Language of document : ECLI:EU:C:2012:8

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 12 gennaio 2012 (1)

Causa C‑415/10

Galina Meister

contro

Speech Design Carrier Systems GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesarbeitsgericht (Germania)]

«Politica sociale —  Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro —  Onere della prova —  Diritto di una persona la cui candidatura ad un posto di lavoro in un’impresa privata non è stata accolta di ricevere tutte le informazioni concernenti la procedura di selezione al fine di potere dimostrare un’eventuale discriminazione —  Fatto che consente di presumere l’esistenza di una discriminazione —  Conseguenze giuridiche connesse all’assenza di informazioni da parte del datore di lavoro»





1.        La prova della discriminazione ha la fama di essere particolarmente difficile da fornire. Tale constatazione è a maggior ragione vera nel caso di discriminazione nelle procedure di assunzione. Consapevole di tale scoglio, il legislatore dell’Unione ha adottato delle misure intese a semplificare il compito dei ricorrenti che ritengono di essere vittime di una discriminazione fondata, segnatamente, sul sesso, l’età o l’origine. Esso ha dunque consentito un alleggerimento dell’onere della prova, senza spingersi tuttavia fino a consacrare un’inversione totale, dal momento che, effettivamente, non era possibile prescindere totalmente dalla libertà di cui gode tradizionalmente il datore di lavoro, consistente nell’assumere persone di sua scelta.

2.        Il presente rinvio pregiudiziale, proveniente dalla Germania, confronta la Corte con una questione spinosa: sapere come un candidato ad un posto da coprire possa far valere, nei suoi confronti, il rispetto del principio della parità di trattamento allorché la sua candidatura è stata respinta dal datore di lavoro senza che quest’ultimo fornisca alcun motivo di rigetto né alcuna informazione concernente la procedura di selezione e il suo esito.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

3.        La direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (2), ha ad oggetto la lotta contro le discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica.

4.        L’articolo 8 della direttiva 2000/43 è dedicato all’onere della prova. Al suo paragrafo 1, esso stabilisce che «[g]li Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento».

5.        La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (3), mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di attuare, negli Stati membri, il principio della parità di trattamento.

6.        L’articolo 10 della direttiva 2000/78 è dedicato all’onere della prova. Esso riproduce testualmente, al suo paragrafo 1, il contenuto dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43.

7.        La direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (4), prevede, al suo articolo 19, paragrafo 1, dedicato all’onere della prova, che «[g]li Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta».

B –    La normativa tedesca

8.        La legge generale sulla parità di trattamento (Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz; in prosieguo: l’«AGG») è intesa, ai sensi del suo articolo 1, ad impedire o eliminare qualsiasi discriminazione basata sulla razza o sull’origine etnica, sul sesso, sulla religione o sulle convinzioni personali, sull’handicap, sull’età o sull’identità sessuale. Sono esplicitamente considerati come lavoratori, ai sensi di tale legge, le persone che hanno presentato una candidatura per un impiego (5). Peraltro, l’articolo 22 dell’AGG prevede, in materia di onere della prova, che «[s]e una parte in una controversia produce elementi di prova che facciano presumere una discriminazione per uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, l’altra parte è gravata dell’onere di provare che non vi è stata alcuna violazione delle disposizioni antidiscriminatorie».

II – La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali

9.        La sig.ra Meister è nata nel 1961 ed è di origine russa. Ella è in possesso di un diploma russo di ingegnere sistemista, la cui equivalenza ad un diploma conseguito presso un istituto superiore tecnico (Fachhochschule) nella Repubblica federale di Germania è stata certificata dal Land dello Schleswig-Holstein.

10.      Nel 2006 la Speech Design Carrier Systems GmbH (in prosieguo: la «società Speech Design») ha pubblicato sulla stampa un annuncio ai fini di assumere «un/una esperto/a sviluppatore/sviluppatrice di software». Il 5 ottobre 2006 la sig.ra Meister ha presentato la propria candidatura, la quale veniva respinta dalla società Speech Design per posta l’11 ottobre 2006. Poco tempo dopo, detta società ha pubblicato su Internet un annuncio dal contenuto simile. Il 19 ottobre 2006 la sig.ra Meister si è nuovamente candidata, ma la società Speech Design ha respinto una seconda volta la sua candidatura, senza averla convocata per un colloquio e senza averle fornito una qualsivoglia indicazione concernente il rigetto della sua candidatura.

