Language of document : ECLI:EU:C:2017:212

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 15 marzo 2017 (1)

Causa C206/16

Marco Tronchetti Provera SpA e altri

contro

Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob)

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato, Italia)

«Diritto delle società – Direttiva 2004/25/CE – Tutela degli interessi degli azionisti di minoranza rispetto alle offerte pubbliche di acquisto – Articolo 5, paragrafo 4 – Nozione di “chiaramente determinati” – Disposizioni nazionali che consentono all’autorità di vigilanza di rettificare il prezzo proposto nell’offerta pubblica di acquisto – Collusione tra l’offerente nonché soggetti operanti di concerto con il medesimo e uno o più venditori»






1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25/CE (2). La disposizione de qua consente agli Stati membri di autorizzare le rispettive autorità di vigilanza nel settore dei valori mobiliari a modificare il prezzo proposto in un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria formulata in conformità di detta direttiva. Quest’ultima richiede, tuttavia, che tali misure siano adottate con modalità «chiaramente determinat[e]».

2.        Nell’ambito del procedimento principale, il Consiglio di Stato si chiede se l’eventuale applicazione della normativa italiana di attuazione della suddetta direttiva, che autorizza la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (in prosieguo: la «Consob») – l’autorità di vigilanza italiana – a rettificare in aumento il prezzo proposto in un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria in caso di collusione, possa essere considerata, alla luce delle circostanze del procedimento principale, «chiaramente determinat[a]» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25.

3.        La caratteristica peculiare del procedimento principale è il fatto che la modifica del prezzo proposto è scaturita da un’operazione diversa da quella sfociata nell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria. Inoltre, non risulta acclarato che tutte le parti coinvolte in detta ulteriore transazione intendessero tenere una condotta collusiva o fossero consapevoli del rischio in tal senso. La causa in esame permetterà pertanto alla Corte di precisare i limiti del potere riconosciuto agli Stati membri di autorizzare le loro autorità di vigilanza a derogare alla «regola del prezzo massimo pagato» sancita dall’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25.

4.        Come illustrerò in prosieguo, il paragrafo 4 dell’articolo 5 della direttiva 2004/25 consente agli Stati membri, in linea di principio, di autorizzare le proprie autorità di vigilanza a rettificare il prezzo proposto nell’ambito di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria in presenza di collusione della tipologia indicata nel paragrafo precedente. Tuttavia, tale disposizione impedisce di applicare la regola ad una serie di fattispecie le quali, in assenza di applicazione della direttiva, non sarebbero state altrimenti qualificate nel diritto nazionale come fattispecie di collusione.

I.      Contesto normativo

A.      Direttiva 2004/25

5.        La procedura di offerta pubblica di acquisto introdotta dalla direttiva 2004/25 si applica, in conformità del suo articolo 1 («Ambito di applicazione»), alle «offerte pubbliche di acquisto di titoli di una società di diritto di uno Stato membro, quando una parte o la totalità di detti titoli sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato». L’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva («Definizioni») definisce un’«offerta pubblica di acquisto» (o «offerta») come «un’offerta pubblica (esclusa l’offerta della società stessa sui propri titoli) rivolta ai possessori dei titoli di una società per acquisire la totalità o una parte di tali titoli, a prescindere dal fatto che l’offerta sia obbligatoria o volontaria, a condizione che sia successiva o strumentale all’acquisizione del controllo secondo il diritto nazionale della società emittente».

6.        Il successivo articolo 3 («Principi generali») dispone quanto segue:

«1.      Ai fini dell’attuazione della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a che siano applicati i seguenti principi:

a)      tutti i possessori di titoli di una società emittente della stessa categoria devono beneficiare di un trattamento equivalente; inoltre, se una persona acquisisce il controllo di una società, gli altri possessori di titoli devono essere tutelati;

b)      i possessori di titoli di una società emittente devono disporre di un lasso di tempo e di informazioni sufficienti per poter decidere con cognizione di causa in merito all’offerta; (…)

(…)

d)      non si devono creare mercati fittizi per i titoli della società emittente, della società offerente o di qualsiasi altra società interessata dall’offerta in modo tale da innescare aumenti o cali artificiali delle quotazioni dei titoli e da falsare il normale funzionamento dei mercati;

(…)

2.      Perché siano applicati i principi enunciati nel paragrafo 1, gli Stati membri:

a)      provvedono a che siano soddisfatti i requisiti minimi stabiliti dalla presente direttiva;

b)      possono fissare ulteriori condizioni e disposizioni più rigorose di quelle prescritte dalla presente direttiva per regolamentare le offerte».

7.        Il successivo articolo 4, paragrafo 2, («Autorità di vigilanza e diritto applicabile») designa l’autorità di vigilanza rispetto a un’offerta di acquisto. In particolare, la lettera a) stabilisce che «[l]’autorità cui compete la vigilanza sull’offerta è quella dello Stato membro in cui la società emittente ha la propria sede legale se i titoli di tale società sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato di tale Stato membro».

8.        Il paragrafo 5 del medesimo articolo 4 così recita:

«5.      Le autorità di vigilanza dispongono di tutti i poteri necessari per l’esercizio delle loro funzioni, tra cui l’obbligo di assicurarsi che le parti dell’offerta rispettino le norme adottate in applicazione della presente direttiva.

A condizione che siano rispettati i principi generali stabiliti dall’articolo 3, paragrafo 1, gli Stati membri possono prevedere nelle norme nazionali redatte o adottate ai sensi della presente direttiva deroghe a tali norme:

i)      introducendo tali deroghe nelle loro norme nazionali per tener conto di circostanze determinate a livello nazionale;

e/o

ii)      conferendo alle loro autorità di vigilanza, nei casi di loro competenza, la facoltà di derogare a tali norme nazionali o per tener conto delle circostanze di cui al punto i) o in altre circostanze specifiche, con obbligo, in quest’ultimo caso, di una decisione motivata».

