Language of document : ECLI:EU:C:2014:2403

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 27 novembre 2014 (1)

Causa C‑497/13

Froukje Faber

contro

Autobedrijf Hazet Ochten BV

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof Arnhem‑Leeuwarden (Paesi Bassi)]

«Direttiva 1999/44/CE – Qualità dell’acquirente – Tutela giurisdizionale – Mancanza di conformità dei beni – Dovere di informare il venditore – Onere della prova»





1.        Nell’attuale controversia, il Gerechtshof Arnhem‑Leeuwarden (Paesi Bassi) (in prosieguo: il «giudice del rinvio») chiede una pronuncia pregiudiziale su due serie di questioni relative alla direttiva 1999/44/CE, che armonizza le norme riguardanti alcuni aspetti dei contratti stipulati con i consumatori (2). La prima serie di questioni mira ad accertare, in sostanza, se il diritto dell’Unione imponga al giudice nazionale l’obbligo di verificare d’ufficio se un soggetto che acquista beni sia considerato un consumatore ai sensi della direttiva 1999/44 e, in tal caso, quale sia la portata di tale obbligo (3). La seconda serie di questioni concerne il dovere del consumatore di informare il venditore circa la mancanza di conformità dei beni consegnati sulla base di un contratto disciplinato dalla direttiva 1999/44 e l’onere della prova riguardante tale mancanza di conformità in un procedimento successivo.

2.        Tali questioni sono sorte nella controversia tra la sig.ra Froukje Faber e la Autobedrijf Hazet Ochten BV (in prosieguo: la «Hazet») sulla richiesta di risarcimento dei danni risultanti dalla asserita mancanza di conformità di un’automobile di seconda mano, che ha preso fuoco, venduta dalla Hazet alla sig.ra Faber.

 La direttiva 1999/44

3.        La direttiva 1999/44 contribuisce al conseguimento dell’obiettivo di un elevato livello di tutela del consumatore stabilito nell’articolo 169 TFUE (4). Prevede un’armonizzazione legislativa minima (5). Ai sensi del considerando 5 della direttiva: «(…) la creazione di una base legislativa minima comune in materia di diritto dei consumatori, applicabile a prescindere dal luogo di acquisto dei beni nell’[Unione europea], rafforzerà la fiducia dei consumatori e permetterà loro di trarre il massimo profitto dal mercato interno».

4.        Il considerando 6 identifica la non conformità dei beni a quanto stabilito nel contratto come la principale difficoltà incontrata dai consumatori e la principale fonte di conflitto con i venditori. Il considerando 7 elabora il principio di conformità e dispone che:

«(…) i beni devono soprattutto essere conformi alle disposizioni contrattuali; che il principio di conformità al contratto può essere considerato come una base comune alle varie tradizioni giuridiche nazionali; (…) che, nell’ambito di determinate tradizioni giuridiche nazionali può non essere possibile affidarsi esclusivamente a detto principio al fine di garantire un livello minimo di protezione al consumatore; (…) specialmente in presenza di siffatte tradizioni giuridiche, per garantire la protezione del consumatore possono essere di utilità ulteriori disposizioni nazionali nell’ipotesi in cui le parti non abbiano concordato alcuna condizione contrattuale specifica ovvero abbiano stipulato condizioni contrattuali o accordi che, direttamente o indirettamente, limitano o escludono i diritti del consumatore e che nella misura in cui tali diritti derivano dalla presente direttiva, non vincolano il consumatore».

5.        Secondo il considerando 8, al fine di facilitare l’applicazione del principio di conformità: «(…) è utile introdurre la presunzione relativa di conformità al contratto riguardo alle situazioni più comuni; (…) che la presunzione non restringe il principio della libertà contrattuale (…)». Il considerando 8 stabilisce, inoltre, che: «(…) in mancanza di clausole specifiche e in caso di applicazione della clausola minima gli elementi menzionati nella presunzione possono essere usati per determinare il difetto di conformità dei beni rispetto al contratto; (…) che la qualità e le prestazioni che il consumatore può ragionevolmente attendersi dipenderanno tra l’altro dal fatto che il bene sia nuovo o usato; (…) che gli elementi menzionati nella presunzione sono cumulativi; (…) che se le circostanze del caso rendono un particolare elemento palesemente inappropriato restano tuttavia applicabili i restanti elementi della presunzione».

6.        Il considerando 19 recita: «(…) gli Stati membri dovrebbero poter stabilire un termine entro il quale il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore eventuali difetti di conformità; (…) che gli Stati membri possono garantire un più elevato livello di tutela del consumatore non introducendo siffatto onere; (…) che è comunque opportuno che tutti i consumatori [dell’Unione] dispongano di un termine di almeno due mesi per denunciare al venditore l’esistenza di un difetto di conformità».

7.        Ai sensi del considerando 22: «(…) le parti non possono, di comune accordo, limitare o escludere i diritti del consumatore, poiché altrimenti verrebbe meno la tutela giuridica garantita (…)».

8.        Ai sensi della direttiva 1999/44, si intende per «consumatore»: «qualsiasi persona fisica che, nei contratti soggetti alla presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nell’ambito della sua attività commerciale o professionale» [articolo 1, paragrafo 2, lettera a)]; si intende per «venditore»: «qualsiasi persona fisica o giuridica che in base a un contratto vende beni di consumo nell’ambito della propria attività commerciale o professionale» [articolo 1, paragrafo 2, lettera c)]; e per «beni di consumo» si intende «qualsiasi bene mobile materiale» [articolo 1, paragrafo 2, lettera b)] (6).

9.        Secondo quanto stabilito dall’articolo 2, paragrafo 1: «(…) il venditore deve consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita». Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2: «(…) si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se:

a)      sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;

b)      sono idonei ad ogni uso speciale voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato;

c)      sono idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;

d)      presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull’etichettatura».

10.       Secondo quanto stabilito all’articolo 2, paragrafo 3: «(…) non vi è difetto di conformità ai sensi del presente articolo se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto o non poteva ragionevolmente ignorarlo, o se il difetto di conformità trova la sua origine in materiali forniti dal consumatore».

11.      L’articolo 3, paragrafo 1, dispone che il venditore risponda al consumatore di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene. Gli altri elementi dell’articolo 3 indicano i rimedi a disposizione del consumatore. Questi sono riassunti nell’articolo 3, paragrafo 2, nel seguente ordine: riparazione o sostituzione affinché il bene sia reso conforme senza spese, riduzione adeguata del prezzo e cancellazione dal contratto dei beni in questione.

12.      L’articolo 5, intitolato «Termini», così recita:

«1.      Il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 3, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene. Se, a norma della legislazione nazionale, i diritti previsti all’articolo 3, paragrafo 2, sono soggetti a prescrizione, questa non può intervenire prima di due anni dalla data della consegna (7).

2.      Gli Stati membri possono prevedere che grava sul consumatore, per esercitare i suoi diritti, l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha constatato siffatto difetto.

(…)

3.      Fino a prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità».

13.      L’articolo 8, paragrafo 2, («Diritto nazionale e protezione minima») prevede che:

«(…) gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più rigorose, compatibili con il trattato, per garantire un livello più elevato di tutela del consumatore» (8).

14.      Ai sensi dell’articolo 9: «(…) gli Stati membri adottano misure appropriate per informare il consumatore sulle disposizioni di diritto interno emanate in trasposizione della presente direttiva e incoraggiano, se del caso, le organizzazioni professionali a informare il consumatore in merito ai suoi diritti».

 Il diritto olandese

15.      L’articolo 7:5, paragrafo 1, del Burgerlijk Wetboek (codice civile olandese; in prosieguo: il «BW») definisce la vendita al consumo come: «la vendita avente ad oggetto un bene mobile (…) che viene stipulata da un venditore, che agisce nell’esercizio di una professione o di un’impresa, ed un acquirente, persona fisica, che non agisce nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale».

16.      Ai sensi dell’articolo 7:17, paragrafo 1, BW, i beni devono essere consegnati in conformità a quanto stipulato nel contratto.

17.      L’articolo 7:18, paragrafo 2, BW, che recepisce nel diritto olandese l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44, prevede che:

«In una vendita al consumo si presume che il bene non fosse conforme al contratto al momento della consegna se la non conformità con quanto convenuto si manifesta entro un termine di sei mesi dopo la consegna, salvo il caso in cui osti a ciò la natura del bene o la natura del difetto di conformità».

18.      Secondo le Osservazioni esplicative dell’articolo 7:18, paragrafo 2, BW, l’acquirente deve denunciare e, in caso di contestazione deve provare, che il bene non è conforme a quanto convenuto in sede di contratto e che detta difformità si è manifestata entro sei mesi dalla consegna. Spetta poi al venditore dichiarare e provare che il bene al momento della consegna era invece conforme al contratto.