11.      Ritenendo di aver subito una discriminazione in ragione del suo sesso, della sua origine e della sua età, la sig.ra Meister ha agito in giudizio, chiedendo di essere risarcita sulla base dell’articolo 15 dell’AGG. Ella ha domandato parimenti che alla società Speech Design fosse ingiunto di esibire il dossier del candidato assunto sulla base dell’annuncio di lavoro, al fine di chiarire i fatti.

12.      Avendo ritenuto che la sig.ra Meister non avesse prodotto elementi di prova sufficienti ai sensi dell’articolo 22 dell’AGG, idonei a far presumere l’esistenza di una discriminazione, sia il giudice di primo grado che il giudice d’appello hanno respinto la sua domanda di risarcimento. La sig.ra Meister ha dunque proposto ricorso per «Revision» dinanzi al Bundesarbeitsgericht (Germania). La società Speech Design, da parte sua, ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto non sufficientemente sostanziato, adducendo che la ricorrente non aveva presentato elementi sufficienti a far presumere l’esistenza di una discriminazione.

13.      Il giudice del rinvio ammette, da parte sua, che la ricorrente nella causa principale ha manifestamente subito, ai sensi del diritto nazionale, un trattamento meno favorevole rispetto ad altre persone che si trovano in una situazione analoga, non essendo stata convocata per un colloquio dal datore di lavoro, a differenza di altre persone che avevano anch’esse sottoposto la loro candidatura alla società Speech Design. Tuttavia, il giudice osserva, parimenti, che la sig.ra Meister non era stata in grado di dimostrare che siffatto trattamento meno favorevole le era stato inflitto in ragione del suo sesso, della sua età, o della sua origine etnica. Esso aggiunge che il diritto tedesco esige che la parte ricorrente che lamenta una discriminazione dimostri dei fatti, produca degli elementi di prova i quali consentano di presumere l’esistenza della summenzionata discriminazione, non accontentandosi di mere asserzioni. Ciò avviene, in particolare, quando i fatti dedotti lasciano concludere, da un punto di vista oggettivo e con un’elevata probabilità, che la discriminazione sia dovuta ad uno dei motivi invocati.

14.      Facendo applicazione delle pertinenti disposizioni dell’AGG, e segnatamente dell’articolo 22, inteso a recepire nel diritto tedesco l’articolo 8 della direttiva 2000/43 e l’articolo 10 della direttiva 2000/78, il giudice del rinvio rileva che un candidato che ritiene di essere stato discriminato in ragione del suo sesso, della sua età e/o della sua origine etnica non soddisfa l’onere di allegazione qualora si limiti ad affermare di essersi candidato, di essere stato scartato e di corrispondere al profilo richiesto, precisando unicamente il suo sesso, la sua età o la sua origine. La sig.ra Meister dovrebbe dunque far valere altri elementi idonei a dimostrare, con un’elevata probabilità, le ragioni della discriminazione, dal momento che la mancata convocazione al colloquio può essere spiegata da molti altri fattori. Ella è pertanto tenuta, ai sensi dell’articolo 22 dell’AGG, a produrre dei fatti; tuttavia, l’assenza di indicazioni fornite dal datore di lavoro al momento del rigetto delle sue candidature non le ha appunto consentito di soddisfare tale esigenza. È per questo motivo che il giudice del rinvio si domanda se dalle direttive 2000/43, 2000/78 e 2006/54 discenda un diritto all’informazione che consenta alla candidata respinta di esigere dal datore di lavoro che questi le riveli l’identità della persona assunta e le ragioni che hanno determinato tale scelta.

15.      Il Bundesarbeitsgericht, trovandosi di fronte ad una difficoltà di interpretazione del diritto dell’Unione, ha deciso di sospendere il procedimento e, con decisione di rinvio pervenuta alla cancelleria della Corte il 20 agosto 2010, di sottoporre alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54[…] e l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43[…] nonché l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78[…] debbano essere interpretati nel senso che deve essere riconosciuto ad un lavoratore, il quale affermi in maniera plausibile di soddisfare i requisiti per un posto offerto da un datore di lavoro, nel caso in cui venga respinta la sua candidatura, un diritto ad essere informato, da parte del datore di lavoro, se questi abbia assunto un altro candidato e, in caso affermativo, sulla base di quali criteri sia avvenuta l’assunzione.

