CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO MENGOZZI
presentate il 19 settembre 2013 (1)
Cause riunite C‑231/11 P, C‑232/11 P e C‑233/11 P
Commissione europea
contro
Siemens Österreich e altri (C‑231/11 P)
Siemens Transmission & Distribution Ltd (C‑232/11 P)
Siemens Transmission & Distribution SA
e
Nuova Magrini Galileo SpA (C‑233/11 P)
contro
Commissione europea
«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Mercato dei progetti relativi ad apparecchiature di comando con isolamento in gas – Responsabilità solidale per il pagamento dell’ammenda – Ambiti di competenza della Commissione e dei giudici nazionali – Nozione di impresa – Principi della responsabilità personale e di personalità delle pene e delle sanzioni – Competenza del Tribunale estesa al merito – Regola del “ne ultra petita” – Principio del contraddittorio –Principi di proporzionalità e di parità di trattamento»
1. Le tre impugnazioni oggetto delle presenti cause riunite sono tutte dirette a chiedere l’annullamento parziale della sentenza del Tribunale del 3 marzo 2011, Siemens AG Österreich e a./Commissione (2) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»). Con tale sentenza il Tribunale ha annullato parzialmente e ha susseguentemente riformato la decisione C(2006) 6762 def. della Commissione (3) (in prosieguo: la «decisione controversa»), con cui tale istituzione aveva constatato l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale nel settore delle apparecchiature di comando con isolamento in gas (gas insulated switch gear) (in prosieguo: le «GIS») (4), e aveva inflitto una serie di ammende alle imprese aventi partecipato all’intesa.
2. La prima impugnazione, proposta dalla Commissione nella causa C‑231/11 P, solleva un’importante questione di diritto la cui soluzione, da un lato, è suscettibile di incidere sull’equilibrio istituzionale tra organi dell’Unione e degli Stati membri in quanto riguarda i rispettivi ambiti di competenze della Commissione e dei giudici nazionali e, dall’altro, può avere un impatto rilevante nell’applicazione pratica da parte della Commissione delle norme di concorrenza dell’Unione. In particolare, con la sua impugnazione la Commissione contesta la sentenza del Tribunale nella misura in cui, allorquando detta istituzione sanziona più persone in solido per la violazione delle norme di concorrenza, essa le riconosce la competenza e l’obbliga a determinare le relazioni interne tra i condebitori dell’ammenda da essa inflitta (ossia i c.d. rapporti di solidarietà interna) (5) e a stabilire pertanto per ciascun soggetto sanzionato solidalmente il rispettivo importo pro quota dell’ammenda che esso sarà tenuto a sopportare(6).
3. La seconda (causa C‑232/11 P) e la terza (causa C‑233/11 P) impugnazione sono invece proposte da tre società sanzionate per la partecipazione all’intesa relativa alle GIS e sono, in sostanza, dirette a contestare le ammende che il Tribunale ha inflitto loro nell’esercizio della sua competenza estesa al merito.
I – Fatti
A – Le ricorrenti
4. Le ricorrenti nella seconda e nella terza impugnazione in causa sono tre società per cui non è contestata la partecipazione all’intesa e che durante il periodo in cui questa era operante, ossia tra il 1988 e il 2004, sono state oggetto di diverse complesse vicende societarie che occorre riassumere brevemente.
5. In particolare, la ricorrente nella causa C‑232/11 P la Siemens Transmission & Distribution Ltd (già Reyrolle Ltd e, successivamente, VA Tech Reyrolle Ltd, in prosieguo: la «Reyrolle») è stata tra il 1988 e il 1998 una controllata del gruppo Rolls-Royce. In data 20 settembre 1998 essa è stata acquisita dalla VA Technologie AG (in prosieguo: la «VA Technologie»), la quale a sua volta il 13 marzo 2001 l’ha apportata come conferimento – tramite una sua controllata al 100%, la VA Tech Transmission & Distribution GmbH & Co. KEG (in prosieguo: la «KEG») – nell’ambito di un’operazione volta a creare una nuova società, la VA Tech Schneider High Voltage GmbH (in prosieguo: la «VAS»). La VAS era inizialmente controllata al 60% dalla VA Technologie e al 40% dalla Schneider Electric SA (in prosieguo: la «Schneider») (7).
6. Le due ricorrenti nella causa C‑233/11 P, la Siemens Transmission & Distribution SA (in prosieguo: la «SEHV») e la Nuova Magrini Galileo SpA (in prosieguo: la «Magrini») sono state fino al marzo 2001 due società controllate al 100% dalla Schneider. In tale data, nell’ambito della creazione della VAS, la Schneider ha apportato le due società in questione come conferimento (8).
7. Nell’ottobre del 2004 la VA Technologie ha acquisito dalla Schneider, tramite la KEG, la totalità del capitale sociale della VAS (9). Infine, nel 2005 la Siemens AG, attraverso una sua controllata Siemens AG Österreich (in prosieguo: la «Siemens Österreich») ha acquisito il controllo esclusivo del gruppo del quale la VA Technologie era a capo (il quale comprendeva la VAS, la Reyrolle, la SEHV, la Magrini e la KEG, in prosieguo congiuntamente: il «gruppo VA Tech»). In seguito a tale acquisizione, la VA Technologie e, successivamente, la VAS sono state fuse nella Siemens Österreich (10).
B – Il procedimento amministrativo e la decisione controversa
8. Risulta dai punti da 4 a 11 della sentenza impugnata che, a seguito di una richiesta di immunità dalle ammende presentata nel marzo 2004 (11), in cui veniva denunciata l’esistenza di pratiche anticoncorrenziali nel settore delle GIS, la Commissione ha avviato un’indagine nel corso della quale ha svolto accertamenti segnatamente presso i locali delle società appartenenti al gruppo VA Tech, di cui le ricorrenti nelle presenti cause facevano parte, e, successivamente, ha notificato una comunicazione degli addebiti a 20 società, tra cui le ricorrenti.
9. Il 24 gennaio 2007 la Commissione ha adottato la decisione controversa. In tale decisione la Commissione ha constatato che nel quadro dell’intesa relativa alle GIS le imprese partecipanti si erano accordate, tra l’altro, sulla ripartizione dei mercati a livello mondiale (12), sulla fissazione dei prezzi e sullo scambio di informazioni sensibili. La Commissione ha altresì constatato che l’intesa aveva avuto una durata compresa tra il 15 aprile 1988 e l’11 maggio 2004, ma che la partecipazione delle società del gruppo VA Tech all’intesa era stata interrotta tra il dicembre 2000 e l’aprile 2002 (13). A seguito di tali constatazioni la Commissione ha inflitto diverse ammende alle imprese partecipanti all’intesa.
10. In particolare, all’articolo 1, lettere m), q) e r), della decisione controversa, la Commissione ha constatato che la Reyrolle, la SEHV e la Magrini avevano partecipato all’infrazione dal 15 aprile 1988 al 13 dicembre 2000 e dal 1° aprile 2002 all’11 maggio 2004. All’articolo 1, lettere p) e t), della decisione controversa, la Commissione ha constatato che la Siemens Österreich e la KEG avevano partecipato all’infrazione dal 20 settembre 1998 al 13 dicembre 2000 e dal 1° aprile 2002 all’11 maggio 2004. All’articolo 1, lettera n), della decisione controversa, la Commissione ha constatato che la Schneider aveva partecipato all’infrazione dal 15 aprile 1988 al 13 dicembre 2000.
11. Ai termini dell’articolo 2, della decisione controversa, per le suindicate infrazioni, la Commissione ha inflitto le seguenti ammende:
«(…)
j) [Schneider]: 3 600 000 EUR;
k) [Schneider] : in solido con [SEHV] e [Magrini]: 4 500 000 EUR;
l) [Reyrolle]: 22 050 000 EUR, di cui
i) in solido con [SEHV] e [Magrini]: 17 500 000 EUR, e
ii) in solido con [Siemens Österreich] e [KEG]: 12 600 000 EUR».
C – Procedimento giurisdizionale di primo grado
12. Adito con ricorsi delle società aventi fatto parte del gruppo VA Tech avverso la decisione controversa, il Tribunale, come si vedrà più nel dettaglio nel prosieguo, ha anzitutto annullato tale decisione nelle parti in cui essa concerne le ammende inflitte alle ricorrenti (14) e, successivamente, l’ha riformata nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, stabilendo altresì per le diverse ammende gli importi pro quota che ciascuna società deve sopportare nei rapporti interni tra condebitori solidali (15).
13. I punti 2 e 3 del dispositivo della sentenza impugnata hanno pertanto il seguente tenore:
«2) L’art. 2, lett. j), k) e l) della decisione [controversa] è annullato.
3) Per le infrazioni constatate all’art. 1, lett. m), p), q), r) e t), della decisione [controversa] sono inflitte le seguenti ammende:
– alla [SEHV] e alla [Magrini], in solido con la [Schneider]: EUR 8 100 000;
– alla [Reyrolle], in solido con la [Siemens Österreich], la [KEG], la [SEHV] e la [Magrini]: EUR 10 350 000;
– alla [Reyrolle], in solido con la [Siemens Österreich] e la [KEG]: EUR 2 250 000.
– alla [Reyrolle]: EUR 9 450 000».
II – Procedimento dinanzi alla Corte
14. Con atto del 13 maggio 2011 la Commissione ha proposto impugnazione nella causa C‑231/11 P chiedendo l’annullamento parziale della sentenza impugnata. Con atti separati del 17 maggio 2011 la Reyrolle, da un lato, e la SEHV e la Magrini, dall’altro, hanno anch’esse proposto impugnazione, rispettivamente nelle cause C‑232/11 P e C‑233/11 P, chiedendo l’annullamento parziale della sentenza impugnata.
15. Con ordinanza del 1° luglio 2011, il presidente della Corte ha disposto la riunione delle tre cause ai fini della fase scritta, della fase orale e della sentenza.
16. Il 2 maggio 2013 ha avuto luogo l’udienza dinanzi alla Corte.
III – Sull’impugnazione proposta dalla Commissione nella causa C‑231/11 P
17. A sostegno della sua impugnazione la Commissione solleva sette motivi di ricorso, i quali sono tutti diretti a contestare, seppur da angolazioni diverse, la sentenza impugnata nella misura in cui il Tribunale vi ha affermato che spetta esclusivamente alla Commissione determinare i rapporti interni tra condebitori dell’ammenda inflitta solidalmente a diversi soggetti per violazione delle norme di concorrenza, nonché nella misura in cui il Tribunale, traendo in concreto le conseguenze da tale affermazione di principio, ha determinato i rispettivi importi pro quota dell’ammenda a carico delle diverse società condannate solidalmente al pagamento di questa.
18. Prima di analizzare nel dettaglio i vari motivi d’impugnazione sollevati dalla Commissione occorre ricordare brevemente i punti essenziali del ragionamento seguito dal Tribunale nelle parti della sentenza che sono oggetto dell’impugnazione nonché, successivamente, affrontare talune questioni di carattere preliminare concernenti l’oggetto e la portata dell’impugnazione, questioni la cui soluzione è suscettibile di incidere sulla sua ricevibilità e sul suo carattere operante.
A – La sentenza impugnata
19. Nella sentenza impugnata, in un primo momento, il Tribunale, ai punti da 137 a 167, espone le ragioni che lo portano ad annullare la decisione controversa nella parte in cui essa concerne le ammende inflitte alle ricorrenti. Più specificamente, dopo aver esaminato e approvato, l’analisi svolta dalla Commissione riguardo alla determinazione delle diverse società cui può essere imputato il comportamento delle imprese partecipanti all’intesa (16), il Tribunale, affronta la questione del calcolo dell’importo delle ammende da infliggere a dette società (17). Nella sentenza impugnata il Tribunale, ai punti 150 e 151, parte da una serie di principi che desume dalla giurisprudenza, per poi effettuare, ai punti da 153 a 159, tutta una serie di considerazioni riguardo alla solidarietà nei rapporti interni tra condebitori. È proprio contro tali considerazioni che è esplicitamente diretta l’impugnazione della Commissione.
20. In particolare, il Tribunale afferma che deriva dal principio della personalità delle pene e delle sanzioni che ciascuna società deve poter dedurre, dalla decisione che le impone di pagare un’ammenda in solido con una o più altre società, la quota che essa dovrà sopportare nei rapporti interni con i suoi condebitori in solido, una volta che sia stato effettuato il pagamento alla Commissione. A tal fine, la Commissione deve precisare i periodi durante i quali le società interessate sono (cor)responsabili dei comportamenti illeciti delle imprese partecipanti all’intesa e, eventualmente, il grado di responsabilità di dette società per tali comportamenti. Il Tribunale considera inoltre che la nozione di «solidarietà nel pagamento delle ammende» è una nozione autonoma del diritto dell’Unione da interpretarsi con riferimento agli obiettivi del diritto della concorrenza (18).
21. In tale contesto, secondo il Tribunale, la decisione con cui la Commissione impone a diverse società il pagamento solidale di un’ammenda produce ipso iure tutti gli effetti derivanti dal regime giuridico delle ammende nel diritto della concorrenza, e ciò tanto nei rapporti (esterni) tra creditore e condebitori solidali, quanto nei rapporti (interni) tra condebitori solidali. Spetta dunque esclusivamente alla Commissione, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza ad infliggere ammende, in virtù dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 (19), determinare i rispettivi importi pro quota per le diverse società dell’ammenda cui queste ultime sono state condannate in solido, in quanto appartenenti ad una medesima impresa, e tale compito non può essere affidato ai giudici nazionali (20).
22. In mancanza di un’indicazione nella decisione della Commissione secondo cui alcune società sarebbero maggiormente responsabili rispetto ad altre della partecipazione dell’impresa di cui fanno o hanno fatto parte all’infrazione constatata per un periodo determinato, si deve considerare, secondo il Tribunale, che esse siano responsabili nella stessa misura e, pertanto, che la quota degli importi loro imposti in solido sia uguale (21).
