Language of document : ECLI:EU:C:2004:624

Conclusions

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JULIANE KOKOTT
presentate il 14 ottobre 2004 (1)



Cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02



Silvio Berlusconi e altri


(domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Tribunale di Milano e dalla Corte d'appello di Lecce)


«Diritto societario – Prima, quarta e settima direttiva – Conti annuali e conti consolidati – Principio di pubblica e fedele informazione – Sanzioni adeguate per false comunicazioni – Limiti all'applicazione delle direttive nei procedimenti penali – Principio dell'applicazione retroattiva della legge penale più favorevole»





Indice

I – Introduzione

II – Contesto normativo

A – Il diritto comunitario

1. Sintesi

2. Le disposizioni rilevanti della prima direttiva

3. Le disposizioni rilevanti della quarta direttiva

4. Le disposizioni della settima direttiva

B – Il diritto nazionale

1. Normativa precedente

2. Nuova normativa

3. Norme penali generali

III – Fatti, cause principali e questioni pregiudiziali

A – Osservazioni generali

B – Causa C‑387/02, Silvio Berlusconi

C – Causa C‑391/02, Sergio Adelchi

D – Causa C‑403/02, Marcello Dell’Utri e altri

E – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

IV – In diritto

A – Ricevibilità delle ordinanze di rinvio

1. Descrizione dei fatti

2. Descrizione della normativa

3. Rilevanza ai fini della decisione

4. Conclusione

B – Esame nel merito delle questioni pregiudiziali

1. Sull’ambito di applicazione ratione materiae dell’art. 6 della prima direttiva

2. Sull’adeguatezza delle sanzioni per false comunicazioni sociali

a) Efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni

b) Soglie di tolleranza

c) Termini di prescrizione per l’azione penale

d) Sistema di sanzioni a più livelli e presupposti per l’azione penale

e) Quadro complessivo delle disposizioni di diritto civile, penale e amministrativo

C – Effetti di una violazione delle direttive da parte delle disposizioni dello Stato membro sui procedimenti penali pendenti dinanzi ai giudici del rinvio

1. Sull’obbligo dei giudici nazionali di dare applicazione ai precetti del diritto comunitario

2. Sui limiti all’applicazione delle direttive nei procedimenti penali

a) Principi sviluppati in giurisprudenza

b) Esame dei principi in relazione al caso di specie

3. Sull’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole

4. Risultato dell’analisi

V – Conclusione


I – Introduzione

1.       Dinanzi a due organi giurisdizionali italiani, il Tribunale di Milano e la Corte d’appello di Lecce (in prosieguo, anche: i «giudici del rinvio»), sono pendenti diversi procedimenti penali nei quali gli imputati sono ogni volta accusati di false comunicazioni sociali; nel linguaggio corrente tali pratiche vengono generalmente denominate anche «falsi in bilancio».

2.       Successivamente alla realizzazione di tali fatti e all’avvio della relativa azione penale, il legislatore italiano ha mitigato le fattispecie di reato corrispondenti e ne ha reso più complesso il perseguimento rispetto alla normativa preesistente. Con riferimento a tale modifica legislativa i giudici del rinvio vogliono sapere, in sostanza, cosa si debba intendere per sanzioni adeguate per l’ipotesi di false comunicazioni sociali. Essi chiedono inoltre se, ai sensi delle direttive comunitarie di diritto societario pertinenti, la pubblicazione di una falsa comunicazione sociale vada equiparata alla sua omessa pubblicazione.

3.       Nel caso in cui una normativa quale la legge di modifica italiana dovesse rivelarsi contrastante con le direttive comunitarie di diritto societario pertinenti, va inoltre chiarito se nel procedimento penale una legge penale successiva più favorevole possa essere applicata retroattivamente a favore dell’imputato nonostante la sua contrarietà al diritto comunitario.

II – Contesto normativo

A – Il diritto comunitario

1.     Sintesi

4.       L’art. 44, n. 1, CE costituisce un fondamento normativo per l’adozione di direttive volte alla realizzazione della libertà di stabilimento. Ai sensi del n. 2, lett. g), di tale disposizione spetta al Consiglio e alla Commissione:

«coordina[re], nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 48, secondo comma per proteggere gli interessi tanto dei soci come dei terzi».

5.       La Comunità ha adottato diverse direttive sul diritto societario. Particolarmente rilevanti per la presente causa sono:

la prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi  (2) (in prosieguo: la «prima direttiva» o la «direttiva 68/151»), e

la quarta direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società  (3) (in prosieguo: la «quarta direttiva» o la «direttiva 78/660»),

che nel caso dell’Italia si applicano alle seguenti società di capitali: la società per azioni (SpA), la società in accomandita per azioni e la società a responsabilità limitata (Srl)  (4) .

6.       Va inoltre fatto riferimento alla settima direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti consolidati  (5) (in prosieguo: la «settima direttiva» o la «direttiva 83/349»)  (6)

2.     Le disposizioni rilevanti della prima direttiva

7.       L’art. 2, n. 1, lett. f), della prima direttiva obbliga gli Stati membri ad adottare le misure necessarie perché l’obbligo di pubblicazione degli atti della società riguardi almeno il bilancio ed il conto profitti e perdite di ogni esercizio. La disposizione prevede inoltre che il Consiglio adotti, nei due anni successivi all’adozione della prima direttiva, un’ulteriore direttiva concernente il coordinamento del contenuto dei bilanci e dei conti profitti e perdite.

8.       L’art. 3, nn. 1‑3, della prima direttiva così recita:

«1.    In ciascuno Stato membro viene costituito un fascicolo, o presso un registro centrale, o presso il registro di commercio o registro delle imprese, per ogni società iscritta.

2.      Tutti gli atti e indicazioni soggetti all’obbligo della pubblicità a norma dell’articolo 2 sono inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro; dal fascicolo deve in ogni caso risultare l’oggetto delle trascrizioni fatte nel registro.

3.      Copia integrale o parziale di ogni atto o indicazione di cui all’articolo 2 deve potersi ottenere per corrispondenza senza che il costo di tale copia possa superare il costo amministrativo (…)».

9.       Ai sensi dell’ art. 6, primo trattino, della prima direttiva gli Stati membri stabiliscono «adeguate sanzioni per i casi di (…) mancata pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite, come prescritta dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera f)».

3.     Le disposizioni rilevanti della quarta direttiva

10.     L’art. 2 della quarta direttiva prevede, nelle parti qui rilevanti, quanto segue:

«1.    I conti annuali comprendono lo stato patrimoniale, il conto profitti e perdite e l’allegato. Questi documenti formano un tutto inscindibile.

2.      I conti annuali devono essere elaborati con chiarezza ed essere conformi alla presente direttiva.

3.      I conti annuali devono dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società.

4.      Quando l’applicazione della presente direttiva non basta per fornire il quadro fedele di cui al paragrafo 3, si devono fornire informazioni complementari.

5        Se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione della presente direttiva contrasta con l’obbligo di cui al paragrafo 3, occorre derogare alla disposizione in questione onde fornire il quadro fedele di cui al paragrafo 3 (…)».

11.     L’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva prevede quanto segue:

«I conti annuali regolarmente approvati e la relazione sulla gestione, nonché la relazione redatta dalla persona incaricata della revisione dei conti formano oggetto di una pubblicità effettuata nei modi prescritti dalla legislazione di ogni Stato membro conformemente all’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE».

12.     L’art. 47, n. 1 bis, della quarta direttiva  (7) così recita, per quanto possa qui rilevare:

«Lo Stato membro cui è soggetta la [società interessata] può dispensare la medesima dalla pubblicazione dei conti in conformità dell’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE, purché tali conti siano a disposizione del pubblico presso la sede della società, qualora (…).

Deve essere possibile ottenere, su richiesta, copie dei conti. Il prezzo di dette copie non deve essere superiore al costo amministrativo. Opportune sanzioni devono essere previste per la mancata ottemperanza all’obbligo di pubblicazione, stabilito nel presente paragrafo».

13.      Ai sensi dell’art. 51, n. 1, della quarta direttiva, le società devono far controllare i loro conti annuali da una o più persone abilitate, ai sensi della legge nazionale, alla revisione dei conti.

4.     Le disposizioni della settima direttiva

14.     L’art. 16 della settima direttiva contiene disposizioni per i conti consolidati di gruppi di imprese che corrispondono essenzialmente a quelle di cui all’art. 2 della quarta direttiva; in particolare il conto consolidato deve fornire un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico dell’insieme delle imprese incluse nel consolidamento. L’art. 37 della settima direttiva corrisponde all’art. 51 della quarta direttiva e prevede un obbligo di controllo dei conti consolidati. L’art. 38, n. 1, della settima direttiva, per quanto riguarda la pubblicità dei conti consolidati, rinvia parimenti all’art. 3 della prima direttiva, come avviene già nella quarta direttiva (art. 47, n. 1, primo comma) per quanto riguarda i conti annuali. Inoltre, l’art. 38, n. 6, della settima direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere sanzioni appropriate per l’ipotesi di omissione di una tale pubblicazione.

B – Il diritto nazionale

15.     Le disposizioni di diritto italiano rilevanti nelle cause in esame sono state sostanzialmente modificate dal decreto legislativo  (8) del Presidente della Repubblica 11 aprile 2002, n. 61, entrato in vigore il 16 aprile 2002 (in prosieguo: il «d. lgs. n. 61/2002»)  (9) . In prosieguo verrà quindi descritta prima la precedente normativa e poi quella nuova, attualmente vigente.

1.     Normativa precedente

16.     Ai sensi della precedente normativa, in Italia le false comunicazioni sociali erano passibili di sanzione ai sensi dell’art. 2621 del codice civile  (10) (in prosieguo: l’«originario art. 2621 del codice civile»). Tale disposizione recitava quanto segue:

«Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire due milioni a venti milioni:

1)
i promotori, i soci fondatori, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le condizioni medesime; (…)».

17.     Nella sua precedente versione, l’art. 2621 del codice civile riguardava un delitto che poteva essere perseguito d’ufficio e che era soggetto a un termine di prescrizione decennale. In caso di atti interruttivi tale termine poteva essere aumentato di altri cinque anni  (11) .

18.     Secondo la giurisprudenza italiana l’art. 2621 del codice civile non tutelava solo gli specifici interessi dei soci e dei creditori, ma anche l’interesse generale al regolare funzionamento delle società commerciali. Lo scopo di tutela della norma si estendeva a qualsiasi attività diretta ad alterare la situazione obiettiva di una società  (12) .

19.     Secondo la precedente normativa era considerata circostanza aggravante il fatto che dalle false comunicazioni sociali ai sensi dell’originario art. 2621 derivasse all’impresa un danno di gravità rilevante; in tal caso la pena, ai sensi dell’art. 2640 del codice civile (in prosieguo: l’«originario art. 2640 del codice civile»), era aumentata fino alla metà.

2.     Nuova normativa

20.     Con il d. lgs. n. 61/2002 è stato, tra l’altro, sostituito l’originario art. 2621 del codice civile con le seguenti due disposizioni:

«Art. 2621 (False comunicazioni sociali)

Salvo quanto previsto dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale, o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino ad un anno e sei mesi.

La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi.

La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5% o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta.

Art. 2622 (Comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori)

Gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, esponendo fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni, ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Si procede a querela anche se il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato, a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.

Nel caso di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la pena per i fatti previsti al primo comma è da uno a quattro anni e il delitto è procedibile d’ufficio.

La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

La punibilità per i fatti previsti dal primo e terzo comma è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento.

In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta».

21.     Il nuovo art. 2621 può essere considerato una fattispecie residuale rispetto al nuovo art. 2622 del codice civile  (13) . A causa della sanzione penale più favorevole rispetto alla precedente normativa, il nuovo art. 2621 prevede ormai solo una contravvenzione; il relativo termine di prescrizione più breve per tale reato è ormai di tre anni; in caso di atti interruttivi la prescrizione interviene al più tardi dopo, complessivamente, quattro anni e sei mesi.

22.     Quanto ai nuovi requisiti per proporre querela di cui al nuovo art. 2622, primo comma, del codice civile, l’art. 5 del d. lgs. n. 61/2002 prevede una disciplina transitoria. Ai sensi della stessa per i reati commessi prima della data di entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002 il termine per la presentazione della querela decorre da quest’ultima data.

23.     L’art. 2630 del codice civile, nella versione di cui al d. lgs. n. 61/2002 (in prosieguo: il «nuovo art. 2630 del codice civile»), prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da EUR 206 a EUR 2 065 per la mancata esecuzione, nei termini prescritti, delle comunicazioni sociali previste dalla legge. La sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo se non vengono depositati i bilanci.

24.     Occorre inoltre fare riferimento ad una nuova disposizione relativa alle sanzioni amministrative pecuniarie per le società, che è stata parimenti introdotta dal d. lgs. n. 61/2002. Essa, tuttavia, non è stata inserita nel codice civile, ma, come art. 25 ter, nel decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231  (14) (in prosieguo: il «d. lgs. n. 231/2001»), e disciplina la «responsabilità amministrativa delle società»  (15) come segue:

«1.
In relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, se commessi nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica, si applicano le seguenti sanzioni pecuniarie:

    a)
per la contravvenzione di false comunicazioni sociali, prevista dall’articolo 2621 del codice civile, la sanzione pecuniaria da cento a centocinquanta quote;

    b)
per il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, previsto dall’articolo 2622, primo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a trecentotrenta quote;

    c)
per il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, previsto dall’articolo 2622, terzo comma, del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;

(…)

3.
Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo».

3.     Norme penali generali

25.     Il principio della legalità della pena è stabilito all’art. 25, secondo comma, della Costituzione italiana e all’art. 2, primo comma, del codice penale  (16) .

26.     In caso di divergenza tra la legge vigente al momento in cui è stato commesso il reato e le leggi posteriori, l’art. 2, terzo comma, del codice penale prevede che debba essere applicata quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

27.     Per quanto riguarda i termini di prescrizione per l’azione penale, la normativa italiana prevede, in particolare, quanto segue: ai sensi dell’art. 157 del codice penale la prescrizione estingue il reato una volta decorsi, tra l’altro, i seguenti termini:

dieci anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni;

cinque anni, se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione inferiore a cinque anni, o la pena della multa;

tre anni, se si tratta di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena dell’arresto.

L’art. 160, terzo comma, del codice penale prevede che la prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell’interruzione. In presenza di più atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi, ma in nessun caso i termini stabiliti nell’art. 157 possono essere prolungati di oltre la metà.

III – Fatti, cause principali e questioni pregiudiziali

A – Osservazioni generali

28.     Gli imputati delle tre cause principali sono accusati di false comunicazioni sociali; tutti i reati di cui trattasi sono stati commessi, e i relativi procedimenti penali sono stati avviati, prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002, quindi in un periodo in cui in Italia era ancora in vigore l’originario art. 2621 del codice civile.

29.     In pendenza dei diversi procedimenti penali è entrato in vigore il d. lgs. n. 61/2002. Gli imputati fanno quindi ora valere l’applicabilità dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile dalla quale, secondo i giudici nazionali, conseguirebbe la non punibilità degli stessi.

30.     I giudici del rinvio sottolineano essenzialmente i seguenti aspetti della nuova disciplina.

31.     Sia nel nuovo art. 2621 sia nel nuovo art. 2622 del codice civile la pena per le false comunicazioni sociali sarebbe stata chiaramente diminuita rispetto alla vecchia normativa. Quanto al nuovo art. 2621 del codice civile, il Tribunale di Milano osserva, ad esempio, nella causa C‑403/02, che «le violazioni di tipo contravvenzionale sono punite con pene risibili in termini quantitativi» e che le pene previste sono «inferiori quasi sempre a due anni di reclusione e quindi rientranti nell’ambito della sospensione condizionale della pena».

32.     Un confronto tra il nuovo art. 2621 e il nuovo art. 2622 del codice civile mostrerebbe che la nuova disciplina legislativa effettua una distinzione a seconda che le false comunicazioni sociali cagionino o meno un danno ai soci o ai creditori. Solo qualora venga cagionato un tale danno, il reato configurerebbe un delitto (nuovo art. 2622 del codice civile), in caso contrario configurerebbe una semplice contravvenzione (nuovo art. 2621 del codice civile).

33.     La classificazione di un reato come delitto o contravvenzione non si tradurrebbe solo in una diversa misura della pena, ma avrebbe anche altre conseguenze pratiche rilevanti. Così, ad esempio, reati come il riciclaggio di denaro sporco o la ricettazione, che presuppongono un delitto, non potrebbero essere realizzati in relazione ad una semplice contravvenzione come quella di cui al nuovo art. 2621 del codice civile.

34.     Inoltre le due nuove fattispecie di reato presupporrebbero, come ulteriore elemento soggettivo del reato, accanto all’intenzione di ingannare, una sorta di intento di arricchimento.

35.     Sia ai sensi del nuovo art. 2621 sia ai sensi del nuovo art. 2622 del codice civile la punibilità sarebbe esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo di imprese. Ciò deriverebbe dalle soglie di tolleranza previste dal nuovo art. 2621, terzo e quarto comma, e dal nuovo art. 2622, quinto e sesto comma, del codice civile.