2)      In caso di soluzione affermativa della prima questione: se la circostanza che il datore di lavoro non comunichi le informazioni richieste faccia presumere la sussistenza della discriminazione asserita dal lavoratore».

III – Procedimento dinanzi alla Corte

16.      La ricorrente nella causa principale, la società Speech Design, il governo tedesco, nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte.

17.      All’udienza, tenutasi il 30 novembre 2011, hanno formulato osservazioni orali la convenuta nel procedimento principale, il governo tedesco e la Commissione.

IV – Valutazione giuridica

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

18.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se un candidato ad un posto, il quale asserisca in maniera plausibile di corrispondere al profilo richiesto nell’annuncio pubblicato dal datore di lavoro, possa esigere da quest’ultimo, nel caso in cui la sua candidatura sia stata respinta senza essere stato convocato per un colloquio, di essere informato sull’assunzione alla fine effettuata e, segnatamente, sui criteri che hanno guidato tale scelta.

19.      Nella misura in cui la ricorrente nella causa principale sostiene di avere subito una discriminazione in ragione del suo sesso, della sua età, o della sua origine, la questione pregiudiziale concerne le disposizioni pertinenti delle direttive 2000/43, 2000/78 e 2006/54 (6), il cui ambito di applicazione si estende alle condizioni d’accesso all’occupazione (7). L’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, nonché l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 hanno un testo quasi identico, e assoggettano i casi di discriminazione al medesimo regime giuridico per quanto riguarda l’onere della prova.

20.      Occorre parimenti osservare che tali articoli hanno un testo quasi identico (8), ovvero identico (9), all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80. Ora, la Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sull’interpretazione di quest’ultima disposizione nella sentenza Kelly (10). In tale causa, il sig. Kelly aveva chiesto di essere ammesso ad un master in scienze sociali organizzato da un’università irlandese. La sua candidatura era stata respinta. Il sig. Kelly aveva sostenuto di essere vittima di una discriminazione fondata sul sesso, vietata ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 97/80, e aveva preteso dalla summenzionata università la trasmissione di copia dei formulari d’iscrizione, dei documenti allegati ai formulari stessi, nonché delle schede di valutazione degli altri aspiranti al corso. La Corte ha stabilito che tale articolo «deve essere interpretato nel senso che non prevede il diritto per un candidato ad una formazione professionale, che ritenga che l’accesso alla medesima gli sia stato negato per mancato rispetto del principio di parità di trattamento, di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione medesima riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla formazione, affinché sia in grado di dimostrare “elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta”, ai sensi della menzionata disposizione» (11).

21.      È giocoforza constatare che nulla, nel testo o nella ratio degli articoli 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, e 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, consente di inficiare tale soluzione. Il loro testo, infatti, non fa mai riferimento in maniera esplicita ad un diritto di accesso alle informazioni in possesso della persona «sospettata» di aver posto in essere la discriminazione. Le parti interessate che hanno presentato osservazioni scritte hanno perlopiù rilevato che se la Commissione aveva avanzato una proposta intesa a consacrare un diritto all’informazione a favore delle vittime di una discriminazione (12), tale proposta non era mai stata accolta nei testi finali. Alla luce di tali circostanze, l’assenza di un riferimento esplicito ad un diritto all’informazione nelle summenzionate disposizioni non può essere interpretata come una dimenticanza del legislatore, bensì, al contrario, come una manifestazione della sua volontà di non sancire un tale diritto.

22.      Si evince parimenti dall’economia generale di siffatte disposizioni, che la scelta del legislatore si è chiaramente indirizzata verso una soluzione che preserva l’equilibrio fra la vittima della discriminazione e il datore di lavoro, qualora questi sia all’origine della discriminazione. Infatti, in relazione all’onere della prova, le tre direttive hanno optato per un meccanismo che consente di alleggerire, senza sopprimerlo, siffatto onere incombente alla vittima. In altre parole, come dichiarato dalla Corte già nella sentenza Kelly (13), il meccanismo realizzato si svolge in due tempi. In un primo momento, la vittima deve addurre in maniera sufficiente fatti che consentano di presumere la sussistenza di una discriminazione. In altri termini, essa deve dimostrare una presunta discriminazione. Quindi, una volta introdotta tale presunzione, ne consegue immediatamente lo spostamento dell’onere della prova sulla convenuta. Al centro delle disposizioni contemplate dalla prima questione pregiudiziale si trova dunque un onere della prova, che, pur se alleggerito, cionondimeno grava di fatto sulla vittima. Di conseguenza, consentendo alla vittima di far valere il proprio diritto alla parità di trattamento e al convenuto di non essere citato in giudizio sulla base delle sole asserzioni della vittima, viene preservato un certo equilibrio.

