Language of document : ECLI:EU:T:2018:448

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

12 luglio 2018 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato europeo dei cavi elettrici – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 101 TFUE – Infrazione unica e continuata – Illegittimità della decisione di ispezione – Termine ragionevole – Principio di buona amministrazione – Principio della responsabilità personale – Responsabilità solidale per il pagamento dell’ammenda – Prova sufficiente dell’infrazione – Durata dell’infrazione – Ammende – Proporzionalità – Parità di trattamento – Competenza estesa al merito»

Nella causa T‑475/14,

Prysmian SpA, con sede in Milano (Italia),

Prysmian Cavi e Sistemi Srl, con sede in Milano,

rappresentate da C. Tesauro, F. Russo, L. Armati e C. Toniolo, avvocati,

ricorrenti,

sostenute da

The Goldman Sachs Group, Inc., con sede in New York, New York (Stati Uniti), rappresentata da W. Deselaers, J. Koponen e A. Mangiaracina, avvocati,

interveniente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da C. Giolito, L. Malferrari, P. Rossi e H. van Vliet, successivamente da C. Giolito, P. Rossi e H. van Vliet, in qualità di agenti, assistiti da S. Kingston, barrister,

convenuta,

sostenuta da:

Pirelli & C. SpA, con sede in Milano, rappresentata da M. Siragusa, G. Rizza, P. Ferrari, F. Moretti e A. Fava, avvocati,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda ai sensi dell’articolo 263 TFUE intesa ad ottenere, da un lato, l’annullamento della decisione C(2014) 2139 final della Commissione, del 2 aprile 2014, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE (caso AT.39610 – Cavi elettrici), nella parte riguardante le ricorrenti, nonché, dall’altro, la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta a queste ultime,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da A.M. Collins, presidente, M. Kancheva (relatore) e R. Barents, giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 marzo 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

 Ricorrenti e settore interessato

1        Le ricorrenti, Prysmian SpA e Prysmian Cavi e Sistemi Srl (in prosieguo: «PrysmianCS»), sono due società italiane che, insieme, costituiscono il gruppo Prysmian. La seconda di esse, detenuta al 100% dalla prima, è un leader a livello mondiale nel settore dei cavi elettrici sottomarini e sotterranei. Tra il 18 febbraio 1999 e il 28 luglio 2005, PrysmianCS era detenuta da Pirelli & C. SpA (in prosieguo: «Pirelli»), già Pirelli SpA, inizialmente con altre attività all’interno di Pirelli Cavi e Sistemi SpA (in prosieguo: «PirelliCS»), poi, dopo la scissione di quest’ultima, sotto la forma autonoma di Pirelli Cavi e Sistemi Energia SpA (in prosieguo: «PirelliCSE»). Nel luglio 2005, quest’ultima società è stata ceduta a una controllata di The Goldman Sachs Group, Inc. (in prosieguo: «Goldman Sachs»), divenendo, inizialmente, Prysmian Cavi e Sistemi Energia Srl (in prosieguo: «Prysmian CSE») e, infine, PrysmianCS.

2        I cavi elettrici sottomarini e sotterranei sono utilizzati, rispettivamente sott’acqua e sotto terra, per la trasmissione e la distribuzione di elettricità. Essi sono classificati in tre categorie: bassa tensione, media tensione, nonché alta e altissima tensione. I cavi elettrici ad alta e altissima tensione sono, nella maggioranza dei casi, venduti nell’ambito di progetti. Tali progetti consistono in una combinazione formata dal cavo elettrico e dalle attrezzature, dagli impianti e dai servizi supplementari necessari. I cavi elettrici ad alta ed altissima tensione vengono venduti nel mondo intero a grandi gestori di reti nazionali e ad altre imprese del settore dell’elettricità, principalmente nell’ambito di appalti pubblici.

 Procedimento amministrativo

3        Con lettera del 17 ottobre 2008, la società svedese ABB AB ha fornito alla Commissione delle Comunità europee una serie di dichiarazioni e di documenti relativi a pratiche commerciali restrittive nel settore della produzione e della fornitura di cavi elettrici sotterranei e sottomarini. Tali dichiarazioni e tali documenti sono stati presentati nell’ambito di una domanda di immunità ai sensi della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17; in prosieguo: la «comunicazione sul trattamento favorevole»).

4        Dal 28 gennaio al 3 febbraio 2009, a seguito delle dichiarazioni della ABB, la Commissione ha effettuato delle ispezioni nei locali di Prysmian e di PrysmianCSE, nonché di altre società europee interessate, vale a dire Nexans SA e Nexans France SAS.

5        Il 2 febbraio 2009, le società giapponesi Sumitomo Electric Industries Ltd, Hitachi Cable Ltd e J‑Power Systems Corp. hanno presentato una domanda congiunta di immunità dall’ammenda a norma del paragrafo 14 della comunicazione sul trattamento favorevole o, in subordine, di riduzione del suo importo, a norma del paragrafo 27 della medesima comunicazione. Dette società hanno poi fornito alla Commissione ulteriori dichiarazioni orali e altri documenti.

6        Nel corso dell’indagine, la Commissione ha inviato varie richieste di informazioni, a norma dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), nonché ai sensi del paragrafo 12 della comunicazione sul trattamento favorevole, ad imprese operanti nel settore della produzione e della fornitura di cavi elettrici sotterranei e sottomarini.

7        Il 30 giugno 2011, la Commissione ha aperto un procedimento e ha adottato una comunicazione degli addebiti nei confronti delle seguenti entità giuridiche: Nexans France, Nexans, Pirelli, Goldman Sachs, Sumitomo Electric Industries, Hitachi Cable, J‑Power Systems, Furukawa Electric Co. Ltd, Fujikura Ltd, Viscas Corp., SWCC Showa Holdings Co. Ltd, Mitsubishi Cable Industries Ltd, Exsym Corp., ABB, ABB Ltd, Brugg Kabel AG, Kabelwerke Brugg AG Holding, nkt cables GmbH, NKT Holding A/S, Silec Cable SAS, Grupo General Cable Sistemas, SA, Safran SA, General Cable Corp., LS Cable & System Ltd, Taihan Electric Wire Co. Ltd e le ricorrenti.

8        Dall’11 al 18 giugno 2012, tutti i destinatari della comunicazione degli addebiti, ad eccezione di Furukawa Electric, hanno partecipato ad un’audizione amministrativa dinanzi alla Commissione.

9        Con sentenze del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione (T‑135/09, EU:T:2012:596), e del 14 novembre 2012, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi Energia/Commissione (T‑140/09, non pubblicata, EU:T:2012:597), il Tribunale ha parzialmente annullato le decisioni di ispezione rivolte, da un lato, nei confronti di Nexans e di Nexans France e, dall’altro, nei confronti di Prysmian e di PrysmianCSE, nella parte in cui esse riguardavano cavi elettrici diversi dai cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta tensione e il materiale connesso ai cavi diversi da questi ultimi, e ha respinto i ricorsi per il resto. Il 24 gennaio 2013 Nexans e Nexans France hanno proposto un’impugnazione contro la prima di queste sentenze. Con sentenza del 25 giugno 2014, Nexans e Nexans France/Commissione (C‑37/13 P, EU:C:2014:2030), la Corte ha respinto tale impugnazione.

10      Il 2 aprile 2014 la Commissione ha adottato la propria decisione C(2014) 2139 final, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’Accordo [SEE] (caso AT.39610 – Cavi elettrici) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Decisione impugnata

 Infrazione in esame

11      L’articolo 1 della decisione impugnata stabilisce che varie imprese hanno partecipato in diversi periodi ad un’infrazione unica e continuata dell’articolo 101 TFUE, «avente per oggetto i cavi elettrici ad alta (altissima) tensione sotterranei e/o sottomarini». In sostanza, la Commissione ha constatato che, a partire dal febbraio 1999 e fino alla fine del gennaio 2009, i principali produttori europei, giapponesi e sudcoreani di cavi elettrici sottomarini e sotterranei avevano partecipato a una rete di riunioni multilaterali e bilaterali e stabilito contatti intesi a restringere la concorrenza per progetti di cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta (altissima) tensione in territori specifici, ripartendosi i mercati e i clienti e falsando così il normale gioco della concorrenza (punti da 10 a 13 e 66 della suddetta decisione).

12      Nella decisione impugnata, la Commissione ha affermato che l’intesa rivestiva due configurazioni principali che costituivano un insieme articolato. Più precisamente, a suo avviso, l’intesa si componeva di due parti, vale a dire:

–        la «configurazione A/R di cartello», che raggruppava le imprese europee, generalmente denominate «membri R», le imprese giapponesi, designate come «membri A», e, infine, le imprese sudcoreane, designate come «membri K». Detta configurazione permetteva di realizzare l’obiettivo di assegnazione di territori e di clienti tra produttori europei, giapponesi e sudcoreani. Tale assegnazione veniva effettuata in base ad un accordo sul «territorio domestico», in virtù del quale i produttori giapponesi e sudcoreani si astenevano dall’entrare in concorrenza per progetti da realizzare nel «territorio domestico» dei produttori europei, mentre questi ultimi si impegnavano a restare al di fuori dei mercati del Giappone e della Corea del sud. A ciò si aggiungeva l’assegnazione di progetti nei «territori di esportazione», ossia il resto del mondo ad esclusione, in particolare, degli Stati Uniti, assegnazione che, per un certo periodo, ha rispettato una «quota del 60/40», la quale significava che il 60% dei progetti era riservato ai produttori europei ed il restante 40% ai produttori asiatici;

–        la «configurazione europea di cartello», che prevedeva l’assegnazione di territori e clienti da parte dei produttori europei per progetti da realizzare all’interno del «territorio domestico» europeo o attribuiti ai produttori europei (v. sezione 3.3 della decisione impugnata e, in particolare, punti 73 e 74 della medesima).

13      La Commissione ha constatato che i partecipanti all’intesa avevano istituito obblighi di comunicazione di dati, per consentire il controllo delle assegnazioni concordate (punti da 94 a 106 e da 111 a 115 della decisione impugnata).

14      Tenendo conto del ruolo ricoperto dai diversi partecipanti all’intesa nell’attuazione di quest’ultima, la Commissione li ha classificati in tre gruppi. Anzitutto, essa ha definito il nucleo centrale dell’intesa, del quale facevano parte, da un lato, le imprese europee Nexans France, le imprese partecipate da Pirelli che hanno successivamente partecipato all’intesa e Prysmian CSE e, dall’altro, le imprese giapponesi Furukawa Electric, Fujikura e la loro impresa comune Viscas nonché Sumitomo Electric Industries, Hitachi Cable e la loro impresa comune J‑Power Systems (punti da 545 a 561 della decisione impugnata). Poi, essa ha identificato un gruppo di imprese che non facevano parte del nucleo centrale, ma che non potevano per questo essere considerate come membri marginali dell’intesa, ed ha classificato in tale gruppo ABB, Exsym, Brugg Kabel e l’entità costituita da Sagem SA, Safran e Silec Cable (punti da 562 a 575 di detta decisione). Infine, la Commissione ha considerato che Mitsubishi Cable Industries, SWCC Showa Holdings, LS Cable & System, Taihan Electric Wire e nkt cables erano membri marginali dell’intesa (punti da 576 a 594 della citata decisione).

 Responsabilità delle ricorrenti

15      La responsabilità delle ricorrenti è stata ravvisata a causa della partecipazione diretta all’intesa da parte di PrysmianCS dal 18 febbraio 1999 al 28 gennaio 2009, nonché dell’esercizio di un’influenza determinante da parte di Prysmian sul comportamento di PrysmianCS dal 29 luglio 2005 al 28 gennaio 2009 (punti da 782 a 785 della decisione impugnata).

 Ammende inflitte

16      L’articolo 2, lettere f) e g), della decisione impugnata infligge, da una parte, un’ammenda di un importo di EUR 37 303 000 a PrysmianCS «in solido» con Prysmian e Goldman Sachs e, dall’altro, un’ammenda di un importo di EUR 67 310 000 a PrysmianCS «in solido» con Pirelli.

17      Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha applicato l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, e la metodologia illustrata negli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione [del citato articolo] (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende»).

18      In primo luogo, per quanto riguarda l’importo di base delle ammende, la Commissione, dopo aver stabilito il valore delle vendite appropriato, in conformità del paragrafo 18 degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende (punti da 963 a 994 della decisione impugnata), ha fissato la percentuale di tale valore delle vendite che rispecchiava la gravità dell’infrazione, in conformità dei paragrafi 22 e 23 dei medesimi orientamenti. A questo proposito, essa ha ritenuto che l’infrazione, per sua natura, costituisse una delle più gravi restrizioni della concorrenza, il che giustificava un coefficiente di gravità del 15%. Del pari, essa ha applicato una maggiorazione del 2% del coefficiente di gravità per l’insieme dei destinatari in ragione della quota di mercato aggregata nonché della portata geografica quasi mondiale dell’intesa, che copriva segnatamente l’intero territorio dello Spazio economico europeo (SEE). Inoltre, essa ha ritenuto, in particolare, che il comportamento delle imprese europee fosse più dannoso per la concorrenza di quello delle altre imprese, in quanto, oltre alla loro partecipazione alla «configurazione A/R di cartello», le imprese europee si erano spartite i progetti di cavi elettrici nell’ambito della «configurazione europea di cartello». Per tale ragione, la Commissione ha fissato la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione a titolo della gravità dell’infrazione nella misura del 19% per le imprese europee e del 17% per le altre imprese (punti da 997 a 1010 di detta decisione).

19      Per quanto riguarda il coefficiente moltiplicatore relativo alla durata dell’infrazione, la Commissione ha adottato, per quanto riguarda PrysmianCS, un coefficiente di 9,91 per il periodo compreso tra il 18 febbraio 1999 e il 28 gennaio 2009 e, per quanto riguarda Prysmian, un coefficiente di 3,5 per il periodo compreso tra il 29 luglio 2005 e il 28 gennaio 2009. Essa ha inoltre incluso per PrysmianCS, nell’importo di base dell’ammenda, un importo supplementare, ossia il diritto d’ingresso, corrispondente al 19% del valore delle vendite. Questo importo di base così determinato ammontava a EUR 104 613 000 (punti da 1011 a 1016 della decisione impugnata).

20      In secondo luogo, per quanto riguarda gli adattamenti dell’importo di base delle ammende, la Commissione non ha constatato l’esistenza di circostanze aggravanti che potessero influire sull’importo di base dell’ammenda stabilito nei confronti di ciascuno dei partecipanti all’intesa, fatta eccezione per ABB. Per quanto riguarda invece le circostanze attenuanti, essa ha deciso di far sì che l’importo delle ammende rispecchiasse il livello di partecipazione delle diverse imprese nell’attuazione dell’intesa. Pertanto, essa ha ridotto del 10% l’importo di base dell’ammenda da infliggere per i membri marginali dell’intesa, e del 5% l’importo di base delle ammende da infliggere per le imprese il cui livello di coinvolgimento nell’intesa era medio. Inoltre, essa ha riconosciuto a Mitsubishi Cable Industries e a SWCC Showa Holdings per il periodo precedente la creazione di Exsym nonché a LS Cable & System e a Taihan Electric Wire una riduzione supplementare dell’1% per non essere state a conoscenza di taluni aspetti dell’infrazione unica e continuata e per la loro mancanza di responsabilità in questi ultimi. Per contro, nessuna riduzione dell’importo di base dell’ammenda è stata riconosciuta alle imprese appartenenti al nucleo centrale dell’intesa, ivi comprese le ricorrenti (punti da 1017 a 1020 e 1033 della decisione impugnata). Peraltro, la Commissione ha concesso, in applicazione degli orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende, una riduzione supplementare del 3% dell’importo dell’ammenda inflitta a Mitsubishi Cable Industries a motivo della sua cooperazione effettiva fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole (punto 1041 di detta decisione).

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 17 giugno 2014, le ricorrenti hanno proposto il ricorso in esame.

22      Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale il 27 ottobre 2014 e il 4 novembre 2014, Pirelli e Goldman Sachs hanno rispettivamente chiesto di intervenire nella presente causa, la prima a sostegno delle conclusioni della Commissione e la seconda a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti.

23      Con due ordinanze del 25 giugno 2015, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale (vecchia formazione) ha autorizzato l’intervento di Pirelli e di Goldman Sachs nella presente causa.

24      Pirelli e Goldman Sachs hanno presentato ciascuna la propria memoria di intervento il 24 settembre 2015. La Commissione ha presentato osservazioni sulle memorie di intervento di Pirelli e di Goldman Sachs con memorie depositate nella cancelleria del Tribunale il 27 novembre 2015. Il 30 novembre 2015 le ricorrenti hanno a loro volta presentato osservazioni sulle memorie di intervento di Pirelli e di Goldman Sachs.

25      Con ordinanza del 14 settembre 2016, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha accolto la domanda di trattamento riservato presentata dalla Commissione il 10 e il 23 dicembre 2014 nei confronti delle intervenienti. Egli ha invece respinto le domande di trattamento riservato presentate dalle ricorrenti rispettivamente il 7 gennaio 2015 riguardo a Pirelli e l’8 dicembre 2015 riguardo a Goldman Sachs, per la parte in cui esse erano contestate da queste ultime società.

26      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del suo regolamento di procedura, il Tribunale (Ottava Sezione) ha posto alle parti quesiti a risposta scritta. Le parti hanno risposto a tali quesiti entro il termine impartito.

27      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato all’Ottava Sezione (nuova formazione), alla quale è stata dunque attribuita la presente causa.

28      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, il Tribunale (Ottava Sezione) ha invitato la Commissione a produrre documenti. La Commissione ha prodotto taluni dei documenti richiesti e chiesto l’adozione di una misura istruttoria al fine di produrre gli altri documenti la cui produzione era stata richiesta dal Tribunale, vale a dire trascrizioni delle dichiarazioni orali fornite da ABB nella sua domanda di immunità, nonché da J‑Power Systems nell’ambito della sua domanda congiunta di immunità con Sumitomo Electric Industries e Hitachi Cable. Con ordinanze del 9 febbraio e del 2 marzo 2017, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha adottato una misura istruttoria intesa ad ottenere dalla Commissione la produzione delle trascrizioni in questione. La Commissione ha ottemperato a tale misura istruttoria il 20 febbraio e il 9 marzo 2017.

29      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Ottava Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento. Le parti hanno esposto le loro difese orali e illustrato le loro risposte ai quesiti formulati dal Tribunale in occasione dell’udienza del 20 marzo 2017.

30      Le ricorrenti, sostenute da Goldman Sachs, chiedono che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare la decisione impugnata nella parte in cui le riguarda;

–        in subordine:

–        annullare l’articolo 1, paragrafo 5, della decisione impugnata, nella parte in cui la Commissione constata la partecipazione di PrysmianCS alla summenzionata infrazione nel periodo compreso tra il 18 febbraio 1999 e il 27 novembre 2001;

–        annullare l’articolo 2, lettere f) e g), della decisione impugnata, che fissa l’importo delle ammende inflitte «in solido», da un lato, alla Goldman Sachs e a loro medesime e, dall’altro, a PrysmianCS e a Pirelli;

–        ridurre l’importo delle ammende loro inflitte;

–        annullare gli allegati I e II nella parte in cui si riferiscono al sig. R.;

–        condannare la Commissione alle spese.

