Language of document : ECLI:EU:C:2011:816

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

8 dicembre 2011 (*)

«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercato dei tubi idrotermosanitari in rame – Ammende – Dimensioni del mercato, durata dell’infrazione e cooperazione che possono essere prese in considerazione – Ricorso giurisdizionale effettivo»

Nel procedimento C‑389/10 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 28 luglio 2010,

KME Germany AG, già KM Europa Metal AG, con sede in Osnabrück (Germania);

KME France SAS, già Tréfimétaux SA, con sede in Courbevoie (Francia);

KME Italy SpA, già Europa Metalli SpA, con sede in Firenze,

rappresentate dagli avv.ti M. Siragusa, avvocato, A. Winckler, avocat, G.C. Rizza, avvocato, T. Graf, advokat, e M. Piergiovanni, avvocato,

ricorrenti,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata dai sigg. E. Gippini Fournier e S. Noë, in qualità di agenti, assistiti dal sig. C. Thomas, solicitor, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, A. Rosas (relatore), A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 maggio 2011,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, la KME Germany AG, già KM Europa Metal AG (in prosieguo: la «KME Germany»), la KME France SAS, già Tréfimétaux SA (in prosieguo: la «KME France»), e la KME Italy SpA, già Europa Metalli SpA (in prosieguo: la «KME Italy») (in prosieguo, indicate collettivamente: il «gruppo KME»), chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado dell’Unione europea 19 maggio 2010, causa T‑25/05, KME Germany e a./Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto la loro domanda di riduzione dell’importo delle ammende inflitte loro ai sensi dell’art. 2, lett. g)‑i), della decisione della Commissione 3 settembre 2004, C(2004) 2826, relativa ad un procedimento a norma dell’art. [81 CE] e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/38.069 – Tubi idrotermosanitari in rame) (in prosieguo: la «decisione controversa»).

 Contesto normativo

2        L’art. 15, n. 2, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204) disponeva quanto segue:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettano un’infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1, [CE] o dell’articolo [82 CE],

b)      non osservino un onere imposto in virtù dell’articolo 8, paragrafo 1.

Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

3        Il regolamento n. 17 è stato abrogato è sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato (GU 2003, L 1, pag. 1), applicabile dal 1° maggio 2004.

4        L’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003 è redatto nei seguenti termini:

«2.      La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del trattato (...)

(...)

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

(...)

3.      Per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

5        L’art. 31 di tale regolamento dispone quanto segue:

«La Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione irroga un’ammenda o una penalità di mora. Essa può estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata».

6        Il preambolo della comunicazione della Commissione «Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA» (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), applicabile all’epoca dell’adozione della decisione controversa, recitava:

«I principi indicati negli orientamenti (...) dovrebbero consentire di assicurare la trasparenza ed il carattere obiettivo delle decisioni della Commissione, di fronte sia alle imprese che alla Corte di giustizia, ponendo l’accento, nel contempo, sul margine discrezionale lasciato dal legislatore alla Commissione nella fissazione delle ammende, entro il limite del 10% del volume d’affari globale delle imprese. La Commissione intende tuttavia inquadrare tale margine in una linea politica coerente e non discriminatoria, che sia funzionale agli obiettivi perseguiti con la repressione delle infrazioni alle regole della concorrenza.

La nuova metodologia applicabile per la determinazione dell’ammontare dell’ammenda si baserà [d’ora in poi] sullo schema seguente, che consiste nella fissazione di un importo di base, al quale si applicano maggiorazioni in caso di circostanze aggravanti e riduzioni in caso di circostanze attenuanti».

7        Ai sensi del punto 1 degli orientamenti, «[tale] importo di base è determinato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, che sono i soli criteri indicati all’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17».

8        Per quanto riguarda il criterio della gravità, il punto 1, A, degli orientamenti dispone che, per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Le infrazioni sono classificate in tre categorie: infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi.

9        Secondo gli orientamenti, costituiscono infrazioni molto gravi in particolare le restrizioni orizzontali del tipo «cartelli di prezzi» e ripartizione dei mercati. L’importo di base dell’ammenda applicabile è «oltre i 20 milioni di [euro]». Gli orientamenti evidenziano la necessità di differenziare tale importo di base onde tenere conto della natura dell’infrazione commessa, dell’effettiva capacità economica dell’autore dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, dell’effetto dissuasivo dell’ammenda nonché delle conoscenze e delle infrastrutture giuridico‑economiche delle imprese che consentono loro di essere maggiormente consapevoli del carattere di infrazione del loro comportamento. Si precisa altresì che in caso di infrazioni che coinvolgono più imprese, potrà essere opportuno tenere conto del peso specifico, e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza, del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione.

10      Per quanto riguarda la durata delle infrazioni, gli orientamenti distinguono tra infrazioni di breve durata, in generale per periodi inferiori a un anno, infrazioni di media durata, in generale per periodi da uno a cinque anni, e infrazioni di lunga durata, in generale per periodi superiori a cinque anni. Per quest’ultimo tipo di infrazioni è prevista una maggiorazione dell’ammenda che per ciascun anno può essere pari al 10% dell’ammenda applicabile in funzione della gravità dell’infrazione. Gli orientamenti prevedono altresì una maggiorazione delle ammende più consistente per le infrazioni di lunga durata, nell’intento di sanzionare realmente le restrizioni che hanno arrecato un pregiudizio durevole ai consumatori e di aumentare l’interesse dell’impresa a denunciare l’infrazione o a cooperare con la Commissione.

11      A norma del punto 2 degli orientamenti, l’importo di base dell’ammenda può essere maggiorato in presenza di circostanze aggravanti quali, in particolare, la recidiva della medesima impresa o delle medesime imprese per un’infrazione del medesimo tipo. Secondo il punto 3 di detti orientamenti, tale importo di base può essere ridotto in caso di circostanze attenuanti particolari, quali il ruolo esclusivamente passivo o emulativo di un’impresa nella realizzazione dell’infrazione, la mancata applicazione di fatto degli accordi o la collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura, al di là del campo di applicazione della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

12      Dal 1° settembre 2006 gli orientamenti sono stati sostituiti dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2).

13      La comunicazione sulla cooperazione definisce le condizioni alle quali le imprese che cooperano con la Commissione nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione di ammende che altrimenti sarebbero loro inflitte, o beneficiare di riduzioni del loro ammontare. Secondo il titolo B di tale comunicazione, in particolare l’impresa che denunci l’intesa alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata o che sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda o della totale non imposizione della medesima. Secondo il titolo D di detta comunicazione, un’impresa può beneficiare di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda se, prima dell’invio della comunicazione degli addebiti, fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione.

14      La comunicazione sulla cooperazione è stata sostituita, a partire dal 14 febbraio 2002, dalla comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3). Nella causa in esame la Commissione ha tuttavia applicato la comunicazione sulla cooperazione, dato che è questa la comunicazione che le imprese hanno preso in considerazione quando hanno collaborato con la Commissione.

 Fatti

15      Le ricorrenti, insieme ad altre imprese produttrici di semilavorati in rame e leghe di rame, hanno partecipato ad un’intesa volta a fissare i prezzi e a ripartirsi i mercati, nonché a scambiarsi informazioni riservate sul mercato dei tubi idrotermosanitari in rame.

16      In seguito ad accertamenti e indagini, il 3 settembre 2004 la Commissione ha adottato la decisione controversa, di cui un sunto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 13 luglio 2006 (GU L 192, pag. 21).

17      Quanto alla valutazione della gravità dell’infrazione di cui trattasi, la Commissione ha tenuto conto della natura propria dell’infrazione, del suo impatto concreto sul mercato, dell’estensione del mercato geografico di cui trattasi e della dimensione del mercato stesso. L’istituzione ha fatto valere che le pratiche di ripartizione dei mercati e di fissazione dei prezzi, come quelle considerate nel caso di specie, costituivano, per la loro stessa natura, un’infrazione molto grave e ha ritenuto che il mercato geografico interessato dal cartello corrispondesse a quello del territorio dello Spazio economico europeo (SEE). La Commissione ha parimenti tenuto conto del fatto che il mercato dei tubi idrotermosanitari in rame costituiva un settore industriale molto rilevante. Per quanto riguarda l’impatto concreto sul mercato, la Commissione ha rilevato che sussistevano prove sufficienti per dimostrare che il cartello aveva globalmente prodotto determinati effetti sul mercato interessato. La Commissione ne ha tratto la conclusione che le imprese interessate avessero commesso un’infrazione molto grave.

