Language of document : ECLI:EU:C:2005:616

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

18 ottobre 2005 (*)

«Marchi – Direttiva 89/104/CEE – Regolamento (CE) n. 40/94 – Diritti conferiti dal marchio – Uso del marchio nel commercio – Importazione di prodotti originali nella Comunità – Prodotti assoggettati al regime doganale di transito esterno o a quello di deposito doganale – Opposizione del titolare del marchio – Offerta in vendita o vendita di prodotti assoggettati al regime doganale di transito esterno o a quello di deposito doganale – Opposizione del titolare del marchio – Onere della prova»

Nel procedimento C-405/03,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Gerechtshof te ‘s-Gravenhage (Paesi Bassi) con decisione 28 agosto 2003, pervenuta in cancelleria il 29 settembre 2003, nella causa

Class International BV

contro

Colgate-Palmolive Company,

Unilever NV,

SmithKline Beecham plc,

Beecham Group plc,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e J. Malenovský, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann (relatore), R. Schintgen, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr, J.N. Cunha Rodrigues, A. Borg Barthet, M. Ilešič e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig. F.G. Jacobs

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 marzo 2005,

considerate le osservazioni presentate:

–       per la Class International BV, dal sig. G. van der Wal, advocaat;

–       per la SmithKline Beecham plc e la Beecham Group plc, dal sig. M. A.A. van Wijngaarden, advocaat;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. N.B. Rasmussen, W. Wils e H. van Vliet, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 maggio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 3, lett. b) e c), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»), e dell’art. 9, nn. 1 e 2, lett. b) e c), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento»).

2       Tale questione è stata sottoposta alla Corte nell’ambito di una controversia tra la Class International BV (in prosieguo: la «Class International»), da un lato, e la SmithKline Beecham plc (in prosieguo: la «SmithKline Beecham») e la Beecham Group plc (in prosieguo: la «Beecham Group»), dall’altro, riguardo al sequestro conservativo, da parte di queste due società, di prodotti contrassegnati da marchi delle medesime, provenienti da paesi non comunitari e immagazzinati dalla Class International, proprietaria dei prodotti stessi, in un deposito a Rotterdam.

 Contesto normativo comunitario

3       L’art. 5 della direttiva, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1.      Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(...)

3.      Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1e 2 sono soddisfatte:

(...)

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare (…) prodotti contraddistinti dal segno;

(…)».

4       L’art. 9, n. 1, lett. a), e n. 2, lett. b) e c), del regolamento definisce nei medesimi termini i diritti conferiti dal marchio comunitario.

5       L’art. 7, n. 1, della direttiva, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», recita quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso».

6       L’art. 13, n. 1, del regolamento prevede nei medesimi termini l’esaurimento del diritto conferito dal marchio comunitario.

7       Ai sensi dell’art. 65, n. 2, dell’Accordo 2 maggio 1992 sullo Spazio economico europeo (GU 1994, L 1, pag. 3), le disposizioni e le norme specifiche applicabili nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») alla proprietà intellettuale, industriale e commerciale sono contenute, in particolare, nell’allegato XVII dell’Accordo medesimo.

8       Il punto 4 del detto allegato fa riferimento alla direttiva.

9       Ai fini dell’Accordo SEE, tale disposizione ha modificato l’art. 7, n. 1, della direttiva, sostituendo l’espressione «nella Comunità» con i termini «in una Parte contraente».

10     L’art. 91, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce un codice doganale comunitario (GU L 302, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), prevede quanto segue:

«Il regime di transito esterno consente la circolazione da una località all’altra del territorio doganale della Comunità:

a)      di merci non comunitarie, senza che tali merci siano soggette ai dazi all’importazione e ad altre imposte, né alle misure di politica commerciale;

(…)».

11     L’art. 98, n. 1, del codice doganale così recita:

«Il regime del deposito doganale consente l’immagazzinamento in un deposito doganale di:

a)      merci non comunitarie, senza che tali merci siano soggette ai dazi all’importazione e alle misure di politica commerciale;

(…)».

12     L’art. 58 del codice medesimo precisa quanto segue:

«1.      Salvo disposizioni contrarie, le merci possono ricevere, in qualsiasi momento e alle condizioni stabilite, una destinazione doganale, indipendentemente dalla loro qualità, quantità, origine, provenienza o destinazione.

2.      Il paragrafo 1 non osta all’applicazione di divieti o restrizioni giustificati da motivi (…) di tutela della proprietà industriale e commerciale».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

13     La SmithKline Beecham e la Beecham Group, società del gruppo GlaxoSmithKline, con sede nel Regno Unito, sono titolari distinti dei marchi Aquafresh, marchi comunitari e marchi registrati presso l’Ufficio Benelux dei marchi, segnatamente per dentifrici.