23. Dopo aver così delineato il regime giuridico dell’obbligazione solidale in materia di ammende per violazione delle norme di concorrenza dell’Unione, il Tribunale, in relazione al caso di specie, individua, ai punti da 161 a 165 della sentenza impugnata, tre profili di illegittimità nella determinazione da parte della Commissione delle ammende (22). Considerando che la Commissione abbia, pertanto, violato il principio di personalità delle pene e delle sanzioni, il Tribunale annulla parzialmente l’articolo 2 della decisione controversa come indicato nel punto 2 del dispositivo della sentenza, riprodotto al precedente paragrafo 13.
24. In un secondo momento, ai punti da 236 a 264 della sentenza impugnata, il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, riforma la decisione controversa. A tale riguardo, è sufficiente in questo contesto rilevare che, oltre a stabilire gli importi delle ammende che le ricorrenti in primo grado devono pagare in solido alla Commissione, il Tribunale, ai punti 245, 247, 261 e 263, ha determinato in concreto l’importo pro quota dell’ammenda che ciascuna società deve sopportare nei rapporti interni tra condebitori solidali. Il Tribunale ha fondato espressamente tale determinazione sulle considerazioni che ha effettuato ai punti 158 e 159 della sentenza impugnata (riassunte al precedente paragrafo 22) stabilendo che, in assenza di indicazioni nella decisione controversa riguardo al grado di responsabilità di ciascuna società, l’ammenda deve essere sopportata in parti uguali dalle società condannate al pagamento in solido.
B – Sull’oggetto dell’impugnazione
25. Nel suo ricorso la Commissione afferma esplicitamente che l’impugnazione da lei proposta è diretta esclusivamente contro i punti da 153 a 159 della sentenza impugnata (riassunti ai precedenti paragrafi da 20 a 22), nonché contro la conseguente determinazione dell’importo pro quota dell’ammenda che ciascuna società deve sopportare nei rapporti interni tra condebitori solidali effettuata dal Tribunale ai punti 245, 247, 262 e 263 della sentenza impugnata sulla base di tali considerazioni. La limitazione dell’oggetto dell’impugnazione della Commissione a tali due aspetti della sentenza impugnata è, del resto, confermata dal tenore delle sue conclusioni (23).
26. Tuttavia è giocoforza constatare che, come lo ammette del resto la Commissione stessa, né le considerazioni relative alla disciplina della solidarietà interna esposte ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata, né le conseguenze che il Tribunale, ai punti 245, 247, 262 e 263 della sentenza impugnata, trae da tali considerazioni per la rideterminazione delle ammende nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sono riflesse formalmente nel dispositivo della sentenza impugnata. Come risulta, infatti, dal precedente paragrafo 13, il dispositivo della sentenza impugnata non contiene alcun riferimento esplicito alla determinazione dell’importo pro quota dell’ammenda che ciascuna società condannata al pagamento in solido dell’ammenda deve sopportare.
27. Inoltre, le considerazioni effettuate dal Tribunale ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata non stanno, a mio avviso, neppure direttamente a fondamento dell’annullamento parziale della decisione controversa pronunciato al punto 2 del dispositivo. In effetti, i tre profili di illegittimità identificati dal Tribunale ai punti da 161 a 165 della sentenza impugnata (24), i quali non sono contestati dalla Commissione dinanzi alla Corte, concernono la violazione del principio della personalità delle pene in relazione a questioni concernenti l’aspetto esterno della solidarietà delle società condannate, ossia la loro responsabilità per il pagamento dell’ammenda alla Commissione, piuttosto che questioni concernenti le relazioni interne tra esse in quanto condebitrici solidali dell’ammenda (25). Benché, come si vedrà meglio nel dettaglio nel prosieguo, esse costituiscano certamente il fondamento per la determinazione da parte del Tribunale in concreto degli importi pro quota ai punti 245, 247, 262 e 263 della sentenza impugnata, le considerazioni espresse ai punti 153 a 159 della stessa sentenza sembrano costituire una sorta di obiter dictum nell’analisi del Tribunale che porta all’annullamento parziale della decisione controversa disposto al punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata. Non condivido pertanto l’affermazione della Commissione secondo cui tali considerazioni costituirebbero motivi essenziali a fondamento di tale annullamento parziale e ciò indipendentemente dal fatto che il Tribunale al punto 160 della sentenza impugnata abbia censurato la Commissione per non aver tenuto conto dei «principi precedentemente enunciati».
28. Alla luce di tali considerazioni, occorre concludere che, anche nel caso in cui la Corte, accogliendo integralmente l’impugnazione proposta dalla Commissione, dovesse annullare i punti della sentenza contro cui essa è diretta, il dispositivo della sentenza non verrebbe in ogni caso formalmente modificato. Una situazione di tal genere solleva una serie di questioni che meritano un’analisi più approfondita.
1. Sulla necessità dell’esistenza in capo alla Commissione di un interesse ad agire in relazione all’impugnazione
29. In primo luogo, nel caso in cui mediante la sua impugnazione un ricorrente non possa effettivamente ottenere l’annullamento del dispositivo della sentenza impugnata, si pone la questione del suo interesse ad agire in relazione all’impugnazione stessa. A tale riguardo, non posso tuttavia esimermi dal rilevare come la giurisprudenza sia tutt’altro che univoca sulla questione della necessità o meno per un’istituzione o, più in generale, per un ricorrente privilegiato quale la Commissione, di provare la sussistenza di un interesse ad agire nell’ambito di un’impugnazione dinanzi alla Corte di una sentenza del Tribunale.
30. Infatti, risulta in modo inequivocabile da un primo orientamento giurisprudenziale, originariamente riconducibile alla sentenza nel caso Anic Partecipazioni (26), che, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno state parte nella controversia di primo grado, «le istituzioni della Comunità non devono (…) dimostrare alcun interesse per poter proporre ricorso contro una sentenza del Tribunale» (27). Tale affermazione di principio, il cui fondamento è ricondotto alla disposizione del terzo comma dell’articolo 56 dello Statuto della Corte (28), è stata poi ripresa esplicitamente in successive sentenze della Corte (29) di cui una pronunciata in Grande Sezione (30).
31. Ciononostante, in diverse altre sentenze la Corte, investita di un’impugnazione avverso una sentenza del Tribunale, ha analizzato la sussistenza del requisito dell’interesse ad agire in capo a ricorrenti privilegiati e, segnatamente alla Commissione, arrivando addirittura a dichiarare parzialmente irricevibili talune impugnazioni per difetto di interesse ad agire di tale istituzione (31).
32. Orbene, tra i due summenzionati orientamenti giurisprudenziali, propendo per il primo. In effetti, da un lato, le sentenze riconducibili a tale orientamento mi sembrano, contrariamente alle sentenze riconducibili all’altro orientamento, aver costituito una precisa scelta della Corte, scelta che è stata poi confermata in una sentenza pronunciata dalla Grande Sezione. Dall’altro lato, ritengo che analogamente a quanto previsto in materia di ricorso per annullamento, il quale, secondo costante giurisprudenza, può essere proposto dai ricorrenti privilegiati senza che essi debbano dimostrare un interesse ad agire (32), il trattamento favorevole di tali ricorrenti in materia di impugnazione di una pronuncia del Tribunale possa trovare la propria ratio nella posizione particolare che essi occupano all’interno dell’ordinamento dell’Unione che può giustificare il riconoscimento a loro favore di una legittimazione ad impugnare indipendente dalla dimostrazione di un proprio interesse ad agire (33).
33. Tale ratio è, del resto, riflessa nelle disposizioni del secondo e del terzo comma dell’articolo 56 dello Statuto che prevedono per le istituzioni dell’Unione e per gli Stati membri una deroga alle condizioni di esercizio dell’impugnazione al fine di facilitarne la presentazione. Ciò tuttavia non significa che, come si vedrà del resto anche nel prossimo paragrafo, tali ricorrenti dispongano di una possibilità illimitata di impugnare le sentenze del Tribunale dinanzi alla Corte (34).
2. Sugli effetti di un eventuale accoglimento dell’impugnazione sul dispositivo della sentenza impugnata
34. In secondo luogo, ed indipendentemente dalla questione dell’interesse ad agire, in una situazione quale quella indicata al precedente paragrafo 28, occorre chiedersi in quale misura sia possibile proporre un’impugnazione, ancorché in qualità di ricorrente privilegiato, che sia volta ad ottenere l’annullamento di parti della motivazione della sentenza senza che l’annullamento abbia formalmente un impatto sul dispositivo di questa. In effetti, da un lato, secondo la giurisprudenza, un’impugnazione contro punti della motivazione i quali sono ininfluenti sul dispositivo della sentenza impugnata deve essere respinta come inoperante (35). È del resto proprio nella prospettiva di prevenire la presentazione di impugnazioni aventi ad oggetto esclusivo la contestazione della motivazione della sentenza del Tribunale che è stato redatto l’articolo 169 del nuovo regolamento di procedura della Corte (36). Dall’altro lato, la possibilità di chiedere alla Corte di effettuare una sostituzione dei motivi è assoggettata dalla giurisprudenza a limiti molto ristretti (37).
35. Tuttavia, ritengo che nel presente caso non si possa considerare che l’impugnazione sia diretta contro punti della motivazione i quali sono ininfluenti sul dispositivo della sentenza impugnata. Infatti, sebbene come rilevato al precedente paragrafo 25 l’impugnazione della Commissione sia diretta esclusivamente contro considerazioni di diritto contenute nella motivazione della sentenza nonché contro le relative conseguenze tratte dal Tribunale da tali considerazioni per il caso in concreto – considerazioni e conseguenze che non sono esplicitamente riflesse nel dispositivo della sentenza impugnata di modo che l’accoglimento dell’impugnazione non comporterebbe necessariamente una modifica formale di detto dispositivo – ritengo tuttavia che tanto dette considerazioni quanto le relative conseguenze, seppur non espresse esplicitamente nel suo dispositivo, costituiscano parte integrante della soluzione di diritto enunciata nella sentenza impugnata (38) e costituiscano pertanto un elemento necessario di lettura ed interpretazione di tale sentenza ed in particolare del dispositivo della stessa.
36. In effetti, allorquando il dispositivo della sentenza dispone, al suo punto 3, che le differenti società sono condannate «in solido» al pagamento delle ammende – come rideterminate dal Tribunale – esso non può essere letto separatamente da quanto stabilito ai punti 245, 247, 262 e 263 della sentenza impugnata in cui il Tribunale ha determinato la parte che ciascuna società debitrice solidale dell’ammenda deve sopportare nei rapporti interni con gli altri condebitori solidali. Infatti, nel presente caso, ancorché il dispositivo non contenga riferimenti espliciti alla ripartizione interna dell’ammenda tra condebitori solidali, la responsabilità solidale delle società ivi dichiarata dal Tribunale non può che essere intesa alla luce di quanto stabilito nei summenzionati punti della sentenza impugnata i quali, peraltro, trovano esplicitamente e necessariamente il loro fondamento nelle considerazioni di diritto effettuate dal Tribunale ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata e sono pertanto inscindibili da queste.
37. A tale riguardo rileva anche ricordare che risulta dalla giurisprudenza che il dispositivo di una sentenza dev’essere interpretato alla luce della motivazione da cui esso discende e che ne costituisce il necessario sostegno, nel senso che essa è indispensabile per determinare il senso esatto di quanto è stato dichiarato nel dispositivo (39).
38. Peraltro, sempre secondo la giurisprudenza, la motivazione della sentenza impugnata che costituisce il necessario fondamento del suo dispositivo e ne è di conseguenza inscindibile acquisisce autorità della cosa giudicata (40) e la Commissione è tenuta a rispettarla in quanto essa è indispensabile per determinare il senso esatto del dispositivo della sentenza (41). Pertanto, come fatto valere dalla Commissione, le parti della sentenza impugnata che sono oggetto della sua impugnazione e che concernono la sua competenza di determinare i rapporti interni tra condebitori solidali dell’ammenda sono suscettibili di passare in giudicato e di vincolare la Commissione nella sua applicazione pratica futura del regime sanzionatorio in materia di concorrenza.
39. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che il ricorso della Commissione sia ricevibile, ma sia inoperante (42), nella parte in cui esso è diretto ad ottenere l’annullamento del punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata. In effetti, come rilevato al precedente paragrafo 27 le considerazioni contenute ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata contro cui è esplicitamente diretta l’impugnazione non stanno a fondamento dell’annullamento dell’articolo 2 della decisione controversa di modo che, anche nel caso in cui la Corte dovesse, accogliendo il ricorso della Commissione, annullare tali punti della sentenza, ciò non avrebbe alcun impatto sul punto 2 del dispositivo di questa.
40. Ritengo invece che il ricorso della Commissione sia ricevibile e operante, nella parte in cui esso è diretto ad ottenere l’annullamento del punto 3 del dispositivo della sentenza impugnata. Infatti, come risulta dalle considerazioni effettuate ai precedenti paragrafi 35-38, l’eventuale accoglimento da parte della Corte di tale domanda e il conseguente annullamento della determinazione degli importi pro quota dell’ammenda effettuata dal Tribunale nell’esercizio della sua competenza estesa al merito inciderebbe sull’interpretazione del senso esatto di quanto dichiarato dal Tribunale nel punto 3 del dispositivo della sentenza impugnata. In tale contesto deve essere dichiarata ricevibile e operante anche la domanda della Commissione proposta a titolo sussidiario volta a chiedere l’annullamento della sentenza impugnata nella misura in cui essa, ai punti da 153 a 159, afferma che spetta a tale istituzione determinare gli importi pro quota dei condebitori solidali al pagamento di un’ammenda, in quanto tale affermazione costituisce il fondamento necessario e inscindibile della determinazione di detti importi nel punto 3 del dispositivo della sentenza di cui è chiesto l’annullamento.
41. Ne consegue che, nel prosieguo, l’analisi dell’impugnazione della Commissione sarà limitata a questi due aspetti ossia, la determinazione degli importi pro quota dell’ammenda effettuata dal Tribunale nell’esercizio della sua competenza estesa al merito e le considerazioni di diritto effettuate ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata, nella misura in cui esse costituiscono il fondamento necessario e inscindibile di tale determinazione.
