Language of document : ECLI:EU:C:2016:28

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 20 gennaio 2016 (1)

Causa C‑561/14

Caner Genc

contro

Integrationsministeriet

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Østre Landsret (Corte d’appello della regione Est, Danimarca)]

«Accordo di associazione CEE-Turchia – Decisione n. 1/80 – Libera circolazione dei lavoratori – Ricongiungimento familiare – Normativa nazionale che prevede condizioni nuove più restrittive in materia di ricongiungimento familiare per i familiari non economicamente attivi di cittadini turchi economicamente attivi residenti e titolari di un permesso di soggiorno nello Stato membro di cui trattasi – Clausola di “standstill” – Ambito di applicazione – Nuova restrizione – Giustificazione – Motivo imperativo di interesse generale – Proporzionalità»





1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare l’articolo 13 della decisione n. 1/80, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»), adottata dal Consiglio di associazione istituito dall’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e che è stato concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963 (in prosieguo: l’«accordo di associazione CEE-Turchia») (2). La domanda in parola è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone il sig. Genc, cittadino turco, alle autorità danesi e che verte sul rigetto, da parte di queste ultime, della sua richiesta di permesso di soggiorno a titolo di ricongiungimento familiare.

I –    Introduzione

2.        Il ricorrente nel procedimento principale, il sig. Genc, è un cittadino turco nato nel 1991. Suo padre, anch’egli cittadino turco, si trova in Danimarca dal 1997 ed è ivi titolare, dal 2001, di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Dopo il divorzio dei suoi genitori nel 1997 e benché suo padre ne avesse ottenuto la tutela legale, il sig. Genc ha continuato a vivere in Turchia, presso i nonni, e vedeva sua madre regolarmente. I suoi due fratelli maggiori dispongono di un permesso di soggiorno in Danimarca dal maggio 2003.

3.        Il 5 gennaio 2005 il sig. Genc ha presentato domanda di permesso di soggiorno in Danimarca al fine di ricongiungersi con il padre, all’epoca lavoratore dipendente in detto paese.

4.        Nell’agosto 2006 l’Udlændingeservice, ora l’Udlændingestyrelsen (ufficio danese per l’immigrazione) ha respinto la sua domanda. Il sig. Genc ha quindi presentato reclamo dinanzi al Ministero per l’Integrazione che, il 18 dicembre 2006, ha confermato la decisione di diniego. Tale Ministero ha affermato, in particolare, che il sig. Genc non si è mai recato in Danimarca, ha trascorso tutta la sua vita in Turchia dove ha frequentato le scuole, parla soltanto turco e, nei due anni precedenti, ha visto il padre solo in occasioni del tutto sporadiche, circostanze queste che permettono di ritenere che egli non presenti alcun elemento di contatto con la società danese e che non abbia instaurato o non abbia potuto instaurare con il suddetto paese legami tali da creare le premesse per un’integrazione riuscita. Il Ministero di cui trattasi ha altresì osservato che nemmeno il padre del sig. Genc poteva essere considerato particolarmente ben integrato o avente, egli stesso, un legame sufficientemente stretto con la società danese e che, in ogni caso, poteva visitare suo figlio in Turchia.

5.        Il 17 settembre 2007 il Ministero per l’Integrazione ha rifiutato di riesaminare la propria decisione di diniego. Il 9 dicembre 2011 il giudice di primo grado, adito con domanda di annullamento dal sig. Genc, ha respinto il ricorso. Quest’ultimo ha quindi proposto appello dinanzi al giudice del rinvio.

6.        Sia l’analisi compiuta dall’ufficio danese per l’immigrazione che quella del Ministero per l’Integrazione si fondano sull’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri (udlædingeloven; in prosieguo: la «legge sugli stranieri»). In base alla disposizione in parola, introdotta nel 2004 (3), «nei casi in cui il richiedente e uno dei suoi genitori risiedano nel loro paese di origine o in un altro paese, è possibile rilasciare (...) un permesso di soggiorno solo qualora il richiedente abbia instaurato o abbia la possibilità di instaurare con la Danimarca legami tali da creare le premesse per un’integrazione riuscita in Danimarca. Tuttavia, ciò non si applica se la domanda è presentata entro due anni dal soddisfacimento, da parte della persona residente in Danimarca, delle condizioni fissate [per la concessione di un permesso di soggiorno], o se sussistono ragioni particolarmente valide contrarie, in particolare l’unità familiare» (4).

7.        La valutazione discrezionale compiuta dalle autorità competenti per stabilire se un richiedente abbia instaurato o possa instaurare con la Danimarca legami sufficienti – ossia per valutare la possibilità di pervenire a una sua integrazione nella società danese – devono tener conto, secondo il giudice del rinvio, di un certo numero di parametri tra cui la durata e la natura dei precedenti soggiorni in Danimarca del figlio, il paese in cui quest’ultimo ha trascorso la maggior parte della sua vita e ha frequentato le scuole, la lingua da lui parlata e quanto la sua infanzia sia stata influenzata dai valori e dalle norme danesi. Nell’ambito della suddetta valutazione si tiene altresì conto del livello di integrazione nella società danese e dei legami creati con quest’ultima dal genitore cui il figlio chiede di ricongiungersi. Il giudice del rinvio indica anche una serie di casi in cui non è richiesta la prova di un legame sufficiente con la Danimarca, ad esempio, quando il figlio o uno dei genitori è malato o è affetto da handicap o, ancora, quando il diniego dell’autorizzazione al ricongiungimento sia contrario agli impegni internazionali della Danimarca o all’interesse superiore del minore ai sensi della convenzione di New York sui diritti dell’infanzia, firmata il 20 novembre 1989 e ratificata da tutti gli Stati membri.

8.        Il giudice del rinvio osserva che il requisito di cui trattasi, attinente al legame sufficiente con la Danimarca, è stato introdotto nell’ordinamento giuridico danese nel 2004. Orbene, dall’articolo 13 della decisione n. 1/80 risulta che «[g]li Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».

9.        Il giudice del rinvio si chiede se la succitata clausola di «standstill» sia applicabile anche alle condizioni in presenza delle quali i lavoratori dipendenti turchi, inseriti nel regolare mercato del lavoro, possono esigere di essere ricongiunti sul territorio dello Stato membro interessato ai familiari economicamente non attivi. Il suddetto giudice ritiene che la giurisprudenza della Corte sia, su detto punto, poco chiara. Nell’ipotesi in cui l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri integri una nuova restrizione ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80, il giudice del rinvio chiede alla Corte chiarimenti rispetto alla natura del controllo da effettuare per stabilire se la restrizione di cui trattasi possa dirsi giustificata.