19.      L’articolo 7:23, paragrafo 1, BW, recita:

«L’acquirente non può più sostenere che il bene consegnato non è conforme al contratto se non ne ha messo tempestivamente a conoscenza il venditore dopo aver scoperto la difformità, o dopo che era ragionevolmente tenuto a scoprirla. Qualora emerga tuttavia che il bene non presenta una caratteristica che invece a detta del venditore possedeva, o se la difformità riguarda fatti che questi conosceva o che era tenuto a conoscere, ma che non ha comunicato, la comunicazione deve avvenire entro un termine ragionevole dopo la scoperta. In caso di vendita al consumo, la comunicazione deve avere luogo tempestivamente dopo la scoperta, fermo restando che una comunicazione entro un termine di due mesi dopo la scoperta si considera tempestiva».

20.      Secondo il giudice del rinvio, l’acquirente deve denunciare al venditore che il bene consegnato non è conforme al contratto ai sensi dell’articolo 7:17, BW. Non è richiesto che la comunicazione avvenga per iscritto, una comunicazione orale può essere sufficiente. Dalla giurisprudenza costante dello Hoge Raad (Corte Suprema olandese) emerge che, se il venditore eccepisce che il reclamo non è stato tempestivo (come descritto nella terza frase dell’articolo 7:23, paragrafo 1, sulle condizioni temporali relative agli acquisti dei consumatori), l’acquirente è tenuto a dichiarare e, in caso di contestazione motivata, a provare, di avere reclamato tempestivamente presso il venditore e in modo da quest’ultimo conoscibile.

21.      Il giudice del rinvio ha spiegato che la mancata comunicazione tempestiva al venditore implica la perdita di tutti i diritti dell’acquirente connessi al difetto di conformità.

22.      Secondo la giurisprudenza dello Hoge Raad, se l’acquirente ha reclamato tempestivamente o no (come descritto nella prima e nella seconda frase dell’articolo 7:23, paragrafo 1, delle condizioni temporali generalmente applicabili agli acquisti) dipende dal fatto che: (a) abbia proceduto alle ricerche che ci si può da lui ragionevolmente attendere in tali circostanze per chiarire se il bene consegnatogli sia conforme al contratto e (b) dopo aver scoperto, o dopo che era tenuto a scoprire, a seguito delle menzionate ricerche, che il bene consegnato non è conforme al contratto, ne abbia data tempestiva comunicazione al venditore. La lunghezza del termine disponibile per le ricerche di cui al precedente punto (a) dipende dalle circostanze del caso, essendo pertinenti al riguardo, inter alia, la natura e la visibilità del difetto, il modo in cui esso si manifesta, e la competenza dell’acquirente. Può rivelarsi necessario un esame ad opera di un esperto. Circa la lunghezza del periodo di cui al punto (b), in caso di vendita non al consumo, si deve tener conto di tutti gli interessi in gioco e di tutte le circostanze pertinenti. Non si può stabilire un termine fisso. Per la vendita al consumo, se una comunicazione avvenuta dopo più di due mesi dalla scoperta sia tempestiva, dipende dai fatti e dalle circostanze del caso.

23.      Fermo restando che (ad eccezione della frase finale), l’articolo 7:23, paragrafo 1, BW si applica sia per la vendita al consumo sia per la vendita non al consumo, il giudice del rinvio ha dichiarato che tale disposizione attua l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44.

24.      Secondo il diritto olandese, la maggior parte degli aspetti della normativa che tutela il consumatore non sono considerati come norme di ordine pubblico.

25.      Ai sensi dell’articolo 22 del Wetboek van Burgerlijke Rechtsvordering (codice di procedura civile; in prosieguo: «Rv»), un giudice può, in ogni circostanza e in ogni fase del procedimento, chiedere a una o a entrambe le parti di fornire ulteriori spiegazioni circa le loro posizioni. Ai sensi dell’articolo 23 Rv, il giudice decide su tutte le richieste avanzate dalle parti e, ai sensi dell’articolo 24 Rv, decide sulla base dei fatti, delle circostanze e delle ragioni su cui le parti fondano le loro azioni. L’articolo 149 vieta, in principio, al giudice di prendere in considerazione ulteriori fatti, a parte quelli notori, e che non siano inclusi nelle osservazioni presentate dalle parti.

26.      Nel procedimento in appello, un giudice può solamente decidere sulle pretese addotte dalle parti. Tuttavia, può applicare d’ufficio le norme di ordine pubblico. Le parti possono presentare nuovi fatti ma soltanto nella loro prima serie di osservazioni scritte in appello.

27.      In udienza, il governo olandese ha ulteriormente spiegato che, nonostante il suo ruolo passivo nei procedimenti civili, spetta al giudice olandese decidere quali norme applicare ad una particolare serie di fatti, disponendo di ulteriori strumenti al fine di dirimere la controversia, come, per esempio, il diritto di chiedere alle parti informazioni aggiuntive.

 Fatti, procedura e questioni pregiudiziali

28.      Il 27 maggio 2008, la sig.ra Faber ha acquistato dalla Hazet un’automobile usata per la somma di EUR 7 002. L’automobile le è stata consegnata lo stesso giorno. I termini del contratto erano stabiliti in un «Koopovereenkomst particulier» (contratto di vendita privata), modulo standard recante, tra l’altro, il nome e l’indirizzo della sig.ra Faber, i dati dell’automobile acquistata, le condizioni d’acquisto («senza alcuna garanzia»), il prezzo e la firma della sig.ra Faber e del rappresentate della Hazet.

29.      Il 26 settembre 2008, la sig.ra Faber, che era alla guida dell’automobile, stava recandosi ad un appuntamento di lavoro. Nell’automobile si trovava anche sua figlia. L’automobile ha preso fuoco e si è completamente incendiata. I servizi d’emergenza ordinavano che l’automobile venisse trainata dal carro attrezzi all’autofficina della Hazet. La sig.ra Faber sostiene esserci stato un contatto telefonico con la Hazet, il giorno in cui l’automobile ha preso fuoco, mentre lei e la figlia sedevano come passeggeri nel carro attrezzi diretto alla Hazet. La Hazet nega che in quella fase la sig.ra Faber abbia menzionato alcunché a proposito della possibile causa dell’incendio o del coinvolgimento della Hazet. Su richiesta della Hazet, l’automobile è stata trainata all’Autodemontagebedrijf Reuvers (in prosieguo: la «Reuvers»), che ha ricevuto l’incarico di custodirla conformemente alle vigenti norme ambientali.

30.      All’inizio del 2009 la Hazet ha contattato telefonicamente la sig.ra Faber in merito al rottame. Quest’ultima le ha comunicato che attendeva ancora il rapporto tecnico della polizia sull’incendio.

31.      Il 16 febbraio del 2009, la sig.ra Faber ha chiesto alla polizia il rapporto tecnico, ma la polizia ha risposto, in data 26 febbraio 2009, comunicando che non era stato predisposto alcun rapporto tecnico.

32.      In data 8 maggio 2009 la Reuvers ha demolito il rottame. Quest’ultima aveva informato due giorni prima per email la Hazet della sua intenzione di procedere alla demolizione, salvo indicazioni contrarie (9).

33.      Con lettera dell’11 maggio 2009, la sig.ra Faber ha informato la Hazet che la considerava responsabile per i danni da lei subiti a seguito dell’incendio, consistenti nel prezzo di acquisto dell’automobile, in un computer portatile, una macchina fotografica, una giacca di cuoio, un’altra giacca, un navigatore ed una fotografia su tela destinata al cliente con cui avrebbe dovuto incontrarsi quando l’automobile ha preso fuoco. L’importo totale del danno è stato stimato in EUR 10 828,55. Sostiene inoltre aver subito danni psicologici.

34.      All’inizio di luglio 2009, la sig.ra Faber ha incaricato la Extenso, società specializzata in valutazione dei danni, di effettuare una perizia tecnica sulle cause dell’incendio dell’automobile. Il 7 luglio 2009 tale società ha comunicato che la perizia richiesta non poteva essere effettuata in quanto l’automobile era già stata demolita e quindi non era più disponibile per una perizia.

35.      La Hazet ha negato ogni responsabilità per il danno di cui trattasi, rifiutandosi di pagare. La sua difesa, inter alia, è che la sig.ra Faber non ha comunicato tempestivamente l’asserito difetto di conformità e che ha dunque violato l’articolo 7:23, paragrafo 1, BW, lasciando passare 9 mesi dall’incidente prima di chiedere una perizia sull’incendio.

36.      Il 26 ottobre 2010, la sig.ra Faber ha citato in giudizio la Hazet dinanzi al Rechtbank te Arnhem (in prosieguo: il «Rechtbank»), chiedendo il risarcimento dei danni da lei subiti, degli interessi legali e dei costi extragiudiziali. Ella fonda la sua azione sulla tesi secondo la quale l’automobile non sarebbe stata conforme al contratto di acquisto privato e la Hazet avrebbe pertanto violato l’articolo 7:17, BW. La sig.ra Faber non ha espressamente rivendicato di essere un consumatore.

