CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
ELEANOR SHARPSTON
presentate il 25 giugno 2009 1(1)
Causa C‑73/08
Nicolas Bressol e altri
e
Céline Chaverot e altri
contro
Governo della Comunità francese
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour Constitutionnelle (Belgio)]
«Istruzione superiore – Sanità pubblica – Numero chiuso – Condizione di residenza – Parità di trattamento – Principio di non discriminazione – Giustificazioni»
1. Per tratti significativi della storia dell’Europa gli studenti hanno desiderato proseguire (parte del-)la loro formazione fuori dal proprio paese di origine (2). Il presente rinvio pregiudiziale solleva, non per la prima volta, la questione se lo Stato ospitante possa limitare il numero di studenti stranieri che possono accedere al proprio sistema d’istruzione.
2. Con la presente domanda posta dalla Cour Constitutionnelle (Corte costituzionale) del Belgio, la Corte è chiamata a fornire l’interpretazione degli artt. 12, primo comma, e 18, n. 1, CE, in combinato disposto con gli artt. 149, nn. 1 e 2, secondo trattino, e 150, n. 2, terzo trattino, CE.
3. La causa principale dinanzi al giudice nazionale riguarda un ricorso di annullamento proposto da un certo numero di studenti, in maggioranza francesi, e dal personale docente e amministrativo di istituti di istruzione superiore della Communauté française de Belgique (Comunità francese del Belgio; in prosieguo: la «Comunità francese») avverso il Décret régulant le nombre d’étudiants dans certains cursus de premier cycle de l’enseignement supérieur (decreto che regola il numero di studenti in taluni corsi del primo ciclo d’istruzione superiore; in prosieguo: il «decreto») adottato il 16 giugno 2006 dal Parlement de la Communauté française de Belgique (Parlamento della Comunità francese del Belgio) (3).
Contesto normativo
Diritto internazionale
4. L’art. 2, n. 2, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) (4) prevede quanto segue:
«Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a garantire che i diritti in esso enunciati verranno esercitati senza discriminazione alcuna, sia essa fondata (…) [sul]l’origine nazionale o sociale (…)».
5. L’art. 13, n. 2, lett. c), dell’ICESCR così recita:
«Gli Stati parti del presente Patto, al fine di assicurare la piena attuazione [del] diritto [di ogni individuo all’istruzione], riconoscono che:
(…)
c) l’istruzione superiore deve essere resa accessibile a tutti su un piano d’uguaglianza, in base alle attitudini di ciascuno, con ogni mezzo a ciò idoneo, ed in particolare mediante l’instaurazione progressiva dell’istruzione gratuita;
(…)».
Diritto comunitario
6. L’art. 2 CE dispone quanto segue:
«La Comunità ha il compito di promuovere nell’insieme della Comunità, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, (…) la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri».
7. L’art. 10 CE dispone quanto segue:
«Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità. Essi facilitano quest’ultima nell’adempimento dei propri compiti.
Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del presente trattato».
8. L’art. 12, n. 1, CE dispone quanto segue:
«Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».
9. L’art. 18, n. 1, CE dispone quanto segue:
«Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso».
10. L’art. 149, nn. 1 e 2, secondo trattino, CE dispone quanto segue:
«1. La Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche.
2. L’azione della Comunità è intesa:
(…)
– a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio,
(…)».
11. L’art. 150, n. 2, terzo trattino, CE dispone quanto segue:
«L’azione della Comunità è intesa:
(…)
– a facilitare l’accesso alla formazione professionale ed a favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani,
(…)».
Diritto nazionale
12. L’art. 1 del decreto definisce i requisiti di uno studente residente ai fini del medesimo decreto (5):
«Per studente residente ai fini del presente decreto si intende lo studente che, al momento dell’iscrizione presso un istituto di istruzione superiore, dimostra che la sua residenza principale è in Belgio e che soddisfa una delle seguenti condizioni:
1° ha diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio;
2° ha avuto la propria residenza principale in Belgio per almeno sei mesi prima dell’iscrizione presso un istituto di istruzione superiore, esercita contemporaneamente un’attività professionale remunerata o non remunerata o beneficia di redditi sostitutivi concessi dal servizio pubblico belga;
3° gode del permesso di soggiorno illimitato [in Belgio] secondo [la pertinente legge belga];
4° gode del permesso di soggiorno in Belgio in quanto rifugiato [come stabilito dalla legge belga] ovvero ha presentato richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato;
5° ha diritto di risiedere in Belgio in quanto beneficia di protezione temporanea secondo [la pertinente legge belga];
6° un genitore, il tutore o il coniuge soddisfa una delle suddette condizioni;
7° ha avuto la propria residenza principale in Belgio da almeno tre anni al momento dell’iscrizione presso un istituto di istruzione superiore;
8° gli è stata concessa una borsa di studio per studi nel quadro della cooperazione allo sviluppo per l’anno accademico e per gli studi per cui è stata presentata richiesta di iscrizione.
Per “diritto di soggiornare a titolo permanente” ai sensi del primo comma, punto 1°, deve intendersi, per quanto riguarda i cittadini di un altro Stato membro dell’Unione europea, il diritto riconosciuto dagli artt. 16 e 17 della direttiva [2004/38 (6)], per i cittadini di Stati terzi, il diritto di risiedere in Belgio ai sensi del[le pertinenti leggi belghe]».
13. Il Capitolo II del decreto contiene disposizioni sull’accesso alle università. L’art. 2 limita il numero di studenti che si iscrivono per la prima volta presso un’università della Comunità francese a uno dei corsi di cui all’art. 3, secondo il metodo specificato all’art. 4.
14. L’art. 3 del decreto stabilisce che le disposizioni contenute nel Capitolo II si applichino a corsi che portano al conseguimento dei diplomi di primo livello in fisioterapia e riabilitazione e in medicina veterinaria.
15. L’art. 4 del decreto prevede quanto segue:
«Per ciascuna università e per ciascun corso di cui all’art. 3, vi sarà un numero totale “T” di studenti iscritti per la prima volta al corso pertinente e di cui si deve tener conto ai fini del finanziamento, nonché un numero “NR” di studenti iscritti per la prima volta al corso pertinente e che non sono considerati residenti ai sensi dell’art. 1.
Quando il rapporto tra NR, da un lato, e T del precedente anno accademico, dall’altro, raggiunge una determinata percentuale “P”, le autorità accademiche devono rifiutare ulteriori iscrizioni di studenti non ancora iscritti al corso pertinente e che non sono considerati residenti ai sensi dell’art. 1.
La suddetta percentuale P è fissata al 30 per cento. Tuttavia, se in uno specifico anno accademico il numero di studenti che seguono un corso di studi in un paese diverso da quello in cui hanno conseguito il loro diploma d’istruzione secondaria supera il dieci per cento della media in tutti gli istituti d’istruzione superiore dell’Unione europea, la percentuale P per il successivo anno accademico equivarrà a quella percentuale moltiplicata per tre».
16. L’art. 5 del decreto prevede quanto segue:
«[1] (…) gli studenti che non sono considerati residenti ai sensi dell’art. 1 possono chiedere l’iscrizione a un corso tra quelli di cui all’art. 3 non prima dei tre giorni lavorativi antecedenti il 2 settembre che precede il relativo anno accademico. Gli studenti (…) saranno iscritti secondo l’ordine di arrivo.
(…)
[3] Ogni domanda di iscrizione presentata a partire dal 2 settembre che precede l’anno accademico ai sensi del primo comma sarà riportata in un registro (…) .
[4] In deroga al primo comma, riguardo agli studenti non residenti che si sono presentati al fine di chiedere l’iscrizione a uno dei corsi indicati all’art. 3 al più tardi l’ultimo giorno lavorativo antecedente il 2 settembre che precede l’anno accademico, qualora il numero di studenti che si sono in tal modo presentati superi il numero NR di cui all’art. 4, n. 2, la priorità [ai fini dell’iscrizione] tra essi sarà determinata mediante sorteggio (…).
