Language of document : ECLI:EU:C:2013:58

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 31 gennaio 2013 (1)

Causa C‑677/11

Doux Élevage SNC,

Coopérative agricole UKL‑ARREE

contro

Ministère de l’Agriculture, de l’Alimentation, de la Pêche, de la Ruralité et de l’Aménagement du territoire,

Comité interprofessionnel de la dinde française (CIDEF)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Aiuti concessi dagli Stati – Estensione a tutti gli operatori di una filiera di un accordo che istituisce un contributo obbligatorio – Risorse statali – Imputabilità»





1.        La presente causa offre alla Corte l’occasione di intervenire nuovamente sulle nozioni di «risorse statali» e di «imputabilità allo Stato» nel settore degli aiuti di Stato.

2.        Infatti, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) (Francia) ci chiede di chiarire la portata della sentenza Pearle e a. (2), al fine di sapere se la decisione di un’autorità nazionale che estende a tutti i membri di un’organizzazione interprofessionale riconosciuta dallo Stato un accordo che istituisce un contributo obbligatorio destinato a finanziare, tra l’altro, iniziative di promozione e di difesa degli interessi del settore abbia «per oggetto» un aiuto di Stato.

I –    Il quadro normativo

A –    Diritto dell’Unione

3.        Il Trattato FUE vieta, in linea di principio, gli aiuti concessi dagli Stati membri alle imprese. Infatti, l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE stabilisce quanto segue:

«Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

4.        Al fine di garantire l’attuazione di tali disposizioni, l’articolo 108 TFUE prevede una procedura di controllo e di autorizzazione preventiva degli aiuti di Stato. In particolare, in forza del paragrafo 3 di tale disposizione, gli Stati membri sono tenuti a notificare alla Commissione europea i loro progetti diretti a istituire o modificare aiuti e non possono dare esecuzione a tali progetti prima che la Commissione sia giunta a una decisione.

B –    Diritto francese

5.        In diritto francese le organizzazioni interprofessionali sono costituite dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative della produzione agricola, della trasformazione, della commercializzazione e della distribuzione di tale produzione.

6.        La maggior parte dei principi applicabili alle organizzazioni interprofessionali agricole è contenuta nella legge n. 75‑600, del 10 luglio 1975, relativa all’organizzazione interprofessionale agricola, che è stata in seguito codificata nel libro VI della parte normativa del Code rural et de la pêche maritime (codice rurale e della pesca marittima; in prosieguo: il «code rural»).

7.        Osservo che talune disposizioni rilevanti nel caso di specie sono state modificate dalla legge n. 2010‑874, del 27 luglio 2010, per la modernizzazione dell’agricoltura e della pesca. Tuttavia, dal momento che tale legge è successiva alla proposizione del ricorso che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale nella presente causa, ritengo opportuno fare riferimento alle disposizioni del code rural allora in vigore.

8.        Ai sensi dell’articolo L. 611‑1 del code rural:

«Un Conseil supérieur d’orientation et de coordination de l’économie agricole et alimentaire [Consiglio superiore di orientamento e coordinamento dell’economia agricola e alimentare], composto da rappresentanti dei Ministri interessati, della produzione agricola, della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli, dell’artigianato e del commercio indipendente degli alimenti, dei consumatori e delle associazioni riconosciute per la protezione dell’ambiente, della proprietà agricola, dei sindacati rappresentativi dei lavoratori delle filiere agricole e alimentari partecipa alla definizione, al coordinamento, all’attuazione e alla valutazione della politica di orientamento delle produzioni e di organizzazione dei mercati.

(…)».

9.        L’articolo L. 632‑1 del code rural stabilisce quanto segue:

«I.      I gruppi costituiti su loro iniziativa dalle organizzazioni professionali maggiormente rappresentative della produzione agricola nonché, a seconda dei casi, della trasformazione, della commercializzazione e della distribuzione possono essere riconosciuti come organizzazioni interprofessionali dall’autorità amministrativa competente previo parere del Conseil supérieur d’orientation et de coordination de l’économie agricole et alimentaire, a livello nazionale o a livello di singola regione di produzione, per prodotto o gruppo di prodotti determinati, quando mirano, in particolare attraverso la conclusione di accordi interprofessionali, nel contempo:

–        a definire e promuovere iniziative contrattuali tra i loro membri;

–        a contribuire alla gestione dei mercati, per mezzo di una vigilanza anticipativa dei mercati, attraverso un migliore adattamento dei prodotti ai piani quantitativi e qualitativi e la loro promozione;

–        a migliorare la sicurezza alimentare, in particolare attraverso la tracciabilità dei prodotti, nell’interesse degli utilizzatori e dei consumatori.

Le organizzazioni interprofessionali possono perseguire anche altri scopi, in particolare:

–        favorire il mantenimento e lo sviluppo del potenziale economico del settore;

–        favorire lo sviluppo delle valorizzazioni non alimentari dei prodotti;

–        partecipare alle azioni internazionali di sviluppo;

–        (…)

II.      Può essere riconosciuta una sola organizzazione interprofessionale per ciascun prodotto o gruppo di prodotti. (…)

(…)».

10.      L’articolo L. 632‑2‑I del code rural così dispone:

«(…)

Le organizzazioni interprofessionali riconosciute possono essere consultate in merito agli orientamenti e alle misure relative alle politiche di filiera che le riguardano.

Esse contribuiscono all’attuazione delle politiche economiche nazionali e comunitarie e possono beneficiare di un regime preferenziale nell’attribuzione degli aiuti pubblici.

(…)».

11.      Secondo l’articolo L. 632‑2‑II del code rural:

«(…)

[Gli accordi conclusi in seno ad una delle organizzazioni interprofessionali riconosciute per un determinato prodotto] sono adottati con decisione unanime delle professioni che compongono l’organizzazione interprofessionale ai sensi delle disposizioni del primo comma dell’articolo L. 632‑4 (…)

Tali accordi sono notificati, non appena conclusi e prima della loro entrata in vigore, al ministre de l’Agriculture [Ministro dell’Agricoltura], al ministre chargé de l’Économie [Ministro responsabile dell’Economia] e all’Autorité de la concurrence [Autorità per la concorrenza].

(…)».

12.      Ai sensi dell’articolo L. 632‑3 del code rural:

«Gli accordi conclusi nell’ambito di un’organizzazione interprofessionale riconosciuta possono essere estesi, per una durata determinata, in tutto o in parte, dall’autorità amministrativa competente quando mirano, attraverso contratti tipo, convenzioni di campagna ed azioni comuni o che perseguono un interesse comune conformi all’interesse generale e compatibili con le regole della politica agricola comune, a migliorare in particolare:

1°      La conoscenza dell’offerta e della domanda;

2°      L’adeguamento e la regolarizzazione dell’offerta;

3°      L’applicazione, sotto il controllo dello Stato, di regole di immissione sul mercato, di prezzo e di condizioni di pagamento. (…);

4°      La qualità dei prodotti (…);

5°      Le relazioni interprofessionali nel settore interessato (…);

6°      Le informazioni relative alle filiere e ai prodotti nonché la loro promozione sul mercato nazionale e sui mercati esteri;

7°      Le azioni collettive di lotta contro i rischi e gli eventi imprevedibili inerenti alla produzione, trasformazione, commercializzazione e distribuzione dei prodotti agricoli e alimentari;

8°      La lotta contro gli organismi nocivi ai sensi dell’articolo L. 251‑3;

9°      Lo sviluppo delle valorizzazioni non alimentari dei prodotti;

10°      La partecipazione alle azioni internazionali di sviluppo;

11°      Lo sviluppo delle relazioni contrattuali tra i membri delle professioni rappresentate nell’organizzazione interprofessionale (…)».

13.      L’articolo L. 632‑4 del code rural prevede quanto segue:

«L’estensione di tali accordi è subordinata all’adozione, con decisione unanime, delle loro disposizioni da parte delle professioni rappresentate nell’organizzazione interprofessionale. (…)

Se l’estensione è stata dichiarata, le misure così previste sono obbligatorie, nella regione di produzione interessata, per tutti i membri delle professioni aderenti a tale organizzazione interprofessionale.

L’autorità competente dispone di un termine di due mesi a decorrere dal ricevimento della domanda presentata dall’organizzazione interprofessionale per statuire sull’estensione richiesta. Qualora, alla scadenza del suddetto termine, essa non abbia comunicato la propria decisione, la domanda è considerata accolta.

Le decisioni di rifiuto dell’estensione devono essere motivate».

14.      L’articolo L. 632‑6 del code rural stabilisce quanto segue:

«Le organizzazioni interprofessionali riconosciute di cui agli articoli L. 632‑1 e L. 632‑2 possono riscuotere presso tutti i membri delle professioni ad esse aderenti i contributi previsti dagli accordi estesi conformemente alla procedura di cui agli articoli L. 632‑3 e L. 632‑4, i quali, nonostante la loro obbligatorietà, rimangono crediti di diritto civile.

