Language of document : ECLI:EU:C:2018:295

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

2 maggio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Tutela degli interessi finanziari dell’Unione – Articolo 4, paragrafo 3, TUE – Articolo 325, paragrafo 1, TFUE – Direttiva 2006/112/CE – Convenzione TIF – Sanzioni – Principi di equivalenza e di effettività – Omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale – Normativa nazionale che prevede una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una determinata soglia di rilevanza penale – Normativa nazionale che prevede una soglia di rilevanza penale inferiore per l’omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi»

Nella causa C‑574/15,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Varese (Italia), con ordinanza del 30 ottobre 2015, pervenuta in cancelleria il 9 novembre 2015, nel procedimento penale nei confronti di

Mauro Scialdone,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, L. Bay Larsen, T. von Danwitz, J.L. da Cruz Vilaça (relatore), A. Rosas, C.G. Fernlund e C. Vajda, presidenti di sezione, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby, M. Berger, E. Jarašiūnas, M. Vilaras ed E. Regan, giudici,

avvocato generale: M. Bobek

cancelliere: R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 marzo 2017,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Galluzzo e E. De Bonis, avvocati dello Stato;

–        per il governo tedesco, da T. Henze e J. Möller, in qualità di agenti;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da M.K. Bulterman, B. Koopman e L. Noort, in qualità di agenti;

–        per il governo austriaco, da G. Eberhard, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da E. Traversa, P. Rossi e C. Cattabriga, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 luglio 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA») e della convenzione elaborata in base all’articolo K.3 del Trattato sull’Unione europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995 (GU 1995, C 316, pag. 49; in prosieguo: la «convenzione TIF»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato nei confronti del sig. Mauro Scialdone per aver omesso, nella sua veste di amministratore unico della società Siderlaghi Srl, di versare, entro i termini prescritti dalla legge, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) risultante dalla dichiarazione annuale di tale società per l’esercizio fiscale 2012.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 La convenzione TIF

3        L’articolo 1 della convenzione TIF, intitolato «Disposizioni generali», al suo paragrafo 1, così dispone:

«Ai fini della presente convenzione costituisce frode che lede gli interessi finanziari [dell’Unione]:

(...)

b)      in materia di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:

–        all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale [dell’Unione] o dei bilanci gestiti [dall’Unione] o per conto di ess[a],

–        alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico cui consegua lo stesso effetto,

–        alla distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto».

4        L’articolo 2 della convenzione in parola, intitolato «Sanzioni», al suo paragrafo 1, prevede quanto segue:

«Ogni Stato membro prende le misure necessarie affinché le condotte di cui all’articolo 1 nonché la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condotte descritte all’articolo 1, paragrafo 1 siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno nei casi di frode grave, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione, rimanendo inteso che dev’essere considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non può essere superiore a [EUR] 50 000».

 La direttiva IVA

5        L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva IVA determina le operazioni soggette all’IVA.

6        L’articolo 206 della direttiva in parola così dispone:

«Ogni soggetto passivo che è debitore dell’imposta deve pagare l’importo netto dell’IVA al momento della presentazione della dichiarazione IVA prevista all’articolo 250. Gli Stati membri possono tuttavia stabilire un’altra scadenza per il pagamento di questo importo o riscuotere acconti provvisori».

7        A norma dell’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva citata:

«Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare, compresi, nella misura in cui sia necessario per la determinazione della base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali detrazioni, nonché l’importo delle operazioni esenti».

8        L’articolo 273 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

(...)».

 Diritto italiano

9        L’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471, recante riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Supplemento ordinario alla GURI n. 5 dell’8 gennaio 1998; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 471/97»), è del seguente tenore:

«Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile (...)».

10      L’articolo 10 bis, intitolato «Omesso versamento di ritenute dovute o certificate», del decreto legislativo del 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (GURI n. 76, del 31 marzo 2000, pag. 4; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 74/2000»), nella sua versione in vigore al momento in cui sono stati commessi i fatti in esame nel procedimento principale e fino al 21 ottobre 2015 incluso, così disponeva:

«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».

11      Nello stesso periodo, l’articolo 10 ter del decreto legislativo in parola, intitolato «Omesso versamento di IVA», recitava quanto segue:

«La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’[IVA], dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo».