23.      La rottura di tale equilibrio fra la persona che pretende di essere stata vittima di una discriminazione e il convenuto non sarebbe l’unico rischio assunto qualora dovesse essere riconosciuto un diritto all’informazione a favore della vittima (14). In un caso del genere, infatti, sorgerebbe parimenti la questione dei diritti dei terzi eventualmente menzionati nei documenti o nelle informazioni comunicate (15).

24.      Alla luce delle suesposte ragioni, suggerisco di rispondere alla prima questione nel senso che né l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, né l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, né l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 devono essere interpretati nel senso che un candidato ad un posto, qualora non sia stato assunto, deve poter esigere dal datore di lavoro che questi gli riveli se e in base a quali criteri ha assunto un altro candidato, anche qualora risulti che detto candidato dimostri in maniera plausibile di soddisfare i requisiti contenuti nell’annuncio pubblicato dal datore di lavoro.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

1.      Osservazioni preliminari

25.      Si evince dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che le questioni sollevate sono formulate in maniera tale che la Corte è chiamata a rispondere alla seconda questione solo in caso di soluzione affermativa della prima questione. Ora, come ho appena illustrato, suggerisco alla Corte di risolvere negativamente la prima questione.

26.      Tuttavia, qualora la Corte dovesse attenersi al testo delle questioni, le conseguenze che ne deriverebbero sarebbero le seguenti: la sig.ra Meister non potrebbe invocare alcun diritto all’informazione sulla base delle tre direttive, le quali costituiscono il fulcro del presente rinvio pregiudiziale. Priva di informazioni di cui dispone solamente il datore di lavoro, ella non sarebbe in grado di fornire al giudice del rinvio dei fatti che facciano presumere l’esistenza di una discriminazione, e non potrebbe, del resto, farlo mai, non beneficiando di alcun diritto all’informazione. Qualora la Corte non prosegua nell’analisi, l’effetto utile delle direttive che combattono le discriminazione nell’ambito di una procedura di assunzione rischierebbe di essere vanificato.

27.      Si potrebbe tuttavia obiettare che spetta unicamente ai giudici del rinvio valutare se un fatto addotto da una vittima sia sufficiente a far presumere la discriminazione (16). Ciononostante, osservo che la Corte, in passato, ha già proceduto ad una qualificazione del genere (17), e che, inoltre, nel caso in questione, essa è invitata esplicitamente dal giudice del rinvio a stabilire se il silenzio del datore di lavoro costituisca un fatto che consente di presumere l’esistenza della discriminazione asserita dal lavoratore. Si evince peraltro dallo spirito che anima il procedimento di rinvio pregiudiziale, che la Corte deve fornire al giudice nazionale che l’ha adita tutte le informazioni utili alla soluzione della controversia, e che essa è parimenti «competente a fornire indicazioni tratte dagli atti della causa principale come pure dalle osservazioni scritte ed orali sottopostele, idonee a mettere il giudice nazionale in grado di decidere» (18).

28.      È parimenti a causa di tale spirito di cooperazione, di cui la Corte è testimone nei confronti del giudice nazionale, che suggerisco di riformulare la seconda questione come diretta a stabilire se il fatto che il datore di lavoro non comunichi al candidato al posto da coprire le informazioni da questo richieste debba essere considerato in ogni caso non pertinente allorché si tratti di presumere l’esistenza di una discriminazione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, e dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54.

29.      Suggerisco pertanto alla Corte di spingere oltre la riflessione sulle conseguenze giuridiche derivanti dal silenzio del datore di lavoro in un caso come quello di cui trattasi nella causa principale.

2.      Valutazione

30.      La seconda questione pregiudiziale è dunque intesa ad interrogare la Corte in merito al metodo che il giudice del rinvio deve seguire per valutare, in relazione alle tre direttive —  le quali costituiscono il fulcro del presente rinvio pregiudiziale —  l’atteggiamento di un datore di lavoro che non risponde alla richiesta di informazioni proveniente da un candidato al posto da coprire. Al riguardo, la Corte, nella summenzionata sentenza Kelly, dopo essersi rifiutata di sancire l’esistenza di un diritto all’informazione, ha ciononostante affermato che «[n]on può essere tuttavia escluso che il diniego di fornire informazioni da parte del [datore di lavoro], nell’ambito dell’accertamento dei fatti [che facciano presumere l’esistenza di una discriminazione], possa rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito» (19) dalle direttive sulla parità di trattamento, e segnatamente di privare le loro disposizioni sull’onere della prova del loro effetto utile.