(…)

Possono essere prelevati contributi anche sui prodotti importati alle condizioni definite con decreto. A richiesta delle organizzazioni interprofessionali beneficiarie, tali contributi sono riscossi alla dogana, a spese delle stesse. Tali contributi non escludono l’applicabilità di oneri parafiscali».

15.      L’articolo L. 632‑8‑I del code rural dispone quanto segue:

«Le organizzazioni interprofessionali riconosciute presentano ogni anno alle autorità amministrative competenti il rendiconto delle loro attività e forniscono:

–        i conti finanziari;

–        un rapporto sulle attività svolte e il verbale delle assemblee generali;

–        un bilancio dell’applicazione di ciascun accordo esteso.

Esse forniscono alle autorità amministrative competenti tutti i documenti la cui comunicazione è richiesta da queste ultime per l’esercizio dei loro poteri di controllo».

II – Fatti

A –    Le organizzazioni interprofessionali

16.      Ad oggi, esistono in Francia poco meno di 60 organizzazioni interprofessionali agricole riconosciute dall’autorità amministrativa competente. Si tratta di persone giuridiche di diritto privato, in generale associazioni disciplinate dalla legge del 1° luglio 1901 relativa al contratto di associazione.

17.      Il Comité interprofessionnel de la dinde française (Comitato interprofessionale del tacchino francese; in prosieguo: il «CIDEF») è proprio una di tali organizzazioni. Il CIDEF, associazione senza scopo di lucro, è stato costituito nel 1974, tra le organizzazioni professionali rappresentative dei diversi settori della filiera del tacchino. Esso raggruppa dunque quattro famiglie professionali, cioè quelle della «produzione», della «cova artificiale – importazione di uova da cova e di razze», della «macellazione–trasformazione» e dei «mangimi».

18.      Con decreto interministeriale del 24 giugno 1976, l’autorità amministrativa ha riconosciuto il CIDEF come organizzazione interprofessionale agricola ai sensi della legge n. 75‑600.

19.      L’articolo 2 dello statuto del CIDEF definisce gli obiettivi di tale associazione: raggruppare tutte le iniziative professionali al fine di organizzare e regolamentare il mercato del tacchino; porre in essere a tal fine un sistema di informazioni statistiche finalizzato a portare a conoscenza degli operatori in modo costante l’istituzione di allevamenti, le macellazioni, gli stock, il commercio estero, i consumi delle famiglie e delle collettività; regolarizzare la produzione e il mercato del tacchino attraverso iniziative relative alla quantità dell’offerta e della domanda; dotarsi dei mezzi economici necessari; rendere obbligatoria la stipula di contratti scritti per la fornitura, tra operatori, di prodotti e servizi; svolgere il ruolo di interlocutore delle autorità nazionali e comunitarie per tutti i problemi comuni alle categorie professionali sollevati dal tacchino; nell’ambito della Comunità economica europea, attuare la cooperazione più stretta possibile con gli operatori del tacchino dei paesi partner; adottare tutte le iniziative utili alla risoluzione dei problemi tecnici e assicurare alle categorie professionali della filiera di produzione di carni di pollame prestazioni di servizi in ambiti che presentano un interesse comune.

20.      Ai sensi dell’articolo 8 dello statuto, le risorse del CIDEF includono, tra l’altro, i contributi dei suoi membri, le sovvenzioni che potrebbero essergli concesse, nonché ogni altra risorsa consentita dai testi legislativi e regolamentari.

B –    La controversia di cui al procedimento principale

21.      Con un accordo interprofessionale del 18 ottobre 2007, le organizzazioni professionali aderenti al CIDEF hanno firmato un accordo interprofessionale relativo in particolare alle attività condotte dal CIDEF e all’introduzione di un contributo interprofessionale, concluso per un periodo di tre anni. Con una clausola aggiuntiva stipulata lo stesso giorno, l’importo di tale contributo è stato fissato per l’anno 2008 in EUR 14 per 1 000 tacchinotti. Con due decreti adottati il 13 marzo 2008, il Ministro dell’Economia, delle Finanze e del Lavoro, e il Ministro dell’Agricoltura e della Pesca (in prosieguo: l’«autorità competente») hanno esteso l’accordo interprofessionale per une periodo di tre anni e la clausola aggiuntiva per un periodo di un anno. Con una nuova clausola aggiuntiva del suddetto accordo interprofessionale, sottoscritta il 5 novembre 2008, il CIDEF ha deciso di mantenere inalterato il contributo interprofessionale per l’anno 2009. Ai sensi dell’articolo L. 632‑4, quarto comma, del code rural, tale clausola è stata estesa con decisione tacita di accettazione dell’autorità competente in data 29 agosto 2009 (in prosieguo: la «decisione del 2009»). Ai sensi della legislazione in vigore, tale decisione tacita è stato oggetto di un parere del Ministero dell’Alimentazione, dell’Agricoltura e della Pesca, pubblicato sul JORF [Gazzetta ufficiale della Repubblica francese] del 30 settembre 2009.

22.      Le ricorrenti nel procedimento principale, la Doux Élevage SNC e la coopérative agricole [cooperativa agricola] UKL‑ARREE sono due imprese della filiera del tacchino le quali, come gli altri operatori di tale filiera, sono state assoggettate al versamento del contributo interprofessionale introdotto da tale clausola del 2009. Con atto introduttivo del 30 novembre 2009, esse hanno proposto un ricorso per eccesso di potere davanti al Conseil d’État, al fine di ottenere, da un lato, l’annullamento della decisione tacita di estensione della clausola del 5 novembre 2008 e, dall’altro, l’annullamento del parere ministeriale pubblicato il 30 settembre 2009.

23.      Esse hanno sostenuto che il contributo interprofessionale introdotto con la clausola del 5 novembre 2008, esteso e reso obbligatorio per tutti gli operatori dell’organizzazione interprofessionale con la decisione controversa, costituiva aiuto di Stato e che, pertanto, tale decisione avrebbe dovuto essere preventivamente notificata alla Commissione ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

24.      Pertanto, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, letto alla luce della sentenza del 15 luglio 2004, Pearle e a. (C‑345/02), debba essere interpretato nel senso che la decisione di un’autorità nazionale che estende a tutti gli operatori di una filiera un accordo che, al pari dell’accordo concluso in seno al Comité interprofessionnel de la dinde française (CIDEF), istituisce un contributo nell’ambito di un’organizzazione interprofessionale riconosciuta dall’autorità nazionale e lo rende in tal modo obbligatorio, al fine di consentire la realizzazione di iniziative di comunicazione, di promozione, di relazioni esterne, di garanzia della qualità, di ricerca e di difesa degli interessi del settore, nonché l’acquisizione di studi e panel di consumatori, tenuto conto della natura, delle modalità di finanziamento e delle condizioni di attuazione delle iniziative in questione, abbia per oggetto un aiuto di Stato».

C –    Il contesto

25.      Secondo i documenti inclusi nel fascicolo, i giudici francesi, e in particolare il Conseil d’État, hanno già avuto occasione in relazione ad altri procedimenti di valutare se i contributi istituiti dalle organizzazioni interprofessionali riconosciute, comunemente denominati «contributi volontari obbligatori» (in prosieguo: i «CVO»), nonché gli atti amministrativi con cui tali contributi erano stati resi obbligatori per tutti gli operatori della filiera interessata, rientrassero nella nozione di aiuti di Stato.

26.      Il Conseil d’État, in tali procedimenti, ha costantemente fornito una risposta negativa. Il giudice nazionale, alla luce della giurisprudenza Pearle e a., ha infatti escluso che i CVO possano essere considerati come risorse statali, in quanto essi non comportano per lo Stato alcun aumento di spesa né alcuna riduzione delle entrate (3). Tuttavia, a seguito di rilievi effettuati dalla Corte dei conti, il governo francese ha deciso, nel 2008, di notificare alla Commissione un programma‑quadro di iniziative suscettibili di essere condotte dalle organizzazioni interprofessionali e vi ha allegato dieci accordi conclusi dalle organizzazioni interprofessionali più importanti. Il governo francese, restando convinto che tale programma‑quadro non contenesse alcun elemento proprio di un aiuto di Stato, precisava di aver proceduto a tale notificazione soltanto a fini di certezza del diritto.