12      L’articolo 13 del decreto legislativo di cui trattasi, intitolato «Circostanza attenuante. Pagamento del debito tributario», al suo comma 1, prevedeva quanto segue:

«Le pene previste per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino ad un terzo (...) se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti (...)».

13      Il decreto legislativo n. 74/2000 è stato modificato dal decreto legislativo del 24 settembre 2015, n. 158, recante revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Supplemento ordinario alla GURI n. 233, del 7 ottobre 2015; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 158/2015»), con effetto dal 22 ottobre 2015.

14      Da tale data, l’articolo 10 bis del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, così dispone:

«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».

15      L’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, prevede quanto segue:

«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’[IVA] dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta».

16      L’articolo 13 del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, intitolato «Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario», è formulato nei seguenti termini:

«1.      I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter (…), non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

(...)

3.      Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

17      L’Agenzia delle Entrate ha effettuato un accertamento fiscale presso la Siderlaghi. Da tale accertamento è emerso che detta società non aveva versato, entro i termini prescritti dalla legge, l’IVA risultante dalla sua dichiarazione annuale per l’esercizio fiscale 2012, per un importo di EUR 175 272. L’amministrazione tributaria ha notificato tale irregolarità alla Siderlaghi e l’ha invitata a regolarizzare la sua situazione, pagando l’imposta dovuta, gli interessi di mora e, a norma dell’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, una multa pari al 30% del suo debito tributario. Poiché detta società si è impegnata a corrispondere l’IVA non versata mediante rateizzazione entro un termine di 30 giorni dalla suddetta notifica, essa ha beneficiato di una riduzione di due terzi della multa prevista.

18      Peraltro, il 29 maggio 2015, la Procura della Repubblica (Italia) ha adito il giudice del rinvio, il Tribunale di Varese (Italia), con una domanda diretta alla condanna del sig. Scialdone ad una multa di importo pari a EUR 22 500. Tale domanda era basata sulla circostanza che l’omesso versamento dell’IVA di cui trattasi integrava il reato previsto e punito dagli articoli 10 bis e 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000 nei limiti in cui, in particolare, l’importo IVA non versato superava la soglia di rilevanza penale pari a EUR 50 000, a partire dalla quale una siffatta omissione era passibile della sanzione prevista dalle suddette disposizioni, nonché sulla circostanza che tale reato era imputabile al sig. Scialdone, nella sua qualità di amministratore unico della Siderlaghi.

19      Il 22 ottobre 2015 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 158/2015. Il giudice del rinvio rileva che le modifiche apportate da tale testo al decreto legislativo n. 74/2000 si applicano retroattivamente ai fatti contestati al sig. Scialdone, in quanto norme più favorevoli. Di conseguenza, i fatti in esame non costituiscono più reato poiché l’articolo 10 ter di quest’ultimo decreto legislativo, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, prevede ora una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000 per l’omesso versamento dell’IVA e il debito tributario della Siderlaghi è di importo inferiore a detta nuova soglia. Peraltro, il sig. Scialdone potrebbe beneficiare della causa di non punibilità ora contenuta nell’articolo 13 del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, in quanto la Siderlaghi e l’amministrazione tributaria hanno convenuto un pagamento rateizzato dell’IVA dovuta, della multa irrogata e degli interessi di mora.

20      Il giudice del rinvio si interroga tuttavia sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle modifiche apportate alla normativa italiana dal decreto legislativo n. 158/2015, soprattutto in quanto, qualora dette modifiche non dovessero essere conformi al diritto di cui trattasi, tale giudice riterrebbe di doverle disapplicare e di riprendere la versione iniziale del decreto legislativo n. 74/2000, sicché il sig. Scialdone sarebbe ancora passibile di sanzione penale.

21      A tal riguardo, da un lato, il giudice del rinvio rileva che, nella vigenza degli articoli 10 bis e 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, nella sua versione iniziale, la stessa soglia di rilevanza penale pari a EUR 50 000 si applicava indistintamente all’omesso versamento di ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi e all’omesso versamento dell’IVA. Per contro, dalla modifica del decreto legislativo n. 74/2000 per effetto del decreto legislativo n. 158/2015, tale soglia è pari a EUR 150 000 per l’omesso versamento di dette ritenute, conformemente al nuovo articolo 10 bis, e a EUR 250 000 in materia di omesso versamento dell’IVA dichiarata, conformemente al nuovo articolo 10 ter. Orbene, tale giudice dubita che siffatta differenza sia compatibile con gli obblighi derivanti dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE e dall’articolo 325 TFUE nonché dalla direttiva IVA, comportando, a suo giudizio, una maggiore tutela degli interessi finanziari nazionali rispetto a quelli dell’Unione europea.