14     Nel febbraio del 2002 la Class International introduceva nella Comunità, a Rotterdam, un container contenente dentifrici contrassegnati dal marchio Aquafresh, acquistati da un’impresa sudafricana, la Kapex International.

15     Informate del fatto che i detti dentifrici avrebbero potuto essere prodotti contraffatti, la SmithKline Beecham e la Beecham Group (in prosieguo, congiuntamente, le «società Beecham») il 5 marzo 2002 facevano porre il container sotto sequestro conservativo.

16     Dall’esame dei prodotti sequestrati, effettuato durante l’aprile del 2002, risultava che i prodotti erano originali e che non si trattava di merci contraffatte.

17     La Class International chiedeva al Rechtbank te Rotterdam la revoca del sequestro conservativo nonché la condanna delle società Beecham al versamento del risarcimento del preteso danno subito.

18     Le dette domande venivano respinte con ordinanza 24 maggio 2002.

19     Avverso tale decisione la Class International interponeva appello dinanzi al Gerechtshof te ‘s-Gravenhage.

20     Dinanzi al detto giudice, la società deduce che i prodotti sequestrati non sono stati importati, ma si trovano in transito.

21     Il Gerechtshof rileva che non è stato dimostrato che vi fosse già un acquirente dei detti prodotti né al momento del loro ingresso nei Paesi Bassi, né al momento del loro sequestro. Ad avviso del detto giudice, non è escluso che il primo acquirente sia stabilito nel SEE e rileva che diversi motivi dinanzi ad esso dedotti vertono sulla questione se l’immagazzinamento temporaneo di prodotti originali in un deposito assoggettato a regime doganale T 1 e/o il transito di tali merci verso paesi esterni al SEE debbano essere considerati come uso del marchio.

22     Ritenendo che la soluzione della controversia presupponesse l’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 3, lett. b) e c), della direttiva, nonché dell’art. 9, nn. 1 e 2, lett. b) e c), del regolamento, il Gerechtshof te ‘s-Gravenhage decideva di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il titolare di un marchio possa opporsi all’immissione (diretta o indiretta), avvenuta senza il suo consenso, di merci provenienti da paesi terzi, contrassegnate da un marchio ai sensi del[la direttiva] e/o [del regolamento] nel territorio di uno Stato membro (nella fattispecie nel territorio dei Paesi Bassi/dei Paesi del Benelux) nell’ambito del trasporto di beni in transito o del commercio di transito come inteso in prosieguo.

2)      Se l’espressione “usare [un segno] nel commercio”, ai sensi dell’art. 5, n. 1, prima frase, in combinato disposto con l’art. 5, n. 3, lett. b) e c), della direttiva, e dell’art. 9, n. 1, prima frase, in combinato disposto con l’art. 9, n. 2, lett. b) e c) [del regolamento], comprenda l’immagazzinamento nel territorio di uno Stato membro, in un ufficio doganale o in un deposito, di merci originali (contrassegnate da un marchio ai sensi [della direttiva], della legge uniforme del Benelux sui marchi e/o [del regolamento]) che non siano state introdotte nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, provengano da un paese esterno al SEE e che, dal punto di vista doganale, abbiano lo status di merci non comunitarie (ad esempio T 1 o documento amministrativo di accompagnamento).

3)      Se, ai fini della soluzione della prima e della seconda questione, sia rilevante che, al momento dell’entrata nel territorio di cui trattasi, la destinazione finale di tali merci sia o meno certa, oppure che, riguardo a tali merci, sia stato concluso o meno un accordo (per l’acquisto) con un cliente in uno Stato terzo.

4)      Se, nell’ambito della soluzione della prima, seconda e terza questione, rilevi l’eventuale sussistenza di ulteriori circostanze, quali

a)      il fatto che l’operatore commerciale, che è proprietario delle merci di cui trattasi, o almeno dispone delle stesse, e/o si occupa di commercio parallelo, sia stabilito in uno degli Stati membri;

b)      il fatto che tali merci siano offerte in vendita o vendute, a partire da uno Stato membro, da un operatore stabilito in tale Stato membro ad un altro operatore stabilito in uno Stato membro, laddove il luogo della consegna non sia (ancora) certo;

c)      il fatto che tali merci siano offerte in vendita o vendute, a partire da uno Stato membro, da un operatore stabilito in tale Stato membro ad un altro operatore stabilito in uno Stato membro, laddove il luogo della consegna delle merci in tal modo offerte o vendute sia certo, ma non lo sia il luogo di destinazione finale, e che ciò avvenga o meno con l’espressa indicazione o la limitazione contrattuale che si tratta di merci non comunitarie (in transito);

d)      il fatto che tali merci siano offerte in vendita o vendute, a partire da uno Stato membro, da un operatore stabilito in tale Stato membro ad un altro operatore stabilito al di fuori del SEE, laddove siano o meno certi il luogo della consegna e/o la destinazione finale delle merci;

e)      il fatto che tali merci siano offerte in vendita, a partire da uno Stato membro, da un operatore stabilito in tale Stato membro ad un operatore stabilito al di fuori del SEE, del quale l’operatore (parallelo) sappia o abbia seri motivi di ritenere che rivenderà o consegnerà le merci di cui trattasi a consumatori finali all’interno del SEE.