36.     Il termine di prescrizione per l’azione penale ai sensi del nuovo art. 2621 sarebbe molto più corto rispetto alla precedente normativa. Poiché tale termine decorrerebbe già dal momento della commissione del reato, le indagini, spesso lunghe e dispendiose, e il procedimento giudiziario, che generalmente si protrarrebbe per tre gradi di giudizio, normalmente non terminerebbero prima dell’avvenuta prescrizione.

37.     L’azione penale, ai sensi del nuovo art. 2622 del codice civile, presupporrebbe la querela del danneggiato, salvo che si tratti di una società quotata in borsa o il reato sia commesso a danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee  (17) .

38.     I Pubblici Ministeri competenti nelle cause principali ritengono che la nuova normativa, alla luce delle sue descritte particolarità, contrasti con la Costituzione italiana e con il diritto comunitario.

B – Causa C‑387/02, Silvio Berlusconi

39.     L’imputato Silvio Berlusconi è accusato, per gli anni 1986-1989, in quanto presidente e principale azionista della Fininvest SpA e di altre società del medesimo gruppo, di aver pubblicato false comunicazioni sociali. Secondo l’accusa tali atti sarebbero stati diretti a nascondere operazioni finanziarie e a creare, al di fuori della contabilità societaria, provviste di contanti  (18) , poi impiegate in operazioni riservate ed illecite. I reati sono stati contestati ai sensi dell’originario art. 2621 del codice civile  (19) .

40.     In seguito all’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002 sarebbe ormai applicabile solo il nuovo art. 2621 del codice civile. In tal caso il reato sarebbe però già prescritto. La prescrizione sarebbe addirittura avvenuta già molto prima dell’avvio dell’azione penale. Un’applicazione del nuovo art. 2622 del codice civile non sarebbe possibile, poiché non sarebbe stata proposta una valida querela e le società interessate all’epoca dei fatti non erano nemmeno quotate in borsa, per cui sarebbe esclusa anche la procedibilità d’ufficio.

41.     Con ordinanza 26 ottobre 2002 il Tribunale di Milano, dinanzi alla cui Prima Sezione penale il sig. Berlusconi e altri sono imputati, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali le quali possono essere riassunte come segue  (20) .

1)
Se si debba presupporre che l’art. 6 della direttiva 68/151 riguardi non solo il caso di omessa pubblicazione del bilancio o del conto profitti e perdite, ma anche il caso di avvenuta pubblicazione di tali atti con contenuti non veritieri, attesa l’evidente maggiore lesività, in tale ipotesi, degli interessi dei soci e dei terzi. Oppure se la direttiva intenda stabilire un livello minimo di tutela comunitaria, lasciando agli Stati membri il compito di attivare mezzi di tutela per il caso di presentazione di bilanci o di comunicazioni sociali false.

2)
Se i criteri di effettività, proporzionalità e dissuasività, a cui le sanzioni che vanno adottate dagli Stati membri devono rispondere per essere «adeguate», siano riferibili alla natura o al tipo della sanzione astrattamente considerata, ovvero alla sua concreta applicabilità, tenuto conto delle caratteristiche strutturali dell’ordinamento cui afferisce.

3)
Se i principi che derivano dalle direttive 78/660, 83/349 nonché 90/605, cui si devono uniformare le disposizioni nazionali per quanto attiene ai criteri di redazione e al contenuto dei conti annuali nonché della relazione di gestione, segnatamente per le società di capitali, ostino a che gli Stati membri fissino soglie al di sotto delle quali non è punibile l’infedele rappresentazione nei conti annuali e nelle relazioni di gestione attinenti [al]le società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata.

C – Causa C‑391/02, Sergio Adelchi

42.      Il 9 gennaio 2001 l’imputato Sergio Adelchi è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Lecce, in base all’originario art. 2621 del codice civile, per false comunicazioni sociali negli anni 1992 e 1993 per le società La Nuova Adelchi Srl e Calzaturificio Adelchi Srl. Il sig. Adelchi era amministratore unico di tali società. I bilanci delle stesse sarebbero incontestabilmente falsi in quanto sarebbero state emesse fatture false e sarebbero state dichiarate operazioni fittizie di importazione e di esportazione oltre i confini doganali comunitari; tali operazioni avrebbero alterato l’importo dei costi e del fatturato delle due società.

43.      L’imputato Adelchi ha impugnato la sentenza di condanna di primo grado dinanzi alla Corte d’appello di Lecce. In seguito all’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002 sarebbe ora comunque applicabile il nuovo art. 2621 del codice civile. Pertanto, l’imputato Adelchi si appella all’avvenuta prescrizione e fa inoltre valere l’assenza di un’alterazione sensibile della situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle due società da lui amministrate  (21) . L’applicabilità del nuovo art. 2622 del codice civile sarebbe esclusa a priori in quanto non è stata proposta una valida querela e le società interessate non sono nemmeno quotate in borsa, per cui è esclusa inoltre la procedibilità d’ufficio.

44.     Con ordinanza 7 ottobre 2002 la Corte d’appello di Lecce, sezione penale, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)
Se, con riferimento all’obbligo dei singoli Stati membri di adottare «adeguate sanzioni» per le violazioni previste dalle direttive 68/151 e 78/660, le direttive stesse e, in particolare, il combinato disposto dell’art. 44, [n. 2], lett. g), del Trattato istitutivo delle Comunità europee, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151 e artt. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debba[no] essere interpretat[i] (o meno) nel senso che tali norme ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che, modificando la disciplina sanzionatoria già in vigore in materia di reati societari, a fronte della violazione degli obblighi imposti per la tutela del principio di pubblica e fedele informazione delle società, preveda un sistema sanzionatorio in concreto non improntato a criteri di effettività, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni poste a presidio di tale tutela.

2)
Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151 ed art. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (o meno) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione di certi atti societari (tra cui il bilancio ed il conto profitti e perdite), allorquando la falsa comunicazione sociale o l’omessa informazione determin[a]no una variazione del risultato economico di esercizio o una variazione del patrimonio sociale netto non superiori ad una certa soglia percentuale.

3)
Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151 ed art. 2, nn. 2‑3‑4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (o meno) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, allorquando sono fornite indicazioni che, quantunque finalizzate ad ingannare i soci o il pubblico a scopo d’ingiusto profitto, siano conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differisc[o]no in misura non superiore ad una determinata soglia.

4)
Se, indipendentemente da limiti progressivi o soglie, le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151 ed art. 2, nn. 2‑3‑4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (o meno) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che escluda la punibilità della violazione degli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società allorquando le falsità o le omissioni fraudolente e, comunque, le comunicazioni e informazioni non fedelmente rappresentative della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico della società, non alterino «in modo sensibile» la situazione patrimoniale o finanziaria del gruppo (sebbene sia rimessa al legislatore nazionale l’individuazione della nozione di «alterazione sensibile»);

5)
Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151 ed art. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (o meno) nel senso che (tali norme) ostino ad una legge di uno Stato membro che, a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, posti a presidio della tutela degli «interessi tanto dei soci come dei terzi», preveda solo per i soci ed i creditori il diritto di chiedere la sanzione, con conseguente esclusione di una tutela generalizzata ed effettiva dei terzi.

6)
Se le citate direttive e, in particolare, le norme di cui all’art. 44, [n. 2], lett. g), CE, artt. 2, n. 1, lett. f), e 6 della direttiva 68/151 ed art. 2, nn. 2-3-4, della direttiva 78/660 (come integrata dalle direttive 83/349 e 90/605) debbano essere interpretate (o meno) nel senso che (tali norme) ost[a]no ad una legge di uno Stato membro che, a fronte della violazione di quegli obblighi di pubblicità e fedele informazione gravanti sulle società, posti a tutela degli «interessi tanto dei soci come dei terzi», preveda un meccanismo di perseguibilità ed un sistema sanzionatorio particolarmente differenziati, riservando esclusivamente alle violazioni in danno di soci e creditori la punibilità a querela e sanzioni più gravi ed effettive.

D – Causa C‑403/02, Marcello Dell’Utri e altri

45.     Agli imputati Marcello Dell’Utri, Romano Luzi e Romano Comincioli sono stati contestati, tra l’altro, falsi in bilancio commessi fino al 1993  (22) . All’epoca dei fatti tali reati erano sanzionati dagli originari artt. 2621 e 2640 del codice civile. Dall’entrata in vigore del d. lgs. n. 61/2002, essi rientrano nell’ambito di applicazione del nuovo art. 2622 del codice civile.

46.     Con ordinanza 29 ottobre 2002 il Tribunale di Milano, Quarta Sezione penale, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)
Se l’art. 6 della direttiva 68/151possa essere inteso nel senso di obbligare gli Stati membri a stabilire adeguate sanzioni non solo per la mancata pubblicità del bilancio e del conto profitti e perdite delle società commerciali, ma anche per la falsificazione dello stesso, delle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, o di qualsiasi informazione sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria che la società abbia obbligo di fornire sulla società stessa o sul gruppo alla quale essa appartiene.

2)
Se, anche ai sensi dell’art. 5 del Trattato CEE, il concetto di «adeguatezza» della sanzione debba essere inteso in modo concretamente valutabile nell’ambito normativo (sia penale che procedurale) del paese membro, e cioè come sanzione «efficace, effettiva, realmente dissuasiva».

3)
Se, infine, tali caratteristiche siano riscontrabili nel combinato disposto dei novellati artt. 2621 e 2622 del codice civile così modificati dal decreto legislativo emanato dallo Stato italiano l’11 aprile 2002, n. 61: in particolare se possa definirsi «efficacemente dissuasiva» e «concretamente adeguata» la norma che prevede (al citato art. 2621 del codice civile) per i reati di falso in bilancio non causativi di danno patrimoniale, ovvero causativi di danno ma ritenuti improcedibili ex art. 2622 del codice civile per carenza di querela, una pena contravvenzionale di anni l e mesi 6 di arresto; se, infine, risulti adeguato prevedere, per i reati previsti dal primo comma dell’art. 2622 del codice civile (e cioè commessi nell’ambito di società commerciali non quotate in borsa) una procedibilità a querela di parte (e cioè a querela di soci e di creditori) anche in relazione alla concreta tutela del bene collettivo della «trasparenza» del mercato societario sotto il profilo della possibile estensione comunitaria dello stesso.

E – Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

47.     Con ordinanza del presidente della Corte 20 gennaio 2003, i tre procedimenti C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta e orale, nonché della sentenza.

48.     Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri, la Procura generale presso la Corte di appello di Lecce  (23) , il governo italiano nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte alla Corte. All’udienza del 13 luglio 2004 i rappresentanti degli imputati Berlusconi, Adelchi e Dell’Utri, della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Milano  (24) , della Procura generale presso la Corte di appello di Lecce, del governo italiano nonché della Commissione hanno svolto osservazioni orali.

IV – In diritto

A – Ricevibilità delle ordinanze di rinvio

49.     Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri nonché il governo italiano esprimono dubbi sulla ricevibilità delle ordinanze di rinvio.

1.     Descrizione dei fatti

50.     L’imputato Dell’Utri allega innanzitutto che l’ordinanza di rinvio nella causa C‑403/02 non conterrebbe alcuna descrizione dei fatti del procedimento principale, per cui sarebbe irricevibile.

51.     Non condivido tale preoccupazione. È vero che il Tribunale di Milano si è limitato ad esporre in modo estremamente sintetico alla Corte che gli imputati sono stati accusati, tra l’altro, di falsi in bilancio commessi sino al 1993, che tali fatti erano in precedenza punibili ai sensi degli originari artt. 2621 e 2640 del codice civile e che ora ricadono nel nuovo art. 2622 del codice civile. Tali dati sono tuttavia sufficienti per la comprensione delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte.

52.     È noto che la Corte nel procedimento pregiudiziale non deve esprimersi sulla concreta interpretazione e applicazione del diritto penale nazionale. In particolare, essa non decide la questione se l’imputato abbia commesso o meno falsi in bilancio. Perciò non è rilevante per la Corte conoscere nei particolari quali atti vengano contestati all’imputato. È sufficiente invece la notizia che determinati atti – non meglio precisati – hanno portato ad una imputazione per falso in bilancio e che è pendente un processo penale a tale proposito.

53.     Entrambi i problemi essenziali di cui si deve occupare la Corte nella fattispecie, vale a dire, da una parte, la questione se ai sensi delle pertinenti direttive sul diritto societario  (25) la pubblicazione di una falsa comunicazione sociale vada equiparata alla sua omessa pubblicazione e, dall’altra, la questione cosa di si debba intendere per sanzioni adeguate per le false comunicazioni sociali, possono essere utilmente risolti sulla base delle informazioni sommarie fornite.

2.     Descrizione della normativa

54.     Gli imputati Berlusconi e Dell’Utri sostengono inoltre che nelle ordinanze di rinvio delle cause C‑387/02 e C‑403/02 la normativa nazionale sarebbe descritta in modo incompleto, perché praticamente si farebbe ivi riferimento solo all’originario art. 2621, al nuovo art. 2621 e al nuovo art. 2622 del codice civile, ma non al quadro complessivo delle disposizioni italiane applicabili alle false comunicazioni sociali e adottate in attuazione delle direttive sul diritto societario.

55.     Non condivido nemmeno tale preoccupazione. La descrizione sufficiente della normativa e dei fatti mira, da un lato, a consentire alla Corte di fornire un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale e, dall’altro, a dare ai governi degli Stati membri, nonché agli altri interessati, la possibilità di presentare osservazioni in conformità all’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia  (26) . È facendo riferimento a tale obiettivo che occorre esaminare se le informazioni presentate nelle ordinanze di rinvio siano sufficienti o meno.

56.     In entrambe le ordinanze di rinvio vengono esposti e comparati gli elementi essenziali della precedente e della nuova normativa italiana. In particolare i giudici del rinvio hanno sufficientemente descritto le fattispecie di reato che sono chiamati ad applicare nei procedimenti penali pendenti. Pertanto, il caso di specie non è per nulla paragonabile a quei procedimenti in cui la Corte dichiara irricevibili le questioni pregiudiziali per grave mancanza di riferimenti al contesto fattuale o giuridico  (27) .

57.     È vero che è esatta l’osservazione che le ordinanze di rinvio non descrivono anche tutte le altre disposizioni che sono state adottate in Italia in attuazione delle direttive sul diritto societario. Inoltre, come rileva la Commissione, non viene nemmeno fatto riferimento alla possibile dichiarazione di nullità delle deliberazioni sociali  (28) e nemmeno alla responsabilità civile degli amministratori per falso in bilancio, tuttavia, la mancanza di tali indicazioni aggiuntive non rende affatto incomprensibili o inutilizzabili le ordinanze di rinvio. Informazioni complementari di tale tipo non sono indispensabili ai fini della soluzione delle questioni pregiudiziali e per le osservazioni dei partecipanti al procedimento. Inoltre, come rilevato, esse possono essere introdotte, dalla parte che lo ritenga utile, nel procedimento pregiudiziale presentando osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia.

3.     Rilevanza ai fini della decisione

58.     Infine, gli imputati Berlusconi e Dell’Utri nonché il governo italiano considerano irricevibili i rinvii pregiudiziali anche perché le questioni poste sarebbero irrilevanti per le rispettive cause principali. Per i principi di legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege) e i principi di applicazione retroattiva della legge penale più favorevole sarebbe chiaro a priori che le imputazioni andrebbero comunque giudicate secondo il nuovo contesto normativo, vale a dire ai sensi dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile nella versione di cui al d. lgs. n. 61/2002. La fattispecie di reato di cui all’originario art. 2621 del codice civile, in vigore all’epoca dei fatti, non potrebbe essere applicata in nessun caso. Né una sentenza della Corte di giustizia a seguito di rinvio pregiudiziale, né il controllo di costituzionalità che i giudici del rinvio intendono chiedere alla Corte costituzionale italiana  (29) potrebbero modificare tale circostanza. Sarebbe quindi inutile un esame della conformità della nuova normativa al diritto comunitario.

59.     Tale opinione non convince per i seguenti motivi.

60.     Le questioni pregiudiziali in tutte e tre le cause sono relative a concreti procedimenti penali. La prosecuzione di tali procedimenti dipende in modo decisivo dalla questione se le norme nazionali introdotte dal legislatore italiano con il d. lgs. n. 61/2002 contrastino con le direttive sul diritto societario o siano conformi alle stesse. Tale questione sarebbe irrilevante ai fini della prosecuzione dei procedimenti principali solo sefosse effettivamente certo a priori che disposizioni come quelle dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, in quanto leggi penali più favorevoli, vanno in ogni caso applicate retroattivamente, anche qualora siano in contrasto con il diritto comunitario. Ma non è così, anzi non è assolutamente ovvio che leggi penali più favorevoli vadano applicate retroattivamente nonostante la loro contrarietà al diritto comunitario. È almeno altrettanto plausibile invece una soluzione secondo la quale nuove fattispecie di reato vengano disapplicate se e in quanto siano in contrasto con disposizioni del diritto comunitario, e che vengano applicate invece le disposizioni precedenti in vigore all’epoca dei fatti  (30) . La Corte non ha ancora esaminato approfonditamente tale problematica.