9.        L’articolo 5 della direttiva medesima («Tutela degli azionisti di minoranza; offerta obbligatoria e prezzi equi») dispone quanto segue:

«1.      Gli Stati membri provvedono a che, qualora una persona fisica o giuridica, per effetto di propri acquisti o dell’acquisto da parte di persone che agiscono di concerto con essa, detenga titoli di una società (…) che, sommati ad una partecipazione già in suo possesso e ad una partecipazione di persone che agiscono di concerto con essa, le conferiscano, direttamente o indirettamente, diritti di voto in detta società in una percentuale tale da esercitare il controllo della stessa, detta persona sia tenuta a promuovere un’offerta per tutelare gli azionisti di minoranza di tale società. L’offerta è promossa quanto prima ed è indirizzata a tutti i possessori dei titoli per la totalità delle loro partecipazioni, al prezzo equo definito nel paragrafo 4.

(…)

4.      È considerato prezzo equo il prezzo massimo pagato per gli stessi titoli dall’offerente, o da persone che agiscono di concerto con lui, in un periodo, che spetta agli Stati membri determinare, di non meno di sei e non più di dodici mesi antecedenti all’offerta di cui al paragrafo 1. Se, dopo che l’offerta è stata resa pubblica e prima che venga chiusa per l’accettazione, l’offerente o qualsiasi persona che agisca di concerto con lui acquista titoli a un prezzo superiore a quello dell’offerta, l’offerente deve aumentare la sua offerta a non meno del prezzo massimo pagato per i titoli così acquistati.

Nel rispetto dei principi generali contenuti nell’articolo 3, paragrafo 1, gli Stati membri possono autorizzare le autorità di vigilanza a modificare il prezzo di cui al comma precedente in circostanze e secondo criteri chiaramente determinati. A tale scopo, possono redigere un elenco di circostanze nelle quali il prezzo massimo può essere modificato, verso l’alto o verso il basso, come ad esempio se il prezzo massimo è stato concordato tra l’acquirente ed un venditore, se i prezzi di mercato dei titoli in oggetto sono stati manipolati, se i prezzi di mercato in generale o in particolare sono stati influenzati da eventi eccezionali, o per permettere il salvataggio di un’impresa in difficoltà. Possono altresì definire i criteri da utilizzare in questi casi, come ad esempio il valore medio di mercato su un certo periodo, il valore di liquidazione della società o altri criteri oggettivi di valutazione generalmente utilizzati nell’analisi finanziaria.

Qualsiasi decisione delle autorità di vigilanza che modifica il prezzo equo deve essere motivata e resa pubblica.

(…)».

B.      Diritto italiano

10.      Il decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58, testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 (3) e successive modifiche (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 58/1998»), contiene talune disposizioni attuative della direttiva 2004/25. L’articolo 106 («Offerta pubblica di acquisto totalitaria») così recita:

«3.      La Consob disciplina con regolamento le ipotesi in cui:

(…)

d)      l’offerta, previo provvedimento motivato della Consob, è promossa ad un prezzo superiore a quello più elevato pagato purché ciò sia necessario per la tutela degli investitori e ricorra almeno una delle seguenti circostanze:

(…)

2)      vi sia stata collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori; (…)».

11.      Con decisione del 14 maggio 1999, la Consob ha adottato il regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti (4) e successive modifiche (in prosieguo: il «regolamento di attuazione»), il cui articolo 47 octies («Aumento del prezzo in caso di collusione») così dispone:

«1.      Il prezzo dell’offerta è rettificato in aumento dalla Consob, ai sensi dell’articolo 106, comma 3, lettera d), numero 2), del [decreto legislativo n. 58/1998], qualora dalla collusione accertata tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori emerga il riconoscimento di un corrispettivo più elevato di quello dichiarato dall’offerente. In tal caso, il prezzo dell’offerta è pari a quello accertato».

II.    Fatti, procedimento e questione pregiudiziale

12.      Il 17 maggio 2013 la Marco Tronchetti Provera SpA (in prosieguo: la «MTP»), una società il cui principale azionista è il sig. Marco Tronchetti Provera, costituiva – tramite società da essa controllate e unitamente ad altre società – una società denominata Lauro Sessantuno SpA (in prosieguo: la «Lauro 61»).

13.      Il 5 giugno 2013 la Lauro 61 comunicava al mercato un’offerta pubblica di acquisto per tutte le azioni della Camfin SpA al prezzo unitario di EUR 0,80 per azione, fissato sulla base dei prezzi di mercato dell’azione stessa nei precedenti 12 mesi.

14.      Al momento dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, la Camfin deteneva, direttamente o indirettamente, il 26,19% delle azioni della Pirelli & C. SpA (in prosieguo: la «Pirelli»). Alcuni azionisti della Pirelli tra cui, in particolare, la Malacalza Investimenti srl (in prosieguo: la «MCI»), la MTP, la Camfin, l’Allianz SpA e la Fondiaria SAI SpA (in prosieguo: la «FonSai») avevano precedentemente stipulato un cosiddetto accordo di lock‑up (in prosieguo: l’«accordo Pirelli»).

15.      La MCI, anch’essa socia della Camfin, sottoscriveva l’offerta della Lauro 61 trasferendo a quest’ultima il 12,37% del capitale nella Camfin al prezzo sopra indicato.

16.      Il 5 giugno 2013 il mercato veniva inoltre informato del fatto che (i) la Lauro 61 aveva sciolto gli accordi in essere tra la MTP e la MCI relativamente alla Camfin, che (ii) la MCI aveva venduto le sue azioni nella Camfin, che (iii) la MCI aveva acquistato dall’Allianz e dalla FonSai una partecipazione pari al 6,98% del capitale della Pirelli al prezzo di EUR 7,80 per azione, e che (iv) le parti del patto Pirelli – il cui presidente era il sig. Tronchetti Provera – avevano autorizzato l’Allianz e la FonSai a svincolare dal patto tutte o parte delle proprie azioni sindacate (in prosieguo: le «azioni Pirelli»).