18      La Commissione ha individuato nella decisione controversa quattro gruppi che riteneva rappresentativi dell’importanza relativa delle imprese nell’infrazione di cui trattasi. Il gruppo KME è stato considerato come il principale attore sul mercato interessato ed è stato classificato nella prima categoria.

19      Le quote di mercato sono state determinate in funzione del fatturato, realizzato da ogni contravventore, proveniente dalle vendite di tubi idrotermosanitari in rame sul mercato complessivo dei tubi idrotermosanitari in rame privi di rivestimento e dei tubi idrotermosanitari in rame con rivestimento in plastica. La Commissione ha conseguentemente fissato l’importo di partenza delle ammende in EUR 70 milioni per il gruppo KME.

20      In considerazione del fatto che, sino al giugno 1995, la KME France e la KME Italy costituivano congiuntamente un’impresa distinta dalla KME Germany, l’importo di partenza delle ammende fissato in EUR 70 milioni in tutto per il gruppo KME è stato ripartito come segue: EUR 35 milioni per il gruppo KME, EUR 17,5 milioni per la KME Germany; EUR 17,5 milioni per la KME Italy e la KME France in solido.

21      Dalla decisione impugnata risulta che la Commissione ha maggiorato gli importi di partenza delle ammende del 10% per anno compiuto di infrazione e del 5% per ogni periodo supplementare pari o superiore a sei mesi, ma inferiore a un anno. Così, si è concluso nel senso che:

–        al gruppo KME, dal momento che ha partecipato al cartello per cinque anni e sette mesi, doveva essere applicata una maggiorazione del 55% dell’importo di partenza dell’ammenda di EUR 35 milioni;

–        al gruppo KME Germany, dal momento che ha partecipato al cartello per sette anni e due mesi, doveva essere applicata una maggiorazione del 70% dell’importo di partenza dell’ammenda di EUR 17,5 milioni; e

–        alla KME France e alla KME Italy, dal momento che hanno partecipato al cartello per cinque anni e dieci mesi, doveva essere applicata una maggiorazione del 55% dell’importo di partenza dell’ammenda di EUR 17,5 milioni.

22      Pertanto, come emerge dal punto 719 delle decisione controversa, dopo il computo della maggiorazione in base alla durata dell’infrazione, gli importi di base delle ammende inflitte alle ricorrenti sono stati determinati come segue:

–        per il gruppo KME: EUR 54,25 milioni;

–        per la KME Germany: EUR 29,75 milioni; e

–        per la KME France e la KME Italy (in solido): EUR 27,13 milioni.

23      Quali circostanze attenuanti, la Commissione, come risulta dai punti 758 e 759 della decisione controversa, ha tenuto conto del fatto che il gruppo KME e il gruppo costituito dalla Outokumpu Oyi e dalla Outokumpu Copper Products Oy (in prosieguo, collettivamente, il «gruppo Outokumpu»), nel contesto delle loro rispettive cooperazioni, le avevano fornito talune informazioni non riconducibili alla comunicazione sulla cooperazione. Pertanto, la Commissione ha ridotto l’importo di base dell’ammenda inflitta al gruppo Outokumpu di EUR 40,17 milioni, il che corrisponderebbe all’ammenda che sarebbe stata inflitta a detto gruppo per il periodo di durata dell’infrazione da settembre 1989 a luglio 1997, il cui accertamento era stato reso possibile dalle informazioni che il gruppo medesimo aveva fornito alla Commissione. Quanto al gruppo KME, come emerge dai punti 760 e 761 della decisione controversa, l’importo di base dell’ammenda che le è stata inflitta è stato ridotto di EUR 7,93 milioni in ragione della sua cooperazione, che aveva consentito alla Commissione di accertare che l’infrazione di cui trattasi comprendeva i tubi idrotermosanitari in rame con rivestimento in plastica.

24      Conformemente agli artt. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione ha fissato gli importi delle ammende da infliggere alle imprese destinatarie della decisione impugnata come segue:

–        per il gruppo KME: EUR 32,75 milioni;

–        per la KME Germany: EUR 17,96 milioni;

–        per la KME France e la KME Italy (in solido): EUR 16,37 milioni.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

25      Le ricorrenti hanno sollevato sette motivi, tutti vertenti sulla fissazione dell’importo dell’ammenda loro inflitta. Tali motivi riguardavano, rispettivamente, l’inadeguata presa in considerazione dell’impatto concreto del cartello sul mercato ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda, l’errata valutazione della dimensione del settore su cui ha inciso il cartello, l’errata valutazione dell’importanza del gruppo KME sul mercato dei tubi idrotermosanitari in rame, l’errato aumento dell’importo di partenza dell’ammenda in funzione della durata del cartello, l’omessa considerazione di talune circostanze attenuanti, l’errata applicazione della comunicazione sulla cooperazione e l’omessa considerazione della precaria situazione finanziaria del gruppo KME.

26      Il Tribunale ha respinto tutti i motivi sollevati ed il ricorso nella sua interezza.

27      Esso ha altresì rigettato la domanda riconvenzionale della Commissione diretta all’aumento dell’importo delle ammende.

 Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

28      Il gruppo KME chiede che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        nei limiti del possibile e fondandosi sui fatti prodotti dinanzi alla Corte, annullare parzialmente la decisione controversa e ridurre l’importo dell’ammenda inflittagli;

–        condannare la Commissione alle spese del presente procedimento nonché a quelle sostenute dinanzi al Tribunale, o

–        in subordine, annullare la sentenza impugnata e rinviare la causa dinanzi al Tribunale.

29      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione, e

–        condannare il gruppo KME alle spese.

30      La Corte, in riunione generale, ha deciso che la causa in esame fosse trattata senza conclusioni e che la trattazione orale avvenisse lo stesso giorno della causa Chalkor/Commissione (C‑386/10 P), vertente sulla medesima intesa. Tuttavia, dato che le ricorrenti hanno sollevato vari motivi simili a quelli fatti valere nel contesto della causa KME Germany e a./Commissione (C‑272/09 P), la cui trattazione orale è avvenuta anteriormente, e che le vedeva opposte, anche in quel frangente, alla Commissione, in una causa relativa ad una precedente decisione che puniva un’intesa parallela nel mercato dei tubi industriali in rame, le parti sono state invitate a prendere in considerazione, in occasione dell’udienza dibattimentale, le conclusioni presentate il 10 febbraio 2011 dall’avvocato generale Sharpston in tale causa.

 Sull’impugnazione

31      Il gruppo KME deduce sei motivi relativi, rispettivamente, a diversi errori di diritto riguardanti l’impatto dell’infrazione sul mercato nonché la presa in considerazione del fatturato e della durata dell’infrazione, alla violazione degli orientamenti nonché dei principi di equità e di parità di trattamento in assenza di considerazione di talune circostanze attenuanti, alla violazione degli orientamenti e ad un errore di motivazione e, infine, alla violazione del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo.

 Sul primo motivo, vertente su diversi errori di diritto riguardanti l’impatto dell’infrazione sul mercato

 Argomenti delle parti

32      Le ricorrenti spiegano che il loro primo motivo riguarda i punti 81‑92 della sentenza impugnata. Tali punti sono preceduti da un sunto degli argomenti delle parti e da una presa di posizione del Tribunale in merito alla ricevibilità di taluni argomenti e di due nuove relazioni economiche prodotte dalle ricorrenti per dimostrare l’assenza di impatto reale dell’infrazione sul mercato. Il Tribunale, al punto 77 della sentenza impugnata, conclude che detti argomenti e relazioni sono ricevibili.

33      I punti 81‑92 della sentenza impugnata sono redatti nei seguenti termini:

«81      Per quanto riguarda poi la valutazione della gravità dell’infrazione, va altresì rilevato che anche se la Commissione non avesse provato che il cartello aveva prodotto un impatto concreto sul mercato, ciò non avrebbe influito sulla qualificazione dell’infrazione come “molto grave” e dunque sull’importo dell’ammenda.

82      A tal riguardo, va constatato che dal sistema sanzionatorio delle violazioni alle norme sulla concorrenza, quale delineato dai regolamenti nn. 17 e 1/2003 ed interpretato dalla giurisprudenza, emerge che le intese, come i cartelli, meritano, a causa della loro natura, le ammende più severe. Il loro eventuale impatto concreto sul mercato, segnatamente la questione della misura in cui la restrizione della concorrenza abbia determinato un prezzo di mercato superiore a quello che sarebbe stato praticato nell’ipotesi di assenza di cartello, non costituisce un criterio decisivo per la determinazione del livello delle ammende (v., in tal senso, sentenze della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punti 120 e 129; 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I‑9925, punti 68‑77; v., parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Mischo nella sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑283/98 P, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. I‑9855, in particolare pag. I‑9858, paragrafi 95‑101).