31.      In tal modo, la Corte ha indicato inequivocabilmente che, sotto il profilo metodologico, occorre valutare l’atteggiamento del datore di lavoro non limitandosi a considerare la mera assenza di risposta da parte sua, ma, al contrario, collocando tale assenza nel contesto fattuale più ampio in cui essa si inserisce. Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale, la Corte è appunto chiamata ad aiutare il giudice del rinvio nella determinazione dei tipi di elementi che potrebbero essere presi in considerazione al fine procedere alla valutazione richiesta dal caso in questione.

32.      Al riguardo, il giudice del rinvio non può trascurare il fatto che, poiché il datore di lavoro si è rifiutato di comunicare tali informazioni, esiste una probabilità non trascurabile che detto datore di lavoro possa, in tal modo, rendere insindacabili le proprie decisioni. In altre parole, il datore di lavoro continua così a mantenere in suo esclusivo possesso degli elementi importanti dai quali dipende, in definitiva, la fondatezza e dunque le probabilità di successo di un’azione giudiziaria proposta dal candidato respinto. Nell’ambito di un procedimento di assunzione, occorre parimenti tenere presente che la posizione del candidato —  necessariamente esterna rispetto all’impresa che procede all’assunzione —  rende ancora più difficile la raccolta di indizi o fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione rispetto al caso in cui si tratti di dimostrare che il datore di lavoro attua un certo numero di misure discriminatorie in relazione, ad esempio, alle condizioni di retribuzione del lavoratore (20). Il candidato al posto da coprire è dunque totalmente alla mercé, in genere, della disponibilità del datore di lavoro per quanto concerne l’ottenimento di informazioni suscettibili di costituire fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione, i quali sono peraltro indispensabili al fine di attivare l’alleggerimento dell’onere della prova, e può incontrare delle oggettive difficoltà reali nel procurarsi dette informazioni. A questo riguardo, osservo che le soluzioni suggerite dal governo tedesco in udienza, affinché il candidato si procuri delle informazioni di propria iniziativa, sono parse poco convincenti. Infatti, esigere dal candidato che questi contatti direttamente il consiglio aziendale del datore di lavoro o, ancora, che si rechi sul luogo di lavoro al momento dell’entrata in servizio, al fine di contabilizzarvi, per «categoria», i lavoratori presenti si rivelerebbe particolarmente ipotetico e, in definitiva, poco sensato, nella misura in cui, da un lato, non tutti i datori di lavoro sono dotati di un consiglio aziendale e, dall’altro lato, non tutte le caratteristiche idonee a fondare uno dei motivi di discriminazione sono necessariamente identificabili mediante la mera osservazione.

33.      Così, dunque, qualora il candidato appaia totalmente alla mercé della disponibilità del datore di lavoro per quanto riguarda l’ottenimento di informazioni suscettibili di costituire fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione, l’equilibrio fra la libertà del datore di lavoro e i diritti del candidato al posto da coprire, equilibrio al quale il legislatore ha attribuito un’importanza significativa, potrebbe sembrare infranto.

34.      A fronte di una siffatta ipotesi, i giudici nazionali, al fine di ripristinare tale equilibrio, devono, in maniera generale, adottare un livello di requisiti inferiore rispetto, ad esempio, a quello richiesto per la determinazione di una probabilità molto elevata, quale evocata nei motivi della decisione di rinvio, quanto alla qualificazione dei fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione ai sensi delle tre direttive contemplate dal presente rinvio pregiudiziale, in particolare affinché i diritti risultanti per i cittadini dal diritto dell’Unione possano essere garantiti in maniera efficace e ricevano una tutela giurisdizionale effettiva. Un diniego di fornire informazioni da parte del datore di lavoro può, infatti, nel contesto particolare in cui si inserisce, rischiare di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalle succitate direttive (21), consistente nell’attuazione effettiva della parità di trattamento.