31      La Commissione, sostenuta da Pirelli, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

32      Nell’ambito del ricorso, le ricorrenti presentano sia conclusioni intese all’annullamento parziale della decisione impugnata, sia conclusioni intese alla riduzione dell’importo delle ammende che sono state loro inflitte.

 Sulle conclusioni di annullamento

33      A sostegno delle conclusioni di annullamento, le ricorrenti deducono nove motivi. Il primo motivo verte sull’illegittimità delle ispezioni della Commissione; il secondo sulla violazione del principio del termine ragionevole nei procedimenti in materia di concorrenza; il terzo sulla violazione del principio di buona amministrazione; il quarto sull’erronea imputazione di una responsabilità a carico di PrysmianCS per il periodo anteriore al 27 novembre 2001; il quinto sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione non ha stabilito le quote dei condebitori in solido nei loro rapporti interni; il sesto sull’insufficienza di prove dell’esistenza di una violazione dell’articolo 101 TFUE; il settimo sull’erronea determinazione della durata dell’infrazione; l’ottavo sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del medesimo regolamento, degli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 e dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità per quanto riguarda il calcolo delle ammende inflitte; e il nono su un errore di fatto per aver inserito il sig. R. nell’elenco delle persone pertinenti per la decisione impugnata.

 Sul primo motivo, vertente sull’illegittimità delle ispezioni della Commissione

34      Le ricorrenti fanno valere che le misure adottate dalla Commissione in occasione dell’ispezione senza preavviso cui hanno dovuto sottoporsi dal 28 al 30 gennaio 2009, conformemente alla decisione di quest’ultima del 9 gennaio 2009 (in prosieguo: la «decisione di ispezione»), sono illegittime, in particolare a causa delle copie‑immagine dei dischi rigidi di alcuni computer portatili di tre dipendenti. Esse ritengono, in sostanza, che le informazioni ricavate a partire da tali copie-immagine non avrebbero dovuto essere ammesse nel procedimento amministrativo né prese in considerazione nella decisione impugnata.

35      Da un lato, le ricorrenti sostengono che, estraendo copie di tutti i documenti che si trovavano sui computer di dipendenti di Prysmian, senza neppure conoscerne la natura o la rilevanza, la Commissione, da un lato, ha ecceduto i poteri di cui è investita ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e, dall’altro, ha violato i termini della decisione di ispezione, ampliandone la portata geografica e temporale. A loro avviso, detto regolamento prevede che ogni misura adottata dalla Commissione nel contesto dell’ispezione sia svolta in loco, nel luogo indicato in tale decisione, vale a dire, nel caso di specie, i locali delle ricorrenti a Milano (Italia), e non negli uffici della Commissione. Esse aggiungono che un simile comportamento della Commissione non poteva essere giustificato dalle disposizioni contenute nella nota esplicativa che esse hanno ricevuto riguardante le ispezioni effettuate ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, di detto regolamento.

36      Dall’altro lato, le ricorrenti sostengono che il fatto di aver prolungato di un mese l’ispezione ha pregiudicato la loro possibilità di procedere a una valutazione approfondita sulla presentazione di una domanda di immunità, dal momento che, nel corso di tale periodo, non era possibile valutare quale valore aggiunto significativo sarebbe stato possibile apportare elementi di prova già raccolti dalla Commissione.

37      La Commissione confuta gli argomenti delle ricorrenti.

38      Prima di rispondere agli argomenti delle parti, occorre soffermarsi brevemente sullo svolgimento dell’ispezione effettuata nei locali delle ricorrenti dagli agenti della Commissione.

–       Sullo svolgimento dell’ispezione

39      Come risulta dall’esposizione dei fatti contenuta nella sentenza del 14 novembre 2012, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi Energia/Commissione (T‑140/09, non pubblicata, EU:T:2012:597), non contestata dalle ricorrenti in udienza, il 28 gennaio 2009 gli ispettori della Commissione, accompagnati da un rappresentante dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Italia), si sono recati nei locali delle ricorrenti, a Milano, per procedere a un’ispezione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003. Essi hanno presentato all’impresa la decisione di ispezione riguardante «Prysmian (…), insieme alle sue controllate dirette e indirette tra cui [PrysmianCS]» e la nota esplicativa relativa alle ispezioni.

40      In presenza dei rappresentanti e degli avvocati delle ricorrenti, gli ispettori hanno poi effettuato controlli sui computer di cinque dipendenti. Il secondo giorno di accertamento, ossia il 29 gennaio 2009, essi hanno informato le ricorrenti che l’accertamento avrebbe richiesto tempi più lunghi dei tre giorni inizialmente previsti. Le ricorrenti hanno dichiarato la propria disponibilità a consentire l’accesso ai loro locali durante il fine settimana, oppure a che fossero apposti dei sigilli al fine di proseguire l’accertamento la settimana successiva. Tuttavia, il terzo giorno di accertamento, vale a dire il 30 gennaio 2009, gli ispettori hanno deciso di estrarre una copia‑immagine dei dischi rigidi dei computer di tre dei cinque dipendenti inizialmente oggetto di esame, al fine di esaminarne il contenuto presso gli uffici della Commissione a Bruxelles (Belgio).

41      Le ricorrenti hanno fatto osservare che il metodo di controllo proposto dagli ispettori era illegittimo. Da un lato, l’articolo 20 del regolamento n. 1/2003 prevedrebbe che l’ispezione possa effettuarsi «presso le imprese». Dall’altro, l’estrazione di una copia‑immagine dei dischi rigidi dei computer in questione sarebbe in contrasto con il «principio di pertinenza» che deve caratterizzare le attività di indagine della Commissione, in forza del quale il materiale prelevato nel corso di un’ispezione deve risultare pertinente all’oggetto dell’indagine.

42      Gli ispettori hanno informato le ricorrenti che qualsiasi opposizione alla procedura di controllo proposta sarebbe stata considerata un atteggiamento «non collaborativo». Le ricorrenti si sono quindi conformate a tale procedura, ma hanno redatto una dichiarazione, firmata dagli ispettori, con cui si riservavano il diritto di contestarne la legittimità in sede giudiziale.

43      Gli ispettori hanno estratto tre copie‑immagine dei dischi rigidi dei computer in questione. Le copie‑immagine dei dischi rigidi di due computer sono state salvate su un supporto informatico per la registrazione di dati. La copia-immagine del disco rigido del terzo computer è stata salvata sul disco rigido di un computer della Commissione. Il predetto supporto informatico per la registrazione di dati e quest’ultimo disco rigido sono stati inseriti in buste sigillate che gli ispettori hanno portato a Bruxelles. Gli ispettori hanno invitato i rappresentanti delle ricorrenti a recarsi, entro due mesi, presso gli uffici della Commissione affinché le informazioni copiate potessero essere esaminate in loro presenza.

44      Il 26 febbraio 2009 le buste sigillate menzionate al precedente punto 43 sono state aperte in presenza degli avvocati delle ricorrenti negli uffici della Commissione. Gli ispettori hanno esaminato le copie‑immagine dei dischi rigidi dei computer di cui trattasi contenute in tali buste e hanno stampato su carta i documenti che hanno ritenuto rilevanti per l’indagine. Agli avvocati delle ricorrenti sono stati consegnati una seconda copia cartacea e un elenco di detti documenti. Tali operazioni sono proseguite il 27 febbraio 2009 e si sono concluse il 2 marzo 2009. L’ufficio nel quale esse si sono svolte è stato posto sotto sigilli alla fine di ogni giornata di lavoro, alla presenza degli avvocati delle ricorrenti, per essere riaperto il giorno dopo, sempre alla loro presenza. Al termine di tali operazioni, la Commissione, alla presenza dei rappresentanti delle ricorrenti, ha cancellato le copie‑immagine dei dischi rigidi dei computer di cui trattasi che essa aveva realizzato.

–       Sull’asserita mancanza di base giuridica

45      Le ricorrenti addebitano alla Commissione, in sostanza, di aver effettuato una copia‑immagine dei dischi rigidi dei computer di alcuni dipendenti di Prysmian per il loro successivo utilizzo ai fini dell’indagine presso gli uffici della Commissione a Bruxelles, senza aver previamente verificato la pertinenza, per l’oggetto dell’indagine, dei documenti contenuti. A loro avviso, tale prassi eccederebbe i poteri conferiti alla Commissione dall’articolo 20, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1/2003.

46      In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 1/2003, «[a]i fini dell’applicazione degli articoli [101] e [102] del trattato, alla Commissione sono attribuite le competenze previste [da tale] regolamento».

47      L’articolo 20, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 prevede che, per l’assolvimento dei compiti affidatile da detto regolamento, la Commissione può procedere a tutte le ispezioni necessarie presso le imprese e associazioni di imprese.

48      Per quanto riguarda i poteri di cui dispone la Commissione, l’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 dispone, in particolare, quanto segue:

«Gli agenti e le altre persone che li accompagnano autorizzati dalla Commissione a procedere [a un’ispezione] dispongono dei seguenti poteri:

(…)

b)      controllare i libri e qualsiasi altro documento connesso all’azienda, su qualsiasi forma di supporto;

c)      fare o ottenere sotto qualsiasi forma copie o estratti dei suddetti libri o documenti;

d)      apporre sigilli a tutti i locali e libri o documenti aziendali per la durata [dell’ispezione] e nella misura necessaria al loro espletamento;

(…)».

49      Nel caso di specie, occorre precisare che la prassi consistente nel realizzare una copia-immagine di un disco rigido di un computer o una copia dei dati salvati su un supporto di dati digitali è utilizzata nell’ambito dell’attuazione della tecnologia investigativa dell’informatica forense (in prosieguo: la «FIT»), utilizzata dagli agenti della Commissione nel corso delle ispezioni. Infatti, come indicato dalla Commissione nelle sue memorie, senza che ciò sia contestato dalle ricorrenti, l’uso di tale tecnologia consiste nel ricercare sul disco rigido di un computer o su qualsiasi altro supporto di dati digitali, attraverso un software specifico, le informazioni rilevanti per l’oggetto dell’ispezione mediante l’utilizzo di parole‑chiave. Tale ricerca richiede una fase preliminare chiamata «indicizzazione», durante la quale il software inserisce in un catalogo tutte le lettere e le parole contenute nel disco rigido di un computer o in qualsiasi altro supporto di dati digitali sottoposto a ispezione. La durata di tale indicizzazione dipende dalle dimensioni del supporto digitale in questione, ma richiede in genere un tempo considerevole. In tale contesto, gli agenti della Commissione realizzano di norma una copia dei dati contenuti nel supporto di dati digitali dell’impresa sottoposta a ispezione per procedere all’indicizzazione dei dati ivi memorizzati. Nel caso di un disco rigido di un computer, tale copia può assumere la forma di una copia‑immagine. Tale copia‑immagine permette di ottenere una copia esatta del disco rigido oggetto dell’ispezione, copia contenente tutti i dati presenti nel disco rigido al momento preciso in cui la copia è realizzata, compresi i file in apparenza cancellati.

50      A tal riguardo, in primo luogo, si deve constatare che poiché, da un lato, come spiegato al precedente punto 49, la copia dei dati conservati su un supporto di dati digitali dell’impresa oggetto dell’ispezione è realizzata al fine di procedere all’indicizzazione e, dall’altro, tale indicizzazione mira a consentire di ricercare, successivamente, documenti rilevanti per l’indagine, la realizzazione di una simile copia rientra tra i poteri conferiti alla Commissione dall’articolo 20, paragrafo 2, lettere b) e c), del regolamento n. 1/2003.

51      Infatti, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, dall’articolo 20, paragrafo 2, lettere b) e c), del regolamento n. 1/2003 non risulta che il potere della Commissione di fare o ottenere copie o estratti dei libri e degli altri documenti aziendali di un’impresa sottoposta a ispezione si limiti ai libri e ai documenti aziendali che essa ha già controllato.

52      Inoltre, occorre rilevare che una siffatta interpretazione potrebbe compromettere l’effetto utile dell’articolo 20, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1/2003, in quanto, in determinate circostanze, il controllo dei libri e documenti aziendali dell’impresa sottoposta a ispezione può richiedere la previa realizzazione di copie di detti libri o documenti aziendali o essere semplificato dalla medesima, come nel caso di specie.

53      Di conseguenza, dato che la realizzazione della copia-immagine del disco rigido dei computer in questione si inseriva nel contesto dell’attuazione, da parte della Commissione, della FIT, il cui scopo era di ricercare informazioni rilevanti per l’indagine, la realizzazione di tali copie rientrava tra i poteri previsti all’articolo 20, paragrafo 2, lettere b) e c), del regolamento n. 1/2003.

54      In secondo luogo, laddove l’argomentazione delle ricorrenti debba essere intesa nel senso che queste ultime censurano la Commissione per aver inserito nel fascicolo istruttorio i contenuti delle copie-immagine dei dischi rigidi dei computer di cui trattasi senza aver previamente verificato che tutti i documenti contenuti in tali copie-immagine fossero rilevanti alla luce dell’oggetto dell’ispezione, tale argomento non può essere accolto.

55      Infatti, come risulta dal precedente punto 44, è soltanto dopo aver constatato, in occasione del controllo dei documenti contenuti nelle copie-immagine dei dischi rigidi dei computer di cui trattasi, negli uffici della Commissione a Bruxelles e in presenza dei rappresentanti delle ricorrenti, che taluni di questi documenti erano prima facie rilevanti alla luce dell’oggetto dell’ispezione, che la Commissione ha infine inserito nel fascicolo istruttorio una versione cartacea dei documenti in questione.

56      Pertanto, è necessario rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, gli agenti della Commissione non hanno inseririto direttamente nel fascicolo istruttorio i documenti contenuti nelle copie-immagine dei dischi rigidi dei computer di cui trattasi senza aver prima verificato la loro rilevanza alla luce dell’oggetto dell’ispezione.

57      In terzo luogo, in udienza, le ricorrenti hanno precisato, rispondendo a un quesito posto al riguardo dal Tribunale, che esse non contestavano il fatto in sé di realizzare, durante le ispezioni, copie-immagine dei dischi rigidi dei computer di cui trattasi nell’ambito dell’attuazione della FIT, ma il fatto di avere portato le copie‑immagine negli uffici della Commissione a Bruxelles per ricercarvi ulteriormente elementi rilevanti per l’indagine.

58      A tale riguardo, occorre rilevare che l’articolo 20, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 1/2003 non stabilisce, come sostengono le ricorrenti, che il controllo dei libri o documenti aziendali delle imprese sottoposte a ispezione si effettua esclusivamente nei loro locali se, come nel caso di specie, tale ispezione non ha potuto essere conclusa nel tempo inizialmente previsto. Esso obbliga solamente la Commissione a rispettare, all’atto del controllo dei documenti nei propri uffici, le stesse garanzie nei confronti delle imprese sottoposte a ispezione che essa deve osservare in occasione di un controllo in loco.

59      Nel caso di specie, occorre rilevare che, nelle loro memorie, le ricorrenti non censurano la Commissione per avere agito, in occasione del controllo delle copie-immagine dei dischi rigidi dei computer in questione, in maniera diversa da come essa avrebbe agito se il controllo fosse avvenuto nei loro locali. In ogni caso, occorre ricordare, come emerge dall’esposizione dei fatti risultante dai punti 43 e 44 supra, che tali copie-immagine sono state trasportate a Bruxelles in buste sigillate, che la Commissione ha consegnato alle ricorrenti una copia di tali dati, che l’apertura delle buste contenenti tali copie-immagine e il loro esame sono stati effettuati alla data concordata con le ricorrenti e in presenza dei loro rappresentanti, che gli uffici della Commissione in cui è stato effettuato tale esame sono stati debitamente protetti mediante apposizione dei sigilli, che i documenti estratti da tali dati, che la Commissione ha deciso di allegare al fascicolo dell’indagine, sono stati stampati e elencati, che la loro copia è stata fornita alle ricorrenti e che, al termine dell’esame, le copie-immagine in questione sono state definitivamente cancellate.

60      Alla luce di tali considerazioni, si deve concludere che, nel corso dell’ispezione, la Commissione non ha ecceduto i poteri ad essa conferiti in virtù dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. La censura delle ricorrenti a tale proposito deve quindi essere respinta.

–       Sull’asserita violazione della decisione di ispezione

61      Per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo il quale, procedendo alla ricerca di informazioni rilevanti per l’indagine tra le copie-immagine degli hard disk dei computer di cui trattasi negli della Commissione a Bruxelles, quest’ultima ha violato la portata geografica e temporale della decisione di ispezione, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la motivazione di detta decisione delimita l’ambito dei poteri conferiti agli agenti della Commissione dall’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 (sentenza del 18 giugno 2015, Deutsche Bahn e a./Commissione, C‑583/13 P, EU:C:2015:404, punto 60).

62      Nel caso di specie, per quanto riguarda, da un lato, la portata geografica della decisione di ispezione, si deve rilevare che all’articolo 1, secondo comma, della citata decisione era indicato quanto segue:

«L’[ispezione] può essere svolt[a] in qualsiasi locale dell’impresa o delle sue controllate, in particolare nei locali situati in Viale Sarca 222, 20126 Milano».

63      Risulta quindi dalla decisione di ispezione che, se l’ispezione «p[oteva]» ben svolgersi in «qualsiasi locale» del gruppo Prysmian, e in particolare nei loro locali situati a Milano, essa non doveva, come sostengono le ricorrenti, svolgersi esclusivamente nei loro locali. Pertanto, la decisione di ispezione non ha escluso la possibilità per la Commissione di perseguire l’accertamento a Bruxelles.

64      Per quanto riguarda, d’altro lato, la portata temporale della decisione di ispezione, si deve rilevare che l’articolo 2 di tale decisione stabiliva la data a partire dalla quale l’ispezione poteva aver luogo, ma non precisava la data in cui doveva concludersi.

65      È pur vero che l’assenza di una data di conclusione dell’accertamento non significa che quest’ultima poteva estendersi illimitatamente nel tempo, dato che la Commissione era, al riguardo, tenuta a rispettare un termine ragionevole, a norma dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

66      Tuttavia, nella fattispecie, si deve inevitabilmente constatare che, nell’ambito del presente motivo, le ricorrenti non fanno valere che il periodo di un mese trascorso tra l’ispezione effettuata nei locali delle ricorrenti, da una parte, e la prosecuzione di tale ispezione a Bruxelles, dall’altra, fosse irragionevole.

67      Ne consegue che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la decisione di ispezione non ostava a che gli agenti della Commissione proseguissero, negli uffici di quest’ultima a Bruxelles, la ricerca di elementi rilevanti per l’indagine nelle copie-immagine dei dischi dei computer di alcuni dipendenti di Prysmian.