C – Sul merito dell’impugnazione
1. Sul primo motivo d’impugnazione relativo ad un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 riguardo ai rispettivi ambiti di competenza della Commissione e dei giudici nazionali
42. La Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 in quanto, stabilendo nella sentenza impugnata che essa deve determinare i rispettivi importi pro quota dei condebitori solidali al pagamento di un’ammenda inflitta per violazione delle regole di concorrenza dell’Unione, le avrebbe conferito competenze e le avrebbe imposto obblighi che andrebbero al di là di ciò che è necessario per il perseguimento delle infrazioni di tali regole arrecando così pregiudizio agli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Secondo la Commissione, la determinazione delle relazioni interne tra condebitori, inclusi eventuali diritti di rivalsa tra loro, ricadrebbe nell’ambito di applicazione del diritto degli Stati membri, e la soluzione delle relative controversie sarebbe pertanto di competenza dei giudici nazionali.
43. Il primo motivo della presente impugnazione solleva questioni concernenti la ripartizione delle competenze tra organi dell’Unione, specificamente la Commissione, e degli Stati membri, specificamente i giudici nazionali, nonché, questioni concernenti il rispettivo ambito di applicazione del diritto dell’Unione e del diritto degli Stati membri.
44. A tale riguardo è utile ricordare che come già rilevato ai precedenti paragrafi 21 e 22, il Tribunale, sulla base delle considerazioni effettuate ai punti da 153 a 156 della sentenza impugnata, ha affermato al punto 157 della stessa che spetta esclusivamente alla Commissione, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza ad infliggere ammende, in virtù dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, determinare i rispettivi importi pro quota per le diverse società dell’ammenda cui queste sono state condannate in solido, in quanto appartenenti ad una medesima impresa, e che tale compito non può essere affidato ai giudici nazionali. Tuttavia, risulta dai punti 158 e 159 della sentenza impugnata che, in mancanza di un’indicazione nella decisione della Commissione secondo cui alcune società sarebbero maggiormente responsabili rispetto ad altre si deve considerare che esse siano responsabili nella stessa misura e, pertanto, che la quota degli importi loro imposti in solido sia uguale.
45. Alla luce di ciò devo preliminarmente rilevare che, benché la Commissione affermi a diverse riprese nella sua impugnazione che il Tribunale le avrebbe imposto un «obbligo» di determinare le relazioni di solidarietà interna tra condebitori solidali dell’ammenda (43), i termini della sentenza del Tribunale non sono in realtà del tutto chiari riguardo all’imposizione o meno di un vero e proprio obbligo al riguardo. In effetti, benché i termini usati al punto 153 (44) sembrino presupporre l’esistenza di un tale obbligo, l’uso del termine «spetta alla Commissione» (45) al punto 157 lascia aperti dubbi sull’intenzione del Tribunale di imporre un vero e proprio obbligo a carico di tale istituzione, tanto più che, in ogni caso, nel sistema pensato dal Tribunale, il mancato esercizio di tale competenza non sembra comportare l’annullamento della decisione, ma comporta piuttosto l’applicazione automatica della regola secondo cui la responsabilità (e dunque l’importo pro quota dell’ammenda) si considera essere condiviso in parti uguali tra i condebitori.
46. Ciò premesso, è indubbio che nel sistema concepito dal Tribunale viene riconosciuta una competenza esclusiva alla Commissione ad effettuare tale determinazione, con conseguente esclusione della competenza dei giudici nazionali. Inoltre, in detto sistema, tale competenza è suscettibile, in principio, di essere esercitata in qualunque caso in cui la Commissione condanni più soggetti solidalmente al pagamento di un’ammenda per violazione delle norme di concorrenza, il mancato esercizio di tale competenza comportando infatti l’applicazione della regola della ripartizione in parti uguali della responsabilità e dell’ammenda.
47. È alla luce di queste premesse che occorre analizzare il primo motivo di ricorso.
a) Sulla competenza della Commissione
48. Occorre anzitutto ricordare che, in virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti (articolo 5, paragrafo 2, prima frase, TUE). Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri (articoli 4, paragrafo 1, e 5 paragrafo 2, seconda frase, TUE). In particolare, ai termini dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), TFUE l’Unione ha competenza esclusiva nella definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno.
49. L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di proporzionalità a termini del quale il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. Le istituzioni dell’Unione sono tenute ad applicare tale principio (articolo 5, paragrafo 4, TUE). Inoltre, ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai Trattati (articolo 13, paragrafo 2, prima frase, TUE).
50. Il fondamento normativo del potere attribuito alla Commissione di sanzionare le infrazioni alle disposizioni di concorrenza dell’Unione si ritrova nell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, il quale è stato adottato sulla base dell’articolo 103 TFUE (già articolo 83 CE). Si desume dal paragrafo 2, lettera a), di quest’ultimo articolo che la competenza attribuita all’Unione di comminare ammende è finalizzata a garantire l’osservanza dei divieti di cui alle disposizioni di concorrenza del TFUE. La Corte ha inoltre chiarito che l’obiettivo di detta disposizione è quello, segnatamente, di garantire l’efficacia del controllo delle intese e degli abusi di posizione dominante (46).
51. Il potere di infliggere ammende alle imprese che, dolosamente o colposamente, trasgrediscono gli articoli 101 TFUE e 102 TFUE è un potere proprio della Commissione che le discende dalle previsioni del Trattato (47). Esso costituisce uno dei mezzi attribuiti alla medesima per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto dell’Unione (48) nonché il suo ruolo di istituzione responsabile dell’attuazione e dell’orientamento della politica dell’Unione in materia di concorrenza (49).
52. In particolare, la facoltà della Commissione di condannare solidalmente al pagamento dell’ammenda i soggetti che, nel quadro dell’unità economica che costituisce l’impresa, hanno partecipato direttamente o indirettamente all’infrazione non è espressamente prevista da alcuna norma dell’Unione in materia di concorrenza. Tale facoltà è stata tuttavia riconosciuta alla Commissione dalla giurisprudenza in quanto il meccanismo della solidarietà costituisce uno strumento giuridico supplementare risultante per la necessità di garantire l’efficacia della sua azione volta a garantire l’effettività dell’attuazione delle norme di concorrenza dell’Unione, nonché della repressione della loro violazione (50). Il meccanismo della solidarietà, infatti, allargando il novero delle persone presso le quali la Commissione può richiedere il pagamento dell’integralità dell’ammenda, favorisce l’effettiva esecuzione della sanzione riducendo i rischi d’insolvibilità e di operazioni fraudolente finalizzate all’elusione del suo pagamento, partecipando pertanto, come del resto rilevato al punto 151 della sentenza impugnata, all’obiettivo di dissuasione volto ad assicurare il rispetto da parte delle imprese delle norme di concorrenza dell’Unione (51).
53. Il potere di sanzionare più soggetti appartenenti alla stessa impresa per la violazione delle norme di concorrenza dell’Unione imponendo un vincolo (esterno) di solidarietà tra loro rientra dunque, a mio avviso, senza dubbio nell’ambito del potere sanzionatorio della Commissione quale contemplato dalla lettera a), del paragrafo 2, dell’articolo 103 TFUE e concretizzato dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, ciò che del resto non è contestato nella presente causa.
54. Per ciò che riguarda specificamente la determinazione delle relazioni cosiddette di solidarietà interna, osservo come, né dal testo, né dalla ratio dell’articolo 103, paragrafo 2 lettera a), TFUE e dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, risulti alcun elemento che impedisca alla Commissione, nell’ambito dell’esercizio del suo potere di infliggere ammende alle imprese per infrazioni alle regole di concorrenza, di determinare l’importo pro quota che ciascun condebitore condannato in solido al pagamento dell’ammenda deve sopportare, nella misura in cui essa lo ritenga necessario, in un caso specifico, per garantire il raggiungimento dell’obiettivo cui è vincolato l’esercizio del potere sanzionatorio, ossia garantire l’osservanza dei divieti di cui alle disposizioni di concorrenza dell’Unione. Pertanto, nei limiti in cui ciò sia necessario per il raggiungimento di tale obiettivo, non si può, a mio avviso, negare in astratto alla Commissione la competenza, nell’ambito del suo potere sanzionatorio, di determinare la ripartizione interna dell’ammenda tra condebitori solidali (52).
55. In taluni casi, anzi, la determinazione degli importi pro quota dei debitori condannati in solido al pagamento dell’ammenda, si rende a mio avviso necessaria in relazione ad esigenze relative al rispetto di principi quali quello della certezza del diritto o della personalità delle pene come, ad esempio, nel caso – analizzato più nel dettaglio nel quadro del terzo motivo d’impugnazione (53) – in cui, al momento dell’adozione della decisione, l’entità economica che ha commesso l’infrazione non esista più nella forma in cui sussisteva quando è avvenuta la violazione e la Commissione intenda, nell’ambito del suo potere discrezionale, sanzionare in solido per tale infrazione persone giuridiche che non sono più legate da vincoli economici, organizzativi e giuridici tali da giustificare l’appartenenza alla stessa impresa ai sensi del diritto della concorrenza.
56. Ciò premesso, ritengo tuttavia che non si possa considerare che spetti alla Commissione determinare in modo sistematico i rapporti interni tra condebitori solidali dell’ammenda e ancor meno che essa sia assoggettata ad un obbligo al riguardo. Normalmente e salvo casi specifici, una tale determinazione non condivide, infatti, una ratio analoga a quella, menzionata al precedente paragrafo 52, che giustifica l’imposizione di vincoli di solidarietà esterna. In effetti, una volta pagata l’ammenda da parte di una delle persone che costituiscono l’impresa e che sono state condannate in solido, e una volta quindi garantita la concreta riscossione della sanzione prevista per la violazione delle norme di concorrenza dell’Unione, gli obiettivi di garanzia dell’effettività dell’applicazione di tali norme e di dissuasione da future violazioni propri al potere sanzionatorio conferito alla Commissione sono normalmente raggiunti, di modo che la determinazione delle relazioni di solidarietà interna tra condebitori solidali dell’ammenda non sembra essere generalmente necessaria per il conseguimento di tali obiettivi.
57. A tale riguardo occorre anche ricordare che, come rilevato costantemente dalla giurisprudenza, il diritto della concorrenza dell’Unione riguarda l’attività delle imprese (54) le quali sono le destinatarie delle norme di concorrenza dell’Unione. Tali norme non disciplinano pertanto, in linea di principio, i rapporti tra le entità che costituiscono l’impresa.
58. Inoltre, dal punto di vista pratico occorre osservare che l’imposizione di un obbligo generale alla Commissione di determinare in ciascun caso la quota parte di responsabilità delle persone giuridiche che fanno parte dell’unità economica che ha commesso l’infrazione condannate solidalmente al pagamento della relativa ammenda rischierebbe di rallentare notevolmente le indagini della Commissione mettendo a rischio l’effettività dell’attuazione delle norme di concorrenza dell’Unione (55) cui invece, come rilevato al precedente paragrafo 52, è proprio volto lo strumento giuridico della solidarietà.
59. In conclusione, ritengo pertanto che non si possa negare in astratto che la Commissione, nell’esercizio del suo potere di infliggere sanzioni, possa determinare la ripartizione interna dell’ammenda tra condebitori solidali (ossia le relazioni dette di solidarietà interna). Tuttavia, nella misura in cui l’azione della Commissione nell’esercizio di tale potere attribuitole dai Trattati è vincolata, in virtù del summenzionato principio di proporzionalità, a quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo proprio a tale potere, la Commissione potrà determinare le relazioni di solidarietà interna tra condebitori solidali dell’ammenda esclusivamente nella misura in cui ciò sia necessario a conseguire tale obiettivo, ossia a garantire l’osservanza dei divieti di cui alle disposizioni di concorrenza dell’Unione. Spetterà ad essa, a seconda dei casi, valutare l’esigenza di effettuare tale determinazione, salvo i casi in cui, come quello menzionato al precedente paragrafo 55 e discusso più nel dettaglio ai successivi paragrafi 83 e ss., tale esercizio sia necessario.
60. Consegue da quanto precede che a mio avviso, da un lato, non si può condividere la tesi della Commissione volta a negare in assoluto l’esistenza di una competenza di tal genere a suo favore, e, dall’altro, non si può neanche ritenere, come risulta alla lettura dei punti da 153 a 159 della sentenza impugnata, che spetta alla Commissione in modo generalizzato determinare gli importi pro quota dei condebitori solidali condannati al pagamento dell’ammenda.
b) Sulla competenza dei giudici nazionali
61. Per ciò che riguarda, invece, l’ambito di competenza dei giudici nazionali, occorre osservare che essi possono intervenire a diverso titolo nell’applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione (56) secondo le prerogative che vengono loro attribuite dalle rispettive normative nazionali. Essi possono, infatti, essere chiamati ad applicare tali regole in controversie tra privati oppure possono intervenire in veste di autorità incaricate dell’applicazione di tali norme nell’interesse pubblico o, anche, come giudici investiti di ricorsi avverso decisioni amministrative.
62. Tuttavia, la funzione specificamente propria ai giudici nazionali nell’applicazione delle norme di concorrenza dell’Unione consiste nella tutela dei diritti soggettivi garantiti da tali norme nelle controversie fra privati (57). I giudici nazionali svolgono sotto questo aspetto un ruolo complementare e diverso rispetto a quello consistente nell’applicazione in via amministrativa, nell’interesse pubblico, delle regole comunitarie di concorrenza (58).
63. Orbene, a titolo preliminare osservo che sia l’approccio seguito dal Tribunale nella sentenza impugnata (59), sia quello seguito dalla Commissione nella sua impugnazione, partono dall’idea dell’esistenza di una competenza esclusiva a determinare gli importi pro quota di ciascun condebitore solidale dell’ammenda che il Tribunale ritiene spetti alla Commissione e questa, invece, ritiene spetti ai giudici nazionali. Non vedo però alcuna ragione per cui sarebbe strettamente necessario adottare un approccio volto a stabilire in capo ad un organo una competenza esclusiva che escluda l’esistenza della competenza in capo all’altro. Al riguardo, osservo anzi che il sistema di applicazione delle norme di concorrenza si fonda – ancor più a seguito della Modernizzazione dell’applicazione di tali norme attraverso il regolamento n. 1/2003 – su un sistema di competenze concorrenti e parallele della Commissione e delle autorità nazionali degli Stati membri (incluse le giurisdizioni nazionali) (60).
