica di Ungheria potrebbe essere conseguito solo garantendo la presenza del paziente in ogni fase della fornitura medicalizzata delle lenti a contatto e mettendo sistematicamente in contatto quest’ultimo con personale qualificato. Le prescrizioni di detto regolamento avrebbero la portata necessaria a conseguire tale obiettivo conformemente alle disposizioni del diritto dell’Unione.

75.      Sebbene le preoccupazioni del governo ungherese relativamente alla salute degli occhi siano quanto mai apprezzabili, non posso fare a meno di pensare che la normativa nazionale in materia presenti una qualche incoerenza, se non una contraddizione.

76.      A proposito della condizione personale, la Corte ha già dichiarato compatibile con il diritto dell’Unione la normativa nazionale che riservi al solo personale qualificato il diritto di vendere medicinali, adducendo in particolare il fatto che questo tipo di personale può controllare l’autenticità delle prescrizioni in maniera più soddisfacente (29). Un certo parallelismo può essere fatto con il caso in esame, poiché lo Stato ungherese subordina la consegna di lenti a contatto al possesso di una prescrizione medica. Tuttavia, non si può omettere di rilevare la diversa natura delle due categorie di merci interessate, nel senso che le lenti a contatto non sono considerate medicinali soggetti a prescrizione, bensì dispositivi medici. Ad ogni modo, la Corte ha già ammesso, quanto meno indirettamente, la compatibilità, con il diritto dell’Unione, di una legislazione nazionale che richiede la presenza di dipendenti o soci che siano ottici diplomati in ogni negozio (30).

77.      Non si può contestare il diritto, per la Repubblica di Ungheria, di mantenere una normativa che richiede che le lenti a contatto siano consegnate solo dietro presentazione di una prescrizione medica. Tuttavia, il fatto che, nel caso di specie, si tratti di dispositivi medici – e non, invece, di medicinali – comporta un’attenuazione dell’intensità dell’obbligo di informazione e di consulenza del professionista, tenuto conto della differenza in termini di rischio. La Corte ha infatti già statuito che, «a differenza dei prodotti di ottica, i medicinali prescritti o utilizzati per motivi terapeutici possono malgrado tutto rivelarsi gravemente tossici se assunti senza necessità o scorrettamente, senza che il consumatore sia in grado di prenderne coscienza al momento della somministrazione» (31). Il parallelismo con la giurisprudenza della Corte sui medicinali, pertanto, termina qui.

78.      L’esigenza del governo ungherese di garantire la tutela e la salvaguardia della sanità pubblica è assolutamente legittima. Esso evidenzia le gravi conseguenze che discenderebbero da un impiego errato delle lenti a contatto. Tuttavia, innegabilmente, la condizione materiale posta dal regolamento 7/2004 sminuisce la ricostruzione del governo ungherese.

79.      A mio avviso, il carattere sproporzionato della misura risiede essenzialmente in tale condizione materiale, la quale ha come conseguenza di impedire al personale qualificato, in attività sul territorio di un altro Stato membro, di accedere al mercato ungherese e ivi vendere le proprie merci.

80.      In effetti, il divieto assoluto della vendita di lenti a contatto via Internet non tiene conto dell’ipotesi in cui essa sia effettuata da personale qualificato, eventualmente stabilito nel territorio di un altro Stato membro (32).

81.      Se il rapporto tra la superficie minima fissata in 18 m2 e la qualità dell’informazione o del controllo non appare evidente, come giustamente rilevato dai governi ceco e dei Paesi Bassi, nonché dalla Commissione nelle loro osservazioni scritte, va riconosciuto che esso lo è ancor meno atteso che la consegna a domicilio delle lenti a contatto è autorizzata. Infatti, il regolamento 7/2004 sottende una contraddizione intrinseca. Esso richiede un negozio avente una superficie minima sufficiente per disporre del materiale necessario ed effettuare gli esami e, al contempo, autorizza la consegna a domicilio a fini di prova e di adattamento delle lenti a contatto. A mio avviso, ciò dimostra che le diverse operazioni, delle quali il governo ungherese tenta di dimostrare il carattere indissociabile, possono essere considerate in modo assolutamente indipendente.

82.      Riguardo alla consegna a domicilio, il governo ungherese sembra partire dall’assunto secondo cui la vendita via Internet presupporrebbe una consegna delle lenti a contatto da effettuarsi mediante corriere o postino, e non tramite un professionista. Orbene, poiché il governo ungherese, nella sua risposta al quesito scritto posto dal giudice relatore, sembra affermare che in Ungheria la consegna a domicilio delle lenti a contatto a fini di prova o di adattamento sia effettuata da personale qualificato, niente impedisce di immaginare anche uno schema di vendita tramite Internet in cui la consegna sia garantita da personale qualificato.