5)      Se la nozione di “offrire” di cui alle disposizioni menzionate nella prima questione debba essere interpretata nel senso che essa ricomprende parimenti l’offerta (in vendita) di merci originali (provviste di un marchio ai sensi della direttiva, della [legge uniforme del Benelux sui marchi] e/o del [regolamento]), immagazzinate in un ufficio doganale o in un deposito nel territorio di uno Stato membro, che non sono state introdotte nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, provengono da un paese esterno al SEE e che, dal punto di vista doganale, hanno lo status di merci non comunitarie (ad esempio T 1 o [documento amministrativo di accompagnamento]), nelle circostanze indicate supra nella terza e quarta questione;

6)      In relazione alle operazioni menzionate supra nella prima, seconda e quinta questione, su quale delle parti grava l’onere della prova».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

23     In considerazione della modifica apportata dall’Accordo SEE all’art. 7, n. 1, della direttiva, e ai fini della descrizione della situazione del titolare del marchio con riguardo alla regola dell’esaurimento del diritto esclusivo conferito dall’art. 5 della direttiva, le questioni sottoposte alla Corte riguardano prodotti provenienti da paesi al di fuori del SEE e introdotti nel SEE.

24     Le dette questioni riguardano, del pari, i regimi doganali di transito esterno e di deposito doganale, regimi sospensivi previsti dal codice doganale.

25     Orbene, si deve osservare che, se è pur vero che la direttiva è contemplata dall’allegato XVII dell’Accordo SEE tra le norme comuni applicabili nel SEE, il regolamento non è stato integrato, successivamente alla sua adozione, nel detto allegato.

26     Deve peraltro rilevarsi che il codice doganale non è applicabile, al di fuori della Comunità, negli Stati dell’Associazione europea di libero scambio che sono parti dell’Accordo SEE, il quale ha istituito una zona di libero scambio e non un’unione doganale.

27     Alla luce delle suesposte considerazioni, e dal momento che la soluzione della controversia principale, visti gli elementi di fatto enunciati dal giudice del rinvio, non richiede di prendere in considerazione il territorio del SEE, nel prosieguo della presente sentenza e nelle soluzioni della Corte, si farà riferimento al solo territorio della Comunità.

 Sulla possibilità, per il titolare del marchio, di opporsi all’introduzione nella Comunità, nel vigore del regime doganale di transito esterno o di quello di deposito doganale, di prodotti originali contrassegnati dal marchio

28     Con il primo capo della prima questione, relativa al transito esterno, nonché con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 5, nn. 1 e 3, lett. c), della direttiva e l’art. 9, nn. 1 e 2, lett. c), del regolamento vadano interpretati nel senso che il titolare di un marchio ha il diritto di opporsi all’introduzione nella Comunità, nel vigore del regime doganale di transito esterno o del regime di deposito doganale, di prodotti originali contrassegnati dal detto marchio che, precedentemente, non sono stati già immessi in commercio nella Comunità dal titolare stesso o con il suo consenso. Inoltre, con la terza questione, che occorre esaminare unitamente al primo capo della prima questione ed alla seconda questione, il giudice del rinvio chiede se il titolare del marchio possa, quantomeno, subordinare l’assoggettamento delle merci di cui trattasi al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale alla sussistenza, all’epoca dell’introduzione di tali merci nella Comunità, di una destinazione finale già determinata in un Paese terzo, eventualmente in forza di un contratto di vendita.

 Osservazioni sottoposte alla Corte

29     La Class International deduce che l’assoggettamento di prodotti originali al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale non costituisce un «uso [del marchio] nel commercio» ai sensi degli artt. 5, n. 1, della direttiva e 9, n. 1, del regolamento, uso che potrebbe essere vietato dal titolare in forza delle dette disposizioni. La regola dell’esaurimento del diritto esclusivo del titolare del marchio, prevista dagli artt. 7, n. 1, della direttiva e 13, n. 1, del regolamento, mirerebbe, quale unico obiettivo, ad attribuire al detto titolare l’esclusività territoriale per la prima immissione in commercio dei propri prodotti nella Comunità. Orbene, l’assoggettamento delle merci al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale non costituirebbe una commercializzazione delle dette merci nella Comunità.