64. In tale prospettiva ritengo pertanto che, nella misura in cui in una causa dinanzi ad un giudice nazionale vengano sollevate questioni riguardanti le relazioni di solidarietà interna per il pagamento di un’ammenda per violazione delle norme di concorrenza dell’Unione le quali comportino un’esigenza di tutela di diritti soggettivi del condebitore, il giudice nazionale possa essere considerato competente a risolvere tali questioni, a condizione che esse non siano già state oggetto di un esercizio da parte della Commissione della sua competenza al riguardo.
65. Occorre peraltro a questo punto chiarire se − e a che titolo − il condebitore solidale che ha pagato la totalità dell’ammenda alla Commissione disponga di un diritto soggettivo nei confronti degli altri condebitori al regresso della loro quota parte dell’ammenda che, nel caso in cui la questione della solidarietà interna non sia stata affrontata dalla Commissione, possa far valere dinanzi a un giudice nazionale.
66. A tale riguardo, premetto che concordo con il Tribunale quando, al punto 155 della sentenza impugnata, afferma che «la nozione di “solidarietà nel pagamento delle ammende” è una nozione autonoma [del diritto dell’Unione] da interpretarsi con riferimento agli obiettivi e al sistema del diritto della concorrenza in cui essa rientra». Risulta del resto inequivocabilmente dalle considerazioni che ho effettuato ai precedenti paragrafi da 52 a 59 che la nozione di solidarietà deve essere interpretata alla luce di tali obiettivi e in tale sistema (61).
67. Indipendentemente da ciò occorre, tuttavia, osservare che la decisione della Commissione che condanna congiuntamente in solido più soggetti al pagamento di un’ammenda produce senza dubbio taluni effetti giuridici suscettibili di creare relazioni di debito/credito tra tali soggetti. In effetti, la decisione della Commissione crea un obbligo congiunto e solidale di tutti tali soggetti al pagamento dell’ammenda. Il pagamento da parte di uno di tali soggetti della totalità dell’importo dell’ammenda cui è condannato congiuntamente con altri soggetti, liberando la totalità degli altri condebitori verso la Commissione, fa conseguentemente sorgere un diritto di regresso a favore del condebitore che ha pagato. Il sorgere di tale diritto mi sembra essere la conseguenza logica del pagamento da parte di un solo soggetto di un debito cui esso è assoggettato congiuntamente e in solido con altri soggetti, i quali sono stati condannati per la medesima condotta unitaria illecita commessa in violazione di una normativa dell’Unione (specificamente quella sulla concorrenza).
68. Tuttavia, tale diritto di regresso non può, a mio avviso, essere configurato come un diritto conferito ai singoli dal diritto dell’Unione di cui, ai termini della giurisprudenza della Corte, i giudici devono garantire la tutela giurisdizionale (62). Non vedo, infatti, nessun elemento che mi porti a ritenere che le norme dell’Unione in materia di concorrenza conferiscano direttamente al condebitore solidale un diritto al rimborso dei loro importi pro quota da parte degli altri condebitori dell’ammenda pagata da questo nella sua integralità. Mi sembra invece, trattarsi, piuttosto di un semplice diritto di credito derivante dall’esecuzione di un obbligo, questo sì derivante da un atto dell’Unione, gravante congiuntamente su più soggetti. L’esistenza e l’esercizio di tale diritto di credito non sono pertanto, a mio avviso, disciplinate dal diritto dell’Unione ma rientrano nell’ambito del diritto nazionale.
69. Spetterà dunque al giudice nazionale adito con un’azione di regresso, secondo le proprie regole di diritto nazionale, determinare le condizioni per l’eventuale esistenza del diritto di regresso a favore del condebitore solidale che ha pagato l’integralità dell’ammenda, nonché applicare le relative regole sia sostanziali che procedurali necessarie per l’esercizio di un tale diritto. Nell’esercizio di tale competenza il giudice nazionale potrà senza dubbio se necessario avvalersi degli strumenti di cooperazione con la Commissione messi a sua disposizione dal regolamento n. 1/2003.
70. Il giudice nazionale potrà evidentemente determinare il diritto del condebitore al regresso, e quindi determinare le relazioni interne tra condebitori solidali dell’ammenda, solo nella misura in cui tale determinazione non sia già stata effettuata dalla Commissione nell’esercizio delle sue competenze secondo il criterio indicato al precedente paragrafo 59. In questo ultimo caso, il ruolo del giudice nazionale sarà limitato ad essere giudice dell’esecuzione.
c) Conclusione sul primo motivo d’impugnazione
71. In conclusione, per ciò che riguarda la presente causa, risulta da tutto quanto precede che, a mio avviso, nella misura in cui il Tribunale ha stabilito, al punto 157 della sentenza impugnata, che spetta esclusivamente alla Commissione, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza ad infliggere ammende, determinare i rispettivi importi pro quota per le diverse società dell’ammenda cui queste sono state condannate in solido e che tale compito non può essere affidato ai giudici nazionali, esso ha commesso un errore di diritto. Le conseguenze in concreto di tale errore saranno discusse successivamente ai paragrafi 125 e seguenti.
2. Sul terzo e sul settimo motivo d’impugnazione relativi, rispettivamente, ad errori di diritto nell’interpretazione dei principi di personalità delle pene e delle sanzioni e della responsabilità delle imprese per le violazioni delle norme di concorrenza dell’Unione con conseguente pregiudizio al potere della Commissione di determinare i soggetti di diritto cui imputare la responsabilità dell’infrazione
72. Una volta chiarite le questioni relative alla competenza, le quali hanno carattere logicamente preliminare rispetto alle altre questioni, ritengo opportuno esaminare adesso il terzo motivo d’impugnazione proposto dalla Commissione, nonché congiuntamente il settimo motivo il quale mi sembra costituire un’appendice del terzo motivo. Tali motivi d’impugnazione sollevano, infatti, alcune fondamentali questioni di principio che occorre a mio avviso analizzare previamente, prima di affrontare gli altri motivi.
73. Con il suo terzo motivo d’impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando che derivi dal principio di personalità delle pene e delle sanzioni che ciascun destinatario di una decisione che lo condanna al pagamento in solido di un’ammenda per violazione delle norme di concorrenza debba poter dedurre da tale decisione l’importo pro quota che dovrà sopportare nei rapporti interni con i condebitori solidali una volta che sia stato effettuato il pagamento alla Commissione. La determinazione della responsabilità individuale di ciascuna società che sta a fondamento della determinazione degli importi pro quota per ciascun condebitore solidale imposta dal Tribunale alla Commissione sarebbe, secondo tale istituzione, incompatibile con la nozione di impresa quale destinataria dei divieti di cui agli articoli 101 TFUE e 102 TFUE e quale responsabile delle infrazioni ai divieti ivi previsti. Con il settimo motivo d’impugnazione, la Commissione fa valere che l’obbligo imposto dal Tribunale alla Commissione pregiudica altresì indebitamente il potere di questa di determinare i soggetti di diritto cui imputare, all’interno dell’impresa, la responsabilità dell’infrazione.
74. Occorre anzitutto ricordare che il principio della personalità delle pene e delle sanzioni, su cui, come risulta dal precedente paragrafo 20, il Tribunale al punto 153 della sentenza impugnata ha fondato l’esigenza per la Commissione di determinare l’importo pro quota per ciascuna società condebitrice del pagamento dell’ammenda, è un corollario del principio della responsabilità personale e costituisce, insieme a questo, una garanzia fondamentale del diritto penale che limita l’esercizio dello ius puniendi dei poteri pubblici (63). Tali principi trovano applicazione nell’ambito del diritto della concorrenza, anche con riferimento a persone giuridiche (64), in ragione della natura «parapenalistica» delle sanzioni che possono essere inflitte dalla Commissione per punire comportamenti anticoncorrenziali (65).
75. In particolare, in virtù del principio della responsabilità personale, a sua volta corollario del principio di colpevolezza (66), ciascuno è responsabile solo delle proprie azioni (67). In virtù del principio della personalità delle pene e delle sanzioni, più specificamente, una persona può essere sanzionata esclusivamente per fatti ad essa individualmente ascritti (68). In virtù di tale principio, pertanto, solo l’autore della violazione può subire una sanzione per tale violazione (69) e, conseguentemente, tale sanzione non può essere subita da una persona diversa dal colpevole (70).
76. Inoltre, come ho già rilevato al precedente paragrafo 57, il diritto della concorrenza dell’Unione riguarda l’attività delle imprese. Per giurisprudenza constante, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (71). A tale riguardo, la Corte ha anche precisato che la nozione d’impresa, collocata in tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa designa un’unità economica – dal punto di vista dell’accordo – ancorché, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone fisiche o giuridiche (72).
77. Sempre secondo costante giurisprudenza laddove violi le regole dettate in materia di concorrenza, tale entità economica è tenuta, secondo il principio della responsabilità personale, a rispondere dell’infrazione (73). Ne risulta che il principio della responsabilità personale si applica in primis all’impresa, la quale essendo destinataria delle norme di concorrenza dell’Unione, se commette, intenzionalmente o per negligenza, un’infrazione a tali norme deve, in quanto entità economica unitaria ancorché non necessariamente provvista di soggettività giuridica propria, risponderne personalmente (74).
78. Tuttavia, qualora l’impresa che ha commesso l’infrazione alle regole di concorrenza sia costituita da diverse persone giuridiche, si pone la questione del soggetto o dei soggetti che possono essere chiamati a rispondere in concreto di tale infrazione, mediante l’inflizione a loro carico di un’ammenda. Infatti, benché le norme di concorrenza dell’Unione si rivolgano alle imprese e siano ad esse immediatamente applicabili, indipendentemente dalla loro organizzazione e forma giuridica, risulta tuttavia dalla necessaria effettività dell’attuazione di tali norme che la decisione della Commissione volta a reprimerne e a sanzionarne la violazione deve essere indirizzata a soggetti‑persona in concreto nei cui confronti sia possibile agire a fini esecutivi per ottenere il pagamento della relativa ammenda (75).
79. È proprio questa dualità tra la nozione d’impresa come unità economica destinataria delle norme di concorrenza, da un lato, e le singole persone giuridiche le quali, essendo condannate a pagare l’ammenda, rispondono in concreto dell’infrazione, dall’altro, che genera una certa incertezza riguardo all’ambito di applicazione in concreto dei summenzionati principi, i quali, nonostante la giurisprudenza della Corte menzionata al precedente paragrafo 77, vengono sovente applicati non in relazione all’impresa in quanto tale, ma in relazione alle singole persone giuridiche che la costituiscono (76).
80. A tale riguardo ritengo tuttavia che si possa considerare che, nel caso di un’impresa costituita da diverse persone giuridiche, i soggetti che hanno partecipato all’intesa, nonché la persona che esercita un’influenza determinante su di essi possano essere congiuntamente considerati come soggetti giuridici componenti un’impresa unitaria nell’accezione del diritto della concorrenza che possono essere ritenutiti responsabili per gli atti della stessa (77). Pertanto, qualora la Commissione accerti che l’impresa ha commesso, intenzionalmente o per negligenza, un’infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione, essa può constatare la responsabilità personale congiunta di tutti i soggetti giuridici che compongono l’unità economica (78) e che, mediante una condotta unitaria, hanno partecipato direttamente o indirettamente (79) alla commissione dell’infrazione.
81. È proprio in ragione di ciò che la Corte ha considerato conforme al principio della responsabilità personale – nonché all’obiettivo dell’applicazione effettiva delle norme di concorrenza – chiamare a rispondere in solido le persone giuridiche che hanno partecipato all’infrazione ed, insieme ad esse, la persona che ha esercitato un’influenza determinante su di esse, e ciò proprio in quanto dette persone fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa ai sensi della giurisprudenza citata al precedente paragrafo 76 (80). Sempre in ragione della loro comune appartenenza all’impresa, e sempre al fine di garantire l’effettività dell’esecuzione della sanzione, la Corte ha riconosciuto alla Commissione un potere discrezionale nel decidere se sanzionare solo la filiale che ha partecipato all’infrazione, oppure solo la società capogruppo che l’ha controllata durante il periodo di partecipazione all’infrazione (81) oppure se sanzionare entrambe solidalmente (82).
82. Risulta dalle considerazioni che precedono, nonché dalla ratio propria al meccanismo della solidarietà quale indicata al precedente paragrafo 52, che la facoltà riconosciuta dalla giurisprudenza alla Commissione di condannare più persone in solido al pagamento di un’ammenda per un’infrazione alle regole dell’Unione in materia di concorrenza deriva dalla nozione stessa di impresa e si giustifica solo nella misura in cui i soggetti in questione facciano parte – o abbiano fatto parte –dell’entità economica unitaria chiamata a rispondere di tale infrazione. In altre parole, presupposto affinché la Commissione possa condannare in solido al pagamento di un’ammenda inflitta per violazione delle norme di concorrenza dell’Unione è che i soggetti condannati solidalmente appartengano – o siano appartenuti – alla stessa unità economica la quale ha commesso tale violazione ed è, pertanto, chiamata a risponderne personalmente (83). Tali soggetti giuridici componenti un’impresa unitaria nell’accezione del diritto della concorrenza potranno quindi essere considerati personalmente ed eventualmente solidalmente responsabili per gli atti della stessa (84).
83. Tuttavia, quid se una (o più) delle persone giuridiche che hanno partecipato all’infrazione delle norme di concorrenza in quanto parte di un’unità economica, cessi di farne parte, ad esempio – come nel caso di specie in relazione alla SEHV e alla Magrini – a seguito di una cessione avvenuta durante il periodo in cui l’intesa è operante, di modo che al momento dell’adozione della decisione della Commissione essa non fa più parte dell’unità economica che ha commesso l’infrazione? Può ancora la Commissione condannare tale persona giuridica per detta infrazione in solido con i soggetti con cui faceva parte dell’entità economica unitaria?
84. Ritengo anzitutto che, in un caso di tal genere, in applicazione di quanto affermato al precedente paragrafo 80, i soggetti giuridici che componevano l’unità economica mantengono la loro responsabilità personale congiunta per gli atti commessi dall’entità economica di cui facevano parte durante il periodo di esistenza della stessa (85). Essendo inoltre l’unitarietà della condotta dell’entità economica sul mercato che giustifica l’imputazione in solido dell’integralità della condotta illecita a ciascuna delle persone giuridiche che ne fanno parte o che ne hanno fatto parte quando tale condotta è stata posta in essere, queste restano responsabili esternamente verso la Commissione per il pagamento dell’integralità dell’ammenda (86).