27.      Di contro la Commissione, con decisione del 10 dicembre 2008, ha ritenuto che le misure in questione rientrassero nella nozione di aiuti di Stato. La Commissione ha successivamente constatato che tali misure non rischiavano di influenzare negativamente le condizioni degli scambi in modo contrario all’interesse comune e ne ha dedotto che esse potevano beneficiare della deroga prevista dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE (4). La Commissione è pervenuta alla stessa conclusione anche in due ulteriori decisioni del 29 giugno (5) e del 13 luglio 2011 (6). Tutte queste decisioni sono state oggetto di ricorsi di annullamento proposti dinanzi al Tribunale sia dalla Repubblica francese, sia da alcune organizzazioni interprofessionali coinvolte, le quali – tra gli altri argomenti – hanno contestato la qualificazione di aiuti di Stato attribuita a tali misure (7).

III – Analisi

A –    Introduzione

28.      In sostanza, il giudice del rinvio ha chiesto dei chiarimenti in merito alla questione di sapere se la decisione dell’autorità amministrativa competente di estendere l’applicabilità dei CVO, istituiti da un’organizzazione interprofessionale, a tutti gli operatori di un settore abbia per oggetto un aiuto di Stato, in quanto costituisce un modo per finanziare una misura del genere.

29.      Così, a differenza della maggior parte dei procedimenti che sollevano problemi di controllo sugli aiuti di Stato, la questione posta nella presente causa dal Conseil d’État riguarda – se mi è consentito riprendere un’espressione utilizzata dall’avvocato generale Jacobs – «non il profilo “spese” del sistema [messo in atto dallo Stato], ma il suo profilo “finanziamento”» (8). La specificità della questione è dovuta alle circostanze particolari del procedimento principale. Infatti, le ricorrenti nel procedimento principale non si sono opposte ad un aiuto presunto in quanto concorrenti dei beneficiari o, più in generale, in quanto imprese danneggiate da tale misura. Al contrario, esse rientrano tra i beneficiari dell’aiuto in questione. Tuttavia, esse sembrano ritenere che i contributi che esse sono tenute a versare per finanziare le misure in questione siano più elevati di qualsiasi vantaggio che esse possono ottenere da queste ultime (9).

30.      Per tale ragione, le ricorrenti nel procedimento principale hanno agito in giudizio contro le autorità amministrative competenti al fine di essere esentate dal versamento di tali contributi. Per contestare la validità della decisione del 2009, esse hanno invocato argomenti fondati sulle regole dell’Unione in materia di aiuti di Stato.

31.      Infatti, secondo una giurisprudenza costante, un aiuto non può essere considerato indipendentemente dagli effetti delle sue modalità di finanziamento. L’esame di una misura di aiuto deve pertanto prendere necessariamente in considerazione anche le modalità di finanziamento dell’aiuto, nel caso in cui queste ultime costituiscano parte integrante della misura. Le modalità di finanziamento di un aiuto possono dunque rendere incompatibile con il mercato interno il regime di aiuti complessivamente considerato che esse mirano a finanziare. Pertanto, al fine di assicurare l’effetto utile dell’obbligo di notifica nonché un esame adeguato e completo, da parte della Commissione, di un aiuto di Stato, lo Stato membro è tenuto, per rispettare il suddetto obbligo, a notificare non soltanto il progetto relativo all’aiuto propriamente detto, ma anche le modalità di finanziamento dell’aiuto, in quanto costituenti parte integrante della misura prevista (10).

32.      Ciò significa che, se questa Corte dovesse concludere nel senso che i CVO sono destinati a finanziare misure di aiuti di Stato, la decisione del 2009 avrebbe dovuto essere notificata alla Commissione ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

33.      Di conseguenza, dal momento che tale decisione non è mai stata notificata alla Commissione, le ricorrenti nel procedimento principale potrebbero essere probabilmente in condizione di contestarne con successo la validità dinanzi ai giudici nazionali, sulla base della giurisprudenza costante secondo cui tali giudici devono «garantire che dalla violazione dell’articolo [108, paragrafo 3, ultimo periodo, TFUE] saranno tratte tutte le conseguenze previste dal rispettivo diritto interno, sia per quanto concerne la validità degli atti di attuazione delle misure d’aiuto, sia per quanto attiene al recupero dei contributi finanziari concessi in violazione di tale norma» (11).

34.      Prima di procedere ad un esame più approfondito delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, pare utile ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, per valutare se una misura costituisce aiuto di Stato, è necessario verificare se siano cumulativamente soddisfatte quattro condizioni. Innanzitutto, deve trattarsi di un intervento dello Stato o attuato mediante risorse statali. In secondo luogo, l’intervento deve essere di natura tale da incidere sugli scambi tra Stati membri. In terzo luogo, esso deve recare un vantaggio al beneficiario. In quarto luogo, esso deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (12).

35.      È chiaro che, nel caso che ci interessa, dobbiamo concentrarci sulla prima di queste quattro condizioni.

36.      A questo proposito, la Corte ha costantemente affermato che l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE riguarda il complesso degli aiuti concessi dagli Stati o mediante risorse statali, prescindendo dalla distinzione tra l’aiuto concesso direttamente dallo Stato o quello concesso da enti pubblici o privati che esso istituisce o designa al fine della gestione (13). La Corte ha anche aggiunto che «un provvedimento della pubblica autorità che favorisca determinate imprese o determinati prodotti non perde il suo carattere di vantaggio gratuito per il fatto di venire in tutto o in parte finanziato da contributi imposti dalla stessa autorità alle imprese considerate» (14).

37.      La Corte ha precisato la portata e il significato dell’espressione aiuti «concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali», nelle sue pronunce rese nelle cause PreussenElektra (15) e Stardust Marine (16), nelle quali essa ha fatto uno sforzo di sistematizzazione della sua precedente giurisprudenza e di chiarificazione delle questioni ancora aperte. In particolare, nella prima di tali cause, la Corte ha sottolineato che il finanziamento mediante risorse statali era un elemento costitutivo della nozione di aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. La misura statale deve dunque comportare un onere per le finanze pubbliche, o sotto forma di una spesa, o sotto forma di minori entrate (17). Nella seconda causa, il giudice dell’Unione ha concluso che, affinché una misura possa essere qualificata come «aiuto di Stato», essa deve essere imputabile allo Stato e tale imputabilità non può essere dedotta dalla sola circostanza che la suddetta misura sia stata adottata da un ente pubblico. È necessario anche verificare se si debba considerare che le autorità pubbliche siano state coinvolte in qualche modo nell’adozione di tale misura (18).

38.      Queste due cause sono ben conosciute e riteniamo che non sia necessario illustrare ulteriormente la giurisprudenza della Corte. Di contro, riteniamo utile richiamare brevemente la sentenza della Corte nella citata causa Pearle e a., alla quale il Conseil d’État si riferisce esplicitamente nella questione sollevata in via pregiudiziale.

B –    La causa Pearle e a.

39.      In questa causa, senza modificarne i principi, la Corte ha sviluppato la propria giurisprudenza sulle nozioni di «risorse statali» e di «imputabilità allo Stato». A tal proposito, non sono d’accordo con la Commissione quando questa afferma che la sentenza Pearle e a. costituisce un’eccezione, e finora l’unica, ai principi stabiliti dalla Corte in tale giurisprudenza. Al contrario, la causa Pearle e a. è, a mio avviso, una logica e naturale applicazione della giurisprudenza precedente in tema di risorse statali e imputabilità allo Stato.

40.      Tale causa riguardava la legalità degli oneri imposti ai propri membri da un ente pubblico, lo Hoofdbedrijfschap Ambachten (gruppo interprofessionale olandese dell’artigianato; in prosieguo: lo «HBA»), in vista del finanziamento di una campagna pubblicitaria collettiva in favore delle imprese del settore dell’ottica. Il legislatore olandese aveva attribuito agli enti come lo HBA le competenze necessarie a realizzare la loro missione, tra cui quella di adottare regolamenti che istituiscono prelievi sulle imprese che rientrano nel settore di attività in questione, al fine di poter sostenere le proprie spese.

41.      Le ricorrenti nel procedimento principale, imprese attive nel commercio di materiale ottico, contestavano i prelievi che erano stati istituiti dallo HBA su richiesta di un’associazione privata di ottici [Nederlandse Unie van Opticiens (NUVO)]. A tal proposito, le ricorrenti sostenevano che i servizi resi per la campagna pubblicitaria costituivano misure di aiuto ai sensi del Trattato e che i regolamenti dello HBA che istituivano gli oneri destinati al finanziamento di tali aiuti erano illegittimi, in quanto essi non erano stati preventivamente notificati alla Commissione.

42.      Nella sua sentenza, la Corte ha respinto tali argomenti, seguendo in sostanza l’analisi della misura svolta dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer (19). Innanzitutto, la Corte ha osservato che i fondi utilizzati dallo HBA per il finanziamento della campagna pubblicitaria in questione erano stati raccolti presso i propri membri, beneficiari della campagna, mediante contributi destinati in modo vincolato all’organizzazione della campagna pubblicitaria medesima. Dal momento che le spese sostenute dall’ente pubblico ai fini della suddetta campagna erano interamente compensate dai prelievi sulle imprese che ne avevano beneficiato, l’intervento dello HBA non creava un vantaggio che costituisse una maggiore spesa per lo Stato o per tale ente (20).