61.     È, inoltre, irrilevante ai fini della ricevibilità delle questioni pregiudiziali, contrariamente a quanto sostengono gli imputati e il governo italiano, se le risposte della Corte di giustizia possano essere utilizzate o meno successivamente in un procedimento dinanzi alla Corte costituzionale italiana. La rilevanza delle questioni pregiudiziali va valutata non con riferimento a un eventuale procedimento successivo dinanzi alla Corte costituzionale, ma esclusivamente con riferimento ai procedimenti penali attualmente pendenti dinanzi ai giudici del rinvio. Tali giudici sono infatti già tenuti, in forza del diritto comunitario, adisapplicare di propria iniziativa qualsiasi disposizione di diritto nazionale contrastante con il diritto comunitario  (31) . A tal fine non è necessario il previo svolgimento di un giudizio di costituzionalità.

62.     Pur ipotizzando che i giudici del rinvio abbiano proposto le loro questioni esclusivamente in preparazione di successivi giudizi di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale, secondo una giurisprudenza costante della Corte di giustizia spetterebbe innanzitutto a questi tre giudici valutare la necessità delle loro questioni pregiudiziali. Infatti, secondo costante giurisprudenza, spetta esclusivamente al giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini dell’emanazione della propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono sull’interpretazione del diritto comunitario, la Corte è quindi, in linea di principio, tenuta a statuire. La Corte può rifiutarsi di rispondere a una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione o la valutazione della validità di una norma comunitaria, richiesta dal giudice nazionale, non ha alcuna relazione con i fatti o con l’oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte  (32) .

63.     Nella fattispecie non è per nulla evidente che le questioni pregiudiziali non siano in relazione con i fatti o con l’oggetto di eventuali giudizi di legittimità costituzionale da predisporre o che vertano su problemi di natura ipotetica. È vero che la Corte costituzionale ha recentemente dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale di tre giudici italiani in relazione ai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile  (33) . Ma lo stesso giorno, in un altro giudizio di legittimità costituzionale, essa ha espressamente sospeso l’esame degli aspetti comunitari che potrebbero rilevare specialmente in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione italiana  (34) , fino alla pronuncia della Corte di giustizia sui ricorsi pregiudiziali in esame; essa ha addirittura fatto riferimento direttamente ai procedimenti C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02 pendenti dinanzi alla Corte di giustizia  (35) . Quindi nemmeno in tale prospettiva possono essere considerate irrilevanti le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia.

4.     Conclusione

64.     Per tali motivi considero ricevibili le tre ordinanze di pronuncia pregiudiziale  (36) .

B – Esame nel merito delle questioni pregiudiziali

65.     Per semplicità è opportuno raggruppare le diverse questioni dei tre giudici del rinvio secondo il loro contenuto sostanziale e suddividerle in due complessi tematici: da una parte, la questione sull’ambito di applicazione ratione materiae dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e, dall’altra, la questione dell’adeguatezza della sanzione per false comunicazioni sociali nei conti annuali.

66.     Per i conti consolidati si pongono gli stessi problemi interpretativi relativamente all’art. 38, n. 6, della settima direttiva; sotto tale profilo le seguenti osservazioni valgono anche per essi.

1.     Sull’ambito di applicazione ratione materiae dell’art. 6 della prima direttiva

67.     Innanzitutto, tutti i giudici del rinvio vogliono sapere, essenzialmente, se l’art. 6, primo trattino, della prima direttiva prescriva agli Stati membri di adottare adeguate sanzioni solo per l’ipotesi in cui i conti annuali  (37) non vengano pubblicati per nulla o invece anche per l’ipotesi in cui vengano pubblicati conti annuali aventi un falso contenuto  (38) .

68.     Secondo la sua formulazione letterale, l’art. 6, primo trattino, della prima direttiva obbliga gli Stati membri a stabilire adeguate sanzioni per il caso in cui venga omessa  (39) la pubblicazione dei conti annuali prevista dall’art. 2, n. 1, lett. f), della medesima direttiva.

69.     Diversamente dalla Commissione e dai due Pubblici Ministeri, gli imputati Berlusconi e dell’Utri, in accordo con il governo italiano, sostengono che, data tale formulazione letterale, l’obbligo di adottare sanzioni adeguate comprende solo un’armonizzazione minima e non si estende alla pubblicazione di conti annuali falsi. La prima direttiva prevederebbe semplicemente una «pubblicità formale». Una determinazione del contenuto di tale pubblicità vi sarebbe solo nella quarta direttiva, la quale non conterrebbe però una disposizione autonoma, relativa alle sanzioni, paragonabile a quella di cui all’art. 6 della prima direttiva.

70.     A tale proposito va innanzitutto osservato che la formulazione letterale dell’art. 6 della prima direttiva non è affatto così chiara. La disposizione può infatti ben essere intesa nel senso che le sanzioni per la mera omissione di qualsiasi pubblicazione possono essere applicate anche all’omissione della prescritta pubblicazione, quindi all’omessa pubblicazione di un conto annuale avente un contenuto veritiero ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva e dell’art. 3 della prima direttiva.

71.     Ma, anche se si dovesse adottare il punto di vista restrittivo degli imputati e del governo italiano, andrebbe considerato quanto segue: secondo una costante giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto comunitario si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte  (40) . Considerando il contesto e gli scopi della prima direttiva, si ricava quanto verrà ora esposto.

72.     Da una parte emerge che tale direttiva dà una particolare rilevanza alla tutela degli interessi dei terzi. Tale aspetto viene già espressamente evidenziato dal Trattato nell’attribuzione di funzioni al legislatore comunitario (art. 44, n. 2, lett. g), CE). Inoltre, all’importanza della tutela degli interessi dei terzi viene attribuito un particolare rilievo nel secondo e nel quarto ‘considerando’ della prima direttiva, nonché nel primo ‘considerando’ della quarta direttiva e nel primo ‘considerando’ della settima direttiva. L’obbligo di pubblicità previsto da tali direttive deve consentire ai terzi di essere informati sugli atti essenziali di una società, come ad esempio il suo conto annuale.

73.     D’altra parte, l’art. 2, n. 3, della quarta direttiva nonché il quarto ‘considerando’ della medesima introducono il principio fondamentale secondo cui il conto annuale deve dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società  (41) . Tale principio svolge un ruolo importante non solo nell’ambito della quarta direttiva, ma anche nell’interpretazione e applicazione della prima direttiva. Poiché, infatti, la quarta direttiva colma le lacune legislative della prima relativa ai contenuti dei conti annuali  (42) e, a tale scopo, le due direttive fanno anche riferimento espressamente l’una all’altra  (43) , esse devono essere lette e interpretate congiuntamente.

74.     Pertanto, in sede di interpretazione e applicazione dell’art. 6 della prima direttiva va posta particolare attenzione alla tutela degli interessi dei terzi e al principio della fedele rappresentazione della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società. Non solo le controparti attuali, ma anche quelle future, soprattutto i potenziali creditori e investitori di altri Stati membri, devono essere in condizione di farsi, in qualsiasi momento, un quadro affidabile di un’impresa, per valutare meglio i rischi di un rapporto commerciale e di uno stanziamento di finanziamenti. In quanto soggetti esterni, essi necessitano, per loro natura, di una maggior protezione rispetto, ad esempio, ai soci di riferimento, i quali dispongono in misura incomparabilmente maggiore di informazioni, o comunque possono assumerle, sulla situazione patrimoniale, su quella finanziaria nonché sul risultato economico della società interessata e contribuiscono alle decisioni di questa  (44) . La possibilità per tutti i terzi di consultare i conti annuali di una società dà affidamento alle potenziali controparti e favorisce così, in ultima analisi, l’avvio di iniziative – di natura anche internazionale – sul mercato interno  (45) .

75.     Orbene, la necessità di proteggere i terzi è particolarmente elevata qualora, pur essendo pubblicato un conto annuale, questo dia una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della società. Infatti mentre nel caso di omessa pubblicazione di un conto annuale il terzo è messo sull’avviso e non può assolutamente fare affidamento sulla situazione patrimoniale, su quella finanziaria nonché sul risultato economico della società interessata, esso troverebbe estremamente difficile, se non impossibile, scoprire, senza conoscenze approfondite sull’impresa, errori in un conto annuale pubblicato. La tesi del governo italiano secondo cui ognuno potrebbe verificare la correttezza di un conto annuale pubblicato non è quindi convincente. Al contrario i terzi, nel caso di pubblicazione di un conto annuale, generalmente fanno affidamento sulla correttezza delle dichiarazioni in esso contenute. Diventa quindi ancora più importante tutelare tale affidamento e, in ultima analisi, la fiducia del pubblico e dei mercati  (46) .

76.     Dal contesto dell’art. 6 della prima direttiva nonché dallo scopo e dal senso di tale disposizione deriva quindi per gli Stati membri un obbligo di comminare sanzioni adeguate per l’ipotesi non solo di omessa pubblicazione dei conti annuali ma, a fortiori, anche di pubblicazione di conti annuali aventi un falso contenuto.

77.     A tale conclusione non può essere eccepito che la lettera della quarta direttiva non contiene obblighi sanzionatori autonomi per gli Stati membri  (47) . Sulla base del contesto normativo risultante dalla prima e dalla quarta direttiva, prima descritto, non rileva infatti se la quarta direttiva contenga una disposizione propria paragonabile all’art. 6 della prima direttiva. Proprio perché la quarta direttiva completa il contenuto della prima direttiva e l’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva rinvia espressamente alle disposizioni della prima direttiva relative alla pubblicità, non era affatto necessaria una disposizione autonoma sulle sanzioni nella quarta direttiva. Viceversa (e logicamente) la quarta direttiva, quando non rinvia alle disposizioni della prima direttiva relative alla pubblicità (v. art. 47, n. 1 bis, della quarta direttiva  (48) ), contiene effettivamente un obbligo autonomo per gli Stati membri di comminare sanzioni adeguate. Tutto ciò porta alla conclusione che il legislatore comunitario con la prima e con la quarta direttiva voleva obbligare gli Stati membri ad adottare un sistema sanzionatorio privo di lacune e che normalmente sulla base del rinvio alla prima direttiva dovrebbero essere automaticamente applicate anche le sanzioni ivi previste all’art. 6; solo le lacune per le quali non si faccia rinvio alla prima direttiva vengono colmate mediante un obbligo sanzionatorio autonomo nella quarta direttiva (v. art. 47, n. 1 bis, ultima frase, della stessa).

78.     La tesi dell’imputato Dell’Utri secondo cui gli Stati membri sono tenuti ad adottare sanzioni per conti annuali aventi un contenuto falso solo nei casi eccezionali espressamente previsti dalla quarta direttiva non è convincente. Poiché le disposizioni derogatorie della quarta direttiva, in particolare l’art. 47, n. 1 bis, riguardano prevalentemente le piccole imprese, tale orientamento avrebbe infatti l’assurda conseguenza che, nel caso di false comunicazioni sociali, le piccole imprese sarebbero perseguite con maggior rigore rispetto alle grandi imprese.

79.     Anche la sentenza Rabobank  (49) , citata in proposito dall’imputato Berlusconi, non conduce ad altro risultato. Tale sentenza non si occupa affatto delle disposizioni della prima direttiva relative alla pubblicità, ma del potere di rappresentanza degli organi delle società di capitali. Dalla stessa non si può dedurre che tutte le disposizioni della prima direttiva debbano essere interpretate nel modo più restrittivo e letterale possibile. Al contrario, anche nella sentenza Rabobank la Corte si richiama al metodo dell’interpretazione sistematica, in quanto include nelle sue considerazioni la proposta della Commissione di una quinta direttiva in materia di diritto societario  (50) . Quindi nella sentenza Rabobank la Corte procede, dal punto di vista metodico, in modo molto simile a quello da me proposto prima, quando ho rinviato al contesto normativo risultante dal combinato disposto della prima e della quarta direttiva.

80.     Del resto, anche se non dovesse esser seguita l’interpretazione qui proposta dell’art. 6 della prima direttiva, gli Stati membri sarebbero tenuti anche in forza del loro obbligo comunitario di lealtà a punire efficacemente la pubblicazione di conti annuali aventi un falso contenuto. Infatti, qualora una normativa comunitaria non preveda alcuna sanzione per il caso di violazione della stessa o faccia rinvio, al riguardo, alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, l’art. 10 CE impone agli Stati membri di adottare tutte le misure atte ad assicurare la validità e l’efficacia del diritto comunitario  (51) .

81.     In sintesi, quindi, si può affermare quanto segue.

Il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva, degli artt. 2, n. 3, e 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva e dell’art. 10 CE impone agli Stati membri di adottare adeguate sanzioni non solo per l’ipotesi in cui i conti annuali non vengano pubblicati per nulla, ma anche per l’ipotesi in cui vengano pubblicati conti annuali aventi un falso contenuto. In tal senso va interpretato anche l’art. 38, n. 6, della settima direttiva, applicabile ai conti consolidati.

2.     Sull’adeguatezza delle sanzioni per false comunicazioni sociali

82.     Quanto al resto, i giudici del rinvio vogliono essenzialmente sapere cosa si debba intendere per sanzioni appropriate («adeguate sanzioni») per false comunicazioni sociali. Da una parte, essi desiderano essenzialmente sapere, in generale, quali siano i criteri per la valutazione dell’adeguatezza delle sanzioni  (52) ; dall’altra, e in particolare, fanno riferimento soprattutto a disposizioni come quelle di cui al d. lgs. n. 61/2002, che introducono un sistema di sanzioni a più livelli  (53) , producono effetti sulla prescrizione dei reati  (54) , introducono il presupposto della querela  (55) e prevedono soglie di tolleranza al di sotto delle quali dev’essere esclusa la punibilità per false comunicazioni sociali  (56) .

83.     Gli imputati e il governo italiano sostengono che disposizioni come quelle introdotte dal d. lgs. n. 61/2002 sono conformi al diritto comunitario. La Commissione e i due Pubblici ministeri, che hanno partecipato al procedimento dinanzi alla Corte, sono di avviso opposto.

84.     È vero che la Corte non può, ai sensi dell’art. 234 CE, statuire sulla compatibilità di una norma di diritto interno con il diritto comunitario o sull’interpretazione di disposizioni nazionali. Per questo essa non può, ad esempio, pronunciarsi sulla misura della pena di cui al nuovo art. 2621 del codice civile  (57) , ma è competente a fornire ai giudici del rinvio tutti gli elementi per l’interpretazione del diritto comunitario atti a consentire agli stessi di pronunciarsi sulla compatibilità del diritto nazionale con il diritto comunitario nelle cause dinanzi a loro pendenti  (58) .

a)     Efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni

85.     L’art. 6, primo trattino, della prima direttiva si limita ad obbligare gli Stati membri ad adottare adeguate sanzioni per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di pubblicità già descritto. La disposizione, come previsto dall’art. 249, terzo comma, CE, lascia così alle autorità nazionali la scelta in merito alla forma e ai mezzi, concedendo loro quindi un potere discrezionale non irrilevante.

86.     Tale potere discrezionale non è tuttavia illimitato. Qualora infatti una normativa comunitaria non preveda alcuna sanzione per il caso di violazione della stessa o faccia rinvio, al riguardo, alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali, l’art. 10 CE impone agli Stati membri di adottare tutte le misure atte ad assicurare la piena efficacia del diritto comunitario. Pur conservando un potere discrezionale in merito alla scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura e per gravità e, in ogni caso, devono conferire alla sanzione stessa caratteri di efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva  (59) .

87.     Nel presente caso non vi sono i presupposti per una discriminazione tra fattispecie puramente interne e comunitarie. Per cui quanto verrà ora esposto riguarderà solo i criteri di efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva; nel caso di specie essi costituiscono il metro in base al quale valutare la questione se disposizioni quali quelle introdotte dal d. lgs. n. 61/2002 siano compatibili con l’art. 6 della prima direttiva. Particolare importanza, con riferimento agli scopi già esposti della prima e della quarta direttiva  (60) , va data non solo agli interessi dei soci e dei creditori, ma anche alla tutela degli interessi e dell’affidamento di altri terzi su una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale, della situazione finanziaria nonché del risultato economico della società. Anche e soprattutto questa tutela deve essere garantita in modo efficace, proporzionato e dissuasivo dalle sanzioni che il diritto nazionale è tenuto a prevedere.

88.     Efficace è una disciplina sanzionatoria strutturata in modo tale che l’irrogazione della sanzione prevista (e quindi la realizzazione degli scopi previsti dal diritto comunitario  (61) ) non venga resa praticamente impossibile o eccessivamente difficile. Ciò discende dal principio di effettività  (62) il quale, secondo la giurisprudenza, trova applicazione in tutti i casi in cui una fattispecie ha una relazione con il diritto comunitario, ma – ad esempio, per la procedura da seguire – non esiste una disciplina comunitaria e di conseguenza gli Stati membri applicano norme nazionali. Il principio di effettività non si applica solo quando un soggetto fa valere i suoi diritti derivanti dall’ordinamento comunitario nei confronti di uno Stato membro, ma anche al contrario, quando uno Stato membro applica nei confronti di un soggetto i precetti del diritto comunitario  (63) .

89.     Dissuasiva è una sanzione che induce l’individuo ad astenersi dal violare gli scopi e le norme di diritto comunitario  (64) . A tal proposito non contano solo il tipo e la misura della sanzione  (65) , ma anche la probabilità con la quale la stessa può essere irrogata: chi commette un’infrazione deve temere di essere effettivamente punito con una sanzione. Sotto questo profilo il criterio della capacità dissuasiva si sovrappone a quello dell’efficacia.