30     In ogni caso, il titolare del marchio non potrebbe subordinare tale assoggettamento alla sussistenza di una destinazione finale già determinata in un Paese terzo. Se una siffatta condizione potesse essere imposta, il transito di prodotti di marca, esistente sin dalla sussistenza dei marchi stessi, sarebbe reso impossibile o estremamente difficile, risultato che il legislatore non avrebbe affatto inteso ottenere con il combinato disposto delle disposizioni sui marchi.

31     Secondo la Beecham, il titolare del marchio può opporsi all’introduzione nella Comunità di prodotti originali contrassegnati dal proprio marchio nel vigore del regime di transito esterno o di quello di deposito doganale. La detta società sottolinea che l’art. 58, n. 2, del codice doganale prevede la possibilità dell’applicazione di divieti o restrizioni giustificati da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale. La circostanza che le merci non siano ancora in libera pratica ai sensi dell’art. 24 CE resterebbe irrilevante. In ogni caso, il rischio che merci assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale siano immesse in libera pratica sarebbe effettivo e permanente. La nozione di «importazione» ai sensi degli artt. 5, n. 3, lett. c), della direttiva e 9, n. 2, lett. c), del regolamento corrisponderebbe, in definitiva, all’introduzione materiale dei prodotti nella Comunità e dovrebbe essere distinta da quella di «importazione» ai sensi del diritto doganale. La circostanza che, all’epoca dell’introduzione delle merci, la destinazione finale delle stesse sia determinata o meno sarebbe irrilevante.

32     La Commissione delle Comunità europee sostiene che la nozione di «importazione» ai sensi degli artt. 5, n. 3, lett. c), della direttiva e 9, n. 2, lett. c), del regolamento si riferisce a un’importazione effettuata al fine di commercializzare i prodotti nella Comunità. Tale conclusione concorderebbe con la definizione di prodotti in libera pratica di cui all’art. 24 CE. In assenza di immissione in libera pratica, il titolare del marchio non potrebbe pertanto opporsi, in linea di principio, all’assoggettamento di merci originali al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale.

 Giudizio della Corte

33     Gli artt. 7, n. 1, della direttiva e 13, n. 1, del regolamento limitano l’esaurimento del diritto conferito al titolare del marchio ai soli casi in cui i prodotti siano immessi in commercio nella Comunità e consentono al titolare di vendere i suoi prodotti al di fuori della Comunità senza che la detta immissione in commercio esaurisca i suoi diritti all’interno della Comunità. Precisando che l’immissione sul mercato al di fuori della Comunità non esaurisce il diritto del titolare d’impedire l’importazione di tali prodotti effettuata senza il suo consenso, il legislatore comunitario ha così concesso al titolare del marchio di controllare la prima immissione sul mercato nella Comunità dei prodotti contrassegnati dal marchio (v., in particolare, quanto alla direttiva e con riferimento al territorio del SEE, sentenza 20 novembre 2001, cause riunite da C-414/99 a C‑416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I-8691, punto 33).

34     L’«importazione» ai sensi degli artt. 5, n. 3, lett. c), della direttiva e 9, n. 2, lett. c), del regolamento, alla quale il titolare del marchio può opporsi laddove essa implichi un «uso [del marchio] nel commercio» ai sensi del n. 1 di ciascuno dei detti articoli, presuppone, pertanto, l’introduzione dei prodotti nella Comunità al fine di esservi immessi in commercio.

35     L’immissione in commercio nella Comunità di prodotti provenienti da Paesi terzi è subordinata alla loro immissione in libera pratica ai sensi dell’art. 24 CE.

36     Orbene, l’assoggettamento di merci non comunitarie a regimi doganali quali il transito esterno o il deposito doganale si distingue dall’assoggettamento al regime doganale dell’immissione in libera pratica, che, ai sensi dell’art. 79, primo comma, del codice doganale, attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria.

37     Infatti, ai sensi dell’art. 37, n. 2, del codice doganale, le merci non comunitarie assoggettate al regime di transito esterno o di deposito doganale restano soggette alla vigilanza doganale finché, in particolare, esse non cambino posizione doganale diventando merci comunitarie. Ai sensi degli artt. 91, n. 1, lett. a), e 98, n. 1, lett. a), del codice doganale, tali merci non sono soggette ai dazi all’importazione né alle misure di politica commerciale. In effetti, le merci provenienti da paesi terzi e assoggettate al regime di transito esterno percorrono, in genere, uno o più Stati membri per essere quindi inoltrate verso un altro paese terzo. Quanto alle merci non comunitarie assoggettate al regime di deposito doganale, esse sono generalmente immagazzinate sul territorio doganale comunitario, nell’attesa di una destinazione finale, che non è necessariamente nota al momento dell’immagazzinamento.