17.      L’acquisizione si concludeva l’11 ottobre 2013 dopo che la Lauro 61 aveva prima acquistato il 95,95% del capitale della Camfin esercitando successivamente il proprio diritto di opzione sulle azioni residue, divenendo così l’unico titolare del capitale della Camfin, le cui azioni venivano pertanto revocate dalla quotazione in Borsa.

18.      In replica ad un esposto presentato da alcuni degli azionisti di minoranza della Camfin, il 12 settembre 2013 la Consob avviava un procedimento per l’aumento del prezzo dell’offerta pubblica di acquisto di cui trattasi.

19.      Ritenendo che i suddetti scambi avessero consentito alla MCI di ricavare dalla vendita delle azioni della Camfin un corrispettivo complessivo superiore a EUR 0,80 per azione, la Consob riscontrava un caso di collusione e, con decisione n. 18662 del 25 settembre 2013 (in prosieguo: la «decisione contestata»), aumentava di EUR 0,03 il prezzo unitario per azione portandolo a EUR 0,83 (5). La legittimità della decisione contestata veniva successivamente confermata in quattro sentenze emesse del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio in data 19 marzo 2014.

20.      Le quattro sentenze sono attualmente oggetto di una serie di impugnazioni pendenti dinanzi al giudice del rinvio. A tal riguardo, il giudice del rinvio afferma che la nozione di «collusione» ricorre nella normativa italiana in vari contesti. Benché il significato preciso della nozione de qua non sia statico, esso presuppone un accordo clandestino e fraudolento a danno di terzi in elusione di disposizioni imperative di legge, postulando dunque la sussistenza dell’elemento volitivo e intenzionale in capo a tutti i partecipi dell’accordo. A questo proposito, il giudice del rinvio ritiene che l’Allianz e la FonSai non fossero al corrente di detto accordo. L’accoglimento di tale interpretazione della nozione di «collusione» implicherebbe l’accoglimento delle impugnazioni proposte, in particolare, dalla MTP e dalla Lauro 61.

21.      Il giudice del rinvio aggiunge, peraltro, che la nozione di «collusione» potrebbe richiedere un’interpretazione diversa in ragione, in particolare, della specifica natura del settore del diritto considerato e della natura dei poteri di regolamentazione accordati alla Consob. Una siffatta interpretazione potrebbe peraltro sollevare problemi sul piano della certezza del diritto, in quanto potrebbe impedire agli operatori economici di prevedere come agire prima di presentare un’offerta pubblica di acquisto. A fronte, quindi, di dubbi in merito alla corretta interpretazione degli articoli 3, paragrafo 1, e 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25, il giudice del rinvio decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se osti alla corretta applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4), comma 2, della [direttiva 2004/25] in relazione ai principi generali stabiliti dall’articolo 3, paragrafo l, della stessa direttiva, nonché alla corretta applicazione dei principi generali di diritto europeo della certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento, di proporzionalità, di ragionevolezza, di trasparenza e di non discriminazione, una normativa nazionale, quale quella dell’articolo 106, comma 3, lettera d), numero 2), del [decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58] e successive modificazioni e dell’articolo 47 octies [del regolamento di attuazione] e successive modificazioni, nella parte in cui le citate disposizioni autorizzano la Consob ad aumentare l’offerta pubblica di acquisto di cui al citato articolo 106 qualora ricorra la circostanza che “vi sia stata collusione tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori”, senza individuare le specifiche condotte che integrano tale fattispecie, e dunque senza determinare chiaramente le circostanze e i criteri, in presenza dei quali la Consob è autorizzata a rettificare in aumento il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto».

III. Analisi

A.      Considerazioni preliminari

22.      Per la prima volta la Corte è chiamata a interpretare l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25. Questa, infatti, sarà solo la seconda volta in cui la Corte si pronuncerà sulle disposizioni contenute nella normativa in esame (6). Inoltre, a seguito della decisione del Consiglio di Stato di rimettere la presente causa dinanzi alla Corte, anche il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha deciso di sollevare cinque questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 (7).

23.      Il giudice del rinvio chiede essenzialmente se, in base all’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25, letto alla luce dell’articolo 3, paragrafo 1, della stessa e di determinati principi generali, in particolare del principio della certezza del diritto, sia ammissibile continuare ad interpretare la nozione di «collusione» – come impiegata nell’articolo 106, paragrafo 3, lettera d), numero 2, del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 e nell’articolo 47 octies del regolamento di attuazione (insieme, nel prosieguo: le «disposizioni italiane di cui trattasi») – nel senso che non richiede la sussistenza delle specifiche condotte che caratterizzano la fattispecie de qua.

24.      Dall’ordinanza di rinvio emerge che il giudice del rinvio prende in considerazione due possibili interpretazioni della nozione di «collusione»: da un lato, una lettura restrittiva che presuppone un accordo clandestino e fraudolento in danno di terzi e in elusione di disposizioni imperative di legge e che postula la sussistenza dell’elemento volitivo e intenzionale in capo a tutti i partecipi dell’accordo (in prosieguo: la «lettura restrittiva» o l’«accezione restrittiva»); dall’altra, una lettura estensiva della nozione di «collusione», in base alla quale l’accordo può consistere in elementi ulteriori rispetto alla transazione sfociata effettivamente nell’offerta pubblica di acquisto e che non richiede necessariamente l’esistenza di un elemento volitivo e intenzionale in capo a tutti i partecipi dell’accordo (in prosieguo: la «lettura estensiva» o l’«accezione estensiva»).

25.      Il giudice del rinvio osserva che, considerato che l’Allianz e la Fonsai non intendevano partecipare ad un accordo fraudolento e clandestino, una lettura restrittiva della nozione di «collusione» non consentirebbe di rettificare il prezzo come fatto dalla Consob. A parere del giudice a quo, la risposta che sarà data alla questione sollevata è quindi dirimente al fine di stabilire il prezzo che la Lauro 61 era tenuta ad offrire, a norma dell’articolo 5 della direttiva 2004/25, per le azioni della Camfin all’atto dell’acquisizione della medesima.

26.      In questa fase preliminare, desidero porre in particolare evidenza un aspetto di importanza centrale per la presente causa.