85. Tuttavia, qualora l’unità economica nella forma in cui esisteva quando è stata commessa l’infrazione non esista più al momento dell’adozione della decisione della Commissione, in caso di condanna in solido al pagamento dell’ammenda, il principio di personalità delle pene pone, a mio avviso, un’esigenza di certezza del diritto relativamente alla determinazione della sanzione per i soggetti che non costituiscono più un’unità economica. Tali soggetti, pur restando responsabili esternamente verso la Commissione per il pagamento dell’integralità dell’ammenda per l’infrazione commessa dall’impresa, non facendo più parte di un’entità economica unitaria al momento dell’adozione della decisione, devono poter conoscere la quota che dovranno sopportare internamente nei rapporti con i loro condebitori in solido con i quali non hanno più un legame, economico, organizzativo e giuridico sufficiente a giustificare l’inclusione con loro in un’unità economica (87).
86. Consegue da quanto precede che, nel caso in cui, nell’ambito del suo summenzionato potere discrezionale di decidere quale tra i soggetti responsabili sanzionare per le condotte per cui l’impresa è responsabile, la Commissione intenda stabilire una responsabilità solidale tra soggetti che costituivano un’unità economica al momento della commissione dell’infrazione, ma che, al momento dell’adozione della decisione, non fanno più parte della stessa unità economica, tale istituzione non può sottrarsi all’obbligo di stabilire l’importo pro quota dell’ammenda che il soggetto che non dispone più di nessi che giustifichino la sua inclusione nell’unità economica dovrà sopportare nei rapporti interni con gli altri condebitori. A tale riguardo, occorre rilevare che il fatto di sanzionare in solido tali soggetti costituisce una mera facoltà lasciata alla valutazione discrezionale della Commissione (88).
87. In tale prospettiva, ritengo che, se la Commissione sceglie di seguire tale strada, essa dovrà procedere ad un’analisi caso per caso volta a determinare il grado di responsabilità colpevole di tale soggetto nell’ambito della condotta unitaria dell’impresa. A tale riguardo, la Commissione stessa menziona una serie di circostanze, le quali, pur essendo state rigettate nella giurisprudenza per l’analisi volta a determinare l’esistenza di un’influenza determinante di una società controllante sulla sua controllata, possono tuttavia essere prese in considerazione nella determinazione della responsabilità colpevole relativa tra società controllante e controllata. La Commissione menziona specificamente il fatto che la società madre non abbia partecipato direttamente all’infrazione, il fatto che essa non possieda interessi nel settore in cui opera l’intesa, il fatto di non aver avuto conoscenza dell’infrazione o il fatto che le società controllate, malgrado le istruzioni di distanziarsi dal comportamento vi abbiano partecipato lo stesso (89). Ritengo poi che, analogamente del resto a quanto accade per la determinazione delle ammende, debba venir riconosciuta un certo margine di discrezionalità alla Commissione, a seconda delle caratteristiche di ciascun caso di specie, nella valutazione della pertinenza e dell’importanza di tali fattori, i quali non possono a mio avviso essere oggetto di un elenco tassativo e vincolante.
88. La necessità di un’analisi caso per caso, la quale deriva direttamente dall’applicazione dei principi della responsabilità personale e della personalità delle pene, mi sembra escludere la possibilità di prevedere una regola quale quella stabilita dal Tribunale a punti 158 e 159 della sentenza impugnata ai termini della quale, in mancanza di indicazioni riguardo al grado di responsabilità delle singole persone giuridiche per la partecipazione dell’impresa, si dovrebbe considerare che esse siano responsabili nella stessa misura. Tale regola, che sembra essere stata mutuata dal regime giuridico dell’obbligazione solidale di diritto civile previsto nell’ordinamento di taluni Stati membri (90) non solo non è, a mio avviso, compatibile con i summenzionati principi della responsabilità personale e della personalità delle pene (91) in quanto prevede una sorta di presunzione di uguale responsabilità tra condebitori solidali dell’ammenda per la partecipazione ad un comportamento unitario dell’impresa la quale non è necessariamente la stessa per tutti i soggetti in causa, ma è altresì priva di una base giuridica, o almeno di un fondamento di principio, adeguato. Per fondare una tale regola, non è, infatti, a mio avviso sufficiente un generico riferimento al regime giuridico dell’obbligazione di diritto civile in mancanza di qualunque altra spiegazione riguardo alle ragioni per cui un principio desunto da tale regime sarebbe applicabile in materia di concorrenza allorché, come rilevato dal Tribunale stesso, la natura dell’obbligo di pagamento gravante sulle società cui la Commissione ha inflitto le ammende da pagare in solido in ragione di un’infrazione al diritto della concorrenza è differente da quello dei condebitori di diritto privato.
89. A tale riguardo devo altresì ammettere che ho una certa difficoltà a riconoscere la pertinenza del riferimento, contenuto al punto 158 della sentenza impugnata, ai punti 100 e 101 della sentenza Aristrain/Commissione (92). In effetti, in tale sentenza la Corte non ha in alcun modo riconosciuto il principio stabilito dal Tribunale in detto punto della sentenza impugnata. Essa ha piuttosto censurato il Tribunale per non aver sanzionato il difetto di motivazione della decisione della Commissione la quale aveva inflitto un’ammenda ad una società imputandole i comportamenti di un’altra società collegata con lei senza che fosse tuttavia dimostrata l’esistenza di un’unità economica tra loro (93). In tale caso non si configurava quindi neanche la condanna in solido di più soggetti.
90. Esigenze di certezza del diritto relativamente alla determinazione della sanzione quali quelle menzionate al paragrafo 85 mi sembrano invece porsi in maniera assai più limitata nel caso in cui, al momento dell’adozione della decisione della Commissione, i soggetti sanzionati in solido continuino ad appartenere alla stessa unità economica, ossia alla stessa impresa, che ha commesso l’infrazione. Infatti, benché non possa in assoluto essere escluso che sorgano controversie tra soggetti appartenenti alla stessa entità economica unitaria condannati solidalmente quanto all’importo pro quota dell’ammenda da pagare da parte di ciascuno di essi, tali questioni sono suscettibili di rientrare generalmente in una ottica intragruppo. Fintantoché l’unità economica non si rompe è anzitutto l’impresa in quanto tale che è responsabile personalmente per la commissione dell’infrazione e la facoltà riconosciuta alla Commissione di condannare in solido al pagamento della relativa ammenda non è soggetta ad esigenze di certezza del diritto analoghe a quelle che si pongono nel caso di rottura dell’unità economica. Del resto, come già rilevato ai precedenti paragrafi 57 e 76, le norme di concorrenza dell’Unione non disciplinano, in linea di principio, i rapporti tra le entità che costituiscono l’impresa.
91. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono ritengo che nella sentenza impugnata il Tribunale abbia commesso un errore di diritto considerando che derivi dal principio di personalità delle pene e delle sanzioni che ciascun destinatario di una decisione che lo condanna al pagamento in solido di un’ammenda per violazione delle norme di concorrenza debba sempre poter dedurre da tale decisione l’importo pro quota che dovrà sopportare nei rapporti interni con i condebitori solidali una volta che sia stato effettuato il pagamento alla Commissione e stabilendo successivamente in concreto, sulla base di tale considerazione e sul fondamento della regola della ripartizione in parti uguali, l’importo pro quota dell’ammenda per ciascuna singola società in causa (94). Tuttavia, risulta altresì dalle considerazioni che precedono che, nel caso di condanna in solido di soggetti che al momento dell’adozione della decisione non appartengono più all’unità economica che ha commesso l’infrazione, si rende necessaria una determinazione dei loro importi pro quota dell’ammenda. Le conseguenze in concreto di tale errore saranno discusse successivamente ai paragrafi 125 e seguenti.
3. Sul secondo motivo d’impugnazione ai termini del quale il Tribunale avrebbe ecceduto i poteri conferitigli dalla sua competenza giurisdizionale estesa al merito
92. La Commissione fa valere che, interpretando l’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 nel senso che esso include anche il potere, o addirittura l’obbligo, di regolare le questioni relative ai rapporti interni tra condebitori solidali dell’ammenda e avendo su tale base determinato concretamente gli importi pro quota delle differenti società ricorrenti, il Tribunale avrebbe oltrepassato i poteri che gli conferisce la sua competenza giurisdizionale estesa al merito. Con il presente motivo la Commissione contesta in sostanza che la determinazione degli importi pro quota che ciascun condebitore solidale dell’ammenda deve sostenere nelle sue relazioni interne con gli altri condebitori rientri nell’ambito della competenza estesa al merito conferita alle giurisdizioni dell’Unione dagli articoli 261 TFUE e 31 del regolamento n. 1/2003.
93. A tale riguardo occorre anzitutto ricordare che, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, la competenza estesa al merito legittima il Tribunale, al di là del semplice controllo di legittimità, che consente soltanto di respingere il ricorso di annullamento o di annullare l’atto impugnato, a riformare quest’ultimo, vale a dire a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione, anche in assenza di annullamento, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto, al fine di estinguere, ridurre o aumentare l’importo dell’ammenda inflitta (95). La competenza estesa al merito svolge una funzione di garanzia supplementare per le imprese che l’importo dell’ammenda inflitta loro sia oggetto di un controllo di massimo rigore da parte di un tribunale indipendente e imparziale (96).
94. Risulta quindi dalla giurisprudenza che, quando esercita la sua competenza estesa al merito, il Tribunale dispone di un potere pieno che deve concernere tutti gli aspetti relativi alla determinazione dell’ammenda. Ritengo tuttavia che, nella misura in cui il Tribunale nell’esercizio di tale potere è abilitato a «sostituire la sua valutazione a quella della Commissione» (97), ciò possa avvenire esclusivamente nei limiti delle competenze conferite a tale istituzione dai Trattati. In altre parole, riformando la sanzione, il Tribunale non può esercitare competenze che oltrepassano quelle attribuite alla Commissione.
95. Orbene, ho rilevato nel quadro dell’analisi del primo motivo d’impugnazione (98) che la Commissione dispone della competenza di determinare la ripartizione interna dell’ammenda tra condebitori solidali solo nella misura in cui ciò sia necessario a garantire l’osservanza dei divieti di cui alle disposizioni di concorrenza dell’Unione e che, in taluni casi specifici, come nel caso in cui essa intenda sanzionare solidalmente società che sono appartenute alla stessa unità economica al momento della commissione dell’infrazione, ma che non ne fanno più parte al momento dell’adozione della decisione, essa è tenuta a effettuare una tale determinazione. È pertanto solo in tali limiti che, a mio avviso, il Tribunale può esercitare la sua competenza estesa al merito riguardo alla determinazione delle relazioni interne tra condebitori solidali.
96. In concreto, nella presente fattispecie, occorre a mio avviso distinguere il caso delle società che inizialmente avevano fatto parte del gruppo Schneider e che successivamente, nel 2001, sono state acquisite dal gruppo VA Tech (ossia la SEHV e la Magrini) per il periodo anteriore alla loro acquisizione, da quello delle altre società appartenenti al gruppo VA Tech (99).
97. Infatti, al momento dell’adozione della decisione controversa le società SEHV e Magrini non facevano più parte dell’impresa facente capo alla Schneider che la Commissione voleva sanzionare per l’infrazione commessa nel periodo compreso tra l’aprile 1988 e il dicembre 2000. Risulta dalle considerazioni effettuate nel quadro dell’analisi del primo e del terzo motivo d’impugnazione che, in tali circostanze, se la Commissione intendeva condannare tali società in solido con la vecchia società controllante (ossia la Schneider), essa doveva specificare l’importo pro quota dell’ammenda che ciascuna di tali società avrebbe dovuto sopportare nelle relazioni interne tra condebitori solidali non appartenenti più alla stessa impresa.
98. Il Tribunale nell’ambito della riforma dell’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito ha condannato solidalmente la Schneider, la SEHV e la Magrini ad un’ammenda totale pari a EUR 8,1 milioni determinando i relativi importi pro quota da sopportare nelle relazioni interne. Essendo la Commissione, alla luce di quanto rilevato al punto precedente, tenuta in un caso di tal genere a determinare tali importi pro quota, non si può a mio avviso considerare che il Tribunale, stabilendo le relazioni interne tra tali condebitori solidali, abbia ecceduto la propria competenza estesa al merito (100). Peraltro, conformemente a quanto ho rilevato ai precedenti paragrafi 87 e 88, ritengo che, applicando la regola della ripartizione dell’ammenda in parti uguali che esso stesso aveva stabilito ai punti 158 e 159 della sentenza impugnata, il Tribunale abbia tuttavia commesso un errore nella determinazione di tali importi pro quota.
99. Per ciò che riguarda, invece, le società appartenenti al gruppo VA Tech, non risulta nessuna ragione che porti a concludere che la determinazione dei rispettivi importi pro quota dell’ammenda per tali società fosse connessa alla necessità di garantire l’osservanza dei divieti di cui alle disposizioni di concorrenza dell’Unione. Il Tribunale non ha del resto fornito alcuna indicazione al riguardo. In tali circostanze, ritengo pertanto che, determinando i rispettivi importi pro quota che tali società dovranno sopportare nelle loro relazioni interne il Tribunale abbia ecceduto i limiti della sua competenza estesa al merito.
100. Occorre, infine, occuparsi ancora di una questione riguardante l’esercizio della competenza estesa al merito da parte del Tribunale nel presente caso. La Commissione mette, infatti, in evidenza che, pur avendo riformato l’ammenda, il Tribunale ha in fin dei conti lasciato immutato l’importo totale dell’ammenda inflitta alle due imprese sanzionate (l’impresa costituita dalle società del gruppo VA Tech (101) e l’impresa costituita dalla Schneider, dalla SEHV e dalla Magrini prima della cessione di queste (102)). Il Tribunale ha quindi proceduto in sostanza solamente ad una diversa «ripartizione interna» dell’ammenda tra le società condebitrici solidali (103). In tali condizioni, ci si può chiedere se ciò rientri nell’ambito della competenza conferita al giudice dell’Unione dall’articolo 31 del regolamento n. 1/2003 che permette a questo di «estinguere, ridurre o aumentare» l’importo dell’ammenda inflitta.