35.      In vista della valutazione alla quale occorre procedere, nonché al fine di seguire il metodo suggerito dalla citata sentenza Kelly, il giudice del rinvio non dovrà trascurare gli elementi importanti del tipo di quelli costituiti, nella specie, da un lato, dal fatto che si evince dagli atti della causa che la corrispondenza fra le qualifiche del candidato e il posto da coprire non è contestata dal datore di lavoro, sebbene quest’ultimo non abbia voluto convocare per un colloquio di assunzione la sig.ra Meister, mentre aveva convocato altri candidati e, dall’altro lato, dal fatto che tale candidata aveva risposto ad un’offerta di lavoro e non si era proposta spontaneamente. Per essere del tutto chiari: l’assenza di reazione di un datore di lavoro alle richieste di informazioni da parte di un candidato dovrebbe essere valutata in maniera diversa, avuto riguardo all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, all’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, e all’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, a seconda che il candidato non corrisponda manifestamente al profilo richiesto, sia stato convocato ad un colloquio di assunzione, oppure abbia presentato la candidatura di propria iniziativa.

36.      Potrebbe essere parimenti essere preso in considerazione un terzo elemento. La domanda di pronuncia pregiudiziale fa riferimento al fatto che, in primo luogo, la convenuta nel procedimento principale ha respinto la candidatura della ricorrente con lettera 11 ottobre 2006 e che, in secondo luogo, dopo che detta convenuta aveva pubblicato su Internet un nuovo annuncio di assunzione dal tenore analogo, la ricorrente ha presentato nuovamente la propria candidatura il 19 ottobre 2006, candidatura che è stata nuovamente respinta senza che la ricorrente fosse stata convocata per un colloquio. Interrogata in udienza sulle ragioni della pubblicazione di tale secondo annuncio, la rappresentante della convenuta nella causa principale non è tuttavia stata in grado di illustrare concretamente la cronologia della procedura di assunzione. Spetterà al giudice del rinvio verificare se la pubblicazione del secondo annuncio sia dovuta al fatto che il datore di lavoro non aveva ritenuto soddisfacenti i candidati convocati a seguito del primo annuncio e se, nonostante ciò, abbia insistito nel respingere la candidatura della sig.ra Meister, di nuovo senza convocarla per un colloquio, sebbene esso non contesti la corrispondenza fra le qualificazioni della medesima e il posto di cui trattasi.

37.      In linea con la metodologia suggerita nella sua sentenza Kelly, propongo alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nel senso che, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, nonché dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, il giudice nazionale deve valutare l’atteggiamento di un datore di lavoro consistente nel diniego di fornire le informazioni richieste da un candidato respinto sull’esito della procedura di assunzione e sui criteri seguiti dal datore di lavoro nel procedere all’assunzione di uno dei candidati, non limitandosi a considerare la mera assenza di risposta da parte del datore di lavoro bensì collocandola nel più ampio contesto fattuale in cui si inserisce. A questo riguardo, il giudice del rinvio può tenere conto di elementi quali la corrispondenza manifesta fra il livello di qualifiche del candidato e il posto da coprire, la mancata convocazione ad un colloquio, e l’eventuale insistenza del datore di lavoro nel non convocare tale candidato laddove egli abbia proceduto ad una seconda selezione di candidati per lo stesso posto.

V –    Conclusione

38.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle due questioni pregiudiziali proposte dal Bundesarbeitsgericht:

«1)      Né l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, né l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, né l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, devono essere interpretati nel senso che un candidato ad un posto, qualora non sia stato assunto, deve poter esigere dal datore di lavoro che questi gli riveli se e in base a quali criteri ha assunto un altro candidato, anche qualora risulti che detto candidato dimostri in maniera plausibile di soddisfare i requisiti contenuti nell’annuncio pubblicato dal datore di lavoro.

2)      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, nonché dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, il giudice nazionale deve valutare l’atteggiamento di un datore di lavoro, consistente nel diniego di fornire le informazioni richieste da un candidato respinto sull’esito della procedura di assunzione e sui criteri seguiti dal datore di lavoro nel procedere all’assunzione di uno dei candidati, non limitandosi a considerare la mera assenza di risposta da parte del datore di lavoro, bensì collocandola nel più ampio contesto fattuale in cui si inserisce. A questo riguardo, il giudice del rinvio può tenere conto di elementi quali la corrispondenza manifesta fra il livello di qualifiche del candidato e il posto da coprire, la mancata convocazione ad un colloquio, e l’eventuale insistenza del datore di lavoro nel non convocare tale candidato laddove egli abbia proceduto ad una seconda selezione di candidati per lo stesso posto».


