Language of document : ECLI:EU:C:2011:563

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate l’8 settembre 2011 (1)

Causa C‑371/10

National Grid Indus BV

contro

Inspecteur van de Belastingdienst Rijnmond/kantoor Rotterdam

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Gerechtshof Amsterdam (Paesi Bassi)]

«Libertà di stabilimento – Società − Tassazione in uscita in caso di trasferimento di sede in un altro Stato membro – Rivelazione e tassazione di riserve tacite – Utili di cambio latenti»






I –    Introduzione

1.        Ci si chiede se sia compatibile con la libertà di stabilimento il fatto che il trasferimento della sede amministrativa effettiva di una società da uno Stato membro in un altro – diversamente da quanto accade nel caso di un trasferimento di sede sul territorio nazionale – comporti un’immediata tassazione delle riserve tacite. Ci si chiede inoltre se in proposito sia rilevante il fatto che le riserve tacite consistano in utili sui cambi che non si configurano più dopo il trasferimento di sede, atteso che lo Stato di destinazione è al contempo lo Stato della valuta del credito facente parte del patrimonio dell’impresa.

2.        Queste questioni di estrema rilevanza per il mercato interno relative all’ammissibilità della tassazione in uscita di imprese (2) secondo il diritto dell’Unione vengono poste in una causa dinanzi al Gerechtshof Amsterdam tra la National Grid Indus BV (in prosieguo: la «National Grid Indus»), una società di diritto olandese che, pur avendo trasferito la propria sede amministrativa effettiva nel Regno Unito, continua a essere considerata una società di diritto olandese, e l’amministrazione tributaria olandese. La causa verte sotto il profilo economico su un credito emesso a titolo di prestito, facente parte del patrimonio dell’impresa ed espresso in sterline britanniche, nei confronti di una società del gruppo. Diversamente rispetto a quanto accadeva prima nei Paesi Bassi, nel Regno Unito non si configurano più gli utili precedenti realizzati sui cambi con il fiorino olandese o l’euro. Secondo il diritto olandese, su questi utili sui cambi va versata un’imposta sulle società nell’ambito della tassazione in uscita dai Paesi Bassi.

3.        La presente causa offre alla Corte l’occasione di precisare, con particolare riferimento alle sue sentenze Daily Mail (3) e Cartesio (4), entro quale limite il trasferimento di sede transfrontaliero ricade sotto il regime della libertà di stabilimento. Va altresì chiarito se la giurisprudenza emessa in materia di tassazione in uscita delle persone fisiche, nello specifico le sentenze de Lasteyrie du Saillant (5) e N (6), sia applicabile all’uscita di società.

II – Contesto normativo

4.        Per quanto riguarda il diritto dell’Unione, il contesto normativo per il presente caso è costituito dalle disposizioni in materia di libertà di stabilimento. Posto che la causa principale verte sulla valutazione della legittimità di un avviso di accertamento del 2004 relativo all’esercizio 2000/2001, nel risolvere la questione pregiudiziale occorre fare riferimento ancora alle norme dei Trattati nella formulazione del Trattato di Amsterdam (7) e, in particolare, anziché l’art. 49 TFUE, va considerato l’art. 43 CE. Sono inoltre pertinenti le disposizioni della legge olandese sull’imposta sul reddito e sulle società, nonché le norme di una convenzione contro la doppia imposizione.

A –    Diritto nazionale

5.        L’art. 2, n. 4, della Wet op de vennootschapsbelasting 1969 (legge olandese sull’imposta sul reddito del 1969; in prosieguo: la «Wet VPB») prevede una finzione con riferimento alla sede di una società costituita secondo il diritto olandese: ai fini di questa legge, infatti, la società è considerata residente nei Paesi Bassi. Una società che trasferisce la propria sede amministrativa effettiva all’estero rimane pertanto soggetta illimitatamente a imposta nei Paesi Bassi.

6.        Secondo l’art. 8 della Wet VPB, è l’art. 16 della Wet op de inkomstenbelasting 1964 (legge olandese sull’imposta sul reddito del 1964; in prosieguo: la «Wet IB») a trovare applicazione in materia di riscossione dell’imposta sulle società. Il menzionato art. 16 stabilisce che gli utili societari non ancora rilevati vengono imputati al profitto dell’anno di calendario in cui colui in nome del quale viene esercitata l’impresa cessa di percepire un utile imponibile nei Paesi Bassi (la cosiddetta «imposta di liquidazione finale»). In tal senso, questo momento rappresenta un momento fittizio di realizzo delle riserve tacite e dell’avviamento dell’impresa.

B –    La Convenzione volta a evitare la doppia imposizione Paesi Bassi‑Regno Unito

7.        La Convenzione stipulata tra il Regno dei Paesi Bassi e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord volta a evitare la doppia imposizione e a prevenire l’evasione fiscale con riguardo alle imposte sul reddito e sui profitti (in prosieguo: la «DTC») (8) prevale, ai sensi degli artt. 93 e 94 della Costituzione olandese, sulle norme nazionali in conflitto.

8.        Ai sensi dell’art. 4, n. 3, della DTC, una società che, come la National Grid Indus, possiede una doppia sede – una sede di costituzione nei Paesi Bassi e una sede di amministrazione effettiva nel Regno Unito – viene considerata residente unicamente nello Stato contraente in cui si trova la sede di amministrazione effettiva. A norma dell’art. 7, n. 1, della DTC, a questo Stato spetta in via esclusiva il potere impositivo sugli utili d’impresa, a condizione che essi non siano attribuibili a una stabile organizzazione situata in un altro Stato contraente. Secondo l’art. 13, n. 4, della DTC questo potere impositivo ricomprende anche le plusvalenze (latenti).

9.        Secondo costante giurisprudenza dello Hoge Raad der Nederlanden, dall’applicazione della DTC consegue che una società che, come la National Grid Indus, trasferisce la propria sede amministrativa effettiva nel Regno Unito cessa di percepire un utile d’impresa imponibile nei Paesi Bassi sì che, ai sensi dell’art. 8 del Wet VPB in combinato disposto con l’art. 16 del Wet IB, le riserve tacite esistenti al momento dell’uscita e l’avviamento sono soggetti all’imposta di liquidazione finale.

III – Fatti e questioni pregiudiziali

10.      La National Grid Indus è stata costituita il 10 giugno 1996 come società a responsabilità limitata di diritto olandese con sede statutaria a Rotterdam. Essa fa parte del National Grid Transco Group, un gruppo la cui società controllante è residente nel Regno Unito e possiede, tra l’altro, reti per la distribuzione di energia elettrica e gas nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America. Il giorno della costituzione la società madre britannica aveva conferito nel capitale sociale, a fronte di un’emissione di quote, un credito a titolo di prestito interno al gruppo per l’ammontare di GBP 33 113 000. La National Grid Indus, a sua volta, avrebbe dovuto versare detto importo in una joint venture pakistana nell’ambito di un progetto per reti elettriche in Pakistan, il che però non è avvenuto, e la National Grid Indus ha limitato la propria attività al finanziamento di società del gruppo residenti in Inghilterra.

11.      Il 15 dicembre 2000 la National Grid Indus ha trasferito la propria sede amministrativa effettiva nonché l’intera attività economica a Londra. Ha abbandonato i locali commerciali da essa occupati a Rotterdam, il consiglio di amministrazione olandese è stato sostituito da tre amministratori inglesi, i conti bancari olandesi sono stati chiusi ed è stato aperto un nuovo conto presso una banca inglese. Stando a quanto accertato dal giudice del rinvio, la National Grid Indus rimane una società di diritto olandese, sia secondo il diritto societario olandese sia secondo quello inglese (9). Dal 15 dicembre 2000 le autorità inglesi ritengono che la società abbia sede nel Regno Unito, mentre secondo il diritto tributario olandese si tratterebbe di una stabile organizzazione nel Regno Unito che fa parte di una società olandese.

12.      Secondo quanto constatato dal giudice del rinvio, per il trasferimento di sede sussistevano validi motivi. Da un lato, l’aliquota con cui in futuro l’imposta sulle società britanniche avrebbe gravato sugli interessi del prestito percepiti dalla National Grid Indus non sarebbe più stata superiore all’aliquota con cui tali interessi sarebbero stati deducibili dalle società debitrici facenti parte del gruppo. Dall’altro, il trasferimento di sede aveva segnato la fine del rischio valutario rispetto al fiorino olandese o all’euro, in quanto in futuro gli utili sarebbero stati contabilizzati solo in sterline britanniche. Inoltre, poiché il progetto in Pakistan si era arenato, palesemente non sussisteva più alcun motivo per mantenere una stabile organizzazione nei Paesi Bassi al fine di poter trarre vantaggio da una convenzione tributaria stipulata tra i Paesi Bassi e il Pakistan.

13.      Nel periodo in cui aveva sede nei Peasi Bassi, sul credito concesso a titolo di prestito pari a GBP 33 113 000 la National Grid Indus aveva percepito, a fronte di apprezzamenti della sterlina britannica rispetto al fiorino olandese, utili sui cambi latenti per l’ammontare di NLG 22 128 160 (EUR 10 041 321). Fino al momento dell’uscita, tuttavia, essa era autorizzata a valutare tale credito al corso storico nei propri bilanci fiscali, sì che gli utili sui cambi non erano stati fino ad allora tassati.

14.      Tenuto conto del fatto che, secondo la DTC, gli utili d’impresa, comprensivi delle plusvalenze latenti, sarebbero stati soggetti in futuro solo a imposizione nel Regno Unito, l’amministrazione finanziaria olandese ha colto l’occasione del trasferimento della National Grid Indus per assoggettare l’utile sui cambi latente all’imposta di liquidazione finale ai sensi dell’art. 16 della Wet IB in combinato disposto con l’art. 8 della Wet VPB. L’importo dell’imposta fissato è esigibile dal 27 aprile 2004; gli interessi tributari sono stati calcolati con decorrenza dal 1° aprile 2001, vale a dire dal giorno successivo all’ultimo esercizio della società nei Paesi Bassi.