10.      È in tale contesto che, posto di fronte a una difficoltà legata all’interpretazione del diritto dell’Unione, l’Østre Landsret (corte d’appello della regione Est) ha deciso di sospendere il giudizio e, con provvedimento pervenuto alla cancelleria della Corte il 5 dicembre 2014, di sottoporre a quest’ultima le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se la regola di “standstill” di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 (…) e/o la regola di “standstill” di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale [firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con regolamento (CEE) n. 2760/72 del Consiglio, del 19 dicembre 1972 (in prosieguo: il “protocollo addizionale”) (5)] (…) debbano essere interpretate nel senso che nuove condizioni restrittive per l’accesso al ricongiungimento familiare per familiari non economicamente attivi, segnatamente i figli minori, di cittadini turchi economicamente attivi che risiedono e sono titolari di un permesso di soggiorno in uno Stato membro, rientrano nell’ambito dell’obbligo di “standstill”, tenuto conto:

a)      dell’interpretazione delle regole di “standstill” data dalla Corte di giustizia in particolare nelle sentenze Derin [C‑325/05, EU:C:2007:442)], Ziebell [(C‑371/08, EU:C:2011:809), Dülger (C‑451/11, EU:C:2012:504)] e Demirkan [(C‑221/11, EU:C:2013:583)],

b)      dell’obiettivo e del contenuto dell’accordo [di associazione CEE-Turchia] di Ankara, come interpretati in particolare nelle sentenze Ziebell [(C‑371/08, EU:C:2011:809)] e Demirkan [(C‑221/11, EU:C:2013:583)], e anche tenuto conto:

–        della circostanza che l’accordo e i protocolli e le decisioni ad esso allegati non contengono disposizioni sul ricongiungimento familiare,

e

–        della circostanza che il ricongiungimento familiare (…) è sempre stato disciplinato da atti di diritto derivato, attualmente dalla direttiva sulla libera circolazione (direttiva 2004/38/CE [direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77)].

2.      Nel rispondere alla prima questione, si chiede alla Corte di indicare se un eventuale diritto derivato al ricongiungimento familiare per familiari di cittadini turchi economicamente attivi titolari di un permesso di soggiorno e residenti in uno Stato membro valga per i familiari di lavoratori turchi ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 oppure se esso si applichi solo ai familiari di lavoratori autonomi turchi ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale.

3.      In caso di risposta affermativa alla prima e alla seconda questione, si chiede alla Corte di indicare se la regola di “standstill” di cui all’articolo 13 (…) della decisione n. 1/80 debba essere interpretata nel senso che nuove restrizioni, “giustificat[e] da un motivo imperativo di interesse generale, (...) idone[e] a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e [che] non vad[ano] al di là di quanto necessario per ottenerlo” (oltre a quanto stabilito nell’articolo 14 della decisione n. 1/80) sono legittime.

4.      In caso di risposta affermativa alla terza questione, si chiede alla Corte di indicare:

a)      quali orientamenti debbano essere seguiti per procedere all’esame della restrizione e alla valutazione della proporzionalità. Si chiede in particolare alla Corte di indicare se si debbano seguire gli stessi principi elaborati nella sua giurisprudenza sul ricongiungimento familiare in relazione alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, che si basa sulla direttiva sulla libera circolazione (direttiva 2004/38) e sulle disposizioni del Trattato, o se si debba procedere a una valutazione diversa;

b)      qualora si debba procedere a una valutazione diversa da quella derivante dalla giurisprudenza della Corte sul ricongiungimento familiare in relazione alla libera circolazione dei cittadini dell’[Unione], si chiede alla Corte di indicare se occorra fare riferimento alla valutazione della proporzionalità effettuata nell’ambito dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [firmata a Roma il 4 novembre 1950] sul rispetto della vita familiare e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e, in caso contrario, quali siano i principi da seguire.

c)      A prescindere dal metodo di valutazione da impiegare, se una norma quale [l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri] – che prevede, ai fini del ricongiungimento familiare tra un cittadino di un paese terzo titolare di un permesso di soggiorno e residente in Danimarca e il figlio minore, laddove il figlio e l’altro genitore risiedono nel paese di origine o in un altro paese, la condizione che il figlio abbia instaurato o abbia la possibilità di instaurare con la Danimarca un legame sufficiente a consentire un’integrazione riuscita in Danimarca – possa essere considerata “giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, (...) idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non [eccedente] quanto necessario per ottenerlo”».

11.      Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale hanno presentato osservazioni scritte il governo danese e la Commissione europea. All’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 20 ottobre 2015, hanno presentato osservazioni orali il ricorrente nel procedimento principale, i governi danese e austriaco e la Commissione.

II – Analisi

A –    Sulla prima e sulla seconda questione

12.      Con la prima e la seconda questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte di pronunciarsi sulla sfera di applicazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 e sulla portata dell’obbligo di «standstill» in esso contenuta. Esso chiede, in particolare, se una nuova restrizione all’accesso al ricongiungimento dei familiari economicamente non attivi di un lavoratore turco possa ricadere in tale obbligo e se il diritto derivato al ricongiungimento familiare che sarebbe stato riconosciuto nella sentenza Dogan (6) ai familiari di un lavoratore turco che esercita la libertà di stabilimento debba altresì essere riconosciuto nel contesto della libera circolazione dei lavoratori turchi.

13.      Nelle sue osservazioni scritte, il governo danese, che sembra riportare le perplessità del giudice del rinvio, ha espressamente invitato la Corte a rivedere la posizione assunta nella sentenza Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066). Esaminando un certo numero di sentenze della Corte vertenti sull’interpretazione delle clausole di «standstill» – che si tratti dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale o dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 – detto governo ha cercato di dimostrare che la posizione adottata dalla Corte in tale sentenza è isolata e non risulta coerente con le sue pronunce precedenti. Il diritto al ricongiungimento familiare sarebbe stato sempre interpretato, fino alla sentenza Dogan (7), come escluso dall’ambito di applicazione dell’obbligo di «standstill». A detta del governo danese, la Corte dovrebbe abbandonare una tale giurisprudenza per tornare all’essenza puramente economica dell’accordo di associazione e dei diversi atti adottati sulla base di esso, come riconosciuto nella sentenza Demirkan (8).

14.      Prima di spiegare perché, a mio avviso, i dubbi del giudice del rinvio e l’inquietudine del governo danese si fondano su una lettura errata della giurisprudenza della Corte, che ‑ a mio parere ‑ non ha sancito il diritto derivato al ricongiungimento familiare, desidero soffermarmi sull’obbligo di «standstill» come interpretato e definito dalla Corte.