83.      Del resto, quale conseguenza di quanto già osservato al precedente paragrafo 77 delle presenti conclusioni, vi è ragione di contestare alla normativa ungherese di non effettuare alcun distinguo in ordine all’obbligo della concomitante presenza del paziente e del professionista nel negozio specializzato. Sebbene sia possibile ammettere che l’informazione e la consulenza rivestono una grande importanza al momento della prima prescrizione e durante i primi tempi di utilizzo delle lenti a contatto, le esigenze degli acquirenti che fanno uso già da diverso tempo di tali dispositivi medici sono diverse. In tal senso potrebbe configurarsi, ad esempio al momento del rinnovo delle lenti a contatto, un obbligo di informazione e di consulenza di minore intensità. Non è quindi così ovvio che l’operatore via Internet non sia in grado, ove ciò risulti necessario, di controllare l’autenticità delle prescrizioni, né di fornire un’informazione e una consulenza sufficienti tramite mezzi appropriati, come ad esempio un avviso sul sito Internet con l’indicazione di rivolgersi ad un consulente in caso di problemi o l’inserimento di foglietti illustrativi nelle confezioni.

84.      L’assenza di qualsivoglia differenziazione è inoltre confermata dal fatto che il governo ungherese non sembra operare distinzioni né tra le lenti a contatto dette «rigide» e quelle dette «morbide», né tra le lenti a contatto che correggono menomazioni visive e quelle che servono soltanto a variare il colore dell’iride. L’assistenza del professionista per l’adattamento delle lenti a contatto rigide agli occhi del paziente può essere considerata un’operazione delicata poiché, in base a quanto esposto dal governo ungherese durante l’udienza, il professionista interviene sul prodotto. Alla consegna delle lenti a contatto rigide deve necessariamente seguire una particolare fase di monitoraggio caratterizzata dal processo di adattamento e di controllo. Per contro, nell’ipotesi in cui siano prescritte lenti a contatto morbide, questo iter è molto meno impegnativo. Alcune lenti, inoltre, possono essere utilizzate solo per scopi cosmetici, e, sebbene debbano essere comunque fornite istruzioni ai fini della loro manutenzione, il monitoraggio del loro impiego sarà molto meno impegnativo di quanto non lo sia per le lenti a contatto utilizzate per scopi terapeutici.

85.      Alla luce di quanto precede, a mio avviso, per quanto legittimo sia lo scopo perseguito dal regolamento 7/2004, l’obiettivo di tutela della sanità pubblica può essere conseguito mediante misure meno restrittive della libera circolazione delle merci.

86.      Suggerisco perciò alla Corte di risolvere la seconda e la terza questione, come riformulate, affermando che l’art. 28 CE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale ai sensi della quale, al fine della commercializzazione di lenti a contatto, è necessario disporre di un negozio specializzato in dispositivi medici avente una superficie minima di 18 m2 o di un locale separato del laboratorio, nonché di personale qualificato, e che ha come conseguenza di vietare la vendita via Internet, costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione. Gli artt. 28 CE e 30 CE devono essere interpretati nel senso che siffatta normativa non è giustificata da motivi di tutela della salute e della vita delle persone, in quanto lo stesso obiettivo può essere conseguito mediante misure meno restrittive.

VII – Conclusione

87.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco di risolvere come segue le questioni sollevate dal Baranya Megyei Bíróság:

«1)      La compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale che ha per conseguenza di escludere la vendita via Internet delle lenti a contatto non può essere esaminata alla luce delle disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno. La questione se la commercializzazione delle lenti a contatto sia una consulenza medica che necessita della presenza fisica del paziente, ai sensi del diciottesimo ‘considerando’ di detta direttiva, è pertanto irrilevante.

2)      L’art. 28 CE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale ai sensi della quale, al fine della commercializzazione di lenti a contatto, è necessario disporre di un negozio specializzato in dispositivi medici avente una superficie minima di 18 m2 o di un locale separato del laboratorio, nonché di personale qualificato, e che ha come conseguenza di vietare la vendita via Internet, costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione.

3)      Gli artt. 28 CE e 30 CE devono essere interpretati nel senso che siffatta normativa non è giustificata da motivi di tutela della salute e della vita delle persone, in quanto lo stesso obiettivo può essere conseguito mediante misure meno restrittive».