43.      In secondo luogo, la Corte ha osservato che l’iniziativa di organizzare e porre in essere la campagna pubblicitaria in questione proveniva dalla NUVO, un’associazione privata di ottici, e non dallo HBA. Quest’ultimo ha unicamente svolto la funzione di strumento per la raccolta e la destinazione delle risorse ottenute verso un obiettivo puramente commerciale fissato in anticipo dal settore professionale in questione e che non rientrava in nessun modo nell’ambito di una politica definita dalle autorità olandesi (21).

44.      La Corte ha dunque distinto la causa da quella che aveva dato luogo alla citata sentenza Steinike & Weinlig. Da un canto, infatti, il fondo oggetto di quest’ultima causa era finanziato al contempo da sovvenzioni dirette dello Stato e da contributi delle imprese affiliate, l’aliquota e la base imponibile dei quali erano fissate dalla legge istitutiva del fondo. Dall’altro, il fondo in questione costituiva lo strumento di attuazione di una politica determinata dallo Stato, vale a dire la promozione dell’agricoltura, della silvicoltura e dell’industria alimentare nazionali (22).

45.      La Corte ne ha dedotto che la condizione richiesta dall’attuale articolo 107, paragrafo 1, TFUE relativa alle risorse statali era, nelle circostanze del caso di specie, assente.

C –    La misura di cui al procedimento principale

46.      È alla luce dei principi che derivano da tale giurisprudenza che devono essere esaminate, a mio avviso, le misure oggetto della controversia di cui al procedimento principale.

47.      Le ricorrenti nel procedimento principale e la Commissione, sulla base di argomenti molto simili, sostengono che le misure richiamate dal Conseil d’État costituiscono aiuti di Stato in quanto soddisfano tutte le condizioni previste dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Sia le ricorrenti nel procedimento principale che la Commissione ritengono che due elementi distinguano la presente causa da quella che ha dato luogo alla citata sentenza Pearle e a.

48.      Da un lato, esse ritengono che lo Stato abbia il potere di garantire che le organizzazioni interprofessionali agiscano in conformità alla sua politica economica. A tal proposito, esse fanno leva sul fatto che gli articoli L. 632‑1 e L. 632‑2 del code rural fissano, in generale, gli obiettivi che le organizzazioni interprofessionali devono perseguire, se esse intendono essere riconosciute dallo Stato e, più specificamente, qualora esse richiedano l’estensione della validità dei propri accordi.

49.      Dall’altro, esse evocano i poteri di controllo sulle organizzazioni interprofessionali che le autorità pubbliche sarebbero in condizione di esercitare in diversi momenti della vita di tali associazioni, in particolare quando esse richiedono il riconoscimento da parte dello Stato o l’estensione dei propri accordi a tutti gli operatori del settore. Inoltre, sussisterebbe anche un controllo ex post, in quanto le organizzazioni interprofessionali sono tenute a trasmettere ogni anno un certo numero di documenti e di informazioni alle autorità pubbliche, ai sensi dell’articolo L. 632‑8‑I del code rural.

50.      Premetto subito che non condivido la tesi sostenuta dalle ricorrenti nel procedimento principale e dalla Commissione. Infatti, non sono convinto che le presunte differenze tra la presente causa e la citata causa Pearle e a. siano determinanti. Al contrario, alla stregua di quanto sostenuto dal governo francese e dal CIDEF, rilevo notevoli affinità tra queste due cause, almeno per quanto riguarda gli aspetti rilevanti ai fini della soluzione delle questioni di diritto sollevate dal giudice del rinvio.

51.      In particolare, mi pare che, come nella citata causa Pearle e a., le misure in questione non possano essere qualificate come aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto difettano i due elementi delle risorse statali e dell’imputabilità delle misure allo Stato.

D –    Risorse statali e imputabilità allo Stato

52.      Nella presente causa, ritengo necessario procedere ad un’analisi articolata in tre tappe. Innanzitutto, le organizzazioni interprofessionali sono enti pubblici, nel senso di enti che fanno parte della pubblica amministrazione? Se così non è, i fondi utilizzati da tali organizzazioni per finanziare le loro iniziative costituiscono «risorse pubbliche» in quanto provenienti, direttamente o indirettamente, dallo Stato o da altri enti pubblici? Se così non è, tali fondi potrebbero essere qualificati come «risorse pubbliche» e considerati come imputabili allo Stato in quanto, nonostante essi provengono da imprese private, le iniziative con essi finanziate sono assoggettate a un controllo effettivo da parte dei poteri pubblici?

1.      Ente pubblico

53.      In merito alla prima tappa, non ho dubbi sul fatto che organizzazioni interprofessionali come quelle di cui al procedimento principale non possono essere considerate come appartenenti alla pubblica amministrazione: sono associazioni di diritto privato, create su iniziativa dei loro membri, che decidono autonomamente le loro iniziative. Per quanto consti, nessun rappresentante delle pubbliche amministrazioni fa parte del consiglio di amministrazione di tali organizzazioni, né risulta titolare dei poteri di amministrazione o direzione in seno alle stesse.

2.      Risorse pubbliche

54.      Passando alla seconda tappa, devo attirare l’attenzione su una premessa essenziale sulla quale si fonda il mio ragionamento. Le azioni giudiziarie intraprese dalle ricorrenti nel procedimento principale riguardano, come già sottolineato, l’intervento dello Stato che rende obbligatori per tutti i membri di una professione i CVO istituiti dalle organizzazioni interprofessionali. Il giudice del rinvio menziona tali contributi come fonte di finanziamento delle iniziative «di comunicazione, di promozione, di relazioni esterne, di garanzia della qualità, di ricerca e di difesa degli interessi del settore, nonché l’acquisizione di studi e panel di consumatori» poste in essere dalle organizzazioni interprofessionali. Pertanto, è sulla base della premessa secondo cui tali iniziative sono esclusivamente finanziate dai CVO che esamino l’eventuale natura di aiuto di Stato di tale intervento statale.

55.      La mia analisi potrebbe condurre a conclusioni diverse se tali iniziative fossero state, in tutto o in parte, finanziate con fondi pubblici. A questo proposito, rilevo che, ai sensi dell’articolo L. 632‑2‑I del code rural, «[l]e organizzazioni interprofessionali riconosciute (…) possono beneficiare di un regime preferenziale nell’attribuzione degli aiuti pubblici». Analogamente, l’articolo 8 dello statuto del CIDEF menziona, tra le risorse dell’associazione, le «sovvenzioni che potrebbero esserle concesse».

56.      È di tutta evidenza che la condizione relativa alle risorse statali ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE sarebbe soddisfatta se le misure in questione fossero finanziate o cofinanziate da sovvenzioni pubbliche, e ciò anche se potrebbe essere difficile distinguere tra le iniziative finanziate unicamente dai CVO e quelle finanziate con sovvenzioni pubbliche in un caso, come quello di cui alla presente causa, in cui le organizzazioni interprofessionali non tengono una contabilità distinta (23).

57.      Tuttavia, i fondi privati utilizzati dalle organizzazioni interprofessionali non divengono «risorse pubbliche» soltanto perché utilizzate insieme a somme che provengono dal bilancio pubblico. In altri termini, la natura pubblica di taluni fondi non si estende automaticamente ad altre fonti di finanziamento che, in linea di principio, non soddisfano le condizioni previste dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

58.      La relazione esatta tra fondi pubblici e privati nel bilancio e nelle iniziative delle organizzazioni interprofessionali sarebbe, in ogni caso, un elemento che spetterebbe al giudice nazionale valutare (o alla Commissione nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 108 TFUE).

59.      Ricordo, ancora, che il Conseil d’État interpella la Corte, nella presente procedura, soltanto a proposito del rapporto tra la nozione di aiuto di Stato della decisione dell’autorità statale di estendere ad un intero settore la decisione di un’organizzazione interprofessionale di istituire un contributo che permetta la realizzazione di iniziative di promozione di tale settore. Di conseguenza, al fine di rispondere alla questione del Conseil d’État, soltanto la natura dei CVO sarà oggetto della mia analisi condotta alla luce dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

60.      A tal proposito, ritengo che i CVO non costituiscano risorse statali nel senso che esse non creano maggiori spese per lo Stato né per alcun altro ente pubblico. Infatti, i CVO provengono direttamente dagli operatori economici attivi sui mercati presi in considerazione dalle organizzazioni interprofessionali.