37.      La Hazet ha contestato l’addebito adducendo che la sig.ra Faber aveva denunciato la difformità troppo tardi, pregiudicando i propri diritti al risarcimento dei danni, in forza dell’articolo 7:23, paragrafo 1, BW.

38.      Il 27 aprile 2011, il Rechtbank ha respinto la domanda della sig.ra Faber, accogliendo l’argomento della Hazet fondato sul disposto dell’articolo 7:23, paragrafo 1, BW: il primo contatto tra le parti aveva avuto luogo all’inizio del 2009, cioè dopo più di tre mesi dall’incendio (indicato come momento della scoperta della difformità). La sig.ra Faber non ha invocato circostanze eccezionali a giustificazione di tale ritardo. Il Rechtbank non si è pronunciato sulla questione se la comunicazione della sig.ra Faber, nel corso delle conversazioni telefoniche avvenute tra le parti il giorno dell’incendio e all’inizio del 2009, sia stata sufficientemente chiara da costituire una valida notifica al venditore, e neppure se si configurasse o meno una vendita al consumo nell’accezione dell’articolo 7:23, paragrafo 1, BW.

39.      Il 26 luglio 2011, la sig.ra Faber ha impugnato la sentenza dinanzi al giudice del rinvio. Nel procedimento in appello, la sig.ra Faber ancora una volta non ha sostenuto di aver stipulato il contratto di acquisto privato in qualità di consumatore né presentato censura alcuna avverso tale aspetto della sentenza del Rechtbank. Il giudice del rinvio ha ritenuto impossibile prendere una posizione su questo punto basandosi sulle informazioni contenute nel fascicolo.

40.      Un avvocato ha assistito la sig.ra Faber nel procedimento di primo grado e in appello.

41.      In questo contesto, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte indicazioni sulle seguenti questioni:

«1)      Se il giudice nazionale sia tenuto a esaminare d’ufficio se l’acquirente in un contratto di compravendita sia un consumatore, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 1999/44, in forza del principio di effettività, o in forza dell’elevato livello di tutela del consumatore all’interno dell’Unione [europea], perseguito dalla direttiva 1999/44, o in forza di altre disposizioni o norme del diritto dell’Unione medesima.

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se ciò valga anche nel caso in cui il fascicolo processuale non contenga informazioni di fatto (o contenga informazioni insufficienti o contraddittorie) al fine di poter stabilire la qualità dell’acquirente.

3)      In caso di risposta affermativa alla prima questione, se ciò valga anche per un procedimento in appello in cui l’acquirente non ha rivolto censure avverso la sentenza del giudice di primo grado perché in detto procedimento non è stato effettuato (d’ufficio) detto esame ed è stata esplicitamente ignorata la questione se l’acquirente potesse essere considerato come consumatore.

4)      Se l’articolo 5 della direttiva 1999/44 debba essere considerato come una disposizione equivalente alle disposizioni nazionali che occupano il rango di norme di ordine pubblico nell’ordinamento giuridico interno.

5)      Se il principio di effettività, ovvero l’elevato livello di tutela del consumatore all’interno dell’Unione europea perseguito dalla direttiva 1999/44, ovvero altre disposizioni o norme di diritto dell’Unione europea ostino al diritto olandese vigente riguardo all’assunzione e all’onere della prova del consumatore-acquirente concernente l’obbligo di denuncia (tempestiva) al venditore dell’asserito difetto di un bene fornito.

6)      Se il principio di effettività, ovvero l’elevato livello di tutela del consumatore all’interno dell’Unione europea perseguito dalla direttiva 1999/44, ovvero altre disposizioni o norme di diritto dell’Unione europea ostino al diritto olandese vigente che obbliga il consumatore-acquirente a dichiarare e provare che il bene non è conforme e che detta difformità si è manifestata entro sei mesi dalla consegna. Cosa significhi l’espressione “i difetti di conformità che si manifestano” di cui all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44 e, segnatamente, in che misura il consumatore‑acquirente debba far valere fatti e circostanze che riguardano (la causa della) difformità. Se a tal fine sia sufficiente che il consumatore‑acquirente dichiari e, in caso di contestazione motivata, dimostri che il bene acquistato non funziona (correttamente) o se egli debba anche dichiarare e, in caso di contestazione motivata, dimostrare quale difetto del bene ne causi (ne abbia causato) il mancato (corretto) funzionamento.

7)      Se, ai fini della risposta alle questioni che precedono, rilevi la circostanza che la sig.ra Faber in entrambi i gradi del presente procedimento si è fatta assistere da un avvocato».

42.      Hanno presentato osservazioni scritte i governi austriaco, belga e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea. La Hazet e il governo dei Paesi Bassi hanno presentato osservazioni orali all’udienza dell’11 settembre 2014.

 Valutazione

 Osservazioni preliminari

43.      In una controversia privata come quella in questione, nessuna delle parti può far valere l’effetto diretto della direttiva 1999/44. Tuttavia, i giudici nazionali, investiti di tale controversia, sono tenuti «in sede di applicazione delle disposizioni di diritto interno, a prendere in considerazione tutte le norme del diritto nazionale e ad interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo nonché della finalità della direttiva applicabile in materia per ottenere una soluzione conforme all’obiettivo da essa perseguito» (10). Nell’attuale controversia, il giudice del rinvio chiede orientamenti circa l’interpretazione della direttiva 1999/44, al fine di sostenerlo nell’applicazione degli articoli 7:18, paragrafo 2, BW e 7:23, paragrafo 1, BW.

44.      Le questioni pregiudiziali sono sorte nel contesto del procedimento giudiziario avviato dalla sig.ra Faber, acquirente di un’automobile di seconda mano, che chiede il risarcimento dei danni provocati dal venditore, la Hazet. Quest’ultimo si appella a una disposizione del diritto nazionale (di cui una parte si applica in linea generale agli acquisti e un’altra espressamente alla vendita al consumo) per difendere la sua posizione, affermando che la sig.ra Faber ha perso ogni diritto al ristoro a causa della mancata comunicazione tempestiva alla Hazet del presunto difetto di conformità.

45.      Sembra che la questione della qualità di consumatore della sig.ra Faber non sia emersa in primo grado, avendo il Rechtbank assunto la posizione secondo cui la sig.ra Faber aveva perso in ogni caso il diritto ad esigere un risarcimento a causa della mancata comunicazione tempestiva alla Hazet. Né tantomeno la sig.ra Faber aveva rivendicato la sua condizione di consumatore nell’intentare un’azione fondata su una disposizione del diritto nazionale che, a quanto pare, si applica ad ogni tipo di vendita ai sensi dell’articolo 7:17, paragrafo 1, BW.

46.      Nel trattare il ricorso della sig.ra Faber, il giudice del rinvio considera pertinente sapere se la sig.ra Faber fosse un consumatore o no, poiché tale aspetto determina il tipo di legge applicabile (compresa la frase finale dell’articolo 7:23, paragrafo 1, BW). Tuttavia, poiché il Rechtbank non ha tratto alcuna conclusione al riguardo, gli articoli 24 e 149, Rv e le disposizioni che regolano i ricorsi, ostano a che il giudice del rinvio esamini tale questione d’ufficio. In sede di ricorso in appello, può agire in tal modo solo laddove le normi pertinenti siano di ordine pubblico e, secondo il giudice del rinvio, non è così per la normativa (nazionale) sulla tutela dei consumatori.

47.      In questo contesto, la prima e la quarta questione mirano a chiarire se il diritto dell’Unione imponga al giudice nazionale l’obbligo di verificare d’ufficio se un soggetto che acquista beni sia considerato un consumatore ai sensi della direttiva 1999/44 e, quindi, se occorra dare effetto a tale direttiva. (In effetti, il giudice nazionale dovrebbe considerare, in primo luogo, l’ambito di applicazione della direttiva prima di attuare, in particolare, l’articolo 5 (11), interpretando il diritto nazionale vigente in modo che sia conforme a tale provvedimento). La Corte ha confermato, nel contesto della normativa sulla tutela dei consumatori (in particolare sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori) (12), l’applicazione del principio secondo cui, in assenza di armonizzazione delle norme processuali, si continua ad applicare la normativa nazionale, purché siano rispettati i principi di effettività ed equivalenza (13). Nel presente procedimento, mi sembra che le questioni dalla prima alla terza riguardino in particolare il principio di effettività e se la giurisprudenza della Corte, specialmente in merito alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, si applichi per analogia; mentre la quarta questione riguarda maggiormente il principio di equivalenza. Qualora vi sia un obbligo di esaminare d’ufficio se un acquirente sia un consumatore ai sensi della direttiva 1999/44, il giudice del rinvio chiede un orientamento, nella seconda e terza questione, sulle circostanze in cui il giudice nazionale debba adempiere a tale obbligo.