27.      In parole povere: non spetta alla Corte dire come debba essere interpretata la nozione di «collusione» impiegata nelle disposizioni italiane di cui trattasi. In particolare, non è la Corte a dover scegliere quale delle due interpretazioni prediligere. Legittimato al riguardo è sempre il giudice del rinvio (8). È quest’ultimo a dover decidere quale sia la lettura valida della nozione in esame, quella restrittiva o quella estensiva.

28.      Ciò detto, al fine di assistere il giudice del rinvio nel dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente, la Corte può e deve, dal canto suo, interpretare il diritto dell’Unione che, nel caso di specie, consiste essenzialmente nell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 e, in particolare, nel corretto significato dell’espressione «chiaramente determinati». Benché questi ultimi termini siano impiegati rispetto a misure adottate dagli Stati membri, l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva non lascia che sia la normativa nazionale a definire tale nozione. Trattandosi di una nozione autonoma di diritto dell’Unione, essa deve pertanto essere interpretata in maniera uniforme.

29.      Tuttavia, al fine di interpretare l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 in senso utile per il giudice del rinvio, appare opportuno ricordare che questi ha già escluso che la lettura restrittiva della nozione di «collusione» possa giustificare la conferma delle sentenze impugnate e, di conseguenza, della decisione contestata. Al giudice resta da valutare se la lettura estensiva della nozione di «collusione» possa essere ritenuta «chiaramente determinat[a]» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 ed è questa l’interpretazione su cui la Corte deve concentrare la propria risposta.

B.      Analisi della questione pregiudiziale

1.      Articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25: considerazioni preliminari

30.      Mentre l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2004/25 fissa le condizioni in presenza delle quali, una volta raggiunta una determinata soglia specificata nella normativa nazionale, scatta, per una persona fisica o giuridica, l’obbligo di promuovere un’offerta obbligatoria per i rimanenti titoli della società target, l’articolo 5, paragrafo 4, disciplina il prezzo che deve essere offerto in tale contesto.

31.      Il paragrafo 4, primo comma, dello stesso articolo 5 specifica con assoluta chiarezza i criteri generali di definizione di tale prezzo. Si tratta, molto semplicemente, del prezzo massimo pagato dall’offerente (o da persone che agiscono di concerto con il medesimo) in un determinato periodo: non meno di sei mesi e non più di un anno, come stabilito dagli Stati membri (la regola del prezzo massimo pagato). Inoltre, in base alla direttiva, detto prezzo è il prezzo equo. La ragione è evidente, posto che la regola del prezzo massimo pagato fissa, con assoluta chiarezza, il prezzo che deve essere offerto con modalità trasparenti e prevedibili.

32.      Tuttavia, ai sensi del paragrafo 4, secondo comma, dello stesso articolo 5, gli Stati membri possono autorizzare le proprie autorità di vigilanza a procedere, in presenza di talune circostanze, alla rettifica del prezzo. La formulazione della disposizione fa riferimento (i) alle circostanze concernenti l’offerta pubblica di acquisto e (ii) ai criteri da applicare alla rettifica dl prezzo. In tale contesto, gli Stati membri devono inoltre rispettare i principi generali sanciti dall’articolo 3, paragrafo 1, ove le circostanze e i criteri suddetti devono essere «chiaramente determinati».

33.      A mio avviso, dai suesposti rilievi emerge piuttosto chiaramente che l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva disciplina quando, perché e come uno Stato membro possa autorizzare le proprie autorità ad intervenire su un’offerta pubblica di acquisto ove la regola del prezzo massimo pagato non rifletta realmente il prezzo equo (9). Come spiegherò nel prosieguo, in tale contesto possono essere prese in considerazione solo le circostanze che presentano un collegamento chiaro e diretto con la transazione che fa scattare l’offerta pubblica di acquisto obbligatoria.

34.      Analizzerò ora, più in dettaglio, l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2004/25, oggetto del procedimento principale. Cosa richiede e cosa s’intende, di fatto, con l’espressione «chiaramente determinati»?

2.      Il paradigma: la discrezionalità dello Stato membro

35.      Ciò che emerge chiaramente è che l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2004/25 contiene un elenco di quelli che posso soltanto immaginare essere esempi non esaustivi da cui gli Stati membri possono trarre ispirazione laddove intendano autorizzare le proprie autorità di vigilanza a procedere alla rettifica del prezzo.

36.      Sembra chiaro, inoltre, che le «circostanze» richiamate nell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva che possono far scattare una modifica del prezzo si collocano, in termini analitici, a monte dei «criteri» da applicare nel compiere il suddetto adeguamento.

37.      A parte ciò, l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva non dice, di per sé, molto.

38.      Piuttosto certo è, inoltre, che l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva riconosce agli Stati membri il potere discrezionale di autorizzare le loro autorità di vigilanza a procedere alla rettifica del prezzo (10). La genesi della disposizione conferma tale tesi (11), al pari del contesto in cui essa si colloca. Come stabilito dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva, quest’ultima fissa soltanto dei requisiti minimi (12), cosicché gli Stati membri possono fissare condizioni e disposizioni più rigorose per regolamentare le offerte. Analogamente, l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva sembra riconoscere agli Stati membri, in termini generali, ampi poteri di deroga rispetto ad essa.

39.      È, infatti, opportuno ricordare che la direttiva 2004/25 ha rappresentato, in realtà, il risultato di un compromesso raggiunto tra il Parlamento europeo e il Consiglio (13). Dopo aver raggiunto tale compromesso, la Commissione – che dal 1985 aveva accennato all’idea di disposizioni comuni disciplinanti le modifiche della proprietà del capitale (14) e che, a tal fine, aveva presentato, senza successo, varie proposte in materia al legislatore dell’Unione (15) – rendeva una dichiarazione da aggiungere al verbale del Consiglio con cui esprimeva il proprio rammarico per il fatto che il testo infine adottato non era, a suo avviso, sufficientemente ambizioso e che talune parti essenziali erano divenute opzionali (16). Il suddetto iter legislativo segna ovviamente l’interpretazione della direttiva 2004/25.