38     Al contrario, le merci non comunitarie immesse in libera pratica diventano merci comunitarie. Esse accedono al vantaggio della libera circolazione delle merci in forza dell’art. 23, n. 2, CE. Ai sensi degli artt. 24 CE e 79, secondo comma, del codice doganale, tali merci devono essere assoggettate alle formalità previste per l’importazione, alla riscossione dei dazi doganali, nonché, se del caso, all’applicazione delle misure di politica commerciale.

39     Ai sensi dell’art. 48 del codice doganale, le merci non comunitarie presentate in dogana devono ricevere una delle destinazioni doganali ammesse per tali merci.

40     Alla luce degli artt. 4, punti 15 e 16, 37, n. 2, e 182 del codice doganale, tali destinazioni doganali possono essere:

–       il vincolo della merce ad un regime doganale, ad esempio quello dell’immissione in libera pratica, del transito o del deposito doganale;

–       la loro introduzione in zona franca o in deposito franco;

–       la riesportazione fuori del territorio doganale della Comunità;

–       la loro distruzione;

–       il loro abbandono al pubblico erario.

41     L’art. 58, n. 1, del codice doganale precisa che le merci possono ricevere, in qualsiasi momento, una destinazione doganale, indipendentemente dalla loro qualità, quantità, origine, provenienza o destinazione.

42     Sembra in tal modo che merci non comunitarie assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale possano ricevere, in qualsiasi momento, un’altra destinazione doganale. In particolare, esse possono essere assoggettate ad un altro regime doganale, eventualmente quello della libera pratica, ovvero essere riesportate al di fuori del territorio della Comunità.

43     L’immissione in libera pratica, presupposto dell’immissione in commercio nella Comunità, costituisce pertanto solo una delle opzioni offerte all’operatore che abbia introdotto le merci nel territorio doganale comunitario.

44     Fintantoché tale opzione non verrà scelta e saranno rispettate le condizioni della destinazione doganale – diverse dall’immissione in libera pratica – cui sono state assoggettate le merci, la mera introduzione materiale di queste ultime nel territorio della Comunità non costituisce «importazione» ai sensi degli artt. 5, n. 3, lett. c), della direttiva e 9, n. 2, lett. c), del regolamento e non implica un «uso [del marchio] nel commercio» ai sensi dei nn. 1 di ciascuna delle due dette disposizioni.

45     Il titolare del marchio non può, pertanto, opporvisi in forza delle dette disposizioni, né subordinarla alla sussistenza di una destinazione finale già determinata in un paese terzo, eventualmente in forza di un contratto di vendita.

46     Tale conclusione non viene rimessa in questione dall’art. 58, n. 2, del codice doganale, ai sensi del quale la scelta, da parte dell’operatore interessato, di una destinazione doganale non osta all’applicazione di divieti o restrizioni giustificati, in particolare, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale.

47     La detta disposizione si limita a far salve le ipotesi in cui la destinazione doganale lederebbe i diritti di proprietà industriale e commerciale. Orbene, l’assoggettamento di merci non comunitarie ad un regime doganale sospensivo non consente la loro immissione in commercio nella Comunità, in assenza di immissione in libera pratica. Nel settore dei marchi, tale assoggettamento di prodotti originali contrassegnati da un marchio non costituisce, di per sé, lesione del diritto del titolare del marchio stesso di controllare la prima immissione in commercio nella Comunità.

48     Ai fini della soluzione della questione esaminata, infine, non è determinante il fatto che sia stato dedotto un rischio effettivo e permanente che merci assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale siano immesse in libera pratica.

49     Infatti, un operatore può parimenti, in qualsiasi momento, immettere in libera pratica merci non comunitarie sin dalla loro immissione nel territorio doganale, senza assoggettarle previamente ad un regime sospensivo.

50     Il primo capo della prima questione, nonché la seconda e la terza questione devono essere pertanto risolti dichiarando che l’art. 5, nn. 1 e 3, lett. c), della direttiva e l’art. 9, nn. 1 e 2, lett. c), del regolamento devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio non può opporsi alla mera introduzione nella Comunità, in base al regime doganale di transito esterno o di quello di deposito doganale, di prodotti originali contrassegnati dal detto marchio e che, precedentemente, non sono stati già immessi in commercio nella Comunità dal detto titolare o con il suo consenso. Il titolare del marchio non può subordinare il collocamento delle merci di cui trattasi nel regime di transito esterno o in quello di deposito doganale alla sussistenza, all’epoca dell’immissione delle merci nella Comunità, di una destinazione finale già determinata in un paese terzo, eventualmente in forza di un contratto di vendita.