48.      Tuttavia, la quarta questione può anche essere interpretata (più in generale) nel senso che con essa si chiede se, qualora il giudice del rinvio ritenga che la sig.ra Faber fosse un consumatore e che avesse denunciato al venditore il difetto di conformità in maniera tempestiva (articolo 7:23, paragrafo 1, frase finale, BW), la Corte debba applicare d’ufficio l’onere della prova ai sensi dell’articolo 7:18, paragrafo 2, BW, che attua l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44. Affronterò anche quest’aspetto della quarta questione.

49.      Laddove, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44, uno Stato membro preveda l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi affinché il consumatore possa beneficiare dei suoi diritti, in particolar modo, ai sensi dell’articolo 3, della direttiva 1999/44, la quinta questione chiede, in sostanza, come stabilire se il consumatore abbia agito in maniera tempestiva. La sesta questione è incentrata sull’articolo 5, paragrafo 3, e sull’onere della prova che si applica al fine di stabilire o meno l’esistenza di un difetto di conformità (e la conseguente responsabilità del venditore). Esaminerò queste due questioni separatamente. La settima questione è autonoma.

50.      Prima di fare ciò, esprimerò brevemente alcuni commenti sul contesto in cui sono sorte le questioni dalla prima alla quarta e la settima questione.

51.      Mi trovo in disaccordo con l’opinione della Commissione circa l’irricevibilità delle questioni relative all’esame d’ufficio dell’ambito di applicazione della direttiva 1999/44. Il motivo di tale posizione della Commissione è che nessuna delle parti della controversia principale sembra mettere in dubbio la qualità di consumatore della sig.ra Faber e che tali questioni sono dunque di natura puramente ipotetica.

52.      Per giurisprudenza costante esiste una presunzione di pertinenza per quanto riguarda le questioni di interpretazione rinviate da un giudice nazionale nei contesti di fatto e di diritto che esso definisce. La Corte può rifiutare di pronunciarsi in via pregiudiziale solo qualora risulti piuttosto evidente che le questioni poste non abbiano alcun nesso con l’effettività o l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale, che il problema sia di natura ipotetica o ancora che la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per risolvere in modo utile le questioni sottopostele (14).

53.      Nell’attuale controversia, la questione dinanzi alla Corte non riguarda chi sia considerato come consumatore ai sensi della direttiva 1999/44. Né è compito di questa Corte decidere se il giudice del rinvio (e ancor prima il Rechtbank) abbia avuto elementi disponibili sufficienti per decidere della qualità della sig.ra Faber (15). Piuttosto, la Corte è chiamata ad esprimersi circa la posizione, ai sensi del diritto dell’Unione, relativa all’esame d’ufficio della qualità di un acquirente, nelle circostanze in cui il diritto nazionale sembra escludere tale esame. Pertanto, le questioni pregiudiziali sono pertinenti e non ipotetiche nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio. Propongo dunque una risposta a ognuna di esse.

54.      Benché io consideri ammissibili le questioni relative all’esame d’ufficio, ammetto di essere rimasta in un certo qual modo sorpresa nel prendere in considerazione le spiegazioni aggiuntive date dal Governo dei Paesi Bassi nell’udienza sul ruolo del giudice nel diritto olandese, per il fatto che (lasciando da parte le ragioni per cui la sig.ra Faber non si è espressamente avvalsa della sua qualità di consumatore) il Rechtbank non abbia esaminato la sua condizione e che il giudice del rinvio consideri di non poterlo fare. La sig.ra Faber ha invocato, in primo grado e in appello, le disposizioni del BW che trovano applicazione sia per le vendite al consumo sia per altre vendite e (almeno parzialmente) sembrano attuare la direttiva 1999/44. La Hazet ha invocato la disposizione la cui frase finale si applica espressamente alle vendite al consumo e la cui parte restante si applica a tutte le vendite in generale e che attua l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44. Inoltre, in udienza, il governo dei Paesi Bassi ha confermato che è compito dei giudici stabilire quale legge è applicabile, determinare se il diritto nazionale recepisce il diritto dell’Unione e interpretare il diritto olandese in conformità con il diritto dell’Unione. Detto ciò, tuttavia, in mancanza di una comprensione più chiara del diritto olandese, tali ragioni sono una base insufficiente per dichiarare irricevibili le questioni dalla prima alla quarta e la settima.

55.      Infine, per ragioni di completezza, aggiungo che si evince, inter alia, dai considerando 8 e 16 della direttiva 1999/44, la possibilità, per gli Stati membri, di escludere dall’ambito dei «beni di consumo», i beni di seconda mano venduti a certi tipi di aste pubbliche, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, e la possibilità, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, secondo comma, di abbreviare la durata della responsabilità del venditore che la direttiva 1999/44 applica in linea di principio a tali beni.

 Sulle questioni dalla prima alla quarta e sulla settima questione

56.      La direttiva 1999/44 garantisce diritti ai consumatori, in particolar modo, rimedi per difetto di conformità dei beni consegnati dal venditore. Tuttavia, non stabilisce se i giudici nazionali siano tenuti a esaminare d’ufficio se la direttiva 1999/44, e la tutela che essa offre, trovino applicazione in una controversia dinanzi ad essi.

57.      Secondo una giurisprudenza costante, in mancanza di armonizzazione delle norme processuali, gli Stati membri restano competenti nell’organizzazione del loro sistema giudiziario (conformemente al principio dell’autonomia procedurale) (16). Il semplice fatto della preminenza del diritto dell’Unione non implica che il diritto processuale interno debba essere sempre accantonato al fine di dare attuazione al diritto dell’Unione (17). Tuttavia, l’esercizio di tale competenza da parte degli Stati membri è soggetto ai principi di effettività ed equivalenza, costitutivi del diritto dell’Unione (18) e indirettamente garanti del rispetto del principio di preminenza del diritto dell’Unione.

58.      Il principio di equivalenza impone che il diritto nazionale tratti le azioni basate sul diritto dell’Unione non meno favorevolmente di quelle basate sul diritto nazionale (19). A questo riguardo, il giudice nazionale deve esaminare tanto l’oggetto quanto gli elementi essenziali dei ricorsi di natura interna con i quali si asserisce che sussista un’analogia (20). Una particolare applicazione di tale principio, che appare inoltre evidente nella giurisprudenza della Corte riguardante altre direttive dell’Unione sulla tutela dei consumatori, è che, laddove il diritto nazionale prevede un esame d’ufficio di una norma di diritto nazionale, lo stesso trattamento deve essere applicato alla norma equivalente di diritto dell’Unione. Quindi, «[p]oiché, in forza del diritto nazionale, i giudici devono sollevare d’ufficio i motivi di diritto basati su una norma interna di natura vincolante che non siano stati addotti dalle parti, siffatto obbligo si impone anche qualora si tratti di norme [dell’Unione] vincolanti» o «se il diritto nazionale conferisce al giudice la facoltà di applicare d’ufficio la norma di diritto vincolante» (21).

59.      Il principio di effettività implica che il diritto nazionale non deve rendere, in sostanza, impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (22). Nel valutare la conformità a questo principio, è necessario tenere conto del ruolo di una particolare disposizione in una procedura, del decorso e delle peculiarità di tale procedura, visti nel loro insieme, dinanzi agli organismi nazionali; è necessario considerare, laddove appropriato, i principi di base dell’ordinamento giudiziario interno, compresa la tutela dei diritti della difesa, i principi della certezza del diritto e del giusto procedimento (23).

60.      Nella presente causa, il diritto processuale interno esige che i giudici rispettino il principio dell’autonomia delle parti. Essi devono basare la loro decisione sulle rivendicazioni, sugli argomenti e sui fatti dedotti in giudizio dalle parti; ad eccezione dei fatti notori, possono considerare soltanto i fatti addotti dalle parti. Le corti d’appello possono applicare d’ufficio soltanto le norme di ordine pubblico (24). Ho già espresso i miei dubbi sul fatto che il diritto olandese osti in effetti, in circostanze come quelle della presente causa, a che i giudici nazionali determinino se una persona come la sig.ra Faber sia un consumatore sulla base delle informazioni di fatto e di diritto di cui dispongono (25). Tuttavia, ai fini del presente procedimento, il presupposto di partenza deve essere che tali norme nell’insieme ostano, nell’ambito del diritto olandese, a che un giudice nazionale esamini la posizione di un’acquirente come la sig.ra Faber. Altrimenti, le questioni dalla prima alla quarta e la settima non sarebbero mai sorte nel contesto della presente controversia.

61.      Il diritto dell’Unione impone che un giudice, in circostanze come quelle in oggetto, esamini d’ufficio se la sig.ra Faber rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/44? In caso affermativo, a quali condizioni?

62.      La Corte ha richiesto, in modo particolare sulla base del principio di effettività, l’esame d’ufficio delle disposizioni individuali di altre direttive dell’Unione sulla tutela dei consumatori (26). Ritengo che essa abbia tratto tale conclusione essenzialmente perché il legislatore ha concepito tali direttive partendo dal presupposto che il consumatore sia la parte più debole, che è, o può essere, inconsapevole dei suoi diritti e che, altrimenti, potrebbe rimanere privo di tutela. La Corte ha sviluppato tale giurisprudenza indipendentemente dai casi che coinvolgono questioni simili nel contesto di altre parti del diritto dell’Unione (27).