1.      Considerazioni generali sull’obbligo di «standstill» di cui all’articolo 13 della decisione n. 1/80 nella giurisprudenza della Corte

15.      È pacifico che il padre del sig. Genc svolgeva un’attività di lavoro subordinato nel momento in cui il ricorrente nel procedimento principale ha presentato la sua domanda di permesso di soggiorno. La situazione del padre del sig. Genc va ricondotta quindi nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori e ricade unicamente nella sfera di applicazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 (9).

16.      Riguardo all’articolo in parola, la Corte ha stabilito che esso ha effetto diretto (10) e che deve essere letto con riferimento al contesto in cui si inserisce il complesso delle disposizioni di tale decisione (11).

17.      A proposito del contesto, secondo una giurisprudenza consolidata, l’accordo di associazione CEE‑Turchia ha lo scopo di promuovere il rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti mediante, in particolare, la libera circolazione dei lavoratori (12) che deve essere realizzata gradualmente (13). Per quanto attiene segnatamente alla decisione n. 1/80, la Corte ha stabilito che essa è diretta a «favorire gradualmente l’integrazione nello Stato membro ospitante dei cittadini turchi che rispondono ai requisiti previsti da una delle disposizioni di tale decisione e che, pertanto, beneficiano dei diritti loro attribuiti dalla decisione stessa» (14) e che «fatta eccezione per la specifica situazione dei familiari autorizzati a ricongiungersi con un lavoratore turco che già risieda legittimamente nel territorio di uno Stato membro, la detta decisione ha come scopo essenziale la progressiva integrazione dei lavoratori turchi nello Stato membro medesimo per effetto dell’esercizio di una regolare attività lavorativa ininterrotta» (15).

18.      La Corte ha altresì già esaminato i rapporti tra la clausola di «standstill» dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale e quella dell’articolo 13 della decisione n. 1/80. Nonostante un tenore letterale sensibilmente diverso (16), essa ha stabilito che le suddette due clausole perseguono il medesimo obiettivo, ossia l’attuazione progressiva della libera circolazione dei lavoratori, del diritto di stabilimento o della libera prestazione dei servizi mediante il divieto alle autorità nazionali di introdurre nuovi ostacoli alle dette libertà al fine di non renderne più gravosa la graduale realizzazione (17). Pertanto, le succitate due disposizioni hanno il medesimo significato (18), la medesima natura (19) e devono essere interpretate in modo convergente (20). Non vi è quindi alcun motivo di attribuire alla clausola di «standstill» relativa alla libera circolazione dei lavoratori una portata meno ampia rispetto alla disposizione equivalente relativa al diritto di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi (21). Posto che le considerazioni espresse dalla Corte rispetto alla clausola di «standstill» dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale valgono allo stesso modo quando si tratta di interpretare l’articolo 13 della decisione n. 1/80, «la portata dell’obbligo di “standstill” contenuta nell’articolo 13 si estende in modo analogo a qualsiasi nuovo ostacolo all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori consistente in un aggravamento delle condizioni vigenti in un dato momento» (22).

19.      Una volta che la Corte ha sancito l’effetto diretto dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 e ha precisato che la sua portata doveva essere la stessa di quella dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, restava da stabilirne il significato. Secondo la Corte, la clausola di «standstill» «opera non come norma sostanziale, rendendo inapplicabile il diritto sostanziale pertinente al quale si sostituirebbe, ma come una norma di natura quasi procedurale, che stabilisce, ratione temporis, quali sono le disposizioni della normativa di uno Stato membro alla luce delle quali occorre valutare la situazione di un cittadino turco che intende avvalersi» della libera circolazione dei lavoratori in uno Stato membro (23). Essa comporta un obbligo sottoscritto dalle parti contraenti che si risolve giuridicamente in una semplice astensione (24).

20.      La Corte ha altresì ricordato in più occasioni che la clausola di «standstill» non crea di per sé dei diritti (25) né è tale da conferire a un cittadino turco il beneficio del diritto a esercitare un’attività lavorativa subordinata, né del diritto di soggiorno che ne costituisce il corollario (26), in quanto il diritto di ingresso sul territorio di uno Stato membro non può essere dedotto dalla normativa dell’Unione ma rimane, al contrario, disciplinato dalla normativa nazionale (27). La Corte ha così riconosciuto che «la decisione n. 1/80 non incide in alcun modo sul potere degli Stati membri di negare ad un cittadino turco il diritto di recarsi nel loro territorio e di occuparvi un primo impiego in qualità di lavoratore dipendente» (28). Essa disciplina invece la posizione dei lavoratori turchi già regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri (29). La Corte ha tuttavia ammesso che la clausola di «standstill» possa riguardare le condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini turchi sul territorio degli Stati membri solo in quanto costituente il corollario dell’esercizio di un’attività economica (30).

21.      Nello specifico, l’articolo 13 della decisione n. 1/80 proibisce in generale l’introduzione di qualsiasi nuova misura interna che abbia per oggetto o per effetto di assoggettare l’esercizio, da parte di un cittadino turco, della libertà di circolazione dei lavoratori nel territorio nazionale a condizioni più restrittive di quelle che gli erano applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80 nei confronti dello Stato membro considerato (31). Detta stessa disposizione osta altresì all’introduzione nella normativa degli Stati membri, a partire dall’entrata in vigore nello Stato membro di cui trattasi della decisione n. 1/80, di qualsiasi nuova restrizione all’esercizio della libertà di circolazione dei lavoratori, incluse quelle riguardanti le condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di prima ammissione nel territorio di detto Stato membro dei cittadini turchi che intendono in esso avvalersi di tale libertà (32).

22.      A questo punto dell’analisi, osservo che la Corte non ha escluso che possano rientrare nella sfera di applicazione dell’obbligo di «standstill», di riflesso, le condizioni di ingresso e di soggiorno dei familiari, che non beneficiano di diritti ai sensi della decisione n. 1/80, dei cittadini turchi economicamente attivi, a condizione che sia stato creato un legame tra l’attività economica di questi ultimi e il suddetto ingresso e soggiorno. Orbene, è proprio detto legame ad essere stato confermato con la sentenza Dogan (33).