90.     Una sanzione è proporzionata quando è idonea (quindi in particolare efficace e dissuasiva) e necessaria per il conseguimento degli scopi da essa legittimamente perseguiti. Qualora sia possibile una scelta tra più misure (ugualmente) appropriate, si deve ricorrere alla meno gravosa. Inoltre gli effetti della sanzione sull’interessato non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti  (66) .

91.     Il problema se una disposizione di diritto nazionale contenga una sanzione in tal senso efficace, proporzionata e dissuasiva dev’essere esaminato, in tutti i casi in cui sorge, tenendo conto del ruolo di detta norma nell’ordinamento giuridico complessivo ivi compreso lo svolgimento della procedura e delle peculiarità di quest’ultima dinanzi alle diverse autorità nazionali  (67) .

92.     In sintesi, quindi, si può affermare quanto segue.

       Ai sensi dell’art. 6 della prima direttiva, le sanzioni sono adeguate quando sono efficaci, proporzionate e dissuasive. A tale proposito va dato particolare rilievo non solo all’interesse dei soci e dei creditori, ma anche all’interesse di altri terzi e alla tutela del loro affidamento su una rappresentazione fedele della situazione patrimoniale, della situazione finanziaria nonché del risultato economico della società. Il problema se una disposizione di diritto nazionale contenga una sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva dev’essere esaminato, in tutti i casi in cui sorge, tenendo conto del ruolo di detta norma nell’ordinamento giuridico complessivo, ivi compreso lo svolgimento della procedura e delle peculiarità di quest’ultima dinanzi alle diverse autorità nazionali.

b)     Soglie di tolleranza

93.      Sia al terzo comma, prima frase, del nuovo art. 2621, sia al quinto comma, prima frase, del nuovo art. 2622 del codice civile, la punibilità per false comunicazioni sociali è esclusa se la falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. Inoltre, entrambe le disposizioni prevedono soglie di tolleranza espresse in valori percentuali (v. nuovo art. 2621, terzo comma, seconda frase, e quarto comma, nonché nuovo art. 2622, quinto comma, seconda frase, e sesto comma, del codice civile). Poiché tali disposizioni sono identiche nelle due norme penali, è opportuno esaminarle per prime.

94.     Nella valutazione di tali disposizioni bisogna tener conto della ratio della quarta direttiva. Di fatto, l’art. 2, n. 3, della quarta direttiva prescrive che i conti annuali di una società devono dare un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico della stessa. Tale principio riveste una particolare importanza nell’ambito delle disposizioni delle direttive relative ai conti annuali  (68) . Ciò viene illustrato in particolare ai nn. 4 e 5 dell’art. 2 della quarta direttiva, alla luce dei quali in caso di dubbio si deve addirittura derogare alle altre disposizioni della quarta direttiva per garantire che il conto annuale dia un quadro fedele (art. 2, n. 5, prima frase) e può essere addirittura necessario imporre, a tal fine, obblighi ulteriori rispetto a quanto prescritto dalla direttiva (art. 2, n. 4)  (69) .

95.     Come già osservato, attraverso tali disposizioni viene tutelato l’affidamento, sia del socio sia dei terzi, sulla correttezza sostanziale dei conti annuali.

96.     Da ciò deriva sostanzialmente che, se gli errori in un conto annuale o in un conto consolidato sono idonei a far venire meno l’affidamento sulla correttezza della rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria o del risultato economico di una società, allora, per il principio di effettività delle sanzioni essi non possono essere tollerati, altrimenti lo scopo perseguito dalla direttiva verrebbe frustrato. Se, al contrario, gli errori in un bilancio non sono idonei a far venire meno tale affidamento, le sanzioni previste possono essere ridotte o escluse del tutto.

97.     Disposizioni che lascino un margine sufficiente per tenere in considerazione le circostanze del caso concreto possono soddisfare tali criteri mediante una interpretazione e applicazione conformi alla direttiva. Al contrario, gli effetti meramente quantitativi di una mancanza, a cui fanno riferimento il nuovo art. 2621, terzo comma, seconda frase, e quarto comma, nonché il nuovo art. 2622, quinto comma, seconda frase, e sesto comma, del codice civile, possono costituire solo un punto di partenza per valutare se detta mancanza sia idonea a far venire meno l’affidamento sulla correttezza della rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria nonché del risultato economico di una società.

98.     È vero che gli interessi dei soci e dei terzi nonché la tutela del loro affidamento sulla correttezza dei conti annuali normalmente non sono minacciati finché per eventuali irregolarità contabili la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di imprese sia falsata solo in modo numericamente irrilevante. Per prevenire però abusi e indurre alla maggior cura possibile nella redazione dei conti annuali, decidere se si tratti di un’imprecisione dagli effetti irrilevanti o di una falsificazione intollerabile deve sempre dipendere da una valutazione del caso concreto. Altrimenti vi sarebbe, davvero, un grave pericolo che all’ombra delle soglie di tolleranza concesse dal legislatore si realizzino nei conti annuali troppe imprecisioni volutamente calcolate. Uno sviluppo in tal senso potrebbe ledere in modo duraturo soprattutto l’affidamento dei terzi, e quindi degli operatori commerciali nel loro complesso, sulla correttezza dei conti annuali.

99.     In particolare non può essere assolutamente tollerato che, come presuppongono i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, vengano inserite in un conto annuale e poi pubblicate informazioni false intenzionalmente nonché con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi, anche qualora gli effetti della falsificazione siano quantitativamente minimi. Il principio della ricostruzione fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria nonché del risultato economico di una società mira, come già osservato, alla tutela dell’interesse dei terzi e dell’affidamento che gli operatori commerciali pongono sulla correttezza dei conti annuali. Se si consentisse che nei conti annuali vengano effettuate dichiarazioni false, intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi, tale affidamento verrebbe leso in modo duraturo e verrebbero quindi violati gli scopi delle direttive sul diritto societario.

100.   In un contesto del genere soglie di tolleranza o cause di non punibilità quali previste dal codice civile al nuovo art. 2621, terzo e quarto comma, nonché al nuovo art. 2622, quinto e sesto comma, appaiono inidonee a soddisfare il requisito posto dal diritto comunitario di sanzioni efficaci (e anche dissuasive).

101.   Va osservato, per inciso, che anche negli Stati Uniti d’America, ad esempio nella prassi amministrativa della Securities and Exchange Commission (organo di vigilanza sulle borse; in prosieguo: la «SEC»), si presuppone l’inadeguatezza delle soglie di tolleranza quantitative, e ciò almeno qualora con le stesse debba essere motivata una presunzione iuris et de iure senza la possibilità di valutare complessivamente tutte le circostanze del caso concreto  (70) .

102.   Contro la tesi qui condivisa non può nemmeno essere sostenuto che le «discipline de minimis» sono generalmente ammesse nel diritto comunitario  (71) . È vero che nel diritto comunitario della concorrenza esistono determinate soglie di rilevanza, ma tali soglie vanno applicate solo qualora venga garantito che il senso, lo scopo nonché l’efficacia pratica delle norme in materia di concorrenza non risultino compromessi.

103.    Così, ad esempio, nel settore degli aiuti di Stato l’art. 3 del relativo regolamento di esenzione per categoria  (72) richiede l’effettuazione di taluni controlli per garantire che gli aiuti de minimis concessi non ostacolino il commercio tra gli Stati membri e non falsino la concorrenza  (73) . Un confronto con tale disciplina de minimis porta quindi semmai alla seguente conclusione: vi possono essere soglie di tolleranza solo qualora tramite le stesse non si eluda lo scopo e il senso delle disposizioni giuridiche pertinenti, vale a dire, nel caso dei conti annuali, la tutela dell’affidamento dei terzi e del pubblico sulle comunicazioni sociali.

104.   Non meno utile è il confronto con la disciplina de minimis in vigore nell’ambito dell’art. 81 CE. In tale settore vengono infatti escluse a priori dall’applicazione della regola de minimis alcune restrizioni particolarmente rilevanti come le intese sui prezzi o la creazione di cartelli regionali (c.d. restrizioni gravi); queste rimangono quindi illimitatamente soggette all’ambito di applicazione del diritto comunitario in materia di cartelli  (74) . Se si estende tale discorso all’ambito delle false comunicazioni sociali allora si può, semmai, giungere alla conclusione seguente: gli abusi particolarmente gravi a danno dell’affidamento dei terzi o del pubblico sulla correttezza delle comunicazioni di una società, in particolare dichiarazioni false effettuate nei conti annuali intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi, non possono essere tollerate nemmeno quando le falsità alterino solo in modo numericamente irrilevante il risultato economico, la situazione patrimoniale e la situazione finanziaria di una società o di un gruppo di imprese.

105.   In sintesi, quindi, si può affermare quanto segue.

È vero che il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art. 2, n. 3, nonché dell’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo cui è esclusa la punibilità delle false comunicazioni sociali, quando queste non alterino in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di imprese, a meno che il fatto sia stato commesso intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi.

Tuttavia le medesime disposizioni ostano ad una normativa nazionale secondo cui la punibilità delle false comunicazioni sociali sia sempre esclusa – senza valutare complessivamente tutte le circostanze del caso concreto – quando le falsità o le omissioni determinano una variazione che non superi una determinata percentuale del valore corretto.

In tal senso va interpretato anche il combinato disposto dell’art. 38, nn. 6 e 1, nonché dell’art. 16, n. 3, della settima direttiva.

c)     Termini di prescrizione per l’azione penale

106.   Per quanto riguarda la prescrizione, il d. lgs. n. 61/2002 ha sostanzialmente ridotto i termini applicabili. Tale circostanza ha effetti in particolare sul perseguimento dei reati secondo il nuovo art. 2621 del codice civile. Per tale contravvenzione, che rappresenta la fattispecie generale del reato di false comunicazioni sociali, il termine di prescrizione è oramai di tre anni; in caso di interruzione di tale termine la prescrizione interviene al massimo dopo un periodo complessivo di quattro anni e sei mesi  (75) .

107.   In linea di principio, non vi sono obiezioni a che gli Stati membri assoggettino a prescrizione le sanzioni che devono introdurre in forza del diritto comunitario. Tali termini di prescrizione assicurano infatti la certezza del diritto e questo principio è riconosciuto come principio generale del diritto anche a livello comunitario  (76) . Di conseguenza anche il diritto comunitario prevede termini di prescrizione paragonabili, ad esempio nell’ambito delle disposizioni relative alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità  (77) e nell’ambito della politica della concorrenza  (78) .

108.   Come mostra inoltre l’esistenza di termini di prescrizione di tal genere, il diritto comunitario non dispone affatto che in ogni singolo caso debba essere anche irrogata effettivamente una sanzione. Deve essere invece garantito che le norme sulla prescrizione applicabili non annullino nel loro insieme l’efficacia e la capacità dissuasiva delle sanzioni previste  (79) . Le false comunicazioni sociali non possono quindi essere sanzionate solo teoricamente. Il sistema sanzionatorio va strutturato, al contrario, in modo tale che chiunque presenti un conto annuale falso debba effettivamente temere di essere punito  (80) .

109.    Il problema se disposizioni relative alla prescrizione come quelle applicabili al nuovo art. 2621 e al nuovo art. 2622 del codice civile corrispondano ai requisiti appena menzionati relativi a sanzioni efficaci e dissuasive va valutato tenendo conto, da una parte, del tipo e della gravità del reato considerato e, dall’altra, della struttura della disciplina relativa alle prescrizioni prevista dal diritto nazionale  (81) . A tal proposito non rileva solo la durata del termine di prescrizione, ma rilevano anche, ad esempio, il momento in cui tale termine inizia a decorrere, gli atti sospensivi o interruttivi della prescrizione e gli effetti di una tale sospensione o interruzione. Parimenti, non può essere trascurato il dato relativo al tempo che richiedono normalmente le indagini e l’esperimento di un procedimento giurisdizionale in relazione alla complessità delle circostanze di fatto nonché alla disponibilità di uomini e mezzi dell’apparato giudiziario. All’opposto, va tenuto conto del fatto che l’art. 6, n. 1, prima frase, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali  (82) nonché l’art. 47, n. 2, prima frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea  (83) tutelano chiunque, e specialmente l’imputato in un procedimento penale, contro una durata eccessiva del procedimento; d’altro canto, nella valutazione della durata di un procedimento vanno prese in considerazione le circostanze del caso concreto nonché la sua complessità  (84) .

110.   Se una disciplina relativa alla prescrizione che tenga conto di tutti questi aspetti ha come conseguenza che la pena comminata non viene mai, o solo raramente, irrogata, allora non si può parlare di sanzione efficace e dissuasiva.

111.   Secondo tutti i giudici del rinvio, soprattutto nel caso di una contravvenzione ai sensi del nuovo art. 2621 del codice civile, le indagini – spesso lunghe e dispendiose – e il procedimento giudiziario, che generalmente si protrae per tre gradi di giudizio, normalmente non termineranno prima dell’avvenuta prescrizione. In un contesto simile sussistono notevoli dubbi sul fatto che una disposizione come quella del nuovo art. 2621 del codice civile possa essere considerata come sanzione efficace e dissuasiva ai sensi dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva.

112.   In sintesi, quindi, si può affermare quanto segue.

Il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art 2, n. 3, nonché dell’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva osta ad una disciplina relativa alla prescrizione secondo la quale non sia prevedibile, o lo sia solo raramente, un’effettiva irrogazione delle sanzioni comminate. In tal senso va interpretato anche il combinato disposto dell’art. 38, nn. 6 e 1, nonché dell’art. 16, n. 3, della settima direttiva.

d)     Sistema di sanzioni a più livelli e presupposti per l’azione penale

113.   La fattispecie di reato di cui al nuovo art. 2622 del codice civile è contrassegnata da una pena sostanzialmente più severa rispetto a quella di cui al nuovo art. 2621 ed è soggetta anche a termini di prescrizione più lunghi, di regola però essa consente l’azione penale solo su querela del socio o del creditore danneggiato. Il reato così, di regola, non può essere perseguito d’ufficio e nemmeno su querela da parte di terzi diversi dai creditori danneggiati.

114.   È vero che è consentito agli Stati membri introdurre un sistema di sanzioni a più livelli e, ad esempio, prevedere pene più severe per il caso in cui le false comunicazioni sociali – oltre ai danni morali che generalmente derivano dalla lesione dell’affidamento sulla correttezza dei conti annuali – causino danni patrimoniali. Il principio di proporzionalità delle sanzioni consente addirittura di introdurre fattispecie di reato qualificate, che prevedano pene più elevate in caso di danni patrimoniali rispetto alle fattispecie generali di reato, il cui perseguimento, in compenso, può essere assoggettato alla presentazione di una querela da parte del danneggiato.

115.   Di per sé tuttavia le disposizioni che richiedono una querela non sono idonee a soddisfare l’obbligo di diritto comunitario, che incombe agli Stati membri ai sensi dell’art. 6 della prima direttiva, di prevedere adeguate sanzioni. Poiché la presentazione della querela è riservata ai soci e ai creditori danneggiati, una disposizione come quella di cui al nuovo art. 2622 del codice civile non può, infatti, garantire efficacemente la tutela degli interessi di tutti i terzi, ma al massimo la tutela di determinati terzi. Come la Corte ha però già affermato nella sentenza Daihatsu Deutschland, l’art. 6 della prima direttiva osta alle disposizioni di uno Stato membro che prevedano solo per i soci, i creditori e per la commissione interna centrale o la commissione interna della società il diritto di chiedere l’applicazione della sanzione  (85) . Per i motivi prima indicati  (86) le considerazioni esposte nella sentenza Daihatsu Deutschland non sono assolutamente limitate al caso dell’omessa pubblicazione dei conti annuali, anzi, esse devono valere a maggior ragione – contrariamente all’opinione degli imputati Berlusconi e Dell’Utri – nel caso di pubblicazione di conti annuali falsi.

116.   Fattispecie di reato qualificate come quelle di cui al nuovo art. 2622 del codice civile possono così al massimo completare un sistema di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive già previsto dal diritto nazionale. Al contrario non sono adeguate, in quanto limitate alla tutela degli interessi dei soci e dei creditori, a compensare eventuali carenze nella tutela degli interessi di (altri) terzi per quanto riguarda i possibili danni patrimoniali e nemmeno per quanto riguarda semplicemente i danni morali che possono derivare dalla lesione dell’affidamento del pubblico sulla correttezza dei conti annuali.

117.   Se i giudici del rinvio dovessero giungere quindi alla conclusione che la fattispecie generale di reato del nuovo art. 2621 del codice civile non contiene, ad esempio a causa delle soglie di tolleranza o del regime di prescrizione ad essa applicabile, una sanzione efficace e dissuasiva  (87) , allora nemmeno una disposizione come quella di cui al nuovo art. 2622 del codice civile, che riserva il presupposto della querela solo ai soci e ai creditori, potrebbe colmare tale carenza.

118.   Del resto, per la valutazione complessiva di tale disposizione non può rilevare il fatto che comunque continui ad essere eccezionalmente prevista la procedibilità d’ufficio, ai sensi del nuovo art. 2622, secondo e terzo comma, del codice civile. È palese che nel valutare l’efficacia e la capacità dissuasiva di sanzioni non bisogna tener conto solo di eventuali false comunicazioni sociali delle poche società quotate in borsa o di reati a danno dello Stato o delle Comunità europee. Al contrario devono essere presi in considerazione tutti i casi di false comunicazioni sociali, non da ultimo quelli relativi a società non quotate e che non hanno effetti pregiudizievoli per la pubblica amministrazione.