63.      Pertanto, per quanto riguarda la direttiva 93/13 (28), la Corte ha dichiarato che il diritto dell’Unione esige che i giudici nazionali esaminino d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, laddove abbiano a disposizione gli elementi di fatto e di diritto necessari (29). Questo perché la direttiva 93/13 è «fondata sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista, per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione» (30). Un consumatore accetta clausole contrattuali preparate da un venditore professionista e su cui non può avere influenza alcuna (31). Pertanto, solo un’azione positiva, scollegata dalle parti contrattuali, può correggere tale disparità (32). Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che, per quanto riguarda la direttiva 93/13, «una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se il giudice nazionale ha facoltà di valutare d’ufficio tali clausole» (33). Per le stesse ragioni, è da escludere una norma nazionale che prevede un termine di prescrizione al fine di considerare se una clausola contrattuale sia abusiva (34). Tuttavia, nello stesso contesto, la Corte ha aggiunto che il principio di effettività non può «giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato» (35).

64.      A mio avviso, le clausole contrattuali abusive sono in sostanza clausole di cui il venditore è a piena conoscenza, di cui non ha alcun interesse a rendere nota l’abusività, pur avendo interesse a farle rispettare; mentre il consumatore, spesso, non è in grado di contestarle o non è pienamente informato circa il loro carattere abusivo. Di conseguenza, senza l’intervento di parti terze, la tutela legale contro le clausole contrattuali abusive risulta gravemente indebolita.

65.      Potrebbe non sembrare così semplice il fatto di giustificare l’intervento d’ufficio di un giudice nazionale per quanto riguarda le disposizioni individuali di altre direttive che vertono sulla tutela dei consumatori. Perciò, l’avvocato generale Kokott ha ritenuto, nella causa Duarte Hueros, che, mentre le direttive 93/13 e 1999/44 riguardano entrambe la tutela dei consumatori nei rapporti giuridici e intendono raggiungere un elevato livello di tutela del consumatore, la situazione in cui la legislazione cerca di compensare la posizione di inferiorità di un consumatore all’atto della conclusione di un contratto (direttiva 93/13) è diversa da quella in cui la legislazione riguarda l’attuazione di un contratto in seguito alla sua conclusione (direttiva 1999/44). L’avvocato generale Kokott ha considerato che, per quanto riguarda quest’ultima situazione, le prestazioni insoddisfacenti di solito non dipendono dalla volontà delle parti e che il consumatore non si trova nella stessa posizione inferiore in cui si trova nel caso delle clausole abusive, poiché egli può facilmente valutare se il bene è della qualità concordata (36).

66.      Concordo sul fatto che i due tipi di consumatori non si trovano nella stessa posizione. Tuttavia, ci potrebbe essere ancora una disparità di informazioni (forse a un grado inferiore) per cui, in seguito alla conclusione del contratto, il consumatore resta la parte più debole per quanto riguarda la conformità al contratto dei beni consegnati. A meno che, al momento della conclusione del contratto, il consumatore fosse consapevole o non potesse ragionevolmente ignorare il difetto di conformità (o tale difetto traesse origine dai materiali forniti dal consumatore) (37), la valutazione della conformità dipende dalle informazioni, in particolare da quelle incluse nel contratto, per quanto riguarda in particolar modo la finalità dei beni, la loro qualità e le loro prestazioni (38). Ciò risulta dagli elementi elencati all’articolo 2, paragrafo 2. Ritengo che non sia necessario, ai fini della presente causa, decidere se tale elenco sia esaustivo (39). Basti qui considerare che tale valutazione trova il suo fondamento nelle informazioni comunicate dal venditore al consumatore (precedenti alla conclusione del contratto), nelle informazioni comunicate dal consumatore al venditore al momento della conclusione del contratto, nei presupposti generali sull’uso di un bene e nelle dichiarazioni pubbliche rese dal venditore, dal produttore o da un suo rappresentante. Inoltre, è spesso il venditore a scegliere quale bene specifico deve essere consegnato al consumatore (sebbene non sia sempre così). Il consumatore si trova dunque spesso in una posizione di inferiorità al fine di valutare se e in quale misura il bene non corrisponde a ciò che egli avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi di ricevere.

67.      Ad ogni modo, nel caso di specie, la questione circa l’esame d’ufficio non sorge rispetto alla disposizione della direttiva 1999/44 relativa all’esecuzione del contratto. Né sembra riguardare una disposizione che disciplina i rimedi in caso di difetto di conformità (articolo 3) o che prescrive termini o norme probatorie pertinenti per invocare e dimostrare la responsabilità del venditore per difetto di conformità e per invocare tali rimedi (articolo 5, oggetto della quinta e della sesta questione) (40). Al contrario, la questione si pone per quanto riguarda il rispetto della questione preliminare dell’ambito di applicazione della direttiva 1999/44. Se il diritto dell’Unione europea impone al giudice del rinvio di esaminare d’ufficio se la sig.ra Faber è un consumatore e il giudice conclude che lo è, appare allora chiaro che sia la sig.ra Faber sia la Hazet si sono fondate sul diritto nazionale che attua la direttiva 1999/44. Il giudice nazionale dovrebbe quindi verificare se, per esempio, la frase finale dell’articolo 7:23, paragrafo 1, BW trova applicazione e in caso affermativo, interpretare tale disposizione conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44. Al contrario, nelle circostanze della presente causa, la questione dell’esame d’ufficio dell’articolo 5, paragrafo 2, non si pone. Così, a mio giudizio, non è possibile rispondere alle questioni poste dal giudice del rinvio nella presente causa decidendo, prima, se una disposizione specifica debba trovare applicazione d’ufficio, per poi determinare, in base alla risposta ottenuta, se l’ambito di applicazione della direttiva 1999/44 debba quindi, anch’esso, essere considerato d’ufficio o meno (41).

68.      Di conseguenza, la questione dell’esame d’ufficio si pone qui a un livello più generale ed astratto.

69.      A mio avviso, la risposta alla prima questione è la seguente: nelle circostanze in cui un acquirente ha avviato un procedimento per il risarcimento dei danni contro un venditore basandosi sulle disposizioni di diritto nazionale che si applicano, inter alia, ai contratti stipulati con i consumatori, ma non ha specificatamente rivendicato di essere un consumatore, una norma di diritto processuale nazionale non può escludere che un giudice nazionale esamini se la persona è effettivamente un consumatore ai sensi della direttiva 1999/44 e di conseguenza applichi il diritto nazionale sulla tutela dei consumatori, interpretandolo in conformità alla direttiva 1999/44. Il principio di effettività esige che una norma processuale nazionale sia accantonata, in modo da permettere al giudice nazionale di esaminare d’ufficio se un acquirente come la sig.ra Faber sia un consumatore ai sensi della direttiva 1999/44.

70.      Questo perché il legislatore ha scelto di garantire ai consumatori un elevato livello di tutela, trovandosi, questi ultimi, generalmente in una posizione di inferiorità nei rapporti contrattuali con il venditore. In tal modo, la direttiva 1999/44 garantisce un elevato livello di tutela dei consumatori (42) a tutte le persone fisiche secondo la definizione di cui all’articolo 2, paragrafo, 1 lettera a), di tale direttiva (43). Sulla base di tale logica, il legislatore ha creato una serie di norme che, se non previsto espressamente altrimenti, stabiliscono un livello minimo di tutela che gli Stati membri nonché le parti nei contratti stipulati con i consumatori sono tenuti a rispettare. Di conseguenza, un livello obbligatorio di tutela trova applicazione. Quindi è sensato avere una norma di ordine pubblico che stabilisce l’obbligo per il giudice nazionale di esaminare se, nel procedimento avviato da un acquirente al fine di far valere i propri diritti per quanto riguarda l’acquisto di un bene, il ricorrente ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/44 (e di altre direttive di tutela dei consumatori) (44), poiché tale tutela rafforza la piena effettività della direttiva e minimizza il rischio per l’acquirente di usufruire di un livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dal diritto dell’Unione a causa della sua ignoranza in materia legale (45).

71.      Tuttavia, tale obbligo non implica automaticamente che un giudice nazionale debba esaminare d’ufficio ogni singola disposizione della direttiva 1999/44. Per quanto riguarda ogni singola disposizione, tale obbligo deve essere determinato dalla Corte caso per caso. È così in particolare in quanto il livello di tutela del consumatore può variare a seconda della disposizione in questione e un consumatore potrebbe esplicitamente decidere di non esercitare il diritto o di beneficiare in altro modo di una singola disposizione (46). Inoltre, non si può escludere che (forse eccezionalmente) le singole disposizioni possano tutelare il venditore piuttosto che il consumatore (47).