83      Si deve aggiungere che, a norma degli orientamenti, gli accordi o le pratiche concordate che, come nel caso di specie, sono diretti in particolare a determinare i prezzi e a ripartire la clientela, possono, solo per la loro stessa natura, essere qualificati come “molto gravi” senza che occorra circostanziare tali comportamenti in funzione di un’incidenza o di un’estensione geografica particolari. Tale conclusione è corroborata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni “gravi” sono espressamente menzionati l’impatto sul mercato e gli effetti su zone estese del mercato comune, in quella delle infrazioni “molto gravi”, per contro, non si menziona alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 150).

84      Ad abundantiam, il Tribunale ritiene che la Commissione abbia dimostrato sufficientemente l’impatto concreto del cartello sul mercato rilevante.

85      In tale contesto, va sottolineato che è stata respinta dalla giurisprudenza la premessa delle ricorrenti secondo cui la Commissione, nell’ipotesi in cui facesse valere l’impatto concreto del cartello per fissare l’importo dell’ammenda, sarebbe tenuta a dimostrare in modo scientifico l’esistenza di un effetto economico tangibile sul mercato nonché un nesso di causa ed effetto tra l’impatto e l’infrazione.

86      Infatti, il Tribunale ha statuito più volte che l’impatto concreto di un’intesa sul mercato deve essere considerato come sufficientemente dimostrato se la Commissione è in condizione di fornire indizi concreti e credibili che indichino, con una probabilità ragionevole, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato (sentenze del Tribunale [18 luglio 2005,] causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione, [Racc. pag. II‑2917], punto 122; 27 settembre 2006, causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3627, punti 159‑161; causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 153‑155; causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3255, punti 176‑178, e causa T‑322/01, Roquette Frères/Commissione, Racc. pag. II‑3137, punti 73‑75).

87      Al riguardo, va ricordato che i fatti materiali sui quali la Commissione si è principalmente fondata per concludere per l’esistenza di un impatto concreto sono l’attuazione di un sistema di scambio di dati riguardanti i volumi delle vendite e i livelli di prezzo, l’esistenza di documenti, redatti nel contesto di riunioni del cartello, che menzionano aumenti dei prezzi durante certi periodi del cartello e indicano che il cartello aveva permesso alle imprese coinvolte di raggiungere i loro obiettivi in materia di prezzi, la cospicua quota di mercato detenuta dall’insieme dei partecipanti all’infrazione in oggetto, e il fatto che le rispettive quote di mercato di detti partecipanti erano rimaste relativamente stabili per tutta la durata dell’infrazione in oggetto (…).

88      Le ricorrenti affermano che l’attuazione del cartello è stata limitata e che gli altri elementi sollevati dalla Commissione non sono idonei a dimostrare che l’infrazione di cui trattasi abbia avuto un impatto concreto sul mercato.

89      Orbene, dalla giurisprudenza emerge che la Commissione può legittimamente desumere, sulla base degli indizi citati supra, al punto 87, che l’infrazione in oggetto ha avuto un impatto concreto sul mercato (v., in questo senso, citate sentenze Jungbunzlauer/Commissione, punto 159; Roquette Frères/Commissione, punto 78; causa T‑59/02, Archer Daniels Midland/Commissione, punto 165; causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, punto 181, e 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punti 285‑287).

90      Peraltro, non si può rimproverare alla Commissione di aver concluso, nella decisione [controversa], che la relazione iniziale non permetteva di confutare le sue conclusioni riguardanti gli effetti reali del cartello sul mercato. Infatti, la relazione iniziale tratta unicamente dei dati in cifre relativi alle ricorrenti. Orbene, per costante giurisprudenza, il comportamento effettivo che un’impresa asserisce di aver adottato è privo di rilevanza ai fini della valutazione dell’impatto di un’intesa sul mercato, poiché devono essere presi in considerazione soltanto gli effetti risultanti dall’infrazione nel suo insieme (sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punti 150 e 152; sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 342, e 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 167).

91      Di conseguenza, tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere il presente motivo in quanto infondato.

92      Inoltre, il Tribunale ritiene, nell’ambito della sua competenza anche di merito e alla luce delle considerazioni che precedono, che non occorra rimettere in questione l’importo di partenza dell’ammenda inflitta alle ricorrenti in funzione della gravità, come determinata dalla Commissione al punto 693 della decisione [controversa]».

34      Le ricorrenti affermano che il Tribunale ha motivato in modo illogico e inadeguato la sentenza impugnata ed è incorso in un errore di diritto nel considerare che – ai fini della determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda loro inflitta in funzione della gravità dell’infrazione – la Commissione fosse autorizzata a tener conto dell’impatto dell’intesa sul mercato rilevante senza essere tenuta a dimostrare che gli accordi avessero effettivamente prodotto un siffatto impatto e, in ogni caso, nel desumere tale impatto da semplici indicatori. Inoltre, giudicando che la Commissione ha sufficientemente dimostrato che gli accordi hanno prodotto un impatto sul mercato, il Tribunale avrebbe manifestamente snaturato i fatti e gli elementi probatori di natura economica che il gruppo KME gli ha sottoposto.

35      La Commissione sostiene innanzi tutto che il primo motivo è inconferente. Tale motivo, infatti, non terrebbe in debito conto la circostanza che al punto 92 della sentenza impugnata il Tribunale ha fatto uso della sua competenza estesa al merito per confermare l’importo di partenza dell’ammenda inflitta al gruppo KME, fissato in funzione della gravità dell’infrazione al punto 693 della decisione controversa.

36      La Commissione sostiene poi che il Tribunale ha affermato legittimamente che le constatazioni relative all’impatto dell’infrazione sul mercato non erano determinanti e che, in ogni caso, egli ha applicato i criteri giuridici pertinenti in sede di esame di tale impatto. La Commissione rileva infine che il primo motivo è irricevibile in quanto riguarda la valutazione dei fatti e degli elementi probatori e che le conclusioni del Tribunale erano debitamente motivate, in particolare il punto 90 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale sottolinea che devono essere presi in considerazione solo gli effetti dell’infrazione nel suo complesso, il che spiega la circostanza che esso non accolga le analisi econometriche prodotte dalle ricorrenti e relative a questi ultimi.

 Giudizio della Corte

37      Le ricorrenti non contestano le conclusioni del Tribunale in merito alla classificazione dell’infrazione tra le «infrazioni molto gravi» ai sensi degli orientamenti, bensì quelle relative all’impatto concreto dell’intesa sul mercato come elemento rilevante ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda.

38      Secondo il punto 1, A, degli orientamenti, nella valutazione del criterio della gravità dell’infrazione occorre prendere in considerazione l’impatto concreto di quest’ultima sul mercato solo quando esso sia misurabile.

39      L’accertamento dell’impatto concreto di un’intesa sul mercato presuppone infatti il confronto fra la situazione del mercato creata dall’intesa e quella che sarebbe stata creata dal libero gioco della concorrenza. Data la molteplicità delle variabili che potrebbero produrre un impatto su mercato, un confronto del genere implica necessariamente la formulazione di ipotesi.

40      Al punto 629 della decisione controversa, la Commissione ha sottolineato l’impossibilità di determinare quale sarebbe stata l’evoluzione dei prezzi in assenza d’intesa durante il periodo dell’infrazione. Dopo aver confutato gli argomenti svolti dalle ricorrenti, essa ha prodotto alcuni indizi che le hanno consentito di giungere alla conclusione, al punto 673 di tale decisione, che il sistema anticoncorrenziale ha complessivamente esercitato un impatto sul mercato, per quanto sia impossibile quantificarlo con esattezza.

41      Dalla decisione controversa emerge quindi che nella fattispecie, ai fini del calcolo dell’ammenda, la Commissione ha ritenuto impraticabile prendere in considerazione quell’elemento facoltativo costituito dall’impatto concreto dell’infrazione sul mercato, poiché esso non era misurabile. Tale conclusione non è stata contestata nella sentenza impugnata.

42      Ai punti 86 e 89 della sentenza impugnata il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza relativa ai requisiti per la prova dell’impatto concreto delle intese sul mercato. Ai punti 87 e 90 di detta sentenza esso ha altresì verificato se la Commissione avesse adeguatamente dimostrato l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante. Come risulta dal punto 84 di detta sentenza, il Tribunale, tuttavia, ha proceduto a tale verifica ad abundantiam, e dopo aver giustamente ricordato, al punto 82 della medesima sentenza, che l’impatto concreto delle intese sul mercato non rappresenta un criterio determinante per la fissazione dell’ammontare delle ammende. Ne consegue che il motivo sollevato dalle ricorrenti contro questa parte del ragionamento del Tribunale è inconferente.