2.       Dimensione sociale della decisione n. 1/80, «dimensione economica» del ricongiungimento familiare e obbligo di standstill

23.      La tematica del ricongiungimento familiare non è in effetti ignorata dalla giurisprudenza della Corte sviluppatasi sulle clausole di «standstill» nell’ambito dell’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (in prosieguo: «l’associazione CEE‑Turchia»). Tenuto conto del legame inscindibile che esiste tra l’esercizio di un’attività economica e i diritti di cui sono titolari i cittadini turchi che la esercitano sul territorio di uno Stato membro, la Corte ha stabilito che «il ricongiungimento familiare non costituisce un diritto per i familiari del lavoratore migrante turco, ma dipende anzi da una decisione delle autorità nazionali adottata a norma del solo diritto dello Stato membro interessato, fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali» (34). La decisione n. 1/80 ha tuttavia chiaramente arricchito l’associazione CEE‑Turchia di una dimensione sociale (35). L’articolo 13 della decisione n. 1/80 fa peraltro parte delle «disposizioni sociali» della decisione di cui trattasi che, secondo la Corte, testimonia il fatto che la libera circolazione dei lavoratori, che doveva realizzarsi gradualmente, ha superato una «tappa supplementare» (36). Nell’interpretare le disposizioni «sociali» della decisione n. 1/80, la Corte ha riconosciuto che il ricongiungimento familiare di cui possono avvalersi i lavoratori turchi inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri contribuisce sia a migliorare la qualità del loro soggiorno, sia la loro integrazione in tali Stati e favorisce pertanto la coesione sociale della società interessata (37). Il suddetto ricongiungimento familiare non è però incondizionato e l’affermazione della Corte deve essere collocata nel contesto della sua sentenza Dülger (38). Orbene, nell’ambito di detta causa, la Corte si è pronunciata sull’articolo 7, paragrafo 1, della decisione n. 1/80 il quale elenca i diritti dei familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro. Benché, in un contesto diverso, la Corte abbia stabilito che la decisione n. 1/80 non subordina all’esercizio di un’attività lavorativa il loro accesso al territorio di uno Stato membro a titolo di riunificazione familiare con un lavoratore turco già legittimamente presente nel detto Stato (39), essa ha precisato, per quanto riguarda in particolare l’articolo 13 della decisione in parola, che quest’ultimo concerne «i lavoratori ed i loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione» (40).

24.      Orbene, a questo punto dell’analisi, ricordo che il ricorrente nel procedimento principale non si trova ancora sul territorio danese ma chiede di ivi ricongiungersi con suo padre. La situazione di cui trattasi non ricade nella sfera di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della decisione n. 1/80 ed egli non può quindi avvalersi dell’articolo 13 della medesima decisione.

25.      La sentenza Dogan (41), che il governo danese invita a rivedere in quanto integrerebbe una rottura rispetto alla precedente giurisprudenza della Corte, si pone in linea con quest’ultima. La sentenza in parola non ha riconosciuto un autonomo diritto al ricongiungimento familiare ai familiari dei lavoratori turchi, né ha riconosciuto alla moglie del lavoratore interessato, che non era ancora entrata nel territorio dello Stato membro in cui egli esercitava la sua libertà economica, il diritto di avvalersi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80. In tale sentenza la Corte ha riconosciuto, come avevo peraltro suggerito, che detto articolo poteva essere invocato soltanto dal cittadino turco economicamente attivo, presente sul territorio di uno Stato membro e, quindi, unico beneficiario dei diritti sanciti dalle disposizioni che disciplinano l’accordo di associazione CEE‑Turchia (42). La Corte non risulta inoltre particolarmente innovativa nell’ammettere, sempre nella sua sentenza Dogan (43), che la clausola di «standstill» poteva essere invocata nei confronti di una normativa nazionale che disciplinava le condizioni di ingresso sul territorio dello Stato membro interessato ai fini del ricongiungimento familiare del coniuge di un cittadino turco stabilito in detto Stato membro. Tale invocabilità era stata infatti già ammessa dalla Corte nella sentenza Toprak e Oguz (44).

26.      Quanto al ritorno alla giurisprudenza Demirkan (45), auspicato dal governo danese, si deve osservare che tale precedente non è pertinente ai fini della presente causa. In tal caso si discuteva di una nuora di nazionalità turca che desiderava ricongiungersi in Germania con il suocero, cittadino tedesco ivi residente, e della questione se ella potesse avvalersi dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, in quanto, una volta arrivata sul territorio tedesco, sarebbe stata fruitrice e non prestatrice di servizi. Nella suddetta causa, contrariamente a quanto accade nel presente rinvio pregiudiziale, non si era in presenza di un lavoratore turco già stabilito sul territorio di uno Stato membro che ivi già esercita una libertà economica.

27.      Nonostante il carattere «sociale» delle disposizioni della decisione n. 1/80, la Corte non è arrivata, nella sua giurisprudenza, a scindere completamente l’esercizio di una libertà economica dal diritto al ricongiungimento familiare. Così, come ho già potuto osservare, solo qualora la normativa in materia di ricongiungimento familiare riguardi la situazione dei lavoratori turchi occorre farla rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 (46).

28.      Orbene, alla luce di quanto stabilito dalla Corte nella sentenza Dogan (47), la decisione di un cittadino turco di stabilirsi in uno Stato membro dell’Unione europea per esercitarvi un’attività di lavoro dipendente in modo stabile può essere influenzata negativamente ove la normativa di tale Stato membro renda difficile o impossibile il ricongiungimento familiare, di modo che detto cittadino può eventualmente trovarsi costretto a scegliere tra la sua attività nello Stato membro interessato e la propria vita familiare in Turchia.

29.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre concludere che una normativa come quella oggetto del procedimento principale che, incontestabilmente, rende più difficoltoso il ricongiungimento di un lavoratore turco, regolarmente residente sul territorio di uno Stato membro, con i suoi figli minori, aggravando le condizioni per il loro primo ingresso sul territorio dello Stato membro rispetto a quelle applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80 (48), integra una nuova restrizione all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori turchi, ai sensi dell’articolo 13 della decisione in parola.

B –    Sulle questioni terza e quarta

30.      Con la sua terza e la sua quarta questione pregiudiziale, che esaminerò congiuntamente, il giudice del rinvio chiede se una nuova restrizione, ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80, possa essere giustificata e, in tal caso, rispetto a quali condizioni debba esserne valutato il carattere proporzionato. Benché tale compito sia rimesso, in linea di principio, ai giudici nazionali, il giudice del rinvio invita espressamente la Corte a prendere posizione sull’esame di proporzionalità riguardo all’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri. Tuttavia, prima di prendere posizione su tale punto, occorre stabilire anzitutto se sussista un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare la nuova restrizione.