101. Ritengo che si debba dare una risposta positiva a tale domanda. Infatti, la competenza estesa al merito permette al Tribunale di «modificare» l’importo dell’ammenda inflitta (104). Orbene, benché sia vero che ai termini dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, le ammende per le violazioni delle norme di concorrenza sono inflitte alle imprese, in quanto destinatarie delle norme di concorrenza, è altresì vero che, come rilevato al precedente paragrafo 78, qualora l’impresa sia costituita da diverse persone giuridiche è a queste che viene inflitta la sanzione. Pertanto, in caso di annullamento dell’ammenda a seguito della constatazione di errori da parte della Commissione, rientra a mio avviso nel potere di controllo del Tribunale, che come visto è pieno e concerne tutti gli aspetti della determinazione della sanzione, una rideterminazione dell’ammenda che pur mantenendo ferma l’entità di questa come stabilita dalla Commissione per l’impresa, ne modifica l’importo per le persone giuridiche che sono concretamente tenute a pagarla.
102. Inoltre, per ciò che riguarda specificamente il caso di specie, è altresì giocoforza constatare che il Tribunale ha modificato, aumentandolo, l’importo dell’ammenda dovuta da due società che non appartengono più all’impresa che aveva commesso l’infrazione. Infatti, rendendo la SEHV e la Magrini solidalmente responsabili verso la Commissione per il pagamento di un importo di EUR 8,1 milioni in luogo di EUR 4,5 milioni, il Tribunale ha modificato, aumentandolo, l’importo dell’ammenda dovuto da tali società.
103. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che anche il secondo motivo vada accolto nella misura in cui, da un lato per ciò che riguarda le società del gruppo VA Tech, il Tribunale ha ecceduto la sua competenza estesa al merito, e dall’altro, per ciò che riguarda la Schneider e la SEHV e la Magrini prima della loro cessione nel 2001, esso ha commesso un errore nell’esercizio di tale competenza. Le conseguenze in concreto di tale accoglimento saranno discusse successivamente ai paragrafi 125 e segg.
4. Sul quarto motivo d’impugnazione relativo alla violazione del principio del «ne ultra petita»
104. Con il suo quarto motivo d’impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale nella sentenza impugnata avrebbe violato il principio del «ne ultra petita». Sarebbe, infatti, di propria iniziativa e senza che le ricorrenti lo abbiano domandato che il Tribunale, da un lato, ha effettuato, al punto 157 della sentenza impugnata, la constatazione secondo cui spetta alla Commissione determinare gli importi pro quota di ciascun debitore solidale dell’ammenda e, dall’altro, ha determinato in concreto le quote parti delle ricorrenti ai punti 245, 247, 262 e 263 della sentenza impugnata nell’ambito della sua competenza estesa al merito.
105. A tale riguardo, è pacifico che il giudice dell’Unione chiamato a decidere su un ricorso di annullamento è vincolato al principio del «ne ultra petita» a termini del quale l’annullamento da esso pronunciato non può eccedere quello richiesto dal ricorrente (105).
106. Tuttavia, come rilevato al precedente paragrafo 41, l’analisi dell’impugnazione è limitata alla determinazione degli importi pro quota dell’ammenda da parte del Tribunale nell’esercizio della sua competenza estesa al merito e alle considerazioni di diritto effettuate ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata, solamente nella misura in cui esse costituiscono il fondamento necessario e inscindibile di tale determinazione.
107. Orbene, come ho anche già avuto modo di sostenere recentemente, ritengo che la regola del «ne ultra petita», e la conseguente limitazione dei poteri del giudice alle questioni che gli vengono sottoposte dalle parti, giochi un ruolo assai limitato nel quadro dell’esercizio della competenza estesa al merito del giudice dell’Unione ai sensi dell’articolo 261 TFUE (106). In effetti, una volta che sia stata chiesta dalle parti una nuova valutazione dell’importo dell’ammenda, il Tribunale deve ritenersi autorizzato, nei limiti delle sue competenze, a effettuare un’analisi piena «nel merito» sull’importo dell’ammenda che si estende al di là dei vincoli intrinseci al controllo di legittimità (107).
108. Nella presente fattispecie, a prescindere dal fatto che la determinazione dell’importo pro quota può, secondo me, essere considerata come ricompresa in una domanda di riforma dell’ammenda, occorre in ogni caso rilevare che dinanzi al Tribunale tutte le ricorrenti hanno contestato l’ammontare dell’ammenda inflitta loro chiedendone la riduzione per motivi in relazione con l’imposizione da parte della Commissione di un vincolo di solidarietà, implicando quindi in modo più o meno esplicito(108) la questione dei rapporti interni tra i soggetti legati da tale vincolo.
109. Ne consegue, a mio avviso, che, nel caso di specie, il principio del «ne ultra petita» non poteva impedire al Tribunale di effettuare una considerazione di diritto come quella contenuta al punto 157 della sentenza impugnata e di trarne susseguentemente le relative conseguenze nell’ambito della riforma dell’importo dell’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito. Ciò non toglie nulla al fatto che ritengo che tale considerazione, nonché detta determinazione siano viziate da errori di diritto e che il Tribunale abbia ecceduto parzialmente i limiti della sua competenza estesa al merito (109).
110. Risulta da quanto precede che il quarto motivo d’impugnazione deve a mio avviso essere respinto.
5. Sul quinto motivo d’impugnazione relativo ad una violazione del principio del contraddittorio
111. Secondo la Commissione il Tribunale avrebbe violato il principio del contraddittorio non avendole dato occasione di esprimersi in merito all’interpretazione che esso intendeva dare dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 nel senso dell’imposizione a suo carico di un obbligo di determinare le relazioni interne tra condebitori solidali. In tal modo il Tribunale avrebbe imposto obblighi totalmente nuovi alla Commissione senza che questa abbia avuto la possibilità di prendere sufficientemente posizione in merito.
112. Occorre anzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza, il principio del contraddittorio, che fa parte dei diritti della difesa e sul cui rispetto sono chiamati a vigilare gli organi giurisdizionali dell’Unione, implica, in generale, il diritto delle parti in un processo di prendere conoscenza delle prove e delle osservazioni presentate dinanzi al giudice e di discuterle (110). Affinché siano soddisfatte le prescrizioni connesse al diritto a un processo equo, occorre che le parti possano discutere in contraddittorio tanto sugli elementi di fatto quanto sugli elementi di diritto che sono decisivi per l’esito del procedimento (111). Di norma, esso implica pertanto il diritto delle parti di prendere conoscenza e di discutere i motivi di diritto, anche rilevati d’ufficio dal giudice, su cui quest’ultimo intenda fondare la propria decisione (112).
113. Il principio del contraddittorio deve essere rispettato anche nell’esercizio da parte del Tribunale della sua competenza estesa al merito (113).
114. Del principio del contraddittorio devono potere beneficiare tutte le parti a un processo del quale è adito il giudice comunitario, indipendentemente dal loro status giuridico. Di conseguenza, anche le istituzioni dell’Unione possono avvalersene qualora siano parti in un siffatto processo (114).
115. Nella presente fattispecie, risulta dal punto 30 della sentenza impugnata che nel corso dell’udienza dinanzi al Tribunale la SEHV e la Magrini hanno prodotto una sentenza del Tribunal de Commerce de Grenoble relativa alla causa intentata dalla Schneider nei loro confronti per ottenere il rimborso della parte dell’ammenda da lei integralmente pagata per cui tali società erano solidalmente responsabili (115). A seguito della produzione di tale sentenza, il Tribunale ha permesso alla Commissione, su sua richiesta, di poter presentare osservazioni in merito. In tali osservazioni, presentate il 26 marzo 2010, dopo aver esposto le ragioni per cui essa riteneva che tale sentenza non fosse pertinente per la decisione delle cause proposte dalle ricorrenti dinanzi al Tribunale, la Commissione ha effettuato tutta una serie di considerazioni riguardanti la responsabilità solidale in generale, le quali includevano alcune osservazioni riguardo alla determinazione delle relazioni interne tra condebitori solidali dell’ammenda. In particolare, già in tale contesto la Commissione ha affermato la propria incompetenza a determinare le relazioni interne tra condebitori e ha effettuato talune considerazioni riguardo alla competenza dei giudici nazionali. La Commissione stessa nell’ambito della prima parte del sesto motivo d’impugnazione afferma di avere sollevato in tali osservazioni tutta una serie di argomenti che si opponevano alla determinazione da parte sua dei rapporti giuridici tra condebitori solidali dell’ammenda.
116. In tali circostanze non si può non rilevare come la Commissione abbia avuto modo di prendere posizione sulle questioni riguardanti la determinazione dei rapporti di solidarietà interna tra condebitori dell’ammenda (116). Orbene, è vero che il Tribunale non le ha esplicitamente chiesto di prendere posizione sull’interpretazione che esso intendeva dare dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003 con riferimento al riconoscimento a suo favore della competenza a determinare le relazioni interne tra condebitori. Tuttavia, tale interpretazione costituisce a mio avviso una valutazione giuridica di diritto di pertinenza del Tribunale la quale non integra una violazione del principio del contraddittorio (117), particolarmente in un contesto in cui, come nella presente causa, la Commissione ha avuto modo di prendere esplicitamente posizione sulle suddette questioni relative alla determinazione delle relazioni interne tra condebitori solidali (118).
117. Alla luce di ciò che precede ritengo che il quinto motivo d’impugnazione sollevato dalla Commissione debba essere respinto.
6. Sul sesto motivo d’impugnazione relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione
118. Con il sesto motivo d’impugnazione, che si suddivide in due parti, la Commissione fa valere che il Tribunale nella sentenza impugnata non ha rispettato l’obbligo di motivazione che gli incombe. In primo luogo, il Tribunale non avrebbe sufficientemente esaminato gli argomenti che la Commissione ha presentato nelle succitate osservazioni del 26 marzo 2010 contro la determinazione dei rapporti giuridici interni tra condebitori solidali. In secondo luogo, il Tribunale non avrebbe esplicitato i motivi su cui riposano le sue conclusioni, limitandosi ad effettuare considerazioni talmente generali che sarebbe impossibile comprendere come esse possano stare a fondamento di tali conclusioni.
119. A tale riguardo occorre ricordare che per giurisprudenza costante l’obbligo per il Tribunale di motivare le proprie decisioni non può essere interpretato nel senso che esso sia tenuto a rispondere dettagliatamente a ciascun argomento dedotto da una parte (119). Piuttosto, deve essere considerato sufficiente se dalla motivazione di una sentenza, la quale può essere svolta, in taluni punti, anche in maniera implicita, risulti in modo chiaro e inequivocabile il ragionamento seguito dal Tribunale, in modo da consentire agli interessati di conoscere i motivi della decisione adottata da esso ed alla Corte di esercitare il suo sindacato giurisdizionale (120).
120. Orbene, quanto alla prima parte del presente motivo, risulta da tale giurisprudenza che il Tribunale non era tenuto a rispondere esplicitamente e dettagliatamente a tutti gli argomenti avanzati dalla Commissione nelle sue osservazioni del 26 marzo 2010. Si desume del resto dal ragionamento contenuto ai punti da 153 a 159 della sentenza impugnata che il Tribunale ha rigettato l’approccio proposto dalla Commissione il quale tuttavia, come risulta dalla frase finale del punto 157, è stato preso in considerazione dal Tribunale nella sua analisi.
121. Quanto alla seconda parte del presente motivo, ho rilevato al precedente paragrafo 45 che dai termini utilizzati dal Tribunale non risulta in modo del tutto chiaro se esso ha inteso o meno imporre un vero e proprio obbligo alla Commissione di determinare gli importi pro quota dei condebitori solidali dell’ammenda. Al punto 153 esso ha, infatti, affermato che la Commissione «deve (…) eventualmente» procedere a tale determinazione senza specificare in quali casi ciò sia necessario, allorché al punto 157 esso ha affermato che «spetta» alla Commissione fare ciò (121). L’utilizzazione di tali termini mi sembra creare una certa ambiguità nelle determinazioni del Tribunale e nella portata degli obblighi che questo ha inteso imporre alla Commissione.
122. Inoltre, risulta dal precedente paragrafo 88 che non ho ritenuto sufficiente il generico riferimento effettuato dal Tribunale al punto 155 della sentenza impugnata, al regime giuridico dell’obbligazione di diritto civile a fondamento della regola della ripartizione in parti uguali della responsabilità, e pertanto dell’ammenda, tra condebitori solidali in caso di assenza di indicazioni nella decisione quanto allo specifico grado di responsabilità di ciascuna società condannata in solido. Il Tribunale avrebbe a mio avviso dovuto spiegare le ragioni per cui principi desunti da tale regime sarebbero applicabili in materia di concorrenza allorché, come esso stesso ha rilevato, la natura dell’obbligo di pagamento gravante sulle società cui la Commissione ha inflitto le ammende da pagare in solido in ragione di un’infrazione al diritto della concorrenza è differente da quello dei condebitori di diritto privato.
123. Tuttavia, benché come rilevato nell’ambito del primo, secondo e terzo motivo d’impugnazione il ragionamento seguito dal Tribunale sia, a mio avviso, viziato da errori di diritto, e nonostante i suindicati elementi contraddittori o lacunosi nella motivazione, esso mi sembra, in generale, sufficientemente chiaro da consentire agli interessati, inclusa la Commissione, di conoscere i motivi della decisione adottata ed alla Corte di esercitare il suo sindacato giurisdizionale. Ciò mi sembra del resto confermato dal fatto che la Commissione è stata in grado di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte a mezzo di un ampio ricorso.
124. Risulta da tutto ciò che il sesto motivo d’impugnazione deve, a mio avviso, essere respinto.
D – Conclusione
125. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono propongo alla Corte di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato che spetta esclusivamente alla Commissione, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza ad infliggere ammende determinare i rispettivi importi pro quota per le diverse società dell’ammenda cui queste sono state condannate in solido e che tale compito non può essere affidato ai giudici nazionali, e nella parte in cui, fondandosi su tale principio, nonché sulla regola della suddivisione in parti uguali della responsabilità in mancanza di indicazioni al riguardo nella decisione, il Tribunale ha, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, determinato gli importi pro quota per ciascuna delle società ricorrenti in primo grado.