43      Il ragionamento del Tribunale sulla prova dell’impatto dell’infrazione sul mercato risponde, in ogni caso, all’argomento delle ricorrenti, sintetizzato ai punti 58‑62 della sentenza impugnata, secondo il quale tale prova non sarebbe stata fornita dalla Commissione nella decisione controversa. Il Tribunale ha individuato la presenza di elementi che consentono di dimostrare l’esistenza di detto impatto, ma non ha rimesso in discussione l’impossibilità di misurarlo in modo preciso.

44      Pertanto, il Tribunale non è caduto in contraddizione quando, da un lato, ha richiamato il principio secondo cui l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato non rappresenta un criterio decisivo ai fini della fissazione dell’importo delle ammende e, dall’altro, ha verificato la prova relativa all’esistenza di tale impatto.

45      È dunque a torto che le ricorrenti, come risulta dalla formulazione del loro primo motivo, traggono dal controllo effettuato dal Tribunale la conclusione che l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato doveva essere preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda loro inflitta. Tale argomento è fondato su una premessa errata.

46      Quanto alla censura mossa al Tribunale in merito allo snaturamento delle prove di natura economica fornitegli dalle ricorrenti, non si afferma tanto che il Tribunale ha effettuato una lettura delle relazioni economiche manifestamente contraria al loro tenore letterale (v., in questo senso, sentenza 10 febbraio 2011, causa C‑260/09 P, Activision Blizzard Germany/Commissione, Racc. pag. I‑419, punto 57), quanto, piuttosto, che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di valutazione del contenuto di tali relazioni. In ogni caso, le ricorrenti non indicano precisamente di quali parti di dette relazioni il Tribunale avrebbe travisato il senso chiaro e preciso. Ne consegue che questo argomento è irricevibile.

47      Da tali elementi risulta che il primo motivo dev’essere respinto.

 Sul secondo motivo, vertente su diversi errori di diritto relativi alla presa in considerazione del fatturato

 Argomenti delle parti

48      Il secondo motivo concerne sostanzialmente i punti 97‑101 della sentenza impugnata, che sono formulati nei seguenti termini:

«97      Occorre constatare che nessuna valida ragione impone che il fatturato di un mercato rilevante sia calcolato escludendo taluni costi di produzione. Come rilevato giustamente dalla Commissione, in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale dell’insieme delle sue attività e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punti 5030 e 5031). La circostanza che il prezzo del rame costituisca una parte importante del prezzo finale dei tubi idrotermosanitari o che il rischio di fluttuazioni dei prezzi del rame sia ben più elevato che per altre materie prime non inficia tale conclusione.

98      [P]er quanto riguarda le varie censure delle ricorrenti dirette ad affermare che anziché ricorrere al criterio del fatturato del mercato rilevante sarebbe più opportuno, alla luce della finalità deterrente delle ammende e del principio della parità di trattamento, fissare il loro importo in funzione della redditività del settore interessato o del relativo valore aggiunto, va dichiarato che esse sono prive di rilievo.

99      A tal proposito, è giocoforza constatare, anzitutto, che la gravità dell’infrazione viene accertata in funzione di numerosi elementi, in ordine ai quali la Commissione dispone di un margine di discrezionalità (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, cause riunite T‑101/05 e T‑111/05, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑4949, punto 65), non essendo stato stabilito, a tal riguardo, alcun elenco vincolante o esaustivo di criteri che devono essere presi necessariamente in considerazione (sentenza della Corte 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑829, punto 129), non compete quindi al giudice comunitario bensì alla Commissione scegliere, nell’ambito del suo potere discrezionale e conformemente ai limiti derivanti dal principio della parità di trattamento e dal regolamento n. 17, i fattori e i dati di cui terrà conto per attuare una politica che assicuri l’osservanza dei divieti contemplati dall’art. 81 CE.

100      È poi incontestabile che il fatturato di un’impresa o di un mercato, come fattore di valutazione della gravità dell’infrazione, è necessariamente vago ed imperfetto. Esso non distingue né tra settori ad alto valore aggiunto e settori a basso valore aggiunto né tra le imprese che generano molti profitti e quelle che ne generano meno. Tuttavia, malgrado la sua natura approssimativa, il fatturato viene considerato attualmente tanto dal legislatore quanto dalla Commissione e dalla Corte un criterio adeguato, nell’ambito del diritto della concorrenza, per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate [v., segnatamente, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. (…), punto 121; art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, decimo ‘considerando’ e artt. 14 e 15 del regolamento (CE) del Consiglio 20 gennaio 2004, n. 139, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU L 24, pag. 1)].

101      In considerazione di quanto precede, si deve concludere che la Commissione ha tenuto conto a buon diritto del prezzo del rame ai fini della determinazione delle dimensioni del settore rilevante».

49      Secondo le ricorrenti, il Tribunale ha violato il diritto comunitario e ha motivato inadeguatamente la sentenza impugnata, poiché ha approvato il riferimento operato dalla Commissione – per determinare le dimensioni del mercato interessato dalla violazione, al fine di stabilire l’elemento di gravità dell’ammenda loro inflitta – ad un valore di mercato che includeva erroneamente i redditi di vendite effettuate in un mercato a monte separato da quello oggetto «del cartello», nonostante il fatto che i membri del cartello non fossero verticalmente integrati in tale mercato a monte.

50      Esse affermano che l’industria della trasformazione del rame presenta caratteristiche peculiari. In particolare, sarebbe il cliente a decidere il momento dell’acquisto del metallo al London Metal Exchange e, di conseguenza, il suo prezzo. Sebbene il prezzo fatturato dal produttore di tubi al cliente includa il margine relativo alla trasformazione, prendere in considerazione tale prezzo ai fini del calcolo del fatturato dell’impresa significherebbe non tener conto della realtà economica del mercato, che è caratterizzata, in particolare, dalla componente importante che la materia prima rappresentata nel costo del prodotto e dalle fortissime variazioni del prezzo di tale materia prima. Il Tribunale avrebbe accertato tali circostanze.

51      Secondo le ricorrenti, il Tribunale ha violato il principio di proporzionalità poiché non ha ritenuto che la Commissione dovesse tenere in debito conto la giurisprudenza del Tribunale stesso nonché la sua propria prassi decisionale, secondo le quali, ai fini del calcolo dell’importo di partenza dell’ammenda e/o dell’applicazione del tetto del 10% del fatturato, la Commissione è tenuta a prendere in considerazione le caratteristiche del mercato rilevante.

52      Esse sostengono altresì che, non avendo operato distinzioni fra le ricorrenti e altre imprese il cui fatturato non è altrettanto influenzato dal prezzo della materia prima, il Tribunale ha violato il divieto di discriminazioni, che impone di trattare le situazioni differenti in maniera differente.

53      Infine, le ricorrenti contestano la giurisprudenza, fondata sul potere discrezionale della Commissione, su cui si è basato il Tribunale. Esse ritengono che il Tribunale non abbia esaminato se i criteri seguiti dalla Commissione per determinare la gravità del cartello fossero pertinenti e adeguati.

54      La Commissione sostiene che il Tribunale era nel giusto quando ha affermato, al punto 97 della sentenza impugnata, che in tutti i settori industriali esistono costi inerenti al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale dell’insieme delle sue attività e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

55      Essa asserisce inoltre che il motivo con cui le ricorrenti invitano la Corte a fornire una valutazione diversa da quella del Tribunale a proposito del carattere unico o meno del settore dei tubi idrotermosanitari in rame è irricevibile.

56      Secondo la Commissione, il Tribunale avrebbe svolto una valutazione oggettiva prendendo in considerazione il fatturato piuttosto che i dati controversi, che avrebbero implicato la deduzione dei costi «che non possono essere controllati». Tale conclusione sarebbe conforme al principio di proporzionalità.

57      Infine, la Commissione contesta le dichiarazioni delle ricorrenti relative al metodo di fissazione dei prezzi nel mercato in questione. Sarebbe sbagliato distinguere tra un mercato a monte ed un mercato su cui incide l’intesa: esisterebbe un solo mercato, quello dei tubi in rame, ed il rame rappresenterebbe solo un costo.

 Giudizio della Corte

58      Risulta da una giurisprudenza costante che, per valutare la gravità di un’infrazione, si deve tener conto di un gran numero di fattori il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa. Tra questi fattori possono rientrare, a seconda dei casi, il volume e il valore delle merci oggetto della trasgressione nonché le dimensioni e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che questa ha potuto esercitare sul mercato (v., in tal senso, sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 120).