22      Dall’altro, detto giudice desume dalle disposizioni di cui trattasi e dalla convenzione TIF che gli Stati membri potrebbero essere tenuti a sanzionare gli omessi versamenti dell’IVA, come quelli in esame nel procedimento principale, con pene privative della libertà qualora l’importo non versato sia superiore a EUR 50 000. Se così fosse, l’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, non sarebbe conforme al diritto dell’Unione nei limiti in cui la sanzione prevista da tale articolo è applicabile solo alle omissioni riguardanti un importo superiore o pari a EUR 250 000. Per motivi analoghi, lo stesso giudice dubita che una causa di non punibilità del tipo di quella prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, sia compatibile con il diritto dell’Unione.

23      Ciò premesso, il Tribunale di Varese ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto [dell’articolo] 4, paragrafo 3, TUE, [dell’articolo] 325 TFUE e [della] direttiva [IVA] che prevedono l’obbligo di assimilazione in capo agli Stati membri per quanto riguarda le politiche sanzionatorie, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norma nazionale che preveda che la rilevanza penale dell’omesso versamento dell’IVA consegua al superamento di una soglia pecuniaria più elevata rispetto a quella stabilita in relazione all’omesso versamento dell’imposta diretta sui redditi[.]

2)      [S]e il diritto europeo, e in particolar modo il combinato disposto [dell’articolo] 4, paragrafo 3, TUE, [dell’articolo] 325 TFUE e [della] direttiva [IVA] che impongono l’obbligo a carico degli Stati membri di prevedere sanzioni effettive, dissuasive e proporzionate a tutela degli interessi finanziari della UE, possa essere interpretato nel senso che osti alla promulgazione di una norma nazionale che escluda la punibilità dell’imputato (sia esso amministratore, rappresentante legale, delegato a svolgere funzioni di rilevanza tributaria ovvero concorrente nell’illecito), qualora l’ente dotato di personalità giuridica ad esso riconducibile abbia provveduto al pagamento tardivo dell’imposta e delle sanzioni amministrative dovute a titolo di IVA, nonostante l’accertamento fiscale sia già intervenuto e si sia provveduto all’esercizio dell’azione penale, al rinvio a giudizio, all’accertamento della rituale instaurazione del contraddittorio in sede di processo e fin tanto che non si è proceduto alla dichiarazione di apertura del dibattimento, in un sistema che non commina a carico del predetto amministratore, rappresentante legale ovvero al loro delegato e concorrente nell’illecito alcuna altra sanzione, neppure a titolo amministrativo[.]

3)      [S]e la nozione di illecito fraudolento disciplinata all’articolo 1 della Convenzione [T]IF vada interpretata nel senso di ritenere incluso nel concetto anche l’ipotesi di omesso, parziale, tardivo versamento dell’imposta sul valore aggiunto e, conseguentemente, se l’articolo 2 della convenzione summenzionata imponga allo Stato membro di sanzionare con pene detentive l’omesso, parziale, tardivo versamento dell’IVA per importi superiori a 50 000,00 euro.

In caso di risposta negativa, occorre chiedersi se la prescrizione dell’articolo 325 TFUE, che obbliga gli Stati membri a comminare sanzioni, anche penali, dissuasive, proporzionate ed effettive, vada interpretata nel senso che osti ad un assetto normativo nazionale che esenta da responsabilità penale e amministrativa gli amministratori e i rappresentanti legali delle persone giuridiche, ovvero i loro delegati per la funzione e i concorrenti nell’illecito, per l’omesso, parziale, ritardato versamento di IVA in relazione ad importi corrispondenti a 3 o 5 volte le soglie minime stabilite in caso di frode, pari a 50 000,00 euro».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulle questioni prima e terza

 Osservazioni preliminari

24      Con le sue questioni prima e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’articolo 325 TFUE, la direttiva IVA nonché la convenzione TIF, osti ad una normativa nazionale che, da un lato, prevede che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000 e, dall’altro, preveda una soglia di rilevanza penale pari a EUR 150 000 per il reato di omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi.