15.      Poiché il Gerechtshof Amsterdam, chiamato a pronunciarsi in secondo grado sul ricorso della National Grid Indus contro questa imposizione fiscale, nutre dubbi circa la compatibilità della tassazione in uscita con la libertà di stabilimento, ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le questioni pregiudiziali seguenti:

1)         Se, nel caso in cui uno Stato membro imponga ad una società costituita secondo il diritto di tale Stato membro, che da esso trasferisce la propria sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro, un’imposta di liquidazione finale per il trasferimento della sede, detta società, allo stato attuale del diritto comunitario, possa invocare l’art. 43 CE (divenuto art. 49 TFUE) nei confronti di questo Stato membro.

2)         In caso di soluzione affermativa della prima questione, se un’imposta di liquidazione finale, come quella in esame, che include nell’imposizione le plusvalenze degli elementi patrimoniali della società trasferiti dallo Stato membro di provenienza a quello ospitante, come valutati al momento del trasferimento della sede, senza possibilità di differimento né di prendere in considerazione perdite successive, sia contraria all’art. 43 CE (divenuto art. 49 TFUE), nel senso che siffatta imposta di liquidazione finale non può essere giustificata dalla necessità di ripartizione dei poteri impositivi tra gli Stati membri.

3)         Se la soluzione della questione che precede dipenda anche dalla circostanza che l’imposta di liquidazione finale considerata riguarda un profitto (sul cambio) intervenuto nella circoscrizione fiscale olandese, mentre detto profitto non può essere evidenziato nello Stato ospitante ai sensi del regime tributario ivi vigente.

16.      Nel procedimento dinanzi alla Corte sono intervenuti il National Grid Indus, i governi olandese, danese, tedesco, spagnolo, francese, italiano, portoghese, finlandese e svedese nonché il governo del Regno Unito e la Commissione europea.

IV – Valutazione

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

17.      Con la prima questione pregiudiziale il giudice del rinvio vuole sostanzialmente sapere se, nel caso in cui uno Stato membro imponga a una società costituita secondo la legislazione di tale Stato, che da esso trasferisce la propria sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro, una tassa di liquidazione finale per il trasferimento della sede, nel senso che sulle plusvalenze fino a quel momento venute in essere, ma non ancora realizzate, degli elementi patrimoniali trasferiti si deve versare un’imposta societaria senza rinvio e senza la possibilità di prendere in considerazione perdite successive, detta società possa invocare la libertà di stabilimento garantita all’art. 43 CE (attualmente divenuto art. 49 TFUE) nei confronti di questo Stato membro.

18.      Secondo costante giurisprudenza, le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento sono applicabili anche a misure dello Stato di origine volte a ostacolare lo stabilimento in un altro Stato membro di uno dei suoi cittadini o di una società costituita conformemente al suo diritto (10).

19.      I governi intervenuti nel procedimento, richiamandosi alle sentenze Daily Mail (11) e Cartesio (12) fanno valere, tuttavia, che una società che, come la National Grid Indus, intende trasferire in un altro Stato membro la propria sede amministrativa effettiva senza che ciò comporti alcuna modifica statutaria, vale a dire conservando la propria qualità di società soggetta al diritto dello Stato in cui è stata costituita, non può invocare la libertà di stabilimento nei confronti di quest’ultimo. Ciò varrebbe anche con riferimento a provvedimenti di natura fiscale connessi al trasferimento di sede, come l’imposta di liquidazione finale.

20.      Di fatto, nella sentenza Daily Mail del 1988 la Corte ha statuito che la libertà di stabilimento non conferisce a una società, costituita secondo la legislazione di uno Stato membro e con sede statutaria in detto Stato, il diritto di trasferire la sede della direzione in altro Stato membro (13).

21.      Nei motivi della sentenza la Corte ha precisato a tal proposito che la libertà di stabilimento non attribuisce alle società di diritto nazionale alcun diritto a trasferire la direzione e l’amministrazione centrale in altro Stato membro pur conservando la qualità di società dello Stato membro secondo la cui legislazione sono state costituite (14). Esse esistono solo in forza delle diverse legislazioni nazionali che ne disciplinano la costituzione (15). Le legislazioni degli Stati membri presentano notevoli differenze relative sia al criterio di collegamento previsto per le società sia alla facoltà e, eventualmente, alle modalità di un trasferimento della sede, legale o reale, di una società di diritto nazionale da uno Stato membro all’altro (16). Secondo il Trattato CEE tale diversità costituisce un problema la cui soluzione non si trova nelle norme sul diritto di stabilimento, dovendo invece essere affidata ad iniziative legislative e pattizie, tuttavia non ancora realizzatesi (17).

22.      Nella sentenza Cartesio del 2008 la Corte ha affermato che la questione se una società debba essere effettivamente considerata come una società avente la nazionalità dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita e conseguentemente possa beneficiare della libertà di stabilimento può trovare risposta solo nel diritto nazionale applicabile (18).

23.      Uno Stato membro disporrebbe pertanto della facoltà di non consentire a una società soggetta al suo diritto nazionale di conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendo la sede (19) nel territorio di quest’ultimo, sopprimendo in questo modo il collegamento previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione (20). In questo senso la Corte risolveva la questione pregiudiziale in esame se la libertà di stabilimento osti alla normativa di uno Stato membro che impedisce ad una società costituita in forza del diritto nazionale di trasferire la propria sede in un altro Stato membro conservando al contempo lo status di società soggetta al diritto nazionale dello Stato membro a norma della cui legislazione è stata costituita.

24.      Orbene, nel caso di specie, la questione se la National Grid Indus debba continuare a essere considerata, nonostante l’uscita dai Paesi Bassi, una società di diritto olandese è già stata chiaramente risolta con una risposta affermativa. Come infatti risulta dalla decisione di rinvio, e come sottolineato anche dalla National Grid Indus e dalla Commissione, il diritto olandese – diversamente dal diritto societario ungherese sul quale si fonda la causa Cartesio – consente l’emigrazione di società senza la necessità di modifiche statutarie.

25.      Conseguentemente si ha a che fare con una società «viva» che soddisfa tutti i requisiti previsti dalla legislazione dello Stato di costituzione per continuare a essere da questo considerata una società di diritto nazionale. Perché, quindi, essa non dovrebbe poter invocare la libertà di stabilimento nei confronti dello Stato in cui è stata costituita?

26.      I governi intervenuti nel procedimento si richiamano alla sentenza Daily Mail secondo cui non solo la facoltà di trasferire la sede senza la necessità di modifiche statutarie, ma anche le modalità di tale trasferimento non sarebbero ricomprese nelle norme sul diritto di stabilimento. A queste modalità apparterrebbero anche le norme tributarie pertinenti dello Stato di uscita, in quanto la fattispecie in esame in quella sentenza avrebbe riguardato proprio gli aspetti fiscali del trasferimento di sede.

27.      La causa Daily Mail infatti verteva su una disposizione della legge britannica sull’imposta sul reddito e sulle società, secondo la quale una società che intendeva trasferire all’estero la propria residenza fiscale – definita come sede della direzione – conservando personalità giuridica e qualità di società di diritto inglese necessitava dell’autorizzazione del Ministero delle Finanze (21). Un’eventuale violazione veniva punita con una pena detentiva o pecuniaria (22). Il trasferimento della direzione e, conseguentemente, della sede fiscale all’estero avrebbe comportato il vantaggio per la società Daily Mail – e questo era il suo scopo dichiarato – che le plusvalenze sui titoli che essa possedeva e si proponeva di vendere a breve non sarebbero più state soggette a imposta nel Regno Unito. Il Ministero delle Finanze britannico aveva proposto alla Daily Mail di vendere una quota importante dei titoli prima del trasferimento di sede, il che avrebbe comportato che le plusvalenze da ciò derivanti avrebbero dovuto essere tassate nel Regno Unito. La Daily Mail ha quindi adito il giudice affinché accertasse il proprio diritto, in virtù della libertà di stabilimento, di trasferire la sede senza previa autorizzazione (23).

28.      Le questioni pregiudiziali della High Court nel caso Daily Mail erano espressamente orientate agli aspetti fiscali del trasferimento di sede. È stata la Corte ad aver trasferito la problematica del trasferimento di sede su un piano più generale, interpretando la prima questione pregiudiziale nel senso che con essa, in sostanza, si vorrebbe innanzitutto sapere se la libertà di trasferimento attribuisca a una società, costituita secondo la legislazione di uno Stato membro e con sede statutaria in detto Stato, il diritto di trasferire la sede della direzione in altro Stato membro. Avendo risolto negativamente questa domanda, la Corte non ha ritenuto più necessario affrontare separatamente gli aspetti fiscali del trasferimento di sede.

29.      Nelle conclusioni presentate in quella causa (24) l’avvocato generale Darmon aveva invece sottolineato più chiaramente gli aspetti fiscali, precisando che sarebbe paradossale che uno Stato che non esige lo scioglimento – pur necessitandolo – sia posto dal diritto comunitario in una situazione fiscale di disfavore proprio quando la sua legislazione in materia di società è più vicina agli obiettivi comunitari in materia di stabilimento.

30.      La causa Daily Mail offre quindi elementi a supporto del tipo di interpretazione della relativa sentenza seguito dai governi intervenuti nel presente procedimento. A mio avviso, la sentenza Daily Mail deve essere tuttavia interpretata alla luce della successiva giurisprudenza della Corte, e non può essere compresa prescindendo dalle circostanze di fatto a base della medesima e dall’ampia formulazione della soluzione alle domande pregiudiziali della High Court nel senso che la libertà di stabilimento non pone alcun limite al trattamento di una società che intende emigrare da parte dello Stato di costituzione.