40.      La discrezionalità riconosciuta dall’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 agli Stati membri non è comunque illimitata (17).

3.      Limiti alla discrezionalità dello Stato membro

a)      Principi di base

41.      In primo luogo, la regola del prezzo massimo pagato continua ad essere la regola generale. Ed esiste una logica in tale regola: un funzionamento efficiente dei mercati dei capitali nell’Unione richiede un sufficiente grado di prevedibilità rispetto al corrispettivo che deve essere proposto nell’ambito di un’offerta obbligatoria. In tale contesto, la regola del prezzo massimo pagato offre il duplice vantaggio di consentire agli azionisti di minoranza di ripartire interamente il sovrapprezzo versato dall’acquirente in qualsiasi momento del periodo considerato, fornendo nel contempo all’offerente la certezza di non dover corrispondere, nell’ambito dell’offerta obbligatoria, più di quanto egli sia stato disposto a pagare nel periodo precedente e, per l’effetto, consentendogli di stabilire esso stesso il prezzo massimo al quale sia disposto ad acquistare tutti i titoli della società (18). Di conseguenza, da un punto di vista strutturale, dovrebbe essere interpretato in senso ampio. Di contro, la possibilità concessa agli Stati membri di derogarvi dovrebbe essere circoscritta a quanto essenziale (19). Inoltre, ogni tentativo di disapplicare la regola del prezzo massimo pagato, nonché la duplice garanzia che essa offre, deve fondarsi su argomentazioni valide e deve pertanto risultare parimenti motivato a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, terzo comma, della direttiva.

42.      In secondo luogo, nell’esercitare il loro potere discrezionale, gli Stati membri devono rispettare i principi sanciti nell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva. Si tratta di principi guida per l’attuazione della direttiva de qua da parte degli Stati membri (20).

43.      Tuttavia, per quanto rileva nell’ambito del procedimento principale, non emerge alcun rischio per tali principi. In particolare, non ravviso alcuna violazione dei diritti processuali o della parità di trattamento degli azionisti della Camfin: le disposizioni italiane di cui trattasi possono, infatti, giustificare soltanto una rettifica in aumento in caso di collusione (21).

44.      Per di più, nessuno dei suddetti principi generali fa esplicito riferimento all’obiettivo di garantire la prevedibilità per l’offerente o per il pubblico in generale, il che emerge peraltro dai considerando della direttiva 2004/25, su cui tornerò infra, al paragrafo 59.

45.      L’articolo 3, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2004/25 richiama il principio generale secondo cui non si devono creare mercati fittizi per i titoli della società emittente, della società offerente o di qualsiasi altra società interessata dall’offerta in modo tale da innescare aumenti o cali artificiali delle quotazioni dei titoli e da falsare il normale funzionamento dei mercati. Il suddetto principio generale depone pertanto chiaramente a favore dell’idea che uno Stato membro possa autorizzare un’autorità di vigilanza a modificare il prezzo proposto in un’offerta pubblica di acquisto in caso di collusione in senso stretto. Ciò trova conferma nella formulazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva, che prevede specificamente circostanze in cui «il prezzo massimo è stato concordato tra l’acquirente ed un venditore», o in cui «i prezzi di mercato dei titoli in oggetto sono stati manipolati».

46.      Ora, rispetto alla lettura estensiva della nozione di «collusione» menzionata dal giudice del rinvio, i principi generali non risultano così risolutivi. Non posso però interpretarli nel senso che ostino a tale interpretazione.

47.      Al contrario, nelle proprie raccomandazioni – che costituiscono parte dell’iter legislativo che ha portato all’adozione dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 – il gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario sulle questioni attinenti alle offerte di pubblico acquisto fa riferimento alla nozione di «collusione» come ad «un accordo con il venditore diretto ad aggirare la regola del prezzo massimo pagato» (22). Tale definizione, che si concentra unilateralmente sul venditore, sembra sufficientemente ampia da ricomprendere la «collusione» sia nell’accezione restrittiva che in quella estensiva. Inoltre, la formulazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva non menziona, né direttamente, né indirettamente, un requisito di consapevolezza o intenzionalità.

48.      In terzo luogo, il potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri di autorizzare le loro autorità di vigilanza a modificare il prezzo di un’offerta pubblica di acquisto è limitato per ragioni più generali: a prescindere dal fatto che, laddove decida di procedere alla rettifica del prezzo di un’offerta, un’autorità di vigilanza deve agire nell’ambito dei propri poteri quali definiti nell’articolo 4 della direttiva 2004/25, la giurisprudenza indica che la direttiva non si applica a fattispecie che esulino dalla sua sfera di applicazione (23). In altre parole, la direttiva si applica, ratione materiae,alle offerte pubbliche di acquisto, vale a dire al rapporto tra offerente e possessori di titoli nella società target. Essa non può quindi trovare presuntivamente applicazione a transazioni che non abbiano nulla a che vedere con l’avvio di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria: il contrario non avrebbe alcun senso.

49.      Le «circostanze» di cui all’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva comprendono, pertanto, soltanto quelle circostanze giuridiche o di fatto che presentino un collegamento chiaro e diretto con una determinata offerta pubblica di acquisto obbligatoria. Inoltre, come rilevato dal governo italiano all’udienza, una transazione apparentemente distinta da quella da cui sia scaturita l’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, deve, in realtà, essere indispensabile all’operazione di acquisizione (sine qua non) per poter essere presa in considerazione in sede di rettifica del prezzo dell’offerta stessa.