25      A tal riguardo, va ricordato che la direttiva IVA non armonizza le sanzioni applicabili in materia di IVA. Tale ambito, in linea di principio, ricade nella competenza degli Stati membri.

26      Ciò posto, deriva anzitutto dagli articoli 2 e 273 della direttiva IVA, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, che questi hanno l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire la riscossione integrale dell’IVA dovuta nel loro territorio e a lottare contro la frode (sentenza del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

27      L’articolo 325, paragrafo 1, TFUE impone poi agli Stati membri di lottare contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea mediante misure effettive e dissuasive. Orbene, gli interessi finanziari dell’Unione comprendono, segnatamente, le entrate provenienti dall’IVA (sentenza del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

28      Infine, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, pur conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono provvedere affinché le violazioni del diritto dell’Unione, ivi comprese le norme armonizzate derivanti dalla direttiva IVA, siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo (v., in tal senso, sentenze del 21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88, EU:C:1989:339, punto 24; dell’8 luglio 1999, Nunes e de Matos, C‑186/98, EU:C:1999:376, punto 10, nonché del 3 maggio 2005, Berlusconi e a., C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punto 65).

29      Da tutti i rilievi che precedono emerge che, sebbene le sanzioni che gli Stati membri pongono in essere per lottare contro le violazioni delle norme armonizzate in materia di IVA rientrino nella loro autonomia procedurale e istituzionale, quest’ultima è tuttavia limitata, oltre che dal principio di proporzionalità, la cui applicazione non è in discussione nel caso di specie, da un lato, dal principio di equivalenza, il quale implica che tali sanzioni siano analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza e lesive degli interessi finanziari nazionali e, dall’altro, dal principio di effettività, il quale impone che dette sanzioni siano effettive e dissuasive.

30      Pertanto, occorre rispondere alle questioni prima e terza alla luce di questi ultimi due principi, esaminando, in un primo momento, il principio di effettività e poi, in un secondo momento, il principio di equivalenza.

 Sul principio di effettività

31      Come emerge dall’ordinanza di rinvio, due tipi di sanzioni sono previsti dalla normativa italiana per lottare contro l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio. Da una parte, il soggetto passivo inadempiente si espone, conformemente all’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, a pene pecuniarie il cui importo, in linea di principio, è pari al 30% dell’imposta dovuta, nonché ad interessi di mora. Dall’altra, l’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, prevede che la pena della reclusione, da sei mesi a due anni, possa essere inflitta alle persone fisiche qualora l’importo IVA non versato superi la soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000.

32      A parere del giudice del rinvio, il diritto dell’Unione potrebbe tuttavia richiedere che pene privative della libertà vengano inflitte ai soggetti responsabili di tali omessi versamenti dell’IVA una volta che l’importo non versato sia superiore o pari a EUR 50 000.

33      A tal riguardo, dai punti da 25 a 28 della presente sentenza emerge che, nonostante l’assenza, alla data dei fatti del procedimento principale, di un’armonizzazione delle sanzioni applicabili in materia di IVA, il principio di effettività esige dagli Stati membri la previsione di sanzioni effettive e dissuasive per lottare contro le violazioni delle norme armonizzate in materia e per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione, senza tuttavia imporre, in via di principio, che siffatte sanzioni siano di particolare natura.

34      Così come la Corte ha ripetutamente statuito che, al fine di garantire la riscossione integrale delle entrate provenienti dall’IVA e di tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione di entrambe (sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 34; del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 33, nonché del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 20).

35      Certamente, la Corte ha anche statuito che sanzioni penali possono essere indispensabili per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinati casi di frode grave in materia di IVA. Pertanto, in tale ambito, gli Stati membri sono tenuti ad adottare sanzioni penali dotate di carattere effettivo e dissuasivo (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punti 34 e 35).