68      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve concludere che la Commissione non ha neppure violato la portata della decisione di ispezione adottando le misure controverse durante lo svolgimento dell’ispezione. Pertanto, occorre respingere le censure delle ricorrenti al riguardo.

–       Sull’impossibilità di presentare una domanda di immunità

69      Le ricorrenti fanno valere che la proroga dell’ispezione tra il 28 gennaio 2009 e il 26 febbraio 2009, data in cui sono state aperte le buste sigillate contenenti le copie-immagine degli hard disk dei computer di alcuni dipendenti di Prysmian, le ha private della possibilità di procedere a una valutazione dei rischi sull’opportunità di presentare una domanda di immunità. In particolare, esse sostengono che, poiché non disponevano più delle informazioni che presentavano un valore aggiunto rispetto agli elementi di prova già raccolti dalla Commissione, sono state messe in una posizione svantaggiosa rispetto ad altre imprese nell’applicazione del programma di trattamento favorevole.

70      A tale riguardo, occorre ricordare che, ai sensi del punto 10 della comunicazione sul trattamento favorevole, l’immunità dalle ammende non può essere concessa «se, al momento della domanda, la Commissione è già in possesso di elementi probatori sufficienti per decidere di effettuare un’ispezione riguardo al presunto cartello o se essa ha già effettuato tale ispezione».

71      Orbene, nel caso di specie, come risulta dall’esposizione dei fatti contenuta nei punti da 1 a 11 della sentenza del 14 novembre 2012, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi Energia/Commissione (T‑140/09, non pubblicata, EU:T:2012:597), non contestata dalle ricorrenti, la Commissione aveva prove sufficienti, per quanto riguarda i cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta tensione, per disporre l’ispezione che è stata condotta nei locali di Prysmian. Ne consegue che le ricorrenti non avrebbero potuto beneficiare di un’immunità dalle ammende, ai sensi della comunicazione sul trattamento favorevole.

72      È vero che, conformemente al punto 23 della comunicazione sul trattamento favorevole, le imprese che rivelano la loro partecipazione a un presunto cartello avente ripercussioni negative sull’Unione europea, ma che non soddisfano i requisiti previsti per beneficiare di un’immunità dalle ammende, possono tuttavia beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda rispetto a quello che altrimenti sarebbe loro inflitto. Ai sensi del punto 24 di tale comunicazione, per poter beneficiare di tale riduzione, un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova della presunta infrazione che costituiscano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione.

73      Tuttavia, occorre rilevare che la realizzazione delle copie‑immagine dei dischi rigidi dei computer di alcuni dipendenti di Prysmian non ha privato le ricorrenti delle informazioni contenute in tali dischi rigidi, i quali sono rimasti nello stesso stato originale in loro possesso. Esse erano quindi perfettamente in grado di individuare le informazioni che non erano incluse in tali copie digitali e che, rispetto all’oggetto dell’ispezione, potevano apportare un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione.

74      Inoltre, anche se, come sostengono, in sostanza, le ricorrenti, la Commissione disponeva già di dischi rigidi di computer contenenti le informazioni che avrebbero potuto essere presentate nella loro domanda di immunità parziale, si deve ribadire che il fatto che la Commissione abbia realizzato copie-immagine dei dischi rigidi di alcuni dipendenti di Prysmian non significa che li abbia ispezionati e che avesse già avuto accesso alle informazioni ivi contenute. Infatti, una simile ispezione è proseguito solo dopo che tali copie-immagine sono state estratte dalle buste sigillate a Bruxelles. In tale contesto, le ricorrenti disponevano ancora della possibilità di esaminare il contenuto di detti dischi rigidi e di informare la Commissione sui documenti o sugli elementi di prova in essi contenuti che avrebbero potuto presentare un valore aggiunto rispetto agli altri elementi già raccolti dalla Commissione nell’ambito dell’indagine.

75      Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Commissione non ha ostacolato la possibilità per le medesime di procedere a una valutazione sull’opportunità di presentare una domanda di immunità parziale.

76      Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che le copie dei dati elettronici in questione non sono state ottenute illegittimamente e che, pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Commissione ha potuto lecitamente utilizzare tali dati per suffragare le proprie conclusioni relative all’esistenza dell’infrazione accertata nella decisione impugnata.

77      Il primo motivo dev’essere quindi respinto.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione del principio del termine ragionevole

78      Le ricorrenti sostengono che la decisione impugnata dev’essere annullata dal momento che la durata complessiva del procedimento, ovvero 62 mesi, nonché quella delle singole fasi che lo compongono, ha superato ampiamente quanto può essere considerato ragionevole. In particolare, esse fanno valere che non sono state in grado di preparare la propria difesa, poiché, durante il periodo precedente alla ricezione della comunicazione degli addebiti, l’oggetto dell’indagine non era chiaro. Esse sottolineano altresì che il decorso degli anni ha attenuato i ricordi relativi ai fatti addebitati dalla Commissione. Infine, esse ritengono che la Commissione avrebbe dovuto, conformemente alla giurisprudenza, applicare una riduzione dell’importo dell’ammenda, in via equitativa, al fine di compensare la durata eccessiva del procedimento amministrativo.

79      La Commissione confuta gli argomenti delle ricorrenti.

80      Secondo costante giurisprudenza, l’osservanza di un termine ragionevole nella conduzione dei procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza costituisce un principio generale di diritto dell’Unione di cui gli organi giurisdizionali dell’Unione garantiscono il rispetto (v. sentenza del 19 dicembre 2012, Heineken Nederland e Heineken/Commissione, C‑452/11 P, non pubblicata, EU:C:2012:829, punto 97 e giurisprudenza ivi citata).

81      Il principio del termine ragionevole nell’ambito di un procedimento amministrativo è stato riaffermato dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, ai sensi del quale «[o]gni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione». (v. sentenza del 5 giugno 2012, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑214/06, EU:T:2012:275, punto 284 e giurisprudenza ivi citata).

82      Il carattere ragionevole di ciascuna fase del procedimento dev’essere valutato in funzione delle circostanze specifiche di ciascun caso e, in particolare, del suo contesto, del comportamento delle parti nel corso del procedimento, della rilevanza del caso per le diverse imprese interessate e del suo grado di complessità (v., in tal senso, sentenze del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, EU:T:1999:80, punto 126).

83      La Corte ha altresì dichiarato che, in materia di politica della concorrenza dinanzi alla Commissione, il procedimento amministrativo poteva essere esaminato distinguendo due fasi temporali successive, ciascuna delle quali risponde ad una propria logica interna. La prima fase, che si estende fino alla comunicazione degli addebiti, ha come termine iniziale la data in cui la Commissione, facendo uso dei poteri conferitile dal legislatore dell’Unione, adotta misure che implicano l’addebito di una violazione, e deve consentire a detta istituzione di prendere posizione circa il seguito del procedimento. La seconda fase si estende invece dalla comunicazione degli addebiti fino all’adozione della decisione finale. Essa deve consentire alla Commissione di pronunciarsi definitivamente sulla violazione contestata (sentenza del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, EU:C:2006:592, punto 38).

84      Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che, qualora la violazione del principio del termine ragionevole abbia influito sull’esito del procedimento, una simile violazione può determinare l’annullamento della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 2006, Technische Unie/Commissione, C‑113/04 P, EU:C:2006:593, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

85      Occorre tuttavia precisare, quanto all’applicazione delle regole di concorrenza, che il superamento del termine ragionevole può costituire un motivo di annullamento delle sole decisioni che constatino la commissione di infrazioni, qualora risulti provato che la violazione del principio del termine ragionevole ha pregiudicato i diritti della difesa delle imprese interessate. Al di fuori di tale specifica ipotesi, il mancato rispetto dell’obbligo di decidere entro un termine ragionevole non incide sulla validità del procedimento amministrativo ai sensi del regolamento n. 1/2003 (sentenza del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, EU:C:2006:592, punto 42).

86      Infine, dato che il rispetto dei diritti della difesa – principio il cui carattere fondamentale è stato sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza della Corte – riveste un’importanza capitale nei procedimenti come quello qui esaminato, è importante evitare che tali diritti possano essere irrimediabilmente compromessi a motivo della durata eccessiva della fase istruttoria, e che tale durata possa ostacolare l’acquisizione di prove volte a confutare l’esistenza di comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità delle imprese interessate. Per tale motivo, l’esame relativo a un eventuale ostacolo all’esercizio dei diritti della difesa non deve essere limitato alla fase stessa in cui tali diritti producono il loro pieno effetto, vale a dire la seconda fase del procedimento amministrativo. La valutazione relativa all’origine dell’eventuale riduzione dell’efficacia dei diritti della difesa deve estendersi all’insieme di tale procedimento, avendo riguardo alla durata complessiva del medesimo (v. sentenza del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, EU:C:2006:592, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

87      Nel caso di specie, si deve rilevare che, per quanto riguarda la prima fase del procedimento amministrativo, vale a dire quella che va dalla notifica alle ricorrenti della decisione di accertamento nel gennaio 2009 fino alla ricezione della comunicazione degli addebiti nel giugno 2011, è trascorso un lasso di tempo di 29 mesi. La seconda fase del procedimento amministrativo, che va dalla ricezione della comunicazione degli addebiti all’adozione della decisione impugnata nel mese di aprile 2014, copre invece un periodo di 33 mesi.

88      A tale proposito, si deve ritenere che la durata della prima fase del procedimento amministrativo e quella della seconda fase del medesimo non siano eccessive, tenuto conto delle attività svolte dalla Commissione per completare l’indagine e adottare la decisione impugnata.

89      Infatti, occorre anzitutto rilevare, come fatto dalla Commissione, che l’indagine ha riguardato un’intesa di portata globale, con un numero complessivo di partecipanti significativo, che è durata quasi dieci anni, e nel corso della quale la Commissione ha dovuto aggiornare considerevoli quantità di elementi di prova inclusi nel fascicolo, compresi tutti gli elementi raccolti durante le ispezioni e ricevuti dalle richiedenti il trattamento favorevole. Inoltre, nel corso della suddetta indagine, la Commissione ha inviato ai partecipanti del settore interessato varie richieste di informazioni ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003 e del punto 12 della comunicazione sul trattamento favorevole.

90      Si deve poi osservare che il volume degli elementi di prova ha indotto la Commissione ad adottare una decisione, nella versione inglese, di 287 pagine, il cui allegato 1 contiene inoltre tutti i riferimenti completi a tutti gli elementi di prova raccolti durante la fase istruttoria, e che l’ampiezza e la portata dell’intesa nonché le difficoltà linguistiche sono anch’esse notevoli. Si deve rilevare, a tal riguardo, che la decisione impugnata ha avuto 26 destinatari provenienti da numerosi paesi e che un’ampia parte di tali destinatari aveva partecipato all’intesa sotto diverse forme giuridiche ed era stata oggetto di ristrutturazioni durante e dopo il periodo dell’intesa. Inoltre, si deve rilevare che detta decisione, redatta in inglese, ha dovuto essere tradotta integralmente in tedesco, francese e italiano.

91      Infine, dall’esposizione dei fatti all’origine della controversia contenuta ai punti da 3 a 10 supra emerge che, nell’ambito del procedimento amministrativo, la Commissione ha compiuto una serie di atti che giustificano la durata di ciascuna fase di tale procedimento, atti la cui adeguatezza ai fini dell’indagine non è stata messa in discussione dalle ricorrenti in modo specifico, sebbene esse siano state interrogate in proposito durante l’udienza.

92      Pertanto, la durata di entrambe le fasi della procedura amministrativa aveva carattere ragionevole al fine di consentire alla Commissione di valutare in modo approfondito gli elementi di prova e gli argomenti dedotti dalle parti interessate dall’indagine.

93      Ne consegue che le ricorrenti non possono validamente sostenere che la durata del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione è stata eccessiva e che quest’ultima ha violato il principio del termine ragionevole.

94      In ogni caso, anche a voler constatare l’eventuale carattere eccessivo della durata complessiva del procedimento amministrativo e la violazione del principio del termine ragionevole, siffatta constatazione non sarebbe di per sé sufficiente, alla luce della giurisprudenza citata ai precedenti punti da 84 a 86, a condurre all’annullamento della decisione impugnata.

95      Occorre ricordare, in primo luogo, che, secondo le ricorrenti, i loro diritti della difesa sono stati violati in quanto esse non hanno potuto identificare con esattezza l’oggetto dell’indagine svolta dalla Commissione fino alla ricezione della comunicazione degli addebiti.

96      A tale riguardo, si deve rilevare che, tenuto conto del fatto che le ispezioni avvengono nella fase iniziale dell’indagine, la Commissione non dispone ancora di informazioni dettagliate al fine di emettere un parere giuridico specifico e deve anzitutto verificare la fondatezza dei suoi sospetti nonché la portata dei fatti avvenuti, dato che lo scopo dell’ispezione è proprio quello di raccogliere elementi di prova in relazione a una presunta infrazione (v. sentenza del 25 giugno 2014 Nexans e Nexans France/Commissione, C‑37/13 P, EU:C:2014:2030, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

97      Orbene, è necessario constatare, anzitutto, che la decisione di ispezione inviata alle ricorrenti nel gennaio 2009 indicava che l’indagine della Commissione si riferiva a pratiche anticoncorrenziali particolari quali la ripartizione dei mercati o lo scambio di informazioni nel settore dei cavi elettrici sotterranei e sottomarini. Nonostante l’annullamento parziale di tale decisione, per quanto riguarda cavi elettrici diversi dai cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta tensione, e contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, tale formulazione consentiva di determinare con esattezza l’oggetto dell’indagine, di stabilire quali fossero le infrazioni all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE che potevano essere imputate alle ricorrenti e di conoscere i mercati in cui tali infrazioni sarebbero avvenute.

98      Occorre inoltre rilevare che le richieste di informazioni indirizzate alle ricorrenti precisavano i tipi di riunioni, le date nonché i luoghi al centro dell’indagine svolta dalla Commissione. Pertanto, le ricorrenti erano in grado di dedurre da tali richieste quali fossero gli eventi e le riunioni sui quali si incentravano i sospetti della Commissione. Ciò considerato, esse non possono fondatamente sostenere che non erano informate, sin dall’inizio dell’indagine, del suo oggetto nonché degli eventuali addebiti mossi dalla Commissione. Esse erano quindi in grado di preparare la loro difesa a partire da tale momento e di raccogliere eventuali documenti a discarico in loro possesso, nonché di interrogare i dipendenti coinvolti.

99      In secondo luogo, le ricorrenti sostengono che il contenuto e il contesto degli appunti manoscritti utilizzati dalla Commissione come prova delle riunioni anticoncorrenziali non hanno potuto essere ricostituiti, perché i ricordi dei partecipanti a dette riunioni si erano cancellati.

100    Tale argomento non può essere accolto. Infatti, pur potendosi riconoscere che più un avvenimento è lontano nel tempo, meno è semplice ricordarsene, il che complica l’attività difensiva, le ricorrenti hanno omesso di indicare le difficoltà specifiche da esse riscontrate.

101    Inoltre, da giurisprudenza costante emerge che, in virtù dell’obbligo generale di prudenza che incombe ad ogni impresa o associazione d’imprese, le ricorrenti sono tenute ad assicurare la buona conservazione nei loro libri o archivi degli elementi che consentano di documentare la loro attività, al fine, in particolare, di disporre delle prove necessarie nell’eventualità di azioni giudiziarie o amministrative (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2011, Heineken Nederland e Heineken/Commissione, T 240/07, EU:T:2011:284, punto 301 e la giurisprudenza ivi citata). Se, come riconosciuto dalle ricorrenti nel loro ricorso, esse sono state oggetto di richieste di informazioni da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003, era loro onere, a maggior ragione, agire con una maggiore diligenza e prendere tutte le misure utili per preservare le prove di cui potevano ragionevolmente disporre.

102    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che, anche a voler riscontrare un superamento del termine ragionevole nel caso di specie, le ricorrenti non sono riuscite a dimostrare che tale superamento ha effettivamente pregiudicato i loro diritti della difesa.

103    Il secondo motivo va quindi respinto.

104    Quanto all’argomentazione delle ricorrenti dedotto nell’ambito del presente motivo, secondo la quale «la Commissione non ha applicato una congrua riduzione delle ammende [loro] inflitte, tenuto conto della durata del procedimento amministrativo», e all’«equo compenso» che esse di conseguenza richiedono, tale argomentazione deve considerarsi sollevata a sostegno delle loro conclusioni volte alla riduzione del suddetto importo, che saranno esaminate al successivo punto 271.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio di buona amministrazione

105    Le ricorrenti fanno valere che la decisione impugnata si fonda su affermazioni orali vaghe, imprecise e arbitrarie contenute nelle domande di trattamento favorevole. Inoltre, esse censurano la Commissione per non aver corredato le dichiarazioni di elementi di prova diretti e per non averle interpretate con cautela e prudenza, come sarebbe richiesto dalla giurisprudenza. In tal modo, a loro avviso, la Commissione ha violato il principio di buona amministrazione.

106    Inoltre, le ricorrenti mettono in dubbio la credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti il trattamento favorevole, dato che tali dichiarazioni non sarebbero state fornite da testimoni diretti dei fatti affermati, ma da avvocati esterni. Per quanto riguarda, in particolare, il secondo richiedente il trattamento favorevole, esse rilevano che tali dichiarazioni sono state formulate da un avvocato colpito da un conflitto di interessi.

107    La Commissione confuta tali argomenti.

108    Ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1 della Carta, intitolato «Diritto ad una buona amministrazione», «[o]gni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo, ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione».

109    Inoltre, l’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, intitolato «Presunzione di innocenza e diritti della difesa», stabilisce che «[o]gni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata».

110    Secondo la giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento finalizzato a infliggere un’ammenda a imprese per violazione dell’articolo 101 TFUE, la Commissione non può limitarsi a esaminare gli elementi di prova prodotti dalle imprese, ma deve, in un’ottica di buona amministrazione, concorrere con i propri mezzi all’accertamento dei fatti e delle circostanze rilevanti (v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 1966, Consten e Grundig/Commissione, 56/64 e 58/64, EU:C:1966:41, pag. 501).

111    Nel caso di specie, è necessario constatare che, con il terzo motivo, le ricorrenti mettono in dubbio la credibilità e la precisione delle prove utilizzate dalla Commissione per imputare loro una violazione dell’articolo 101 TFUE. A tale riguardo, occorre rilevare in primo luogo, per quanto riguarda la loro argomentazione relativa alla violazione dell’articolo 101 TFUE e all’assenza di prove sufficienti per accertare la loro partecipazione ad un’infrazione unica e continuata di tale articolo, che essa sarà esaminata congiuntamente agli argomenti di simile tenore dedotti nell’ambito del sesto motivo (v. punti da 168 a 186 infra).

112    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento delle ricorrenti relativo al carattere vago ed impreciso delle dichiarazioni orali dei richiedenti il trattamento favorevole, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, sebbene il testo del ricorso possa essere suffragato e completato in punti specifici con rinvii a determinati passi di atti che vi sono allegati, un rinvio globale ad altri scritti, anche allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto, i quali devono figurare nel ricorso (v. sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 94 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, nel caso di specie, tale argomento fa unicamente rinvio agli allegati del ricorso. Ciò considerato, si deve ritenere che tale argomento sia irricevibile.