 Sulla possibilità, per il titolare del marchio, di vietare l’offerta di vendita o la vendita di prodotti originali assoggettati al regime doganale di transito esterno o a quello di deposito doganale

51     Con il secondo capo della prima questione, nonché con la quarta e la quinta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se le nozioni di «offerta» e di «immissione in commercio» dei prodotti, previste dagli artt. 5, n. 3, lett. b), della direttiva e 9, n. 2, lett. b), del regolamento, possano ricomprendere, rispettivamente, l’offerta e la vendita di prodotti originali contrassegnati da un marchio e aventi la posizione doganale di merci non comunitarie, quando l’offerta sia effettuata e/o la vendita realizzata mentre le merci sono assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale. In caso di soluzione affermativa, si chiede quali siano le circostanze in presenza delle quali il titolare del marchio possa opporsi a tale offerta o a tale vendita.

 Osservazioni sottoposte alla Corte

52     La Class International deduce che l’offerta in vendita di merci non comunitarie, indipendentemente dal fatto che tali merci si trovino o meno nella Comunità, non deve essere considerata quale uso del marchio nel commercio, quando non abbia come finalità o come conseguenza l’immissione in mercato delle merci medesime nella Comunità. L’offerta in vendita, pertanto, non potrebbe essere vietata dal titolare del marchio per la sola ragione che essa viene effettuata quando le merci sono assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale. Il titolare del marchio potrebbe dedurre la violazione del proprio diritto esclusivo, nonostante la posizione doganale di merci non comunitarie dei prodotti controversi, solo se dimostrasse circostanze di fatto che consentano di concludere che lo scopo manifesto dell’operatore perseguito consiste nell’immissione dei detti prodotti nel mercato comunitario. A tal riguardo, le circostanze rilevate dal giudice del rinvio nella quarta questione non sarebbero decisive.

53     Secondo la Beecham, l’offerta in vendita di prodotti originali aventi la posizione di merci non comunitarie e assoggettate al regime di deposito doganale è ricompresa negli artt. 5, n. 3, lett. b), della direttiva e 9, n. 2, lett. b), del regolamento. Il titolare del marchio potrebbe pertanto opporsi a tale offerta. Nessuna delle ipotesi previste dalla quarta questione potrebbe modificare tale analisi.

54     Secondo la Commissione, l’offerta in vendita di cui trattasi non ricade necessariamente negli artt. 5, n. 3, lett. b), della direttiva e 9, n. 2, lett. b), del regolamento. Infatti, le merci potrebbero essere offerte ad un acquirente potenziale di cui sia praticamente certo che non le immetterà in commercio nella Comunità. Una violazione della direttiva e del regolamento si verificherebbe solo nell’ipotesi in cui i prodotti siano offerti in vendita ad un acquirente che, con ogni probabilità, li immetterà in libera pratica e li porrà in commercio nella Comunità. Le circostanze di fatto previste dalla quarta questione potrebbero risultare rilevanti. Tuttavia, spetterebbe al giudice nazionale procedere alla loro ponderazione e accertare se sia dimostrato che le merci non saranno immesse in libera pratica nella Comunità.

 Giudizio della Corte

55     Come emerge dal punto 44 della presente sentenza, merci non comunitarie assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale non si ritengono «importate» ai sensi degli artt. 5, n. 3, lett. c), della direttiva e 9, n. 2, lett. c), del regolamento.

56     Tali merci possono costituire l’oggetto di offerte in vendita o di vendite con destinazione in un paese terzo.

57     In tali ipotesi, quando le merci sono prodotti originali contrassegnati da un marchio, non risulta leso il diritto del titolare di controllare la prima immissione in commercio nella Comunità.

58     Per contro, se l’offerta o la vendita implicano necessariamente l’immissione in commercio nella Comunità dei prodotti contrassegnati dal marchio, viene leso il diritto esclusivo attribuito al titolare del marchio medesimo dagli artt. 5, n. 1, della direttiva e 9, n. 1, del regolamento, indipendentemente dal luogo in cui abbia sede il destinatario dell’offerta o l’acquirente e indipendentemente dalle clausole contrattuali infine pattuite, con riguardo ad eventuali limitazioni alla rivendita o allo status doganale delle merci. L’offerta o la vendita costituiscono in tal caso un «uso [del marchio] nel commercio» ai sensi degli artt. 5, n. 1, della direttiva e 9, n. 1, del regolamento. Ne consegue che il titolare del marchio può opporvisi, in forza degli artt. 5, n. 3, lett. b), della direttiva e 9, n. 2, lett. b), del regolamento.