36      La libertà di scelta degli Stati membri è inoltre limitata dalla convenzione TIF. Infatti, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, della convenzione in parola, gli stessi Stati devono adottare le misure necessarie per garantire che le frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione, quali definite all’articolo 1, paragrafo 1, della suddetta convenzione, comprese le frodi in materia di IVA (sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a., C‑105/14, EU:C:2015:555, punto 41), siano passibili di sanzioni penali che comprendano, almeno nei casi di frode grave, ossia quelli riguardanti un importo minimo che gli Stati membri non possono fissare in misura superiore a EUR 50 000, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione.

37      Tuttavia, va rilevato che un omesso versamento dell’IVA, come quello in esame nel procedimento principale, si caratterizza per il fatto che il soggetto passivo, dopo aver presentato, secondo quanto previsto dall’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA, una dichiarazione IVA completa e corretta per l’esercizio fiscale di cui trattasi, non versa l’IVA risultante da tale dichiarazione all’Erario entro i termini prescritti dalla legge, contrariamente agli obblighi derivanti dall’articolo 206 della direttiva in parola.

38      Orbene, come fatto valere da tutte le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte, nei limiti in cui il soggetto passivo ha debitamente adempiuto i propri obblighi dichiarativi in materia di IVA, un siffatto omesso versamento dell’imposta di cui trattasi non costituisce una «frode», ai sensi dell’articolo 325 TFUE, e ciò indipendentemente dal carattere intenzionale o meno di predetta omissione.

39      Del pari, un omesso versamento dell’IVA dichiarata non costituisce una «frode», ai sensi della convenzione TIF. Invero, secondo l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della convenzione in parola, ai fini di quest’ultima, una «frode» in materia di entrate dell’Unione implica la «mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico» o «l’utilizzo o [la] presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti». Orbene, come emerge dal punto 37 della presente sentenza, siffatti inadempimenti di obblighi dichiarativi non sono in discussione nel caso di specie. Peraltro, sebbene tale disposizione riguardi anche la «distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto», va rilevato, al pari del governo tedesco, che il fatto di non aver versato, entro i termini prescritti dalla legge, l’IVA dichiarata non conferisce al soggetto passivo un beneficio di tal genere, in quanto l’imposta rimane dovuta e, non versandola, egli commette un illecito.

40      Ne consegue che né l’interpretazione adottata dalla Corte dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE in merito ai casi di frode in materia di IVA, né la convenzione TIF sono applicabili alla fattispecie dell’omesso versamento dell’IVA dichiarata. Di conseguenza, l’importo di EUR 50 000 previsto dall’articolo 2, paragrafo 1, della convenzione in parola è privo di rilevanza in un caso del genere.

41      Inoltre, va rilevato che siffatti omessi versamenti dell’IVA dichiarata non presentano lo stesso grado di gravità delle frodi aventi ad oggetto tale imposta.

42      Infatti, qualora un soggetto passivo abbia correttamente adempiuto i propri obblighi dichiarativi, tale amministrazione dispone già dei dati necessari per accertare l’importo IVA esigibile e un eventuale omesso versamento della stessa.

43      Di conseguenza, sebbene sanzioni penali possano essere indispensabili per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinati casi di frode grave in materia di IVA, come ricordato al punto 35 della presenta sentenza, siffatte sanzioni non sono, a parità di importo, indispensabili per lottare contro gli omessi versamenti dell’IVA dichiarata.

44      Ciò posto, rimane nondimeno il fatto che dette omissioni, segnatamente qualora derivino da un comportamento del soggetto passivo consistente nell’utilizzare, per le proprie esigenze, le liquidità corrispondenti all’imposta esigibile a danno dell’Erario, costituiscono «attività illegali» atte a ledere gli interessi finanziari dell’Unione, a norma dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, che pertanto richiedono l’applicazione di sanzioni effettive e dissuasive.

45      Tale interpretazione non può essere rimessa in discussione dall’argomento dei governi tedesco e dei Paesi Bassi secondo cui l’inciso «le altre attività illegali», di cui all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, farebbe unicamente riferimento ai comportamenti illeciti della stessa natura e gravità della frode. Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 68 e 69 delle sue conclusioni, i termini «attività illegali» designano abitualmente i comportamenti contrari alla legge e l’uso dell’articolo determinativo «le» indica quindi che viene fatto riferimento, indistintamente, all’insieme di essi. D’altronde, considerata l’importanza che va riconosciuta alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione, che costituisce un obiettivo di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 1999, Commissione/Consiglio, C‑209/97, EU:C:1999:559, punto 29), la nozione di «attività illegali» non può essere interpretata restrittivamente.