31.      Innanzitutto si rinvia alle sentenze Centros (25), Überseering (26) e Inspire Art (27), dalle quali emerge che una società validamente costituita in uno Stato membro che desidera trasferire il complesso delle sue attività economiche in un altro Stato membro può invocare la libertà di stabilimento nei confronti dello Stato di destinazione. L’emigrazione come tale non costituisce un’operazione che esulerebbe a priori dalla libertà di stabilimento.

32.      Per quanto riguarda lo Stato di uscita, nella sentenza Cartesio la Corte non ha affrontato nello specifico la questione circa quali requisiti o conseguenze uno Stato membro possa eventualmente prevedere per il trasferimento di sede, conservando la qualità di società di diritto nazionale.

33.      Da questa sentenza tuttavia non si evince − diversamente da quanto poteva lasciare presagire l’ampio dispositivo della sentenza Daily Mail e contrariamente al parere espresso in quel procedimento dall’avvocato generale Darmon − se l’ambito di applicazione della libertà di stabilimento possa essere allargato anche nei confronti dello Stato di costituzione nel caso in cui una società intenda trasferire la propria sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro.

34.      Nella sentenza Cartesio la Corte di giustizia ha infatti chiarito che una società che intende trasferire la propria sede in un altro Stato membro e trasformarsi in una società di diritto nazionale dello Stato di destinazione può invocare la libertà di stabilimento nei confronti dello Stato di uscita, nel caso in cui quest’ultimo dovesse imporre lo scioglimento e la liquidazione di tale società (28). Se in siffatta ipotesi di trasferimento della sede, che, pur implicando una modifica statutaria, preserva la continuità giuridica, è applicabile la libertà di stabilimento, in base a quest’ultima vanno commisurati anche gli aspetti fiscali del trasferimento stesso.

35.      Così è pacifico che il trasferimento di sede transfrontaliero, come tale, non è un’operazione che di per sé ricade al di fuori dell’ambito di applicazione della libertà di stabilimento. Piuttosto, secondo il diritto dell’Unione, lo Stato di uscita è in linea di principio obbligato a consentire l’emigrazione delle società costituite secondo la sua legislazione. Esso dispone della sola discrezionalità di scegliere se ammettere anche la conservazione della qualità di società di diritto nazionale.

36.      Su queste premesse, a uno Stato membro non può essere riconosciuta la facoltà di delineare le conseguenze fiscali del trasferimento di sede, che esso spontaneamente ammette senza la necessità di modifiche statutarie, senza essere vincolato alla libertà di stabilimento. Il diritto dell’Unione non ammette infatti che uno Stato membro vieti l’emigrazione come tale. La sola circostanza che un governo nazionale consenta un’emigrazione che preservi non solo la continuità giuridica, ma anche lo statuto, andando quindi oltre i requisiti previsti dal diritto dell’Unione, non giustifica il fatto che le ulteriori conseguenze che il diritto nazionale ricollega all’emigrazione ricadano al di fuori dell’ambito di applicazione della libertà di stabilimento. Se le conseguenze fiscali dell’emigrazione che preserva solo la continuità giuridica vanno commisurate in base alla libertà di stabilimento, lo stesso deve valere anche per l’emigrazione che prevede la conservazione dello statuto.

37.      Propongo pertanto di risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che una società può invocare nei confronti dello Stato membro secondo il cui diritto è stata costituita la libertà di stabilimento garantita dall’art. 43 CE (attualmente art. 49 TFUE), quando tale Stato membro, in occasione del trasferimento della sua sede amministrativa effettiva in un altro Stato membro, riscuote un’imposta di liquidazione finale, nel senso che sulle plusvalenze, fino a quel momento venute in essere, ma non ancora realizzate, degli elementi patrimoniali trasferiti va versata un’imposta sulle società senza rinvio e senza la possibilità di prendere in considerazione perdite successive.

B –    Sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale

38.      Con la seconda e la terza questione il giudice del rinvio vuole sapere se l’art. 43 CE (attualmente divenuto art. 49 TFUE) osti a una tale imposta di liquidazione finale oppure se essa possa essere giustificata in particolare dalla necessità di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, e se la circostanza che il caso di specie verta su un utile sui cambi latente che non si configura più nello Stato di destinazione sia al proposito pertinente.

1.      Sull’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento

39.      Il giudice remittente è dell’avviso che l’imposta di liquidazione finale costituisca una restrizione della libertà di stabilimento, e quindi si limita a chiedere una possibile giustificazione. Anche la Commissione, rinviando alla sentenza de Lasteyrie du Saillant (29), conferma, come anche la National Grid Indus che fa altresì riferimento alla sentenza N (30), l’esistenza di una restrizione.

40.      I governi tedesco, francese, italiano e svedese nonché il governo del Regno Unito sono invece dell’opinione che non si configuri alcuna limitazione della libertà di stabilimento. In parte vengono solo ripetuti gli argomenti dedotti dalla sentenza Daily Mail, che già sono stati sollevati in relazione alla questione dell’ambito di applicazione della libertà di stabilimento. In parte, tuttavia, i citati governi sostengono anche che la situazione di una società come la National Grid Indus non sarebbe comparabile a quella di una società che trasferisce la propria sede all’interno dello Stato membro di costituzione. Al proposito viene illustrata la comparabilità sotto il profilo sia della discriminazione sia di una (ulteriore) restrizione.

41.      Con riferimento agli argomenti che riguardano la comparabilità ritengo irrilevante, esaminando la questione se le norme fiscali nazionali che trattano situazioni transfrontaliere in maniera diversa rispetto a quelle interne siano compatibili con la libertà di stabilimento, analizzare le stesse questioni giuridiche prima sotto il profilo della discriminazione e di nuovo eventualmente sotto quello della (ulteriore) restrizione. Occorre piuttosto chiedersi in modo univoco se il trasferimento di sede transfrontaliero sia posto in una situazione fiscale di disfavore rispetto al trasferimento sul territorio nazionale. Se così è, e il trasferimento di sede transfrontaliero viene quantomeno reso, così, meno attraente rispetto a quello sul territorio nazionale, si configura una limitazione della libertà di stabilimento (31). Questa è tuttavia da considerarsi giustificata e quindi ammissibile a condizione che riguardi situazioni non oggettivamente comparabili tra loro oppure la disparità di trattamento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale (32).

42.      Nel caso di specie, nei Paesi Bassi si applica un’imposta di liquidazione finale quando la sede dell’amministrazione centrale effettiva di una società viene trasferita in un altro Stato membro. Sulle plusvalenze venute in essere fino a quel momento sul territorio nazionale, ma non ancora realizzate, degli elementi patrimoniali trasferiti all’estero va corrisposta un’imposta societaria senza rinvio e senza possibilità di prendere in considerazione successive perdite di valore. Se il trasferimento di sede avviene invece sul territorio nazionale, non va corrisposta alcuna imposta di liquidazione finale. Le plusvalenze vengono tassate solo dopo l’effettivo realizzo delle stesse, per esempio nell’ambito di una vendita degli elementi patrimoniali in questione. In questa disparità di trattamento si configura senza ombra di dubbio una situazione di disfavore per quanto attiene i trasferimenti di sede transfrontalieri, la quale, sotto il profilo economico, può assumere persino proporzioni esistenziali. L’imposta di liquidazione finale qui in esame è di natura tale, a fronte del suo effetto dissuasivo, da ostacolare l’esercizio del diritto di stabilimento garantito dal diritto dell’Unione, e rappresenta pertanto una restrizione della libertà di stabilimento (33).

2.       Sulla giustificazione della restrizione

43.      I motivi addotti dai governi nel presente procedimento con riferimento alla carenza di comparabilità del trasferimento di sede transfrontaliero con il trasferimento sul territorio nazionale corrispondono sostanzialmente agli argomenti formulati a sostegno dell’esistenza di ragioni imperative di interesse generale. Poiché dalla giurisprudenza emerge altresì che la comparabilità deve essere esaminata tenendo conto dell’obiettivo perseguito dalla disposizione nazionale in questione (34), nel prosieguo mi limiterò a verificare – seguendo l’orientamento della questione pregiudiziale – se la restrizione della libertà di stabilimento insita nell’imposta di liquidazione finale sia giustificata da un obiettivo di interesse generale.

44.      Affinché una restrizione della libertà di stabilimento possa essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, la relativa misura deve essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo di interesse generale in tal modo perseguito, e non eccedere quanto necessario per conseguirlo (35).

45.      Come risulta dalla seconda questione pregiudiziale, il giudice remittente concentra le proprie riflessioni sulla possibile giustificazione dell’accertata restrizione alla salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri. Pertanto questo motivo di giustificazione deve essere esaminato prima di passare alle altre ragioni fatte valere dai governi intervenuti nel procedimento.

a)      Ripartizione equilibrata del potere impositivo

46.      È un indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza che una restrizione all’esercizio di una libertà fondamentale trovi giustificazione all’interno dell’Unione per salvaguardare la ripartizione equilibrata del potere impositivo (36). In mancanza di disposizioni comunitarie di unificazione o di armonizzazione, gli Stati membri rimangono competenti per definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri per ripartire il loro potere impositivo (37). A tale proposito non è irragionevole per gli Stati membri ispirarsi alla prassi internazionale e in particolare ai modelli di convenzione elaborati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) (38).

i)      L’obiettivo dell’imposta di liquidazione finale e la sua idoneità al conseguimento dell’obiettivo

47.      Ad avviso del giudice remittente, l’imposta di liquidazione finale trova fondamento sul principio, internazionalmente accettato, della territorialità (39), legato a una componente temporale, e assolve sostanzialmente al compito della ripartizione delle competenze fiscali. Essa dovrebbe garantire che il complesso degli utili che una società ha percepito nel periodo in cui era soggetta ad imposta nei Paesi Bassi, venga tassato anche lì. A tal fine, le plusvalenze latenti fino a quel momento intervenute sarebbero considerate realizzate al momento dell’uscita. Una siffatta imposizione al valore di mercato non si limiterebbe del resto all’ipotesi del trasferimento di sede, ma si configurerebbe anche nel caso in cui solo singoli beni patrimoniali siano confluiti in una stabile organizzazione all’estero. Poiché anche lo Stato ospite, al momento dell’inizio dell’obbligo tributario sul territorio nazionale, valuterebbe gli attivi e i passivi d’impresa al loro valore normale di mercato (il cosiddetto step up), si eviterebbero le doppie imposizioni tenendo conto delle perdite di valore successive in detto Stato. Una siffatta tassazione sarebbe ammessa in base alle convenzioni tributarie ispirate al modello di convenzione OCSE.