59      Sebbene la Corte abbia statuito che, ai fini della determinazione dell’ammenda, ben può tenersi conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa – che costituisce un’indicazione delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa stessa – quanto della frazione di tale fatturato riferibile alle merci oggetto dell’infrazione e, perciò, atta a fornire un’indicazione dell’entità di quest’ultima, essa ha tuttavia riconosciuto che il fatturato complessivo di un’impresa costituiva una mera indicazione, approssimativa ed imperfetta, delle dimensioni di quest’ultima (sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 121; 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 139; 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 243; 18 maggio 2006, causa C‑397/03 P, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. I‑4429, punto 100, nonché 19 marzo 2009, causa C‑510/06 P, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. I‑1843, punto 74).

60      Essa ha peraltro reiteratamente sottolineato che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione della gravità dell’infrazione (v. citate sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, punto 121; Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 243; 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 100, nonché 19 marzo 2009, Archer Daniels Midland/Commissione, punto 74).

61      Il Tribunale non è dunque incorso in errore di diritto e, in particolare, non ha violato né il principio di proporzionalità né il divieto di discriminazione, ricordando, al punto 100 della sentenza impugnata, che il fatturato rimane un criterio adeguato per valutare le dimensioni e il potere economico delle imprese interessate, nonostante sia un criterio vago e imperfetto.

62      Al punto 97 della sentenza impugnata, ancora una volta senza incorrere in errori di diritto, il Tribunale ha peraltro stabilito che non vi è nessuna valida ragione che imponga di calcolare il fatturato di un mercato rilevante escludendo taluni costi di produzione. Come ha dichiarato la Corte nell’odierna sentenza nella causa C‑272/09 P, che vede anch’essa le ricorrenti opposte alla Commissione, tenere conto del fatturato lordo in alcuni casi, ma non in altri, richiederebbe la fissazione di una soglia, sotto forma di rapporto tra fatturato lordo e fatturato netto, molto difficile da applicare e darebbe adito a controversie interminabili ed insolubili, anche vertenti su asserite disparità di trattamento.

63      Per quanto riguarda la censura secondo cui il Tribunale non avrebbe valutato l’adeguatezza e la pertinenza dei criteri di valutazione di cui si è avvalsa la Commissione per stabilire la gravità del cartello, occorre rammentare che, nell’ambito di un ricorso avverso una decisione in materia di concorrenza, spetta al ricorrente sollevare motivi a tale proposito e non al Tribunale verificare d’ufficio la ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla Commissione per determinare l’importo dell’ammenda.

64      Nella sentenza impugnata il Tribunale ha svolto il controllo ad esso incombente. Esso ha risposto ai motivi fatti valere dalle ricorrenti e non è incorso in errori di diritto affermando, al punto 101 della sentenza impugnata, che la Commissione ha correttamente tenuto conto del prezzo del rame ai fini della determinazione delle dimensioni del mercato rilevante.

65      Il secondo motivo dedotto è pertanto infondato.

 Sul terzo motivo, vertente su diversi errori di diritto relativi alla presa in considerazione della durata dell’infrazione

 Argomenti delle parti

66      Le ricorrenti spiegano che il loro terzo motivo riguarda i punti 111‑117 della sentenza impugnata. Sostengono che il Tribunale ha violato il diritto dell’Unione e fornito una motivazione oscura, illogica e inadeguata della sentenza accogliendo la parte rilevante della decisione controversa in cui la Commissione ha applicato in maniera errata gli orientamenti ed ha violato i principi della proporzionalità e della parità di trattamento imponendo la percentuale massima di aumento dell’importo di partenza dell’ammenda loro inflitta in funzione della durata dell’infrazione.

67      Secondo le ricorrenti, dal punto 1, B, degli orientamenti risulta che lo scopo della maggiorazione dell’ammenda in funzione della durata dell’infrazione è quello di «sanzionare realmente le restrizioni che hanno arrecato un pregiudizio durevole ai consumatori». Il nesso che deve sussistere fra la durata dell’infrazione e il suo effetto dannoso emergerebbe altresì dalla giurisprudenza. Orbene, il Tribunale non avrebbe verificato se la Commissione, in sede di valutazione della gravità dell’infrazione, abbia effettivamente attribuito il giusto peso al fatto che l’intensità e l’efficacia del cartello sono variate nel tempo. Il Tribunale avrebbe dunque giudicato a torto, al punto 116 della sentenza impugnata, che la maggiorazione del 125% dell’importo di partenza dell’ammenda non è manifestamente sproporzionata.

68      Peraltro, l’omesso riconoscimento da parte del Tribunale del fatto che il gruppo KME si trovasse in una situazione molto simile a quella delle imprese ricorrenti nella causa che ha dato origine alla sentenza 19 maggio 2010, causa T‑18/05, IMI e a./Commissione (non ancora pubblicata nella Raccolta) e il suo rifiuto di determinare nuovamente l’importo di partenza dell’ammenda, contrariamente a quanto ha fatto in tale sentenza, avrebbero dato luogo ad un trattamento differenziato illecito del gruppo KME e di tali imprese.

69      La Commissione afferma che le ricorrenti non hanno confutato le conclusioni del Tribunale riportate ai punti 111‑115 della sentenza impugnata. Essa aggiunge che proprio l’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003 traccia una distinzione tra la gravità dell’infrazione e la sua durata, e che la presa in considerazione della parità di trattamento in relazione con la durata dell’infrazione richiede che si esamini tale durata e non gli elementi relativi alla gravità dell’infrazione, quali l’intensità dell’intesa ed i suoi effetti.

70      Per quanto riguarda le imprese ricorrenti nella causa che ha dato origine alla citata sentenza IMI e a./Commissione, la Commissione ricorda che il Tribunale ha annullato la decisione di infrazione contro tali imprese per un periodo di sedici mesi. Dette imprese, quindi, si trovavano in una situazione diversa da quella delle ricorrenti.

71      Infine, la Commissione sottolinea che, per tener conto del danno arrecato da un’intesa, gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, n. 2, lett. a), del regolamento n. 1/2003 prevedono una maggiorazione dell’ammenda pari al 100% per ogni anno dell’intesa. La maggiorazione del 10% per ogni anno supplementare, applicata nella presente fattispecie, sarebbe in realtà alquanto limitata e non sarebbe manifestamente sproporzionata.

 Giudizio della Corte

72      Con il terzo motivo le ricorrenti contestano nel contempo il principio di un aumento dell’ammenda per tenere conto della durata dell’infrazione e il risultato dell’applicazione di tale principio nei loro confronti, cioè l’aumento dell’importo di partenza dell’ammenda – fissato a 70 milioni di euro – del 125% onde tenere conto di una durata dell’infrazione di 12 anni e 9 mesi, in applicazione di un aumento del 10% per ogni anno di partecipazione. In base alle cifre riportate al punto 719 della decisione controversa e riprodotte al punto 22 di questa sentenza, l’importo di base per il gruppo KME è stato così portato a EUR 111,13 milioni.

73      Tuttavia, la critica del risultato si basa sull’errata premessa che il tasso di aumento sia stato pari al 125%, mentre in realtà è stato solo del 58,75% (111,13/70 = 1,5875).

74      Quanto al principio dell’aumento dell’ammenda per tenere conto della durata dell’infrazione, non è necessario dimostrare concretamente un rapporto diretto fra tale durata e un danno maggiore arrecato agli obiettivi dell’Unione perseguiti dalle regole di concorrenza.

75      Infatti, ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza (v., in tal senso, sentenza 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig/Commissione, Racc. pag. 458). Ciò si verifica in particolare, come nella fattispecie, per quanto riguarda gli accordi che comportano restrizioni manifeste della concorrenza quali la fissazione di prezzi e la ripartizione dei mercati. Se un’intesa fissa lo stato del mercato al momento in cui viene conclusa, il suo persistere per lungo tempo può irrigidirne le strutture, facendo scemare lo stimolo all’innovazione e allo sviluppo per i partecipanti all’intesa. Più l’intesa si protrarrà nel tempo, più il ritorno alla situazione di libera concorrenza sarà lento e difficile.

76      Anche se l’intensità e l’efficacia del cartello variano nel tempo, detto cartello comunque continua ad esistere e, dunque, ad irrigidire ulteriormente le strutture del mercato.

77      Quanto all’ipotesi di assenza totale di attuazione di un accordo, occorre ricordare che il punto 3 degli orientamenti stabilisce che la mancata effettiva applicazione degli accordi o delle pratiche illecite può costituire una circostanza attenuante che dà luogo a una riduzione dell’importo di base dell’ammenda. Tuttavia, non risulta che nella fattispecie si sia verificato tale caso, poiché le ricorrenti hanno contestato non già l’attuazione dell’intesa da parte loro, bensì unicamente l’assenza di presa in considerazione dell’intensità variabile di tale attuazione e dell’impatto concreto e oggettivo dell’intesa sui consumatori.