113    In terzo luogo, le ricorrenti non possono fondatamente mettere in discussione la completezza del procedimento di indagine al fine di lamentare una violazione del principio di buona amministrazione da parte della Commissione.

114    Occorre infatti rilevare, come fatto dalla Commissione, che, oltre alle informazioni ottenute tramite le dichiarazioni sul trattamento favorevole, il procedimento di indagine ha dato luogo ad accertamenti senza preavviso nei locali di Nexans, di Nexans France e delle ricorrenti, a varie richieste di informazioni e a lettere di esposizione dei fatti indirizzate a ciascuno dei destinatari nonché ad argomentazioni scritte e orali delle parti, che rappresentano un fascicolo composto, in gran parte, da e-mail, appunti, tabelle ricapitolative ecc. Tali elementi di prova – menzionati alla sezione 3 della decisione impugnata, intitolata «Descrizione dei fatti», sezione che contiene 398 punti e 784 note a pié di pagina – sono inseriti nell’allegato I di tale decisione insieme ad ulteriori elementi.

115    Di conseguenza, occorre respingere le censure delle ricorrenti, formulate per giunta in modo generico e non circostanziato, secondo le quali la Commissione, da un lato, si è completamente fondata sulle dichiarazioni orali raccolte sulla base del programma di trattamento favorevole senza condurre un’indagine autonoma e, dall’altro, ha violato il principio di buona amministrazione nell’esaminare le prove raccolte nella procedura d’indagine.

116    Per quanto riguarda l’asserito conflitto di interessi che, secondo le ricorrenti, colpisce uno degli avvocati che hanno reso dichiarazioni nell’ambito della domanda congiunta di immunità presentata il 2 febbraio 2009 da Sumitomo Electric Industries, Hitachi Cable e J‑Power Systems, è sufficiente rilevare che tale argomento non è suffragato da elementi concreti e deve pertanto essere respinto.

117    Alla luce di quanto precede, occorre ritenere che, nel caso di specie, la Commissione non abbia violato il principio di buona amministrazione.

118    Il terzo motivo deve quindi essere respinto.

 Sul quarto motivo, vertente sull’imputazione erronea a PrysmianCS di una responsabilità per il periodo anteriore al 27 novembre 2001

119    Le ricorrenti ritengono che la Commissione abbia erroneamente considerato PrysmianCS responsabile per un periodo in cui quest’ultima non è neppure esistita, vale a dire nel periodo anteriore al 27 novembre 2001. Tale motivo si articola in due parti, vertenti, da un lato, sulla violazione del principio di responsabilità personale e, dall’altro, sulla violazione del principio di parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione.

–       Sulla prima parte, fondata sulla violazione del principio di responsabilità personale

120    Le ricorrenti censurano la conclusione accolta dalla Commissione al punto 730 della decisione impugnata, secondo cui PirelliCSE, in seguito divenuta PrysmianCSE e poi PrysmianCS, costituiva il «successore legale ed economico» di PirelliCS e doveva pertanto rispondere per il comportamento anticoncorrenziale di quest’ultima società prima del 27 novembre 2001.

121    In particolare, le ricorrenti rilevano, per quanto riguarda l’affermazione relativa alla successione legale, che il 27 novembre 2001 i principali attivi relativi all’attività nel settore energetico di PirelliCS sono stati trasferiti a PirelliCSE nell’ambito di una scissione parziale della prima di queste due società. Orbene, PirelliCSE non avrebbe assunto né i diritti né gli obblighi di PirelliCS, ragion per cui non potrebbe essere considerata un suo successore legale. Per contro, dal momento che PirelliCS sarebbe stata assorbita da Pirelli il 30 dicembre 2002, proprio quest’ultima società sarebbe divenuta il successore legale di PirelliCS e dovrebbe, pertanto, rispondere dell’asserita infrazione per il periodo che va fino al 27 novembre 2001.

122    Per quanto riguarda l’affermazione relativa alla successione economica, le ricorrenti ritengono che la Commissione abbia concluso erroneamente che PirelliCSE è succeduta a PirelliCS. A tale riguardo, esse rilevano che il principio della continuità economica costituisce un’eccezione al principio della responsabilità personale, eccezione che si applica a condizioni rigorose allorché tale principio non garantisca l’efficacia e l’effetto deterrente delle regole della concorrenza. Esse aggiungono che, secondo la giurisprudenza, la teoria della successione economica è applicabile solo se i rapporti strutturali esistenti tra l’autore e il destinatario del trasferimento degli attivi esistono alla data in cui la Commissione adotta la sua decisione. A loro parere, nella fattispecie, le entità giuridiche che costituivano l’impresa incaricata della gestione del settore di attività dei cavi elettrici fino al 27 novembre 2001, vale a dire PirelliCS e Pirelli, costituiscono ora un’unica entità, alla quale andrebbe imputata la responsabilità del comportamento illecito prima di tale data.

123    La Commissione e Pirelli confutano gli argomenti delle ricorrenti.

124    In via preliminare, occorre rilevare che, come risulta dalla sezione 5.2.2 della decisione impugnata e, in particolare, dal punto 729 di detta decisione, la Commissione ha ritenuto che PrysmianCS fosse responsabile dell’infrazione unica e continuata commessa dal suo ramo che gestisce le attività nel settore dei cavi elettrici, per tutta la durata dell’infrazione, vale a dire dal 18 febbraio 1999 al 28 gennaio 2009.

125    In particolare, secondo il punto 730 della decisione impugnata, le attività nel settore dei cavi elettrici del gruppo Pirelli erano inizialmente svolte da PirelliCS, successivamente, a partire dal 1o luglio 2001, da PirelliCSE Italia SpA e, infine, a decorrere dal 27 novembre 2001, da PirelliCSE. Inoltre, secondo i punti da 739 a 741 di detta decisione, a seguito dell’acquisizione di PirelliCSE da parte di una controllata di Goldman Sachs il 28 luglio 2005, PirelliCSE è divenuta PrysmianCSE e, successivamente, PrysmianCS.

126    In tale contesto, PirelliCSE e, di conseguenza, PrysmianCS sono state considerate dalla Commissione, in quanto «successor[i] legal[i] ed economic[i]», di PirelliCS, responsabili dell’infrazione per il periodo precedente il 27 novembre 2001, circostanza che le ricorrenti contestano. Va osservato, inoltre, che, come le parti hanno precisato nelle loro memorie, il 30 dicembre 2002 PirelliCS si è fusa per incorporazione con Pirelli SpA, la quale, a sua volta, è stata assorbita da Pirelli il 4 agosto 2003. Secondo le ricorrenti, sarebbe dunque Pirelli, in quanto successore legale di PirelliCS, e non PirelliCSE, a dover essere ritenuta l’unica responsabile del comportamento illecito addebitato per il periodo anteriore al 27 novembre 2001.

127    Secondo costante giurisprudenza, il diritto dell’Unione relativo alla concorrenza riguarda le attività delle imprese, e la nozione di impresa comprende qualsiasi ente che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento. Qualora un ente di tal genere violi le regole della concorrenza, incombe ad esso, secondo il principio della responsabilità personale, rispondere di tale infrazione (v. sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

128    La Corte ha precisato che, qualora un ente che ha commesso un’infrazione alle norme sulla concorrenza fosse stato oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non aveva necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti contrari alle suddette norme del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi era identità fra i due enti. Infatti, se le imprese potessero sottrarsi alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità sia stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa, lo scopo di reprimere comportamenti contrari a dette norme e di prevenirne la ripetizione mediante sanzioni dissuasive sarebbe compromesso (v. sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

129    La Corte ha così affermato che, qualora due enti avessero costituito uno stesso ente economico, il fatto che l’ente che aveva commesso l’infrazione esistesse ancora non impediva, di per sé, che venisse sanzionato l’ente a cui esso aveva trasferito le sue attività economiche. In particolare, una tale configurazione della sanzione è ammissibile qualora tali enti siano stati sotto il controllo della stessa persona e, considerati gli stretti legami che li uniscono sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali (v. sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

130    Nel caso di specie, come illustrato al precedente punto 125, l’attività nel settore dei cavi elettrici all’interno del gruppo Pirelli era svolta da un ente che ha direttamente partecipato all’infrazione di cui trattasi e che ha subito diverse ristrutturazioni interne e cessioni tra il 18 febbraio 1999 e il 28 luglio 2005. Tuttavia, si tratta di operazioni che non impediscono alla Commissione di concludere, in particolare, che PirelliCSE è divenuta il successore economico di PirelliCS a decorrere dal 27 novembre 2001 e che, per tale ragione, la prima di tali società doveva essere considerata responsabile della partecipazione all’infrazione di cui trattasi per il periodo che andava fino a quest’ultima data.

131    Infatti, da una parte, occorre rilevare che, analogamente a quanto riportato nella decisione impugnata, tra il 18 febbraio 1999 e il 1o luglio 2001, l’ente che ha svolto l’attività nel settore dei cavi elettrici all’interno del gruppo Pirelli e che ha partecipato direttamente all’infrazione in questione è stato inizialmente inserito all’interno di PirelliCS sotto forma di una divisione specifica. Successivamente, il 1o luglio 2001, PirelliCS ha ceduto una parte delle attività di gestione nel settore dei cavi elettrici alla sua partecipata, PirelliCSE Italia. La cessione riguardava gli attivi italiani e gli impianti di fabbricazione di cavi elettrici. Inoltre, il 27 novembre 2001, PirelliCS ha ceduto la parte restante delle sue attività nel settore dei cavi elettrici, nonché la partecipazione nella PirelliCSE Italia, compreso l’ente partecipante all’infrazione di cui trattasi, a PirelliCSE. A tale riguardo, occorre precisare che, sebbene le ricorrenti abbiano fatto valere, nelle loro memorie, che non tutti gli attivi di PirelliCS sono stati trasferiti a PirelliCSE, una simile affermazione è contraddetta dal punto 37 della risposta delle ricorrenti alla comunicazione degli addebiti, del 24 ottobre 2011, allegata al ricorso. Il Tribunale ha poi potuto constatare, in seguito ad un quesito posto a tal proposito in udienza, che gli attivi non trasferiti a PirelliCSE assumevano, nella fattispecie, solo un carattere marginale e non produttivo. Infine, da quanto precede risulta che, a decorrere dal 27 novembre 2001, PirelliCSE è divenuta l’unica impresa a esercitare il controllo completo delle attività nel settore dei cavi elettrici sotterranei e sottomarini all’interno di detto gruppo.

132    D’altra parte, è importante notare che, al momento in cui è avvenuta la prima cessione di attivi tra PirelliCS e PirelliCSE Italia, questi due enti erano uniti da stretti legami ai sensi della giurisprudenza citata al punto 129 supra, in quanto PirelliCSE Italia era la società partecipata al 100% da PirelliCS e in quanto, come si evince dal punto 730 della decisione impugnata, entrambe appartenevano allo stesso gruppo Pirelli. Inoltre, si deve ritenere che, in occasione della seconda cessione di attivi, PirelliCS e PirelliCSE, considerati gli stretti legami che le univano sul piano economico e organizzativo, abbiano applicato in sostanza le stesse direttive commerciali. A tale riguardo, occorre ricordare, da un lato, che tali due enti sono stati sotto il controllo della stessa persona giuridica, vale a dire Pirelli SpA, divenuta poi Pirelli e, dall’altro, che, ai punti 737 e 738 di detta decisione, la Commissione ha constatato che, durante il periodo compreso tra il 18 febbraio 1999 e il 28 luglio 2005, Pirelli ha esercitato un’influenza determinante sulla divisione operativa di cavi elettrici coinvolta nell’intesa in questione, cosa che le ricorrenti non hanno contestato.

133    Ne consegue che, in base al principio di continuità economica, come definito dalla giurisprudenza della Corte, la Commissione ha correttamente affermato che la responsabilità per il comportamento illecito di PirelliCS fino al 27 novembre 2001 è stata trasmessa a PirelliCSE.

134    La conclusione sopra esposta non può essere fondatamente rimessa in discussione dagli altri argomenti formulati dalle ricorrenti.

135    In primo luogo, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti secondo cui gli stretti legami che intercorrono tra la società cedente e la società cessionaria devono sussistere alla data in cui la Commissione adotta la sua decisione che constata l’infrazione. Infatti, se è necessario che alla data della cessione esistano, tra cedente e cessionario, legami strutturali che consentano di ritenere, conformemente al principio della responsabilità personale, che i due enti formino un’unica impresa, non è tuttavia indispensabile, considerata la finalità perseguita dal principio della continuità economica, che tali legami perdurino per tutto il restante periodo dell’infrazione o fino all’adozione della decisione che sanziona l’infrazione (sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 51).

136    In secondo luogo, l’argomento delle ricorrenti secondo cui PrysmianCS non dovrebbe essere ritenuta responsabile per un periodo in cui neppure esisteva non può essere accolto. A tale riguardo, è sufficiente rilevare che non si può escludere una situazione di continuità economica di un’impresa di nuova costituzione, come nel caso di specie, alla quale sono ceduti gli attivi di una determinata attività economica e che viene successivamente trasmessa a un terzo indipendente (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 53).

137    In terzo luogo, occorre respingere l’argomento delle ricorrenti secondo cui, dato che PirelliCS ha continuato ad esistere fino alla sua fusione con Pirelli SpA il 30 dicembre 2002, Pirelli dovrebbe essere responsabile della parte dell’infrazione fino alla completa cessione delle attività nel settore dei cavi a PirelliCSE. A tale riguardo, come emerge dalla giurisprudenza, qualora due enti costituiscano uno stesso ente economico, il fatto che l’ente che ha commesso l’infrazione esista ancora non impedisce, di per sé, che venga sanzionato l’ente a cui esso ha trasferito le sue attività economiche (sentenza del 18 dicembre 2014, Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 54).

138    In quarto luogo, il fatto che Pirelli continuasse ad essere una società redditizia quando la Commissione ha adottato la decisione impugnata non può giustificare, come affermato dalle ricorrenti, l’imputazione della responsabilità per la partecipazione diretta all’intesa di cui trattasi, in particolare fino al 27 novembre 2001. Infatti, è sufficiente rilevare che la redditività economica alla data di adozione della decisione impugnata dell’ex società madre dell’impresa interessata non è uno dei criteri che, secondo la giurisprudenza della Corte citata ai precedenti punti 128 e 129, deve essere preso in considerazione ai fini dell’applicazione del principio della continuità economica. Inoltre, occorre ricordare che la responsabilità di Pirelli in quanto società madre fino al 28 luglio 2005 è stata riconosciuta nella suddetta decisione, in quanto, ai sensi dell’articolo 2, lettera g), di tale decisione, essa è considerata responsabile «in solido» per il pagamento di una parte dell’ammenda.

139    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che la Commissione non ha violato il principio della responsabilità personale imputando a PirelliCSE la responsabilità della partecipazione diretta all’infrazione per il periodo precedente al 27 novembre 2001.

140    Per il resto, anche a voler ritenere, come sostenuto dalle ricorrenti, che la Commissione è incorsa in errore considerando PirelliCSE il successore legale di PirelliCS, ciò è irrilevante ai fini di imputare alla prima di tali società la responsabilità per la partecipazione diretta all’infrazione prima del 27 novembre 2001, dal momento che, in ogni caso, la Commissione ha affermato, a giusto titolo, che PirelliCSE era il successore economico di PirelliCS ed era responsabile, pertanto, per tale periodo.

141    La prima parte del presente motivo deve essere respinta.

–       Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione

142    Le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha violato il principio della parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione, in quanto, in sostanza, PrysmianCS è l’unico ente ad essere stato considerato responsabile nella sua qualità di successore di un’altra impresa. A loro avviso, Nexans France e Silec Cable sarebbero sfuggite all’imputazione di tale responsabilità, sebbene la loro situazione fosse simile.

143    La Commissione e Pirelli confutano gli argomenti delle ricorrenti.

144    Secondo costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera differenziata e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. (v. sentenze del 27 giugno 2012, Bollorét/Commissione, T‑372/10, EU:T:2012:325, punto 85 e giurisprudenza ivi citata, e del 19 gennaio 2016, Mitsubishi Electric/Commissione, T‑409/12, EU:T:2016:17, punto 108 e giurisprudenza ivi citata).

145    Inoltre, la Corte ha recentemente ricordato che, qualora un’impresa avesse violato, mediante il suo comportamento, l’articolo 101 TFUE, essa non poteva evitare qualsiasi sanzione perché ad altri operatori economici non erano state inflitte ammende. Infatti, un’impresa che si è vista infliggere un’ammenda a causa della sua partecipazione a un’intesa, in violazione delle norme di concorrenza, non può chiedere l’annullamento di tale ammenda o la riduzione del suo importo con la motivazione che un altro partecipante alla stessa intesa non sarebbe stato sanzionato per una parte o per l’integralità della sua partecipazione a detta intesa [v., in tal senso, sentenze del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punti 58 e 59, e del 9 marzo 2017, Samsung SDI e Samsung SDI (Malaysia)/Commissione, C‑615/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:190, punti 37 e 38 e giurisprudenza ivi citata].

146    L’osservanza del principio della parità di trattamento deve conciliarsi col rispetto del principio di legalità, secondo cui nessuno può far valere a proprio vantaggio un illecito commesso a favore di altri. Infatti, un eventuale illecito commesso in relazione ad un’altra impresa che non è parte del presente procedimento non può condurre il giudice dell’Unione a constatare una discriminazione e, quindi, un illecito nei confronti delle ricorrenti. Un simile approccio equivarrebbe a sancire il principio della «parità di trattamento nell’illecito» e a imporre alla Commissione, nel caso di specie, l’obbligo di ignorare gli elementi di prova di cui essa dispone per punire l’impresa che ha commesso un’infrazione sanzionabile, per la sola ragione che un’altra impresa che si trova in una situazione paragonabile è illegittimamente sfuggita a tale sanzione. Inoltre, come del resto emerge chiaramente dalla giurisprudenza relativa al principio della parità di trattamento, un’impresa, dal momento in cui con il suo comportamento ha violato l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, non può sottrarsi a qualsiasi sanzione per il motivo che non sono state inflitte ammende ad altri operatori economici, quando, come nella fattispecie, il procedimento dinanzi al giudice dell’Unione non riguarda la situazione di questi ultimi. (v., in tal senso, sentenza del 16 novembre 2006, Peróxidos Orgánicos/Commissione, T‑120/04, EU:T:2006:350, punto 77).

147    Nel caso di specie, occorre rilevare che, come risulta dal precedente punto 139, la Commissione non è incorsa in alcuna violazione del principio della responsabilità personale imputando a PirelliCSE e, di conseguenza, a PrysmianCS la responsabilità della partecipazione all’infrazione per il periodo che andava fino al 27 novembre 2001. Pertanto, anche supponendo che la Commissione abbia tenuto un comportamento illegittimo nel non ravvisare la responsabilità di Nexans France e di Silec Cable, nel senso indicato dalle ricorrenti, il Tribunale, alla luce della giurisprudenza citata ai precedenti punti 145 e 146, ritiene che un simile eventuale comportamento illegittimo, sul quale non è stato chiamato a pronunciarsi nell’ambito del presente ricorso, non possa in alcun caso indurlo a constatare una discriminazione e, quindi, un illecito nei confronti delle ricorrenti.