1.      Sulla promozione di un’integrazione riuscita come imperativo di interesse generale

31.      La Corte ha già stabilito che una restrizione che ha «come oggetto o effetto quello di assoggettare l’esercizio, da parte di un cittadino turco, della libertà di circolazione dei lavoratori sul territorio nazionale a condizioni più restrittive di quelle applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, è vietata a meno che essa rientri nelle limitazioni di cui all’articolo 14 di tale decisione o sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, sia idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di quanto necessario per ottenerlo» (49). In forza della convergenza che sussiste in merito all’interpretazione delle clausole di «standstill», la Corte ha confermato tale approccio nella sentenza Dogan (50) relativamente alle nuove restrizioni ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale. La Corte ha così espressamente riconosciuto che una nuova restrizione può essere giustificata non soltanto dai motivi indicati nell’articolo 14 della decisione n. 1/80, ossia l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica, ma anche dalle ragioni imperative di interesse generale che costituiscono motivi di giustificazione degli ostacoli ben noti nella giurisprudenza della Corte in materia di libertà fondamentali. La Corte, pur riconoscendo nella sentenza Demir (51) che l’obiettivo di contrastare l’ingresso e il soggiorno illegali costituisce un motivo imperativo d’interesse generale, non ha affrontato nella sentenza Dogan la questione dell’obiettivo di contrastare matrimoni forzati e di favorire l’integrazione (52).

32.      Orbene, nell’ambito della presente causa, il governo danese afferma che l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri deve essere considerato giustificato da un motivo imperativo di interesse generale, ossia quello di garantire un’integrazione riuscita.

33.      La Corte non risulta essere particolarmente esigente quando si tratta di riconoscere un motivo imperativo di interesse generale (53). Osservo che, nella sentenza Demir (54), la Corte si è accontentata di una constatazione non preceduta da alcuna dimostrazione. Inoltre, come osservato supra, essa stessa non ha preso posizione su detto punto nella sentenza Dogan (55).

34.      Propendo a ritenere che se la Corte ha agito in tal modo è anche per riconoscere il margine di discrezionalità di cui gli Stati godono al riguardo. Alla luce di tali considerazioni, tenderei anche ad ammettere che l’obiettivo di favorire un’integrazione riuscita possa costituire, di per sé, un motivo imperativo di interesse generale, e ciò tanto più che il nodo gordiano della presente controversia risiede nel carattere adeguato, necessario e proporzionato della nuova restrizione piuttosto che nel motivo di giustificazione della stessa.

35.      Ad ogni buon fine, mi limiterò quindi a osservare che le preoccupazioni relative all’integrazione non sono estranee al diritto dell’Unione (56) e che esse non risultano, in quanto tali, contrarie all’obiettivo perseguito dall’associazione CEE‑Turchia. Il motivo imperativo di interesse generale invocato dal governo danese mi sembra, prima facie, ammissibile.

2.      Sulla questione se l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per raggiungerlo

a)      Determinazione della portata dell’esame di proporzionalità

36.      In via preliminare, occorre rispondere al giudice del rinvio che si chiede se l’esame di proporzionalità che deve essere compiuto, al fine di stabilire in che misura una nuova restrizione ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 sia ammissibile, debba essere simile a quello che può essere compiuto nell’ambito del controllo del rispetto dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

37.      A questo proposito, ritengo logico confermare che l’esame da compiere sia proprio quello previsto in caso di violazione di una delle libertà economiche sancite dal Trattato. Tale circostanza si evince chiaramente dagli stessi elementi presi in considerazione con detto esame secondo quanto formulato dalla Corte nelle sue sentenze Demir (57) e Dogan (58). Ciò si spiega anche in ragione del fatto che la Corte ha manifestamente e volontariamente scelto di collocare il suo ragionamento, in particolare nella sentenza Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066), non già sul piano dei diritti fondamentali ma, al contrario, su quello delle libertà economiche di cui beneficiano i cittadini turchi alle condizioni fissate dalle disposizioni che disciplinano l’associazione CEE‑Turchia e per le quali il ricongiungimento familiare risulta essere soltanto un «corollario» o un’«estensione» (59).

38.      Come ho argomentato precedentemente, (60) ritenere che l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri costituisca una nuova restrizione ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 non significa che sia leso direttamente il diritto al ricongiungimento familiare del padre del ricorrente nel procedimento principale. Di contro, ciò significa che la possibilità che gli è offerta di esercitare sul territorio di uno Stato membro dell’Unione un’attività retribuita e di mantenere tale attività può essere pregiudicata dal fatto che il suo figlio minorenne, di cui egli ha l’affidamento legale, non potrà a lui ricongiungersi o che potrà farlo solo con maggiore difficoltà. Dal momento che l’analisi relativa all’esistenza di una nuova restrizione è stata compiuta sempre attraverso il prisma della libertà di circolazione del lavoratore turco che è padre del ricorrente nel procedimento principale, la possibile giustificazione di detta restrizione dovrà essere esaminata alle stesse condizioni in cui sono esaminati gli ostacoli a detta libertà di circolazione.

39.      Trasporre, nel quadro dell’interpretazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80, l’esame che la Corte compie in presenza di un ostacolo non mi sembra spingersi troppo oltre nell’assimilazione tra i diritti riconosciuti ai lavoratori turchi e quelli riconosciuti ai cittadini dell’Unione, fermo restando, in ogni caso, che le parti dell’accordo di associazione hanno concordato di ispirarsi alle disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori (61) e che la Corte ha stabilito che i principi ammessi nel quadro di dette disposizioni devono essere applicati, per quanto possibile, ai cittadini turchi che beneficiano dei diritti riconosciuti nella decisione n. 1/80 (62).

40.      Ciò precisato, procediamo quindi ora a esaminare l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri.

b)      Applicazione nel caso di specie

41.      Secondo quanto affermato dal giudice del rinvio e in base alle osservazioni del governo danese, l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri esige che il figlio minore che presenta domanda di permesso di soggiorno per ricongiungersi con uno dei suoi genitori residente sul territorio danese abbia o possa avere instaurato con la Danimarca legami sufficienti per permettere un’integrazione riuscita. Tale condizione, fissata per i figli di età superiore a sei anni (63), è prevista soltanto per le domande introdotte almeno due anni dopo che il genitore residente in Danimarca ha ottenuto il suo permesso di soggiorno definitivo e nel caso in cui il figlio risieda nel suo paese di origine con l’altro suo genitore. In base a quanto sostenuto dal legislatore danese, l’obiettivo di una siffatta condizione è quello di impedire che i genitori scelgano di lasciare il figlio nel paese di origine, affinché questi riceva un’educazione conforme alla cultura di detto paese e non sia influenzato dalle norme e dai valori danesi.