119.   In sintesi, quindi, si può affermare quanto segue.

Il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art. 2, n. 3, nonché dell’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo la quale le sanzioni con cui vengono tutelati gli interessi patrimoniali di determinate persone possono di regola essere irrogate solo su richiesta del danneggiato. Ciò presuppone tuttavia l’esistenza di un’ulteriore norma generale che, a tutela degli interessi dei terzi, preveda, anche indipendentemente da un eventuale danno patrimoniale, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive applicabili d’ufficio. In tal senso va interpretato anche il combinato disposto dell’art. 38, nn. 6 ed 1, nonché dell’art. 16, n. 3, della settima direttiva.

e)     Quadro complessivo delle disposizioni di diritto civile, penale e amministrativo

120.   Gli imputati Berlusconi, Adelchi e Dell’Utri nonché il governo italiano osservano che nella valutazione della nuova disciplina sanzionatoria italiana per false comunicazioni sociali non dovrebbero essere prese in considerazione solo le componenti di diritto penale, ma anche le disposizioni di diritto civile e amministrativo. Anche le osservazioni della Commissione possono essere intese in tal senso, almeno in linea di massima. In tale contesto si rinvia, a titolo di esempio, alle seguenti disposizioni:

la responsabilità civile per i responsabili di false comunicazioni sociali  (88) ;

la facoltà di impugnare la delibera sociale di approvazione di un (falso) bilancio  (89) ;

la possibilità di irrogare talune sanzioni amministrative (ammende) alla società stessa per false comunicazioni sociali effettuate nel suo interesse  (90) ;

la possibilità di applicare sanzioni pecuniarie per omessa presentazione o presentazione tardiva dei bilanci  (91) , e

le disposizioni relative al controllo dei conti annuali e dei conti consolidati da parte di una persona espressamente autorizzata e soggetta a particolari responsabilità  (92) .

121.   Come già osservato  (93) , l’art. 6 della prima direttiva concede agli Stati membri un margine discrezionale non irrilevante nello strutturare la loro disciplina sanzionatoria nazionale. Per questo motivo, dall’art. 6 della prima direttiva non deriva assolutamente che debbano essere comminate solo sanzioni di diritto penale  (94) . Dal punto di vista del diritto comunitario, in linea di principio non va criticata neppure una combinazione di norme penali con disposizioni di diritto civile e di diritto amministrativo. Per la valutazione del combinato effetto di tali disposizioni vale esclusivamente il principio dell’efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva delle sanzioni.

122.   Spetta al giudice del rinvio valutare il sistema sanzionatorio previsto dal legislatore italiano nel suo complesso, commisurandolo ai criteri di efficacia, proporzionalità e capacità dissuasiva  (95) . A tal proposito la Corte può solo dare indicazioni relative all’interpretazione del diritto comunitario che consentano al giudice nazionale di effettuare una tale valutazione del proprio ordinamento.

123.   In tale contesto va innanzi tutto ricordato che sanzioni che possono essere applicate solo su richiesta di determinate persone, cioè soci e creditori, non possono essere adeguate a priori a compensare eventuali carenze nella tutela generale degli interessi dei terzi  (96) . La tutela degli interessi dei terzi non può essere nemmeno subordinata ad un qualsiasi danno a tali terzi. Non devono essere tutelati solo gli interessi patrimoniali dei terzi, ma anche, e soprattutto, gli interessi morali dei medesimi ad un’informazione veritiera sulla situazione patrimoniale, sulla situazione finanziaria e sul risultato economico della società e quindi l’affidamento che tra gli operatori commerciali viene fatto sulla correttezza dei conti annuali. Se non viene garantita tale tutela, allora alle sanzioni manca a priori il requisito dell’efficacia.

124.   Per poter parlare di sanzione efficace non è nemmeno sufficiente, di per sé, la circostanza che anche i terzi possano eventualmente chiedere l’adozione di misure di diritto civile, come ad esempio la dichiarazione di nullità delle deliberazioni societarie che approvano i conti annuali  (97) . L’efficacia e, soprattutto, il carattere dissuasivo delle sanzioni presuppongono, come già osservato, che chiunque presenti conti annuali falsi debba anche temere effettivamente l’irrogazione di sanzioni. Perciò vanno perlomeno esaminate, in aggiunta, la probabilità  (98) con cui terzi potrebbero ricorrere con successo ad un rimedio giuridico quale l’azione diretta ad ottenere una declaratoria di nullità dinanzi ai giudici nazionali competenti.

125.   Qualora altre disposizioni si ricolleghino alle fattispecie dei nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, nel giudicarle occorre tener conto del fatto che eventuali carenze di tali fattispecie di reato, ad esempio le soglie di tolleranza, possono avere effetti indiretti sulle disposizioni che ne discendono, inficiandone l’efficacia e la capacità dissuasiva. Ciò vale ad esempio per una disposizione come l’art. 2641 del codice civile  (99) , che prevede la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo, e vale anche per sanzioni amministrative come quelle introdotte dall’art. 25 ter del d. lgs. n. 231/2001, riferentesi anch’esse alle fattispecie di reato previste di cui ai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile.

126.   Per quanto riguarda l’art. 25 ter del d. lgs. n. 231/2001, va inoltre tenuto conto del fatto che tale disposizione si applica esclusivamente ai reati commessi nell’interesse della società e che la società in talune circostanze si può discolpare  (100) . Disposizioni il cui ambito di applicazione viene in tal modo limitato possono costituire un complemento sensato della disciplina sanzionatoria complessiva, ma non possono compensare eventuali carenze nella tutela generale degli interessi dei terzi. La tutela dell’interesse dei terzi ad un’informazione veritiera sulla situazione patrimoniale, sulla situazione finanziaria e sul risultato economico della società interessata va infatti garantita in modo efficace anche quando qualcuno effettui false dichiarazioni in un conto annuale a suo vantaggio personale, e non necessariamente nell’interesse della società o a danno di altri.

127.   Per quanto riguarda il resto, in disposizioni come quelle di cui all’art. 25 ter del d. lgs. n. 231/2001 va esaminata anche la misura della sanzione comminata con riferimento al suo effetto dissuasivo. Se le ammende previste sono di importo talmente basso da non essere adeguate né alla gravità delle esaminate violazioni delle disposizioni relative al bilancio, né alle dimensioni dell’impresa interessata, allora disposizioni di questo tipo non possono essere considerate dissuasive. Non sarebbero quindi idonee, anche per questo motivo, a compensare eventuali carenze nelle sanzioni penali come quelle di cui ai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile.

128.   Con riferimento a disposizioni come il nuovo art. 2630 del codice civile basta osservare che l’art. 6 della prima direttiva, come prima indicato  (101) , impone adeguate sanzioni non solo per il caso di omessa pubblicazione dei conti annuali, ma anche per l’ipotesi di pubblicazione di conti annuali falsi.

129.   La verifica dei bilanci da parte dei revisori dei conti  (102) rappresenta indubbiamente una parte essenziale degli strumenti normativi che devono garantire la correttezza del contenuto delle comunicazioni sociali. Tuttavia nel caso della revisione contabile si tratta di un controllo preventivo. Stando invece alla lettera dell’art. 6 della direttiva («adeguate sanzioni»)  (103) agli Stati membri viene richiesta anche, perlomeno, una misura appropriata di natura repressiva. Lo stesso emerge inoltre dal contesto della quarta e della settima direttiva nonché dal senso e dallo scopo delle disposizioni relative alla revisione contabile: l’attività preventiva dei revisori dei conti non deve in alcun caso sostituire le misure repressive degli Stati membri o compensare le loro carenze, ma al contrario essa è intesa come una seconda colonna, autonoma, del sistema attraverso il quale deve essere garantita la correttezza del contenuto dei conti annuali e dei conti consolidati. Il legislatore comunitario obbliga gli Stati membri ad assicurare un controllo efficace sia preventivo sia repressivo.

130.   Nell’ambito del diritto penale va infine tenuto in considerazione che determinate disposizioni presuppongono il compimento di un delitto  (104) e che quindi una contravvenzione come quella di cui al nuovo art. 2621 del codice civile non può essere considerata, a priori, un valido presupposto per le stesse.

C – Effetti di una violazione delle direttive da parte delle disposizioni dello Stato membro sui procedimenti penali pendenti dinanzi ai giudici del rinvio

131.   Per poter fornire ai giudici del rinvio una risposta utile ai fini della decisione dei procedimenti penali dinanzi ad essi pendenti, va inoltre esaminato quale effetto abbia l’interpretazione qui proposta delle direttive sul diritto societario in un procedimento dinanzi ad un giudice nazionale  (105) . A tal proposito, da un lato, occorre rinviare all’obbligo, generale e universalmente noto, dei giudici nazionali di dare applicazione ai precetti del diritto comunitario e, dall’altro, occorre esaminare i limiti all’applicazione delle direttive nei procedimenti penali e, infine, il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole.

1.     Sull’obbligo dei giudici nazionali di dare applicazione ai precetti del diritto comunitario

132.   In almeno due procedimenti principali i Pubblici Ministeri competenti hanno sostenuto dinanzi ai rispettivi giudici nazionali che le modifiche normative introdotte dal d. lgs. n. 61/2002 sono incostituzionali  (106) . Tutti e tre i giudici del rinvio intendono sollevare una questione di legittimità costituzionale del d. lgs. n. 61/2002 dinanzi alla Corte costituzionale italiana. Nell’ordinanza di rinvio relativa alla causa C‑387/02, ad esempio, il Tribunale di Milano osserva che «la decisione finale della causa è condizionata da un giudizio di costituzionalità o meno, di competenza della Corte costituzionale».

133.   Al riguardo va rilevato quanto segue. È ovvio che non rientra nella competenza della Corte di giustizia esprimersi sull’interpretazione della Costituzione di uno Stato membro o esaminare la conformità di una norma giuridica nazionale con la stessa. Il compito della Corte di giustizia invece è quello di garantire, attraverso la sua giurisprudenza, l’attuazione uniforme ed effettiva del diritto comunitario in tutti gli Stati membri. A tale scopo la Corte di giustizia, nell’ambito della sua competenza, può fornire ai giudici del rinvio le indicazioni giuridiche necessarie per l’interpretazione del diritto comunitario.

134.   Secondo una giurisprudenza costante e consolidata della Corte di giustizia, i giudici nazionali hanno l’obbligo di applicare il diritto comunitario e di disapplicare le disposizioni del diritto nazionale eventualmente contrastanti. Questa è la logica conseguenza del primato applicativo del diritto comunitario  (107) . Nella sentenza Simmenthal la Corte ha osservato al riguardo che il giudice nazionale deve dare applicazione al diritto comunitario «(…) disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria (…)»  (108) .

135.   Inoltre, il giudice nazionale deve garantire la piena efficacia del diritto comunitario «disapplicando all’ occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale»  (109) .

136.   I giudici del rinvio sono quindi obbligati, in forza del diritto comunitario, in particolare ai sensi degli artt. 10 CE e 249, terzo comma, CE, a dare applicazione, nei procedimenti penali dinanzi ad essi pendenti, ai precetti contenuti nelle direttive sul diritto societario senza necessità di una preventiva pronuncia della Corte costituzionale italiana sulla possibile incostituzionalità del d. lgs. n. 61/2002.

137.   Ovviamente tutto ciò non esclude che un atto legislativo nazionale, come il d. lgs. n. 61/2002, venga sottoposto, ai sensi della rispettiva normativa nazionale, in aggiunta, ad un esame da parte di un giudice costituzionale, con cui venga valutata, in linea generale, la sua legittimità costituzionale e, se del caso, la sua validità.

138.   Indipendentemente dall’effettuazione di un tale controllo di costituzionalità e indipendentemente dalla conformità o non conformità del d. lgs. n. 61/2002 alla Costituzione italiana, i giudici del rinvio, nel caso concreto, cioè nei procedimenti penali dinanzi ad essi pendenti, devono già disapplicare tale decreto legislativo nella parte in cui le novità ivi previste non sono conformi al diritto comunitario. La risposta della Corte di giustizia alle questioni sottopostele dai giudici del rinvio è vincolante per tutti i giudici nazionali competenti per le cause principali  (110) . Inoltre, dall’interpretazione della Corte di giustizia derivano il senso e la portata secondo cui devono, o dovevano, essere intese ed applicate le disposizioni delle direttive sul diritto societario sin dalla loro entrata in vigore  (111) .

2.     Sui limiti all’applicazione delle direttive nei procedimenti penali

139.   Gli imputati Berlusconi, Adelchi e Dell’Utri nonché il governo italiano fanno riferimento al principio della legalità della pena. Da tale principio emergerebbe che gli imputati, in applicazione delle direttive sul diritto societario, non potrebbero essere assoggettati né ad un’azione penale né a pene diverse e più severe rispetto a quelle previste dai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile. Di avviso opposto sono la Procura generale di Milano, che ha partecipato al procedimento, e la Commissione.

a)     Principi sviluppati in giurisprudenza

140.   In giurisprudenza è già stato chiarito che una direttiva non può avere l’effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di stabilire o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni  (112) .

141.   Da una parte, tale affermazione deriva dal principio della legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege (113) , che appartiene ai principi generali del diritto, comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, e che è sancito anche dall’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dall’art. 15, n. 1, prima frase, del Patto internazionale sui diritti civili e politici  (114) nonché dall’art. 49, n. 1, prima frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea  (115) . In base a tale regola, che vieta anche l’interpretazione estensiva di norme penali a sfavore dell’interessato, l’interpretazione conforme alle direttive nel procedimento penale è inoltre soggetta a limiti rigorosi  (116) .

142.   Daltra parte, la Corte ha basato la regola secondo cui le direttive non possono essere richiamate direttamente per istituire o rendere più gravosa la punibilità sul principio che la direttiva non può di per sé creare obblighi a carico dei soggetti  (117) .

143.   È vero che l’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer ha recentemente messo in questione, nella causa Pfeiffer, il principio che la direttiva non possa di per sé creare obblighi a carico di un soggetto nel caso di diretta applicazione di una direttiva nei rapporti tra due privati  (118) . Egli stesso ha tuttavia sottolineato che in procedimenti penali, in cui un soggetto è opposto allo Stato, valgono altri parametri  (119) . In conclusione resta pacifico che l’efficacia diretta di una direttiva nel procedimento penale non può comunque avere la conseguenza di creare obblighi a carico di un soggetto.

b)     Esame dei principi in relazione al caso di specie

144.   Nel caso di specie nessuno dei motivi che la Corte ha sviluppato per limitare l’efficacia delle direttive nei procedimenti penali è rilevante.

145.   Infatti, il principio della legalità della pena non viene compromesso poiché la responsabilità penale degli imputati nelle cause principali non deriverebbe in nessun caso direttamente dalle direttive sul diritto societario e sarebbe quindi indipendente dalle normative nazionali adottate per la loro attuazione  (120) . La punibilità degli imputati non deriverebbe nemmeno direttamente dall’art. 10 CE. Infatti, l’osservanza dell’art. 10 CE nonché dei precetti delle direttive sul diritto societario ha come unico effetto che le modifiche normative introdotte dal d. lgs. n. 61/2002, intervenute dopo la commissione del fatto e che introducono pene più favorevoli e rendono più gravosa o addirittura escludono l’azione penale, devono eventualmente essere disapplicate. Resta invece applicabile la legge nazionale nella sua versione in vigore all’epoca dei fatti. In tal modo la punibilità degli imputati si fonda sul diritto nazionale vigente all’epoca dei fatti, vale a dire sull’originario art. 2621 del codice civile.

146.   Non può essere eccepito a tal proposito che la precedente fattispecie di reato, contenuta nell’originario art. 2621 del codice civile, è «passata ad vitam aeternam» a seguito della sua abrogazione da parte del d. lgs. n. 61/02 e che non può essere «risuscitata». Infatti, in base all’obbligo sempre vigente di garantire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, al legislatore nazionale è vietato, in forza del diritto comunitario, abrogare improvvisamente un regime sanzionatorio esistente senza sostituirlo contemporaneamente con altre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive. Il divieto di frustrare gli scopi di una direttiva  (121) non vale infatti solo prima della scadenza del termine per la sua attuazione, ma a maggior ragione anche dopo. Se quindi un atto abrogativo, come quello di cui al d. lgs. n. 61/2002, contrasta con i precetti del diritto comunitario, allora questo e proprio questo atto abrogativo deve essere disapplicato nelle cause principali. Se l’atto abrogativo stesso viene disapplicato, allora l’originario art. 2621 del codice civile non è «passato ad vitam aeternam» nel caso di specie e non si pone la questione se possa essere «risuscitato».

147.   Pur ipotizzando però che la legge penale precedente, quindi l’originario art. 2621 del codice civile, sia ormai abrogata, ciò non esclude assolutamente che tale fattispecie di reato possa continuare ad applicarsi ai fatti commessi prima della sua abrogazione. Corrisponde anzi proprio al principio della legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege) commisurare sempre un reato alla legge penale in vigore nel momento in cui è stato commesso. Ad esempio nessuno dubiterebbe seriamente della costante applicabilità di una norma anteriore più favorevole nel caso in cui il legislatore avesse nel frattempo introdotto leggi penali più severe. Il fatto che nel caso di specie venga contestata, all’opposto, l’applicabilità della precedente legge penale non riguarda, nell’essenza, tanto la questione se il principio della legalità della pena sia garantito, ma al contrario la questione se a tale principio possa essere fatta una deroga a vantaggio dell’applicazione retroattiva della legge penale successiva più favorevole  (122) .