61.      Inoltre, i CVO non sono risorse che normalmente avrebbero dovuto essere versate al bilancio statale, come nel caso delle esenzioni fiscali. Lo Stato non ha alcun diritto di rivendicare tali somme. Addirittura le organizzazioni interprofessionali sono tenute ad adire il giudice ordinario qualora un membro di una delle professioni della filiera si rifiuti di pagare i CVO. Lo Stato non è in alcun modo parte di tale procedimento giudiziario.

62.      Il tenore letterale del code rural conferma tale interpretazione al suo articolo L. 632‑6, che prevede che i CVO, «nonostante la loro obbligatorietà, rimangono crediti di diritto civile» e che essi «non escludono l’applicabilità di oneri parafiscali». Tale circostanza non è contestata né dalla Commissione né dalle ricorrenti nel procedimento principale. Peraltro, il carattere privato dei CVO è stato recentemente riaffermato dal Conseil Constitutionnel il quale, in una decisione del 17 febbraio 2012, ha escluso che tali contributi possano costituire «oneri fiscali di qualsiasi natura» ai sensi dell’articolo 34 della Costituzione francese (24).

3.      Controllo da parte delle autorità pubbliche e imputabilità allo Stato

63.      Rimane la terza tappa: le somme percepite dalle organizzazioni interprofessionali non sono in fin dei conti somme messe a disposizione dei poteri pubblici, in quanto le autorità potrebbero esercitare, in un dato momento, un potere di controllo su tali risorse (25)? Tali autorità pubbliche sono coinvolte in qualche modo nell’adozione delle misure finanziate con le suddette somme?

64.      Nella presente causa, a mio avviso, la risposta deve essere negativa, in quanto le norme nazionali prese in considerazione dalle parti non suggeriscono in alcun modo che i poteri pubblici possano esercitare un reale controllo sui CVO e sulle iniziative che esse finanziano.

65.      Al contrario, la decisione di introdurre i CVO, nonché la determinazione della loro base imponibile e delle loro aliquote e modalità di finanziamento rientrano nell’assoluta discrezionalità delle organizzazioni interprofessionali. L’intervento dello Stato, al fine di estendere l’applicabilità dei CVO a tutti gli operatori attivi nel settore, è chiaramente finalizzata a evitare i «free riders», cioè imprese che beneficiano delle misure adottate dalle organizzazioni interprofessionali senza tuttavia avervi contribuito. Nei limiti in cui tali iniziative perseguono realmente l’interesse dell’intero settore, e ipotizzando che tutte le imprese attive in tale settore possano, in qualche modo trarne vantaggi, considero l’intervento dello Stato come semplicemente finalizzato a garantire il «level playing field» (cioè a fare in modo che le imprese possano farsi concorrenza ad armi pari).

66.      Il sistema messo in atto dal code rural sembra essere un sistema «chiuso» nel senso che le somme in questione sono gestite e controllate per tutto il tempo da enti privati: esse sono pagate dagli operatori delle filiere alle organizzazioni interprofessionali, le quali le impiegano per iniziative ritenute produttive di vantaggi per quegli stessi operatori. In nessun momento tali somme ricadono sotto il controllo pubblico.

67.      Peraltro rilevo che, contrariamente alla citata giurisprudenza Steinkine & Weinlig e Pearle e a., i CVO, nella presente causa, non sono raccolti da un ente che appartiene alla pubblica amministrazione.

68.      Inoltre, non condivido la tesi delle ricorrenti nel procedimento principale e della Commissione là dove esse affermano che i CVO devono essere considerati come assoggettati al controllo pubblico in quanto lo Stato può sempre rifiutarsi di estendere la loro applicabilità, malgrado la richiesta avanzata in tal senso dalle organizzazioni interprofessionali, oppure decidere di estendere l’accordo solo parzialmente o per un periodo di tempo limitato. A mio avviso, una semplice facoltà per lo Stato di dire «no» alle organizzazioni interprofessionali non comporta automaticamente il tipo di controllo che la Corte ha considerato rilevante nella sua giurisprudenza (26). La nozione di «controllo» secondo tale giurisprudenza deve essere intesa, a mio parere, come un potere di dirigere, o almeno di influenzare i tempi o i modi in cui i fondi in questione sono utilizzati.

69.      La mia conclusione avrebbe potuto essere diversa se il governo francese avesse avuto la possibilità di subordinare il suo assenso alla condizione che le somme siano utilizzate per azioni stabilite dalla pubblica amministrazione. In tal caso, infatti, lo Stato sarebbe in condizione di perseguire le proprie politiche grazie allo sfruttamento dei fondi raccolti dalle organizzazioni interprofessionali.

70.      Non mi sembra che nel caso di specie le cose stiano così. Le disposizioni rilevanti del code rural prevedono semplicemente che lo Stato può estendere l’applicabilità degli accordi che istituiscono i CVO e che «le decisioni di rifiuto dell’estensione devono essere motivate» (27). Nessuna disposizione attribuisce all’autorità competente il potere di dirigere o di influenzare l’amministrazione dei fondi.

71.      Il Conseil d’État ha peraltro affermato in due recenti sentenze che le disposizioni del code rural non autorizzavano le autorità pubbliche ad assoggettare i CVO «a forme di controllo diverse da quello di regolarità e di conformità alla legge» (28). Ciò sembra escludere, a mio avviso, qualsiasi tipo di controllo di opportunità politica o di conformità alla politica delle autorità pubbliche (29). Le informazioni che il governo francese ha fornito alla Corte in occasione dell’udienza confermano tale conclusione (30).

72.      Rileviamo anche che la regola prevista dall’articolo L. 632‑4 del code rural, secondo la quale soltanto gli accordi conclusi all’unanimità tra le diverse categorie delle organizzazioni interprofessionali possono essere estesi, renderebbe difficile per lo Stato esercitare una reale influenza sul contenuto di tali accordi. Sarebbe infatti sufficiente che una sola categoria tra quelle che compongono l’organizzazione interprofessionale si trovi in disaccordo con ciò che i poteri pubblici abbiano eventualmente suggerito o proposto, per rendere impossibili gli accordi e, di conseguenza, la loro estensione.

73.      Il fatto che lo Stato abbia il potere, in virtù dell’articolo L. 632‑8‑I del code rural, di ottenere informazioni dalle organizzazioni interprofessionali sul modo in cui i CVO sono stati utilizzati non sembra opporsi a tale conclusione. Tali poteri di verifica a posteriori sembrano intrinsecamente legati al fatto che i CVO sono resi obbligatori per mezzo di un provvedimento statale. Dal momento che è lo Stato ad autorizzare l’estensione dei contributi, la legge gli impone anche di verificare se la propria decisione non sia stata applicata in modo incorretto o illegittimo. Di conseguenza, tali poteri non attribuiscono allo Stato una capacità concreta di influire sull’utilizzazione dei fondi, ma mirano solo all’obiettivo di evitare le frodi e gli abusi.

74.      Per tali ragioni, un controllo a posteriori da parte dello Stato mi sembra non soltanto legittimo, ma anche auspicabile. Si potrebbe dire che lo Stato in tal modo non fa altro che assumersi la propria responsabilità nei confronti delle imprese che sono state assoggettate ai CVO a causa della sua decisione di estendere gli effetti dell’accordo che istituisce tali contributi.

75.      Inoltre, non rinvengo né un articolo della normativa francese né un elemento di fatto che potrebbero suggerire che lo Stato abbia effettivamente esercitato un influenza determinante sulle iniziative delle organizzazioni interprofessionali e, in particolare, che le autorità pubbliche siano state coinvolte, in qualche modo, nell’adozione delle misure adottate da tali organizzazioni. Peraltro, nessuna delle parti ha sostenuto che le autorità dello Stato abbiano tentato di esercitare una simile influenza, fosse anche solo per via informale.

76.      Ricordiamo in primo luogo che il code rural prevede una procedura di consenso tacito per l’estensione degli accordi. La decisione del 2009 contestata dalle ricorrenti nel procedimento principale è peraltro il risultato di una tale procedura. Tale circostanza mi sembra difficilmente conciliabile con l’idea di una pubblica amministrazione che voglia orientare e controllare l’azione delle organizzazioni interprofessionali in generale e, più precisamente, l’utilizzazione dei fondi.

77.      In secondo luogo, rileviamo che non è neppure possibile presumere che tali organizzazioni debbano «tener conto delle direttive impartite» (31) dai poteri pubblici o non possano prendere decisioni «senza tener conto delle esigenze» di questi ultimi (32).

78.      A questo proposito, le ricorrenti nel procedimento principale e la Commissione richiamano innanzitutto l’articolo L. 632‑1 del code rural, secondo il quale le organizzazioni interprofessionali possono essere riconosciute dallo Stato soltanto se la loro missione comprende gli obiettivi enunciati da tale disposizione. Esse invocano, in seguito, le condizioni enunciate all’articolo L. 632‑3 del code rural e che devono essere soddisfatte affinché gli accordi possano essere estesi dallo Stato all’intera organizzazione interprofessionale.