148    La seconda parte del presente motivo deve pertanto essere respinta, e, di conseguenza, detto motivo nel suo insieme.

 Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione non ha determinato le quote dei debitori in solido nei loro rapporti interni

149    Le ricorrenti, nonché Goldman Sachs, fanno valere che la Commissione avrebbe dovuto determinare le quote dei debitori in solido nei loro rapporti interni. A loro parere, una tale determinazione non è indispensabile quando le società appartengono allo stesso gruppo al momento dell’adozione della decisione impugnata. Quando, invece, l’unità economica formata da tali società non esiste più, come nel caso di specie, la Commissione sarebbe obbligata a procedere a tale determinazione in detta decisione.

150    La Commissione e Pirelli confutano tali argomenti.

151    Secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione del diritto dell’Unione di solidarietà nel pagamento dell’ammenda, essendo semplicemente la manifestazione di un effetto di pieno diritto della nozione di impresa, riguarda solo l’impresa e non le società che la compongono (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 150 e giurisprudenza ivi citata).

152    Benché, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione possa condannare in solido più società a pagare un’ammenda se appartenevano ad una sola ed unica impresa, né il testo di tale disposizione né l’obiettivo del meccanismo di solidarietà consentono di considerare che tale potere sanzionatorio comprenda, al di là della determinazione del rapporto esterno di solidarietà, quello di stabilire le quote dei debitori in solido nei loro rapporti interni (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 151 e giurisprudenza ivi citata).

153    Al contrario, l’obiettivo del meccanismo della solidarietà consiste nel fatto che esso costituisce uno strumento giuridico supplementare a disposizione della Commissione inteso a rafforzare l’efficacia dell’azione della medesima nella riscossione delle ammende inflitte per infrazioni al diritto della concorrenza, giacché tale meccanismo riduce, per la Commissione in quanto creditore del debito costituito da tali ammende, il rischio di insolvenza; ciò concorre all’obiettivo di dissuasione che è generalmente perseguito dal diritto della concorrenza (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 152 e giurisprudenza ivi citata).

154    Orbene, la determinazione, nel rapporto interno tra debitori in solido, delle quote di questi ultimi non persegue questo duplice obiettivo. Si tratta, infatti, di una questione che interviene in un momento successivo e che, in linea di principio, non presenta più interesse per la Commissione, una volta che la totalità dell’ammenda le sia stata pagata da uno o più di tali debitori (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 153 e giurisprudenza ivi citata).

155    Nel caso di specie, è sufficiente rilevare, alla luce della giurisprudenza citata ai precedenti punti da 151 a 154, che la Commissione non era tenuta, nel caso di specie, a stabilire le quote delle ricorrenti e delle intervenienti nei loro rapporti interni. Infatti, poiché la Commissione ha concluso che, durante tutto il periodo dell’infrazione, le ricorrenti e le intervenienti costituivano un’unica impresa ai sensi del diritto della concorrenza, il che non viene contestato dalle ricorrenti, essa poteva limitarsi a determinare l’importo dell’ammenda che tali società erano solidalmente tenute a pagare.

156    Inoltre, l’argomento delle ricorrenti secondo cui, alla data di adozione della decisione impugnata, le intervenienti non costituivano più insieme ad esse un ente unico non può mettere in discussione la conclusione di cui al precedente punto 155.

157    Da un lato, si deve rilevare che l’accettazione dell’argomento in questione sarebbe in contrasto con la semplice nozione di responsabilità solidale. A tal riguardo, è necessario constatare che il meccanismo di solidarietà implica, per definizione, che la Commissione possa rivolgersi alla società madre o alla società partecipata senza prevedere quote nel senso prospettato dalle ricorrenti. Infatti, come la Corte ha già dichiarato, non esiste una «priorità» per quanto riguarda l’irrogazione di un’ammenda all’una o all’altra di tali società (v. sentenza del 18 luglio 2013, Dow Chemical e a./Commissione, C‑499/11 P, EU:C:2013:482, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

158    Dall’altro lato, si deve ritenere che l’accettazione di un siffatto argomento sarebbe tale da pregiudicare l’obiettivo del meccanismo di solidarietà, il quale, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 153, risiede nel fatto che esso costituisce uno strumento giuridico supplementare a disposizione della Commissione per rafforzare sia l’efficacia del recupero delle ammende inflitte sia l’obiettivo di dissuasione che è generalmente perseguito dal diritto della concorrenza.

159    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve dichiarare che la Commissione non ha violato, nel caso di specie, le disposizioni dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 per non aver determinato le quote delle ricorrenti e delle intervenienti nei loro rapporti interni.

160    Il quinto motivo dev’essere, pertanto, respinto.

 Sul sesto motivo, vertente sull’insufficienza di prove dell’esistenza di una violazione dell’articolo 101 TFUE

161    Le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che la Commissione non ha sufficientemente dimostrato l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale in violazione dell’articolo 101 TFUE e, di conseguenza, la loro partecipazione a quest’ultimo. A loro parere, l’esistenza dell’accordo sul «territorio domestico» e, di conseguenza, quella della «configurazione europea di cartello» quale descritta dalla Commissione non sono supportate da prove sufficienti.

162    In primo luogo, le ricorrenti ritengono che le conclusioni della Commissione relative all’esistenza dell’accordo sul «territorio domestico» si fondino su un ragionamento tautologico che non lascia loro modo di difendersi. A tal proposito, esse sostengono che la Commissione non ha presentato alcuna prova diretta dell’esistenza di tale principio. Inoltre, esse criticano il fatto che l’assenza di discussioni sui progetti europei sia interpretata come un segno dell’esistenza di un accordo anticoncorrenziale, e che i tentativi delle imprese giapponesi e coreane di «rientrare» nel SEE siano interpretati non come un segno di concorrenza, ma come una violazione di tale principio.

163    In secondo luogo, le ricorrenti sostengono di aver presentato, durante il procedimento amministrativo, diverse spiegazioni alternative degli eventi prospettati nella decisione impugnata, così come spiegazioni del fatto che i produttori giapponesi e sudcoreani erano dissuasi dall’esercitare una concorrenza nel SEE.

164    Da un lato, le ricorrenti osservano che le riunioni trilaterali «A/R/K» in materia di cooperazione all’esportazione sono avvenute tra il 1998 e il 2005 a seguito del Super Tension Cables Export Agreement (accordo per l’esportazione di cavi ad alta tensione; in prosieguo: lo «STEA») e della Sub-marine Cable Export Association (Associazione per l’esportazione di cavi sottomarini; in prosieguo: la «SMEA»), relativi a progetti eseguiti o da eseguire al di fuori del SEE, senza tuttavia sfociare in un qualche accordo.

165    Dall’altro, le ricorrenti affermano che vari ostacoli impedivano alle società giapponesi e sudcoreane di esercitare un’attività nel SEE e alle società europee di esercitarla in Giappone e in Corea del Sud. In particolare, tali ostacoli riguarderebbero la variazione sensibile da un paese all’altro delle caratteristiche dei progetti, le differenze culturali e linguistiche, il fatto che taluni gestori di reti si rifiuterebbero di trattare con fornitori che non dispongono di almeno un agente locale fisicamente presente nel paese in questione e i costi del trasporto. Infine, le ricorrenti sostengono che la circostanza che, dall’apertura dell’indagine, varie parti giapponesi e sudcoreane abbiano assunto iniziative per «entrare» nel SEE non basterebbe ad escludere tali argomenti.

166    In terzo luogo, le ricorrenti sottolineano che, dal momento che la Commissione non ha dimostrato l’esistenza dell’accordo nel «territorio domestico», essa non può neppure imputare a loro carico l’esistenza di un’intesa di attribuzione dei progetti a livello europeo.

167    La Commissione confuta tali argomenti.

168    In via preliminare, occorre rilevare che, nell’ambito del presente motivo, le ricorrenti ribadiscono argomenti intesi a dimostrare che la Commissione si è basata esclusivamente su domande di trattamento favorevole al fine di effettuare i suoi accertamenti, il che metterebbe in evidenza una modalità di indagine poco scrupolosa. Orbene, come risulta dall’esame effettuato nell’ambito del terzo motivo, vertente sulla violazione da parte della Commissione del principio di buona amministrazione, si deve constatare, invece, che l’affermazione secondo la quale la Commissione si è interamente basata sulle dichiarazioni orali raccolte sulla base del programma di trattamento favorevole, senza svolgere un’indagine autonoma, non è suffragata dagli elementi risultanti dalla decisione impugnata e, in particolare, dal contenuto del punto 3 di tale decisione, nel quale, come risulta dal punto 114 supra, la Commissione illustra la varietà di elementi di prova di cui si è avvalsa al fine di supportare le proprie conclusioni in merito all’intesa in questione.

169    Per quanto riguarda gli argomenti delle ricorrenti secondo cui la Commissione non è riuscita a dimostrare l’esistenza dell’accordo sul «territorio domestico», si deve ricordare che, come risulta dal precedente punto 12, nonché dai punti 76 e seguenti della decisione impugnata, conformemente a tale accordo, i produttori sudcoreani e giapponesi erano tenuti a non fare concorrenza ai produttori europei nel «territorio domestico» europeo, quale definito dai partecipanti all’intesa, in cambio dell’impegno dei produttori europei a non entrare in concorrenza con loro nei «territori domestici», in particolare, del Giappone e della Corea del Sud. Tale accordo era legato, secondo la Commissione, all’accordo sui «territori d’esportazione», consistente nel ripartire tra i produttori europei, da un lato, e i produttori giapponesi e sudcoreani, dall’altro, progetti situati al di fuori dei «territori domestici» conformemente a una «quota 60/40». A tale riguardo, dai punti 79 e 247 di detta decisione risulta che la Grecia non ha fatto parte, per un lungo periodo, del «territorio domestico» europeo ai sensi dell’accordo in questione e che i progetti situati in Grecia si inserivano nell’attribuzione dei «territori d’esportazione».

170    Nel caso di specie, l’esistenza di un accordo sul «territorio domestico» nonché della «configurazione europea di cartello» non può essere rimessa in discussione dagli argomenti formulati al riguardo dalle ricorrenti.

171    Infatti, in primo luogo, occorre rilevare che l’accordo sul «territorio domestico» è descritto ai punti da 76 a 86 della decisione impugnata, basandosi su elementi di fatto che non sono contestati in modo specifico dalle ricorrenti. L’esistenza dell’accordo è, inoltre, dimostrata dagli elementi di prova elencati alla sezione 3 di detta decisione, intitolata «Descrizione dei fatti», non contestati dalle ricorrenti con elementi concreti. Inoltre, ai punti da 107 a 115 di tale decisione, la Commissione riassume, senza che le ricorrenti cerchino di dimostrare il contrario, gli elementi di prova relativi all’esistenza della «configurazione europea di cartello».

172    Peraltro, al punto 493 della decisione impugnata, la Commissione riassume tutti gli elementi di prova raccolti durante l’inchiesta, tra cui quelli riguardanti l’accordo sul «territorio domestico» e la «configurazione europea di cartello», che – ad eccezione di quelli contenuti nel punto 234 di tale decisione, per il quale non vengono fornite prove a sostegno – non sono contestati con argomenti specifici dalle ricorrenti. In particolare, dall’esame degli elementi citati al punto 493 di tale decisione risulta che:

–        in primo luogo, i partecipanti all’intesa hanno aderito implicitamente o esplicitamente a un accordo o a una pratica concordata in base ai quali il «territorio domestico» europeo era protetto dalla concorrenza dei fornitori di cavi elettrici giapponesi e sudcoreani, e viceversa [punto 493, lettera a), della decisione impugnata];

–        in secondo luogo, i «membri R» dell’intesa hanno partecipato alla «configurazione europea di cartello», che ripartiva i territori e i clienti nel SEE [punto 493, lettera b), della decisione impugnata];

–        in terzo luogo, vari partecipanti, tra cui le ricorrenti, hanno concordato i prezzi da offrire per i cavi elettrici sottomarini e sotterranei, anche per progetti nel SEE [punto 493, lettera d), della decisione impugnata];

–        in quarto luogo, vari partecipanti, tra cui le ricorrenti, hanno concordato i prezzi da offrire per i cavi elettrici sottomarini e sotterranei, anche per progetti nel SEE [punto 493, lettera e), della decisione impugnata];

–        in quinto luogo, vari partecipanti, tra cui le ricorrenti, erano coinvolti nello scambio di informazioni commerciali sensibili e strategiche, quali la loro capacità o il loro interesse a partecipare a specifiche gare d’appalto, anche per progetti nel SEE, [punto 493, lettera f) della decisione impugnata];

–        in sesto luogo, taluni partecipanti, tra cui le ricorrenti, erano coinvolti in pratiche volte a rafforzare l’intesa, tra cui un rifiuto collettivo di fornire accessori o assistenza tecnica a determinati concorrenti [punto 493, lettera g), della decisione impugnata];

–        in settimo luogo, vari partecipanti, tra cui le ricorrenti, monitoravano l’attuazione degli accordi di assegnazione e di fissazione dei prezzi con uno scambio di tabelle ricapitolative e di informazioni sul mercato e l’introduzione di obblighi di segnalazione, anche per progetti nel SEE [punto 493, lettera h), della decisione impugnata].

173    Occorre infine rilevare che, oltre alle affermazioni della Commissione relative, in particolare, all’accordo sul «territorio domestico» e alla «configurazione europea di cartello», il punto 493 della decisione impugnata fa anche riferimento a tutti gli elementi di prova correlati alla regola relativa ai «territori d’esportazione», nei quali le ricorrenti erano parimenti coinvolte.

174    Di conseguenza, gli elementi di prova raccolti dalla Commissione, la cui produzione è stata richiesta dal Tribunale a titolo di misure di organizzazione e istruttorie in occasione della fase scritta della presente causa (v. supra, punto 28), confermano l’esistenza dell’accordo sul «territorio nazionale» e della «configurazione europea di cartello», nonché la partecipazione delle ricorrenti a tale intesa, senza che queste ultime abbiano fornito elementi concreti che potessero rimettere in discussione, come esse affermano, una comune volontà per attuare un accordo relativo al SEE.

175    In secondo luogo, occorre sottolineare, come fatto dalla Commissione, che, nelle loro memorie, le ricorrenti non rimettono in discussione gli elementi di prova forniti nella decisione impugnata, ma si limitano a citare estratti isolati di detta decisione, in particolare dei punti 78, 501 e 626 di tale decisione, al fine di contestare la credibilità delle affermazioni effettuate quanto all’esistenza dell’accordo sul «territorio domestico» A tale riguardo, si deve peraltro rilevare che la stessa decisione espone molti elementi che confermano gli elementi incriminanti comunicati dai richiedenti il trattamento favorevole, le dichiarazioni orali e le risposte alle richieste di informazioni, oltre ai documenti raccolti nel corso delle ispezioni, che dimostrano tale esistenza.

176    In particolare, occorre rilevare che il punto 626 della decisione impugnata rinvia a diversi altri punti di tale decisione che contengono elementi di prova dell’esistenza dell’accordo sul «territorio domestico», ossia i punti 306, 329, 353, 355, 357, 358, 380, 384, 386, 393, 428 e 437 di tale decisione, i quali non sono contestati in maniera circostanziata dalle ricorrenti. Inoltre, i punti da 80 a 86 della decisione indicano che un tale accordo si applicava a progetti europei oggetto delle discussioni tra gli operatori europei, giapponesi e sudcoreani. Per giunta, come indicato dalla Commissione, tali elementi di prova contraddicono l’estratto della dichiarazione orale di J‑Power Systems citato dalle ricorrenti a supporto della loro affermazione secondo cui i contatti intercorsi tra i produttori di cavi elettrici relativi ai «territori d’esportazione» si sono interrotti alla fine del 2004. Essi sono altresì sufficienti a confutare la spiegazione avanzata dalle ricorrenti secondo cui le riunioni in cui i suddetti produttori hanno deciso di cooperare sul mercato hanno riguardato soltanto progetti al di fuori del SEE.

177    In terzo luogo, ai punti da 502 a 509 della decisione impugnata, la Commissione espone gli elementi volti a dimostrare che l’accordo sul «territorio domestico» e la «configurazione europea di cartello» sono stati attuati. A tale riguardo, si deve rilevare che, nell’ambito del presente motivo, le ricorrenti citano frammenti di detti elementi, ma omettono, in particolare, di contestare le istruzioni impartite ai produttori asiatici al fine di garantire l’attuazione del suddetto accordo. Inoltre, come sottolineato dalla Commissione, e come risulta dai punti sopra menzionati, le ricorrenti non contestano neppure gli elementi di prova relativi al fatto che le parti erano consapevoli dell’illiceità delle loro attività e hanno adottato una serie di precauzioni organizzative e tecniche per non essere scoperte.

178    In quarto luogo, quanto all’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe dovuto analizzare gli effetti dell’intesa, è sufficiente rilevare che tale obbligo non si impone quando ad essere interessate sono infrazioni per oggetto, come nel caso della ripartizione di mercato accertata dalla decisione impugnata (v. sentenza del 16 giugno 2015, FSL e a./Commissione, T‑655/11, EU:T:2015:383, punto 420 e giurisprudenza ivi citata). In ogni caso, occorre rilevare che la sezione 3.3 della decisione impugnata espone gli elementi probatori, non contestati in modo concreto dalle ricorrenti, diretti a dimostrare che l’intesa era stata messa in atto, e presenta in particolare alcuni esempi, segnatamente ai punti 113 e 114 di detta decisione. Occorre peraltro aggiungere che sebbene, come rilevato dalle ricorrenti, taluni progetti ripartiti tra le parti dell’intesa, esposti in particolare ai punti 192, 234, lettera a), e 151 di tale decisione, non siano stati attuati, risulta dalla giurisprudenza, citata al punto 645 della medesima decisione, che l’attuazione, ancorché parziale, di un accordo avente un oggetto anticoncorrenziale è sufficiente per escludere la possibilità di affermare che detto accordo non ha avuto alcuna incidenza sul mercato (sentenza del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, EU:T:2005:367, punto 148). Occorre aggiungere che, in ogni caso, tali progetti non sono idonei a rimettere in discussione tutti gli altri elementi di prova citati dalla Commissione.

179    In quinto luogo, le ricorrenti sostengono, in sostanza, che, per ragioni tecniche, commerciali e storiche, i produttori giapponesi e sudcoreani non avevano motivo di entrare in concorrenza per «progetti europei». A loro avviso, tali ragioni costituirebbero una spiegazione plausibile degli elementi di prova prodotti nella decisione impugnata.