1 Lingua originale: il francese.


2–      GU L 178, pag. 1.


3–      Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91 (Racc. pag. I‑6097).


4–      GU L 204, pag. 37.


5–      GU L 217, pag. 18.


6–      Nella sua risposta al quesito scritto, il governo ungherese ha precisato che «è possibile consegnare [lenti a contatto] a domicilio a scopo di consumo finale unicamente per consentire una prova e una familiarizzazione», cosa che lascia supporre che la consegna possa essere effettuata solo da personale qualificato (v. il punto 7 della risposta al quesito posto al governo ungherese).


7–      V.  paragrafo 4 delle presenti conclusioni.


8–      Sentenza 14 febbraio 2008, causa C-244/06 (Racc. pag. I‑505).


9 – V. paragrafo 21 delle mie conclusioni relative alla causa che ha dato luogo alla citata sentenza Dynamic Medien, nonché le sentenze 23 novembre 1989, causa 150/88, Parfümerie-Fabrik 4711/Provide (Racc. pag. 3891, punto 28); 12 ottobre 1993, causa C-37/92, Vanacker e Lesage (Racc. pag. I-4947, punto 9); 13 dicembre 2001, causa C-324/99, DaimlerChrysler (Racc. pag. I-9897, punto 32); 24 ottobre 2002, causa C-99/01, Linhart e Biffl (Racc. pag. I–9375, punto 18), e 11 dicembre 2003, causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I-14887, punto 64).


10–      V. il paragrafo 24 delle mie conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Dynamic Medien.


11 – V. citata sentenza Dynamic Medien (punti 22 e 23).


12–      GU L 169, pag. 1.


13–      Sentenza Dynamic Medien, cit. (punto 23).


14–      Sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039, punto 22); 25 marzo 2004, causa C‑71/02, Karner (Racc. pag. I‑3025, punto 46), e 26 maggio 2005, causa C-20/03, Burmanjer e a. (Racc. pag. I-4133, punto 35).


15–      Sentenza 25 maggio 1993, causa C-271/92 (Racc. pag. I-2899, punto 11).


16–      Sentenza 23 febbraio 2006, causa C-491/04, Dollond & Aitchison (Racc. pag. I‑2129, punto 35).


17 – V. punto 34 delle osservazioni scritte presentate dal governo ungherese.


18 – V. sentenza Dynamic Medien, cit. (punti 26 e segg.).


19 – Sentenza Deutscher Apothekerverband, cit. (punti 64 e segg.).


20 –      Ai sensi della giurisprudenza Cassis de Dijon, in particolare (v. sentenze 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon», Racc. 1979 pag. 649, nonché Keck e Mithouard, cit., punto 15).


21 – Sentenza Keck e Mithouard, cit. (punto 16).


22 – Sentenza Deutscher Apothekerverband, cit. (punto 74).


23 – Sentenza LPO, cit. (punto 8).


24–      Sentenze 7 marzo 1989, causa 215/87, Schumacher (Racc. pag. 617, punto 17); 16 aprile 1991, causa C-347/89, Eurim-Pharm (Racc. pag. I-1747, punto 26); 8 aprile 1992, causa C-62/90, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2575, punto 10); 10 novembre 1994, causa C-320/93, Ortscheit (Racc. pag. I-5243, punto 16); Deutscher Apothekerverband, cit. (punto 103); 11 settembre 2008, causa C‑141/07, Commissione/Germania (Racc. pag. I-6935, punto 46), e 19 maggio 2009, cause riunite C-171/07 e C-172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e a. (Racc. pag. I‑4171, punto 19).


25 – Sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit.  (punti 18 e 19).


26 – Sentenza 11 settembre 2008, Commissione/Germania, cit. (punto 51).


27 – Sentenza 1° febbraio 2001, causa C-108/96, Mac Quen e a. (Racc. pag. I‑837, punto 24), nonché sentenza 11 settembre 2008, Commissione/Germania, cit.  (punto 23).


28 – V. il punto 46 delle osservazioni scritte presentate dal governo ungherese.


29 – Sentenza Deutscher Apothekerverband, cit. (punto 119).


30 – Sentenza della Corte 21 aprile 2005, causa C-140/03, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑3177, punto 35).


31 – Sentenza Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. (punto 60).


32 – Questo peraltro è il caso di specie sottoposto alla Corte nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Deutscher Apothekerverband per quanto concerneva, all’epoca, i farmacisti.