72.      La mia conclusione non dipende dal fatto che il consumatore benefici o meno dell’assistenza legale (oggetto della settima questione). Tale circostanza non può trasformare il significato del diritto dell’Unione o la portata del principio di effettività ed equivalenza. Sebbene la consapevolezza che un individuo ha del suo status e dei suoi diritti come consumatore dovrebbe (auspico) migliorare quando è assistito da un avvocato, il semplice fatto di beneficiare di assistenza legale non può stabilire o essere la base per la presunzione di tale consapevolezza (48).

73.      Inoltre, l’obbligo di esaminare d’ufficio l’ambito di applicazione della direttiva 1999/44 è soggetto alle stesse condizioni stabilite dalla Corte rispetto ad altre direttive sulla tutela dei consumatori (questione sollevata dalla seconda e dalla terza questione). In questo modo, gli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine devono essere a disposizione del giudice nazionale (49), o perché tali elementi costituiscono già il fascicolo o perché il giudice nazionale può ottenerli conformemente al diritto processuale nazionale. Il giudice nazionale può non andare oltre l’ambito della controversia come definito dalle parti. Lo stesso obbligo all’esame d’ufficio e le stesse condizioni trovano applicazione ove a) almeno una delle parti ha fatto appello alle disposizioni di diritto nazionale che (almeno parzialmente) attuano la direttiva 1999/44 e b) a seconda che una delle parti sia (o meno) un consumatore, tale parte può (o meno) beneficiare della tutela rafforzata che tali disposizioni permettono.

74.      Se la Corte non è d’accordo con la mia conclusione, si pone la questione se il principio di equivalenza non esiga comunque che il giudice nazionale esamini la qualità di consumatore della sig.ra Faber ai sensi della direttiva 1999/44.

75.      Per quanto mi è dato comprendere, il diritto processuale olandese in questione si applica indipendentemente dal fatto che il consumatore abbia fondato la sua azione sul diritto dell’Unione o nazionale.

76.      Il principio di equivalenza sta anche alla base della quarta questione che si rifà all’articolo 5 della direttiva 1999/44. A mio modo di vedere, comunque, la disposizione di diritto nazionale che recepisce l’articolo 5, paragrafo 2 (qui articolo 7:23, paragrafo 1, BW) è dinanzi al giudice del rinvio. Pertanto, non sorge alcuna questione relativa all’esame d’ufficio dell’articolo 5, paragrafo 2. Al contrario, spetta al giudice del rinvio interpretare il diritto nazionale in conformità all’articolo 5 (50).

77.      Tuttavia, se il giudice del rinvio rileva che la sig.ra Faber è un consumatore e ha rispettato l’articolo 7:23, paragrafo 1, BW, la questione che si pone è dunque se deve applicarsi d’ufficio la norma sull’onere della prova stabilita nell’articolo 7:18, paragrafo 2, BW, che recepisce nel diritto olandese l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44. Solamente in quel contesto deve essere affrontata la quarta questione.

78.      La norma riguardante l’onere della prova di cui all’articolo 5, paragrafo 3, si applica qualora sia necessario stabilire se il venditore è o meno responsabile per un difetto di conformità. Laddove un giudice di primo grado non abbia effettuato rilevanti constatazioni di fatto (perché ha, per esempio, dichiarato che il consumatore, a causa di una notifica tardiva, ha perso il diritto di presentare tale ricorso), mi sembra inverosimile che un giudice di appello, investito del conseguente ricorso, sia necessariamente in grado di applicare tale norma. Non so se questo dilemma può essere risolto in base al diritto processuale nazionale (per esempio, rimettendo il procedimento al giudice di primo grado per ulteriori accertamenti di fatto). Nutro, pertanto, qualche dubbio circa il fatto che la questione dell’esame d’ufficio della norma di cui all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44, sia pertinente ai fini del trattamento del ricorso della sig.ra Faber da parte del giudice del rinvio.

79.      Benché, nell’ambito della presente causa, la Corte non possa determinare quali sono le norme olandesi di ordine pubblico, essa è in grado di rispondere alla quarta questione (e anche alla sesta), fornendo chiarimenti in merito all’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44. Tale disposizione offre tutela obbligatoria al consumatore, invertendo parzialmente l’onere della prova in modo da migliorare le condizioni in cui un consumatore può beneficiare dei suoi diritti ai sensi della direttiva 1999/44, in particolar modo, dei rimedi disponibili in caso di responsabilità del venditore. Né gli Stati membri né le parti di un contratto con i consumatori possono prevedere un onere più rigoroso (51). L’onere della prova è modificato a favore dei consumatori, poiché essi si trovano spesso in una posizione di inferiorità rispetto ai venditori per quanto riguarda le informazioni disponibili sul bene e sullo stato in cui è stato consegnato. Senza (almeno) la parziale inversione dell’onere della prova, l’esercizio effettivo dei diritti del consumatore, in un ambito che è fonte principale di conflitto con i venditori, è seriamente compromesso (52). Mi sembra, pertanto, che il principio di effettività imponga l’applicazione d’ufficio dell’articolo 5, paragrafo 3, ammesso che il giudice nazionale abbia a disposizione gli elementi di fatto e di diritto necessari e non modifichi l’ambito della controversia come definito dalle parti. Nella misura in cui l’articolo 5, paragrafo 3, racchiude caratteristiche simili a quelle che contraddistinguono una norma di ordine pubblico secondo il diritto nazionale, il principio di equivalenza può anche imporre che un giudice nazionale, come quello della controversia principale, applichi d’ufficio ogni disposizione di diritto nazionale che recepisca l’articolo 5, paragrafo 3.

 Sulla quinta questione

80.      I Paesi Bassi si sono avvalsi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44, per imporre l’obbligo di notifica da parte del consumatore (53). Nella quinta questione, il giudice del rinvio chiede come stabilire che il consumatore adempia a tale obbligo.

81.      A mio avviso, ciò è disciplinato dal diritto nazionale in materia probatoria. Nei limiti in cui la legislazione nazionale prevede un periodo non inferiore a due mesi, non stabilisce norme che modifichino il contenuto degli obblighi di cui all’articolo 5 ed è altrimenti conforme ai principi di equivalenza ed effettività, la direttiva 1999/44 non limita la competenza degli Stati membri volta a stabilire e ad applicare le norme probatorie che ritengono opportune.

82.      Per esempio, l’articolo 5, paragrafo 2, non stabilisce la modalità secondo cui il consumatore deve informare il venditore. Tale disposizione non esclude né impone che il venditore sia informato per iscritto piuttosto che verbalmente. Tuttavia, poiché il fornire tale informazione è una condizione preliminare all’esercizio dei diritti garantiti dalla direttiva 1999/44, considero che il diritto nazionale non possa imporre condizioni che rendono impossibile o eccessivamente oneroso per il consumatore provare di avere informato il venditore in maniera tempestiva e corretta, ai fini dell’articolo 5, paragrafo 2. Anche questo consegue dal principio di effettività.

83.      Allo stesso modo, il diritto nazionale non può prescrivere norme probatorie inconciliabili con il contenuto dell’obbligo di cui all’articolo 5, paragrafo 2, e con altre parti di cui all’articolo 5. Pertanto, dal mio punto di vista, uno Stato membro non può esigere che nel momento in cui il consumatore informa il venditore circa difetto di conformità, debba anche darne prova. Questa interpretazione è confermata dal confronto tra la formulazione utilizzata nei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 5. Denunciare al venditore la mancanza di conformità (articolo 5, paragrafo 2) non è come provare tale mancanza di conformità, di cui all’articolo 5, paragrafo 3 (54). Un consumatore denuncia al venditore la mancanza di conformità al fine di mantenere il beneficio dei suoi diritti ai sensi della direttiva 1999/44. Tali diritti non includono soltanto il beneficio dei rimedi di cui all’articolo 3, paragrafo 3, ma anche il beneficio delle condizioni temporali e delle norme probatorie di cui all’articolo 5, paragrafo 3. La denuncia al venditore (qualora richiesta) non può logicamente avere luogo dopo che si sono esercitati i diritti (o che ci si è fondati sui diritti), previsti da tali altre disposizioni. La notifica deve avvenire prima che il consumatore decida di chiedere i rimedi e, in quel contesto, sottoponga le prove necessarie per stabilire la responsabilità del venditore. Nella proposta iniziale della direttiva 1999/44, la Commissione ha spiegato che l’obbligo di cui all’articolo 5, paragrafo 2 (attuale), «rafforza la certezza del diritto e incoraggia la diligenza da parte dell’acquirente, prendendo in considerazione gli interessi del venditore» (55).