180    A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, un accordo che mira a proteggere i produttori europei, nel loro territorio dell’Unione, da una concorrenza reale o potenziale proveniente da altri produttori stranieri è idoneo a restringere la concorrenza, a meno che non esistano barriere insormontabili all’entrata nel mercato europeo che escludano qualsiasi concorrenza potenziale da parte di tali produttori stranieri (v., in tal senso, sentenza del 21 maggio 2014, Toshiba/Commissione, T‑519/09, non pubblicata, EU:T:2014:263, punto 230).

181    Nel caso di specie, le ricorrenti non possono far valere che i produttori giapponesi e sudcoreani non erano, quanto meno, potenziali concorrenti dei produttori europei all’interno del SEE.

182    Infatti, si deve rilevare, in primo luogo, che, come risulta dal punto 658 della decisione impugnata, l’adesione all’accordo è stata regolarmente confermata dai partecipanti e i «membri A» e «R» dell’intesa si sono reciprocamente informati degli inviti a presentare offerte provenienti dai «territori» dell’altra parte. In secondo luogo, conformemente al punto 663 di tale decisione, i clienti europei invitavano regolarmente i produttori giapponesi e sudcoreani a fare un’offerta per i loro progetti. Inoltre, in quest’ultimo punto, la Commissione fa riferimento ai punti 231 e 279 di tale decisione, in cui sono citati una serie di elementi di prova da cui risulta che due produttori giapponesi erano sollecitati per progetti da realizzare all’interno del SEE, in particolare in Spagna, in Italia, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. In terzo luogo, il fatto che, come risulta dai punti 664 e 666 della stessa decisione, clienti differenti possano avere requisiti tecnici diversi, come sostenuto dalle ricorrenti, si applicherebbe a tutti i potenziali fornitori, siano essi europei, giapponesi e sudcoreani. In quarto luogo, come indicato al punto 666 della decisione in questione, dopo l’apertura dell’indagine della Commissione, diverse parti giapponesi e sudcoreane hanno assunto iniziative per partecipare a progetti da realizzarsi nel SEE. In quinto luogo, si deve rilevare che, nel 2001 e nel 2005, una società sudcoreana ha partecipato, secondo il punto 661 della stessa decisione, a progetti da realizzarsi nel SEE e consistenti in vendite di sistemi di cavi elettrici. Una simile partecipazione conferma il fatto che tale impresa era quanto meno una potenziale concorrente dei produttori europei all’interno del SEE e che non vi erano barriere di accesso insormontabili all’entrata nel mercato europeo.

183    Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la partecipazione dei produttori giapponesi e sudcoreani nel SEE non era né tecnicamente impossibile né economicamente sconveniente.

184    Di conseguenza, le ricorrenti non riescono a mettere in discussione l’affermazione della Commissione secondo la quale esse hanno partecipato a un accordo anticoncorrenziale che prevedeva, in particolare, l’accordo sul «territorio domestico».

185    Alla luce di tali considerazioni, si deve concludere che le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione non ha sufficientemente provato l’esistenza di una violazione dell’articolo 101 TFUE.

186    Il sesto motivo dev’essere pertanto respinto.

 Sul settimo motivo, vertente sull’errata determinazione della durata dell’infrazione

187    Le ricorrenti sostengono che la Commissione non ha dimostrato in modo giuridicamente adeguato la data di inizio dell’accordo anticoncorrenziale, in particolare per quanto riguarda il periodo compreso tra il 1999 e il 2000, durante il quale, a loro avviso, era in corso solo una «fase serrata di trattative». In particolare, esse sostengono che nulla dimostra che l’infrazione abbia avuto inizio con la riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo (Svizzera) e che non vi sono prove del fatto che sia stato concluso un accordo nel corso delle ulteriori riunioni alle quali Pirelli ha assistito tra il 1999 e il 2000.

188    Per quanto riguarda, da un lato, la riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, le ricorrenti rilevano che il solo atto scritto contenuto nel fascicolo della Commissione è un appunto interno preso dal sig. Y., un dipendente di Sumitomo Electric Industries, presentato nell’ambito della domanda congiunta di immunità, che sarebbe stato interpretato come un resoconto di detta riunione, sebbene l’autore non sia menzionato e l’appunto non sia stato condiviso con altre persone presenti a detta riunione. A loro avviso, si tratta di una prova dallo scarso valore probatorio, che non sarebbe suffragata da alcuna delle dichiarazioni orali di J‑Power Systems né da un complesso più ampio di elementi di prova. Analogamente, esse fanno osservare che la stessa Commissione, al punto 497 della decisione controversa, indica che durante la riunione in questione, le discussioni non hanno portato ad un accordo per quanto riguarda la determinazione dei «territori domestici» e le assegnazioni delle quote per i progetti ubicati al di fuori di tali territori. Pertanto, la Commissione non potrebbe sostenere che, a partire da tale data, vi era un’intesa, né che i partecipanti hanno eliminato o ridotto sostanzialmente l’incertezza quanto al loro comportamento sul mercato. Infine, secondo le ricorrenti, l’analisi della prassi decisionale della Commissione dimostra che il dies a quo di un’intesa non è stato mai determinato con elementi così poco comprovati.

189    Per quanto riguarda, dall’altro lato, gli ulteriori elementi di prova, le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che la decisione impugnata non dimostra, almeno per il periodo fino alla fine del 2000, che i produttori europei e giapponesi si siano accordati per realizzare la «configurazione A/R di cartello», né l’istituzione della «configurazione europea» di detto cartello. Si tratterebbe, in particolare, delle riunioni del 24 maggio 1999 a Kuala Lumpur (Malesia), del 3 e del 4 giugno 1999 a Tokio (Giappone), del 26 luglio 1999 a Londra (Regno Unito), del 19 ottobre 1999 a Kuala Lumpur, dell’1‑2 marzo 2000 a Tokyo, dell’11 maggio 2000 a Parigi (Francia), del mese di luglio a Molano o a Londra e del 29 novembre 2000 a Kuala Lumpur.

190    La Commissione confuta tali argomenti.

191    In via preliminare, si deve rammentare che l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE vieta gli accordi e le pratiche concordate che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza nel mercato interno, in particolare quelli consistenti nel ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento.

192    Perché sussista un accordo ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è sufficiente che le imprese interessate abbiano espresso la comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo. Può ritenersi che un accordo ai sensi di tale disposizione sia stato concluso allorché vi è una comune volontà sul principio stesso di una restrizione della concorrenza, anche se gli elementi specifici della restrizione prevista sono ancora oggetto di trattative (v. sentenza del 16 giugno 2011, Solvay/Commissione, T‑186/06, EU:T:2011:276, punti 85 e 86 e giurisprudenza ivi citata). Non è pertinente, a tale riguardo, esaminare se le imprese si siano ritenute – giuridicamente, di fatto o moralmente – obbligate ad adottare il comportamento tra loro concordato (sentenze del 14 maggio 1998, Mayr-Melnhof/Commissione, T‑347/94, EU:T:1998:101, punto 65, e dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata, EU:T:2008:255, punto 219 e giurisprudenza ivi citata).

193    La nozione di «pratica concordata» corrisponde ad una forma di coordinamento delle attività delle imprese che, senza spingersi fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce scientemente una cooperazione pratica tra di loro ai rischi della concorrenza (v. sentenza del 16 giugno 2011, Solvay/Commissione, T‑186/06, EU:T:2011:276, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

194    L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE osta quindi a che fra gli operatori economici abbiano luogo contatti diretti o indiretti di qualsiasi genere che possano influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente, attuale o potenziale, o rivelare a tale concorrente la condotta che essi hanno deciso o intendono seguire sul mercato quando tali contatti abbiano quale scopo o effetto la restrizione della concorrenza. Il fatto di trasmettere informazioni ai propri concorrenti al fine di preparare un accordo anticoncorrenziale è sufficiente a provare l’esistenza di una pratica concordata ai sensi della suddetta disposizione (v. sentenza del 16 giugno 2011, Solvay/Commissione, T‑186/06, EU:T:2011:276, punti 88 e 89 e giurisprudenza ivi citata).

195    Le nozioni di accordo e di pratica concordata, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, comprendono, dal punto di vista soggettivo, forme di collusione che condividono la stessa natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme con cui si manifestano. È pertanto sufficiente che siano stati provati gli elementi costitutivi dell’una o dell’altra di tali forme di infrazione previste a detta disposizione affinché, in ogni caso, quest’ultima trovi applicazione (sentenza del 5 dicembre 2013, Solvay/Commissione, C‑455/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:796, punto 53).

196    Peraltro, dalla giurisprudenza emerge che alla Commissione spetta dimostrare non solo l’esistenza dell’intesa, ma anche la sua durata (sentenza 14 luglio 2005, ThyssenKrupp/Commissione, C‑65/02 P e C‑73/02 P, EU:C:2005:454, punto 31).

197    Anche se la Commissione è tenuta a fornire prove precise e concordanti per dimostrare l’esistenza di un’infrazione all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, non è necessario che ciascuna delle prove da essa fornite risponda a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocati dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito. Pertanto, gli indizi addotti dalla Commissione nella decisione impugnata al fine di provare l’esistenza di un’infrazione a detta disposizione da parte di un’impresa devono essere valutati non isolatamente, bensì nella loro globalità (v. sentenza del 12 dicembre 2014, Repsol Lubricantes y Especialidades e a./Commissione, T‑562/08, non pubblicata, EU:T:2014:1078, punti 152 e 153 e giurisprudenza ivi citata).

198    Nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale deve essere desunta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza (sentenza del 17 settembre 2015, Total Marketing Services/Commissione, C‑634/13 P, EU:C:2015:614, punto 26).

199    Nella fattispecie, la Commissione ha affermato, in particolare ai punti 138 e 506 della decisione impugnata, che l’intesa oggetto di tale decisione era iniziata il 18 febbraio 1999, quando i rappresentanti di quattro fornitori giapponesi di cavi elettrici, ossia Fujikura, Furukawa Electric, Sumitomo Electric Industries e Hitachi Cable, e i rappresentanti di due fornitori europei di cavi elettrici, fra cui Pirelli, si sono riuniti in un albergo a Zurigo. Anche se le ricorrenti non hanno partecipato in prima persona a detta riunione, si deve ricordare che, come risulta dall’esame del quarto motivo, esse sono responsabili della partecipazione a tale riunione in qualità di successori di Pirelli.

200    La Commissione fonda l’affermazione di cui al punto 199 supra su diversi elementi in fatto che possono essere riassunti come segue.

201    In primo luogo, la Commissione ha rilevato che l’intesa oggetto della decisione impugnata trovava origine in due piani di esportazione derivanti dallo STEA e dalla SMEA, conclusi dai principali fornitori europei dei cavi elettrici negli anni 1970, nell’ambito dell’International Cable Development Corporation (Associazione internazionale per lo sviluppo dei cavi). Secondo il punto 64 di tale decisione, lo STEA e la SMEA prevedevano il quadro originario per la presentazione e l’aggiudicazione di appalti e di progetti riguardanti cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta tensione al di fuori dei «territori domestici» delle società che avevano concluso tali accordi. La Commissione indica allo stesso punto, senza essere contraddetta dalle ricorrenti, che l’indagine aveva dimostrato che, oltre a tali accordi, esisteva un’intesa non scritta tra i produttori europei, giapponesi e sudcoreani con la quale i tre gruppi di produttori si impegnavano a non farsi concorrenza nei rispettivi «territori domestici». In altre regioni, l’obiettivo dei produttori era di ripartire i progetti tra loro: ai produttori europei toccava una quota di circa il 60% dei progetti, mentre ai produttori giapponesi una quota pari all’incirca al 40%. Per organizzare l’assegnazione, venivano nominati un presidente e un segretario (o coordinatore) per ogni gruppo. Ai membri degli accordi di cui trattasi e di detta intesa non scritta che ricevevano dai clienti richieste in merito in merito a potenziali progetti di cavi elettrici sotterranei e sottomarini si chiedeva di segnalare tali richieste al segretario giapponese o europeo, se il tipo e la misura dei cavi elettrici rispondevano a determinati criteri. I segretari o coordinatori avrebbero poi discusso la questione, raggiungendo un accordo sul gruppo di produttori cui sarebbe stato affidato il progetto.

202    È pacifico che l’intesa oggetto della decisione impugnata riproduce lo schema descritto al punto 201 supra.

203    Inoltre, lo STEA e la SMEA, compresa l’intesa non scritta che li accompagnava, sono stati sciolti, secondo il punto 117 della decisione impugnata, alla fine dell’anno 1997. La Commissione fornisce prove, non contestate con elementi concreti dalle ricorrenti, dalle quali risulta, da un lato, che le società che hanno concluso tali accordi erano consapevoli della loro illiceità e, dall’altro, che esse avevano previsto una riorganizzazione di tali accordi in futuro. Essa ha inoltre fornito prove, ai punti 119 e da 121 a 136 della decisione impugnata e ai punti da 3 a 15 dell’allegato I di tale decisione, le quali confermano che dette società avevano continuato a riunirsi e a discutere delle conseguenze dell’estinzione dei suddetti accordi e della possibilità di concludere un nuovo accordo. A tal riguardo, le ricorrenti non negano di aver partecipato a undici riunioni con gli altri fornitori giapponesi organizzate nel corso del 1998 e a una riunione tenutasi nell’ottobre 1998 a Kuala Lumpur, alla quale hanno partecipato, tra l’altro, Pirelli, Sumitomo Electric Industries, Hitachi, Furukawa Electric, Fujikura e un’altra società europea.

204    Va osservato che, nel corso di una delle riunioni menzionate al precedente punto 203, è avvenuta una discussione, alla quale la Commissione fa riferimento al punto 129 della decisione impugnata e non contestata dalle ricorrenti, riguardante un progetto di cavi elettrici da realizzare a Singapore, assegnato inizialmente alle imprese europee prima dello scioglimento dello STEA e della SMEA e per il quale Furukawa Electric viene criticata per aver presentato un’offerta a basso prezzo. Nell’ambito di tale critica, è stato inoltre sottolineato che condotte simili avrebbero potuto far saltare il «futuro piano attualmente in discussione tra [i produttori giapponesi ed europei]».

205    Inoltre, la Commissione ha riportato una serie di sei riunioni periodiche organizzate nel 1999 tra i rappresentanti, segnatamente, di Pirelli, Fujikura, Furukawa Electric, Hitachi Cable e Sumitomo Electric Industries. Tali riunioni sono state seguite da altre riunioni dei fornitori giapponesi ed europei e da diverse riunioni bilaterali organizzate nel 2000. Dagli appunti contemporanei a tali riunioni, citate dalla Commissione, segnatamente, ai punti 137, 141, 143, 144 e 154 della decisione impugnata, emerge che esse avevano un contenuto anticoncorrenziale, in quanto riguardavano l’istituzione e il funzionamento di un accordo sulla ripartizione dei mercati, che riprendeva la struttura dello STEA e della SMEA. I partecipanti discutevano delle regole di ripartizione dei mercati, della definizione dei rispettivi «territori domestici», delle quote secondo cui dovevano essere suddivisi i progetti ubicati nei «territori d’esportazione», della tensione dei cavi elettrici oggetto dell’accordo, della nomina dei coordinatori regionali e delle nuove imprese che avrebbero dovuto essere coinvolte nelle discussioni al fine di assicurare il funzionamento più efficace possibile del nuovo accordo.

206    Infine, la Commissione ha rilevato, al punto 145 della decisione impugnata, che, nella loro domanda congiunta di immunità, J‑Power Systems, Sumitomo Electric Industries e Hitachi Cable hanno confermato che, nel corso del periodo iniziale dell’intesa, almeno Sumitomo Electric Industries e Hitachi Cable avevano rispettato l’accordo sul «territorio domestico» assicurandosi che determinati progetti localizzati nel «territorio domestico» venissero proposti non a loro, ma a società europee.

207    È in tale contesto che, secondo la decisione impugnata, ha avuto luogo la riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, durante la quale il sig. Y., dipendente di Sumitomo Electric Industries, ha preso appunti riprodotti dalla Commissione al punto 137 di detta decisione. Da tali appunti, che espongono senza ambiguità la data e il luogo della suddetta riunione, e la cui contemporaneità alla medesima non può quindi essere messa in discussione dalle ricorrenti, emerge che tale riunione ha riguardato le condizioni che disciplinavano l’intesa relativa ai progetti di cavi elettrici sottomarini, vale a dire le quote da assegnare ai gruppi europei e giapponesi, l’attribuzione dei «territori domestici» in base all’ubicazione degli impianti di produzione delle imprese, nonché il monitoraggio e la sorveglianza delle quote nei «territori d’esportazione» mediante tabelle ricapitolative. I partecipanti hanno inoltre discusso dell’integrazione di ABB e delle imprese giapponesi SWCC Showa Holdings e Mitsubishi Cable Industries all’accordo e hanno affrontato la questione dell’ammenda imposta ad ABB per la partecipazione all’intesa per i tubi preisolati, così mostrando di essere consapevoli di taluni rischi al riguardo.

208    Per quanto riguarda la riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, la Commissione ha indicato, al punto 497 della decisione impugnata, che alcune delle questioni che erano state discusse non erano culminate in un accordo. Infatti, dalla trascrizione della dichiarazione orale di J‑Power Systems e dalle annotazioni scritte di tale riunione emerge che le parti non hanno convenuto la quota da applicare (una «quota 60/40» o una «quota 70/30») per i «territori d’esportazione» e non hanno definitivamente deciso se i «territori domestici» dovevano coprire la Svezia (sede delle attività di produzione di ABB), la Corea del Sud e Taiwan. Tuttavia, la Commissione ha ritenuto che tale riunione segnasse l’inizio dell’infrazione. A tale riguardo, al punto 506 della suddetta decisione, essa ha indicato quanto segue:

«In considerazione (…) del comportamento tenuto prima della riunione del 18 febbraio 1999, quando le parti progettavano, innegabilmente, una ripresa dei loro precedenti accordi e (…) del comportamento successivo, quando le parti hanno assegnato apertamente progetti nei territori d’esportazione, rispettato i loro rispettivi territori domestici e preso in considerazione di invitare altri partecipanti al “piano” (…), la riunione del 18 febbraio 1999 testimonia dell’esistenza di un’intenzione comune in quel momento di ripartire mercati e clienti e di falsare il normale gioco della concorrenza per progetti di cavi elettrici [sottomarini] e [sotterranei]. A partire almeno da questa data, fra i partecipanti vi era un concorso di volontà sul principio di restrizione della concorrenza. Le parti hanno quindi concluso un accordo o attuato una pratica concordata ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, [TFUE] anche se in quel momento alcuni degli specifici dettagli dell’accordo di cartello erano ancora in discussione».

209    Il Tribunale ritiene che, alla luce della giurisprudenza citata ai precedenti punti da 192 a 198, la conclusione della Commissione relativa alla portata della riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, esposta al punto 506 della decisione impugnata, sia priva di errori di diritto o di valutazione.