48.      Come si desume dalla risoluzione del Consiglio datata 8 dicembre 2008, la combinazione di tassazione in uscita da parte dello Stato di uscita e step up da parte dello Stato di destinazione rappresenta una possibilità praticabile al fine di garantire che le riserve tacite vengano tassate (solo) una volta. A quanto risulta, né la DTC né il modello di convenzione OCSE contengono una espressa regolamentazione per l’ipotesi del trasferimento di sede transfrontaliero. Il giudice remittente ha tuttavia rinviato alla giurisprudenza costante dello Hoge Raad der Nederlanden secondo cui l’applicazione della DTC a una società di diritto olandese che trasferisce la propria sede nel Regno Unito comporta che essa cessi di percepire un utile d’impresa imponibile nei Paesi Bassi. Dopo il trasferimento, il diritto di tassare gli utili d’impresa, comprese le plusvalenze latenti, spetterebbe esclusivamente al Regno Unito. La tassa in uscita è stata introdotta affinché in siffatta situazione le plusvalenze latenti intervenute sul territorio nazionale non eludano l’imposizione da parte dei Paesi Bassi. Nei Paesi Bassi la DTC viene quindi palesemente intesa nel senso che comporterebbe per il paese la futura perdita del diritto impositivo su queste riserve tacite. Pertanto, esse vengono considerate realizzate al momento dell’uscita e imputate all’ultimo esercizio fiscale sul territorio nazionale.

49.      Per quanto attiene il modello di convenzione OCSE, dalle spiegazioni del modello di convenzione si può desumere che esso in linea di principio non osta affinché il conferimento di un bene patrimoniale da una stabile organizzazione nazionale a una sede principale o a una stabile organizzazione all’estero venga trattato alla stregua di una cessione, in modo tale che le plusvalenze latenti fino a quel momento intervenute vengano tassate sul territorio nazionale (40).

50.      Si rinvia inoltre alla direttiva in materia di fusioni 2009/133 (41), che all’art. 12, n. 1 stabilisce che il trasferimento della sede di una società europea o di una società cooperativa europea da uno Stato membro in un altro non dà luogo all’imposizione delle plusvalenze latenti risultanti dagli elementi patrimoniali, i quali rimangono collegati con una stabile organizzazione nello Stato membro dal quale è stata trasferita la sede sociale e contribuiscono agli utili o alle perdite presi in considerazione per scopi fiscali. Come il giudice del rinvio e diversi governi intervenuti nel procedimento fanno valere, ciò induce a concludere, al contrario, che la direttiva non vieta la tassazione in uscita degli elementi patrimoniali trasferiti all’estero. Entro quale limite la tassazione in uscita sia effettivamente ammessa nei casi trattati dalla direttiva, è una questione che deve essere tuttavia chiarita da ultimo in considerazione del diritto primario, e che si può qui tralasciare. In questo contesto, quanto disciplinato dalla direttiva è di interesse solo nella misura in cui mostra che anche il legislatore europeo effettua la ripartizione delle facoltà impositive tra gli Stati membri in modo tale che le plusvalenze latenti venute in essere nello Stato di uscita possano essere ivi tassate.

51.      Infine va rammentato che nella sentenza N (42) la Corte ha riconosciuto che la tassazione in uscita di persone fisiche esaminata in quella causa era idonea a realizzare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri. In base a quella disciplina è stata determinata la tassa sulle plusvalenze latenti di una partecipazione societaria rilevante al momento dell’uscita, e il cui pagamento è stato dilazionato fino all’effettiva cessione. Il fatto che il caso di specie riguardi, anziché persone fisiche, società, e che l’imposta di liquidazione finale debba essere corrisposta immediatamente, non ha importanza alcuna per quanto attiene la questione dell’idoneità, bensì rileva solo ai fini della necessità.

52.      Va pertanto accertato se l’imposta di liquidazione finale miri a tutelare una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e se sia in grado di raggiungere tale obiettivo di interesse generale.

ii)    Necessità

53.      Rimane da verificare se l’imposta di liquidazione finale qui in esame non ecceda quanto necessario per raggiungere l’obiettivo da essa perseguito.

54.      Al proposito va operata una distinzione tra la determinazione dell’imposta dovuta e la relativa riscossione.

–       Determinazione dell’imposta di liquidazione finale

55.      La determinazione dell’imposta di liquidazione finale nell’ambito dell’avviso di accertamento relativo all’ultimo esercizio fiscale sul territorio nazionale non appare di per sé sproporzionata. La finzione a tal fine utilizzata del realizzo degli utili latenti al momento dell’uscita consente una separazione pressoché immediata della parte di imposta spettante allo Stato di uscita da quella spettante allo Stato di destinazione senza che ciò determini obblighi più gravosi per il contribuente rispetto a una determinazione dell’imposta avvenuta in un momento successivo (43).

56.      Al proposito va anche considerato che il trasferimento di sede transfrontaliero, con riferimento alla determinazione dell’imposta al momento dell’uscita, non è comparabile con il trasferimento sul territorio nazionale, posto che in quest’ultimo caso – presumendo che si tratti di una giurisdizione fiscale unitaria – la sovranità impositiva dello Stato membro in questione rimane impregiudicata. Poiché in siffatto caso non è necessaria alcuna ripartizione del potere impositivo tra diversi Stati, è sufficiente rilevare fiscalmente le plusvalenze latenti solo al momento del loro effettivo realizzo.

–       Riscossione dell’imposta dovuta

57.      È sostanzialmente più difficile valutare se anche l’azione di riscossione immediata sia compatibile con il principio della proporzionalità.

58.      Dalla sentenza N (44) si evince che una tassazione in uscita di persone fisiche che detengono una partecipazione rilevante di una società può essere considerata proporzionata solo nel caso in cui il pagamento dell’imposta dovuta venga dilazionato fino all’effettivo realizzo delle plusvalenze latenti senza alcun obbligo di costituire garanzie a tal fine, e senza che vengano prese in considerazione perdite di valore successive che non siano già state considerate nello Stato di destinazione.

59.      La National Grid Indus e la Commissione ritengono che questa giurisprudenza sia trasferibile in linea di principio alla tassazione in uscita di imprese. Richiamandosi alla propria comunicazione relativa alla tassazione in uscita datata 19 dicembre 2006 (45) la Commissione ammette tuttavia che gli Stati membri siano autorizzati a imporre all’impresa migrante determinati obblighi di informazione, per esempio, una dichiarazione annuale secondo cui gli attivi d’impresa continuerebbero a essere detenuti dalla stabile organizzazione situata all’estero, collegata a una dichiarazione all’atto della cessione. La direttiva 77/799 (46) in materia di assistenza reciproca e la direttiva 76/308 (47) sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti offrirebbero alle autorità competenti la possibilità di continuare a garantire una vigilanza fiscale efficace delle imprese emigrate e di prelevare il credito fiscale in un dato momento.

60.      Secondo il parere dei governi intervenuti nel procedimento, lo spostamento all’estero della sede sociale assieme agli attivi d’impresa impone invece un altro tipo di valutazione. Essi ritengono che l’immediata riscossione dell’imposta sulle plusvalenze latenti intervenute sul territorio nazionale sia proporzionata, in particolare perché un’individuazione sistematica dell’ulteriore destino degli elementi patrimoniali in questione, se non addirittura impossibile, implicherebbe oneri considerevoli, non sostenibili sul piano economico, sia per l’impresa sia per l’amministrazione finanziaria. Inoltre, lo Stato di destinazione terrebbe conto delle perdite di valore successive nell’ambito dello step up.

61.      I governi danese, spagnolo e finlandese fanno valere che spesso gli attivi di impresa, diversamente da una partecipazione societaria detenuta da una persona fisica, sarebbero destinati, più che a essere ceduti in un momento successivo a titolo oneroso, a essere utilizzati nel processo produttivo. Tipicamente essi vedrebbero il loro valore ridursi con il passare del tempo, specie per usura o invecchiamento o, nel caso di proprietà intellettuale, per scadenza della tutela, per poi infine perderlo completamente. Pertanto, non avrebbe senso alcuno prendere a riferimento un momento successivo, come per esempio quello di una cessione.

62.      In questo contesto, il governo olandese precisa che un realizzo delle plusvalenze, intervenute nello Stato di uscita, degli elementi patrimoniali avverrebbe in parte gradualmente in quanto detti elementi sarebbero soggetti nello Stato di destinazione all’ammortamento annuale sulla base del valore di mercato iscritto nel bilancio di apertura. Benché le plusvalenze di elementi del capitale circolante si realizzino di norma al momento della loro vendita, i bilanci di esercizio non lasciano chiaramente intendere quando i beni esistenti al momento dell’uscita siano stati effettivamente venduti.