[5] Ogni studente non residente può presentare una sola domanda di iscrizione per i corsi di cui agli artt. 3 e 7 entro il 2 settembre che precede l’anno accademico. Gli studenti che violano questa disposizione saranno esclusi dall’istituto di istruzione superiore a cui sarebbero stati ammessi per seguire uno dei corsi di cui agli artt. 3 o 7.
(…)».
17. Il Capitolo III contiene disposizioni relative agli istituti di istruzione superiore. Gli artt. 6, primo comma, 8 e 9 (che fanno parte del suddetto capitolo) contengono disposizioni analoghe a quelle di cui agli artt. 2, primo comma, 4 e 5.
18. L’art. 7 del decreto applica le disposizioni contenute nel Capitolo III ai corsi che conducono al conseguimento di diplomi di primo livello in ostetricia, ergoterapia, logopedia, podologia-podoterapia, fisioterapia, audiologia e per educatore specializzato in accompagnamento psico-educativo.
Il procedimento principale e le questioni pregiudiziali
19. Secondo l’ordinanza di rinvio, il legislatore della Comunità francese ha constatato per vari anni un notevole aumento del numero di studenti iscritti per la prima volta ai corsi di cui trattasi. È stata espressa la preoccupazione che, con riferimento alle risorse finanziarie, umane e materiali disponibili presso gli istituti di formazione di cui trattasi, ciò metta in pericolo la qualità dell’insegnamento e, data la natura dei corsi in questione, la sanità pubblica.
20. Nell’anno accademico 2003/04, il numero di studenti con un diploma di istruzione secondaria rilasciato da un altro Stato membro iscritti ad altre formazioni non coperte dal decreto rappresentava meno del 10% delle iscrizioni. Nell’anno accademico 2004/05, tale numero si collocava tra il 41% e il 75% per i corsi coperti dal decreto negli istituti di istruzione superiore. Nell’anno accademico 2005/06 equivaleva ad una percentuale compresa tra il 78% e l’86% per i corsi universitari coperti dal decreto.
21. La maggior parte degli studenti iscritti che possiedono un diploma d’istruzione secondaria conseguito al di fuori della Comunità francese del Belgio è costituita da cittadini francesi. Ciò, ad avviso del giudice del rinvio, è riconducibile a diversi fattori.
22. In primo luogo, in Francia l’ammissione alle scuole di veterinaria è subordinata al superamento di un concorso nazionale, accessibile solo agli studenti che abbiano completato due anni di studi preparatori dopo il diploma d’istruzione secondaria. All’esito di tale concorso, 329 candidati sono stati ammessi, nel 2004, alle quattro scuole nazionali di veterinaria. Tale numero è stato ridotto a 221 nel 2005 ed aumentato a 436 nel 2006. In generale, viene ammesso solo un quinto dei partecipanti a tale concorso.
23. In secondo luogo, la Francia ha stabilito un numero chiuso per gli studenti di fisioterapia.
24. Conseguentemente, molti studenti francesi vengono a studiare, nella loro lingua, nella Comunità francese del Belgio e alla fine dei loro studi ritornano in Francia per esercitare la loro professione. Circa un terzo dei veterinari che si stabiliscono in Francia ogni anno ha conseguito il proprio diploma presso la Comunità francese del Belgio e ciò non sembra determinare un numero eccessivo di professionisti in Francia. Nel 2005, più di 800 studenti hanno conseguito un diploma in fisioterapia presso la Comunità francese del Belgio.
25. Per far fronte a questa situazione, il Parlamento della Comunità francese ha emanato il decreto 16 giugno 2006 che, in effetti, stabilisce un numero chiuso per l’iscrizione dei non residenti e definisce i «residenti» che non sono soggetti al numero chiuso mediante una duplice condizione. Essenzialmente, sono «residenti» le persone che hanno la propria residenza principale in Belgio e che godono del diritto di soggiorno permanente in Belgio.
26. Ciascuna università o istituto d’istruzione superiore può ammettere solo un numero limitato di studenti non residenti. Per ogni corso in ciascun istituto, per l’anno accademico 2006/07, tale numero è fissato al 30% del numero totale di studenti iscritti per la prima volta ai corsi in questione presso l’istituto. I candidati non residenti possono presentare domanda di iscrizione solo durante i tre giorni lavorativi che precedono il 2 settembre. Se il loro numero supera il numero chiuso, i candidati ammessi sono selezionati mediante sorteggio.
27. Il 9 agosto 2006 il sig. Bressol e altri 43 ricorrenti proponevano ricorso volto ad ottenere l’annullamento del decreto dinanzi alla Corte costituzionale. Il 13 dicembre 2006 la sig.ra Chaverot e altri 18 ricorrenti proponevano anch’essi un ricorso volto ad ottenere l’annullamento di una serie di articoli del decreto. Essi contestano la disparità di trattamento stabilita dal decreto tra residenti e non residenti in relazione all’ammissione ai corsi in questione.
28. Il 24 gennaio 2007 la Commissione inviava una lettera formale di diffida al Belgio, in cui esprimeva riserve sulla compatibilità del decreto con il diritto comunitario. Il 24 maggio 2007 il Belgio replicava a tale lettera fornendo dati statistici e spiegazioni. Il 28 novembre 2007, considerato che, in assenza di opportune misure di tutela, la Comunità francese del Belgio avrebbe corso il rischio di non essere «in grado di mantenere livelli sufficienti di copertura territoriale e di qualità nel suo sistema di sanità pubblica», la Commissione decideva di sospendere il procedimento per cinque anni «per permettere alle autorità belghe di fornire dati supplementari a sostegno dell’argomento secondo cui le misure restrittive imposte sono allo stesso tempo necessarie e proporzionate» (7).
29. La Corte costituzionale nutre dubbi circa la compatibilità degli artt. 4 e 8 del decreto con diverse disposizioni della Costituzione belga, lette in combinato disposto con gli artt. 12, primo comma, 18, n. 1, 149, nn. 1 e 2, e 150, n. 2, CE. Essa ha pertanto sottoposto le seguenti questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia:
«1. Se gli artt. 12, primo comma, e 18, n. 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, in combinato disposto con l’art. 149, nn. 1 e 2, secondo trattino, e con l’art. 150, n. 2, terzo trattino, dello stesso Trattato, debbano essere interpretati nel senso che tali disposizioni ostano a che una comunità autonoma di uno Stato membro competente per l’istruzione superiore, che deve far fronte all’afflusso di studenti di uno Stato membro confinante a diverse formazioni di carattere medico, finanziate principalmente con fondi pubblici, a seguito di una politica restrittiva adottata in tale Stato confinante, adotti misure come quelle di cui al decreto della Comunità francese 16 giugno 2006, che regola il numero di studenti in taluni corsi del primo ciclo d’istruzione superiore, qualora tale Comunità faccia valere ragioni valide per affermare che tale situazione rischia di pesare eccessivamente sulle finanze pubbliche e di ipotecare la qualità dell’insegnamento offerto.
2. Se la soluzione della questione di cui al punto n. 1 differisca qualora tale Comunità dimostri che questa situazione ha come effetto che troppo pochi studenti residenti in detta Comunità conseguono il loro diploma perché vi sia, in modo durevole, sufficiente personale medico qualificato per garantire la qualità del regime di sanità pubblica in seno a tale Comunità.
3. Se la soluzione della questione di cui al punto n. 1 differisca qualora tale Comunità, tenuto conto dell’art. 149, primo comma, in fine, CE e dell’art. 13, n. 2, lett. c), del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, che contiene un obbligo di standstill, opti per il mantenimento di un accesso ampio e democratico ad un insegnamento superiore di qualità per la popolazione di tale Comunità».
30. Hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti nella causa principale, i governi austriaco e belga e la Commissione.
31. L’udienza si è tenuta il 3 marzo 2009 e tutte le parti vi hanno svolto le loro difese orali.
Osservazioni preliminari
32. Sebbene l’art. 149, n. 1, CE preveda che gli Stati membri siano responsabili per quanto riguarda «il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche», la Corte ha chiarito che le condizioni d’accesso alla formazione professionale rientrano nel campo d’applicazione del Trattato (8). A tal proposito essa ha richiamato l’art. 149, n. 2, secondo trattino, CE, che prevede espressamente che l’azione comunitaria è intesa a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo, tra l’altro, il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio, e l’art. 150, n. 2, terzo trattino, CE, che prevede che l’azione comunitaria debba essere intesa a facilitare l’accesso alla formazione professionale e a favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani (9). La Corte ha altresì ritenuto che tanto gli studi superiori quanto gli studi universitari costituiscono una formazione professionale (10).