42.      Sia dalle note esplicative sul progetto di legge sugli stranieri sia dalle note sulla prassi, riportate in parte agli atti, risulta che, per stabilire se il richiedente abbia legami sufficienti con la Danimarca, l’esame che deve essere compiuto dalle autorità danesi competenti integra una valutazione discrezionale che tiene conto di una pluralità di criteri al fine di effettuare una sorta di diagnosi e/o prognosi sulle possibilità di integrazione del richiedente.

43.      A tal fine, occorre tener conto di tutte le informazioni disponibili sulla durata e sulla natura dei soggiorni del figlio in Danimarca e nel suo paese di origine, sul luogo in cui egli ha passato la maggior parte della sua infanzia e in cui ha frequentato la scuola (64), nonché sulle lingue che padroneggia. Le autorità danesi devono altresì stabilire se il grado di assimilazione dei valori e delle norme danesi sia sufficiente a consentire che esista o possa esistere un legame sufficiente con la società danese. Si tiene altresì conto del grado di integrazione e dell’intensità di siffatto legame con la suddetta società del genitore già presente in Danimarca e della reale natura dei suoi rapporti con il richiedente (65).

44.      Le autorità danesi sono private del loro potere discrezionale in una serie di casi eccezionali, nei quali non è necessario dimostrare l’esistenza di un legame con la Danimarca tale da permettere un’integrazione riuscita in tale paese. In linea di principio al figlio è concesso il permesso di soggiorno, benché la domanda sia presentata oltre due anni dopo l’ottenimento del permesso di soggiorno da parte del genitore già presente nel suddetto Stato membro, nei seguenti casi: ossia, se il figlio, il genitore residente nello Stato di origine o il genitore residente in Danimarca è malato o affetto da handicap grave; se il genitore residente in Danimarca ignorava fino a quel momento il luogo esatto di residenza del figlio; se il figlio residente in Danimarca soddisfaceva già le condizioni di credito alimentare o domicilio; se il genitore residente in Danimarca non può, in ogni caso, soggiornare nello Stato d’origine e di residenza di suo figlio o se il diniego del ricongiungimento risulta contrario agli impegni internazionali della Danimarca o all’interesse superiore del minore ai sensi della convenzione di New York sui diritti dell’infanzia, firmata il 20 novembre 1989 e ratificata da tutti gli Stati membri.

45.      Di contro, la richiesta dovrà essere respinta se le autorità accertano che il genitore residente in Danimarca ha volutamente omesso di portare il figlio affinché quest’ultimo riceva un’educazione conforme alla cultura del paese di origine. Si terrà quindi conto dell’età del richiedente, fermo restando che il ricongiungimento familiare può essere richiesto fino al raggiungimento dei 15 anni da parte del richiedente.

46.      Così presentata, la ratio legis dell’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri risulta equilibrata in quanto le autorità danesi devono, nel procedere a una valutazione discrezionale di ciascun caso, tener conto di una pluralità di criteri. Inoltre, in determinati casi, non è richiesto che sia dimostrata l’effettiva o potenziale sussistenza di un sufficiente legame con la società danese.

47.      A detta del governo danese, la suddetta mancata previsione di un’automatica necessità di un legame sufficiente è, di per sé, idonea a far valutare la normativa controversa come proporzionata, in linea con quanto avrebbe statuito la Corte nella sentenza Dogan (66). Benché la Corte abbia, in tale sentenza, dichiarato che una disposizione in base alla quale la mancata prova dell’acquisizione di conoscenze linguistiche sufficienti comporta automaticamente il diniego della domanda di ricongiungimento familiare, senza tenere conto delle circostanze proprie di ciascun caso, va al di là di quanto necessario per ottenere l’obiettivo perseguito (67), non se ne può dedurre che una misura che prevede un siffatto esame di dette circostanze soddisfi, per ciò stesso, l’esame di proporzionalità (68).

48.      Dal momento che occorre esaminare ulteriormente il carattere proporzionato dell’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri, è importante analizzarne la sistematica. Orbene, è chiaro che sia dal testo sia dalla prassi nazionale risulta che il suddetto articolo si basa su una presunzione fondamentale e, a mio avviso, difficilmente confutabile, di un’incompatibilità tra le culture. Il figlio nato e cresciuto in uno Stato terzo non potrebbe, quasi per natura, essere integrato. Osservo inoltre che ai richiedenti si chiede di dimostrare un certo livello di assimilazione di norme e di valori danesi che non sono in alcun modo definiti. Ora, ammettendo, ad esempio, che la legge sugli stranieri si applichi ai cittadini americani, le autorità danesi giudicherebbero con la medesima severità una richiesta «tardiva» di ricongiungimento? Contesterebbero con la stessa fermezza che il figlio è stato volutamente mantenuto il più a lungo possibile nella sua cultura di origine, vanificando così tutte le sue possibilità di integrazione?

49.      Confesso che non mi convince neppure la prevista corrispondenza tra un soggiorno prolungato in uno Stato terzo e l’impossibilità di integrarsi. Non si può dimenticare che la situazione economica di dette famiglie spiega, spesso, la mancanza di soggiorni più frequenti in Europa e che non si tratta soltanto di un’ipotetica scelta culturale, ma anche, e forse soprattutto, di una reale esigenza economica.

50.      Non mi convince neppure la distinzione operata, nei regimi in materia di domanda di soggiorno, tra le domande presentate entro i due anni successivi alla concessione di un permesso di soggiorno al genitore residente in Danimarca – automaticamente accettate – e quelle presentate oltre i suddetti due anni. Il superamento di detto termine non mi sembra aver alcun rapporto con le prospettive di futura integrazione, tanto più che il caso di specie riguarda figli minori. Mi sembra che manchi una certa coerenza tra la misura nazionale e l’obiettivo asseritamente perseguito.

51.      Ipotizziamo, infatti, che il sig. Genc abbia ottenuto il suo permesso di soggiorno a tempo indeterminato quando il figlio aveva 7 anni e mezzo. Ipotizziamo che detto figlio non abbia mai soggiornato in Danimarca, abbia trascorso tutta la sua infanzia in Turchia e parli soltanto turco, come sembra essere il caso nella controversia principale. Ipotizziamo che detto figlio abbia presentato la propria domanda all’età di dieci anni. Questi sei mesi aggiuntivi (69) trascorsi in Turchia sono tali da modificare a tal punto le possibilità di integrazione del figlio nella società danese da imporgli ormai di dimostrare un legame sufficiente mentre, sino ai suoi 9 anni e mezzo, il suo permesso di soggiorno gli sarebbe stato verosimilmente concesso senza che si possa tuttavia riconoscere una sua più stretta integrazione con la Danimarca?