84.      A mio parere, ciò significa che i requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 2, sono soddisfatti se il consumatore informa il venditore, in modo da avvertirlo di una possibile mancanza di conformità e quindi della sua potenziale responsabilità. Nell’informazione che il consumatore dà al venditore, egli deve identificare il bene e la vendita. Deve collegare il bene con il venditore. In assenza di una tale informazione, il venditore non può sapere riguardo a quale bene potrebbe essere ritenuto responsabile. L’informazione data deve inoltre identificare le circostanze che hanno provocato la denuncia al venditore circa il difetto di conformità. Ci possono essere diverse ragioni per cui un consumatore potrebbe considerare che il bene che gli è stato consegnato, sul momento o successivamente, non corrisponde a ciò che egli si sarebbe ragionevolmente aspettato di ricevere sulla base della descrizione del bene nel contratto e di altre informazioni che il venditore potrebbe aver fornito o che erano in altro modo disponibili. Tuttavia, in questa fase, il consumatore non deve provare la mancanza di conformità e la sue possibile causa.

85.      La genesi storica della direttiva conferma tale interpretazione. La proposta originaria della Commissione per il primo comma, dell’articolo 5, paragrafo 2, prevedeva la seguente frase finale: «(…) dalla data in cui ha constatato il difetto o dovrebbe normalmente averlo constatato» invece di «(…) dalla data in cui ha constatato siffatto difetto». Secondo la relazione che accompagnava quella proposta, la frase era intesa a «rendere doveroso per il consumatore un normale controllo dei beni dopo averli ricevuti». Tuttavia, essa non «stabili[va] un obbligo rigoroso di effettuare un’ispezione dettagliata del bene o di condurre dei test al fine di valutare il suo funzionamento o prestazione» (56).

 Sulla sesta questione

86.      Con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, un orientamento sull’onere della prova di cui all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44. Ove uno Stato membro imponga al consumatore di denunciare il difetto al venditore ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, tale questione è pertinente soltanto se il consumatore abbia dapprima agito tempestivamente e correttamente e, in seguito, cerchi di beneficiare, in particolare, dei rimedi di cui all’articolo 3, della direttiva 1999/44. Si applica la presunzione di cui all’articolo 5, paragrafo 3, a meno che sia incompatibile con la natura o dei beni o della difformità. Tuttavia, il giudice del rinvio non ha chiesto un orientamento su tale eccezione; pertanto, non tratterò quest’aspetto.

87.      L’articolo 5, paragrafo 3, inverte parzialmente l’onere della prova a favore del consumatore che, entro un limite di tempo, non ha bisogno di dimostrare che il difetto di conformità esisteva già al momento della consegna del bene. Pertanto, spetta ancora al consumatore far valere e, ove necessario, provare, che il bene consegnato non corrisponde ai criteri di qualità, prestazione ed idoneità allo scopo del bene che poteva ragionevolmente aspettarsi di ricevere sulla base del contratto e delle informazioni elencate all’articolo 2, paragrafo 2. È la mancanza di corrispondenza a dover essere dimostrata, e non la sua causa. Pertanto, nella presente causa, è insufficiente per un consumatore come la sig.ra Faber provare soltanto che si è verificato l’incendio. Piuttosto, deve dimostrare perché, come risultato dell’incendio, consideri che l’automobile che le era stata consegnata non corrispondesse all’automobile che si aspettava di ricevere sulla base del contratto e di altre informazioni pertinenti. In circostanze come quelle dell’attuale controversia, può essere sufficiente per la sig.ra Faber dimostrare che il prodotto non può più (correttamente) prestare la funzione per la quale è stato acquistato (poiché la sig.ra Faber non può più guidare l’automobile), senza obbligo alcuno a carico suo di doverne dimostrare la causa (57).

88.      Tuttavia, il consumatore non ha bisogno di affermare, e ove necessario provare, che la mancanza di corrispondenza è imputabile al venditore (il che comporterebbe probabilmente un’indagine sullo stato del bene precedentemente o al momento della consegna al consumatore). Tale obbligo comprometterebbe interamente la norma di cui all’articolo 5, paragrafo 3. Inoltre, la responsabilità del venditore, definita ai sensi della direttiva 1999/44, non è una responsabilità per colpa. Ciò si desume anche dall’articolo 4 che accorda al venditore il diritto di ricorso contro il produttore, le cui azioni o omissioni si sono tradotte in un difetto di conformità. Inoltre, sarebbe impraticabile far ricadere tale onere della prova sul consumatore, essendo ragionevole supporre che, in linea di principio, il venditore ha maggiori (dettagliate) informazioni sul bene e sullo stato in cui è stato consegnato. Al consumatore non può essere richiesto di fornire una prova di cui non può disporre (58). Sarebbe come andare contro l’intera finalità della presunzione relativa di cui all’articolo 5, paragrafo 3, e i più ampi obiettivi della direttiva 1999/44.

89.      La formulazione usata nell’articolo 5, paragrafo 3, e nel considerando 8 della direttiva 1999/44 mostra che l’onere della prova passa poi al venditore, il quale, al fine di evitare una possibile responsabilità, deve dimostrare che il difetto di conformità non esisteva al momento della consegna (59) o confutare in altro modo le rivendicazioni del consumatore e contestarne le prove. Egli può farlo, ad esempio, stabilendo che il difetto risulta da azioni o omissioni successive alla consegna del bene o da attribuirsi a fattori per i quali il venditore non è da ritenersi responsabile. Solo in una fase successiva, la riuscita delle rivendicazioni del consumatore dipenderà dalle prove che fornirà in merito alla causa del difetto di conformità.

90.      Infine, l’articolo 5, paragrafo 3, identifica chi deve provare cosa e in quale ordine. Tuttavia, non stabilisce come provare gli elementi richiesti. A mio avviso, in assenza di norme di diritto dell’Unione, è il diritto processuale nazionale in materia probatoria che in questo contesto deve naturalmente anche rispettare i principi di equivalenza ed effettività (60).

 Conclusione

91.      Alla luce delle precedenti considerazioni, sono dell’opinione che la Corte debba rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Gerechtshof Arnhem-Leeuwarden, nei seguenti termini:

Nelle circostanze in cui un acquirente ha avviato un procedimento per risarcimento danni nei confronti di un venditore sulla base delle disposizioni di diritto nazionale che si applicano, inter alia, ai contratti stipulati con i consumatori ma non ha specificatamente rivendicato di essere un consumatore, la norma di diritto processuale nazionale non può precludere a un giudice nazionale di esaminare se tale persona sia davvero un consumatore ai sensi della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo e, di conseguenza, applicare la normativa nazionale sulla tutela dei consumatori, interpretata in conformità alla direttiva 1999/44. Tuttavia, tale obbligo è subordinato alla condizione che gli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine siano a disposizione del giudice nazionale, o perché tali elementi costituiscono già parte del fascicolo o perché il giudice nazionale può ottenerli in conformità al diritto processuale nazionale. Il giudice nazionale non può andare oltre l’ambito della controversia come definito dalle parti. Lo stesso obbligo di esame d’ufficio e le stesse condizioni si applicano a un appello, ove a) almeno una delle parti abbia invocato disposizioni di diritto nazionale che (almeno in parte) attuano la direttiva 1999/44 e b) a seconda del fatto che una delle parti sia (o meno) un consumatore, tale parte benefici (o meno) della tutela rafforzata che tali disposizioni permettono. Il fatto che un consumatore sia assistito da un avvocato non modifica questa conclusione.

Il principio di effettività esige l’esame d’ufficio dell’articolo 5, paragrafo 3, purché il giudice nazionale abbia a disposizione gli elementi necessari di fatto e di diritto e non cambi l’ambito della controversia come definito dalle parti. Poiché l’articolo 5, paragrafo 3, comprende caratteristiche simili a quelle che contraddistinguono una norma di ordine pubblico ai sensi del diritto nazionale, il principio di equivalenza può anche esigere che un giudice nazionale, come quello della controversia principale, applichi d’ufficio la disposizione del diritto nazionale che recepisce l’articolo 5, paragrafo 3.

La direttiva 1999/44 non limita la competenza degli Stati membri volta a stabilire e ad applicare le norme probatorie relative all’obbligo, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/44, per il consumatore di denunciare al venditore il difetto di conformità, purché il diritto nazionale a) preveda un periodo non inferiore a due mesi, b) non prescriva norme che modificano il contenuto degli obblighi ai sensi dell’articolo 5, della direttiva 1999/44 e c) le norme applicabili non siano per il resto meno favorevoli rispetto a quelle che disciplinano le azioni di diritto nazionale e non siano configurate in tal modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione.

L’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 1999/44 inverte parzialmente l’onere della prova a favore del consumatore che, entro un limite di tempo, non ha bisogno di dimostrare che il difetto di conformità esisteva già al momento della consegna del bene. Pertanto, spetta ancora al consumatore identificare che il bene consegnato non corrisponde a quanto egli poteva ragionevolmente aspettarsi di ricevere sulla base del contratto e delle informazioni elencate all’articolo 2, paragrafo 2. Tuttavia, il consumatore non è tenuto a dimostrare che la mancata corrispondenza è imputabile al venditore.


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171, pag. 12). Tale è stata emendata, dopo il periodo rilevante ai fini del procedimento principale, dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti del consumatore (GU L 304, pag. 64) (in prosieguo: la «direttiva 2011/83»).