33. È pacifico che il decreto fissi condizioni che regolano l’accesso all’istruzione superiore o universitaria nella Comunità francese del Belgio, disciplinando, in tal modo, una materia che rientra nel campo d’applicazione del Trattato.
34. È altresì evidente che il decreto opera una distinzione tra studenti classificandoli come residenti o non residenti a seconda del fatto che essi soddisfino o meno determinati criteri. Gli studenti residenti godono dell’accesso illimitato a tutti i corsi, mentre gli studenti non residenti sono soggetti ad un numero chiuso per determinati corsi. Sussiste, pertanto, una chiara disparità di trattamento dei due gruppi di studenti.
35. L’art. 12 CE vieta, nel campo di applicazione del Trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il decreto va pertanto analizzato alla luce di tale disposizione.
36. Le prime due questioni poste dal giudice del rinvio mirano ad ottenere l’orientamento della Corte sull’applicabilità di tre possibili giustificazioni per il trattamento discriminatorio. La soluzione di tali questioni dipende in parte dal fatto se la discriminazione sia diretta o indiretta (11). Occorre dunque chiarire, innanzi tutto, la natura del trattamento discriminatorio in questione.
Natura del trattamento discriminatorio
37. Il decreto limita il numero di prime iscrizioni di studenti non residenti a taluni corsi (elencati agli artt. 3 e 7). Per essere considerato residente e sottrarsi a tale limitazione, uno studente deve soddisfare due condizioni cumulative stabilite dall’art. 1 del decreto: (i) deve dimostrare che la propria residenza principale è in Belgio; (ii) deve soddisfare una delle altre otto condizioni ivi elencate (12).
38. L’ordinanza di rinvio chiarisce che, poiché tutti i cittadini belgi godono (grazie alla loro cittadinanza) del diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio ai sensi dell’art. 1, primo comma, del decreto, essi soddisfano automaticamente le due condizioni cumulative richieste per essere considerati «residenti» sempreché abbiano la loro residenza principale in Belgio al momento della domanda di iscrizione (13).
39. Per contro, la seconda condizione cumulativa rappresenta un effettivo ostacolo per un potenziale studente che non sia un cittadino belga. Per soddisfare tale condizione, i cittadini dell’UE che non hanno la cittadinanza belga possono rivendicare il diritto di «soggiornare permanentemente in Belgio» unicamente entro i limiti tracciati dalla direttiva 2004/38, ossia, essenzialmente, dopo che abbiano soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni in Belgio (14). Se non rispettano tale requisito (e non sono in condizione di soddisfare alcuna delle altre sette condizioni) saranno classificati come non residenti. È proprio questo, infatti, lo scopo del decreto.
40. Mi chiedo se tale disparità di trattamento configuri una discriminazione diretta o indiretta fondata sulla cittadinanza.
41. Nella sua lettera formale di diffida 24 gennaio 2007 (15), la Commissione ha ritenuto che la discriminazione fosse diretta, poiché i cittadini belgi devono semplicemente stabilire la loro residenza in Belgio per soddisfare la condizione di cui all’art. 1, primo comma, del decreto, mentre gli altri devono soddisfare una condizione supplementare. La Commissione non ha seguito tale ragionamento nel presente procedimento, accontentandosi (al pari delle altre parti) di esaminare le questioni sollevate sulla base della discriminazione indiretta. Non credo, tuttavia, che la Corte possa o debba eludere la questione.
42. Per maggior chiarezza, analizzerò separatamente le due condizioni imposte dal decreto. Tuttavia, devo innanzi tutto chiarire quale sia, a mio avviso, la differenza fondamentale tra discriminazione diretta e indiretta.
Distinzione tra discriminazione diretta e indiretta
43. In modo piuttosto sorprendente, la giurisprudenza della Corte non contiene alcuna definizione chiara di «discriminazione diretta». Il significato di tale nozione va pertanto dedotto dalle pronunce della Corte sul principio generale di uguaglianza e sulla nozione di discriminazione indiretta.
44. La classica espressione usata dalla Corte per definire il principio generale della parità di trattamento, quale principio generale del diritto comunitario, è che detto principio richiede che «situazioni analoghe non siano trattate in modo diverso a meno che un siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato» (16). Ciò sembra valere per entrambe le forme di discriminazione (17).
45. Sono di scarso aiuto anche le definizioni di discriminazione diretta contenute nella direttiva sulla discriminazione fondata sul sesso (18), nella direttiva sulla discriminazione fondata sulla razza (19) e nella direttiva quadro per la parità di trattamento (20). In sostanza, esse definiscono la discriminazione diretta come la situazione in cui una persona è trattata meno favorevolmente, in base ad uno dei motivi vietati, di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga (21). A queste definizioni potrebbero essere contrapposte quelle di discriminazione indiretta, presenti in ciascuna direttiva. La discriminazione indiretta si verifica quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone aventi una caratteristica che non può essere motivo di distinzioni rispetto ad altre persone, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (22).
46. Anche così, la distinzione tra discriminazione diretta e indiretta non è precisa.
47. A mio avviso, il problema sta nel determinare con precisione cosa costituisca «una disposizione apparentemente neutra». Tale espressione chiave appare indissolubilmente legata al concetto di «discriminazione dissimulata» che compare altrove nella giurisprudenza della Corte.
48. La Corte ha ritenuto che «il principio di parità di trattamento, del quale il divieto di ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità consacrato dall’art. 12, n. 1, CE è specifica espressione, vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca in pratica lo stesso risultato» (23). Tale formula è frequentemente abbinata ad un’espressione che indica possibili motivi di discriminazione indiretta. Ad esempio, per quanto riguarda i lavoratori migranti, la Corte ha ritenuto che a meno che «non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale dev’essere giudicata indirettamente discriminatoria quando, per sua stessa natura, tenda a incidere più sui lavoratori migranti che su quelli nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo particolare ai primi» (24).
49. La Corte sembra quindi considerare la differenza tra discriminazione «palese» e «dissimulata» come il punto cruciale di ciò che distingue la discriminazione diretta da quella indiretta. Ciò risulta ancora più evidente nella sentenza nella seconda causa Defrenne (che ha dato il via alla giurisprudenza della Corte in materia di discriminazione fondata sul sesso), in cui la Corte ha fatto riferimento alla «discriminazione diretta e palese» opposta alla «discriminazione indiretta e dissimulata» (25).
50. Devo ammettere che non ritengo utile tracciare la distinzione in questo modo (26). Risulta con sufficiente chiarezza che la distinzione tra discriminazione palese e dissimulata non sempre coincide necessariamente con quella tra discriminazione diretta e indiretta.
51. Un chiaro esempio di discriminazione dissimulata diretta si trova nella sentenza Dekker. Alla sig.ra Dekker venne detto che il motivo per cui non aveva ottenuto il posto per cui era senza dubbio la candidata più idonea non era il suo stato di gravidanza in sé, bensì le conseguenze finanziarie per il futuro datore di lavoro. Alla Corte si chiedeva se il rifiuto di assumerla avrebbe dovuto essere considerato una discriminazione diretta fondata sul sesso. Essa ha correttamente dichiarato che la soluzione dipendeva «dall’accertare se il motivo essenziale del rifiuto d’assunzione è un motivo che vale indistintamente per i lavoratori dei due sessi oppure soltanto per uno dei due sessi». La Corte ha concluso che «un rifiuto d’assunzione per motivo di gravidanza può opporsi solo alle donne e rappresenta quindi una discriminazione diretta a motivo del sesso» (27). La Corte ha in seguito confermato il suddetto orientamento in molti altri casi (28).