52.      Qualora l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri intenda piuttosto contrastare le situazioni di ricongiungimento tardivo, allora la fissazione di un criterio legato all’età risulterebbe più appropriata benché non sufficiente.

53.      Ove, come rilevato supra, le autorità danesi siano chiamate a effettuare una «diagnosi» sul grado di assimilazione da parte del figlio, osservo infine – se si vuole continuare nella metafora medica ‑ che tale diagnosi non è accompagnata da alcuna misura «terapeutica». In luogo di un diniego sulla base di una previsione pessimistica in termini di integrazione, forse si potrebbe ipotizzare la concessione di un permesso di soggiorno di durata determinata il cui rinnovo sia subordinato alla frequentazione, da parte del figlio, di corsi di lingua o di educazione civica danesi.

54.      Indubbiamente, la valutazione compiuta dalle autorità danesi nello stabilire se concedere un permesso di soggiorno sulla base dell’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri, è guidata da una serie di criteri. Tuttavia, questi ultimi sono, al contempo, troppo numerosi e insufficientemente precisi per poter essere prevedibili e prevenire una prassi amministrativa di rifiuto sistematico. Ribadisco che trovo, ad esempio, realmente problematico che le disposizioni e i valori danesi non siano esplicitati. Detti criteri, su cui si fonda la valutazione delle autorità danesi, sono elencati nelle note esplicative ma, per la maggior parte di essi, si dichiara che non sono, considerati singolarmente, determinanti (70) cosicché ci si può chiedere se non siano cumulativi, con la conseguenza che il grado richiesto sarebbe molto elevato. Inoltre, come ho già osservato, l’applicazione di detti criteri non è sempre del tutto coerente con l’obiettivo perseguito, poiché non è realmente dimostrato in che modo la loro mancata soddisfazione integri un ostacolo serio e insuperabile all’integrazione riuscita del minore.

55.      Per tutte le ragioni che precedono, invito la Corte a statuire che la nuova restrizione di cui all’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri oltrepassa quanto necessario per conseguire l’obiettivo di un’integrazione efficace. Occorre quindi dichiarare che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 si oppone a una disposizione, introdotta dopo l’entrata in vigore della suddetta decisione, che impone ai figli minori che chiedono di ricongiungersi con il genitore turco lavoratore dipendente in Danimarca, quando è decorso il termine di due anni dalla data in cui il suddetto genitore ha ottenuto il suo permesso di soggiorno, di dimostrare che essi hanno o possono avere legami sufficienti con detto Stato membro.

III – Conclusione

56.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dall’Østre Landsret (corte d’appello della regione Est) come segue:

1)      Una disposizione come quella controversa nel procedimento principale che, incontestabilmente, rende più difficoltoso il ricongiungimento di un lavoratore turco, regolarmente residente sul territorio di uno Stato membro, con i suoi figli minori, aggravando le condizioni per il loro primo ingresso sul territorio dello Stato membro rispetto a quelle applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione, adottata dal Consiglio di associazione istituito dall’accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica di Turchia, da un lato, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altro, e che è stato concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963, integra una nuova restrizione all’esercizio della libera circolazione dei lavoratori turchi ai sensi dell’articolo 13 della decisione in parola.

2)      L’articolo 13 della decisione n. 1/80 osta a una disposizione, introdotta dopo l’entrata in vigore della suddetta decisione, che impone ai figli minori che chiedono di ricongiungersi con il genitore turco lavoratore dipendente in Danimarca, quando è decorso il termine di due anni dalla data in cui il suddetto genitore ha ottenuto il suo permesso di soggiorno, di dimostrare che essi hanno o possono avere legami sufficienti con detto Stato membro.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – GU 1964, 217, pag. 3685.


3 – Con la legge n. 427 del 9 giugno 2004 che modifica la legge sugli stranieri e la legge sull’integrazione (lov nr. 427 af 9. Juni 2004 om ændring af udlædingeloven og integrationsloven).


4 – L’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri era così formulato al momento dei fatti in seguito alla modifica introdotta dalla legge n. 324 relativa alla modifica della legge sugli stranieri, della legge sulla conclusione e lo scioglimento del matrimonio e della legge sul rimpatrio (lov nr. 324 af 18. maj 2005 om ændring af udlændingeloven, lov om ægteskabs indgåelse og opløsning og repatrieringsloven) del 18 maggio 2005. Anche tale disposizione è stata modificata nel 2012, poi trasfusa nell’articolo 9, paragrafo 16, di detta legge. Continuerò a fare riferimento, nelle presenti conclusioni, all’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri posto che esso corrisponde allo stato del diritto danese applicabile nel momento in cui l’amministrazione si è pronunciata, per la prima volta, sulla domanda del sig. Genc. Occorre inoltre osservare che, a seguito della suddetta modifica legislativa intervenuta nel 2012, l’articolo di cui trattasi non è più applicabile alle domande di permesso di soggiorno presentate da o per conto di minori di età inferiore a sei anni.


5 –      GU L 293, pag. 1.


6 – C‑138/13, EU:C:2014:2066.


7 –      C‑138/13, EU:C:2014:2066.


8 – C‑221/11, EU:C:2013:583.


9 – Con riferimento alla sfera di applicazione, rispettivamente, dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 e dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, la Corte ha ripetutamente statuito che «benché queste due disposizioni presentino un identico significato, ciò nondimeno ad ognuna di esse è stato attribuito un ambito ben determinato, di modo che esse non possono essere applicate congiuntamente» [sentenza Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 81 e giurisprudenza citata)].


10 – Sentenza Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 49 e giurisprudenza citata).


11 – Sentenza Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 91).


12 – Sentenza Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 63).


13 ‑ V. articolo 12 dell’accordo di associazione. V. altresì sentenze Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 63); Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 65), e Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 50).


14 – Sentenza Derin (C‑325/05, EU:C:2007:442, punto 53 e giurisprudenza citata).


15 – Sentenza Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 90).


16 – Sentenza Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:570, punto 69).


17 – V. sentenze Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 72); Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 48); Toprak e Oguz (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756, punto 52), e Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 94).


18 – Sentenze Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 70) nonché Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 81).


19 – Sentenze Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 71) nonché Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punto 48).


20 – Sentenze Toprak e Oguz (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756, punto 54) nonché Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 94).


21 – Sentenza Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 73).


22 – Sentenza Toprak e Oguz (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756, punto 54).


23 – V., per analogia, sentenze Tum e Dari (C‑16/05, EU:C:2007:530, punto 55), nonché Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 89).


24 – Sentenze Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 47); Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 58); Tum e Dari (C‑16/05, EU:C:2007:530, punto 46) e Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 87).