59     Tuttavia, il rischio di un’immissione in commercio nella Comunità non può presumersi in base alla sola circostanza, prevista o sottintesa nella quarta questione pregiudiziale, sub a) e b), che il proprietario delle merci, il destinatario dell’offerta o l’acquirente si dedichi ad attività commerciali parallele. Altri elementi devono provare che l’offerta o la vendita implicano necessariamente l’immissione in commercio nella Comunità delle stesse merci di cui trattasi.

60     Inoltre, il titolare del marchio può far valere il proprio diritto di veto solo nei confronti dell’operatore che immette o si accinge a immettere in commercio nella Comunità merci non comunitarie contrassegnate dal marchio stesso, ovvero offre in vendita o vende tali merci ad un altro operatore – che, necessariamente, le immetterà in commercio nella Comunità – e non può far valere il proprio diritto nei confronti di un operatore che offre in vendita o vende le merci ad un altro operatore sulla base del solo rilievo che questi potrebbe successivamente immetterle in commercio nella Comunità, ipotesi prevista nella quarta questione, sub e), del giudice del rinvio.

61     Il secondo capo della prima questione nonché la quarta e la quinta questione devono pertanto essere risolti nel senso che le nozioni di «offerta» e di «immissione in commercio» dei prodotti, previste dagli artt. 5, n. 3, lett. b), della direttiva e 9, n. 2, lett. b), del regolamento, possono ricomprendere, rispettivamente, l’offerta e la vendita di prodotti originali contrassegnati da un marchio e aventi la posizione doganale di merci non comunitarie, allorché l’offerta è effettuata e/o la vendita realizzata mentre le merci erano assoggettate al regime di transito esterno o a quello di deposito doganale. Il titolare del marchio può opporsi all’offerta o alla vendita delle dette merci quando ciò implichi, necessariamente, l’immissione in commercio delle merci stesse nella Comunità.

 Sull’onere della prova

62     Alla luce delle soluzioni alle prime cinque questioni, deve rilevarsi che, con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, a quale delle parti incomba, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, l’onere di fornire la prova delle circostanze che consentono l’esercizio del diritto di veto previsto dagli artt. 5, n. 3, lett. b) e c), della direttiva e 9, n. 2, lett. b) e c), del regolamento.

 Osservazioni sottoposte alla Corte

63     Secondo la Class International, il titolare del marchio che asserisce l’illegittimità di operazioni di offerta o di vendita deve fornire la prova delle dette circostanze di fatto.

64     La Beecham ritiene che il titolare del marchio debba limitarsi a provare la lesione del marchio medesimo. A tal fine, dovrebbe provare di essere titolare del marchio, che le merci provengono da un paese al di fuori della Comunità e che sono state introdotte nel territorio della Comunità. Spetterebbe allora all’operatore cui viene contestata la violazione provare di aver ottenuto l’autorizzazione dal titolare, ovvero di non aver usato il marchio nel commercio e che non sussiste il rischio che lo faccia.

65     La Commissione deduce che la questione dell’onere della prova non è risolta né dalla direttiva, né dal regolamento. Riguardo alla direttiva, l’Istituzione sottolinea che, ai termini del suo decimo ‘considerando’, «le norme procedurali nazionali che non sono pregiudicate dalla presente direttiva disciplinano i mezzi grazie a cui può essere constatato il rischio di confusione, in particolare l’onere della prova». La Commissione sottolinea parimenti che, ai sensi del suo ottavo ‘considerando’, relativo a taluni conflitti tra marchi, «spetta agli Stati membri fissare le norme procedurali applicabili».

66     Riguardo al consenso del titolare all’importazione di merci non comunitarie nella Comunità, emergerebbe chiaramente dalla giurisprudenza che spetta all’operatore perseguito fornirne la prova (sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss, cit., punti 53 e 54). Se non facesse valere il consenso del titolare, l’operatore perseguito dovrebbe dimostrare dinanzi al giudice nazionale che la finalità dell’introduzione delle merci non era quella di immetterle in commercio nella Comunità, e che si trattava unicamente di un passaggio logico nel trasporto delle dette merci verso un paese terzo. La Commissione sottolinea, tuttavia, che l’imposizione di requisiti troppo rigorosi relativamente alle prove che l’operatore perseguito deve fornire a tale riguardo potrebbe vanificare il suo diritto di utilizzare la Comunità come territorio di transito.