50.      Il fatto che, a norma dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/25, quest’ultima armonizzi solo parzialmente le regole in materia di offerte pubbliche di acquisto resta irrilevante al riguardo. Uno Stato membro non può autorizzare la propria autorità di vigilanza a derogare all’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva rettificando il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto con modalità che, pur rafforzando la protezione degli azionisti di minoranza, rendano conseguentemente inefficace la regola del prezzo massimo pagato, consentendo all’autorità medesima di tener conto di operazioni che esulino dalla sfera dei suoi poteri o dall’ambito di applicazione della direttiva de qua (24).

b)      Il significato e gli effetti dei termini «chiaramente determinati»

51.      Ora, per quanto attiene allo specifico significato dei termini «chiaramente determinati», entrambe le parti nel procedimento principale richiamano, ai propri fini, la sentenza Periscopus (25). In detta sentenza, la Corte EFTA ha dichiarato incompatibile con l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2004/25 consentire all’autorità di vigilanza di derogare alla regola del prezzo massimo pagato laddove risulti chiaramente che tale prezzo non rifletta il prezzo di mercato, senza chiarire ulteriormente la nozione di «prezzo di mercato». La sentenza di cui trattasi non consente peraltro di rispondere alla questione qui in esame. Anzitutto, in quanto nel procedimento principale non si discuteva del fatto che il prezzo offerto fosse chiaramente inferiore al prezzo di mercato, ma piuttosto del fatto che esso fosse il risultato di collusione, il che costituisce verosimilmente una circostanza diversa. In secondo luogo, in quanto le disposizioni italiane di cui trattasi che formano oggetto della presente controversia non sono laconiche quanto quelle norvegesi esaminate nell’ambito di detta sentenza. Da ultimo, in quanto la sentenza de qua non vincola questa Corte.

52.      A mio avviso, i termini «chiaramente determinati» impongono che l’autorizzazione accordata alle autorità di vigilanza a procedere alla rettifica del prezzo assuma la forma di un complesso di regole scritte pubblicate in anticipo e facilmente accessibili al pubblico (in prosieguo: le «disposizioni correttive nazionali»). Non rileva se tali regole siano adottate da un dipartimento governativo o dall’autorità di vigilanza e neppure se esse assumano la forma di diritto primario o derivato, a condizione che esse siano vincolanti.

53.      Tuttavia, a mio avviso, dall’espressione «chiaramente determinati» non si può ricavare l’obbligo per le disposizioni correttive nazionali di descrivere anticipatamente, in termini esaustivi e dettagliati, ogni specifica situazione (26).A tal riguardo, ritengo, in linea con il governo italiano, che, in luogo di elencare singolarmente e in termini esaustivi i casi specifici in cui un’autorità di vigilanza possa procedere alla rettifica del prezzo di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, il legislatore dell’Unione abbia invece optato di impiegare il più generico termine «circostanza». Del pari, tendo a concordare con la Commissione nel ritenere che l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva non impedisca agli Stati membri di ricorrere a nozioni giuridiche astratte.

54.      Alla luce delle suesposte considerazioni, non ho alcuna difficoltà a riconoscere che l’espressione «chiaramente determinati» permetta allo Stato membro di adottare disposizioni correttive nazionali che consentono alla sua autorità di vigilanza di rettificare il prezzo di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria in caso di collusione intesa sia nell’accezione restrittiva sia in quella estensiva.

55.      Ad ogni modo, il giudice del rinvio – una Corte suprema nazionale – ritiene che una lettura restrittiva della nozione di «collusione» sia quella generalmente applicata nel diritto italiano. Come già rilevato, non spetta alla Corte esprimersi sulla questione quale delle due interpretazioni delle disposizioni italiane in esame sia corretta. La Corte deve soltanto stabilire se l’espressione «chiaramente determinati» quale impiegata nell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25, modifichi tale conclusione – o, per precisare più chiaramente l’aspetto su cui la Corte è in realtà chiamata a statuire, imponga una siffattalettura estensiva.

56.      Alla questione va data, a mio avviso, risposta negativa.

57.      In primo luogo, ciò equivarrebbe a interpretare l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva in senso estensivo, contrariamente alla sua natura di deroga alla regola del prezzo massimo pagato.

58.      In secondo luogo, gli Stati membri possono optare se esercitare la discrezionalità conferita loro dall’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2004/25 e, in caso affermativo, fissare a tal fine le disposizioni correttive nazionali in conformità del principio di autonomia procedurale. Nel procedimento principale, in sede di emanazione delle disposizioni italiane di cui trattasi è stata compiuta una scelta, vale a dire quella di ricorrere ad una nozione che – deduco – non è nuova per il diritto italiano, ossia quella di «collusione». A questo riguardo, aderire alla lettura estensiva della nozione di «collusione» semplicemente in ragione del collegamento alla direttiva, laddove ciò non avvenga rispetto a questioni riguardanti soltanto il diritto nazionale, sembra azzardato. Il principio di equivalenza impone unicamente che le domande fondate sul diritto dell’Unione siano trattate alla pari di quelle fondate sul diritto nazionale, non che sia loro accordato un trattamento preferenziale.

59.      In terzo luogo, per quanto attiene specificamente al principio della certezza del diritto, menzionato dal giudice del rinvio nella formulazione della sua questione pregiudiziale, uno degli obiettivi generali della direttiva 2004/25 è quello di creare un contesto chiaro e trasparente a livello di Unione per quanto riguarda i problemi giuridici da risolvere nel caso di offerte pubbliche di acquisto (27). Inoltre, sia il suddetto principio sia la necessità, a norma dell’articolo 288 TFUE, di assicurare la piena applicazione delle direttive, in diritto e non solamente in fatto, esigono che tutti gli Stati membri riproducano le prescrizioni della direttiva in questione in un quadro normativo chiaro, preciso e trasparente, che preveda disposizioni vincolanti nel settore che essa ha ad oggetto (28). Tale obbligo deve trovare applicazione a fortiori rispetto alle disposizioni correttive nazionali che gli Stati membri hanno adottato o mantenuto in conformità dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva.

60.      Il principio della certezza del diritto richiede, in particolare, di esaminare se l’atto giuridico di cui trattasi sia viziato da un’ambiguità tale da costituire un ostacolo a che gli interessati possano eliminare, con sufficiente certezza, eventuali dubbi quanto alla sua portata o al suo senso (29). Per contro, anche se la direttiva 2004/25 indubbiamente non costituisce uno strumento giuridico di diritto penale che richiede di per sé l’applicazione di nozioni convenzionali di diritto e procedura penale, la mera circostanza che un operatore non possa conoscere con precisione in anticipo il livello o la tipologia delle ammende irrogabili nelle singole fattispecie per una determinata condotta non può costituire una violazione del principio di legalità della pena (30).