46      Del resto, conformemente alla giurisprudenza costante ricordata al punto 28 della presente sentenza, qualsiasi violazione del diritto dell’Unione, ivi comprese le norme armonizzate in materia di IVA, deve essere oggetto di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive.

47      Nella fattispecie, come sostenuto da tutte le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte, sanzioni come quelle previste dall’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/97, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri in materia, possono essere considerate sufficientemente effettive e dissuasive.

48      Infatti, va ricordato che tali sanzioni assumono la forma di pene pecuniarie il cui importo ammonta, in via di principio, al 30% dell’imposta dovuta, e che il soggetto passivo può nondimeno beneficiare di una riduzione dell’importo di detta pena pecuniaria in funzione del termine entro cui regolarizza la propria situazione. Inoltre, l’amministrazione tributaria infligge interessi di mora.

49      Orbene, tenuto conto del loro elevato grado di rigore (sentenza del 20 marzo 2018, Menci, C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 33), siffatte pene pecuniarie sono atte a indurre i soggetti passivi a rinunciare a qualsiasi velleità di ritardare od omettere il versamento dell’IVA e sono quindi dissuasive. Peraltro, tali pene pecuniarie, affiancate al meccanismo di riduzione e agli interessi di mora, incitano i soggetti passivi inadempienti a regolarizzare il più rapidamente possibile l’imposta dovuta e, in via di principio, possono pertanto essere considerate efficaci (v., per analogia, sentenza del 20 giugno 2013, Rodopi-M 91, C‑259/12, EU:C:2013:414, punto 40).

50      Infine, la circostanza che, in una situazione, come quella in esame nel procedimento principale, in cui il soggetto passivo è una persona giuridica, le stesse sanzioni siano applicate a tali persone e non ai suoi dirigenti non rimette in discussione l’interpretazione di cui al punto 47 della presente sentenza.

51      Infatti, la determinazione dei destinatari di siffatte sanzioni rientra, a sua volta, nell’autonomia procedurale e istituzionale degli Stati membri. Questi ultimi sono quindi liberi di prevedere che esse si applicheranno al soggetto passivo stesso o, qualora quest’ultimo sia una persona giuridica, ai suoi dirigenti, o anche a entrambe queste categorie di persone, a condizione di non compromettere l’effettività della lotta contro la violazione del diritto dell’Unione di cui trattasi. Orbene, per quanto attiene all’omesso versamento dell’IVA dichiarata, non risulta che sanzioni, come quelle descritte al punto 48 della presente sentenza, perdano la loro natura effettiva e dissuasiva quando sono irrogate unicamente alla persona giuridica soggetta ad imposta, viste le ripercussioni che esse possono avere sul suo patrimonio e, di conseguenza, sull’attività economica da essa svolta.

52      Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che il principio di effettività non osta ad una normativa nazionale, come quella in esame nel procedimento principale, che prevede che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000.

 Sul principio di equivalenza

53      Come risulta dai punti da 25 a 28 della presente sentenza, la libertà di scelta di cui dispongono gli Stati membri, conformemente alla loro autonomia istituzionale e procedurale, per sanzionare le violazioni del diritto dell’Unione è limitato dall’obbligo, per questi ultimi, di provvedere affinché tali sanzioni, sotto il profilo sostanziale e procedurale, abbiano forme analoghe a quelle applicabili alle violazioni del diritto nazionale simili per natura e importanza.

54      Nel caso di specie, la normativa italiana prevede che l’omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi costituisce, al pari dell’omesso versamento dell’IVA dichiarata, un reato punito con la pena della reclusione, da sei mesi a due anni, qualora l’importo non versato superi una determinata soglia di rilevanza penale. Orbene, dall’entrata in vigore dell’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, tale soglia è pari a EUR 250 000 per l’omesso versamento dell’IVA mentre, conformemente all’articolo 10 bis del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, è pari a soli EUR 150 000 in caso di omesso versamento delle suddette ritenute.