148.   In un caso come quello di specie non può essere temuta una violazione del principio nullum crimen, nulla poena sine lege. La Corte ha ribadito questo anche nella sentenza Tombesi  (123) . In quel caso «(…) all’epoca in cui sono stati commessi, i fatti che costituiscono oggetto delle cause a quibus potevano essere puniti in base al diritto nazionale e [le disposizioni nazionali] che li hanno sottratti all’applicazione delle sanzioni risultanti dal [diritto nazionale] sono entrat[e] in vigore soltanto successivamente. Pertanto, non vi è motivo di esaminare le conseguenze che potrebbero derivare dal principio della legalità delle pene per l’applicazione del regolamento (…)».

149.   Tale affermazione è del tutto valida anche per il presente caso. Il procedimento Tombesi, come del resto anche quello Niselli  (124) , presenta analogie, nei punti essenziali, con la presente fattispecie. In nessuno di questi casi è stata messa in questione, in linea di principio, la punibilità di violazioni delle disposizioni applicabili (norme in materia di rifiuti e, rispettivamente, di bilancio). Ora come allora si tratta piuttosto di una modifica di elementi di una fattispecie di reato, che costituiscono il fondamento della pena. Ora come allora la modifica della normativa nazionale ha avuto come effetto l’impunità per fatti per i quali precedentemente era prevista una pena. Come nella presente fattispecie sono state introdotte nuove soglie di tolleranza al di sotto delle quali è esclusa la punibilità per false comunicazioni sociali, così nei procedimenti Tombesi e Niselli era stata modificata (in senso più ristretto) la nozione di rifiuti e quindi la punibilità per determinate violazioni della normativa sui rifiuti  (125) . È decisiva la circostanza che in tutti questi casi i fatti, nel momento in cui sono stati commessi, erano punibili secondo il diritto nazionale.

150.   Solo per completezza va ancora osservato che nella presente fattispecie non è necessaria, riguardo al diritto nazionale, alcuna interpretazione estensiva e conforme alle direttive che possa violare il divieto di interpretazione estensiva a sfavore dell’imputato. Come già osservato per giustificare la punibilità – in caso di disapplicazione del d. lgs. n. 61/2002 – sarebbe rilevante soprattutto l’originario art. 2621 del codice civile, il quale, secondo i dati forniti dai giudici del rinvio, già all’epoca dei fatti puniva indubbiamente le false comunicazioni sociali che sono oggetto di imputazione nel presente procedimento. Il diritto in vigore all’epoca dei fatti non deve quindi assolutamente essere interpretato in maniera estensiva per conformarlo ai precetti del diritto comunitario.

151.   Infine, le direttive sul diritto societario e l’art. 10 CE non istituiscono, in quanto tali, nel presente contesto alcun obbligo per i soggetti. A prescindere da ciò, la questione relativa a quali obblighi incombano ai soggetti va esaminata sempre alla luce del contesto normativo vigente all’epoca dei fatti rilevanti, in quanto gli obblighi possono essere imposti solo in relazione ad un comportamento futuro. Obblighi (o divieti) non possono essere introdotti o modificati retroattivamente. Nel momento in cui sono stati commessi, i reati di cui sono accusati gli imputati nelle cause principali erano punibili ai sensi di una legge nazionale, in particolare dell’originario art. 2621 del codice civile; la comminazione della pena all’epoca dei fatti non derivava affatto direttamente dalle direttive o dall’art. 10 CE.

152.   Il caso andrebbe valutato diversamente, semmai, qualora le fattispecie oggetto di imputazione si fossero verificate dopo l’adozione del d. lgs. n. 61/2002. Se il d. lgs. n. 61/2002 non venisse applicato per i fatti commessi dopo la sua adozione sarebbe più facile sostenere che dall’applicazione di una direttiva o dell’art. 10 CE derivano direttamente obblighi. Tuttavia nella fattispecie tale punto non necessita ulteriori approfondimenti poiché, come già osservato, tutti i reati contestati agli imputati sono stati commessi, senza eccezioni, prima dell’adozione del d. lgs. n. 61/2002. Gli imputati quindi all’epoca dei fatti non potevano fare affidamento sul fatto che i reati loro contestati sarebbero stati puniti in modo meno severo rispetto al vecchio art. 2621 del codice civile, o che non sarebbero stati puniti per nulla.

153.   Per tutti questi motivi nella presente fattispecie il principio della legalità della pena non osta assolutamente alla disapplicazione del d. lgs. n. 61/2002. L’osservanza delle direttive sul diritto societario e dell’art. 10 CE non ha certo l’effetto di introdurre obblighi per gli imputati, ma ha al massimo conseguenze indirettamente sfavorevoli per gli stessi. Ciò non esonera il giudice nazionale dall’obbligo, ad esso derivante dagli artt. 249, terzo comma, CE e 10 CE, di dare applicazione ai precetti di cui alle direttive  (126) .

3.     Sull’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole

154.   Secondo la tesi degli imputati Berlusconi e Dell’Utri nonché del governo italiano, nelle cause principali vanno tuttavia applicati in ogni caso retroattivamente i nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile, introdotti dal d. lgs. n. 61/2002, in quanto leggi penali più favorevoli. La Procura generale di Milano e la Commissione sono di parere opposto.

155.   Nella sua precedente giurisprudenza, la Corte ha considerato il problema dell’applicabilità retroattiva della legge penale più favorevole come una questione di diritto nazionale, che va decisa dai rispettivi giudici del rinvio  (127) . Così, ad esempio, nella causa Allain  (128) essa ha riconosciuto che un comportamento originariamente contrastante con il diritto comunitario, e quindi punibile secondo il diritto nazionale, può essere riesaminato, in applicazione di principi procedurali nazionali (in particolare, il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole), qualora vi siano cambiamenti successivi delle circostanze di fatto o di diritto.

156.   Tuttavia il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole non è consacrato solo negli ordinamenti giuridici nazionali di quasi tutti i 25 Stati membri  (129) , ma è anche internazionalmente riconosciuto  (130) . Esso già da qualche tempo è stato introdotto anche nel diritto comunitario derivato, ad esempio nelle norme relative alle sanzioni amministrative per irregolarità a danno degli interessi finanziari della Comunità  (131) . Tale principio è inoltre stato richiamato nell’art. 49, n. 1, terza frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

157.   Da quanto precede deriva che questo principio non va assolutamente considerato un principio giuridico puramente nazionale, ma anche un principio generale del diritto comunitario  (132) di cui il giudice nazionale deve tenere conto, in linea di principio, quando applica il diritto nazionale adottato in attuazione delle direttive sul diritto societario  (133) .

158.   Con tale affermazione non viene tuttavia ancora chiarito se leggi penali più favorevoli vadano applicate retroattivamente anche qualorasiano in contrasto con il diritto comunitario; se, quindi, disposizioni come quelle di cui ai nuovi artt. 2621 e 2622 del codice civile valgano retroattivamente per i reati commessi prima della loro adozione anche se contrastano con le direttive sul diritto societario. Per rispondere a tale questione occorre esaminare più approfonditamente le ragioni alla base dell’applicazione retroattiva delle leggi penali più favorevoli.

159.   L’applicazione di leggi penali successive più favorevoli costituisce una deroga al principio fondamentale già esposto della legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege), in quanto viene applicata retroattivamente una legge diversa da quella in vigore all’epoca dei fatti.

160.   Tale deroga è fondata soprattutto su considerazioni di equità che non possono avere un rango altrettanto elevato quanto quello, per esempio, della ratio del principio della legalità della pena, vale a dire il principio della certezza del diritto derivante da quello dello Stato di diritto. Infatti il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole nella maggior parte degli ordinamenti giuridici nazionali non ha rango costituzionale, ma solo di norma ordinaria. Inoltre spesso è soggetto a restrizioni, ad esempio quando la punibilità di un fatto deriva da una legge la cui validità era già stata limitata nel tempo sin dall’inizio  (134) .

161.   L’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole si fonda sulla considerazione che un imputato non deve venire condannato sulla base di un comportamento che, secondo il punto di vista (modificato) del legislatore, non è più penalmente rilevante al momento del procedimento penale. Quindi le nuove valutazioni legislative devono essere a vantaggio dell’imputato. In tal modo viene garantita in particolare la coerenza dell’ordinamento giuridico. Inoltre l’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole deriva dalla circostanza che gli scopi di prevenzione generale e speciale vengono meno quando il comportamento in questione non è più soggetto a pena.

162.   In un caso avente un rapporto con il diritto comunitario, tuttavia, l’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole si giustifica solo se viene garantito il primato del diritto comunitario, quindi se vengono tenuti in conto anche gli obiettivi del legislatore comunitario e se la visione (mutata) del legislatore nazionale è conforme ai precetti del diritto comunitario. Non è comprensibile perché il singolo debba avvantaggiarsi retroattivamente di una valutazione mutata del legislatore nazionale sulla rilevanza penale del suo comportamento, qualora tale valutazione contrasti con i precetti comunitari rimasti immutati  (135) .

163.   Se infatti, nell’adottare una nuova legge penale più favorevole, il legislatore nazionale viola i precetti del diritto comunitario, esso non garantisce affatto la coerenza delle disposizioni applicabili, al contrario, mette in pericolo l’unità dell’ordinamento giuridico. In un caso simile non vi è motivo di derogare a un principio fondamentale dello Stato di diritto quale quello della legalità della pena. Al contrario è necessario, al fine di garantire la coerenza dell’ordinamento giuridico, dare attuazione al diritto comunitario, cui spetta il primato applicativo.

164.   È ovvio che gli scopi penali della prevenzione generale e speciale non vengono meno nemmeno quando un comportamento non sia punibile esclusivamente secondo il legislatore nazionale, mentre per lo stesso comportamento, ai sensi del diritto comunitario, continuano a dover essere previste sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

165.   Qualora le disposizioni nazionali siano in contrasto con il diritto comunitario, i giudici del rinvio rimangono dunque tenuti a garantire l’attuazione dei precetti del diritto comunitario, disapplicando tali disposizioni nazionali anche quando si tratti di leggi penali più favorevoli. Si potrebbe osservare che una legge penale contrastante con il diritto comunitario adottata successivamente non costituisce una legge penale più favorevole applicabile.

166.   Non cambierebbe nulla inoltre se si dovesse considerare il principio dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole – contrariamente alla tesi qui sostenuta  (136) – non come un principio comunitario, ma solo come una questione di diritto nazionale. Infatti, il diritto comunitario pone limiti alle competenze degli Stati membri anche in sede di applicazione di disposizioni nazionali  (137) . Dal primato del diritto comunitario deriva che i giudici del rinvio, nei procedimenti penali pendenti, devono osservare il diritto comunitario, nonché in particolare i precetti e i giudizi di valore del legislatore comunitario che emergono dalle direttive sul diritto societario  (138) .

167.   Un’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole prevista dal diritto nazionale non dovrebbe quindi mettere in pericolo l’applicazione effettiva e unitaria in tutti gli Stati membri delle direttive sul diritto societario. Essa non dovrebbe avere in alcun caso la conseguenza che per un comportamento punibile all’epoca dei fatti venga esclusa la pena retroattivamente in violazione dei precetti del diritto comunitario.

168.   Nemmeno le dichiarazioni della Corte nella sentenza Allain  (139) contrastano con la tesi qui esposta. Contrariamente al caso in esame, nella causa Allain il contesto fattuale e di diritto comunitario era successivamente mutato a favore dell’imputato. Analoghe sono la causa Awoyemi nonché la causa Skanavi e Chryssanthakopoulos, dove parimenti era nel frattempo mutato il diritto comunitario  (140) . Tali fattispecie non possono essere paragonate con un caso in cui, sul piano nazionale, è stata introdotta successivamente una normativa più favorevole per l’imputato macontrastante con il diritto comunitario.

4.     Risultato dell’analisi

169.   In conclusione va quindi dichiarato che il giudice di uno Stato membro è tenuto a dare applicazione ai precetti di una direttiva, senza adire preventivamente il giudice costituzionale nazionale, disapplicando una legge penale più favorevole adottata successivamente al reato, se e in quanto tale legge contrasti con la direttiva.

V – Conclusione

170.   Sulla base delle considerazioni che precedono propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sottopostele dal Tribunale di Milano e dalla Corte di appello di Lecce come segue:

1)
Il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, degli artt. 2, n. 3, e 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva del Consiglio 25 luglio 1978, 78/660/CEE, e dell’art. 10 CE impone agli Stati membri di adottare adeguate sanzioni non solo per l’ipotesi in cui i conti annuali non vengano pubblicati per nulla, ma anche per l’ipotesi in cui vengano pubblicati conti annuali aventi un falso contenuto.

2)
Ai sensi dell’art. 6 della prima direttiva, le sanzioni sono adeguate quando sono efficaci, proporzionate e dissuasive. A tale proposito va dato particolare rilievo non solo all’interesse dei soci e dei creditori, ma anche all’interesse di altri terzi e alla tutela del loro affidamento su una rappresentazione fedele della situazione patrimoniale, della situazione finanziaria nonché del risultato economico della società. Il problema, se una disposizione di diritto nazionale contenga una sanzione efficace, proporzionata e dissuasiva, dev’essere esaminato, in tutti i casi in cui sorge, tenendo conto del ruolo di detta norma nell’ordinamento giuridico complessivo, ivi compreso lo svolgimento della procedura e le peculiarità di quest’ultima dinanzi alle diverse autorità nazionali.

3)
È vero che il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art. 2, n. 3, nonché dell’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo cui è esclusa la punibilità delle false comunicazioni sociali, quando queste non alterino in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società o del gruppo di imprese, a meno che il fatto sia stato commesso intenzionalmente e con l’obiettivo di ingannare o di arricchirsi.

Tuttavia le medesime disposizioni ostano ad una normativa nazionale secondo cui la punibilità delle false comunicazioni sociali sia sempre esclusa – senza valutare complessivamente tutte le circostanze del caso concreto – quando le falsità o le omissioni determinano una variazione che non superi una determinata percentuale del valore corretto.

4)
Il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art 2, n. 3, nonché dell’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva osta ad una disciplina relativa alla prescrizione secondo la quale non sia prevedibile, o lo sia solo raramente, un’effettiva irrogazione delle sanzioni comminate.

5)
Il combinato disposto dell’art. 6, primo trattino, della prima direttiva e dell’art. 2, n. 3, nonché dell’art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva non osta ad una normativa nazionale secondo la quale le sanzioni con cui vengono tutelati gli interessi patrimoniali di determinate persone possono di regola essere irrogate solo su richiesta del danneggiato. Ciò presuppone tuttavia l’esistenza di un’ulteriore norma generale che, a tutela degli interessi dei terzi, preveda, anche indipendentemente da un eventuale danno patrimoniale, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, applicabili d’ufficio.

6)
Con esiti analoghi va interpretato anche il combinato disposto dell’art. 38, nn. 6 e 1, nonché dell’art. 16, n. 3, della settima direttiva del Consiglio 13 giugno 1983, 83/349/CEE, applicabile ai conti consolidati.

7)
Il giudice di uno Stato membro è tenuto a dare applicazione ai precetti di una direttiva, senza adire preventivamente il giudice costituzionale nazionale, disapplicando una legge penale più favorevole adottata successivamente al reato, se e in quanto tale legge contrasti con la direttiva.


1
Lingua originale: il tedesco.


2
GU L 65, pag. 8. L'art. 58 del Trattato CEE è divenuto l'art. 48 CE.


3
GU L 222, pag. 11. L'art. 54, n. 3, del Trattato CEE corrisponde all'art. 44, n. 2, CE.


4
V. art. 1 della prima direttiva e art. 1, n. 1, della quarta direttiva.


5
GU L 193, pag. 1. L'art. 54, n. 3, del Trattato CEE corrisponde all'art. 44, n. 2, CE.


6
La prima, la quarta e la settima direttiva sono state da ultimo modificate dall'allegato II, sezione 4, dell'Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l'Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 338). Le disposizioni rilevanti ai fini della presente domanda di pronuncia pregiudiziale erano tuttavia, salvo indicazioni contrarie in prosieguo, già contenute nella versione originaria della direttiva. Inoltre, nel caso in esame sono irrilevanti, ratione temporis, le modifiche apportate alla prima direttiva dall'art. 1 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 luglio 2003, 2003/58/CE (GU L 221, pag. 13).


7
Quarta direttiva nella versione di cui alla direttiva del Consiglio 8 novembre 1990, 90/605/CEE, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE relative rispettivamente ai conti annuali e ai conti consolidati per quanto riguarda il loro campo d'applicazione (GU L 317, pag. 60; in prosieguo: la «direttiva 90/605»).


8
Nota irrilevante ai fini della traduzione delle presenti conclusioni.


9
Il decreto legislativo è stato pubblicato nella GURI del 15 aprile 2002, n. 88, pag. 4. Si basa su una delega del Parlamento contenuta nell'art. 11 della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (GURI dell'8 ottobre 2001, n. 234).