126. Tuttavia, risulta dai precedenti paragrafi 55, 85 e 86, che qualora intenda stabilire una responsabilità solidale tra soggetti che costituivano un’unità economica al momento della commissione dell’infrazione, ma che, al momento dell’adozione della decisione, non fanno più parte della stessa unità economica, la Commissione è tenuta a stabilire l’importo pro quota dell’ammenda che il soggetto che non dispone più di nessi che giustifichino la sua inclusione nell’unità economica dovrà pagare nei rapporti interni con gli altri condebitori.
127. Orbene, è giocoforza constatare, da un lato, che, al momento dell’adozione della decisione controversa la Schneider, la SEHV e la Magrini non facevano più parte della stessa unità economica e, dall’altro, che la Commissione le ha condannate in solido al pagamento dell’ammenda senza stabilire l’importo pro quota dell’ammenda a carico della SEHV e della Magrini. Tuttavia, le conseguenze da trarre da tale constatazione dipendono dall’esito dell’impugnazione proposta da tali due società e sarà pertanto discusso successivamente all’analisi di tale impugnazione, ossia ai paragrafi 169 e segg.
IV – Sull’impugnazione proposta dalla Reyrolle nella causa C‑232/11 P
128. A sostegno della sua impugnazione la Reyrolle ha proposto due motivi di ricorso.
A – Sul primo motivo d’impugnazione relativo alla violazione del principio della personalità delle pene e delle sanzioni
129. Con il suo primo motivo d’impugnazione la Reyrolle fa valere che il Tribunale, riformando l’ammenda in virtù della sua competenza estesa al merito, ha violato il principio d’individualità delle pene e delle sanzioni. Secondo la Reyrolle, esso non avrebbe dovuto calcolare un solo importo di partenza prendendo in considerazione il fatturato e la quota di mercato dell’impresa facente capo alla VA Technologie, ma avrebbe dovuto determinare un importo di partenza distinto per la Reyrolle per il periodo in cui questa era una controllata della Rolls‑Royce, ossia il periodo compreso tra il 15 aprile 1988 e il 20 settembre 1998 (122). L’importo di partenza per il periodo anteriore all’ingresso della Reyrolle nel gruppo VA Tech avrebbe dovuto essere determinato sulla base della quota di mercato dell’impresa Rolls‑Royce/Reyrolle e del solo fatturato della Reyrolle. In tal modo, l’ammenda totale inflitta alla Reyrolle avrebbe dovuto essere al massimo pari a EUR 2,05 milioni.
130. Il motivo sollevato dalla Reyrolle parte dalla premessa che durante la sua partecipazione all’intesa, la quale è durata dal 15 aprile 1988 al 13 dicembre 2000 e dal 1° aprile 2002 all’11 maggio 2004 (123), essa abbia fatto parte di due imprese differenti, ossia, inizialmente, dell’impresa facente capo alla Rolls-Royce nel periodo compreso tra il 15 aprile 1988 e il 20 settembre 1998, data della sua acquisizione da parte della VA Technologie, e, successivamente dell’impresa facente capo a quest’ultima società per il periodo restante. Ciò giustificherebbe, a suo dire, la determinazione di due importi di partenza distinti per i due periodi e per le due imprese in questione.
131. Tale premessa non trova tuttavia conferma nella sentenza impugnata.
132. Al riguardo occorre osservare che il Tribunale ha considerato che fino al 20 settembre 1998 la Reyrolle aveva partecipato all’infrazione in modo autonomo e che, successivamente, essa aveva proseguito la sua attività illecita quale controllata del gruppo VA Tech (124).
133. Infatti, poiché per la Rolls-Royce, società a capo del gruppo cui apparteneva la Reyrolle fino al 20 settembre 1998, l’infrazione era prescritta (125), né la decisione controversa, né la sentenza impugnata hanno constatato l’esistenza di un’unità economica tra la Reyrolle e la Rolls-Royce che giustificherebbe l’appartenenza della prima ad un’impresa a capo della quale si trovasse la seconda. A tale riguardo occorre del resto anche rilevare che la Rolls-Royce non è destinataria né della decisione controversa né di una qualsivoglia sanzione in quanto, a suo carico, non è stata constata alcuna infrazione.
134. In tali circostanze emerge dalla sentenza impugnata che l’infrazione sanzionata dalla Commissione prima e dal Tribunale poi è stata commessa da una sola impresa, la quale inizialmente, prima del 20 settembre 1998, è stata costituita esclusivamente dalla Reyrolle, e successivamente si è ampliata, a seguito dell’acquisizione di questa da parte del gruppo VA Tech, includendo quindi l’unità economica facente capo alla VA Technologie, cui si sono poi ulteriormente aggiunte, a seguito del loro conferimento nella VAS, la SEHV e la Magrini (126).
135. Il Tribunale ha pertanto potuto a buon diritto determinare un solo importo di partenza per l’impresa facente capo alla VA Technologie sulla base del suo fatturato nel 2003, ultimo anno completo dell’infrazione (127), ripartendo successivamente la responsabilità per l’infrazione tra le singole società per i periodi in cui esse hanno partecipato all’intesa. Agendo in tal modo esso non ha violato il principio della personalità delle pene.
136. Le considerazioni che precedono mi portano a concludere che il primo motivo d’impugnazione proposto dalla Reyrolle debba essere respinto.
B – Sul secondo motivo relativo alla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità
137. La Reyrolle sostiene che, determinando l’ammenda inflittale nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, il Tribunale ha violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità. In primo luogo, essa sarebbe stata discriminata rispetto all’approccio seguito per le società appartenenti al gruppo Schneider (la Schneider, la SEHV e la Magrini), per le quali il Tribunale ha determinato importi di partenza differenti per ciascun periodo di appartenenza ad un’impresa differente (128). Tale differenza di trattamento avrebbe avuto per conseguenza l’applicazione di un’ammenda sproporzionata alla Reyrolle. In secondo luogo, la Reyrolle sarebbe altresì stata discriminata con riferimento al metodo di calcolo utilizzato per talune imprese giapponesi per le quali la Commissione avrebbe stabilito importi di partenza distinti per il periodo precedente l’integrazione della loro attività nel settore delle GIS in un’impresa comune.
138. La Commissione ritiene che il secondo motivo d’impugnazione sia irricevibile in quanto motivo nuovo proposto solo in sede d’impugnazione. Essa rileva che per determinare l’ammenda nel quadro dell’esercizio della sua competenza estesa al merito il Tribunale ha utilizzato la stessa metodologia di calcolo utilizzata dalla Commissione. La determinazione dell’ammenda da parte del Tribunale non potrebbe quindi costituire in sé l’origine della pretesa discriminazione, la quale, eventualmente, sarebbe derivata direttamente dalla decisione controversa. La pretesa discriminazione non sarebbe però stata sollevata dalla Reyrolle in primo grado e costituirebbe pertanto un motivo nuovo.
139. A tale riguardo, è vero che risulta da giurisprudenza costante che, la competenza della Corte nell’ambito dell’impugnazione è limitata, in linea di principio, all’esame della valutazione da parte del Tribunale dei motivi dinanzi ad esso discussi (129). È altresì vero che la Reyrolle non ha fatto valere in primo grado le pretese discriminazioni cui si riferisce nel presente motivo di ricorso. Tuttavia, risulta anche dalla giurisprudenza che un ricorrente è legittimato a introdurre un’impugnazione in cui fa valere, dinanzi alla Corte, motivi derivanti dalla sentenza impugnata e che siano diretti a contestarne, in diritto, la fondatezza (130).
140. Orbene, è gioco forza constatare che nel presente motivo la Reyrolle fa valere di essere stata discriminata nella sentenza impugnata dal Tribunale quando questo ha determinato l’ammenda nell’esercizio della sua competenza estesa al merito. Pertanto, sebbene il Tribunale per riformare le ammende abbia utilizzato il metodo di calcolo seguito dalla Commissione che non aveva rimesso in discussione, la pretesa discriminazione lamentata dalla Reyrolle deriva direttamente da tale riforma dell’ammenda effettuata dal Tribunale e pertanto dalla sentenza impugnata. In tale contesto, ritengo che il presente motivo possa essere considerato ricevibile.
141. Quanto al merito del presente motivo, risulta dalla giurisprudenza che l’esercizio di una competenza estesa al merito non può comportare, in sede di determinazione dell’importo delle ammende, una discriminazione tra le imprese che hanno preso parte ad un accordo contrario all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (131). Inoltre, il principio della parità di trattamento risulta violato qualora situazioni analoghe vengono trattate in maniera differente o quando situazioni differenti vengono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (132).
142. Orbene, quanto alla situazione della Reyrolle e a quella delle società appartenenti al gruppo Schneider, è giocoforza constatare che esse non sono analoghe. Infatti, diversamente dalla Reyrolle, la quale come osservato ai paragrafi da 134 a 136 ha partecipato all’infrazione facendo parte di un’unica impresa − ciò che ha giustificato che il Tribunale abbia determinato l’ammenda partendo da un unico importo di partenza per l’impresa VA Technologie sulla base del fatturato di questa − la SEHV e la Magrini hanno partecipato all’intesa facendo parte di due imprese diverse. In una prima fase, esse vi hanno partecipato come parti dell’impresa facente capo alla Schneider e, successivamente, dopo l’acquisizione del loro controllo da parte della VA Technologie, esse vi hanno partecipato come società facenti parte dell’impresa capeggiata da quest’ultima. Ritengo che, essendo le situazioni in questione differenti, la Reyrolle non può far valere una violazione del principio della parità di trattamento.
143. Nello stesso senso ritengo che non siano comparabili la situazione della Reyrolle e quella dei produttori giapponesi. In effetti, risulta dalla decisione impugnata che sia la Fuji e la Hitachi, da un lato, sia la Mitsubishi Electric e la Toshiba, dall’altro, hanno inizialmente partecipato a titolo indipendente all’infrazione e, successivamente, il 1° ottobre 2002, hanno integrato le rispettive attività GIS in due imprese comuni, rispettivamente la Japan AE Power Systems Corporation e la TM T& D Corporation (133). Esse tuttavia, dopo la creazione delle imprese comuni, hanno continuato ad esistere diversamente dalla Reyrolle, come imprese autonome e indipendenti. Orbene, è giocoforza constatare come tale situazione sia manifestamente differente da quella della Reyrolle la quale, come descritto al precedente paragrafo 134, è stata integrata nell’impresa VA Technologie. Dette situazioni diverse giustificano un trattamento differenziato.
144. Quanto all’asserita violazione del principio di proporzionalità occorre anzitutto ricordare che, per giurisprudenza costante, non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un ricorso contro una sentenza del Tribunale, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sull’ammontare delle ammende inflitte a imprese a seguito della violazione, da parte di queste ultime, del diritto dell’Unione. Pertanto, soltanto nei limiti in cui la Corte ritenesse che il livello della sanzione sia non soltanto incongruo ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato, occorrerebbe constatare un errore di diritto commesso dal Tribunale a causa del carattere incongruo dell’importo di un’ammenda (134). Nel caso di specie è tuttavia giocoforza constatare che la Reyrolle ha fondato la sua censura relativa al carattere disproporzionato dell’ammenda solo sulle pretese discriminazioni menzionate ai paragrafi precedenti le quali tuttavia, come visto, a mio avviso non sussistono.
145. Alla luce di tutto ciò che precede ritengo che il secondo motivo d’impugnazione debba essere rigettato e che pertanto l’impugnazione della Reyrolle debba essere respinta nella sua integralità.
V – Sull’impugnazione proposta dalla SEHV e dalla Magrini nella causa C‑233/11 P
146. Nella loro impugnazione la SEHV e la Magrini sollevano tre motivi di ricorso, il primo relativo alla violazione del principio del «ne ultra petita», il secondo relativo alla violazione del principio dell’autorità della cosa giudicata e il terzo relativo alla violazione del principio del contraddittorio.
147. A titolo preliminare occorre, tuttavia, esaminare l’eccezione d’irricevibilità dell’impugnazione nella sua integralità sollevata dalla Commissione. Tale istituzione sostiene, infatti, che l’impugnazione sarebbe irricevibile in quanto le conclusioni presentate dalla SEHV e dalla Magrini dinanzi alla Corte sarebbero esattamente il contrario di quelle formulate in primo grado.
148. Orbene, in primo grado la SEHV e la Magrini avevano chiesto al Tribunale di «annullare l’articolo 2 della decisione [controversa] nella misura in cui essa riguarda le ricorrenti», formulazione che ricomprendeva sia la lettera k), sia la lettera l) di tale articolo le quali concernono tali due società.
149. Dinanzi alla Corte invece tali società hanno chiesto, da un lato, l’annullamento della sentenza impugnata nella misura in cui questa ha annullato l’articolo 2, lettere j) e k) della decisione controversa e, dall’altro, di confermare l’articolo 2, lettere j) e k) di tale decisione e di dichiarare, per ciò che riguarda l’articolo 2, lettera k) di tale decisione, che ciascun condebitore solidale deve sopportare un terzo della sanzione di EUR 4,5 milioni.
150. Al riguardo occorre ricordare che le conclusioni dell’impugnazione devono tendere all’accoglimento, totale o parziale delle conclusioni presentate in primo grado, esclusa ogni nuova conclusione (135), di modo che un capo di conclusioni con cui si chieda l’esatto contrario di quanto richiesto in primo grado non può, di tutta evidenza, essere considerato ricevibile. Ritengo per tale ragione irricevibile la domanda delle ricorrenti volta a chiedere la conferma dell’articolo 2, lettera k), di cui esse avevano chiesto l’annullamento in primo grado. Quanto alla lettera j), di detto articolo 2, essa concerne un soggetto differente dalla SEHV e dalla Magrini, ossia la Schneider, di modo che la domanda presentata da tali società di confermare tale parte del dispositivo della decisione non può neanch’essa essere considerata ricevibile. Il ricorso è a mio avviso ricevibile per il resto.