61.      Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale richiamato nel precedente paragrafo, pur riguardando solitamente l’eccezione, sollevata da un privato, secondo cui la legge non sarebbe sufficientemente precisa da rendere prevedibili le conseguenze giuridiche di una determinata condotta – il che, di norma, non integra una giustificazione (ignorantia iuris non excusat) –, non permette di risolvere in modo soddisfacente la questione laddove sia un giudice nazionale a non essere certo dell’interpretazione delle proprie regole (iura non novit curia). Se nel diritto italiano avesse generalmente prevalso la lettura estensiva della nozione di «collusione», le circostanze che consentano di procedere alla rettifica del prezzo sarebbero allora «chiaramente determinat[e]». Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio emerge che le cose stanno diversamente.

62.      È qui che l’espressione di «chiaramente determinati», di cui all’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25, che è soltanto un’emanazione del principio della certezza del diritto, rivela il suo vero carattere. Le disposizioni correttive nazionali possono ovviamente ricorrere a nozioni indeterminate che possono evolvere gradualmente nel tempo attraverso l’interpretazione dei giudici degli Stati membri. Tuttavia, tali nozioni non possono cambiare radicalmente contenuto per capriccio solo perché un’autorità di vigilanza desidera applicarle a un nuovo insieme di circostanze non coperte dalla loro precedente lettura sostenendo nel contempo che sono «chiaramente determinat[e]» (31). Ammettere una siffatta arbitrarietà comprometterebbe l’obiettivo perseguito dalla direttiva di creare un contesto chiaro e trasparente a livello di Unione, non da ultimo, per gli operatori.

63.      Illuminante al riguardo è il fatto che il giudice del rinvio afferma che, se non fosse stato per la direttiva 2004/25, avrebbe accolto le impugnazioni della MTP e della Lauro 61. I dubbi nutriti dal giudice del rinvio in merito alla corretta interpretazione delle proprie regole sono infatti, di per sé, sufficienti ad evidenziare che le disposizioni italiane di cui trattasi non sono «chiaramente determinat[e]» ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva, così da consentire una lettura estensiva della nozione di «collusione» al fine di derogare alla regola del prezzo massimo pagato.

64.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25 osti a un’applicazione di una disposizione di diritto nazionale che consenta all’autorità di vigilanza a procedere alla rettifica in aumento del prezzo proposto in un’offerta pubblica di acquisto in caso di collusione, in presenza di una serie di circostanze che, se non fosse stato per l’applicazione della direttiva in parola, non sarebbero state altrimenti qualificate come un caso di collusione.

65.      Non è quindi necessario, a mio avviso, pronunciarsi in merito alla questione se la vendita delle azioni Pirelli – e, in particolare, gli effetti del patto di sindacato tra gli azionisti – presenti un collegamento chiaro e diretto con l’operazione che ha fatto scattare l’obbligo per la Lauro 61 di promuovere un’offerta pubblica di acquisto. In ogni caso, tale compito, che richiede la raccolta dei fatti e delle prove, sarebbe in definitiva rimesso al giudice del rinvio.

IV.    Conclusione

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione del Consiglio di Stato nel senso che l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto, come modificata dal regolamento (CE) n. 219/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2009, che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio determinati atti soggetti alla procedura di cui all’articolo 251 del trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo, Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo – parte seconda, dev’essere interpretato nel senso che osti all’applicazione di una disposizione di diritto nazionale che consenta ad un’autorità nazionale di vigilanza di procedere alla rettifica del prezzo proposto in un’offerta pubblica di acquisto nel caso di una collusione che, se non fosse stato per l’applicazione della direttiva, non sarebbe stata altrimenti qualificata nel diritto nazionale come tale.


1.–      Lingua originale: l’inglese


2 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto (GU 2004, L 142, pag. 12), come modificata dal regolamento (CE) n. 219/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2009, che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio determinati atti soggetti alla procedura di cui all’articolo 251 del trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo, Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo – parte seconda (GU 2009, L 87, pag. 109).


3 –      GURI Serie Generale del 26 marzo 1998, n. 71 – Supplemento Ordinario n. 52.


4 –      GURI Serie Generale del 28 maggio 1999, n. 123 – Supplemento Ordinario n. 100.


5 –      Il suddetto maggior prezzo era stato ottenuto mediante un’operazione di calcolo consistente nella divisione dell’importo di EUR 6,6 milioni – che, secondo la tesi di Consob, costituiva il vantaggio conseguito dalla MCI in termini di minor prezzo pagato per le azioni Pirelli – per le azioni Camfin acquistate dalla Lauro 61. Il nuovo prezzo, così fissato, comportava per la Lauro 61 un maggiore esborso complessivo di circa EUR 8,5 milioni.


6 –      V. sentenza del 15 ottobre 2009, Audiolux e a., C‑101/08, EU:C:2009:626, in particolare punti da 47 a 51.


7 –      Cause Amber Capital Italia e Amber Capital UK, C‑654/16; Hitachi Rail Italy Investments, C‑655/16; Finmeccanica, C‑656/16; Bluebell Partners Limited, C‑657/16, ed Elliot International e a., C‑658/16, tutte pendenti dinanzi alla Corte.


8 –      Analogamente, una questione con cui un giudice nazionale chieda alla Corte se esso possa o debba interpretare la normativa nazionale nel senso più conforme al diritto dell’Unione resta una questione vertente sull’interpretazione del diritto nazionale ed è pertanto inammissibile: v. sentenza del 27 febbraio 2014, Pohotovosť, C‑470/12, EU:C:2014:101, punti da 58 a 61.


9 –      V., in tal senso, la Relazione del gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario sulle questioni attinenti alle offerte di pubblico acquisto, Bruxelles, 10 gennaio 2002, pag. 50.