10
Nota irrilevante ai fini della traduzione delle presenti conclusioni.


11
V. punto 42 dell'ordinanza di rinvio nella causa C‑391/02.


12
Così, ai punti 19 e 20 dell'ordinanza di rinvio della Corte d'appello di Lecce nella causa C‑391/02, con riferimento alla sentenza della Corte suprema di cassazione, Quinta Sezione, 20 febbraio 2001, n. 6889.


13
In tal senso si è espresso il Tribunale di Milano nella sua ordinanza di rinvio nella causa C‑403/02.


14
GURI del 19 giugno 2001, n. 140.


15
Il fatto che si tratti di sanzioni a carico delle società emerge dal titolo dell’art. 3 del d. lgs. n. 61/2002 nonché dal contesto generale del d. lgs. n. 231/2001, che disciplina la «responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica».


16
Nota irrilevante ai fini della traduzione delle presenti conclusioni.


17
Nelle cause principali non si tratta né di società quotate in borsa (all'epoca dei fatti), né di reati a danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.


18
Dette anche, nel linguaggio corrente, «fondi neri».


19
Come emerge dagli atti della causa principale nonché dalle dichiarazioni integrative dell'imputato Berlusconi, l'accusa si basa inoltre su altre ipotesi di reato, come l'originario art. 2640 del codice civile.


20
V. anche GU 2003, C 19, pag. 10.


21
Il risultato economico dell'anno di esercizio al lordo delle imposte non sarebbe stato modificato in misura superiore al 5% né il patrimonio netto in misura superiore all'1% (v. nuovo art. 2621, terzo comma, del codice civile).


22
Come è stato precisato dall'imputato Dell'Utri nelle sue osservazioni scritte, nel suo caso viene contestata un'irregolarità contabile nei bilanci della società Publitalia '80 SpA, concessionaria di pubblicità per il gruppo Fininvest, il cui presidente era il sig. Dell'Utri. L'accusa si basa, tra l'altro, sull'ipotizzata creazione di fondi neri («riserve occulte»).


23
Nota irrilevante ai fini della traduzione delle presenti conclusioni.


24
Nota irrilevante ai fini della traduzione delle presenti conclusioni.


25
Per semplicità, tale espressione verrà usata in prosieguo per indicare congiuntamente la prima, la quarta e la settima direttiva.


26
Sentenza 25 marzo 2004, cause riunite da C‑480/00 a C‑482/00, C‑484/00, C‑489/00, C‑490/00, C‑491/00 e da C‑497/00 a C‑499/00, Ribaldi (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 73); ordinanza 11 febbraio 2004, cause riunite C‑438/03, 439/03, C‑509/03 e C‑2/04, Cannito e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 6‑8, ove figurano ulteriori riferimenti), e sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C‑320/90 a C‑322/90, Telemarsicabruzzo e a. (Racc. pag. I‑393, punto 6).


27
V., per esempio, ordinanza Cannito (in particolare punti 9 e 10) e sentenza Telemarsicabruzzo (in particolare punti 8 e 9), entrambe cit. alla nota 26.


28
Ad esempio la dichiarazione di nullità della delibera di approvazione del bilancio di una società.


29
Oggetto di un controllo di costituzionalità potrebbe essere, secondo i giudici del rinvio, anche la questione se il d. lgs. n. 61/2002 sia incostituzionale per violazione, da parte del legislatore, degli obblighi derivanti all'Italia dal diritto comunitario.


30
V., a tal proposito, paragrafi 131 e segg. delle presenti conclusioni.


31
Per i particolari, v. paragrafi 132 e segg. delle presenti conclusioni.


32
Sentenze Ribaldi (cit. alla nota 26), punto 72; 7 gennaio 2003, causa C‑306/99, BIAO (Racc. pag. I‑1, punti 88 e 89); 13 marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I‑2099, punti 38 e 39), e 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman e a. (Racc. pag. I‑4921, punti 59-61).


33
Sentenza della Corte costituzionale 26 maggio/1ºgiugno 2004, n. 161.


34
L'art. 117, primo comma, della Costituzione italiana stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.


35
Ordinanza della Corte costituzionale 26 maggio/1ºgiugno 2004, n. 165.


36
Solo marginalmente va indicato che sinora la Corte ha sempre ritenuto ricevibili rinvii pregiudiziali in casi simili. V. sentenze 26 settembre 1996, causa C‑341/94, Allain (Racc. pag. I‑4631, punti 12 e 13); 25 giugno 1997, cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e C‑224/95, Tombesi e a. (Racc. pag. I‑3561, punti 39 e 40), e ordinanza 15 gennaio 2004, causa C‑235/02, Saetti e Frediani (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26). V., inoltre, quanto esposto ai paragrafi 25-27 delle conclusioni da me presentate il 10 giugno 2004 nella causa C‑457/02, Niselli (non ancora pubblicate nella Raccolta).


37
Per quanto riguarda la nozione e la composizione del conto annuale v. art. 2, n. 1, della quarta direttiva. La nozione di «conto annuale» verrà usata in prosieguo per ragioni di semplicità.


38
Così espressamente nella prima questione pregiudiziale, rispettivamente, nelle cause C‑387/02 e C‑403/02. L'ordinanza di rinvio nella causa C‑391/02, al suo punto 35, presuppone già che debbano essere adottate adeguate sanzioni anche nel caso di pubblicazione di conti annuali aventi un falso contenuto.


39
Una norma dal contenuto identico è prevista dall'art. 38, n. 6, della settima direttiva per i conti consolidati di gruppi di imprese.


40
V., ad esempio, sentenza 13 novembre 2003, causa C‑294/01, Granarolo (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 34, ove figurano ulteriori riferimenti).


41
V. anche a tal proposito sentenze BIAO (cit. alla nota 32), punti 72 e segg., e, inoltre, 14 settembre 1999, causa C‑275/97, DE+ES Bauunternehmung (Racc. pag. I‑5331, punti 26 e 27), e 27 giugno 1996, causa C‑234/94, Tomberger (Racc. pag. I‑3133, punto 17, rettificata con ordinanza della Corte 10 luglio 1997, non pubblicata nella Raccolta). Per i conti consolidati emerge lo stesso dal combinato disposto dell'art. 16, n. 3, e del quinto ‘considerando’ della settima direttiva.


42
Sentenze 4 dicembre 1997, causa C‑97/96, Daihatsu Deutschland (Racc. pag. I‑6843, punto 14), e 29 settembre 1998, causa C‑191/95, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑5449, punto 66).


43
L'art. 47, n. 1, primo comma, della quarta direttiva rinvia espressamente alla prima direttiva; viceversa, la prima direttiva annuncia già, all'art. 2, n. 1, lett. f), l'adozione di una direttiva per il coordinamento del contenuto del bilancio e del conto profitti e perdite, che è avvenuta con la quarta direttiva.


44
Sulla carente conoscenza dei terzi della situazione contabile e finanziaria della società v. anche sentenza Daihatsu Deutschland (cit. alla nota 42), punto 22. L'avvocato generale Cosmas sottolinea anche, al paragrafo 32 delle conclusioni da lui presentate il 5 giugno 1997 nella causa C‑191/95, Commissione/Germania (Racc. 1998, pag. I‑5449, in particolare pag. I‑5452), che l'obbligo di pubblicazione dei conti annuali «ha lo scopo di informare le persone che non conoscono sufficientemente bene la situazione e i progetti della società appunto perché possano, del pari, valutare se sia opportuno instaurare un qualsivoglia rapporto giuridico».


45
La rilevanza delle direttive adottate ai sensi dell'art. 44, n. 2, lett. g), CE per la realizzazione del mercato interno viene sottolineata anche dalla Corte nella sentenza Daihatsu Deutschland (cit. alla nota 42), punto 18; analogamente già sentenza 12 novembre 1974, causa 32/74, Haaga (Racc. pag. 1201, punto 6).


46
L'enorme rilevanza della correttezza dei bilanci, non solo per soci e creditori, ma anche per i mercati finanziari e per l'economia in generale, viene ad esempio sottolineata nella relazione, pubblicata a Bruxelles il 4 novembre 2002, di un gruppo di esperti di alto livello, incaricato dalla Commissione di adottare una raccomandazione relativa al diritto societario europeo: Relazione finale del Gruppo di esperti ad alto livello in diritto societario: «Un quadro normativo moderno per il diritto societario in Europa», pagg. 71 e segg., sezione 4.3, primo paragrafo; consultabile [non in italiano, N.d.T.] (20 luglio 2004) sul sito internet: http://europa.eu.int/comm/internal_market/de/company/company/modern/index.htm.


47
Analogamente – anche se solo con riferimento alle sanzioni per l'omessa pubblicazione dei conti annuali – l'avvocato generale Cosmas nelle conclusioni da lui presentate il 5 giugno 1997 nella causa C‑191/95 (cit. alla nota 44), paragrafo 30.


48
L'art. 47, n. 1 bis, della quarta direttiva è stato inserito mediante la direttiva 90/605.


49
Sentenza 16 dicembre 1997, causa C‑104/96, Rabobank (Racc. pag. I‑7211, in particolare punti 22-25).


50
Sentenza Rabobank (cit. alla nota 49), punti 25-27.


51
Giurisprudenza costante sin dalla sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia (Racc. pag. 2965, punto 23); v. anche sentenza Allain (cit. alla nota 36), punto 24, e sentenze 30 settembre 2003, causa C‑167/01, Inspire Art (Racc. pag. I‑10155, punto 62), e 15 gennaio 2004, causa C‑230/01, Penycoed (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).


52
V., in particolare, la seconda questione, rispettivamente, nelle cause C‑387/02 e C‑403/02, nonché la prima questione nella causa C‑391/02.


53
V., a tal proposito, in particolare la sesta questione pregiudiziale nella causa C‑391/02.


54
V., a tal proposito, la motivazione della seconda questione pregiudiziale, rispettivamente, nelle cause C‑387/02 e C‑403/02, nonché della prima questione pregiudiziale nella causa C‑391/02.


55
V., a tal proposito, la quinta e la sesta questione pregiudiziale nella causa C‑391/02 e la terza questione pregiudiziale nella causa C‑403/02.


56
V., a tal proposito, la terza questione pregiudiziale nella causa C‑387/02, nonché la seconda, la terza e la quarta questione pregiudiziale nella causa C‑391/02.


57
A questo mira, ad esempio, la prima parte della terza questione pregiudiziale nella causa C‑403/02.


58
Giurisprudenza costante; v., solo, sentenza Tombesi (cit. alla nota 36), punto 36, nonché sentenze 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger (Racc. pag. I‑8389, punto 43), 3 maggio 2001, causa C‑28/99, Verdonck e a. (Racc. pag. I‑3399, punto 28), e 15 dicembre 1993, causa C‑292/92, Hünermund e a. (Racc. pag. I‑6787, punto 8). Analogamente la sentenza Inspire Art (cit. alla nota 51), punto 63.


59
Giurisprudenza costante sin dalla sentenza Commissione/Grecia (cit. alla nota 51), punti 23 e 24. V. anche sentenze Allain (cit. alla nota 36), punto 24, e Inspire Art (cit. alla nota 51), punto 62.


60
V. il secondo ‘considerando’ della prima direttiva ed il primo ‘considerando’della quarta direttiva nonché quanto esposto ai paragrafi 72-75 delle presenti conclusioni.


61
Tale ultimo aspetto è sottolineato dall'avvocato generale Van Gerven al paragrafo 8 delle conclusioni da lui presentate il 5 dicembre 1989 nella causa C‑326/88, Hansen (Racc. 1990, pag. I‑2911, in particolare pag. I‑2911). Efficace, a suo avviso, «significa tra l'altro che gli Stati membri sono tenuti a cercare di raggiungere e a realizzare gli scopi delle disposizioni di diritto comunitario di cui trattasi».


62
V. solo sentenze 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Delena Wells (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 67, ove figurano ulteriori riferimenti), e 14 dicembre 1995, causa C‑312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I‑4599, punto 12).


63
V., ad esempio, sentenze 26 giugno 2003, causa C‑404/00, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑6695, punto 24); 16 luglio 1998, causa C‑298/96, Oelmühle Hamburg e Schmidt Söhne (Racc. pag. I‑4767, punto 24), e 21 settembre 1983, cause riunite 205/82‑215/82, Deutsche Milchkontor e a. (Racc. pag. 2633, punto 19).


64
Analogamente, l'avvocato generale Van Gerven nelle conclusioni da lui presentate il 5 dicembre 1989 nella causa Hansen (cit. alla nota 61), paragrafo 8 «I termini “dissuasive” e “proporzionali” significano che le sanzioni debbono essere sufficienti ma non sproporzionate quanto al loro rigore, alla luce degli scopi perseguiti».


65
Sentenza 18 ottobre 2001, causa C‑354/99, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑7657, punto 47), inoltre il paragrafo 27 delle conclusioni dell'avvocato generale Geelhoed presentate il 5 aprile 2001 (Racc. pag. I‑7660). V. anche sentenze 8 giugno 1994, causa C‑382/92, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑2435, punti 56-58), e causa C‑383/92, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. I‑2479, punti 41 e 42).


66
Per il principio di proporzionalità v., ad esempio, sentenze 13 luglio 2003, causa C‑220/01, Lennox (Racc. pag. I‑7091, punto 76); 12 marzo 2002, cause riunite C‑27/00 e C‑122/00, Omega Air e a. (Racc. pag. I‑2569, punto 62), e 11 luglio 1989, causa C‑265/87, Schräder (Racc. pag. 2237, punto 21). V. anche sentenza 23 gennaio 1997, causa C‑29/95, Pastoors e Trans-Cap (Racc. pag. I‑285, punti 24, ultima frase, e 25‑28).


67
In tal senso, per quanto riguarda la conformità di norme procedurali nazionali al principio di effettività, una giurisprudenza costante, v., ad esempio, sentenza Peterbroeck (cit. alla nota 62), punto 14, nonché sentenze 10 aprile 2003, causa C‑267/01, Steffensen (Racc. pag. I‑3735, punto 66); 27 febbraio 2003, causa C‑327/00, Santex (Racc. pag. I‑1877, punto 56), e 21 novembre 2002, causa C‑473/00, Cofidis (Racc. pag. I‑10875, punto 37).


68
V. a tal proposito anche la giurisprudenza cit. alla nota 41.


69
L'art. 16 della settima direttiva contiene disposizioni corrispondenti per i conti consolidati.


70
SEC Staff Accounting Bulletin N. 99, 17 CFR Parte 211 (Comunicato N. SAB 99), del 12 agosto 1999, consultabile (13 luglio 2004) sul sito Internet <www.sec.gov/interps/account/sab99.htm >. L'amministrazione della SEC sostiene quanto segue: «Exclusive reliance on certain quantitative benchmarks to assess materiality in preparing financial statements and performing audits of those financial statements is inappropriate; misstatements are not immaterial simply because they fall beneath a numerical threshold» (È inopportuno fare esclusivo affidamento su determinati livelli di riferimento quantitativi per valutare la rilevanza giuridica di fatti concernenti la predisposizione di rendiconti finanziari o la revisione contabile dei medesimi; le dichiarazioni inesatte non sono irrilevanti solo perché non superano una soglia numerica). Come criterio fra i tanti per valutare se uno scostamento quantitativamente minimo sia tuttavia qualitativamente rilevante viene ivi indicato anche: «Whether the misstatement involves concealment of an unlawful transaction» (Se la dichiarazione inesatta implichi la dissimulazione di un negozio illecito). Anche l'intenzionalità di una dichiarazione inesatta può rilevare ai fini della sua valutazione: «In certain circumstances, intentional immaterial misstatements are unlawful» (In determinate circostanze, dichiarazioni inesatte intenzionali e di scarso rilievo sono illecite).


71
In tal senso invece l'imputato Berlusconi nelle sue osservazioni scritte.


72
Regolamento (CE) della Commissione 12 gennaio 2001, n. 69, relativo all'applicazione degli articoli 87 [CE] e 88 [CE] agli aiuti d'importanza minore («de minimis») (GU L 10, pag. 30).


73
V. il quinto e il settimo タリconsiderando’ del regolamento di esenzione per categoria (cit. alla nota 72).


74
V. punto 11 della comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell'articolo 81, paragrafo 1, del trattato che istituisce la Comunità europea (de minimis) (GU 2003, C 368, pag. 13).


75
Per fare un confronto: per l'originario art. 2621 del codice civile era applicabile un termine di prescrizione di dieci anni; in caso di interruzione di tale termine la prescrizione interveniva al massimo dopo un periodo complessivo di quindici anni (v., ad esempio, punto 42 dell'ordinanza di rinvio nella causa C‑391/02).


76
Sentenza 24 giugno 2004, causa C‑278/02, Handlbauer (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 40), rettificata con ordinanza della Corte 14 luglio 2004 (non ancora pubblicata nella Raccolta).


77
Art. 3 del regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 2988/95»).


78
Artt. 25 e 26 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 19). Una disciplina relativa a termini simili alla prescrizione si trova anche all'art. 15 del regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999, n. 659, recante modalità di applicazione dell'articolo 93 (…) CE (GU L 83, pag. 1). Va sottolineato però che i termini di cui all'art. 25, n. 6, del regolamento n. 1/2003 ed all'art. 15, n. 2, quarta frase, del regolamento n. 659/1999 sono entrambi sospesi finché è pendente un procedimento giudiziario.