25 – Sentenza Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 58).


26 – V., per analogia, sentenze Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 64), e Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 62).


27 – V., per analogia, sentenza Tum e Dari (C‑16/05, EU:C:2007:530, punto 54).


28 – Sentenza Unal (C‑187/10, EU:C:2011:623, punto 41 e giurisprudenza citata).


29 – V. sentenza Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 58 e giurisprudenza citata).


30 – V., per analogia, sentenza Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 55).


31 – V. sentenza Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punto 33 e giurisprudenza citata). Per una conclusione analoga, cui la Corte è pervenuta rispetto alla clausola di «standstill» dell’articolo 41, paragrafo 1, del protocollo addizionale, v. sentenze Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punto 69); Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 66); Soysal e Savatli (C‑228/06, EU:C:2009:101, punto 47), e Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583, punto 39). Aggiungo, infine, per completezza, che l’esistenza di una nuova restrizione è valutata rispetto alla data di entrata in vigore della decisione n. l/80 nello Stato membro considerato o rispetto alla normativa più favorevole adottata successivamente alla suddetta entrata in vigore: v. sentenze Toprak e Oguz (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756, punti 49 e 56), nonché Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 94).


32 – V. sentenza Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punto 34 e giurisprudenza citata).


33 –      C‑138/13, EU:C:2014:2066.


34 – Sentenza Derin (C‑325/05, EU:C:2007:442, punto 64).


35 – V., in particolare, sentenza Pehlivan (C‑484/07, EU:C:2011:395, punto 45).


36 – Sentenze Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 77) nonché Dülger (C‑451/11, EU:C:2012:504, punto 48).


37 – V. sentenze Dülger (C‑451/11, EU:C:2012:504, punto 42) e Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 34).


38 –      C‑451/11, EU:C:2012:504.


39 – V. sentenza Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 82).


40 – Sentenza Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 84).


41 –      C‑138/13, EU:C:2014:2066.


42 – V. punto 32 della sentenza Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066) e paragrafi 20 e seguenti delle mie conclusioni in detta causa (C‑138/13, EU:C:2014:287).


43 –      C‑138/13, EU:C:2014:2066.


44 – C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756.


45 –      C‑221/11, EU:C:2013:583.


46 – V. paragrafo 23 delle mie conclusioni nella causa Dogan e la giurisprudenza ivi citata (C‑138/13, EU:C:2014:287).


47 –      V., per analogia, sentenza Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 35).


48 – V. punto 2.6 della domanda di pronuncia pregiudiziale. Pur contestando che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 possa essere applicato a detta tipologia di normativa, il governo danese riconosce invece che l’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri, introdotto nel 2004, integri un irrigidimento della sua normativa anteriore e quindi una nuova restrizione.


49 – Sentenza Demir (C‑225/12, EU:C:2013:725, punto 40).


50 –      V. paragrafo 41 delle mie conclusioni nella causa Dogan (C 138/13, EU:C:2014:287) e punto 37 della sentenza Dogan (C 138/13, EU:C:2014:2066).


51 –      Sentenza Demir (C 225/12, EU:C:2013:725, punto 41).


52 – V. punto 38 della sentenza Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066).


53 – È stato possibile contestarle una certa mancanza di rigore al riguardo: v. V. Hatzopoulos, «Exigences essentielles, impératives ou impérieuses: une théorie, des théories ou pas de théorie du tout?», Revue trimestrielle de droit européen, 1998, pag. 191; D. Martin, «Discriminations, entraves e raisons impérieuses dans le traité CE: trois concepts en quête d’identité», Cahiers de droit européen, 1998, pag. 261 e pag. 561; C. Barnard, «Derogations, justifications and the four freedoms: is state interest really protected?» in The outer limits of European Union law, Hart Publishing, 2009, pag. 273.


54 –      C-225/12, EU:C:2013:725.


55 – C‑138/13, EU:C:2014:2066. Per un elenco non esaustivo dei motivi imperativi di interesse generale, v., in particolare, il considerando 40 della direttiva 2006/123/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376, pag. 36).


56 – V., in particolare, articolo 79, paragrafo 4, TFUE. La promozione di un’integrazione riuscita potrebbe essere avvicinata anche all’obiettivo di coesione economica e sociale menzionato non soltanto dagli articoli 4, paragrafo 2, lettera c), TFUE e 174, primo comma, TFUE, ma anche dai considerando 4 e 15 della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251, pag. 12). Osservo inoltre che l’avvocato generale Kokott ha, in un contesto diverso, riconosciuto che una normativa diretta all’integrazione dei soggetti che si avvalgano del ricongiungimento familiare persegue obiettivi legittimi [v. paragrafi 33 e 34 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa K e A (C‑153/14, EU:C:2015:186)].


57 –      C‑225/12, EU:C:2013:725.


58 –      C‑138/13, EU:C:2014:2066.


59 – F. Gazin, «Regroupement familial dans le cadre de l’accord d’association UE‑Turquie», Europe, ottobre 2014, commentario 394.


60 – V. supra, paragrafo 22 delle presenti conclusioni.


61 – V. articolo 12 dell’accordo di associazione.


62 – V., ad esempio, sentenze Nazli (C‑340/97, EU:C:2000:77, punto 55 e giurisprudenza citata) e Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punti 58, 66 e 68).


63 – In seguito alla modifica legislativa intervenuta nel 2012.


64 – Da una nota che descrive la prassi relativa all’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri, riprodotta in parte nella domanda di pronuncia pregiudiziale, si evince tuttavia che non sono presi in considerazione i soggiorni o la frequentazione di una scuola in Danimarca per un periodo inferiore a un anno.


65 – Il fatto che il genitore già presente in Danimarca abbia la tutela legale del figlio è tuttavia irrilevante. Sembrerebbe altresì che, nella prassi, non sia stato dato rilievo a se i figli che si sono già ricongiunti con il loro genitore sul territorio danese si siano o meno integrati.


66 –      C‑138/13, EU:C:2014:2066.


67 –      V. sentenza Dogan (C‑138/13, EU:C:2014:2066, punto 38).


68 – È altresì interessante osservare che il rappresentante del sig. Genc ha affermato in udienza che non sarebbe stata concessa alcuna dispensa dalla prova del legame sufficiente con la società danese e che, nella prassi, tutte le domande fondate sull’articolo 9, paragrafo 13, della legge sugli stranieri sarebbero state respinte.


69 – Rispetto alla data a partire dalla quale esso poteva presentare una richiesta senza che fosse necessaria la prova di un legame sufficiente.


70 – Ciò si ricava in ogni caso dalla nota che descrive la prassi del 2007.