210    Infatti, in primo luogo, la Commissione ha dimostrato in modo giuridicamente adeguato e tenendo correttamente conto del contesto della dissoluzione dello STEA e della SMEA, ai quali Pirelli ha partecipato, che, a partire dal 1998, i membri di tali accordi, ossia i principali fornitori europei e giapponesi di cavi elettrici sottomarini e sotterranei, hanno ripreso le trattative su un nuovo accordo e che, nel corso del tempo, sono arrivati ad attuare questo nuovo accordo. La nota scritta della riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, prima nota che illustri in maniera completa i fondamenti di questo nuovo accordo, conferma che, nel momento in cui tale nota è stata adottata, le imprese presenti a tale riunione hanno concordato il principio stesso della ripartizione dei mercati, per quanto riguarda sia i «territori d’esportazione» sia i «territori domestici». L’esistenza di tale principio, nonché il fatto che le società che hanno concluso lo STEA e la SMEA vi si attenevano, sono comprovati dalla discussione che ha coinvolto le ricorrenti, riprodotta supra al punto 204.

211    A tale riguardo, da un lato, occorre ricordare che nulla impedisce alla Commissione di tenere conto delle fasi preparatorie alla creazione propriamente detta dell’intesa, per verificare la situazione economica che ha preceduto e spiegato la creazione dell’intesa, ovvero al fine di dimostrare e di valutare i rispettivi ruoli svolti dai partecipanti all’intesa nel concepire, creare ed attuare la stessa (sentenza del 27 giugno 2012, Coats Holdings/Commissione, T‑439/07, EU:T:2012:320, punto 60).

212    Dall’altro, si deve rilevare, come giustamente fatto dalla Commissione al punto 498 della decisione impugnata, che la questione decisiva per la valutazione della portata della riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo non è se, a tale data, le sei società che hanno partecipato alla riunione avessero definitivamente convenuto di tutti gli aspetti dell’accordo, bensì se le discussioni svoltesi nel corso di tale riunione abbiano permesso a queste sei società, partecipazione di eliminare o, quantomeno, di ridurre sostanzialmente l’incertezza relativa al comportamento che si può ipotizzare avrebbero tenuto sul mercato (v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, EU:T:2008:254, punto 182 e giurisprudenza ivi citata).

213    Pertanto, né l’uso del modo condizionale e del tempo futuro negli appunti presi dal sig. Y., né il fatto che quest’ultimo avrebbe dichiarato che non è stato raggiunto alcun accordo neppure dopo la riunione tenutasi nel ottobre 1999 a Kuala Lumpur, sono sufficienti per ritenere che, alla data del 18 febbraio 1999, le società che hanno partecipato alla riunione di Zurigo non avessero ancora violato l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Inoltre, sebbene le ricorrenti mettano in dubbio il valore probatorio degli appunti del sig. Y. sulla base del fatto che si trattava di un documento interno alla J‑Power Systems, non corroborato, a loro avviso, da ulteriori appunti degli altri partecipanti alla riunione, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, la natura interna di un documento non può impedire alla Commissione di invocarlo a titolo di elementi a carico per corroborare altre prove, soprattutto nell’ambito di un complesso più ampio di elementi di prova concordanti (v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2004, JFE Engineering/Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, EU:T:2004:221, punto 231). A tale riguardo, occorre aggiungere che, per pervenire alla sua conclusione, la Commissione non si è basata esclusivamente sugli appunti del sig. Y., ma anche, come risulta dai punti da 201 a 206 supra, sul contesto generale basato su altri elementi di prova, relativi in particolare alla condotta delle parti prima e dopo quest’ultima riunione. Infine, contrariamente a quanto dedotto dalle ricorrenti, il valore probatorio degli appunti di cui trattasi non è sminuito dal fatto che essi sono stati interpretati parecchi anni più tardi dal loro autore sulla base, a loro avviso, di «lontani ricordi». A tale riguardo, è sufficiente rilevare, come fatto dalla Commissione, che una simile interpretazione a distanza di tempo non è tale da nuocere al valore probatorio di detti appunti in quanto prove documentali contemporanee.

214    In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, i diversi elementi relativi al contesto della riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, compresi gli scambi avvenuti successivamente tra le imprese interessate, confermano che, nel corso del periodo iniziale dell’intesa, i principali fornitori europei e giapponesi dei cavi elettrici sottomarini e sotterranei, compresa Pirelli, erano legati da una volontà comune di ripartire i mercati in base allo schema dello STEA e della SMEA e che, per giunta, hanno attuato tale ripartizione di mercato. Ciò riguarda, in particolare, i progetti menzionati al punto 145 della decisione impugnata, che sarebbero stati attribuiti alle imprese europee, conformemente all’accordo sul «territorio domestico».

215    Dalle considerazioni che precedono risulta che la Commissione ha correttamente considerato che, il 18 febbraio 1999, i principali fornitori giapponesi ed europei dei cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta e altissima tensione, comprese le ricorrenti, avevano una volontà comune di restringere la concorrenza attraverso una ripartizione dei mercati. Essa non ha quindi commesso errori nel rilevare che la violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, contestata alle ricorrenti era iniziata a tale data.

216    Per quanto riguarda gli argomenti delle ricorrenti secondo cui il carattere anticoncorrenziale delle riunioni che hanno avuto luogo nel corso dell’anno 2000 non è stato suffragato da sufficienti prove, è necessario osservare che, dato che la Commissione non ha commesso errori affermando che l’inizio dell’infrazione è determinato dalla riunione del 18 febbraio 1999 a Zurigo, tali argomenti sono inoperanti.

217    Il settimo motivo dev’essere quindi respinto.

 Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e degli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 e dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità per quanto riguarda il calcolo delle ammende inflitte

218    Con l’ottavo motivo, le ricorrenti sostengono, da un lato, che la valutazione della gravità dell’infrazione nella decisione impugnata nonché la determinazione dei diritti d’ingresso erano sproporzionate. Esse deducono, dall’altro, che, applicando una proporzione del valore delle vendite più elevata alle imprese europee che alle imprese giapponesi, la Commissione ha violato il principio della parità di trattamento.

219    Prima di esaminare le due parti del presente motivo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 23, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 1/2003, la Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese che hanno commesso, intenzionalmente o per negligenza, un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE ammende il cui importo è determinato tenendo conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata.

220    Conformemente ai paragrafi da 19 a 22 degli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006, uno dei due fattori su cui si fonda l’importo di base dell’ammenda è la proporzione del valore delle vendite interessate determinata in funzione del grado di gravità dell’infrazione. La gravità dell’infrazione è valutata caso per caso per ciascun tipo di infrazione, tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie. Per decidere il livello della proporzione del valore delle vendite da prendere in considerazione in un determinato caso, la Commissione tiene conto di un certo numero di fattori, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e se sia stata data attuazione alle pratiche illecite.

221    La Commissione dispone di un margine di discrezionalità nel fissare l’importo delle ammende al fine di orientare il comportamento delle imprese verso il rispetto delle regole di concorrenza (v. sentenze del 12 dicembre 2012, Novácke chemické závody/Commissione, T‑352/09, EU:T:2012:673, punto 43 e giurisprudenza ivi citata, e del 14 marzo 2013, Dole Food e Dole Germany/Commissione, T‑588/08, EU:T:2013:130, punto 662 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, nel controllare l’importo dell’ammenda, il giudice non può basarsi su tale margine discrezionale né per quanto riguarda la scelta degli elementi presi in considerazione in sede di applicazione dei criteri indicati negli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 né per quanto riguarda la valutazione di tali elementi, al fine di rinunciare a un controllo approfondito dell’importo dell’ammenda tanto in fatto quanto in diritto (sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑272/09 P, EU:C:2011:810, punto 102). Analogamente, tutte le volte che la Commissione decide di imporre ammende ai sensi del diritto della concorrenza, essa è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, tra i quali figurano i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, quali interpretati dai giudici dell’Unione (sentenza del 12 dicembre 2012, Novácke chemické závody/Commissione, T‑352/09, EU:T:2012:673, punto 44).

222    Nel caso di specie, occorre ricordare che, nella decisione impugnata, in particolare ai suoi punti da 997 a 1010, la Commissione ha ritenuto che, per quanto riguardava l’importo di base dell’ammenda e la determinazione della gravità, l’infrazione, per sua natura, costituisse una delle restrizioni più gravi della concorrenza, il che giustificava, a suo parere, l’applicazione di una percentuale pari al 15%. Inoltre, essa ha applicato una maggiorazione del 2% a tale percentuale per tutti i destinatari in considerazione della quota di mercato aggregata nonché della portata geografica quasi mondiale dell’intesa, che copriva l’intero territorio del SEE. Inoltre, essa ha ritenuto, in particolare, che il comportamento delle imprese europee, comprese le ricorrenti, fosse più dannoso per la concorrenza di quello delle altre imprese, in quanto, oltre alla loro partecipazione alla «configurazione A/R di cartello», le imprese europee si sono spartite i progetti di cavi elettrici nell’ambito della «configurazione europea» di detto cartello. Per tale ragione, la Commissione ha fissato la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione a titolo della gravità dell’infrazione nella misura del 19% per le imprese europee e del 17% per le altre imprese.

223    È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare le due parti del motivo dedotte dalle ricorrenti.

–       Sulla prima parte, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

224    Le ricorrenti censurano la Commissione, in sostanza, per non aver tenuto sufficientemente conto del contesto dell’infrazione nella fase della fissazione dell’ammenda. In particolare, esse ritengono, anzitutto, che l’importo di base avrebbe dovuto essere adeguato alla luce, in particolare, della portata limitata dell’infrazione, o addirittura dell’assenza di effetti concreti dell’infrazione nel SEE. Inoltre, esse sostengono che l’infrazione non ha influito sulla maggior parte delle vendite di cavi elettrici di cui alla comunicazione degli addebiti e che l’accordo anticoncorrenziale loro contestato non ha potuto avere effetti sui consumatori finali, in particolare sui prezzi che sono stati loro fatturati. Inoltre, esse ritengono che la Commissione avrebbe dovuto tenere conto della progressiva cancellazione dell’intesa a partire dal 2004. Infine, esse fanno valere che circostanze in fatto esterne all’intesa, come il costo delle materie prime, ne hanno attenuato gli effetti.

225    La Commissione confuta tali argomenti.

226    In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti relativo alla portata limitata dell’infrazione, si deve rilevare che, nella parte in cui si basa sulla mancata prova dell’esistenza dell’accordo sul «territorio domestico», esso deve essere respinto. Infatti, come risulta dalla conclusione raggiunta al punto 184 supra, le ricorrenti non sono riuscite a mettere in discussione l’affermazione della Commissione secondo la quale esse hanno partecipato ad un accordo anticoncorrenziale che prevedeva, in particolare, l’accordo sul «territorio domestico». In tali circostanze, occorre rilevare che l’intesa non aveva una portata limitata nel senso sostenuto dalle ricorrenti.

227    Inoltre, occorre rilevare, come fatto al punto 1001 della decisione impugnata, che la percentuale del 15% era giustificata, nella fattispecie, in considerazione della sola natura dell’infrazione cui le ricorrenti avevano partecipato, vale a dire la ripartizione dei mercati per i cavi elettrici sotterranei. Infatti, un’infrazione del genere rientra tra le restrizioni di concorrenza più gravi ai sensi del paragrafo 23 degli orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende e la percentuale del 15% corrisponde a quella più bassa nella scala delle sanzioni prevista per simili infrazioni ai sensi di tali orientamenti (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2017, Laufen Austria/Commissione, C‑637/13 P, EU:C:2017:51, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

228    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento sull’assenza di impatto dell’intesa sul mercato, occorre ricordare che, poiché l’infrazione accertata nella decisione impugnata è un’infrazione per oggetto, secondo giurisprudenza costante, la Commissione non era tenuta dimostrarne gli effetti (v. sentenza del 13 dicembre 2012, Expedia, C‑226/11, EU:C:2012:795, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, come già ricordato al precedente punto 178, l’attuazione, ancorché parziale, di un accordo avente un oggetto anticoncorrenziale è sufficiente per escludere la possibilità di concludere che il detto accordo non ha avuto alcuna incidenza sul mercato (sentenza del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, EU:T:2005:367, punto 148).

229    Nella replica, le ricorrenti sostengono tuttavia, in sostanza, che un accordo anticoncorrenziale che non è stato pienamente attuato e che non ha, in ogni caso, alcuna incidenza sui prezzi pagati dai clienti dev’essere considerato meno grave di un accordo che è pienamente attuato e che causa un pregiudizio ai clienti facendo aumentare i prezzi.

230    A tal riguardo, è necessario rilevare che la maggior parte degli argomenti delle ricorrenti si riferiscono al criterio dell’impatto concreto sul mercato, in particolare sui prezzi pagati dai clienti finali, che, se misurabile, poteva essere preso in considerazione dalla Commissione nella determinazione dell’ammenda, ai sensi del punto 1.A degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3). Orbene, secondo la lettera stessa del paragrafo 22 degli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006, applicabili ai fatti del caso di specie, la Commissione non deve necessariamente tenere conto dell’impatto concreto sul mercato, o della sua assenza, come un fattore aggravante o attenuante in sede di valutazione della gravità dell’infrazione ai fini del calcolo dell’ammenda. È sufficiente che, come nella fattispecie e come emerge dal punto 222 supra, il livello della proporzione del valore delle vendite da prendere in considerazione fissato dalla Commissione sia giustificato da altri elementi idonei ad incidere sulla determinazione della gravità ai sensi di quest’ultima disposizione, quali la natura stessa dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le parti interessate e la sua portata geografica. Pertanto, qualora le ricorrenti, con i loro argomenti, intendano dimostrare che, per ragioni indipendenti dalla volontà dei membri dell’intesa, essa non ha potuto spiegare i propri effetti o dare i risultati sperati, tali argomenti devono essere respinti.

231    L’argomentazione delle ricorrenti non merita accoglimento neppure laddove debba essere interpretata nel senso che esse ritengono che la Commissione non abbia dimostrato l’attuazione dell’infrazione.

232    Infatti, l’affermazione della Commissione, effettuata al punto 1009 della decisione impugnata, secondo cui l’intesa è stata in linea di massima attuata e l’adesione delle parti a quest’ultima era monitorata tramite lo scambio di tabelle ricapitolative e l’obbligo di trasmettere informazioni, non è viziata da alcun errore, come è stato indicato al punto 178 supra. Risulta, inoltre, dall’insieme delle osservazioni dirette a dimostrare l’esistenza dell’infrazione, esposte in particolare nelle sezioni 3.3 e 3.4 della decisione impugnata, e non contestate in modo circostanziato dalle ricorrenti nell’ambito della presente parte di motivo, che, dopo un periodo iniziale di elaborazione delle regole di un nuovo accordo sulla suddivisione dei territori tra le imprese produttrici di cavi elettrici sottomarini e sotterranei, tali imprese hanno in linea di massima, e durante la maggior parte del periodo di cui trattasi, seguito le consegne derivanti dall’accordo medesimo relative al ritiro reciproco dai «territori domestici», alla ripartizione dei «territori di esportazione» e all’assegnazione dei progetti nell’ambito della «configurazione europea di cartello».

233    In terzo luogo, le ricorrenti fanno valere, in sostanza, che la Commissione avrebbe dovuto tener conto della significativa attenuazione dell’intesa a partire dal 2004 in sede di determinazione del grado di gravità. A tale riguardo, è sufficiente rilevare il carattere unico e continuato dell’infrazione accertata dalla Commissione, non contestato in maniera specifica dalle ricorrenti, e il fatto che le prove raccolte dalla Commissione non fanno alcuna menzione di interruzioni dell’intesa nel periodo che andava fino al 2009.

234    In quarto luogo, le ricorrenti fanno osservare come dai punti da 998 a 1010 della decisione impugnata emerga che la Commissione ha aumentato la proporzione del valore delle vendite del 2% per tutte le imprese, da una parte, in considerazione della quota di mercato aggregata di tutte le imprese e, dall’altro, in ragione dell’estensione geografica dell’infrazione. Esse fanno valere che tale aumento, in quanto basato sulla dimensione della quota di mercato cumulativa, è infondato, dato che un certo numero di partecipanti sono cambiati nel corso dell’infrazione e che, in particolare, talune imprese si sono unite all’infrazione ben dopo il 18 febbraio 1999 e hanno cessato la loro partecipazione prima della data finale del 28 gennaio 2009.

235    A tale riguardo, occorre rilevare che sebbene, come sostengono le ricorrenti, non tutte le imprese coinvolte nell’intesa abbiano partecipato a quest’ultima per tutto il periodo considerato, ciò non toglie che, da un lato, per la maggior parte della sua esistenza, l’intesa riuniva i principali produttori europei e giapponesi di cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta e altissima tensione. Inoltre, per un periodo considerevole, che va dalla fine del 2001 al 2006, l’intesa è stata rafforzata dalla partecipazione dei fornitori europei di minori dimensioni come Brugg Kabel, nkt cables, Safran e Silec Cable e, per il periodo compreso tra la fine del 2002 e la metà del 2005, dalla partecipazione dei fornitori sudcoreani. D’altra parte, come rileva la Commissione, senza essere contraddetta dalle ricorrenti, il numero dei partecipanti al mercato in questione che non sono destinatari della decisione impugnata è molto limitato. In tali circostanze, si deve ritenere, in esito ad un controllo approfondito, che la Commissione abbia potuto affermare, senza incorrere in errore, che i destinatari della decisione costituivano la quasi totalità dei produttori di cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta e altissima tensione. Essa ha anche potuto considerare a giusto titolo che tale elemento, così come quello della portata geografica quasi globale dell’intesa, non contestata dalle ricorrenti, aggravavano l’infrazione e aumentavano, di conseguenza, la proporzione del valore delle vendite del 2% per tener conto di questi due elementi.

236    In quinto luogo, le ricorrenti sostengono che la Commissione avrebbe dovuto escludere il costo delle materie prime nella determinazione della gravità. In sostanza, esse osservano che, per trovare un migliore riferimento del vantaggio economico ottenuto da ciascun partecipante all’infrazione e, di conseguenza, il peso relativo di ciascuna impresa nell’intesa, gli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 hanno introdotto la nozione di «valore delle vendite» correlato ai comportamenti controversi. Orbene, esse ritengono che, in tali circostanze, sia necessario assicurarsi che il valore preso in considerazione rispecchi fedelmente i vantaggi ottenuti dai partecipanti all’intesa, segnatamente in termini di utili.

237    A tale riguardo, è sufficiente rilevare che, come indicato dalla Commissione al punto 976 della decisione impugnata, il Tribunale ha già respinto un argomento analogo presentato nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza del 14 maggio 2014, Reagens/Commissione (T‑30/10, non pubblicata, EU:T:2014:253, punto 233). Infatti, da detta sentenza, nonché della giurisprudenza ivi citata, risulta che non vi è alcuna valida ragione che imponga di calcolare il fatturato di un determinato mercato escludendo taluni costi di produzione, dato che tutti i settori dell’industria sopportano costi legati al prodotto finale che sfuggono al controllo del fabbricante, ma che costituiscono nondimeno un elemento essenziale della sua attività globale e che, pertanto, non possono essere esclusi dal suo fatturato in sede di determinazione dell’importo di base dell’ammenda.