63.      Secondo il parere dei governi olandese, tedesco e spagnolo, i meccanismi di assistenza informativa e di assistenza nel recupero dei crediti non offrono altresì alcuna idonea possibilità di monitorare in modo continuo il complesso dei beni di un’impresa o anche solo di verificare la correttezza dei dati forniti da un’impresa e di far valere al momento giusto la pretesa fiscale. Le diversità esistenti tra le norme dei diversi Stati membri relativamente al calcolo degli utili e alla predisposizione dei bilanci di esercizio renderebbero ancora più difficile una simile cooperazione.

64.      Il governo italiano ritiene che la giurisprudenza della Corte in materia di tassazione in uscita di persone fisiche non sia quindi trasferibile al regime della tassazione in uscita di imprese, in quanto le persone fisiche e le imprese sarebbero soggette a normative fiscali sostanzialmente diverse. Mentre, nel caso delle persone fisiche, verrebbe tassato in linea di principio solo il reddito effettivo, l’imposizione delle imprese avverrebbe sulla base di un bilancio in cui vengono contrapposte le voci attive e passive. In linea di principio, le plusvalenze degli elementi patrimoniali si ripercuoterebbero direttamente sul bilancio e pertanto sarebbero di per sé immediatamente tassabili. Solo in via eccezionale il valore originario del bene patrimoniale potrebbe essere riportato fino al realizzo delle plusvalenze latenti. Il primo requisito a tal fine sarebbe che l’impresa mantenga la propria sede sul territorio nazionale continuando quindi a essere soggetta all’imposizione nazionale.

65.      Il governo finlandese precisa altresì che le persone giuridiche, a differenza di quelle fisiche, presenterebbero un’identità meno costante. Fusioni, scissioni, modifiche della forma giuridica, costituzione di società controllate e conferimento di rami aziendali in altre società potrebbero notevolmente ostacolare una vigilanza fiscale continua da parte dello Stato di uscita.

66.       In primo luogo va accertato se gli argomenti dei governi intervenuti nel procedimento, con cui essi sottolineano le difficoltà di individuazione, poggino su un ragionamento in termini tipizzanti, secondo il quale le imprese e in particolare le società presenterebbero di norma una situazione patrimoniale molto complessa. La fattispecie presente mostra invece che si possono verificare anche tra le imprese casi in cui, a prescindere dal fatto che la relativa gestione sia affidata a persone fisiche o giuridiche, la situazione patrimoniale pertinente sul piano fiscale si presenti piuttosto semplice. Allo stesso modo, possono esistere persone fisiche la cui situazione patrimoniale sia analogamente complessa a quella di un’impresa nel senso delineato dai governi.

67.      Poiché pare che la causa principale verta unicamente su un credito concesso a titolo di prestito, il cui destino potrebbe essere determinato in modo comparabilmente semplice, le difficoltà di individuazione fatte valere dai governi intervenuti nella presente causa non hanno sostanzialmente rilevanza alcuna. La tipologia e la portata del patrimonio imponibile di per sé non vietano di adottare la soluzione prospettata dalla Corte nella sentenza N e di considerare sproporzionata una riscossione immediata del credito fiscale sulle plusvalenze latenti.

68.      Dato che però, fino a un determinato grado, è legittimo che il legislatore ragioni in modo tipizzante, che il giudice remittente abbia formulato la seconda questione in modo generico e che non sia da escludersi che nella causa principale ci si debba pronunciare anche sulla tassazione in uscita di altri beni patrimoniali, è mia intenzione soffermarmi sugli argomenti in questione.

Individuazione difficile o impossibile dei beni patrimoniali

69.      Appare del tutto plausibile che la situazione patrimoniale di un’impresa possa presentarsi a tal punto complessa da rendere pressoché impossibile, o in ogni caso irragionevolmente difficoltoso per le amministrazioni finanziarie e notevolmente gravoso anche per le imprese, individuare in modo preciso a livello transfrontaliero il destino di tutti i beni facenti parte delle immobilizzazioni e del capitale circolante di un’impresa fino al momento del realizzo delle plusvalenze latenti collegate a detti beni.

70.      In siffatta ipotesi anche l’obbligo di informazione in capo all’impresa proposto dalla Commissione non offre alcuna valida alternativa, in quanto anche la messa a disposizione dei dati e la verifica della loro correttezza possono eccedere il limite della ragionevolezza. Le misure di armonizzazione già esistenti nell’ambito della contabilità societaria (48) nonché la direttiva 77/799 (49) relativa alla reciproca assistenza e le direttive sull’assistenza reciproca in materia di recupero crediti (50), pur offrendo determinate agevolazioni, non risolvono il problema alla radice.

71.      Qualora non sia dato ragionevolmente determinare quando le plusvalenze latenti si realizzino effettivamente e se nel frattempo siano anche intervenute perdite di valore rilevanti, la sospensione del pagamento non costituisce, a prescindere dalla questione di uno step up, una misura meno restrittiva e idonea a garantire la pretesa impositiva dello Stato di uscita. Mancherebbe piuttosto un riferimento indicativo circa il momento in cui un’eventuale sospensione del pagamento andrebbe presa in considerazione. L’immediata riscossione dell’imposta sarebbe pertanto da considerarsi proporzionata e ammissibile alla luce della libertà di stabilimento.

Individuazione dei beni patrimoniali priva di aspetti problematici

72.      Se, invece, la tipologia e la portata del patrimonio aziendale consentono in modo comparabilmente semplice di effettuarne l’individuazione transfrontaliera fino al momento del realizzo delle plusvalenze latenti, la riscossione immediata dell’imposta dovuta appare sproporzionata. Infatti, un’impresa che trasferisce la propria sede e l’intera sua attività economica all’estero ha interesse, nella stessa misura di un’impresa che rimane sul territorio nazionale, a essere tenuta al pagamento delle tasse sulle plusvalenze latenti solo al momento dell’effettivo realizzo. D’altronde, l’interesse dello Stato di uscita all’affermazione della propria pretesa impositiva non viene considerato sproporzionato se, anche nel caso di società migranti, esso attende fino al momento dell’effettivo realizzo – per esso facilmente accertabile − delle plusvalenze latenti.

73.      È vero che il recupero dei crediti transfrontaliero potrebbe normalmente essere connesso a difficoltà maggiori rispetto a una esecuzione forzata sul territorio nazionale. I governi tedesco, spagnolo e francese rinviano al proposito alla sentenza Truck Center (51), in cui la Corte ha tra l’altro concesso, con riferimento alla possibilità del recupero dell’imposta per vie esecutive, che ai contribuenti non residenti venga applicata una tecnica impositiva diversa rispetto a quella per i contribuenti residenti, vale a dire un’imposta di ritenuta alla fonte.

74.      Il caso di specie non riguarda tuttavia una mera tecnica impositiva, bensì la questione se non ecceda quanto necessario il fatto che le società migranti, solo a fronte del loro trasferimento in un altro Stato membro, sono soggette a un’imposizione immediata e definitiva su plusvalenze latenti di beni patrimoniali facilmente identificabili, mentre le società che rimangono sul territorio nazionale sono tenute a pagare le tasse ben più tardi o possono persino non pagarle affatto. Al proposito, va considerato che la società emigrata senza modifiche statutarie rimane una società di diritto nazionale e che potrebbe incorrere in sanzioni previste dal registro qualora non dovesse adempiere ai propri obblighi fiscali. Per il resto, lo Stato di uscita può ricorrere, in caso di necessità, ai meccanismi previsti dalle direttive in materia di recupero dei crediti (52).

75.      Le specificità della tassazione d’impresa fatte valere dal governo italiano non incidono in alcun modo su tale giudizio. Anche nel caso in cui la costituzione di riserve tacite debba essere considerata un’eccezione, accade comunque che le imprese che trasferiscono la propria sede all’interno del paese possano beneficiare di tale eccezione, il che invece viene precluso alle imprese migranti. Dette specificità non costituiscono un elemento che può incidere sulla questione se tale disparità di trattamento sia proporzionata oppure se non si possa prendere in considerazione una sospensione del pagamento quale misura meno restrittiva. Anche all’argomento, fatto valere dal governo finlandese, del più frequente cambio d’identità delle imprese non può essere attribuito alcun peso tale da far apparire proporzionata l’immediata riscossione della tassa in uscita. Se l’individuazione dei beni patrimoniali non è di per sé problematica, non dovrebbe essere difficile neppure in presenza degli eventi riportati dal governo finlandese.

Considerazione delle perdite di valore successive

76.      Qualora il pagamento dell’imposta debba essere dilazionato, si pone l’ulteriore questione sul modo in cui vadano considerate le eventuali perdite di valore subentrate dopo il trasferimento. Nella sentenza N (53) la Corte ha statuito, con riferimento alla tassazione in uscita di una persona fisica che detiene una partecipazione societaria rilevante, che si deve tenere interamente conto di siffatte perdite di valore a meno che esse non siano già state considerate nello Stato di destinazione. Nel contesto dell’emigrazione di imprese si offre tuttavia una diversa prospettiva.

77.      Se lo Stato di destinazione prevede uno step up inserendo quindi nel bilancio d’apertura i beni patrimoniali al loro valore di mercato, si presuppone che ivi si tenga conto di eventuali perdite di valore future. Lo Stato di uscita potrebbe allora prelevare per intero gli importi fiscali determinati all’uscita con il subentro di un’ipotesi di realizzo, come per esempio, nel caso della cessione.

78.      Il fatto che lo Stato di destinazione non consideri una perdita di valore successiva non può necessariamente comportare che lo Stato di uscita ne debba tenere conto per intero. Quale dei due Stati debba considerare la perdita di valore è piuttosto un aspetto cruciale della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, della cui regolamentazione continuano in linea di principio a rimanere entrambi competenti in assenza di misure di armonizzazione. Al proposito il principio della territorialità depone fondamentalmente a favore del fatto che spetti allo Stato di destinazione considerare le perdite intervenute sotto la sua sovranità impositiva. Alla questione se la mancata considerazione di perdite di valore successive da parte dello Stato di uscita renda sproporzionata la tassazione in uscita non è pertanto possibile rispondere in modo generalizzato.