79.      A questo proposito, va rilevato che gli obiettivi che le organizzazioni interprofessionali devono (33) o possono (34) perseguire ai sensi dell’articolo L. 632‑1 del code rural per ottenere il loro riconoscimento sono ivi descritti in termini molto generali e riguardano tutti i tipi di iniziative che sono proprie delle associazioni che raggruppano gli attori di un settore economico. In tutti gli obiettivi enunciati in tale disposizione si può sempre trovare un interesse commerciale diretto per i membri dell’associazione. Da tale disposizione, non deriva affatto che tali associazioni sono tenute a bilanciare i loro interessi con quelli della società complessivamente considerata, o di intraprendere iniziative che non procurano alcun beneficio ai loro membri, anche se per molti degli obiettivi (come la sicurezza alimentare ad esempio) interesse pubblico e interesse privato possono coincidere.

80.      La stessa constatazione può essere fatta a proposito degli obiettivi che, ai sensi dell’articolo L. 632‑3 del code rural, gli accordi conclusi dalle organizzazioni interprofessionali devono perseguire al fine di permettere all’autorità competente di estendere i loro effetti.

81.      Innanzitutto, l’elenco di tali obiettivi è, da un lato, molto lungo e vario e, dall’altro, non esaustivo («in particolare»).

82.      Poi, benché sia vero, come sostiene la Commissione, che spesso tali obiettivi possono coincidere con quelli propri di una politica generale dello Stato, è anche vero che tali obiettivi corrispondono, innanzitutto e soprattutto, agli interessi comuni di tutti i membri delle organizzazioni interprofessionali. Ciò deriva dallo stesso tenore letterale del code rural, il quale parla di «azioni comuni o che perseguono un interesse comune» le quali sono, allo stesso tempo, «conformi all’interesse generale e compatibili con le regole della politica agricola comune». Dopo tutto, sarebbe sorprendente che gli interessi commerciali generali dei membri di un dato settore commerciale coincidano solo raramente con l’interesse generale dello Stato in tale settore. In qualunque ambito dell’economia, lo Stato mira anche a rafforzare e a sostenere le imprese presenti sul mercato.

83.      Infine – e si tratta della considerazione a mio avviso più importante – il fatto che le autorità pubbliche e le organizzazioni interprofessionali possano avere taluni interessi in comune non significa che le iniziative di promozione e di difesa di tali interessi, intraprese da queste ultime, debbano necessariamente tenere conto dei desideri e delle esigenze delle autorità o eseguire le linee politiche che le suddette autorità definiscono.

84.      Per tali motivi, non mi convince la Commissione quando considera i CVO come uno strumento di politica statale in virtù del fatto che le iniziative finanziate da tali organizzazioni non perseguono «obiettivi commerciali puramente privati». È sufficiente osservare, a questo proposito, che la misura oggetto della causa PreussenElektra è stata chiaramente adottata al fine di perseguire un obiettivo di interesse pubblico (la riduzione delle emissioni di anidride carbonica) (35). Analogamente, la legge olandese che disciplina le attività dello HBA, oggetto della citata causa Pearle e a., obbligava tale ente a prendere in considerazione l’interesse generale insieme agli interessi delle imprese del settore in questione e del loro personale (36).

85.      Mi sembra che, tutto considerato, quando la Corte ha invocato, nella sua pronuncia Pearle e a., una politica determinata (o definita) dallo Stato (37), essa si riferiva a qualcosa di più concreto e di più preciso che non una semplice indicazione di obiettivi generali da perseguire. Non si può, a mio avviso, parlare di una «politica dello Stato» in presenza di una semplice enumerazione di obiettivi generali, senza definizione di misure o iniziative specifiche che devono essere condotte per raggiungere tali obiettivi. Mi sembra che quest’ultimo elemento sia chiaramente assente nella presente causa.

86.      In terzo luogo, le ricorrenti e la Commissione sostengono ancora che, ai sensi dell’articolo L. 632‑2‑I del code rural, «[l]e organizzazioni interprofessionali riconosciute possono essere consultate in merito agli orientamenti e alle misure relative alle politiche di filiera che le riguardano» e che «esse contribuiscono all’attuazione delle politiche economiche nazionali e comunitarie».

87.      A differenza delle ricorrenti nel procedimento principale e della Commissione, e nonostante i riferimenti alle politiche pubbliche contenuti nell’articolo L. 632‑2‑I del code rural, rilevo in tale disposizione soltanto il riflesso di una realtà comune a numerosi paesi (e all’Unione stessa): è normale che le organizzazioni rappresentative di un settore dell’economia o di una categoria di attori del mercato e che condividono gli stessi interessi commerciali siano degli interlocutori dei poteri pubblici. Un dialogo tra amministratori e amministrati è tipico di numerose democrazie moderne, che ciò avvenga attraverso mezzi informali o in un contesto più formale. L’istituzionalizzazione di un simile dialogo non significa che i poteri pubblici possano utilizzare tali interlocutori come loro longa manus o come strumenti di attuazione di loro politiche.

88.      Allo stesso modo, mi pare che il riferimento, contenuto nell’articolo L. 632‑2‑I del code rural, al fatto che le organizzazioni interprofessionali «contribuiscono all’attuazione delle politiche economiche nazionali e comunitarie» non sia decisivo. Tale disposizione mi sembra enunciare infatti soltanto un assioma: nei limiti in cui le associazioni interprofessionali perseguono interessi veramente comuni a tutti gli attori del loro settore di attività, interessi che coincidono spesso con quello che potrebbe essere definito come interesse pubblico generale, essi forniscono evidentemente un contributo positivo all’attuazione delle politiche economiche nazionali e dell’Unione in tale settore.

89.      In conclusione, dalle disposizioni del code rural prese in considerazione dalle ricorrenti nel procedimento principale e dalla Commissione non derivano né l’attribuzione alle organizzazioni interprofessionali di un vero ruolo pubblico né il conferimento alle autorità pubbliche di poteri di controllo sulle iniziative condotte da tali organizzazioni.

90.      In tale contesto, rilevo che, proprio come nel caso di cui alla citata causa Pearle e a., l’iniziativa dei CVO proviene sempre dal settore privato stesso. Le autorità pubbliche agiscono dunque soltanto – per riprendere un termine utilizzato nella sentenza Pearle e a. (38) – come «strumento» per rendere obbligatori i contributi istituiti dalle organizzazioni interprofessionali per il perseguimento dei fini che esse stesse individuano.

91.      Certamente sono ben consapevole del fatto che numerose misure di aiuti di Stato sono adottate dagli Stati su richiesta delle imprese interessate. Questo è tipicamente il caso degli aiuti finalizzati al salvataggio e alla ristrutturazione di imprese in difficoltà. È vero dunque che l’iniziativa privata non esclude, in tutti i casi, l’imputabilità di una misura allo Stato. Le circostanze del caso di specie sono tuttavia molto differenti in quanto l’iniziativa delle misure proviene dalle imprese che sono, allo stesso tempo, i contribuenti e i beneficiari dei fondi.

92.      Per tutti questi motivi, nella presente causa non ravviso alcun elemento che indichi che la direzione e la responsabilità delle iniziative condotte dalle organizzazioni interprofessionali possano essere attribuite a soggetti diversi dalle organizzazioni stesse.

93.      Alla luce di quanto precede, concludo nel senso che i CVO non costituiscono risorse statali e che le decisioni relative all’utilizzazione degli stessi non sono imputabili allo Stato.

E –    Osservazioni conclusive

94.      La mia prima osservazione è legata al fatto che esiste un gran numero di organizzazioni interprofessionali in Francia (e altrove nell’Unione) con una grande diversità di discipline giuridiche. Il CIDEF stesso lo rileva nelle sue osservazioni scritte.

95.      Dunque, se le conclusioni alle quali pervengo nella presente causa possono essere valide in numerosi casi, esse potrebbero non esserlo per tutti. Infatti, come rilevato supra, possono esistere casi in cui le organizzazioni interprofessionali ricevono fondi pubblici destinati a finanziare o a cofinanziare certe azioni che potrebbero procurare agli operatori del mercato un vantaggio economico. Allo stesso modo, non si può escludere che, in talune circostanze, lo Stato (per esempio attraverso enti come il Conseil supérieur d’orientation et de coordination de l’économie agricole et alimentaire, istituito sulla base dell’articolo L. 611‑1 del code rural) possa essere in condizione di esercitare, de iure o de facto, un’influenza reale sull’utilizzo dei fondi raccolti dalle organizzazioni interprofessionali attraverso i CVO.