A – Sul primo e il secondo motivo relativi alla violazione del principio del «ne ultra petita» e alla violazione del principio dell’autorità della cosa giudicata
151. Nell’ambito del loro primo e secondo motivo, i quali vanno a mio avviso analizzati congiuntamente, la SEHV e la Magrini fanno valere che il loro ricorso dinanzi al Tribunale era diretto esclusivamente contro l’ammenda di EUR 4,5 milioni che esse dovevano pagare solidalmente con la Schneider. Il Tribunale annullando l’articolo 2, lettera j), della decisione controversa che infligge l’ammenda alla Schneider e rideterminando l’ammenda inflitta alla SEHV e alla Magrini avrebbe pertanto statuito ultra petita.
152. Inoltre, non avendo la Schneider impugnato la decisione controversa per quanto la riguarda, essa avrebbe acquisito forza di giudicato per ciò che concerne la determinazione dell’ammenda per un importo di EUR 3,6 milioni. Il Tribunale andando al di là di quanto domandato dalla SEHV e dalla Magrini avrebbe pertanto violato anche il principio dell’autorità della cosa giudicata acquisita dalla decisione della Commissione nei confronti della Schneider.
153. La Commissione sostiene che il Tribunale non avrebbe violato il principio del «ne ultra petita» in quanto esso non avrebbe statuito sulla responsabilità della Schneider, per la quale, infatti, l’importo totale dell’ammenda sarebbe rimasto invariato (EUR 8,1 milioni, ossia la somma di EUR 3,6 milioni e EUR 4,5 milioni). La sentenza impugnata avrebbe modificato solo gli aspetti della solidarietà interna tra condebitori, la quale, avrebbe fatto parte dell’oggetto della causa in primo grado come determinato dalla SEHV e dalla Magrini stesse. In tale contesto la Commissione nega anche che il Tribunale abbia violato il principio della cosa giudicata.
154. A tale riguardo ho già ricordato al precedente paragrafo 105 che il giudice dell’Unione chiamato a decidere su un ricorso di annullamento è vincolato al principio del «ne ultra petita» a termini del quale l’annullamento da esso pronunciato non può eccedere quello richiesto dal ricorrente (136).
155. Pertanto, se un destinatario di una decisione decide di proporre un ricorso di annullamento, il giudice dell’Unione è investito dei soli elementi della decisione che lo riguardano. Invece, quelli riguardanti altri destinatari, che non sono stati impugnati, non rientrano nell’oggetto della controversia che il giudice dell’Unione è chiamato a risolvere (137). Inoltre, una decisione che non sia stata impugnata dal destinatario entro i termini stabiliti dall’articolo 263 TFUE diviene definitiva nei suoi confronti (138).
156. Nella fattispecie, occorre anzitutto osservare che risulta dal punto 2 del dispositivo della sentenza impugnata che il Tribunale ha, tra l’altro, annullato l’articolo 2, lettera j), della decisione controversa a termini del quale la Schneider è condannata da sola ad un’ammenda di importo pari a EUR 3,6 milioni, nonché l’articolo 2, lettera k), nella sua integralità a termini del quale la Schneider, la SEHV e la Magrini sono considerate responsabili per un importo pari a EUR 4,5 milioni.
157. Tuttavia, come rilevato al precedente paragrafo 148, in primo grado la SEHV e la Magrini hanno chiesto al Tribunale di annullare l’articolo 2 della decisione controversa nella misura in cui esso le riguardava. Inoltre, non è contestato che la Schneider non ha presentato alcun ricorso dinanzi ai giudici dell’Unione riguardo alla decisione controversa, di modo che essa è divenuta definitiva nei suoi confronti.
158. Orbene, è giocoforza constatare che, nella misura in cui essa riguardava esclusivamente la Schneider la sanzione inflitta alla lettera j), dell’articolo 2, della decisione controversa non poteva formare oggetto di una domanda di annullamento da parte della SEHV e della Magrini e pertanto, in assenza di impugnazione da parte della Schneider, non poteva formare oggetto della controversia dinanzi al Tribunale. In tali condizioni, il Tribunale non poteva a mio avviso annullare la lettera j), dell’articolo 2, della decisione controversa senza statuire ultra petita. Un ragionamento analogo vale per l’articolo 2, lettera k), della decisione controversa nella parte in cui questo riguardava la Schneider e non la SEHV e la Magrini.
159. Il fatto, messo in evidenza dalla Commissione, che, successivamente a tale annullamento, il Tribunale, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza estesa al merito abbia riformato l’ammenda inflitta alle società dell’impresa Schneider senza modificare l’importo totale dell’ammenda inflitta alla Schneider non toglie nulla al fatto che il Tribunale non potesse annullare la lettera j), dell’articolo 2, della decisione controversa nonché la lettera k), dell’articolo 2, nella parte in cui riguardava la Schneider, in quanto esse non potevano fare parte dell’oggetto della controversia. La riforma dell’ammenda, infatti, la quale è nella sentenza impugnata un esercizio successivo all’annullamento, non è in grado di sanarne un vizio quale la violazione del principio del «ne ultra petita».
160. Alla luce delle considerazioni che precedono ritengo che il primo e il secondo motivo debbano essere accolti.
B – Sul terzo motivo relativo alla violazione del principio del contraddittorio
161. La SEHV e la Magrini fanno, infine, valere che il Tribunale avrebbe violato il principio del contraddittorio. Durante tutto il procedimento dinanzi al Tribunale esse non avrebbero mai avuto la possibilità di prendere posizione sulle constatazioni di questo in merito alla nuova ripartizione dell’ammenda di EUR 3,6 milioni che la Schneider doveva sopportare da sola e il cui annullamento ha avuto per conseguenza l’aumento dell’importo dell’ammenda a loro carico.
162. Ho già ricordato ai precedenti paragrafi da 112 a 114 i principi giurisprudenziali relativi al principio del contraddittorio.
163. Nella presente fattispecie occorre anzitutto dissipare i dubbi avanzati dalla Commissione sulla possibilità per la SEHV e la Magrini di avvalersi nel presente caso del diritto al contraddittorio. Tal dubbi si fondano sul fatto che il Tribunale, in realtà, avrebbe ridotto l’importo totale dell’ammenda per cui la SEHV e la Magrini sono state tenute responsabili il quale sarebbe passato da EUR 22,05 milioni a EUR 18,45 milioni.
164. Risulta tuttavia chiaro che l’importo totale cui si riferisce la Commissione è la somma di due ammende distinte inflitte alle due società in questioni a titolo differente, ossia, da un lato, quella inflitta loro in quanto parti dell’impresa facente capo alla Schneider e, dall’altro, quella inflitta loro in quanto parti dell’impresa VA Technologie per il periodo successivo alla loro integrazione nel gruppo facente capo all’impresa VA Technologie. Orbene, se l’importo di tale seconda ammenda è stato effettivamente ridotto dal Tribunale per la SEHV e la Magrini (139), il Tribunale ha invece aumentato la prima per le due società in causa, le quali, a seguito della riforma della sanzione da parte del Tribunale, si sono trovate corresponsabili con la Schneider non per un importo pari a EUR 4,5 milioni, come previsto nella decisione, ma per un importo pari a EUR 8,1 milioni. In tali condizioni, le ricorrenti possono a mio avviso senza dubbio far valere una violazione del diritto al contradditorio per ciò che riguarda tale ammenda.
165. Quanto al merito del motivo, risulta dal fascicolo che, durante il procedimento dinanzi al Tribunale, è stata discussa la questione che costituisce il presupposto per l’annullamento della lettera j), dell’articolo 2 della decisione ossia quella relativa all’inflizione di un’ammenda a carico esclusivamente alla Schneider in assenza di un addebito specifico a suo carico diverso dalla partecipazione all’intesa attraverso le sue controllate SEHV e Magrini.
166. In particolare, risulta dal fascicolo che, prima dell’udienza, il Tribunale ha posto una serie di quesiti alle parti, tra cui uno in particolare, indirizzato alla Commissione, conteneva una domanda diretta, volta a conoscere le ragioni per cui la SEHV e la Magrini non avrebbero dovuto essere debitrici solidali, insieme alla Schneider, della totalità dell’ammenda inflitta a questa (140). Nella sua risposta la Commissione aveva spiegato che l’imposizione di un’ammenda di EUR 3,6 milioni solo alla Schneider si era giustificata in relazione alla necessità di evitare di imporre due volte un importo di partenza alla SEHV e la Magrini, le quali erano già responsabili dell’importo di partenza inflitto all’impresa VA Technologie. Il Tribunale ha poi respinto esplicitamente tale ragionamento ai punti 249 e seguenti della sentenza impugnata.
167. Orbene, è giocoforza constatare che la SEHV e la Magrini avrebbero ben potuto prendere posizione all’udienza su tale questione per far conoscere utilmente il loro punto di vista (141).
168. Alla luce di tali considerazioni, il terzo motivo d’impugnazione relativo alla violazione del principio del contraddittorio deve, a mio avviso essere rigettato.
C – Conclusione sull’impugnazione proposta dalla SEHV e dalla Magrini nella causa C-233/11 P
169. Risulta da quanto precede che, a mio avviso, la sentenza impugnata deve essere annullata nella misura in cui il Tribunale, statuendo ultra petita, ha annullato la lettera j), dell’articolo 2, della decisione controversa, nonché la lettera k), di tale articolo 2 nella sua integralità, incluso per ciò che riguarda la Schneider. Tali parti della decisione controversa, in assenza di ricorso presentato dalla Schneider, sono divenute definitive nei suoi confronti.
170. Di conseguenza, anche la riforma dell’ammenda per le società dell’impresa Schneider – ossia la Schneider, la SEHV e la Magrini – per il periodo compreso tra il 15 aprile 1988 e il 13 dicembre 2000, effettuata dal Tribunale ai punti 246 e 247 della sentenza impugnata nell’esercizio della sua competenza estesa al merito e ripresa al punto 3, primo trattino del dispositivo della stessa sentenza, deve essere annullata, in quanto l’annullamento disposto al punto 2 della sentenza impugnata menzionato al punto precedente, costituisce un presupposto essenziale della riforma dell’ammenda come è stata effettuata dal Tribunale nel caso di specie.
171. A norma dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la Corte annulla la sentenza del Tribunale, essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.
172. Nel caso di specie, ritengo che lo stato degli atti consenta alla Corte di statuire definitivamente sulla controversia.
173. Come osservato al precedente paragrafo 148, la SEHV e la Magrini in primo grado hanno chiesto al Tribunale di «annullare l’articolo 2 della decisione [controversa] nella misura in cui essa riguarda le ricorrenti». In particolare, nel loro ricorso esse hanno esplicitamente fatto valere l’incomprensibilità della responsabilità solidale come stabilita dall’articolo 2, lettera k), della decisione controversa.
174. Orbene, come risulta dai precedenti paragrafi 126 e 127, al momento dell’adozione della decisione controversa la Schneider, la SEHV e la Magrini non facevano più parte della stessa entità economica unitaria della Schneider. In tali condizioni, qualora intenda stabilire una responsabilità solidale tra soggetti che costituivano un’unità economica al momento della commissione dell’infrazione, ma che, al momento dell’adozione della decisione, non ne fanno più parte, la Commissione è tenuta a stabilire l’importo pro quota dell’ammenda che il soggetto che non dispone più di nessi che giustifichino la sua inclusione nell’unità economica dovrà pagare nei rapporti interni con gli altri condebitori.
175. Tuttavia, è giocoforza constatare che, nella presente fattispecie, la Commissione, pur condannando in solido la Schneider insieme alla Magrini e alla SEHV non ha stabilito detti importi pro quota. In tali condizioni occorre accogliere il ricorso della Magrini e della SEHV e annullare l’articolo 2, lettera k), della decisione controversa.
VI – Sulle spese
176. Nel caso in cui la Corte concordi con le mie valutazioni riguardo alle tre impugnazioni riunite, conformemente al combinato disposto degli articoli 137, 138, e 184 del regolamento di procedura, propongo alla Corte di statuire sulle spese come segue. Nella causa C‑231/11 P, dal momento che l’impugnazione della Commissione deve essere solo parzialmente accolta, ritengo sia opportuno prevedere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese. Nella causa C‑232/11 P, essendo la Reyrolle rimasta soccombente, essa deve, a mio avviso, essere condannata alle spese del procedimento. Nella causa C-233/11 P essendo la Commissione rimasta soccombente essa deve essere condannata alle spese del procedimento.
VII – Conclusioni
177. Alla luce delle suesposte considerazioni propongo alla Corte di statuire come segue.
178. Nella causa C-231/11 P:
«1) La sentenza del Tribunale del 3 marzo 2011, Siemens Österreich e a./Commissione (da T‑122/07 a T‑124/07) è annullata nella parte in cui, fondandosi sul principio secondo cui spetta esclusivamente alla Commissione, nell’ambito dell’esercizio della sua competenza ad infliggere ammende determinare i rispettivi importi pro quota per le diverse società dell’ammenda cui queste sono state condannate in solido e che tale compito non può essere affidato ai giudici nazionali, nonché sulla regola della suddivisione in parti uguali della responsabilità in mancanza di indicazioni al riguardo nella decisione, il Tribunale ha determinato gli importi pro quota per ciascuna delle società ricorrenti in primo grado.
2) L’impugnazione è respinta quanto al resto.
3) La Commissione europea, la Siemens Transmission & Distribution Ltd, la Siemens Transmission & Distribution SA e la Nuova Magrini Galileo S.p.A. sopporteranno ciascuna le proprie spese».
179. Nella causa C-232/11 P:
«1) L’impugnazione proposta dalla Siemens Transmission & Distribution Ltd è respinta.
2) La Siemens Transmission & Distribution Ltd è condannata alle spese».
180. Nella causa C-233/11 P:
«1) Il punto 2 del dispositivo della sentenza del Tribunale del 3 marzo 2011, Siemens Österreich e a./Commissione (da T‑122/07 a T‑124/07) nella parte in cui annulla l’articolo 2, lettera j) e k) della decisione della Commissione C(2006) 6762 def., del 24 gennaio 2007, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/38.899 – Apparecchiature di comando con isolamento a gas), nonché il punto 3, primo trattino del dispositivo della stessa sentenza sono annullati.
2) L’articolo 2, lettera k) della decisione C(2006) 6762 def. è annullato nella parte in cui riguarda la Siemens Transmission & Distribution SA e la Nuova Magrini Galileo SpA.
3) La Commissione europea è condannata alle spese».