52. L’avvocato generale Jacobs, nelle sue conclusioni nella causa Schnorbus, ha definito in maniera leggermente diversa – e, secondo me, con maggiore chiarezza – la distinzione tra discriminazione diretta e indiretta: «si potrebbe dire che si ha discriminazione fondata sul sesso quando gli individui di uno dei due sessi sono trattati in modo più favorevole di quelli dell’altro. La discriminazione è diretta quando la disparità di trattamento è fondata su di un criterio che è o esplicitamente quello del sesso o necessariamente legato ad una caratteristica inseparabile dal sesso. È indiretta quando è applicato qualche altro criterio, ma ne è in pratica colpita una proporzione molto più elevata di individui di un sesso rispetto all’altro» (29).
53. Tale analisi di quali siano gli elementi che costituiscono una discriminazione diretta può essere adattata alla discriminazione diretta fondata su qualsiasi motivo vietato. Quindi, per quanto riguarda la discriminazione in base alla cittadinanza, la discriminazione può essere considerata diretta allorquando la disparità di trattamento sia fondata su un criterio che sia esplicitamente quello della cittadinanza ovvero che sia necessariamente legato ad una caratteristica indissociabile dalla cittadinanza.
54. Nella sentenza Dekker, la Corte sarebbe pervenuta alla stessa conclusione, ossia che la discriminazione era diretta, se avesse applicato il criterio dell’«elemento distintivo unico», secondo cui, «se non fosse per» una caratteristica particolare (sesso, razza, età, cittadinanza, ecc.), la persona interessata avrebbe beneficiato del trattamento più favorevole goduto dal relativo termine di paragone (30). Così riformulata, la questione che il giudice del rinvio era chiamato a risolvere era «se la sig.ra Dekker sarebbe stata assunta se non fosse stato per la sua gravidanza (caratteristica inscindibilmente legata al sesso), pur rimanendo invariati gli altri elementi». In caso di risposta affermativa, il rifiuto di assunzione avrebbe rappresentato una discriminazione diretta fondata sul sesso (31).
55. La suddetta analisi implica – in maniera decisiva – che, per esservi discriminazione diretta, è sufficiente che, ad un certo punto del nesso di causalità, il trattamento sfavorevole subito dalla vittima sia fondato su, o causato da, una caratteristica che non può essere motivo di distinzione di quella persona rispetto ad altre. Per ragioni di comodità, qualificherò questo processo come «una classificazione vietata».
56. Su questa base è possibile formulare una definizione generale che, a mio avviso, rispecchia con precisione tutte le situazioni riconosciute dalla Corte come costituenti una discriminazione diretta fondata su motivi vietati dal diritto comunitario. Ritengo che vi sia discriminazione diretta quando la categoria di coloro che beneficiano di un determinato vantaggio e quella di coloro che subiscono un correlativo svantaggio coincidono esattamente con le rispettive categorie di persone distinte solo in base all’applicazione di una classificazione vietata.
57. Nella sentenza Dekker, quindi, la categoria dei beneficiari di un determinato vantaggio (quelli considerati idonei per l’impiego) coincideva esattamente con la categoria di persone distinte solo in base ad una classificazione vietata (il sesso – nella fattispecie, le persone che non possono in nessun caso rimanere gravide, ossia gli uomini). La categoria che subiva il correlativo svantaggio (quelli non considerati idonei per l’impiego) coincideva esattamente con la corrispondente categoria di persone distinte unicamente in base a una classificazione vietata (il sesso, in questo caso, le persone che possono rimanere gravide, ossia le donne). Il trattamento sfavorevole (rifiuto di assunzione) costituiva dunque una discriminazione diretta fondata su una classificazione vietata (il sesso).
58. È opportuno domandarsi quali siano le conseguenze dell’applicazione del suddetto criterio per la discriminazione diretta alle due condizioni definite all’art. 1 del decreto.
La prima condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto
59. La prima condizione cumulativa contenuta nell’art. 1, primo comma, del decreto richiede ai futuri studenti di avere la propria residenza principale in Belgio al momento della loro iscrizione presso un istituto d’istruzione superiore (in prosieguo: la «condizione della residenza principale»).
60. È palese che una condizione del genere non costituisca una discriminazione diretta fondata sulla nazionalità. I belgi e gli stranieri possono entrambi stabilire la propria residenza principale in Belgio. Quindi, la categoria dei soggetti che soddisfano la prima condizione cumulativa contenuta nell’art. 1, primo comma, del decreto non coincide con la categoria dei cittadini belgi.
61. Occorre stabilire se la condizione della residenza principale costituisca una discriminazione indiretta.
62. La Corte ha statuito che il divieto di discriminazione in base a criteri apparentemente neutri di differenziazione, che di fatto conduce a un risultato discriminatorio, si applichi in particolare ad una misura che preveda una distinzione basata sulla residenza. Tale condizione rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che, nella maggioranza dei casi, i non residenti sono stranieri (32).
63. Non viene seriamente contestato il fatto che la condizione della residenza principale costituisca, indirettamente, una misura discriminatoria.
La seconda condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto
64. Per contro, mi sembra che la seconda condizione cumulativa contenuta nell’art. 1, primo comma, del decreto costituisca una discriminazione diretta in base alla cittadinanza.
65. Tutti i cittadini belgi godono automaticamente del diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio (il primo degli otto possibili criteri nell’ambito della seconda condizione cumulativa dell’art. 1 del decreto). Nessun cittadino non belga gode automaticamente di siffatto diritto. Pertanto, essi devono soddisfare determinate condizioni ulteriori per acquisire un diritto di tal genere (segnatamente quelle indicate dalla direttiva 2004/38) o soddisfare uno degli altri criteri elencati in detta disposizione (33).
66. La categoria di coloro che beneficiano di un determinato vantaggio (quelli che godono automaticamente del diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio e che, dunque, soddisfano automaticamente la seconda condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto) coincide pertanto esattamente con la categoria di persone distinte unicamente in base ad una classificazione vietata (la cittadinanza e, nel caso in esame, chi possiede la cittadinanza belga). La categoria di coloro che subiscono un corrispondente svantaggio (quelli che non godono automaticamente di tale diritto) coincide esattamente con la categoria di persone distinte unicamente in base ad una classificazione vietata (la cittadinanza e, nel caso in esame, chi non possiede la cittadinanza belga).
67. La disparità di trattamento si basa chiaramente su un criterio (il diritto di soggiornare in Belgio a titolo permanente) che è necessariamente legato a una caratteristica indissociabile dalla cittadinanza (34). La discriminazione fondata sulla cittadinanza, di cui trattasi, è pertanto diretta.
68. Il fatto che i cittadini comunitari non belgi possano, se soddisfano le condizioni di cui alla direttiva 2004/38, ottenere il diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio non cambia la suddetta conclusione. La discriminazione diretta risiede precisamente nel fatto che, riguardo a tutti i cittadini stranieri, compresi tutti gli altri cittadini dell’UE, il diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio è subordinato al soddisfacimento di uno dei restanti criteri di cui alla seconda condizione cumulativa o di quelli contenuti nella direttiva 2004/38. Per i cittadini belgi, il diritto è necessariamente e automaticamente legato alla cittadinanza belga e, pertanto, ad una classificazione vietata: la cittadinanza.
69. Giungo alla stessa conclusione applicando il criterio dell’«elemento distintivo unico». Consideriamo due futuri studenti di medicina veterinaria che, entrambi, portano a termine il proprio ciclo di istruzione secondaria in Lussemburgo, dove vivono e lavorano i rispettivi genitori. Entrambi vogliono studiare in Belgio. Lo studente A è cittadino belga e lo studente B è cittadino bulgaro. Entrambi si trasferiscono in un alloggio per studenti a Louvain-la-Neuve nello stesso edificio e vi prendono la residenza all’inizio dell’anno accademico 2008/09, prima dell’iscrizione. Entrambi sono dunque in grado di dimostrare che soddisfano la condizione della residenza principale.
70. Lo studente A soddisferà automaticamente la seconda condizione cumulativa contenuta nell’art. 1, primo comma, del decreto. In quanto cittadino belga, egli ha diritto di rimanere a titolo permanente in Belgio, sarà pertanto considerato come «studente residente» e potrà accedere liberamente al corso di medicina veterinaria. Lo studente B non soddisferà automaticamente quella condizione, né presumibilmente le condizioni di cui alla direttiva 2004/38. A meno che non soddisfi questo o uno dei restanti criteri di cui alla seconda condizione cumulativa (il che è improbabile nella fattispecie), lo studente B sarà soggetto al numero chiuso.