96.      Tale constatazione richiede un’analisi caso per caso. Tuttavia, la presente causa dimostra che non può esistere una presunzione secondo cui tutte le misure adottate dalle organizzazioni interprofessionali e finanziate attraverso CVO soddisfano i criteri delle risorse statali e dell’imputabilità allo Stato.

97.      La mia seconda osservazione è più generale e riguarda la stessa nozione di aiuto di Stato. Vorrei infatti allinearmi alla posizione di molti avvocati generali i quali, in passato, hanno messo in guardia contro un’estensione eccessiva della nozione di aiuto di Stato (39).

98.      In tale contesto, rilevo che le ricorrenti nel procedimento principale e la Commissione menzionano il fatto che il CIDEF, almeno in passato, avrebbe condotto campagne di promozione della carne francese. D’altro canto, osservo che, conformemente all’articolo L. 632‑6 del code rural, i CVO «possono essere prelevati (…) anche sui prodotti importati, alle condizioni definite con decreto. A richiesta delle organizzazioni interprofessionali beneficiarie, tali contributi sono riscossi alla dogana, a spese delle stesse».

99.      In situazioni come quelle descritte al punto precedente, non è opportuno, a mio avviso, estendere la nozione di risorse statali e dunque di aiuto di Stato al di là dei limiti imposti dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Infatti, l’assenza di risorse statali o il fatto che lo Stato non esercita alcun potere di controllo sull’utilizzo di taluni fondi privati non significa che ogni attività condotta da organizzazioni come quelle interprofessionali sia necessariamente compatibile con tutte le regole dell’Unione.

100. In primo luogo, le misure adottate dalle organizzazioni interprofessionali possono certamente essere contrarie alle regole del mercato interno. La circostanza che associazioni come il CIDEF non sono controllate dallo Stato non costituisce di per sé un ostacolo all’applicazione delle disposizioni dei Trattati sul mercato interno. Per esempio, per quanto riguarda l’articolo 56 TFUE, la Corte ha costantemente affermato che il rispetto di tale disposizione «si impone anche alle norme di natura non pubblicistica che mirano a disciplinare collettivamente, le prestazioni di servizi. Infatti, l’abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera prestazione dei servizi sarebbe compromessa se l’eliminazione delle limitazioni stabilite da norme statali potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall’esercizio dell’autonomia giuridica di associazioni o enti di natura non pubblicistica» (40). La Corte ha seguito un ragionamento analogo per quanto riguarda, in particolare, la libera circolazione delle persone (41) e il diritto di stabilimento (42).

101. In particolare, anche l’estensione, decisa dallo Stato, della natura obbligatoria dei contributi utilizzati per sostenere campagne promozionali o pubblicitarie, gestite dalle organizzazioni interprofessionali e finalizzate a promuovere la produzione nazionale o i prodotti nazionali, potrebbe anche essere contraria alle regole del mercato interno, indipendentemente dall’origine dei fondi impiegati. Per esempio, secondo una giurisprudenza consolidata, un tributo che colpisce i prodotti nazionali e quelli importati in base a identici criteri può essere vietato quando il gettito di un’imposizione del genere è destinato a finanziare iniziative che giovano in particolare ai prodotti nazionali tassati. Se i benefici di cui fruiscono tali prodotti compensano integralmente il tributo da essi sopportato, gli effetti di quest’ultimo si manifestano solo in rapporto ai prodotti importati e tale imposizione costituisce dunque una tassa di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 30 TFUE. Di contro, qualora tali vantaggi compensino soltanto una parte dell’onere gravante sui prodotti nazionali, la tassa in questione costituisce un’imposizione discriminatoria ai sensi dell'articolo 110 TFUE, la cui riscossione è vietata per la frazione del suo importo destinata alla compensazione di cui fruiscono i prodotti nazionali (43).

102. Inoltre, nella celebre causa detta «Buy Irish», la Corte ha constatato la violazione dell’articolo 34 TFUE a causa del sostegno concesso dal governo irlandese a un ente privato che aveva realizzato una campagna in favore della vendita e dell’acquisto di prodotti nazionali, finalizzata a frenare gli scambi intracomunitari (44).

103. In secondo luogo, misure adottate, senza aiuti di Stato, da organizzazioni interprofessionali potrebbero essere discriminatorie nei confronti di produttori di altri Stati membri e, pertanto, risultare contrarie alle regole della politica agricola comune (articolo 40, paragrafo 2, seconda frase, TFUE).

104. Infine, la decisione dello Stato di estendere gli effetti di taluni accordi conclusi tra i membri delle organizzazioni interprofessionali potrebbe rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, del Trattato UE, qualora tali accordi abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, di restringere o di falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno. Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, tali disposizioni impongono agli Stati membri di non adottare né mantenere in vigore provvedimenti, sia pure di natura legislativa o regolamentare, tali da privare di effetto utile le regole di concorrenza da applicarsi alle imprese. Ciò accade laddove uno Stato membro imponga ovvero agevoli la conclusione di accordi contrari all’articolo 101 TFUE o rafforzi gli effetti di siffatti accordi o infine tolga alla propria normativa il suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica (45).

105. Si tratta solo di alcuni esempi evidenti. È inutile insistere ulteriormente su tali questioni, in quanto esse non sono immediatamente rilevanti nel caso che ci occupa. Ciò permette tuttavia di sottolineare che le regole dell’Unione in materia di controllo degli aiuti di Stato sono soltanto uno degli strumenti che possono essere applicati a misure adottate da organizzazioni come quelle che sono parte nella controversia principale e che potrebbero essere di natura tale da alterare il buon funzionamento del mercato interno. Inoltre, sottolineerei anche che il fatto che non siano utilizzabili altri strumenti non può giustificare un’estensione eccessiva della nozione di aiuto di Stato.

IV – Conclusione

106. Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione sollevata dal Conseil d’État nel seguente modo:

L’articolo 107 TFUE deve essere interpretato nel senso che la decisione di un’autorità nazionale, come quella presa in considerazione dal giudice del rinvio, che estende a tutti gli operatori di una filiera un accordo che istituisce un contributo nell’ambito di un’organizzazione interprofessionale riconosciuta dall’autorità nazionale e lo rende in tal modo obbligatorio, al fine di consentire la realizzazione di iniziative di comunicazione, di promozione, di relazioni esterne, di garanzia della qualità, di ricerca e di difesa degli interessi del settore, nonché l’acquisizione di studi e panel di consumatori, non ha per oggetto un aiuto di Stato.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      Sentenza del 15 luglio 2004 (C‑345/02, Racc. pag. I‑7139).


3 –      V., ad esempio, sentenza del 21 giugno 2006, Confédération paysanne (ricorso n. 271.450).


4 –      Decisione C(2008) 7846 def. della Commissione, del 10 dicembre 2008, che dichiara compatibile con il mercato comune il programma‑quadro di azioni suscettibili di essere condotte dalle organizzazioni interprofessionali agricole riconosciute in Francia, consistente in aiuti all’assistenza tecnica, ai prodotti agricoli di qualità, alla ricerca‑sviluppo ed alle azioni di pubblicità in favore dei membri delle filiere agricole rappresentate, finanziate con «contributi volontari resi obbligatori» (aiuto di Stato N 561/2008 – Francia).


5 –      Decisione C(2011) 4376 def. della Commissione, del 29 giugno 2011, che dichiara che le azioni condotte dall’organizzazione interprofessionale per il suino (INAPORC), finanziate con «contributi volontari resi obbligatori», costituiscono un aiuto compatibile con il mercato interno (aiuto di Stato NN 10/2010 – Francia).


6 –      Decisione C(2011) 4973 def. della Commissione, del 13 luglio 2011, che dichiara che le azioni condotte dall’Association interprofessionnelle du bétail et des viandes [Associazione interprofessionale del bestiame e delle carni] (Interbev), finanziate con «contributi volontari resi obbligatori», costituiscono un aiuto compatibile con il mercato interno [aiuto di Stato C 46/2003 (ex NN 39/2003) – Francia].


7 –      Si tratta, rispettivamente, delle cause pendenti davanti al Tribunale Francia/Commissione (T‑79/09), CNIEL/Commissione (T‑293/09), CNIPT/Commissione (T‑302/09), CIVR e a./Commissione (T‑303/09), Unicid/Commissione (T‑305/09), Val’hor/Commissione (T‑306/09), Onidol/Commissione (T‑313/09), Intercéréales e Grossi/Commissione (T‑314/09), Francia/Commissione (T‑478/11), Inaporc/Commissione (T‑575/11), Francia/Commissione (T‑511/11), e Interbev/Commissione (T‑18/12).


8 –      Conclusioni nella causa van Calster e a. (sentenza del 21 ottobre 2003, C‑261/01 e C‑262/01, Racc. pag. I‑12249, paragrafo 27).