1 —       Lingua originale: il francese.


2 —       GU L 180, pag. 22.


3 —       GU L 303, pag. 16.


4 —       GU L 204, pag. 23.


5 —       Articolo 6 dell’AGG.


6 —       Sull’invocazione di quest’ultima direttiva, è vero che i fatti della causa principale sono avvenuti nella vigenza della direttiva 97/80/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, riguardante l’onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso (GU 1998, L 14, pag. 6). La direttiva 2006/54 ha sostituito la direttiva 97/80 nel corso del procedimento a quo. Ciò premesso, la direttiva 2006/54 non ha introdotto alcuna modifica quanto all’onere della prova.


7 —       V. articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/43, articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/78, nonché articoli 1, paragrafo 2, lettera a), e 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/54.


8 —       Il testo dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43 e dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2000/78 si distingue, da quello dell’articolo 4 della direttiva 97/80, solo per la posizione occupata nella frase della locuzione «secondo i loro sistemi giudiziari».


9 —       Articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54.


10 —       Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑104/10, Racc. pag. I‑6813).


11 —       Sentenza Kelly, cit. (punto 38).


12 —       V. articolo 4, lettera b), della proposta di direttiva del Consiglio sull’onere della prova nel campo della parità di retribuzione e della parità di trattamento tra donne e uomini [COM(88) 269 def.) presentata dalla Commissione il 27 maggio 1988 (GU C 176, pag. 5). Tale proposta è stata ritirata dalla Commissione nel 1998 (GU 1998, C 40, pag. 7).


13 —       Cit. (punto 30).


14 —       Occorre osservare che il legislatore ha ammesso che tale equilibrio venga infranto, ma solo a beneficio dell’attore, in quanto le tre direttive autorizzano gli Stati membri a realizzare un regime probatorio più favorevole alle parti attrici (v. articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2000/43, articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, nonché articolo 19, paragrafo 2, della direttiva 2006/54). Ciononostante, tale rottura dell’equilibrio rientra unicamente nella volontà del legislatore. Dagli atti risulta che la Repubblica federale di Germania, nel recepire le tre direttive interessate dal presente rinvio pregiudiziale, non ha realizzato un regime probatorio più favorevole alle parti attrici.


15 —       La Corte ha peraltro riconosciuto che, nel caso in cui un candidato ad una formazione professionale possa invocare la direttiva 97/80 al fine di accedere ad informazioni in possesso dell’organizzatore della formazione riguardanti le qualifiche degli altri candidati alla medesima, le norme del diritto dell’Unione in materia di riservatezza possono incidere su tale diritto d’accesso (sentenza Kelly, cit., punto 56).


16 —       V. il quindicesimo considerando della direttiva 2000/43, il quindicesimo considerando della direttiva 2000/78, nonché il trentesimo considerando della direttiva 2006/54. V. parimenti sentenza del 26 giugno 2001, Brunnhofer (C‑381/99, Racc. pag. I‑4961, punto 49).


17 —       Segnatamente sulla questione se delle dichiarazioni pubbliche di un datore di lavoro che annunziano che non assumerà lavoratori dipendenti aventi una determinata origine etnica o razziale costituiscano un fatto ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, v. sentenza del 10 luglio 2008, Feryn (C‑54/07, Racc. pag. I‑5187, punti 30 e 34).


18 —       Sentenza del 14 luglio 2011, Henfling e a. (C‑464/10, Racc. pag. I‑6219, punto 41 e la giurisprudenza citata).


19 —       Cit. (punto 39).


20 —       Anche in un caso del genere, la prova della discriminazione può essere difficile da fornire. Risulta tuttavia da una giurisprudenza costante che, qualora un’impresa applichi un sistema di retribuzione consistente in un meccanismo di maggiorazioni individuali applicate allo stipendio base, sistema caratterizzato da una totale mancanza di trasparenza, il datore di lavoro ha l’onere di provare che la sua prassi salariale non è discriminatoria, ove il lavoratore di sesso femminile dimostri, su un numero relativamente elevato di lavoratori, che la retribuzione media dei lavoratori di sesso femminile è inferiore a quella dei lavoratori di sesso maschile (v., ex plurimis, sentenza Brunnhofer, cit., punto 54 e la giurisprudenza citata).


21 —       V., per analogia, sentenza Kelly, cit. (punto 34).