Utile sui cambi che non si configura più nello Stato di destinazione

79.      Per quanto attiene concretamente l’utile sui cambi di cui è parola nel procedimento principale, ad avviso del giudice remittente esso sarebbe divenuto definitivo all’uscita della National Grid Indus nel Regno Unito. Poiché a partire da quel momento gli utili della società sarebbero contabilizzati in sterline inglesi, non potrebbero più configurarsi perdite di valore successive.

80.      I governi olandese, tedesco e portoghese ritengono che in siffatto caso la riscossione immediata dell’imposta sarebbe giustificata a maggior ragione, mentre, ad avviso della Commissione, gli utili sui cambi latenti potrebbero essere tassati solo al momento dell’estinzione del credito a titolo di prestito.

81.      La National Grid Indus è invece dell’avviso che l’utile sui cambi latente sarebbe svanito all’atto del trasferimento di sede. Si trarrebbe di un utile fittizio che non sarebbe mai esistito sul piano economico, ma solo a fini fiscali. Poiché il suo utile imponibile sarebbe ormai contabilizzato nel Regno Unito solo in sterline inglesi, tale utile latente non si sarebbe realizzato mediante il trasferimento, bensì, al contrario, si sarebbe dissolto definitivamente.

82.      Nel diritto dell’Unione non riesco a rinvenire alcun elemento che induca a ritenere che agli Stati membri vada negato il diritto di tassare gli utili sui cambi configuratisi in un periodo in cui un’impresa era attiva sul loro territorio. Poiché, come ha statuito la Corte nella sentenza Deutsche Shell (54) gli Stati membri potrebbero essere obbligati a considerare fiscalmente le perdite valutarie, per motivi di simmetria fiscale occorre offrire loro la possibilità di tassare gli utili sui cambi ancorché si tratti soltanto di utili sui cambi latenti. Come ha sostenuto il governo tedesco, un utile sui cambi latente costituisce un valore economico vero e proprio già per il fatto che esso migliora la solvibilità dell’impresa. Inoltre, senza la possibilità di tassare gli utili sui cambi latenti sussisterebbe il pericolo che detti utili, nonostante il loro effettivo realizzo successivo, non vengano affatto tassati, vale a dire se, come nel caso di specie, essi non si configurano fiscalmente nello Stato di destinazione.

83.      Se l’impresa emigra in un altro Stato membro in cui l’utile sui cambi non si configura più sul piano fiscale, in detto trasferimento non si deve tuttavia ravvisare alcun realizzo dell’utile. Fintanto che il prestito non viene restituito, l’impresa, al pari di un’impresa rimasta sul territorio nazionale, non dispone di liquidi derivanti dal prestito per compensare il credito fiscale.

84.      Allo stesso modo, gli utili sui cambi non scompaiono nel nulla al momento dell’uscita. Se il prestito venisse restituito dopo il trasferimento, l’impresa emigrata disporrebbe, nella stessa misura di un’impresa rimasta sul territorio nazionale, dei liquidi necessari per soddisfare il credito fiscale. Il fatto che nello Stato di destinazione gli utili sui cambi non si configurino più sul piano fiscale non può comportare che la pretesa impositiva dello Stato di uscita venga meno.

85.      Rimane tuttavia dubbio se un siffatto utile sui cambi latente sia effettivamente da considerarsi divenuto definitivo al momento dell’uscita oppure se non si debba tenere conto dell’andamento delle quotazioni tra la valuta del prestito e la valuta dello Stato di uscita fino al momento dell’effettiva restituzione del prestito, a condizione che risultino perdite valutarie successive.

86.      In merito va innanzitutto accertato che le perdite valutarie successive, già per loro natura, possono essere considerate solo dallo Stato di uscita. Esse, infatti, non si configurano affatto sul piano fiscale nello Stato di destinazione, allo stesso modo in cui ivi non si generano utili sui cambi precedenti.

87.      In una fattispecie come la presente in cui non si può individuare in modo comparabilmente semplice il destino del credito a titolo di prestito fino al momento della restituzione o di un’altra ipotesi di realizzo, si eccederebbe quanto necessario per la salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo se lo Stato di uscita non tenesse conto delle perdite valutarie successive e pertanto tassasse le imprese migranti maggiormente di quelle rimaste sul territorio nazionale. In base al principio di territorialità il potere impositivo sul credito a titolo di prestito si esercita nel momento in cui intervengono le perdite valutarie, quindi in linea di principio nello Stato di destinazione. Poiché in detto Stato l’andamento delle quotazioni non produce effetti sul piano fiscale né in una direzione né nell’altra, mentre lo Stato di uscita, in caso di fattispecie prettamente interne, tiene conto dell’andamento fino al momento dell’effettivo realizzo dell’utile sui cambi latente, anche dopo il trasferimento di un’impresa continua a rientrare nella competenza dello Stato di uscita il fatto di considerare tali perdite valutarie nell’ambito dell'imposta stabilita sugli utili sui cambi precedenti derivanti dallo stesso credito. In siffatto caso non si configura alcun rischio che le perdite siano considerate due volte, piuttosto, in caso di fattispecie transfrontaliere, le perdite valutarie non verrebbero altrimenti considerate affatto.

88.      Ne consegue pertanto che la tassazione in uscita degli utili sui cambi latenti derivanti da un credito in valuta estera, i quali non si configurano più fiscalmente nello Stato di destinazione, possa essere considerata proporzionata solo se il pagamento del credito fiscale viene dilazionato fino al momento in cui un’impresa rimasta sul territorio nazionale dovrebbe essere tassata su siffatti utili tenendo in considerazione le perdite valutarie venute in essere fino a quel momento.

iii) Conclusione provvisoria

89.      Un’imposta di liquidazione finale come quella in esame è giustificata dalla necessità di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri quando i beni patrimoniali dell’impresa emigrata, per la loro tipologia e/o portata, non possono essere ragionevolmente individuati fino al momento dell’effettivo realizzo delle plusvalenze latenti venute in essere sul territorio nazionale. Se la loro individuazione è possibile in modo comparabilmente semplice, una riscossione dell’imposta di liquidazione finale prima del momento del realizzo delle perdite di valore latenti è sproporzionata. La questione se in siffatto caso si debba tenere conto delle perdite di valore successive può trovare risposta solo alla luce delle rispettive circostanze.

90.      Se il patrimonio aziendale si compone sostanzialmente di un credito in valuta estera e se gli utili sui cambi latenti intervenuti sul territorio nazionale non si configurano più nello Stato di destinazione, occorre sospendere il pagamento dell’imposta di liquidazione finale fino al momento in cui un’impresa rimasta sul territorio nazionale risulterebbe imponibile su detti utili, tenendo in considerazione le perdite valutarie fino a quel momento venute in essere.

b)      Coerenza del regime fiscale

91.      I governi tedesco e italiano fanno altresì valere che la tassazione in uscita sarebbe giustificata dalla necessità di garantire la coerenza del regime fiscale nazionale.

92.      Secondo il parere del governo tedesco, esiste un nesso diretto tra il vantaggio secondo cui le riserve tacite non verrebbero tassate fino alla data di chiusura del bilancio annuale e lo svantaggio secondo cui esse sarebbero rivelate e tassate al momento dell’uscita. Si tratterebbe di due facce della stessa medaglia. Le norme olandesi presentano una logica simmetrica nel senso della sentenza Wannsee (55) in quanto l’imposta di liquidazione finale costituisce il complemento logico della deduzione fiscale precedentemente accordata delle plusvalenze latenti.

93.      Il governo italiano considera invece un nesso diretto tra l’imposta di liquidazione finale e le detrazioni fiscali che un’impresa avrebbe potuto effettuare fino al momento dell’uscita in particolare sotto forma di svalutazioni per i costi dell’acquisto dei beni patrimoniali. Con l’imposta di liquidazione finale verrebbero compensate solo le riduzioni di entrate fiscali che sarebbero precedentemente derivate allo Stato dai vantaggi fiscali così accordati. L’uscita rappresenterebbe l’ultimo momento possibile per operare questa compensazione.

94.      Secondo costante giurisprudenza, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la coerenza del regime fiscale nazionale come un motivo imperativo di interesse generale (56), ancorché essa lo abbia accolto, a quanto risulta, solo in due casi (57).

95.      Affinché un simile argomento di giustificazione possa essere accolto, la Corte esige un nesso diretto tra il vantaggio fiscale di cui trattasi e la compensazione di tale beneficio con un determinato prelievo fiscale, dovendosi determinare il carattere diretto del suddetto nesso alla luce della finalità della normativa in questione (58).

96.      Nella sentenza Wannsee (59) la Corte ha ammesso un nesso diretto, personale e oggettivo tra la possibilità dapprima accordata a un’impresa di portare in detrazione le perdite subite da una stabile organizzazione estera e la successiva reintegrazione di tali perdite, vale a dire quando la stabile organizzazione citata realizza di nuovo un profitto.

97.      Una coerenza in questo senso risulta alla base anche della norma fiscale olandese qui esaminata. Come si desume dal materiale legislativo riprodotto nella domanda pregiudiziale, il legislatore olandese intendeva tenere conto della prassi commerciale secondo cui, a fronte del fatto che si tratta di un’impresa avviata («going concern»), nel calcolo annuo degli utili si deve tenere conto anche dei relativi effetti sugli anni a venire. Determinati utili verrebbero pertanto riportati al futuro. Sul piano fiscale quest’operazione verrebbe accettata nell’attesa di poterli tassare in un momento successivo. Siffatte riserve tacite possono risultare sia da plusvalenze che non vengono inizialmente rivelate iscrivendo il bene patrimoniale nel bilancio fiscale al valore contabile, oppure perché sono state concesse deduzioni per ammortamenti che eccedono la perdita di valore effettiva del bene patrimoniale. In entrambi i casi sussiste un interesse giustificato dello Stato in questione a tassare le riserve tacite in un momento successivo.