9 –      Sotto questo aspetto, esse si trovano in una posizione simile a quella delle società che avevano contestato la misura di cui alla causa Pearle e. a, cit. (v. conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer in tale causa).


10 –      V., in particolare, sentenza van Calster e a., cit. (punti 46‑51). Più di recente, v. sentenze del 22 dicembre 2008, Régie Networks (C‑333/07, Racc. pag. I‑10807, punti 89 e 90), e del 21 luglio 2011, Alcoa Trasformazioni/Commissione (C‑194/09 P, Racc. pag. I‑6311, punto 48).


11 –      V., in tal senso, sentenze del 21 novembre 1991, Fédération nationale du commerce extérieur des produits alimentaires et Syndicat national des négociants et transformateurs de saumon (C‑354/90, Racc. pag. I‑5505, punto 12); dell’11 luglio 1996, SFEI e a. (C‑39/94, Racc. pag. I‑3547, punto 40), nonché del 12 febbraio 2008, CELF e ministre de la Culture et de la Communication (C‑199/06, Racc. pag. I‑469, punto 41).


12 –      V., in particolare, sentenze del 16 maggio 2002, Francia/Commissione, detta «Stardust Marine» (C‑482/99, Racc. pag. I‑4397, punto 68); del 24 luglio 2003, Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg (C‑280/00, Racc. pag. I‑7747, punto 74), e del 17 luglio 2008, Essent Netwerk Noord e a. (C‑206/06, Racc. pag. I‑5497, punto 6).


13 –      V., in particolare, sentenze del 30 gennaio 1985, Commissione/Francia (290/83, Racc. pag. 439, punto 14), e del 7 giugno 1988, Grecia/Commissione (57/86, Racc. pag. 2855, punto 12).


14 –      Sentenze del 22 marzo 1977, Steinike & Weinlig (78/76, Racc. pag. 595, punto 22), e dell’11 novembre 1987, Francia/Commissione (259/85, Racc. pag. 4393, punto 23).


15 –      Sentenza del 13 marzo 2001 (C‑379/98, Racc. pag. I‑2159).


16 –      Cit.


17 –      Punti 58 e 59 della sentenza.


18 –      Punti 51 e 52 della sentenza.


19 –      V., in particolare, paragrafi 54‑78 delle sue conclusioni nella causa Pearle e a., cit.


20 –      Sentenza Pearle e a., cit. (punto 36).


21 –      Ibidem (punto 37).


22 –      Ibidem (punto 38).


23 –      Tale circostanza è stata confermata in udienza dal governo francese.


24 –      V. il considerando 4 della decisione del Conseil Constitutionnel n. 2011‑211, QPC del 17 febbraio 2012, Société Chaudet et fille et autres.


25 –      V. sentenze del 16 maggio 2000, Francia/Ladbroke Racing e Commissione (C‑83/98 P, Racc. pag. I‑3271, punto 50); Pearle e a., cit. (punto 36), nonché Essent Netwerk Noord e a., cit. (punto 72). V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Essent Netwerk Noord e a., cit. (paragrafo 109), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa UTECA (sentenza del 5 marzo 2009, C‑222/07, Racc. pag. I‑1407, paragrafi 128 e 129).


26 –      V., in particolare, sentenze del 2 luglio 1974, Italia/Commissione (173/73, Racc. pag. 709, punto 35); Steinike & Weinlig, cit.; Francia/Ladbroke Racing e Commissione, cit. (punto 50), nonché Stardust Marine, cit. (punti 37 e 38).


27 –      Articolo L. 632‑4 del code rural.


28 – V. sentenze del 7 maggio 2008, Coopérative Cooperl Hunaudaye et Société Syndigel (ricorsi n. 278820 e n. 279020), nonché del 16 febbraio 2011, Fédération des Entreprises du Commerce et de la Distribution (ricorsi n. 301333 e n. 317146).


29 –      A questo proposito rilevo un altro elemento che accomuna la presente causa e la causa Pearle e a., cit. Infatti, nell’ambito di quest’ultimo procedimento, il governo olandese aveva confermato che i regolamenti adottati da enti quali lo HBA, che fissavano oneri finanziari, dovevano essere approvati dal Sociaal‑Economische Raad (Consiglio socio‑economico) e, in talune circostanze, anche dal ministro competente. Tanto il Sociaal‑Economische Raad che il ministro hanno la facoltà di rifiutare l’approvazione quando, tra le altre cose, la proposta di regolamento costituisce violazione di legge o è contraria all’interesse generale.


30 –      Secondo il governo francese, 18 richieste di estensione sarebbero state rifiutate in questi ultimi anni su un totale di quasi 300 richieste. Tra i motivi di rifiuto, il governo francese richiama: a) una violazione dell’articolo 110 TFUE in quanto l’attività prevista creava una discriminazione fiscale in funzione dell’origine dei prodotti (materia prima originaria della Francia); b) l’incompatibilità dell’accordo, che avrebbe dovuto essere finanziato con i CVO, con la lista degli oneri per le denominazioni d’origine controllata applicabili ai prodotti in questione; c) l’impossibilità di identificare le iniziative che sarebbero state finanziate con i CVO; d) il fatto che l’accordo, che avrebbe dovuto essere finanziato con i CVO, non riguardava il prodotto per il quale l’organizzazione interprofessionale che richiedeva l’estensione era stata riconosciuta; ed e) il fatto che l’iniziativa che doveva essere finanziata con i CVO non era un’iniziativa collettiva ma un’iniziativa individuale.


31 –      Sentenza Stardust Marine, cit. (punto 55). V. anche sentenze del 21 marzo 1991, Italia/Commissione (C‑303/88, Racc. pag. I‑1433, punti 11 e 12), e Italia/Commissione (C‑305/89, Racc. pag. I‑1603, punti 13 e 14).


32 –      Sentenze Stardust Marine, cit. (punto 55), e del 2 febbraio 1988, Kwekerij van der Kooy e a./Commissione (67/85, 68/85 e 70/85, Racc. pag. 219, punto 37).


33 –      Prima parte dell’articolo L. 632‑1 del code rural.


34 –      Seconda parte dell’articolo L. 632‑1 del code rural.


35 –      Sentenza PreussenElektra, cit. (punto 73).


36 –      Sentenza Pearle e a., cit. (punto 7). Inoltre, come confermato dal governo olandese nell’ambito di tale procedimento, la stessa legge definiva, in termini generali, la missione delle organizzazioni come lo HBA.


37 –      Ibidem (punti 36 e 37).


38 – Ibidem (punto 37).


39 –      V., tra le altre, conclusioni dell’avvocato generale Capotorti nella causa van Tiggele (sentenza del 24 gennaio 1978, 82/77, Racc. pag. 25, paragrafo 8); conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nelle cause PreussenElektra e Stardust Marine, cit., rispettivamente ai paragrafi 150‑159 e 53‑55, e conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Enirisorse (sentenza del 23 marzo 2006, C‑237/04, Racc. pag. I‑2843, paragrafi 44‑46).


40 –      V., in particolare, sentenze del 12 dicembre 1974, Walrave e Koch (36/74, Racc. pag. 1405, punti 17 e 18); del 15 dicembre 1995, Bosman (C‑415/93, Racc. pag. I‑4921, punti 83 e 84); del 19 febbraio 2002, Wouters e a. (C‑309/99, Racc. pag. I‑1577, punto 120), e del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri (C‑341/05, Racc. pag. I‑11767, punto 98).


41 –      Sentenze dell’11 aprile 2000, Deliège (C‑51/96 e C‑191/97, Racc. pag. I‑2549, punto 47), e del 6 giugno 2000, Angonese (C‑281/98, Racc. pag. I‑4139, punto 32).


42 – Sentenza dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation and Finnish Seamen’s Union (C‑438/05, Racc. pag. I‑10779, punto 59).


43 –      Sentenze del 19 giugno 1973, Capolongo (77/72, Racc. pag. 611, punti 13 e 14); dell’11 marzo 1992, Compagnie commerciale de l’Ouest e a. (da C‑78/90 a C‑83/90, Racc. pag. I‑1847, punto 27); del 17 settembre 1997, Fricarnes (C‑28/96, Racc. pag. I‑4939, punto 24), e Essent Netwerk Noord e a., cit. (punto 42).


44 –      Sentenza del 24 novembre 1982, Commissione/Irlanda (249/81, Racc. pag. 4005).


45 –      Sentenze del 16 novembre 1977, GB‑Inno‑BM (13/77, Racc. pag. 2115, punto 31); del 21 settembre 1988, Van Eycke (267/86, Racc. pag. 4769, punto 16), nonché del 17 novembre 1993, Meng (C‑2/91, Racc. pag. I‑5751, punto 14).