55      Al fine di verificare se una differenza come quella esistente tra le predette soglie, fissate rispettivamente dall’articolo 10 bis e dall’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, nella sua versione modificata dal decreto legislativo n. 158/2015, rispetti il principio di equivalenza, occorre, conformemente alle considerazioni ricordate al punto 533 della presente sentenza, determinare se l’omesso versamento delle ritenute alla fonte possa essere considerato una violazione del diritto nazionale simile per natura e importanza all’omesso versamento dell’IVA dichiarata.

56      In tale contesto, va rilevato che, certamente, l’omesso versamento dell’IVA e l’omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi si caratterizzano indistintamente per l’inosservanza dell’obbligo di versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’imposta dichiarata. Dall’ordinanza di rinvio emerge parimenti che, erigendo tali comportamenti a reati, il legislatore italiano perseguiva la stessa finalità, ossia garantire che l’Erario riscuota l’imposta in tempo utile e che sia quindi preservata l’integralità del gettito fiscale.

57      Tuttavia, come fatto valere nel caso di specie dal governo italiano, i reati previsti e puniti, rispettivamente, dall’articolo 10 bis e dall’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, quale modificato dal decreto legislativo n. 158/2015, si distinguono tanto per i loro elementi costituitivi quanto per la difficoltà a scoprirli.

58      Infatti, mentre il secondo reato attiene ai comportamenti dei soggetti passivi dell’IVA, il primo reato non si riferisce ai comportamenti illeciti dei soggetti passivi dell’imposta sui redditi, bensì a quelli dei sostituti d’imposta, che devono ritrasferire le correlative ritenute alla fonte. Peraltro, dal fascicolo sottoposto alla Corte emerge che, nel diritto tributario italiano, un siffatto sostituto d’imposta, quando procede a dette ritenute sui redditi delle persone debitrici d’imposta, rilascia a queste ultime un documento, denominato «certificazione», che consente a tali persone di dimostrare all’amministrazione tributaria che le ritenute di cui trattasi sono state effettuate e, pertanto, che esse hanno corrisposto l’imposta dovuta e ciò anche se, successivamente, il sostituto d’imposta non versa tali ritenute all’Erario. Ciò premesso, l’omissione da parte di un sostituto d’imposta di ritrasferire all’amministrazione tributaria le ritenute alla fonte operate può, a causa del rilascio della summenzionata certificazione, risultare più difficile da accertare dell’omesso versamento dell’IVA dichiarata.

59      Tenuto conto degli elementi summenzionati, questi due reati non possono essere considerati simili per natura e importanza, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 53 della presente sentenza. Orbene, quando due categorie di reati si distinguono per diverse circostanze che riguardano tanto gli elementi costitutivi del reato quanto la minore o maggiore facilità a scoprirli, tali differenze comportano segnatamente che lo Stato membro interessato non è tenuto a prevedere un regime identico per entrambe queste categorie (sentenza del 25 febbraio 1988, Drexl, 299/86, EU:C:1988:103, punto 22).

60      Di conseguenza, il principio di equivalenza non osta a una differenza come quella esistente tra le soglie fissate, rispettivamente, dall’articolo 10 bis e dall’articolo 10 ter del decreto legislativo n. 74/2000, nella sua versione modificata dal decreto legislativo n. 158/2015.

61      Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni prima e terza dichiarando che la direttiva IVA, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, e l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000, mentre è invece prevista una soglia di rilevanza penale pari a EUR 150 000 per il reato di omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi.

 Sulla seconda questione

62      Tenuto conto della risposta fornita alle questioni prima e terza non occorre rispondere alla seconda questione

 Sulle spese

63      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, e l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede che l’omesso versamento, entro i termini prescritti dalla legge, dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) risultante dalla dichiarazione annuale per un determinato esercizio integri un reato punito con una pena privativa della libertà unicamente qualora l’importo IVA non versato superi una soglia di rilevanza penale pari a EUR 250 000, mentre è invece prevista una soglia di rilevanza penale pari a EUR 150 000 per il reato di omesso versamento delle ritenute alla fonte relative all’imposta sui redditi.

Lenaerts

Tizzano

Bay Larsen

von Danwitz

Da Cruz Vilaça

Rosas

Fernlund

Vajda

Toader

Safjan

Šváby

Berger

Jarašiūnas

Vilaras

Regan

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 maggio 2018.

Il cancelliere

 

Il presidente

A. Calot Escobar

 

K. Lenaerts


*      Lingua processuale: l’italiano.