78      Peraltro, dato il gran numero di variabili in gioco, in particolare, nella formazione dei prezzi di manufatti, può risultare difficile quantificare il danno effettivo per il consumatore.

79      In ogni caso, la durata dell’infrazione è indicata dal legislatore dell’Unione come elemento da prendere in considerazione in quanto tale ai fini della fissazione dell’importo delle ammende.

80      In considerazione di tali elementi, al punto 117 della sentenza impugnata il Tribunale ha correttamente dichiarato infondato il motivo avente ad oggetto la maggiorazione dell’importo dell’ammenda in funzione della durata dell’intesa.

81      Quanto alle imprese ricorrenti nella causa che ha dato origine alla citata sentenza IMI e a./Commissione, come si evince dal punto 96 di tale sentenza, il Tribunale ha ritenuto che fosse intervenuta un’interruzione dell’infrazione per un periodo di poco più di sedici mesi. La situazione di tali imprese, pertanto, era assai diversa da quella delle ricorrenti, che non hanno mai fatto valere un’interruzione dell’infrazione, ma hanno solo dedotto una variazione della sua intensità. Ne consegue che il Tribunale non ha violato il divieto di discriminazioni trattando le ricorrenti in modo differente da dette imprese.

82      Dall’insieme di tali elementi risulta che il terzo motivo è infondato.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione degli orientamenti, nonché dei principi di equità e di parità di trattamento per la mancata considerazione di talune circostanze attenuanti

 Argomenti delle parti

83      Le ricorrenti indicano che il loro quarto motivo riguarda i punti 125‑142 della sentenza impugnata. Affermano che il Tribunale ha violato il diritto dell’Unione respingendo il quinto motivo del ricorso e confermando la parte rilevante della decisione controversa in cui la Commissione, in violazione degli orientamenti e dei principi di equità e di parità di trattamento, ha negato loro una riduzione dell’ammenda in ragione, in primo luogo, della limitata attuazione degli accordi, in secondo luogo, della crisi nell’industria dei tubi idrotermosanitari in rame e, in terzo luogo, della loro cooperazione fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

84      Le ricorrenti affermano, anzitutto, che il Tribunale à incorso in un errore di diritto non tenendo per nulla conto, nella sentenza impugnata, della circostanza che esse si sono astenute dal dare esecuzione agli accordi e che hanno tenuto un comportamento concorrenziale. In proposito, contestano il criterio indicato al punto 127 di tale sentenza e applicato dal Tribunale per valutare se esse soddisfacessero le condizioni richieste per l’applicazione della circostanza attenuante, ossia il fatto di avere violato chiaramente ed in modo significativo gli obblighi diretti a dare attuazione all’intesa, al punto da averne compromesso il funzionamento. A detta delle ricorrenti, siffatto criterio è più rigoroso di quello applicato per determinare il momento in cui una partecipazione è cessata – ossia il fatto che un’impresa si sia apertamente distanziata dalla concertazione illecita – il che è illogico.

85      Esse sostengono, poi, che il Tribunale ha leso il divieto di discriminazione, poiché avrebbe dovuto tener conto, come circostanza attenuante, della difficile situazione in cui si trovava l’industria dei tubi idrotermosanitari.

86      Le ricorrenti asseriscono, infine, che il Tribunale ha violato il diritto dell’Unione confermando la parte della decisione controversa in cui la Commissione ha loro negato una riduzione dell’ammenda in forza della loro cooperazione fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Secondo le ricorrenti, solo loro avrebbero dovuto beneficiare di una riduzione o di un’immunità parziale dall’ammenda, in quanto hanno fornito una prova della durata dell’infrazione, diversamente dal gruppo Outokumpu, che aveva unicamente apportato un’informazione relativa alla durata complessiva del cartello.

87      La Commissione ritiene che il Tribunale abbia applicato correttamente la giurisprudenza in forza della quale può essere concessa una riduzione dell’ammenda per la mancata applicazione dell’intesa.

88      Essa rammenta inoltre che le decisioni su altre intese non possono dare luogo ad un motivo relativo alla violazione del divieto di discriminazione. Ad ogni modo, il periodo difficile attraversato dal settore sarebbe successivo all’intesa.

89      Per quanto riguarda, infine, la cooperazione, la Commissione sostiene che il quarto motivo è irricevibile perché il gruppo KME chiede alla Corte di sostituire la sua valutazione a quella del Tribunale.

90      Inoltre, il motivo sarebbe infondato. In risposta all’insieme degli argomenti svolti dal gruppo KME, la Commissione fa valere che il Tribunale ha fornito una spiegazione chiara e logica della sua valutazione dei casi in cui può essere concessa un’immunità parziale.

91      Il gruppo Outokumpu ha usufruito di una riduzione dell’ammenda, ma tale circostanza è dovuta al fatto che l’informazione che esso ha comunicato ha permesso alla Commissione di indagare e di ricercare prove. Le ricorrenti avrebbero facilitato il compito fornendo prove e nulla di più. A dispetto di quanto possa trasparire dalla loro impugnazione, le ricorrenti non avrebbero neanche potuto beneficiare di un’immunità parziale conformemente alla comunicazione della Commissione sull’immunità dalle ammende e sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa, poiché un’immunità di questo tipo è riservata alle prove di «fatti precedentemente ignorati dalla Commissione», il che non era applicabile alla durata totale del cartello.

92      Infine, la Commissione sottolinea che l’applicazione di un’immunità parziale nell’ipotesi addotta dalle ricorrenti sarebbe contraria al titolo D della comunicazione sulla cooperazione, che già prevede una riduzione dell’ammenda quando l’impresa fornisca alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare l’esistenza dell’infrazione commessa.

 Giudizio della Corte

93      La prima censura riguarda il punto 127 della sentenza impugnata, ove il Tribunale si rifà alla giurisprudenza secondo cui, affinché sia loro riconosciuta la circostanza attenuante di cui al punto 3, secondo trattino, degli orientamenti, i contravventori devono dimostrare di aver adottato un comportamento concorrenziale o, perlomeno, di aver chiaramente e significativamente infranto gli obblighi di attuazione dell’intesa, sì da perturbarne lo stesso funzionamento e di non aver dato l’impressione di aderire all’accordo istigando altre imprese ad attuare l’intesa di cui trattasi (sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, Racc. pag. II‑2395, punto 292, e 15 marzo 2006, causa T‑26/02, Daiichi Pharmaceutical/Commissione, Racc. pag. II‑713, punto 113).

94      Al punto 491 della citata sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, in particolare, il Tribunale ha esplicitato tale giurisprudenza, ricordando come un’impresa che, malgrado la concertazione con le proprie concorrenti, persegua una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di utilizzare l’intesa a proprio vantaggio. Se in tal caso le fossero riconosciute circostanze attenuanti, sarebbe troppo semplice per le imprese minimizzare il rischio di dover pagare un’ammenda ingente poiché potrebbero approfittare di un’intesa illecita e beneficiare in seguito di una riduzione dell’ammenda per il fatto di aver svolto solo un ruolo limitato nell’attuazione dell’infrazione, mentre il loro atteggiamento ha istigato altre imprese a comportarsi in maniera più dannosa per la concorrenza (v. anche sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punti 277 e 278).

95      Contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, un’impresa che cessi di partecipare ad un’intesa non si trova nella stessa situazione di un’impresa che aderisce all’intesa ma non le dà attuazione o cessa di farlo. In quest’ultimo caso, infatti, l’impresa continua a nuocere alla concorrenza a causa della sua partecipazione alle eventuali discussioni e della circostanza, rilevata dal Tribunale, che la sua partecipazione all’intesa è idonea ad istigare altre imprese a tenere un comportamento dannoso per la concorrenza.

96      Pertanto, il Tribunale non è incorso in un errore di diritto interpretando restrittivamente le condizioni richieste per il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al punto 3, secondo trattino, degli orientamenti. Orbene, come il Tribunale ha rilevato al punto 128 della sentenza impugnata, le ricorrenti non hanno affermato di soddisfare tali condizioni. Di conseguenza, il primo argomento è infondato.

97      Per quanto riguarda il secondo argomento, basta ricordare che, di norma, i cartelli nascono nel momento in cui un settore economico soffre delle difficoltà e che, in linea di principio, tali difficoltà non possono costituire una circostanza attenuante.