3 – [non rilevante per la versione linguistica italiana].


4 – Considerando 1 della direttiva 1999/44. L’articolo 169, paragrafo 1, TFUE, recita: «Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l’Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi».


5 – Articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 1999/44.


6 – Nessuna delle eccezioni a questa definizione sembra essere pertinente nel presente procedimento. V. inoltre, infra, paragrafo 55.


7 –      Vedi anche il considerando 17. Inoltre, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, gli Stati membri possono prevedere che, nel caso di beni usati, il venditore e il consumatore possano accordarsi su condizioni che impegnino la responsabilità del venditore per un periodo di tempo inferiore. I Paesi Bassi non si sono avvalsi di tale opzione.


8 –      V. anche il considerando 24 della direttiva 1999/44 e l’articolo 169, paragrafo 4, TFUE.


9 – Non risulta dal fascicolo nazionale che la sig.ra Faber, proprietaria dell’automobile, sia stata contattata dalla Hazet o dalla Reuvers prima che questo accadesse.


10 – V., per esempio, sentenza LCL Le Crédit Lyonnais (C‑565/12, EU:C:2014:190, punto 54 e la giurisprudenza citata).


11 – V., per esempio, sentenza VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, EU:C:2010:659, punto 49).


12 – Direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).


13 – V. infra, paragrafo 62.


14 – V., per esempio, sentenza Kušionová (C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 38 e la giurisprudenza citata).


15 – Pur concordando con la Commissione e con il governo olandese sul fatto che un numero considerevole di informazioni di fatto sembrino essere disponibili al fine di dirimere tale questione.


16 – V., nel contesto della tutela dei consumatori, per esempio, la sentenza Sánchez Morcillo e Abril García (C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 31 e la giurisprudenza citata).


17 – Per un’utile discussione su questo tema, v. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa van Schijndel e van Veen (C‑430/93 e C‑431/93, EU:C:1995:185, paragrafi 24-30). Per un punto di vista diverso, v. le conclusioni dell’avvocato generale Darmon nella causa Verholen e a. (da C‑87/90 a C‑89/90, EU:C:1991:223, paragrafo 19).


18 – V., nel contesto della direttiva 1999/44, la sentenza Duarte Hueros (C‑32/12, EU:C:2013:637, punto 31 e la giurisprudenza citata). Questo è stato il primo caso in cui, in un procedimento giudiziario, è stata posta l’affermazione dei diritti del consumatore ai sensi della direttiva 1999/44. V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Duarte Hueros (C‑32/12, EU:C:2013:128, paragrafo 3).


19 – V., per esempio, sentenza Sánchez Morcillo e Abril García (EU:C:2014:2099, punti 31 e la giurisprudenza citata).


20 – V., per esempio, sentenza Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, EU:C:2009:615, punto 50 e la giurisprudenza citata).


21 – Sentenza van Schijndel e van Veen (C‑430/93 e C‑431/93, EU:C:1995:441, punti 13 e 14 e la giurisprudenza citata). V. anche, per esempio, sentenza Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 30 e la giurisprudenza citata).


22 – V., per esempio, sentenza Sánchez Morcillo e Abril García (EU:C:2014:2099, punto 31 e la giurisprudenza citata).


23 – V., per esempio, sentenza Sánchez Morcillo e Abril García (EU:C:2014:2099, punto 34 e la giurisprudenza citata) e sentenza Kušionová (EU:C:2014:2189, punto 52 e la giurisprudenza citata).


24 – V. supra, paragrafi 25 e 26.


25 – V. supra, paragrafo 54.


26 – Tale giurisprudenza riguarda le disposizioni delle direttive che implicano, inter alia, le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori e il credito al consumo.


27 – V. la distinzione fatta al punto 40 della sentenza van der Weerd e a. (da C‑222/05 a C‑225/05, EU:C:2007:318).


28 – La direttiva 93/13, così come la direttiva 1999/44, ha come obiettivo il raggiungimento di un elevato livello di tutela dei consumatori. Difatti, la Commissione (sostenuta dal Parlamento europeo) ha inteso armonizzare in un unico strumento alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo e delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Tuttavia, il Consiglio ha preferito trattare questi temi separatamente. V. la sintesi di tale dibattito nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla vendita e sulle garanzie dei beni di consumo (presentata dalla Commissione) COM (95) 520, def., pag. 2 (e documenti ivi citati) (GU 1996, C 307, pag. 8). L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, recita: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».


29 – V., per esempio, sentenza Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350, punto 32).


30 – V., per esempio, sentenza Kušionová (EU:C:2014:2189, punto 48 e la giurisprudenza citata).


31 – V., per esempio, sentenza Kušionová (EU:C:2014:2189, punto 48 e la giurisprudenza citata).


32 – V., per esempio, sentenza VB Pénzügyi Lízing (EU:C:2010:659, punti 48 e la giurisprudenza citata).


33 – Sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, EU:C:2000:346, punto 26).


34 – Sentenza Cofidis (C‑473/00, EU:C:2002:705, punto 38).


35 – Sentenza Kušionová (EU:C:2014:2189, punto 56 e la giurisprudenza citata) (quest’ultima sentenza riguarda una situazione in cui il consumatore non ha avviato alcun procedimento legale al fine di far valere i propri diritti).


36 – Conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Duarte Hueros (EU:C:2013:128, paragrafi 43, 44, 47 e 48).


37 – Articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 1999/44.


38 – Articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 1999/44. V. anche il considerando 7.


39 – Il considerando 8 suggerisce che non lo è.


40 – V., infra, paragrafi 80‑90.


41 – Si confronti, ad esempio, la linea di ragionamento nella sentenza VB Pénzügyi Lízing (EU:C:2010:659, punto 49).


42 – V. sentenza Duarte Hueros (EU:C:2013:637, punto 25).


43 – A mio avviso, tale obbligo si applica a prescindere dall’articolo 9, che impone a uno Stato membro di adottare le misure appropriate per informare i consumatori circa il diritto nazionale che recepisce la direttiva 1999/44 e, laddove appropriato, per incoraggiare le organizzazioni professionali ad informare i consumatori dei loro diritti, e del fatto che il contratto ed altri elementi specifici di un procedimento particolare potrebbero informare il consumatore dei suoi diritti, specialmente laddove il diritto nazionale e/o il diritto dell’Unione impone che tale informazioni siano incluse nel contratto o comunicate precedentemente alla sua stipula.


44 – Accetto che questa posizione possa avere anche implicazioni per altre parti del diritto dell’Unione che allo stesso modo tutelano apertamente la parte più debole in un rapporto contrattuale con un’altra parte più forte o con un organismo pubblico. Un esempio evidente è la tutela dei lavoratori nel diritto dell’Unione in entrambi i tipi di rapporto.


45 – V., in questo contesto di disposizioni individuali sulle clausole contrattuali abusive, la sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (EU:C:2000:346, punto 26). In altri contesti, v. sentenza Mostaza Claro (C‑168/05, EU:C:2006:675, punto 28 e la giurisprudenza citata) e sentenza Rampion e Godard (C‑429/05, EU:C:2007:575, punto 65).


46 – V., per esempio, per quanto riguarda l’articolo 6, della direttiva 93/13, sentenza Jőrös, EU:C:2013:340, punto 41 e la giurisprudenza citata e sentenza Asbeek Brusse e de Man Garabito (C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 49).


47 – In effetti, ciò potrebbe verificarsi per quanto riguarda degli elementi distinti dell’articolo 5 della direttiva 1999/44, che discuterò nel contesto della quinta e della sesta questione.


48 – V., anche, sentenza Rampion e Godard (EU:C:2007:575, punto 65).


49 – V., per esempio, sentenza Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punti 46 e la giurisprudenza citata).


50 – V. considerando 22 e 24 e articolo 8, della direttiva 1999/44.


51 – V. considerando 22 e articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 1999/44.


52 – V. considerando 6 della direttiva 1999/44.


53 – V. supra, paragrafi 19‑23.


54 – Una simile distinzione sembra essere stata fatta in altre versione linguistiche dell’articolo 5, della direttiva 1999/44.


55 – COM (95) 520, def., citato nella nota a piè di pagina 28, pag. 14.


56 – COM (95) 520, def., citato nella nota a piè di pagina 28, pag. 14.


57 – Come ha dichiarato un membro del collegio giudicante durante la fase delle domande all’udienza: un’automobile che è conforme al suo scopo non prende fuoco da sé.


58 – V. anche, per esempio, nel contesto del credito al consumo, le conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa CA Consumer Finance (C‑449/13, EU:C:2014:2213, paragrafo 37).


59 – Tale era anche l’intenzione della Commissione nel proporre questa disposizione: v. COM (95) 520, def., citato nella nota a piè di pagina 28, pag. 12.


60 – V., per esempio, sentenza Arcor (C‑55/06, EU:C:2008:244, punto 191 e la giurisprudenza citata).