98.      Diversamente dalla tassa in uscita francese di cui si è occupata la Corte nella causa de Lasteyrie du Saillant (60) e con riferimento alla quale essa ha respinto la giustificazione per ragioni di coerenza, l’imposta di liquidazione finale olandese persegue quindi l’obiettivo, generalmente nel caso in cui un’impresa soggetta a imposta trasferisca la propria sede all’estero, di garantire la tassazione delle plusvalenze intervenute nel periodo in cui detta impresa aveva sede nei Paesi Bassi.

99.      Qualora il trasferimento di sede rendesse impossibile per i Paesi Bassi l’imposizione fiscale sugli utili latenti intervenuti durante il periodo di residenza fiscale della National Grid Indus sul suo territorio, non sarebbe più garantita una tassazione coerente. Al riguardo gli obiettivi della coerenza impositiva e della ripartizione equilibrata del potere impositivo coincidono (61).

100. L’imposta di liquidazione finale non è pertanto idonea a salvaguardare la coerenza del diritto fiscale olandese. Per quanto attiene alla questione della necessità, vale quanto detto a proposito della ripartizione del potere impositivo.

c)      La prevenzione di elusioni fiscali

101. Diversi governi intervenuti nel procedimento hanno indicato la prevenzione di elusioni fiscali come ulteriore motivo imperativo di interesse generale che potrebbe giustificare la restrizione alla libertà di stabilimento, conseguente all’imposta di liquidazione finale olandese.

102. Tuttavia, la prevenzione di elusioni fiscali viene presa in considerazione come motivo di giustificazione a sé stante solo quando la misura restrittiva deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale (62).

103. Al proposito, va chiarito se il trasferimento di sede transfrontaliero di una persona giuridica non implichi di per sé un’evasione fiscale (63), benché esso sia motivato sotto il profilo fiscale. Il fatto che le imprese cerchino di trarre vantaggio dalle differenze tra i regimi tributari nazionali costituisce infatti una forma legittima di agire economico ed è inevitabile in un mercato interno in cui la tassazione delle imprese non è armonizzata (64). Conseguentemente, secondo costante giurisprudenza, la riduzione di entrate fiscali non costituisce un motivo imperativo di interesse generale (65). Analogamente alla costituzione di una sede secondaria in un altro Stato membro, anche il trasferimento della sede sociale non è in grado di per sé di motivare un’ipotesi generica di evasione fiscale.

104. Dalla decisione di rinvio non è dato comprendere se l’imposta di liquidazione finale olandese sia specificamente diretta a escludere costruzioni di puro artificio nel senso sopra descritto. Piuttosto tale imposta risulta essere applicata in ogni ipotesi di trasferimento di sede transfrontaliero. Con riferimento alla National Grid Indus il giudice remittente ha persino precisato esplicitamente che per il trasferimento di sede sussistevano validi motivi (66). Il governo olandese ha altresì chiarito nelle proprie osservazioni scritte che esso non si è fondato sulla prevenzione di elusioni fiscali per giustificare l’imposta di liquidazione finale.

105. Conseguentemente, la normativa in questione non può essere giustificata dall’obiettivo di prevenire l’elusione fiscale. A condizione che l’imposta di liquidazione finale sia diretta anche a prevenire l’elusione fiscale senza essere specificamente diretta a costruzioni di puro artificio, quest’aspetto viene preso in considerazione sufficientemente nell’ambito del motivo di giustificazione relativo alla ripartizione equilibrata del potere impositivo (67).

d)      Ulteriori motivi di giustificazione

106. Accanto agli elementi giustificativi già illustrati, i governi intervenuti nel procedimento hanno fatto valere ulteriori motivi, ovvero la prevenzione della doppia considerazione delle perdite, la vigilanza fiscale efficace e la riscossione fiscale efficace. Alla luce delle considerazioni che precedono relativamente alla salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo nonché della coerenza del regime fiscale nazionale si rende necessario un ulteriore esame di questi motivi giustificativi.

3.      Conclusione sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale

107. Propongo pertanto di risolvere la seconda e la terza questione pregiudiziale nel senso che un’imposta di liquidazione finale, come quella di cui è parola nella causa iniziale, sia giustificata dalla necessità di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri nonché dalla salvaguardia della coerenza del regime fiscale nazionale, nel caso in cui i beni patrimoniali dell’impresa emigrata, per la loro tipologia e/o portata, non possano essere ragionevolmente individuati fino al momento dell’effettivo realizzo delle plusvalenze latenti intervenute sul territorio nazionale. Se la loro individuazione è possibile in modo comparabilmente semplice, una riscossione dell’imposta di liquidazione finale prima del momento del realizzo delle perdite di valore latenti è sproporzionata. La questione se in siffatto caso si debba tenere conto delle perdite di valore successive può trovare risposta solo alla luce delle rispettive circostanze. Se il patrimonio aziendale si compone sostanzialmente di un credito in valuta estera e se gli utili sui cambi latenti intervenuti sul territorio nazionale non si configurano più nello Stato di destinazione, occorre sospendere il pagamento dell’imposta di liquidazione finale fino al momento in cui un’impresa rimasta sul territorio nazionale risulterebbe imponibile su detti utili, tenendo in considerazione le perdite valutarie fino a quel momento venute in essere.

V –    Conclusione

108. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sollevate dal Gerechtshof Amsterdam dichiarando quanto segue:

1)      Una società può invocare nei confronti dello Sato membro secondo il cui diritto è stata costituita la libertà di stabilimento garantita dall’art. 43 CE (attualmente art. 49 TFUE), quando tale Stato membro, in occasione del trasferimento della sua sede       amministrativa effettiva in un altro Stato membro, riscuote  un’imposta di liquidazione finale, nel senso che sulle plusvalenze, fino a quel momento venute in essere, ma non       ancora realizzate, degli elementi patrimoniali trasferiti va versata       un’imposta sulle società senza rinvio e senza la possibilità di prendere in considerazione perdite successive.

2)      Una siffatta imposta di liquidazione finale è giustificata dalla necessità di una ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri nonché dalla salvaguardia della coerenza del regime fiscale nazionale quando i beni patrimoniali dell’impresa migrante, per la loro tipologia e/o portata, non possono essere ragionevolmente individuati fino al momento dell’effettivo realizzo delle plusvalenze latenti venute in essere sul territorio nazionale. Se la loro individuazione è possibile in modo comparabilmente semplice, una riscossione dell’imposta di liquidazione finale prima del momento del realizzo delle plusvalenze latenti è sproporzionata. La questione se in siffatto caso si debba tenere conto delle perdite di valore successive può trovare risposta solo alla luce delle rispettive circostanze.

3)      Se il patrimonio aziendale si compone sostanzialmente di un credito in valuta estera e se gli utili sui cambi latenti intervenuti sul territorio nazionale non si configurano più nello Stato di destinazione, occorre dilazionare il pagamento dell’imposta di liquidazione finale fino al momento in cui un’impresa rimasta sul territorio nazionale risulterebbe imponibile su detti utili, tenendo in considerazione le perdite valutarie fino a quel momento venute in essere.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Già in data 19 dicembre 2006 la Commissione aveva indirizzato, tra gli altri, al Parlamento e al Consiglio una comunicazione relativa alla tassazione in uscita e alla necessità di coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri (COM[2006] 825 def.). Successivamente, il 2 dicembre 2008 il Consiglio ha adottato una risoluzione sul coordinamento in materia di tassazione in uscita (GU C 323, pag. 1). Attualmente, in materia di tassazione in uscita pendono quattro ricorsi per inadempimento promossi dalla Commissione dinanzi alla Corte, ovvero contro il Portogallo (causa C‑38/10), la Spagna (causa C‑64/11), la Danimarca (causa C-261/11) e i Paesi Bassi (causa C-301/11). La Commissione ha già intrapreso azioni concrete anche contro altri Stati membri, si vedano i comunicati stampa della Commissione IP/10/299 del 18 marzo 2010 e IP/11/78 del 27 gennaio 2011.


3 – Sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, Daily Mail e General Trust («Daily Mail»; Racc. pag. I-5483).


4 – Sentenza 16 dicembre 2008, causa C‑210/06, Cartesio (Racc. pag. I‑9641).


5 – Sentenza 11 marzo 2004, causa C‑9/02, de Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I‑2409).


6 – Sentenza 7 settembre 2006, causa C‑470/04, N (Racc. pag. I‑7409).


7 – Sottoscritto il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999.


8 – Tractatenblad 1980, 205.


9 – Tale circostanza viene confermata anche dalle osservazioni scritte del governo olandese e del governo del Regno Unito.


10 – In tal senso, v. sentenze de Lasteyrie du Saillant, cit. alla nota 5 (punto 42); 27 novembre 2008, causa C‑418/07, Papillon (Racc. pag. I‑8947, punto 16); 1° ottobre 2009, causa C‑247/08, Gaz de France – Berliner Investissement (Racc. pag. I‑9225, punto 55), nonché sentenza 21 gennaio 2010, causa C‑311/08, SGI ( Racc. pag. I-487, punto 39).


11 – Cit. alla nota 3.


12 – Cit. alla nota 4.


13 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punto 25 e punto 1 del dispositivo).


14 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punto 24, il corsivo è mio).


15 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punto 19).


16 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punti 20 e 23).


17 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punto 23).


18 – Sentenza Cartesio, cit. alla nota 4 (punti 109 e 123).