98      Peraltro, la difficoltà di raffrontare il livello delle ammende inflitte a imprese che abbiano partecipato ad accordi diversi, su mercati distinti, in epoche talvolta distanti tra loro, può risultare dalle condizioni necessarie per l’attuazione di un’efficace politica della concorrenza (sentenza 2 ottobre 2003, causa C‑196/99 P, Aristrain/Commissione, Racc. pag. I‑11005, punto 81). Il Tribunale non ha dunque violato il divieto di discriminazioni considerando, al punto 129 della sentenza impugnata, che il fatto che in casi precedenti la Commissione abbia tenuto conto della situazione economica del settore come circostanza attenuante, non implica che essa debba necessariamente continuare ad osservare tale prassi.

99      Quanto al terzo argomento, le ricorrenti contestano la sentenza impugnata senza tuttavia precisare e motivare sotto che profilo il Tribunale sarebbe incorso in errore di diritto nel ragionamento svolto ai punti 136‑140 di tale sentenza e senza spiegare come il fatto di produrre elementi probatori relativi a fatti già noti alla Commissione possa giustificare il riconoscimento di circostanze attenuanti in misura maggiore rispetto a quello di produrre anteriormente informazioni nuove per la Commissione. Ne consegue che questo argomento è irricevibile in quanto eccessivamente impreciso.

100    Da tali considerazioni risulta che il quarto motivo è in parte irricevibile e in parte infondato.

 Sul quinto motivo, vertente su una violazione degli orientamenti e su un errore di motivazione

 Argomenti delle parti

101    Le ricorrenti spiegano che il loro quinto motivo riguarda i punti 163‑174 della sentenza impugnata. Sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto e ha motivato in modo illogico ed inadeguato il rigetto del settimo motivo del ricorso e la conferma, da parte sua, del diniego della Commissione di concedere loro una riduzione dell’ammenda in virtù della loro incapacità di pagare, soprattutto in seguito all’onere finanziario che era già stato loro inflitto nel contesto della causa relativa ai tubi industriali in rame. Esse affermano che il Tribunale non ha applicato il criterio adeguato, poiché l’impresa è tenuta unicamente a dimostrare che l’applicazione di una sanzione ingente le cagionerebbe un danno economico e finanziario molto grave. Esse lamentano inoltre che il Tribunale ha interpretato in modo errato la seconda parte del criterio previsto al punto 5, lett. b), degli orientamenti, concludendo che non sussistesse alcun «contesto sociale particolare» ai sensi del citato punto idoneo a giustificare una riduzione dell’ammenda. Infine, asseriscono che la sentenza impugnata non ha ovviato all’illegittima discriminazione compiuta dalla Commissione a loro danno rispetto alla SGL Carbon AG nelle cause da cui sono scaturite le sentenze 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑5977), e 10 maggio 2007, causa C‑328/05 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑3921).

102    La Commissione rileva anzitutto che il primo argomento delle ricorrenti non è diretto contro un errore di diritto individuato nella sentenza impugnata e che il Tribunale non ha statuito in merito all’espressione «incapacità di pagare». Essa osserva inoltre che la questione del «contesto sociale particolare» non è stata sottoposta al Tribunale. Ad ogni modo, le affermazioni delle ricorrenti sarebbero vaghe e riguarderebbero valutazioni relative ai fatti e alle prove, il che sarebbe irricevibile nel contesto di un’impugnazione. Secondo la Commissione, infine, il Tribunale ha correttamente respinto l’argomento delle ricorrenti relativo alla discriminazione, in quanto la prassi della Commissione nelle decisioni anteriori non funge da contesto giuridico per le ammende. La situazione della SGL Carbon AG sarebbe stata comunque differente.

 Giudizio della Corte

103    Il Tribunale non è incorso in errore di diritto quando ha ricordato, al punto 165 della sentenza impugnata, che la Commissione non è obbligata a tener conto della situazione deficitaria dell’impresa, dal momento che il riconoscimento di un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato alle imprese meno adattate alle condizioni del mercato (v. sentenze 8 novembre 1983, cause riunite 96/82‑102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ International Belgium e a./Commissione, Racc. pag. 3369, punti 54 e 55; Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 327; 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, cit., punto 105, nonché 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, cit., punto 100).

104    La Commissione non è tenuta, tanto meno, a prendere in considerazione la presunta incapacità di pagare dovuta ad una sanzione finanziaria inflitta a causa di un’altra infrazione al diritto della concorrenza, dato che l’impresa è la prima responsabile di siffatta situazione, che essa ha provocato con un comportamento illecito.

105    Peraltro, come ricordato al punto 98 di questa sentenza, la difficoltà di comparare il livello delle ammende inflitte a imprese che abbiano partecipato ad accordi diversi, su mercati distinti, in epoche talvolta distanti tra loro, può risultare dalle condizioni necessarie per l’attuazione di un’efficace politica della concorrenza. Il Tribunale non ha dunque violato il divieto di discriminazioni considerando, al punto 164 della sentenza impugnata, che il fatto che in casi precedenti la Commissione abbia tenuto conto delle difficoltà finanziarie di un’impresa non implica che essa debba effettuare la medesima valutazione in un caso successivo.

106    Infine, il quinto motivo è, per di più, particolarmente generico, dato che le ricorrenti si limitano a denunciare un errore di diritto commesso dal Tribunale, senza tuttavia precisare in cosa esso consista esattamente. Ad ogni modo, la Corte non è competente a controllare valutazioni di fatto del Tribunale come quelle figuranti ai punti 169 e 170 della sentenza impugnata.

107    Da ciò si evince che il quinto motivo deve essere dichiarato in parte irricevibile e in parte infondato.

 Sul sesto motivo, vertente sulla violazione del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo

 Argomenti delle parti

108    Le ricorrenti affermano che il Tribunale ha violato il diritto dell’Unione e il loro diritto fondamentale ad un ricorso giurisdizionale effettivo e pieno avendo omesso di esaminare in modo approfondito e dettagliato i loro argomenti e essendosi rimesso in modo eccessivo ed irragionevole al potere discrezionale della Commissione. Esse contestano, più nello specifico, il modo in cui il Tribunale ha esaminato il secondo motivo di ricorso, sulle dimensioni del mercato, il quarto motivo del ricorso, relativo alla durata dell’infrazione, nonché il quinto motivo, vertente sulle circostanze attenuanti. Secondo le ricorrenti, il rifiuto da parte del Tribunale di esaminare in modo approfondito e dettagliato i motivi e gli argomenti che hanno sviluppato nel loro ricorso integra la violazione del loro diritto fondamentale ad un controllo giurisdizionale completo, effettivo ed equo sulla decisione controversa da parte di un giudice imparziale e indipendente.

109    Le ricorrenti dichiarano che la dottrina del «potere discrezionale» e della «deferenza giudiziaria» non dovrebbe più essere applicata oggigiorno, poiché il diritto dell’Unione è ormai caratterizzato dall’enorme importo delle ammende inflitte dalla Commissione, situazione spesso designata come «trasformazione in senso penale» de facto del diritto dell’Unione relativo alla concorrenza.

110    D’altra parte, l’applicabilità diretta dell’eccezione di cui all’art. 81, n. 3, CE, istituita dal regolamento n. 1/2003 in sostituzione del precedente regime di autorizzazione, esclude per definizione qualsiasi discrezionalità della Commissione nell’applicazione delle regole della concorrenza e quindi impone solamente un grado molto ridotto di deferenza giudiziaria da parte degli organi giurisdizionali che controllano l’applicazione di dette regole ad opera della Commissione in casi particolari.

111    Le ricorrenti sostengono altresì che il potere discrezionale della Commissione non dovrebbe essere giustificato dalla presunta migliore competenza della Commissione a valutare complesse situazioni di fatto o economiche. Esse rilevano, a tale proposito, che sia la Corte sia il Tribunale hanno svolto proficuamente controlli giurisdizionali particolarmente intensi su casi complessi.

112    Allo stesso modo, tenuto conto della competenza estesa al merito conferita al Tribunale dagli artt. 261 TFUE e 31 del regolamento n. 1/2003, il Tribunale non dovrebbe riconoscere alla Commissione alcun potere discrezionale non solo per quanto riguarda l’adeguatezza e la proporzionalità dell’importo delle ammende, ma anche per quanto concerne il metodo di lavoro seguito dalla Commissione per effettuare i suoi calcoli. Secondo le ricorrenti, il Tribunale è tenuto ad esaminare il modo in cui la Commissione ha valutato la gravità e la durata del comportamento illecito in ogni singolo caso e può dunque sostituire la propria valutazione a quella della Commissione annullando, riducendo o aumentando l’ammenda.