71. È chiaro che, senza l’«elemento distintivo unico» dato dal fatto che lo studente A è cittadino belga, egli non avrebbe soddisfatto automaticamente la seconda condizione cumulativa (35).
72. Faccio notare che, nel proprio parere sulla bozza del decreto, il Consiglio di Stato belga sembrava già nutrire alcuni dubbi sul fatto che il decreto proposto costituisse una discriminazione diretta. In ogni caso, esso evidenziava che, nella causa Commissione/Austria, la normativa nazionale in esame trattava gli studenti austriaci che avevano conseguito il loro diploma d’istruzione secondaria in uno Stato diverso dall’Austria nella stessa (sfavorevole) maniera degli studenti provenienti da altri Stati membri (36).
73. Infine, contrariamente a quanto fatto valere dal governo belga all’udienza, la sentenza della Corte nella causa Bidar non consente di sostenere che la discriminazione derivante dall’applicazione della seconda condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto sia indiretta e non diretta. La normativa del Regno Unito da cui scaturisce la sentenza Bidar subordinava il diritto ad un prestito per studenti (i) all’avere «stabile residenza» nel Regno Unito a norma del diritto nazionale e (ii) al soddisfacimento di taluni requisiti di residenza (37). Ai sensi della normativa del Regno Unito applicabile in materia di immigrazione, una persona era «stabilita» nel Regno Unito se vi aveva abituale dimora senza essere soggetta ad alcuna restrizione riguardo al periodo in cui poteva soggiornare nel territorio (38). Un cittadino di un altro Stato membro non avrebbe potuto ottenere, in quanto studente, lo status di persona stabilita nel Regno Unito, poiché non avrebbe potuto soddisfare alcuna delle condizioni sopra citate.
74. È pur vero che (come per un cittadino belga in Belgio) nessun cittadino del Regno Unito è soggetto ad alcuna limitazione riguardo al periodo in cui può soggiornare nel territorio di tale Stato membro. Tuttavia, dalla risposta data dal Regno Unito ai quesiti posti dalla Corte nella sentenza Bidar, emergeva che, al verificarsi di determinate circostanze, anche i cittadini del Regno Unito potevano non soddisfare il requisito della «dimora abituale» e, pertanto, non avere lo status di persona «stabilita» nel Regno Unito (39). La categoria di coloro che beneficiavano di un determinato vantaggio (ossia quelli che hanno lo status di persona «stabilita» nel Regno Unito) non coincideva pertanto esattamente con la categoria di persone distinte unicamente sulla base di una classificazione vietata (la cittadinanza, in questo caso, la cittadinanza del Regno Unito).
75. La Corte ha pertanto correttamente statuito che la discriminazione nella sentenza Bidar fosse indiretta e non diretta. Tuttavia, poiché la normativa del Regno Unito precludeva ad un cittadino di un altro Stato membro ogni possibilità di ottenere lo status di persona stabilita in qualità di studente e poneva quindi tale cittadino nell’impossibilità di possedere i requisiti per un prestito quale che fosse il suo grado effettivo d’integrazione nella società dello Stato membro ospitante, la Corte ha giudicato ingiustificata la «condizione della stabile residenza» (40).
76. Spetta ovviamente al giudice nazionale determinare quale sia la situazione ai sensi del diritto belga. Tuttavia, nel caso in cui egli dovesse concludere che tutti i cittadini belgi godono automaticamente e senza alcuna eccezione del diritto di soggiornare a titolo permanente in Belgio, soddisfacendo quindi automaticamente la seconda condizione cumulativa, mentre tutti gli altri, tra cui tutti i cittadini dell’UE, non godono automaticamente di tale diritto, la seconda condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto sarebbe direttamente discriminatoria in base alla cittadinanza, in contrasto con l’art. 12 CE.
La prima e la seconda questione
77. La prima e la seconda questione richiedono essenzialmente di chiarire se il decreto possa essere giustificato sulla base di tre possibili ragioni: (i) l’afflusso di studenti stranieri pone un onere eccessivo a carico delle finanze pubbliche; (ii) la qualità dell’insegnamento rischia di essere compromessa; (iii) la qualità del sistema sanitario pubblico della Comunità francese rischia di essere compromesso dalla penuria di personale medico qualificato.
78. La soluzione dipende in parte dalla questione se il trattamento discriminatorio sia diretto o indiretto (41). Come è noto, la discriminazione indiretta è, in linea di principio, giustificabile (42). Le regole valevoli per la discriminazione diretta sono assai più restrittive (43). Poiché ritengo che la prima condizione cumulativa sia indirettamente discriminatoria e la seconda lo sia invece direttamente, analizzerò ciascuna condizione singolarmente.
Se la prima condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto sia giustificabile
79. Il governo belga fa ampio richiamo alla sentenza della Corte nella causa Bidar che, come esso sostiene, sancisce la legittimità delle condizioni di residenza riguardo all’accesso all’istruzione, consentendo allo Stato ospitante di chiedere al futuro studente di dimostrare, mediante tale condizione di residenza, un certo grado di integrazione nella società del suddetto Stato (44).
80. Tuttavia, vi è una differenza fondamentale tra l’accesso all’aiuto economico per coprire i costi dell’istruzione in un altro Stato membro, di cui si discute nella sentenza Bidar, e l’accesso all’istruzione in un altro Stato membro, di cui si discute nel caso di specie.
81. Nella sentenza Bidar, la Corte ha giustamente tenuto conto dei legittimi interessi degli Stati membri a fronte delle richieste di aiuto economico di studenti di altri Stati membri. Essa ha statuito che gli Stati membri sono chiamati a dare prova di una certa solidarietà finanziaria con i cittadini degli altri Stati membri nell’organizzazione e nell’applicazione del loro sistema di assistenza sociale (45). Tuttavia, essi possono «vigilare affinché la concessione di aiuti a copertura delle spese di mantenimento di studenti provenienti da altri Stati membri non diventi un onere irragionevole che potrebbe produrre conseguenze sul livello globale dell’aiuto che può essere concesso da tale Stato» (46).
82. Per contro, la possibilità per uno studente dell’Unione europea di accedere agli studi superiori o universitari in un altro Stato membro alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato membro costituisce l’essenza stessa del principio della libera circolazione degli studenti garantito dal Trattato (47). Ciò che la Corte ha statuito, nella sentenza Bidar, sulle condizioni di residenza per la concessione di un aiuto economico non può pertanto essere trasposto al caso di specie (48).
83. Secondo una giurisprudenza costante, un trattamento indirettamente discriminatorio sulla base della cittadinanza potrebbe essere giustificato solo se fondato su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito (49).
84. La Corte ha altresì dichiarato che spetta alle autorità nazionali che intendono avvalersi di una deroga al principio fondamentale di libera circolazione delle persone provare, in ciascun caso singolo, che le loro normative sono necessarie e proporzionate all’obiettivo perseguito. Le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro «devono essere corredate di un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura restrittiva adottata da tale Stato, nonché degli elementi che consentono di suffragare il suo argomento» (50).
85. L’ordinanza di rinvio cita i lavori preparatori (51) del decreto per indicare che l’obiettivo principale delle disposizioni impugnate è quello di «garantire un accesso ampio e democratico ad un’istruzione superiore di qualità per la popolazione della Comunità francese». Le disposizioni impugnate sono anche ispirate da considerazioni attinenti alla sanità pubblica. In primo luogo, una diminuzione della qualità dell’insegnamento rischia di alterare, sul lungo termine, la qualità delle cure offerte. In secondo luogo, la grande maggioranza degli studenti non residenti non intende esercitare in Belgio, il che comporta un rischio di penuria di professionisti, precisando che detta penuria sarebbe «certa» se venisse organizzata una selezione d’ingresso.