 Giudizio della Corte

67     Nella causa principale, il giudice del rinvio ritiene che non sia acclarato che già sussistesse un acquirente dei prodotti, né all’epoca della loro introduzione nei Paesi Bassi, né alla data del loro sequestro.

68     In un’ipotesi come quella in esame, le merci si trovano regolarmente assoggettate al regime doganale di transito esterno o a quello di deposito doganale.

69     Fintantoché vengono rispettate le condizioni di tali regimi sospensivi, l’operatore interessato versa, in linea di principio, in una situazione legittima.

70     Nei suoi confronti la questione dell’onere della prova si pone nel momento in cui sorge una controversia, vale a dire quando il titolare del marchio deduce la violazione del diritto esclusivo al medesimo conferito dagli artt. 5, n. 1, della direttiva e 9, n. 1, del regolamento.

71     La violazione che può essere lamentata consiste nell’immissione in libera pratica delle merci ovvero nell’offerta o nella vendita delle merci medesime, che implica necessariamente la loro immissione in commercio nella Comunità.

72     La violazione costituisce la condizione per l’esercizio del diritto di veto previsto dagli artt. 5, n. 3, lett. b) e c), della direttiva e 9, n. 2, lett. b) e c), del regolamento.

73     Riguardo alla questione dell’onere della prova di tale violazione, deve anzitutto sottolinearsi che se essa dipendesse dall’ordinamento nazionale degli Stati membri, potrebbe derivarne, per i titolari di marchi, una tutela variabile in funzione della legge di volta in volta applicabile. L’obiettivo di una «medesima tutela» «negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri», fissato nel nono considerando della direttiva e giudicato «fondamentale» da quest’ultimo, non sarebbe raggiunto (v., riguardo alla direttiva, sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss, cit., punti 41 e 42).

74     Deve quindi rilevarsi che, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, l’onere della prova della violazione deve gravare sul titolare del marchio che la deduce. Se tale prova viene prodotta, spetta allora all’operatore perseguito dimostrare l’esistenza del consenso del titolare del marchio all’immissione in commercio dei prodotti nella Comunità (v., riguardo alla direttiva, sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss, cit., punto 54).

75     La sesta questione deve pertanto essere risolta nel senso che, in una fattispecie come quella oggetto della causa principale, spetta al titolare del marchio fornire la prova delle circostanze che consentono l’esercizio del diritto di veto previsto dagli artt. 5, n. 3, lett. b) e c), della direttiva e 9, n. 2, lett. b) e c), del regolamento, dimostrando l’immissione in libera pratica delle merci non comunitarie contrassegnate dal marchio, ovvero l’offerta o la vendita delle merci stesse, che implica necessariamente la loro immissione in commercio nella Comunità.

 Sulle spese

76     Nei confronti delle parti della causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’art. 5, nn. 1 e 3, lett. c), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e l’art. 9, nn. 1 e 2, lett. b) e c), del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio non può opporsi alla mera introduzione nella Comunità, in base al regime doganale di transito esterno o di quello di deposito doganale, di prodotti originali contrassegnati dal detto marchio e che, precedentemente, non sono stati già immessi in commercio nella Comunità dal detto titolare o con il suo consenso. Il titolare del marchio non può subordinare il collocamento delle merci di cui trattasi nel regime di transito esterno o in quello di deposito doganale alla sussistenza, all’epoca dell’immissione delle merci nella Comunità, di una destinazione finale già determinata in un paese terzo, eventualmente in forza di un contratto di vendita.

2)      Le nozioni di «offerta» e di «immissione in commercio» dei prodotti, previste dagli artt. 5, n. 3, lett. b), della direttiva e 9, n. 2, lett. b), del regolamento, possono ricomprendere, rispettivamente, l’offerta e la vendita di prodotti originali contrassegnati da un marchio e aventi la posizione doganale di merci non comunitarie, allorché l’offerta è effettuata e/o la vendita realizzata mentre le merci erano assoggettate al regime di transito esterno o di deposito doganale. Il titolare del marchio può opporsi all’offerta o alla vendita delle dette merci quando ciò implichi, necessariamente, l’immissione in commercio delle merci stesse nella Comunità.

3)      In una fattispecie come quella oggetto della causa principale, spetta al titolare del marchio fornire la prova delle circostanze che consentono l’esercizio del diritto di veto previsto dagli artt. 5, n. 3, lett. b) e c), della direttiva 89/104 e 9, n. 2, lett. b) e c), del regolamento n. 40/94, dimostrando l’immissione in libera pratica delle merci non comunitarie contrassegnate dal marchio, ovvero l’offerta o la vendita delle merci stesse, che implica necessariamente la loro immissione in commercio nella Comunità.

Firme


* Lingua processuale: l'olandese.