113    Secondo le ricorrenti, la Commissione deve agire secondo una linea politica coerente e non discriminatoria in tutti i casi in cui fissa l’importo di una sanzione per la violazione delle regole della concorrenza. Ciò implicherebbe che essa tratti allo stesso modo imprese che si trovano in situazioni equivalenti nel contesto di infrazioni distinte, accertate mediante distinte decisioni. Se così non fosse, il margine discrezionale della Commissione si trasformerebbe in comportamento puramente arbitrario, e si ammetterebbe che la Commissione può modificare a suo piacimento la propria politica in materia di ammende in ciascun singolo caso.

114    Le ricorrenti ricordano inoltre che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’attuazione del diritto amministrativo tramite decisioni amministrative e ammende non viola di per sé l’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Tale attuazione, tuttavia, dovrebbe essere sorretta da garanzie procedurali sufficientemente forti e accompagnata da un effettivo regime di sindacato giurisdizionale, comprendente una competenza giurisdizionale estesa al merito per il controllo delle decisioni amministrative. Il diritto ad un «ricorso effettivo dinanzi ad un giudice» è sancito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

115    In via preliminare, la Commissione sottolinea che le ricorrenti hanno fondato il loro ricorso, diretto alla riduzione dell’ammenda, sull’art. 230 CE, e non sulla competenza estesa al merito prevista dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003.

116    Per quanto riguarda il secondo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, la Commissione ritiene che, nonostante i riferimenti al potere discrezionale esercitato dalla Commissione, il Tribunale abbia effettuato un controllo approfondito ed effettivo del calcolo dell’ammenda inflitta al gruppo KME e sia pervenuto alla propria conclusione confermativa secondo cui tali motivi erano infondati.

117    Infine, secondo la Commissione, il gruppo KME si limita a fare allusione alle «accuse di natura penalistica» e all’art. 6, n. 1, della CEDU, ma non analizza le conseguenze che occorre dedurne.

 Giudizio della Corte

118    Le ricorrenti contestano nel contempo il modo in cui il Tribunale ha dichiarato di esser tenuto a considerare l’ampio potere discrezionale della Commissione e il modo in cui esso ha concretamente svolto il controllo sulla decisione controversa. Esse richiamano al riguardo l’art. 6 della CEDU nonché la Carta.

119    Il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, attualmente sancito dall’art. 47 della Carta (v. sentenza 22 dicembre 2010, causa C‑279/09, DEB, Racc. pag. I‑13849, punti 30 e 31; ordinanza 1° marzo 2011, causa C‑457/09, Chartry, Racc. pag. I‑819, punto 25, nonché sentenza 28 luglio 2011, causa C‑69/10, Samba Diouf, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 49).

120    Il sindacato giurisdizionale sulle decisioni delle istituzioni è stato disciplinato dai Trattati istitutivi. Oltre a un controllo di legittimità, attualmente previsto dall’art. 263 TFUE, è stato previsto un controllo esteso al merito per quanto riguarda le sanzioni stabilite dai regolamenti.

121    Per quanto riguarda il controllo di legittimità, la Corte ha statuito che, sebbene negli ambiti che richiedono valutazioni economiche complesse la Commissione disponga di un potere discrezionale in materia economica, ciò non implica che il giudice dell’Unione debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Infatti, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte (v. sentenze 15 febbraio 2005, causa C‑12/03 P, Commissione/Tetra Laval, Racc. pag. I‑987, punto 39, nonché 22 novembre 2007, causa C‑525/04 P, Spagna/Lenzing, Racc. pag. I‑9947, punti 56 e 57).

122    Per quanto attiene alla sanzione delle infrazioni al diritto della concorrenza, l’art. 15, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 17, stabilisce che, per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata. Il medesimo testo figura all’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003.

123    La Corte ha dichiarato che, per determinare l’importo delle ammende, si deve tenere conto della durata delle infrazioni e di tutti gli elementi idonei a rientrare nella valutazione della loro gravità, quali il comportamento di ciascuna delle imprese, il ruolo giocato da ciascuna di esse nell’instaurazione delle pratiche concordate, il profitto che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci interessate nonché il rischio che infrazioni di tale tipo rappresentano per la Comunità europea (sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit., punto 129; Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 242, nonché 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punto 96).

124    La Corte ha altresì indicato che devono essere presi in considerazione elementi obiettivi come il contenuto e la durata dei comportamenti anticoncorrenziali, il loro numero e la loro intensità, l’estensione del mercato interessato e il deterioramento subito dall’ordine pubblico economico. L’analisi deve considerare altresì l’importanza relativa e la quota di mercato delle imprese responsabili, nonché un’eventuale recidiva (sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 91).

125    Un numero così elevato di elementi richiede che la Commissione svolga un esame approfondito delle circostanze dell’infrazione.

126    Per considerazioni attinenti alla trasparenza, la Commissione ha adottato gli orientamenti, in cui indica a quale titolo prenderà in considerazione l’una o l’altra circostanza dell’infrazione e le conseguenze che potranno esserne tratte riguardo all’importo dell’ammenda.

127    Gli orientamenti, a proposito dei quali la Corte ha dichiarato che enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire da cui l’amministrazione non può discostarsi, in un’ipotesi specifica, senza fornire giustificazioni compatibili con il principio della parità di trattamento (sentenza 18 maggio 2006, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit., punto 91), si limitano a descrivere il metodo di valutazione dell’infrazione adottato dalla Commissione e i criteri che quest’ultima si obbliga a seguire nel determinare l’importo dell’ammenda.

128    Occorre rammentare l’obbligo di motivazione degli atti dell’Unione. Tale obbligo riveste un’importanza del tutto particolare nella fattispecie. Spetta alla Commissione motivare la propria decisione e, in particolare, spiegare la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati (v., in tal senso, sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit., punto 87). La presenza di una motivazione deve essere verificata d’ufficio dal giudice.

129    Peraltro, il giudice dell’Unione ha il compito di effettuare il controllo di legittimità ad esso incombente sulla base degli elementi prodotti dalle ricorrenti a sostegno dei loro motivi. In occasione di tale controllo, il giudice non può basarsi sul potere discrezionale di cui dispone la Commissione, né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito tanto in fatto quanto in diritto.

130    Il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’art. 17 del regolamento n. 17 e attualmente dall’art. 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’art. 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (v., in tal senso, sentenza 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 692)

131    Occorre tuttavia sottolineare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e ricordare che il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi.

132    Tale condizione procedurale non contraddice la regola secondo cui, per infrazioni a regole di concorrenza, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa riscontra e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare adeguatamente l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione. Ciò che si richiede a un ricorrente nell’ambito di un ricorso giurisdizionale, infatti, è di identificare gli elementi contestati della decisione impugnata, di formulare censure a tale riguardo e di addurre prove, che possono essere costituite da seri indizi, volti a dimostrare che le proprie censure sono fondate.

133    Il controllo previsto dai Trattati implica dunque che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto e che esso disponga del potere di valutare le prove, di annullare la decisione impugnata e di modificare l’ammontare delle ammende. Non risulta quindi che il controllo di legittimità di cui all’art. 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, prevista all’art. 31 del regolamento n. 1/2003, sia contrario ai dettami del principio della tutela giurisdizionale effettiva che figura all’art. 47 della Carta.

134    Ne consegue che il sesto motivo, nella parte in cui riguarda le regole del sindacato giurisdizionale considerate alla luce del principio della tutela giurisdizionale effettiva, è infondato.

135    Relativamente alla parte che riguarda il modo in cui il Tribunale ha svolto il controllo della decisione controversa nell’ambito del secondo, del quarto e del quinto motivo del ricorso, il presente motivo coincide con i motivi dal secondo al quarto dell’impugnazione e dunque è già stato esaminato dalla Corte.

136    A tale proposito occorre ricordare che, sebbene a più riprese – in particolare ai punti 52‑54, 99, 114, 136 e 150 della sentenza impugnata – il Tribunale si sia riferito al «potere discrezionale», al «potere discrezionale sostanziale» o all’«ampio potere discrezionale» della Commissione, tali riferimenti non hanno impedito al Tribunale di esercitare il pieno e completo controllo, in fatto e in diritto, al quale esso è tenuto.

137    Dall’insieme di questi elementi risulta che il sesto motivo è infondato.

138    Di conseguenza, non può essere accolto nessuno dei motivi addotti dal gruppo KME a fondamento della sua impugnazione, che, pertanto, dev’essere respinta.

 Sulle spese

139    Ai termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’art. 118 di detto regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il gruppo KME, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese del presente procedimento.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La KME Germany AG, la KME France SAS e la KME Italy SpA sono condannate alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.