86. In forza della separazione di funzioni tra la Corte e il giudice del rinvio, spetta alla Corte decidere se, qualora dimostrato, uno dei motivi addotti fornirebbe una giustificazione oggettiva alla discriminazione indiretta. In tal caso, spetta quindi al giudice nazionale determinare se, sulla base delle prove, i motivi sono di fatto dimostrati.
Onere eccessivo sulle finanze pubbliche
87. I lavori preparatori del decreto contengono il seguente riferimento ad un onere eccessivo sulle finanze pubbliche quale giustificazione (52):
«Il numero di coloro che conseguono un diploma nel sistema di istruzione superiore della Comunità francese nei [corsi in questione] supera palesemente il fabbisogno dei settori interessati nel Belgio francofono. La Comunità francese non è in grado di sostenere l’onere eccessivo rappresentato da studenti non residenti in Belgio, i quali vengono a studiare nella Comunità francese solo perché non hanno accesso alle medesime formazioni nel loro paese di origine e non intendono assolutamente esercitare la loro professione all’interno della Comunità francese».
88. La prima frase, in cui si afferma che il numero di studenti che ottengono un diploma «supera palesemente» il fabbisogno della Comunità francese, non è immediatamente conciliabile con la giustificazione alternativa fondata sul rischio di compromissione del sistema sanitario pubblico, che si fonda sulla potenziale futura penuria di personale sanitario qualificato (53).
89. L’argomento dedotto nella seconda frase è, in sostanza, puramente economico e suscita perplessità per i seguenti motivi.
90. In primo luogo, rammento che, conformemente ad una costante giurisprudenza, i motivi di natura puramente economica, di norma, non possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale garantita dal Trattato (54).
91. È pur vero che la Corte ha ammesso che non si può escludere che un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale possa costituire un motivo imperativo di interesse generale atto a giustificare un ostacolo alla libera prestazione dei servizi (55). Pertanto, motivi economici o di bilancio possono, in particolari circostanze, essere addotti quale giustificazione. Ciò può, in parte, riflettere il fatto inevitabile che ogni servizio pubblico fornito dai nostri stati sociali dipende dalla disponibilità di sufficienti risorse di bilancio per finanziarlo.
92. Tuttavia, condivido le riserve espresse dall’avvocato generale Jacobs in merito all’applicazione di quanto dichiarato dalla Corte nel contesto degli oneri sui sistemi previdenziali nazionali all’ambito dell’istruzione superiore. Tali dichiarazioni contengono una doppia deroga: esse derogano tanto al principio fondamentale della libera circolazione delle persone quanto ai motivi accettati a giustificazione delle suddette deroghe (che, ai termini del Trattato, sono esclusivamente non economici). Le giustificazioni di natura economica devono pertanto essere trattate con particolare cautela (56).
93. L’avvocato generale Jacobs ha altresì proposto che, qualora la Corte dovesse estendere la portata attuale del diritto degli studenti ad aiuti finanziari che vadano oltre al pagamento delle spese universitarie o dei diritti d’iscrizione, dovrebbe essere parimenti ampliata la gamma di possibili giustificazioni invocabili dagli Stati membri, in linea con la giurisprudenza concernente i destinatari dei servizi della sanità pubblica (57). Nella sentenza Bidar, la Corte ha effettivamente esteso la portata del diritto degli studenti ad aiuti finanziari, fino a includervi prestiti per il mantenimento, e ha ammesso (parallelamente) che uno studente, per poter accedere a siffatto prestito, deve dimostrare un certo livello di integrazione nello Stato membro ospitante. Motivi di bilancio possono pertanto giustificare, entro certi limiti, una restrizione dell’accesso al sostegno economico per l’istruzione.
94. Tuttavia, come ho già sottolineato, il caso di specie riguarda l’accesso all’istruzione e non quello al sostegno economico per l’istruzione e, pertanto, non può essere trasposta la decisione della Corte nella sentenza Bidar. Non ammetto che si possano invocare motivi di bilancio per giustificare limitazioni all’accesso all’istruzione per studenti non residenti. Ritengo, invece, che quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Grzelczyk nell’ambito del sostegno economico per l’istruzione, ossia che la direttiva 93/96 (58) «consente (…) una certa solidarietà finanziaria dei cittadini di tale Stato con quelli degli altri Stati membri» (59), si applichi, a fortiori, all’accesso all’istruzione.
95. In secondo luogo, il legislatore della Comunità francese sembra basarsi sulla nota tesi del «free rider», secondo cui gli studenti che si recano all’estero per studiare coglierebbero i frutti di un’istruzione finanziata dal bilancio pubblico dello Stato membro ospitante, senza contribuire al suo finanziamento tramite contribuzione fiscale (dei loro genitori), né necessariamente «ripagare quanto ricevuto» restando ad esercitare una professione nello Stato ospitante e pagandovi le imposte(60). La tesi implicita è che gli studenti non cittadini belgi, di cui trattasi, commettono una qualche forma di abuso. Chiaramente non è questo il caso. Gli studenti che si recano in un altro Stato membro per proseguirvi la propria istruzione esercitano il loro diritto alla libera circolazione – un diritto di cui possono godere, in quanto cittadini dell’Unione, senza alcuna discriminazione fondata sulla cittadinanza (61). Le loro presunte intenzioni, invocate dal legislatore della Comunità francese, sono piuttosto irrilevanti (62).
96. Condivido anche le opinioni espresse dagli avvocati generali Jacobs e Geelhoed (rispettivamente nelle cause Commissione/Austria e Bidar), secondo cui, sebbene gli studenti possano non contribuire direttamente al sistema tributario dello Stato in cui proseguono i loro studi universitari, essi rappresentano una fonte di guadagno per le economie locali dei luoghi di ubicazione delle università e, in maniera più limitata, per l’erario dello Stato per via dell’imposizione indiretta (63). Se portato alla sua logica conclusione, l’argomento secondo cui dovrebbe essere consentito di beneficiare dei vantaggi finanziati dallo Stato solo a coloro che hanno contribuito attraverso la tassazione, impedirebbe l’accesso a tali vantaggi ai cittadini di uno Stato membro che non hanno contribuito in tale modo o hanno fornito soltanto un contributo modesto (64).
97. In terzo luogo, la spiegazione fornita dalla Comunità francese, quale risulta dall’ordinanza di rinvio e dagli argomenti del Belgio esposti alla Corte, non indica sotto quale profilo l’onere finanziario posto a carico della Comunità francese da tali categorie di studenti sia «eccessivo», né in che modo il decreto risolva il presunto problema (65). Al contrario, emerge che l’istruzione superiore è finanziata mediante un sistema «a busta chiusa». Se non vado errato, ciò significa che una diminuzione del numero di studenti (quale che sia la loro cittadinanza) non comporta un corrispondente risparmio di denaro per la Comunità francese. L’aumento o la diminuzione del numero di studenti è neutrale per il bilancio.
98. Rilevo, infine, che i ricorrenti hanno suggerito dinanzi alla Corte costituzionale che tutti gli studenti non residenti dovrebbero essere ammessi al corso di studi da essi prescelto, ma non necessariamente al sostegno economico. Nelle sue osservazioni scritte presentate alla Corte di giustizia, il governo belga ha risposto affermando che tale proposta «non permetterebbe di raggiungere gli obiettivi [del decreto], che, dopo tutto, non sono di natura economica».
99. Riassumendo in merito al primo motivo di giustificazione addotto dal governo belga: non accetto che il pericolo di un onere eccessivo sulle finanze pubbliche possa servire, in linea di principio, da giustificazione per la discriminazione indiretta riguardo all’accesso all’istruzione, né (qualora, contrariamente al mio parere, una siffatta giustificazione possa in teoria essere valida per uno Stato membro) ritengo che ciò sia stato affermato nel caso di specie.
Rischio di compromissione della qualità dell’istruzione
100. I lavori preparatori del decreto proseguono invocando una giustificazione alternativa(66):
«Oltre all’onere finanziario (…), vi è anche la questione della qualità dell’istruzione. Se vi sono troppi studenti è impossibile garantire loro un quadro didattico appropriato in termini di quantità e di qualità. Né vi sono possibilità illimitate per tirocini professionali».