19 – La società Cartesio intendeva trasferire la propria sede «effettiva» (sentenza, punto 119), vale a dire la propria amministrazione centrale (sentenza, punti 101 e segg.; l’avvocato generale Poiares Maduro parla nelle sue conclusioni generali presentate il 22 maggio 2008, paragrafo 3, di «sede operativa»), dall’Ungheria in Italia. Tuttavia, la controversia traeva origine nel concreto dal fatto che la domanda di Cartesio volta a ottenere l’iscrizione della nuova sede nel registro delle imprese ungherese era stata respinta dal tribunale incaricato della tenuta del registro. Verteva quindi evidentemente sul trasferimento non solo della sede effettiva, ma anche di quella statutaria. Dalla sentenza non è dato desumere, tuttavia, se a questa circostanza sia stata riconosciuta importanza. La sentenza Daily Mail, invece, verteva unicamente, a quanto risulta, sul trasferimento della direzione aziendale senza riguardare eventuali modifiche della sede statutaria.


20 – Sentenza Cartesio, cit. alla nota 4 (punto 110).


21 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punti 4, 5 e 17).


22 – Relazione d’udienza per la sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3, pag. 5485.


23 – Sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (punto 7) e relazione d’udienza per questa sentenza, pagg. 5486 e seg.


24 – Conclusioni presentate il 7 giugno 1988 per la sentenza Daily Mail, cit. alla nota 3 (paragrafo 13).


25 – Sentenza 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros (Racc. pag. I‑1459, punti 17 e seg.).


26 – Sentenza 5 novembre 2002, causa C‑208/00, Überseering (Racc. pag. I‑9919, punti 52 e segg.).


27 – Sentenza 30 settembre 2003, causa C‑167/01, Inspire Art (Racc. pag. I‑10155, punti 95 e segg.).


28 – Ibid. (punti 111‑113).


29 – Cit. alla nota 5 (punti 45 e seg).


30 – Cit. alla nota 6.


31 – Sul concetto di restrizione nell’ambito del diritto tributario si veda Kokott/Ost, Europäische Grundfreiheiten und nationales Steuerrecht, EuZW 2011, pag. 496.


32 – V. sentenza 25 febbraio 2010, causa C‑337/08, X Holding (Racc. pag. I-01215, punti 18‑20); v. anche sentenza 15 maggio 2008, causa C‑414/06, Lidl Belgium (Racc. pag. I‑3601, punti 23‑26), dove tuttavia la questione della comparabilità non viene affrontata. Questo schema di analisi corrisponde a quello che di norma la Corte applica nell’ambito delle imposte dirette in caso di libera circolazione di capitali, v. anche sentenza 10 febbraio 2011, cause riunite C‑436/08 e C‑437/08, Haribo (Racc. pag. I‑305, punti 50, 52 e 58). Parallelismi si trovano anche nella giurisprudenza sulla libera circolazione dei servizi, v. sentenza 26 ottobre 2010, causa C‑97/09, Schmelz (Racc. pag. I‑10465, punto 49).


33 – V. in merito alla tassazione in uscita di persone fisiche sentenze de Lasteyrie du Saillant, cit. alla nota 5 (punto 46), e N (cit. alla nota 6, punti 34 e segg.).


34 – Sentenze 27 novembre 2008, Papillon, cit. alla nota 10 (punto 27), e X Holding, cit. alla nota 32 (punto 22).


35 – Sentenze N, cit. alla nota 6 (punto 40); 23 ottobre 2008, causa C‑157/07, Krankenheim Ruhesitz am Wannsee-Seniorenheimstatt («Wannsee», Racc. pag. I‑8061, punto 40), e X Holding, cit. alla nota 32 (punti 25 e seg.).


36 – Sentenze 13 dicembre 2005, causa C‑446/03, Marks & Spencer (Racc. pag. I‑10837, punto 45); 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA (Racc. pag. I‑6373, punto 51); Lidl Belgium, cit. alla nota 32 (punto 42); 17 settembre 2009, causa C‑182/08, Glaxo Wellcome (Racc. pag. I‑8591, punti 82 e 88); X Holding, cit. alla nota 32 (punti 25‑33), e sentenza Haribo, cit. alla nota 32 (punto 121).


37 – Sentenza Oy AA, cit. alla nota 36 (punto 52); v. anche sentenze 12 dicembre 2006, causa C‑374/04, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (Racc. pag. I‑11673, punto 52), e 3 giugno 2010, causa C‑487/08, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-4843, punto 38). 


38 – Sentenze N, cit. alla nota 6 (punto 45); 23 febbraio 2006, causa C‑513/03, van Hilten-van der Heijden (Racc. pag. I‑1957, punto 48), e Lidl Belgium, cit. alla nota 32 (punto 22).


39 – V., in proposito, le mie conclusioni presentate il 30 marzo 2006 per la sentenza pronunciata nella causa N, cit. alla nota 6 (paragrafi 92 e segg.).


40 – V. art. 7, n. 21, del modello di convenzione OCSE 2008 e art. 13, n. 10, del modello di convenzione OCSE 2010.


41 – Direttiva del Consiglio 19 ottobre 2009, 2009/133/CE, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, alle scissioni parziali, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi e al trasferimento della sede sociale di una SE o di una SCE tra Stati membri (GU L 310, pag. 34).


42 – Sentenza N, cit. alla nota 6 (punti 41‑47).


43 – V. sentenza N, cit. alla nota 6 (punti 49 e seg.).


44 – V. sentenza N, cit. alla nota 6 (punti 49 e seg.).


45 – Cit. alla nota 2.


46 – Direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e indirette (GU L 336, pag. 15) come modificata dalla direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CEE (GU L 76, pag. 1). L 76, pag. 1).


47 – Direttiva del Consiglio 15 marzo 1976, 76/308/CEE, sull’assistenza reciproca in materia di ricupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure (GU L 73, pag. 18) come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 giugno 2001, 2001/44/CE (GU L 175, pag. 17). La direttiva 76/308 è stata codificata e sostituita dalla direttiva del Consiglio 26 maggio 2008, 2008/55/CE sull’assistenza reciproca in materia di recupero crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure (GU L 150, pag. 28), la quale a sua volta è stata sostituita dalla direttiva del Consiglio 16 marzo 2010, 2010/24/UE sull’assistenza reciproca in materia di recupero crediti risultanti da dazi, imposte ed altre misure (GU L 84, pag. 1).


48 – V., per esempio, la quarta direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, basata sull’art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (GU L 222, pag. 11) e la settima direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, basata sull’art. 54, n. 3, lett. g) del Trattato e relativa ai conti consolidati (GU L 193, pag. 1), alle quali la Corte ha rinviato nella sentenza 18 dicembre 2007, causa C‑101/05, A (Racc. pag. I‑11531, punto 62).


49 – Cit. alla nota 46.


50 – Cit. alla nota 47.


51 – Sentenza 22 dicembre 2008, causa C‑282/07, Truck Center (Racc. pag. I‑10767, punti 47 e seg.).


52 – Cit. alla nota 47.


53 – Cit. alla nota 6 (punto 54).


54 – Sentenza 28 febbraio 2008, causa C‑293/06, Deutsche Shell (Racc. pag. I‑1129, punto 44).


55 – Cit. alla nota 35 (punto 42).


56 – Sentenze 7 settembre 2004, causa C-319/02, Manninen (Racc. pag. I‑7477, punto 42); Papillon, cit. alla nota 10 (punto 43), e 22 dicembre 2010, causa C‑287/10, Tankreederei I (Racc. pag. I‑14233, punto 23).


57 – V. da un lato sentenze 28 gennaio 1992, causa C‑204/90, Bachmann (Racc. pag. I‑249, punto 35), e causa C‑300/90, Commissione/Belgio (Racc. pag. I‑305, punto 21), che riguardano la stessa norma belga relativa alla possibilità di dedurre i contributi di assicurazione e, dall’altro, sentenza Wannsee, cit. alla nota 35 (punto 43).


58 – V. la giurisprudenza menzionata nelle due note precedenti.


59 – Cit. alla nota 35 (punto 55).


60 – Sentenza de Lasteyrie du Saillant, cit. alla nota 5 (punto 65).


61 – V., in proposito, le mie conclusioni presentate il 30 marzo 2006 per la sentenza pronunciata nella causa N, cit. alla nota 6 (paragrafo 106).


62 – In questo senso, sentenze 13 marzo 2002, causa C‑524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (Racc. pag. I‑2107, punti 72 e segg.); 18 giugno 2009, causa C‑303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha (Racc. pag. I‑5145, punti 63 e seg.), e SGI, cit. alla nota 10 (punti 65 e seg.).


63 – V. in merito al trasferimento transfrontaliero della residenza di una persona fisica sentenza de Lasteyrie du Saillant, cit. alla nota 5 (punto 51); v, in questo contesto anche sentenza 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (Racc. pag. I‑7995, punti 36 e segg.).


64 – V., in proposito, le mie conclusioni presentate il 12 settembre 2006 per la sentenza Oy AA, cit. alla nota 36 (paragrafo 62), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed presentate il 29 giugno 2006 per la sentenza Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, cit. alla nota 62 (punto 63); v. anche sentenze de Lasteyrie du Saillant, cit. alla nota 5 (punto 60), e Deutsche Shell, cit. alla nota 54 (punto 43).


65 – Sentenze 12 dicembre 2002, causa C‑324/00, Lankhorst-Hohorst (Racc. pag. I‑11779, punto 36); de Lasteyrie du Saillant, cit. alla nota 5 (punto 51), e Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, cit. alla nota 63 (punto 49).


66 –      V., in proposito, il paragrafo 12 supra.


67 – V., al proposito, sentenza SGI, cit. alla nota 10 (punto 66), in cui i due motivi di giustificazione vengono ancora valutati assieme.