238    Peraltro, occorre rilevare che, come affermato dalla Corte nella sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione (C‑272/09 P, EU:C:2011:810, punto 53), non tenere conto del fatturato lordo in alcuni casi e prenderlo in considerazione in altri richiederebbe la fissazione di una soglia, sotto forma di rapporto tra fatturato lordo e fatturato netto, che sarebbe difficile da applicare e darebbe adito a controversie interminabili ed insolubili, anche vertenti su asserite disparità di trattamento. Nessuno degli argomenti esposti dalle ricorrenti nei confronti di una simile affermazione, tra cui la circostanza che gli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 prendono in considerazione il «valore delle vendite» delle imprese interessate, e non il «volume d’affari» come fatto dagli orientamenti per il calcolo delle ammende del 1998, può giustificare l’adozione di un criterio giurisprudenziale diverso nella fattispecie.

239    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve concludere che la Commissione non ha violato il principio di proporzionalità in sede di determinazione dell’importo di base dell’ammenda nel senso sostenuto dalle ricorrenti.

240    La prima parte del presente motivo deve quindi essere respinta.

–       Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

241    Le ricorrenti fanno valere che la distinzione effettuata dalla Commissione tra le imprese europee e le imprese giapponesi per quanto riguarda la proporzione del valore delle vendite considerata al fine di tener conto della gravità dell’infrazione è in contrasto con il principio della parità di trattamento.

242    Le ricorrenti ricordano che la percentuale del valore delle vendite applicata dalla Commissione alle imprese europee era del 2% più alta rispetto a quella applicata alle altre imprese. Per motivare questa distinzione, la Commissione avrebbe rilevato, al punto 999 della decisione impugnata, che, oltre ai meccanismi di assegnazione della «configurazione A/R di cartello», «alcuni progetti SEE [erano] soggetti a forme ulteriori di ripartizioni tra produttori europei attraverso la configurazione europea di [tale] cartello». Orbene, esse sottolineano che, secondo la Commissione, «[q]uesta parte del cartello, che era attuata esclusivamente dai produttori europei, non ha fatto che aggravare i danni alla concorrenza già causati dall’accordo di ripartizione dei mercati sottoscritto tra i produttori europei, giapponesi e [sud]coreani e quindi aumentare la gravità dell’infrazione» e che «[l]’ulteriore distorsione causata dalla configurazione europea di cartello giustifica[va] un aumento del 2% del coefficiente dì gravità per le imprese che [avevano] preso parte anche a questa dimensione dell’infrazione».

243    Le ricorrenti contestano tale distinzione, da un lato, sostenendo che la «configurazione europea di cartello» non è stata attuata esclusivamente dalle imprese europee. Risulterebbe, infatti, dalla decisione impugnata che le imprese giapponesi e coreane hanno partecipato all’intesa allo stesso livello delle imprese europee. Dall’altro, esse ritengono che la Commissione non abbia dimostrato in che modo tale configurazione avesse «aggrava[to] i danni alla concorrenza già causati», né quale fosse l’«ulteriore distorsione» provocata da tale configurazione.

244    La Commissione confuta tali argomenti.

245    Si deve ricordare che, secondo giurisprudenza costante, tutte le volte che la Commissione decide di imporre ammende ai sensi del diritto della concorrenza, essa è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, tra i quali figura il principio della parità di trattamento, quale interpretato dai giudici dell’Unione. Tale principio impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera differenziata e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenze del 27 giugno 2012, Bolloré/Commissione, T‑372/10, EU:T:2012:325, punto 85 e giurisprudenza ivi citata, e del 19 gennaio 2016, Mitsubishi Electric/Commissione, T‑409/12, EU:T:2016:17, punto 108 e giurisprudenza ivi citata).

246    Per quanto riguarda la valutazione della gravità del comportamento delle imprese europee rispetto al comportamento delle imprese asiatiche, in particolare le imprese giapponesi, occorre ricordare che la Commissione ha qualificato l’infrazione indicata nella decisione impugnata come un’infrazione unica e continuata composta da due configurazioni: la «configurazione A/R di cartello» e la «configurazione europea» di detto cartello. La prima di queste configurazioni comportava, da un lato, un accordo sul «territorio domestico», in forza del quale le imprese giapponesi e sudcoreane si impegnavano ad abbandonare il «territorio domestico» europeo, riservato ai «membri R» dell’intesa, in cambio di un impegno reciproco di questi ultimi ad abbandonare il «territorio domestico» giapponese e sudcoreano e, dall’altro, una ripartizione dei progetti ubicati nella maggior parte del resto del mondo, denominata «territori d’esportazione». La seconda di tali configurazioni, come risulta dal punto 12 supra, mirava a ripartire tra le imprese europee i progetti ubicati nel «territorio domestico» europeo e i progetti assegnati a livello europeo nei «territori d’esportazione».

247    Le ragioni per cui la Commissione ha ritenuto che le due configurazioni di cartello facessero parte di un’unica infrazione sono esposte ai punti da 527 a 619 della decisione impugnata. In tale contesto, per quanto riguarda la condizione dell’esistenza di un obiettivo unico che legava tali configurazioni, al punto 534 di detta decisione la Commissione ha rilevato quanto segue:

«La configurazione europea di cartello (così come l’assegnazione tra le imprese asiatiche) era subordinata all’accordo quasi globale e gli conferiva efficacia. Infatti, nel corso delle riunioni europee R, il coordinatore europeo riferiva le discussioni svoltesi durante le riunioni A/R (…). A tal fine, le parti organizzavano spesso riunioni R subito prima di un incontro A/R (…). Inoltre, durante le riunioni R, le parti esprimevano il proprio interesse per progetti nei territori d’esportazione che sarebbero stati discussi durante le riunioni A/R. I partecipanti alle riunioni A/R venivano a loro volta informati delle principali discussioni tenute [nell’ambito di tale configurazione]. La configurazione europea di cartello formava quindi parte integrante del piano complessivo».

248    La Commissione ha considerato la maggior parte delle imprese giapponesi e sudcoreane responsabili della partecipazione all’intera intesa, anche nella sua «configurazione europea». In particolare, essa ha riconosciuto, per la totalità di tale intesa, la responsabilità delle imprese giapponesi raggruppate nel gruppo principale dell’intesa, vale a dire Sumitomo Electric Industries, Hitachi Cable e la loro impresa comune J‑Power Systems, nonché Furukawa Electric, Fujikura e la loro impresa comune Viscas.

249    Tuttavia, al punto 537 della decisione impugnata, la Commissione ha attenuato il livello di partecipazione all’intesa delle varie imprese. Essa ha infatti affermato quanto segue:

«Il gruppo principale di imprese (Nexans, Pirelli/Prysmian, Furukawa [Electric], Fujikura e Viscas, Sumitomo [Electric Industries], Hitachi [Cable] e [J‑Power Systems]) era lo stesso sia per i cavi elettrici [sottomarini] sia per quelli [sotterranei], e applicava sia il principio del territorio domestico sia l’accordo per l’assegnazione di progetti nei territori d’esportazione. Mentre per ovvie ragioni le imprese giapponesi e coreane non erano coinvolte nella configurazione europea di cartello, Nexans e Pirelli/Prysmian erano attive in entrambe».

250    È sulla base di questa affermazione che la Commissione ha concluso, al punto 999 della decisione impugnata, oggetto degli argomenti delle ricorrenti, che l’infrazione commessa dalle imprese europee doveva essere considerata più grave di quella commessa dalle imprese giapponesi e che pertanto, a causa del loro coinvolgimento nella «configurazione europea di cartello», la proporzione del valore delle vendite delle imprese europee, utilizzata per il calcolo dell’importo di base dell’ammenda, doveva essere aumentata del 2%.

251    A tale riguardo, si deve considerare che il fatto che, come sostengono le ricorrenti, la partecipazione delle imprese giapponesi sia stata simile a quella delle imprese europee per quanto riguarda la partecipazione alla «configurazione europea di cartello», quand’anche dimostrato, non è tale da rimettere in discussione la conclusione della Commissione secondo cui la ripartizione dei progetti all’interno del SEE costituiva un elemento ulteriore che meritava di essere sanzionato con una percentuale aggiuntiva a titolo della gravità dell’infrazione.

252    Infatti, da un lato, occorre rilevare che, oltre alla «configurazione A/R di cartello», in cui le imprese europee e asiatiche si sono accordate per non entrare nei rispettivi «territori domestici», i produttori europei, incluse le ricorrenti, si sono ripartiti i vari progetti di cavi elettrici assegnati ai «membri R» dell’intesa. In particolare, come risulta dal punto 73 della decisione impugnata, tale ripartizione ha riguardato tanto l’assegnazione dei progetti nei «territori di esportazione», operata nell’ambito di tale configurazione, quanto l’assegnazione dei progetti spettanti a detti membri ai sensi dell’accordo sul «territorio domestico», ossia i progetti situati sul «territorio domestico» europeo. Dall’altro, si deve rilevare che, anche se la ripartizione dei progetti all’interno di questa configurazione e la ripartizione dei progetti all’interno della «configurazione europea di cartello» erano strettamente connesse, come spiegato dalla Commissione al punto 534 di detta decisione, quest’ultima configurazione ha comportato un impegno supplementare di ripartizione dei progetti, che andava oltre le regole di assegnazione vigenti nella «configurazione A/R di cartello».

253    Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non vi è dubbio che la ripartizione dei progetti relativi a cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta tensione all’interno della «configurazione europea di cartello» ha rafforzato il pregiudizio alla concorrenza causato nel SEE dalla «configurazione A/R di tale cartello».

254    Di conseguenza, era giustificato, come sostenuto dalla Commissione, che la valutazione della gravità del comportamento dei produttori partecipanti alla «configurazione europea di cartello», in particolare i produttori europei, riflettesse il pregiudizio supplementare arrecato alla concorrenza all’interno del SEE.

255    Ne consegue che l’argomento delle ricorrenti secondo cui, in sostanza, la Commissione è incorsa in un errore di valutazione ritenendo che le imprese giapponesi non avessero partecipato allo stesso livello delle imprese europee alla «configurazione europea di cartello» è irrilevante per quanto riguarda l’esistenza di una violazione del principio di parità di trattamento nei confronti delle ricorrenti.

256    Infatti, questo argomento, se fondato, sarebbe tale da giustificare l’aumento della percentuale del valore delle vendite preso in considerazione per calcolare l’ammenda inflitta alle imprese giapponesi.

257    Tale circostanza è invece priva di rilevanza quanto alla percentuale del valore delle vendite utilizzata nei confronti delle ricorrenti per tener conto della gravità del loro comportamento, dato che il principio della parità di trattamento non può fondare alcun diritto all’applicazione non discriminatoria di un trattamento illegittimo (sentenza dell’11 settembre 2002, Pfizer Animal Health/Consiglio, T‑13/99, EU:T:2002:209, punto 479).

258    Da quanto precede risulta che occorre respingere la seconda parte del presente motivo, nonché l’ottavo motivo nel suo complesso.

 Sul nono motivo, vertente sull’asserito errore che ha fatto figurare il sig. R. nell’elenco delle persone interessate dalla decisione impugnata

259    Le ricorrenti rilevano che, all’allegato II della decisione impugnata, sotto la rubrica intitolata «Nomi e attività lavorative delle persone di cui alla presente decisione», la Commissione ha erroneamente incluso il nome del sig. R., membro del consiglio di amministrazione di Prysmian e direttore della strategia all’interno del gruppo Prysmian. In particolare, esse sostengono che qualunque menzione del sig. R come persona che abbia avuto una qualsivoglia relazione con l’infrazione è falsa e priva di fondamento e deve, di conseguenza, essere ritirata dagli allegati alla suddetta decisione.

260    La Commissione confuta tali argomenti.

261    A tale riguardo, è sufficiente constatare, da un lato, che, al punto 759 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato che il sig. R. era uno dei membri del consiglio di amministrazione di Prysmian, per nomina di Goldman Sachs. Dall’altro lato, agli allegati I e II della decisione impugnata, il nome del sig. R. appariva menzionato come soggetto interessato da tale decisione.

262    Orbene, contrariamente a quanto fatto valere dalle ricorrenti, non risulta da alcuno dei punti della decisione impugnata né dagli allegati a detta decisione che la Commissione attribuisca al sig. R. a titolo personale la partecipazione all’intesa in questione. Infatti, la Commissione non ha affermato in tale decisione che il sig. R. era stato personalmente coinvolto in tale intesa, ma lo ha menzionato solo in qualità di dipendente di una delle ricorrenti. Ciò considerato, si deve ritenere che la Commissione non sia incorsa in errore includendo, in particolare nell’allegato II della medesima decisione, il nome del sig. R.

263    Inoltre, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, le indagini e le decisioni della Commissione non hanno, in linea di principio, l’obiettivo di stabilire che talune persone fisiche hanno partecipato a un’intesa, ma di accertare che le imprese lo hanno fatto, in violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Nella decisione impugnata, la Commissione ha accertato che sono state le ricorrenti, tra gli altri, a violare tale disposizione partecipando a un accordo unico e continuato e a pratiche concordate nel settore dei cavi elettrici. Il sig. R non è indicato all’articolo 1 della decisione impugnata come uno dei partecipanti all’intesa (v., per analogia, sentenza del 2 febbraio 2012, EI du Pont de Nemours e a./Commissione, T‑76/08, non pubblicata, EU:T:2012:46, punto 159).

264    Ne consegue che il presente motivo, in quanto volto a contestare la fondatezza della conclusione della Commissione relativa alla partecipazione del sig. R. all’intesa, deve essere respinto.

265    Il nono motivo va quindi respinto.

266    Alla luce di quanto sopra esposto, occorre concludere che le ricorrenti non sono riuscite a dimostrare l’esistenza di irregolarità perpetrate dalla Commissione che giustifichino l’annullamento della decisione impugnata nella parte che la riguarda.

267    Le conclusioni di annullamento formulate dalle ricorrenti devono dunque essere respinte.

 Sulle conclusioni dirette alla riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti

268    Le ricorrenti chiedono al Tribunale di ridurre l’importo delle ammende che sono state loro inflitte per tenere conto degli errori in cui la Commissione è incorsa in sede di calcolo di detti importi. Esse invitano altresì il Tribunale a «modificare l’ammenda in via equitativa» in considerazione della durata eccessiva del procedimento amministrativo.

269    Prima di esaminare le varie domande delle ricorrenti volte a ottenere una riduzione dell’importo delle ammende loro inflitte, si deve ricordare che il controllo di legittimità è completato dalla competenza estesa al merito riconosciuta al giudice dell’Unione dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta. Occorre tuttavia sottolineare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e ricordare che il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi (sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑389/10 P, EU:C:2011:816, punti 130 e 131).

 Sulla domanda di riduzione dell’importo delle ammende inflitte a causa degli errori in cui la Commissione è incorsa nel calcolo del suddetto importo

270    Per quanto riguarda, in primo luogo, la domanda delle ricorrenti di riduzione dell’importo delle ammende loro inflitte per tenere conto degli errori in cui la Commissione è incorsa nel calcolo di detto importo, occorre rilevare, da un lato, che i motivi dedotti dalle ricorrenti a sostegno delle conclusioni di annullamento sono stati respinti e, dall’altro, che non vi sono elementi che, nel caso di specie, siano tali da giustificare una riduzione di detti importi. Ne consegue che la presente domanda deve essere respinta.

 Sulla domanda di riduzione dell’importo delle ammende inflitte in considerazione della durata eccessiva del procedimento amministrativo

271    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’invito delle ricorrenti a ridurre secondo equità l’importo delle ammende loro inflitte in considerazione della durata eccessiva del procedimento amministrativo, è sufficiente ricordare che, anche se la violazione del principio del termine ragionevole da parte della Commissione può giustificare l’annullamento di una decisione adottata dalla Commissione in esito a un procedimento amministrativo ai sensi degli articoli 101 e 102 TFUE qualora essa comporti anche una violazione dei diritti della difesa dell’impresa interessata, una simile violazione di detto principio, quand’anche dimostrata, non può condurre a una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy e Boch/Commissione, C‑644/13 P, EU:C:2017:59, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

272    In ogni caso, come emerge dal precedente punto 93, nella fattispecie non si è potuta riscontrare una durata eccessiva del procedimento amministrativo. Ne consegue che la presente domanda non può essere accolta e che, di conseguenza, occorre respingere le conclusioni dirette alla riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti nel loro complesso.

 Sulle spese

273    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

274    Poiché le ricorrenti sono rimaste soccombenti nell’insieme delle conclusioni e dei motivi proposti e la Commissione ha presentato domanda di condanna alle spese, le ricorrenti devono essere condannate a sopportare la totalità delle spese.

275    A norma dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere che un interveniente diverso da quelli menzionati nei paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo sopporterà le proprie spese. Nelle circostanze della fattispecie occorre decidere che Goldman Sachs e Pirelli sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Prysmian SpA e Prysmian Cavi e Sistemi Srl sopporteranno le proprie spese nonché quelle della Commissione europea.

3)      The Goldman Sachs Group, Inc. e Pirelli & C. SpA sopporteranno le proprie spese.

Collins

Kancheva

Barents

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 luglio 2018.

Firme


Indice


Fatti all’origine della controversia

Ricorrenti e settore interessato

Procedimento amministrativo

Decisione impugnata

Infrazione in esame

Responsabilità delle ricorrenti

Ammende inflitte

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulle conclusioni di annullamento

Sul primo motivo, vertente sull’illegittimità delle ispezioni della Commissione

– Sullo svolgimento dell’ispezione

– Sull’asserita mancanza di base giuridica

– Sull’asserita violazione della decisione di ispezione

– Sull’impossibilità di presentare una domanda di immunità

Sul secondo motivo, relativo alla violazione del principio del termine ragionevole

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio di buona amministrazione

Sul quarto motivo, vertente sull’imputazione erronea a PrysmianCS di una responsabilità per il periodo anteriore al 27 novembre 2001

– Sulla prima parte, fondata sulla violazione del principio di responsabilità personale

– Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione

Sul quinto motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, in quanto la Commissione non ha determinato le quote dei debitori in solido nei loro rapporti interni

Sul sesto motivo, vertente sull’insufficienza di prove dell’esistenza di una violazione dell’articolo 101 TFUE

Sul settimo motivo, vertente sull’errata determinazione della durata dell’infrazione

Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e degli orientamenti per il calcolo delle ammende del 2006 e dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità per quanto riguarda il calcolo delle ammende inflitte

– Sulla prima parte, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

– Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

Sul nono motivo, vertente sull’asserito errore che ha fatto figurare il sig. R. nell’elenco delle persone interessate dalla decisione impugnata

Sulle conclusioni dirette alla riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti

Sulla domanda di riduzione dell’importo delle ammende inflitte a causa degli errori in cui la Commissione è incorsa nel calcolo del suddetto importo

Sulla domanda di riduzione dell’importo delle ammende inflitte in considerazione della durata eccessiva del procedimento amministrativo

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.