101. Dinanzi al giudice del rinvio, la Comunità francese ha affermato che il decreto mira a contrastare gli «effetti perversi della mobilità assoluta», vale a dire il numero in costante aumento di studenti non residenti minaccerebbe la qualità dell’istruzione a detrimento di tutti gli studenti. Gli istituti di formazione avrebbero una capacità limitata di accoglienza degli studenti. Anche il personale docente, il bilancio e le opportunità di svolgere un tirocinio pratico sarebbero limitati.
102. Il problema del sovraffollamento delle classi è noto sia agli studenti sia agli insegnanti ed è una preoccupazione legittima. La Corte ha riconosciuto che «la preservazione o il miglioramento del sistema di istruzione» (67) e «garantire un livello elevato delle formazioni universitarie» (68) costituiscono scopi legittimi ai sensi del Trattato. Le restrizioni fondate su questi motivi devono tuttavia soddisfare il criterio della proporzionalità: esse devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non devono andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo (69).
103. Dagli atti di causa si evince che l’adozione del decreto era principalmente basata su statistiche che indicavano l’aumento del numero di studenti iscritti che non avevano conseguito il loro diploma d’istruzione secondaria in Belgio. Tale dato varia in misura significativa tra i diversi corsi coperti dal decreto (70). Non erano disponibili prima dell’adozione del decreto cifre che indicassero il numero di studenti non residenti iscritti ai corsi in questione. Nel complesso, si ha la chiara impressione che la normativa che impone un numero chiuso agli studenti stranieri per un determinato numero di corsi con profili piuttosto diversi sia stata introdotta in base ad informazioni abbastanza frammentate su taluni aspetti dell’iscrizione degli studenti ad alcuni di questi corsi. Ciò è inammissibile. A scanso di equivoci, devo precisare che non sto affermando che la Comunità francese, prima di intraprendere una qualsiasi azione, avrebbe dovuto aspettare passivamente fino a che non si fosse verificato un importante pregiudizio a settori specifici del proprio sistema di istruzione superiore. Intendo dire piuttosto che le informazioni specifiche che avrebbero indotto un legislatore prudente a concludere legittimamente che un problema in nuce doveva essere bloccato sul nascere (e che, conseguentemente, apposite misure specifiche erano necessarie e proporzionate) semplicemente non erano – per quanto posso dire in base agli atti processuali – disponibili e/o non erano state valutate al momento dell’adozione del decreto.
104. Inoltre, ritengo che se il numero degli studenti è un problema, esso non può essere reso più o meno grave dalla provenienza geografica degli studenti in soprannumero. Il problema è dato da un eccessivo numero di studenti di per sé e non da un eccessivo numero di studenti non residenti. Mi pare, piuttosto, che l’intento del decreto fosse quello di salvaguardare l’accesso illimitato all’istruzione superiore per i cittadini belgi, creando ostacoli agli studenti stranieri (principalmente provenienti dalla Francia) per i quali il sistema d’istruzione superiore della Comunità francese costituisce una naturale alternativa. Una finalità del genere è in sostanza chiaramente discriminatoria e inconciliabile con gli obiettivi del Trattato (71).
105. La Corte ha già statuito che un numero eccessivo di domande d’accesso a determinate formazioni può trovare una soluzione lecita nell’adozione di provvedimenti non discriminatori specifici, quali la previsione di un esame di ammissione o il requisito di un punteggio minimo. Tali misure sono compatibili con l’art. 12 CE (72).
106. I singoli Stati membri potrebbero voler mantenere l’accesso libero e illimitato all’istruzione superiore e, naturalmente, sono perfettamente liberi di farlo. In tal caso, essi devono essere preparati ad offrire il suddetto accesso libero e illimitato a tutti gli studenti dell’UE a prescindere dalla cittadinanza. L’art. 12 CE obbliga ciascuno Stato membro a garantire una completa parità di trattamento tra i suoi cittadini e i cittadini di altri Stati membri che si trovino in una situazione disciplinata dal diritto comunitario (73). Lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, che consente a chi tra loro si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza, il medesimo trattamento giuridico (74). Il libero accesso all’istruzione non può significare «libero accesso – ma solo per i nostri cittadini».
107. Una politica restrittiva riguardo all’accesso a taluni corsi (come quella adottata in Francia), in linea di principio, è ugualmente accettabile. Tale scelta è aperta ad uno Stato membro al pari della scelta dell’accesso illimitato. Invero, il Belgio non rivendica affatto che la Francia stia contravvenendo ai principi del Trattato CE così agendo. Secondo giurisprudenza costante, anche se uno Stato membro viola il diritto comunitario, ciò non legittima l’adozione di provvedimenti correttivi o di difesa da parte di un altro Stato membro che diversamente sarebbero illegittimi (75). A fortiori ciò accade se uno Stato membro adotta misure discriminatorie a fronte degli effetti secondari della legittima scelta politica di un altro Stato membro.
108. Mi sembra certamente possibile che l’attuazione di misure meno discriminatorie possa significare l’abbandono del sistema attuale di accesso pubblico illimitato all’istruzione superiore per tutti i cittadini belgi e mi rendo perfettamente conto che ciò risulterebbe sgradito e che sarebbe forse meglio se il flusso di studenti transfrontalieri fosse regolato (nella misura necessaria) a livello comunitario (76). Tuttavia, in assenza di un tale sistema, l’eventuale necessità di dette modifiche riflette la necessità di ottemperare agli obblighi derivanti dal principio della parità di trattamento ai sensi del Trattato (77).
109. Il Belgio e taluni altri Stati membri esposti a situazioni analoghe hanno cercato di far valere di trovarsi in una posizione particolarmente vulnerabile (78).
110. I problemi della Comunità francese in Belgio e del governo austriaco derivanti dall’afflusso di studenti stranieri che possono o vogliono proseguire i loro studi rispettivamente in lingua francese e tedesca non riguardano, di fatto, solo il Belgio e l’Austria. Anche altri Stati membri possono ritenere di dover far fronte ad un afflusso di studenti provenienti da altri Stati membri, indotto da una lingua comune o da qualche altro fattore particolare (79).
111. I lavori preparatori del decreto (80) affermano che un esame di ammissione (ossia l’ovvia soluzione neutra all’avvertita minaccia per la qualità dell’istruzione derivante dall’eccessivo numero di studenti) (81) favorirebbe studenti che, grazie ad una situazione sociale privilegiata o per altri motivi, possiedono la preparazione migliore per i corsi di studi proposti. Alla Corte non sono state presentate prove empiriche a suffragio di tale affermazione. Se così fosse, sono del parere che i rimedi appropriati siano altrove. Il problema non può di per sé giustificare il ricorso a misure discriminatorie in contrasto con il diritto comunitario.
112. È ipotizzabile che possano emergere circostanze in cui una minaccia reale, seria e imminente alla qualità dell’istruzione universitaria in un settore specifico si riveli effettiva. In tal caso, la Corte potrebbe voler riesaminare se le misure indirettamente discriminatorie volte a contrastare tale minaccia siano, in linea di principio, oggettivamente giustificabili. Nel presente procedimento, benché detta giustificazione sia in teoria possibile (questione che lascio espressamente aperta) gli elementi a disposizione della Corte sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli che sarebbero necessari per giustificare un trattamento discriminatorio.
113. Concludo, pertanto, che le misure adottate nel decreto in oggetto non possono essere giustificate sulla base del percepito rischio di compromissione della qualità dell’istruzione universitaria nella Comunità francese.
La qualità del sistema sanitario pubblico
114. L’ultima giustificazione sollevata è che troppo pochi studenti residenti nella Comunità francese (distinti da quelli non residenti) ottengono diplomi in determinate specialità. Sul lungo termine, potrebbe, pertanto, non esservi sufficiente personale medico qualificato per garantire la qualità del sistema sanitario pubblico della comunità di cui trattasi.