10 –      In senso conforme, v. Enriques, L., «The Mandatory Bid Rule in the Takeover Directive: Harmonization Without Foundation?», European Company and Financial Law Review, n. 4, 2004, pag. 440, in particolare pag. 446, il quale afferma che «per quanto attiene, nello specifico, al prezzo equo, gli Stati membri e le loro autorità di vigilanza godranno di un’ampia discrezionalità nel determinare le circostanze e i criteri atti a giustificare una riduzione» (traduzione libera).


11 –      Diversamente dalla proposta della Commissione di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le offerte pubbliche di acquisto, COM(2002) 534 definitivo (GU 2003, C 45 E, pag. 1), l’articolo 5, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2004/25 non dice che gli Stati membri «elaborano» ma che «possono» redigere un elenco di circostanze nelle quali il prezzo massimo può essere modificato.


12 –      A norma del considerando 25 della direttiva 2004/25, quest’ultima mira a «definire (…) orientamenti minimi per lo svolgimento delle offerte pubbliche d’acquisto e assicurare una tutela adeguata ai possessori di titoli in tutta [l’Unione]».


13 –      V., inter alia, la relazione dell’8 dicembre 2003 sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le offerte pubbliche di acquisto, Commissione giuridica e per il mercato interno del Parlamento europeo, A5‑0469/2003 definitivo, pag. 18, v. pag. 6, e il documento del Consiglio n. 16116/03, del 16 dicembre 2003, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le offerte pubbliche di acquisto, punto II [fascicolo interistituzionale n. 2002/0240 (COD)].


14 –      Libro bianco del 14 giugno 1985 della Commissione al Consiglio europeo: Il completamento del mercato interno [COM(85) 310 def.], punti 139 e segg.


15 –      V.. Proposta della Commissione, del 19 gennaio 1989, di tredicesima direttiva del Consiglio in materia di diritto delle società concernente le offerte pubbliche di acquisto o di scambio [COM(88) 823 def.; GU 1989, C 64, pag. 8), e proposta della Commissione, del 7 febbraio 1996, di tredicesima direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di diritto delle società concernente le offerte pubbliche di acquisizione [COM(95) 655 def.; GU 1996, C 162, pag. 5].


16 –      V. dichiarazione della Commissione nel documento del Consiglio n. 7088/04, del 12 marzo 2004, sull’adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le offerte pubbliche di acquisto, punto 2 [fascicolo interistituzionale n. 2002/0240 (COD)].


17 –      Il considerando 6 della direttiva 2004/25 stabilisce che, «[p]er essere efficaci, le norme sulle offerte pubbliche di acquisto dovrebbero essere flessibili e adattabili ad eventuali nuove circostanze e, di conseguenza, dovrebbero contemplare la possibilità di eccezioni e deroghe. Tuttavia, nell’applicare le disposizioni o le eccezioni stabilite o nel concedere eventuali deroghe le autorità di vigilanza dovrebbero rispettare determinati principi generali» (il corsivo è mio).


18 –      V. Relazione del gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario sulle questioni attinenti alle offerte di pubblico acquisto, Bruxelles, 10 gennaio 2002, pagg. 49 e 50.


19 –      Per una posizione restrittiva rispetto al potere discrezionale riconosciuto alle autorità di vigilanza di derogare alla regola del prezzo massimo pagato, v. Papadopoulos, T., «The European Union Directive on Takeover Bids: Directive 2004/25/EC», International and Comparative Law Journal, vol. 6, n. 3, pag. 13, in particolare pagg. 30 e 31, il quale afferma che un ampio potere discrezionale di modificare il prezzo nell’offerta pubblica di acquisto sarebbe incompatibile con il principio generale sancito nell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/25 (in mancanza di un’adeguata giustificazione un aggiustamento del prezzo al ribasso violerebbe il principio di parità di trattamento degli azionisti) e con l’articolo 49 TFUE (in mancanza di un’adeguata giustificazione un aggiustamento del prezzo al rialzo scoraggerebbe gli offerenti).


20 –      V. sentenza del 15 ottobre 2009, Audiolux e a., C‑101/08, EU:C:2009:626, punto 51.


21 –      Ciò premesso, la Corte ha ritenuto che il principio generale di parità di trattamento degli azionisti di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/25 non imponga di interpretare sempre le disposizioni nazionali nel senso più favorevole per gli azionisti di minoranza di una società: v., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2009, Audiolux e a., C‑101/08, EU:C:2009:626, punti da 47 a 52.


22 –      Relazione del gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario sulle questioni attinenti alle offerte di pubblico acquisto, Bruxelles, 10 gennaio 2002, pag. 50.


23 –      V., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2009, Audiolux e a., C‑101/08, EU:C:2009:626, punto 49.


24 –      V., per analogia, sentenza del 21 dicembre 2016, AGET Iraklis, C‑201/15, EU:C:2016:972, punti 36 e 37.


25 –      Sentenza della Corte EFTA del 10 dicembre 2010, Periscopus/Oslo Børs ed Erik Must, E‑1/10, EFTA Court Report 2009‑10, pag. 200.


26 –      V., in tal senso, sentenza della Corte EFTA del 10 dicembre 2010, Periscopus/Oslo Børs ed Erik Must, E‑1/10, EFTA Court Report 2009‑10, pag. 200, punto 47.


27 –      V. considerando 3 della direttiva 2004/25.


28 –      V., a titolo esemplificativo, sentenze del 15 marzo 1990, Commissione/Paesi Bassi, C‑339/87, EU:C:1990:119, punti 6, 22 e 25, e del 14 gennaio 2010, Commissione/Repubblica ceca, C‑343/08, EU:C:2010:14, punto 40.


29 –      V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2005, Belgio/Commissione, C‑110/03, EU:C:2005:223, punto 31.


30 –      V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 58 e giurisprudenza citata.


31      V., al riguardo, sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, cause riunite C 189/02 P, C 202/02P, da C 205/02 P a C 208/02 P e C 2013/02 P, EU:C:2005:408, punti 217 e 218.