79
Osservazioni simili valgono anche in altri contesti, in particolare nella giurisprudenza relativa all'applicabilità di alcuni termini procedurali del diritto nazionale a fattispecie aventi una relazione con il diritto comunitario. In tale ambito la Corte ammette, in via di principio, la fissazione di termini (di decadenza), ma tali termini, secondo il principio di effettività, non possono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'attuazione del diritto comunitario; v., in proposito, sentenze 15 settembre 1998, causa C‑231/96, Edis (Racc. pag. I‑4951, punti 34 e 35), e 17 giugno 2004, causa C‑30/02, Recheio-Cash & Carry (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 17 e 18).


80
V. anche paragrafi 88 e 89 delle presenti conclusioni.


81
Nel caso in cui i giudici del rinvio si vogliano basare anche su statistiche per valutare la disciplina italiana in materia di prescrizioni, come proposto dall'imputato Berlusconi, sarebbe sensato assicurarsi che tali statistiche siano significative, cioè che si riferiscano specificamente alle fattispecie di reato qui esaminate e consentano un paragone tra gli effetti della prescrizione secondo la precedente e la nuova normativa.


82
Sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950.


83
GU 2000, C 364, pag. 1. Anche se tale Carta non produce ancora effetti giuridici vincolanti paragonabili al diritto primario, essa, in quanto fonte di cognizione del diritto, dà perlomeno indicazioni sui diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario; in tal senso anche il paragrafo 51 delle conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro presentate il 29 giugno 2004 nella causa C‑181/03 P, Tardone (non ancora pubblicate nella Raccolta); paragrafo 126 delle conclusioni dell'avvocato generale Mischo presentate il 20 settembre 2001 nelle cause riunite C‑20/00 e C‑64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood (Racc. 2003, pag. 7411, in particolare pag. I‑7415); paragrafo 28 delle conclusioni dell'avvocato generale Tizzano presentate l'8 febbraio 2001 nella causa C‑173/99, BECTU (Racc. 2001, pag. I‑4881, in particolare pag. I‑4883), nonché paragrafi 82 e 83 delle conclusioni dell'avvocato generale Léger presentate il 10 luglio 2001 nella causa C‑353/99 P, Hautala (Racc. 2001, pag. I‑9565, in particolare pag. I‑9567).


84
Sentenze 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe (Racc. pag. I‑8147, in particolare punti 21, 29 e 47), e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, C‑250/99 P, C‑251/99 P, C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a. (Racc. pag. 8375, in particolare punto 187).


85
Sentenza (cit. alla nota 42), punto 23; v. anche sentenza Commissione/Germania (cit. alla nota 42), punto 67, e ordinanza 23 settembre 2004, cause riunite C‑435/02 e C‑103/03, Springer e Weske (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 28-35).


86
Paragrafi 67-81 delle presenti conclusioni.


87
V., a tal proposito, paragrafi 93-104 e 106-111 delle presenti conclusioni.


88
In tale contesto gli imputati Berlusconi e Dell'Utri menzionano, a titolo di esempio, gli artt. 2393-2395 del codice civile.


89
In tale contesto gli imputati Berlusconi e Dell'Utri rinviano, a titolo di esempio, all'art. 2379 e al nuovo art. 2434 bis del codice civile.


90
In tale contesto viene da più parti fatto rinvio al nuovo art. 25 ter del d. lgs. n. 231/2001 (introdotto mediante il d. lgs. n. 61/2002).


91
In tale contesto viene fatto segnatamente riferimento al nuovo art. 2630 del codice civile.


92
In tale contesto, gli imputati Berlusconi e Dell’Utri fanno rinvio, a titolo di esempio, tra l'altro, agli artt. 2409 bis‑2409 septies del codice civile, introdotti dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (GURI del 22 gennaio 2003, n. 17).


93
V. paragrafi 85-87 delle presenti conclusioni.


94
Sentenza 2 ottobre 1991, causa C‑7/90, Vandevenne e a. (Racc. pag. I‑4371, punto 17), e paragrafo 8 delle conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven presentate il 19 febbraio 1991. Analogamente sentenza 12 settembre 1996, cause riunite C‑58/95, C‑75/95, C‑112/95, C‑119/95, C‑123/95, C‑135/95, C‑140/95, C‑141/95, C‑154/95 e C‑157/95, Gallotti e a. (Racc. pag. I‑4345, punti 14 e 15).


95
V., in tal senso, ad esempio la sentenza Inspire Art (cit. alla nota 51), punti 62 e 63. V. anche paragrafo 91 delle presenti conclusioni.


96
V., a tal proposito, paragrafi 115-117 delle presenti conclusioni, con riferimenti alle sentenze Daihatsu Deutschland e Commissione/Germania (entrambe cit. alla nota 42).


97
Gli imputati Berlusconi e Dell'Utri, ad esempio, effettuano tali riferimenti nelle loro osservazioni scritte. La Procura generale presso la Corte di appello di Lecce invece sottolinea, nelle sue osservazioni scritte, che ad esempio in società quotate in borsa non tutti i terzi possono chiedere una tale dichiarazione di nullità. Anche gli imputati Berlusconi e Dell'Utri, nelle loro memorie, menzionano talune limitazioni del diritto d'impugnazione dei terzi (v. ad esempio art. 2434 bis del codice civile).


98
Come sottolineato dall'avvocato generale Cosmas nelle conclusioni da lui presentate il 5 luglio 1997 nella causa C‑191/95 (cit. alla nota 44), paragrafo 33, le persone legittimate non sempre hanno interesse ad avviare il relativo procedimento.


99
Nella versione di cui al d. lgs. n. 61/2002. Sia l'imputato Berlusconi sia l'imputato Dell'Utri rinviano espressamente a questa disposizione.


100
V. anche artt. 5 e 6 del d. lgs. n. 231/2001.


101
Paragrafi 67-81 delle presenti conclusioni.


102
V., a tal proposito, art. 51 della quarta direttiva e art. 37 della settima direttiva. V., inoltre, artt. 23-27 dell'ottava direttiva del Consiglio 10 aprile 1984, 84/253/CEE, basata sull'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato, relativa all'abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili (GU L 126, pag. 20, modificata da ultimo dall’allegato XXII all'Accordo sullo Spazio economico europeo, GU 1994, L 1, pag. 517). L'art. 54, n. 3, del Trattato CEE corrisponde all'art. 44, n. 2, CE.


103
[Nella versione tedesca: «Maßregeln»] Ancora più chiara rispetto alla versione tedesca è, ad esempio, l'espressione «sanctions appropriées» nella versione francese, [la versione italiana], «sanciones apropiadas» in quella spagnola, «sanções apropriadas» nella versione portoghese, «passende sancties» nella versione olandese e «appropriate penalties» nella versione inglese.


104
In udienza, ad esempio, la Procura generale di Lecce ha sottolineato che l'interdizione dagli uffici direttivi per gli amministratori di imprese può essere irrogata solo in relazione ad un delitto.


105
V. per lo stesso problema le conclusioni da me presentate nella causa Niselli (cit. alla nota 36), paragrafi 52-75.


106
Si basano, a tal riguardo, sull'art. 3 della Costituzione italiana (principio della parità di trattamento) nonché sugli artt. 11 e 117 della Costituzione italiana (obblighi internazionali, in particolare comunitari, dell'Italia); v. al riguardo anche nota 34.


107
Giurisprudenza costante sin dalla sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa/ENEL (Racc. pag. 1129, in particolare pag. 1145).


108
Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato/Simmenthal (Racc. pag. 629, punti 21-23). V. anche sentenze 19 giugno 1990, causa C‑213/89, Factortame (Racc. pag. I‑2433, punto 20), e 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I‑5357, punto 32).


109
Sentenza Simmenthal (cit. alla nota 108), punto 24; il corsivo è mio. V. anche sentenze 8 giugno 2000, causa C‑258/98, Carra e a. (Racc. pag. I‑4217, punto 16), e 18 settembre 2003, causa C‑416/00, Morellato (Racc. pag. I‑9343, punti 43 e 44).


110
Sentenza 24 giugno 1969, causa 29/68, Milch-, Fett- und Eierkontor/Hauptzollamt Saarbrücken (Racc. pag. 165, punti 2 e 3). V. anche sentenza 3 febbraio 1977, causa 52/76, Benedetti/Munari (Racc. pag. 163, punti 26 e 27), e ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wünsche III (Racc. pag. 947, punti 13-15); analogamente il parere14 dicembre 1991, 1/91, SEE I (Racc. pag. I‑6079, punto 61).


111
Sentenze 27 marzo 1980, causa 61/79, Denkavit italiana (Racc. pag. 1205, punti 16 e 17), e cause riunite 66/79, 127/79 e 128/79, Meridionale Industria Salumi e a. (Racc. pag. 1237, punto 9), nonché 22 ottobre 1998, cause riunite da C‑10/97 a C‑22/97, IN.CO.GE. '90 e a. (Racc. pag. I‑6307, punto 23), e 13 gennaio 2004, causa C‑453/00, Kühne & Heitz (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 21).


112
Sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X (Racc. pag. 2545, punto 20); 26 settembre 1996, causa C‑168/95, Arcaro (Racc. pag. I‑4705, punto 36), e 7 gennaio 2004, causa C‑60/02, X (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 61).


113
Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer presentate il 18 giugno 1996 nelle cause riunite C‑74/95 e C‑129/95, X (Racc. pag. I‑6609, in particolare pag. I‑6612, paragrafo 43). Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs presentate nelle cause riunite C‑304/94, C‑330/94, C‑342/94 e C‑224/95, Tombesi e a. (Racc. 1997, pag. I‑3564, paragrafo 37).


114
Aperto alla firma il 19 dicembre 1966 (UN Treaty Series, vol. 999, pag. 171).


115
V., a tal proposito, sentenza della Corte 12 dicembre 1996, cause riunite C‑74/95 e C‑129/95, X (Racc. pag. I‑6609, punto 25) con riferimento alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo 25 maggio 1993, Kokkinakis (Serie A, n. 260-A, § 52), e 22 novembre 1995, S. W./Regno Unito e C. R./Regno Unito (serie A, nn. 335-B, § 35 e 335-C, § 33). V. inoltre sentenza della Corte 10 luglio 1984, causa 63/83, Kirk (Racc. pag. 2689, punto 22).


116
V. a tal proposito, in particolare, la sentenza nelle cause riunite C‑74/95 e C‑129/95 (cit. alla nota 115), punti 24 e 25, e inoltre sentenza 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 13), e la sentenza Arcaro (cit. alla nota 112), punto 42.


117
Sentenze Pretore di Salò (cit. alla nota 112), punto 19, Arcaro (cit. alla nota 112), punto 36, e Daihatsu Deutschland (cit. alla nota 42), punto 24, ciascuna facente riferimento alla sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48). V. inoltre sentenza Tombesi (cit. alla nota 36), punto 42, e sentenza nelle cause riunite C‑74/95 e C‑129/95 (cit. alla nota 115), punto 23.


118
Conclusioni presentate il 6 maggio 2003 nelle cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01 (non ancora pubblicate nella Raccolta). Poiché secondo la Corte in tal modo è stata sollevata la questione fondamentale dell'efficacia diretta delle direttive tra soggetti, essa ha rinviato la causa alla Grande Sezione e ha riaperto la trattazione orale. Nelle sue seconde conclusioni, presentate il 27 aprile 2004, l'avvocato generale ha confermato la sua posizione.


119
Paragrafo 38 delle (seconde) conclusioni presentate il 27 aprile 2004 nelle cause riunite da C‑397/01 a C‑403/01 (Pfeiffer).


120
V. a tal proposito i riferimenti di cui alla nota 112.


121
Sentenze 18 dicembre 1997, causa C‑126/96, Inter-Environment Wallonie (Racc. pag. I‑7411, punto 45); 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL (Racc. pag. I‑4431, punto 58), e 5 febbraio 2004, causa C‑157/02, Rieser (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 66).


122
V., a tal proposito, i successivi paragrafi 154 e segg. delle presenti conclusioni.


123
Cit. alla nota 36, punto 43. V. inoltre l'ordinanza Saetti (cit. alla nota 36), punto 26.


124
Cit. alla nota 36.


125
Quanto alla paragonabilità della presente fattispecie con le cause Tombesi e Niselli è inoltre irrilevante se il d. lgs. n. 61/2002 abbia l'effetto di una (parziale) «abolitio criminis» come sostiene l'imputato Dell'Utri, o se vi sia una «continuità normativa» tra la precedente e la nuova fattispecie di reato, come esposto dal Tribunale di Milano nella sua ordinanza di rinvio nella causa C‑403/02 e dal governo italiano nelle sue memorie. L'elemento decisivo è che in tutti questi casi, a seguito di una modifica legislativa, determinati atti, precedentemente (e al momento della loro commissione) soggetti a pena, diventano non punibili. La disputa tra l'«abolitio criminis» e la «continuità normativa» è puramente accademica.


126
V. sentenza Delena Wells (cit. alla nota 62), punto 57, e le conclusioni da me presentate il 29 gennaio 2004 nella causa C‑127/02, Landelijke Vereniging tot Behoud van de Waddenzee e a. (non ancora pubblicate nella Raccolta, paragrafi 146 e segg.).


127
V. sentenza Allain (punto 12), l'ordinanza Saetti e Frediani (punto 26) e la sentenza Tombesi (punti 42 e 43), tutte citate alla nota 36. Analogamente anche sentenze 23 febbraio 1995, cause riunite C‑358/93 e C‑416/93, Bordessa e a. (Racc. pag. I‑361, punto 9); 14 dicembre 1995, cause riunite C‑163/94, C‑165/94 e C‑250/94, Sanz de Lera e a. (Racc. pag. I‑4821, punto 14); 29 febbraio 1996, causa C‑193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos (Racc. pag. I‑929, punto 17), e 29 ottobre 1998, causa C‑230/97, Awoyemi (Racc. pag. I‑6781, punto 38). V., inoltre, le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs presentate nella causa Tombesi (cit. alla nota 113), paragrafo 35.


128
Sentenza cit. alla nota 36.


129
In Italia, ad esempio, tale principio è contenuto nell'art. 2, terzo comma, del codice penale, in Germania nell'art. 2, n. 3, dello Strafgesetzbuch (codice penale tedesco). Tale principio non viene invece riconosciuto, a quanto risulta, solo in Irlanda e nel Regno Unito.


130
V. ad esempio art. 15, n. 1, terza frase, del Patto internazionale sui diritti civili e politici.


131
V. art. 2, n. 2, del regolamento n. 2988/95; inoltre sentenza 1º luglio 2004, causa C‑295/02, Gerken (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 52‑58).


132
La questione se si tratti di un principio di diritto comunitario è già stata messa in discussione dall'avvocato generale Fennelly nelle conclusioni da lui presentate il 7 marzo 1996 nella causa C‑341/94, Allain (Racc. 1996, pag. I‑4633, paragrafo 43), ma alla fine non è stata risolta. L'avvocato generale Léger, nelle conclusioni da lui presentate il 16 luglio 1998 nella causa C‑230/97, Awoyemi (Racc. 1998, pag. I‑6784, paragrafi 31 e 32), l'ha risolta in senso negativo, facendo riferimento alla giurisprudenza precedente.


133
Sull'obbligo di osservare i principi generali del diritto comunitario v., ad esempio, sentenza 26 ottobre 1995, causa C‑36/94, Siesse (Racc. pag. I‑3573, punto 21).


134
In Italia, ad esempio, l'applicazione retroattiva della legge penale più favorevole è esclusa quando sia già stata pronunciata una sentenza irrevocabile o in caso di leggi eccezionali o temporanee (art. 2, terzo e quarto comma, del codice penale). La Commissione rinvia inoltre alla sentenza della Corte costituzionale italiana 19/22 febbraio 1985, n. 51, secondo cui il principio dell'applicazione retroattiva della legge penale più favorevole non vale per un decreto legge che, dopo la sua adozione, non è stato convertito in legge dal Parlamento e quindi ha perso efficacia retroattivamente; v. a tal proposito art. 77, terzo comma, della Costituzione italiana.


135
Diverso sarebbe nel caso opposto, quando la legge penale in vigore all'epoca dei fatti era quella più favorevole o se all'epoca dei fatti la punibilità era del tutto esclusa. In questo caso non si tratterebbe solo di una deroga al principio della legalità della pena, fondamentale per lo Stato di diritto, ma semplicemente della sua applicazione. In tale situazione la legge penale più favorevole o l'impunità devono essere fatti valere anche qualora il contesto normativo in vigore all'epoca dei fatti fosse in contrasto con il diritto comunitario.


136
Paragrafi 156 e 157 delle presenti conclusioni.


137
Nel campo del diritto penale e della procedura penale tale pensiero trova espressione, ad esempio, nelle sentenze 2 febbraio 1989, causa 186/87, Cowan (Racc. pag. 195, punto 19), e 24 novembre 1998, causa C‑274/96, Bickel e Franz (Racc. pag. I‑7637, punto 17).


138
Sull'obbligo di garantire la validità e l'efficacia pratica del diritto comunitario, v. anche paragrafi 88 e 134-136 delle presenti conclusioni.


139
Cit. alla nota 36.


140
Sentenze cit. alla nota 127.