115. I lavori preparatori del decreto si concentrano, a tal riguardo, sulla medicina veterinaria, per cui risulta che la Comunità francese abbia organizzato un esame d’ammissione nel 2003, nel 2004 e nel 2005. Nel concorso del 2005 solo 192 candidati su un totale di 795 avevano conseguito il loro diploma d’istruzione secondaria presso la Comunità francese. Dei 250 vincitori (numero fissato dal legislatore), 216 si erano diplomati all’estero. Ciò significa che solo 34 candidati nazionali avevano potuto iniziare i loro studi in medicina veterinaria (82). Il legislatore trae le seguenti conclusioni (83):
«Tale numero è chiaramente insufficiente. Qualora non venga assunta nessuna misura, la Comunità francese rischia di andare incontro a una carenza di veterinari. Vi sono serie probabilità che la penuria di veterinari non sarà compensata dai veterinari di altri Stati, a causa delle limitazioni che sussistono in altri paesi. È palese che tale mancanza di veterinari rischia di costituire un pericolo molto grave per la sanità pubblica».
116. Nell’ambito di un procedimento per inadempimento, la Corte richiede una valutazione dettagliata del rischio prospettato dallo Stato membro che invoca la deroga per motivi di salute pubblica di cui all’art. 30 CE (84). Un simile livello di controllo è applicabile alle domande di pronunce pregiudiziali (85), sebbene la determinazione finale dei fatti spetti naturalmente al giudice nazionale.
117. A mio avviso, gli elementi forniti dal Belgio negli atti di causa indicano che la valutazione del rischio, a sostegno della giustificazione per motivi di sanità pubblica addotta, risulta di gran lunga insufficiente rispetto ai livelli richiesti.
118. In primo luogo, come emerge dalle osservazioni scritte del governo belga, la potenziale penuria di veterinari sembra essere stata creata dal sistema posto in essere dalla stessa Comunità francese – segnatamente, riducendo il numero di studenti in scienze veterinarie per garantire la qualità dell’istruzione. È (per lo meno) concettualmente singolare che l’azione intrapresa per tutelare la qualità dell’istruzione (giustificazione regolarmente addotta per le misure discriminatorie adottate) debba, al contempo, condurre il governo belga a invocare la potenziale penuria di professionisti sanitari adeguatamente qualificati.
119. In secondo luogo, gli elementi forniti alla Corte suggeriscono che il potenziale problema percepito per il futuro è riconducibile ad una combinazione (quantomeno) dei seguenti fattori: (i) carenza di candidati che abbiano conseguito il loro diploma d’istruzione secondaria presso la Comunità francese che vogliano studiare per diventare veterinari e che siano abbastanza bravi da aggiudicarsi uno dei 250 posti disponibili per studiare scienze veterinarie concorrendo con altri candidati cittadini dell’Unione europea; (ii) presunzione che la maggioranza degli studenti ammessi ai corsi in scienze veterinarie che non hanno conseguito il loro diploma d’istruzione secondaria nella Comunità francese ritorneranno automaticamente nello Stato membro di origine dopo aver terminato gli studi. Dei suddetti fattori, quello sub (i) pare trovare qualche fondamento nei dati statistici (86), però quello sub (ii) è una mera presunzione. Quest’ultima presuppone specificatamente che, in genere, i veterinari non cittadini belgi ritorneranno nel proprio Stato membro dopo aver conseguito il diploma, indipendentemente dalle opportunità di lavoro a livello locale. Si sarebbe potuto supporre (al contrario) che in caso di mancanza di veterinari qualificati nel Belgio francofono, tale penuria potrebbe indurre una reazione (del mercato o ad opera delle autorità pubbliche) che renderebbe più interessanti le opportunità di lavoro locali e incentiverebbe alcuni veterinari neolaureati non cittadini belgi ad iniziare la propria carriera professionale nello Stato membro in cui hanno ricevuto la loro formazione.
120. In terzo luogo, la Comunità francese o il governo federale (o entrambi agendo congiuntamente) (87) possiedono gli strumenti normativi necessari per risolvere il potenziale problema. Le possibili soluzioni menzionate negli atti di causa includono un adeguamento del numero di veterinari ammessi alla laurea ogni anno o alla seconda parte (clinica) degli studi in medicina veterinaria (88), la collaborazione tra gli istituti di istruzione secondaria e le facoltà volta ad adeguare il livello di istruzione pre-universitaria, al fine di garantire che un numero sufficiente di cittadini belgi risponda ai requisiti di un concorso stabiliti ad un livello adeguato e l’istituzione di un anno di studio propedeutico per fornire ai potenziali veterinari una preparazione migliore per i concreti corsi universitari (89).
121. Mi rendo conto del fatto che l’attuazione delle suddette misure potrebbe creare difficoltà pratiche. Tuttavia, secondo giurisprudenza consolidata, tali difficoltà non possono giustificare di per sé la violazione di una libertà garantita dal Trattato (90).
122. Inoltre, la sezione legislativa del Consiglio di Stato belga ha osservato che l’esperienza riguardante la medicina veterinaria non si estende necessariamente agli altri corsi. Ad esempio, nonostante la quota federale stabilita per i corsi di fisioterapia, il numero di diplomati che desiderano esercitare la loro professione in Belgio corrisponde, a quanto pare, quasi perfettamente al fabbisogno di tale professione, secondo le stime del governo federale (91).
123. In quarto luogo, «le conoscenze acquisite da uno studente durante i suoi studi superiori non lo destinano generalmente ad un determinato mercato geografico del lavoro» (92). I soggetti non residenti che conseguono un diploma presso la Comunità francese potrebbero quindi essere spinti, mediante opportuni incentivi, ad iniziare la propria carriera professionale nella regione in cui hanno studiato.
124. Le suddette osservazioni si applicano mutatis mutandis agli altri corsi compresi nel decreto contestato.
125. Riguardo ad una presunta giustificazione attinente alla sanità pubblica, il decreto sembra essere stato essenzialmente preventivo. A meno che il giudice nazionale non disponga di elementi sostanzialmente più significativi di quelli sottoposti alla Corte, ritengo che non si possa affermare che sia stato soddisfatto il criterio della proporzionalità (93). Laddove vi sia un trattamento discriminatorio adottato quale misura cautelare contro un problema avvertito per il futuro, il criterio della proporzionalità dev’essere applicato con particolare attenzione.
126. Sulla base degli atti di causa, concludo che il decreto contestato non può trovare giustificazione nel fatto che troppo pochi studenti residenti nella Comunità francese conseguono il diploma affinché vi sia, durevolmente, sufficiente personale medico qualificato per garantire la qualità del sistema sanitario pubblico in seno a tale Comunità.
Conclusione riguardo alla prima condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto
127. Ne consegue che la condizione della residenza (indirettamente discriminatoria) di cui all’art. 1, primo comma, del decreto non può essere giustificata in base ad alcuno dei motivi addotti dal Belgio.
La seconda condizione cumulativa di cui all’art. 1, primo comma, del decreto
128. Per quanto mi consta, la Corte non ha mai dichiarato che una misura direttamente discriminatoria sulla base della nazionalità, contraria all’art. 12 CE, possa essere giustificata (94). Ho già spiegato poc’anzi il motivo per cui ritengo che la seconda condizione cumulativa del decreto contestato configuri una discriminazione diretta (95).
129. L’approccio fin qui seguito dalla Corte sembra logico. La discriminazione diretta fondata su motivi vietati dal Trattato è talmente in contrasto con l’idea stessa di un’Unione europea che dovrebbe essere tollerata soltanto per ottime ragioni. Secondo una giurisprudenza costante, siffatta discriminazione può essere giustificata unicamente sulla base di deroghe espresse del Trattato (96). Nel Trattato non esiste alcuna siffatta deroga al divieto generale di discriminazione in base alla cittadinanza di cui all’art. 12 CE (97).
130. Il divieto di discriminazione in base alla cittadinanza riveste un’importanza simbolica immensa. Come già affermato in maniera tanto eloquente dall’avvocato generale Jacobs, esso dimostra che «la Comunità non è semplicemente un accordo commerciale tra i governi degli Stati membri, ma un’impresa comune in cui tutti i cittadini dell’Europa possono partecipare come persone. Nessun altro aspetto del diritto comunitario tocca il singolo più direttamente o sviluppa maggiormente il significato di identità comune e di destino condiviso senza i quali “un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”, proclamata nel preambolo del Trattato, sarebbe uno slogan privo di senso» (98).
131. Nel caso in cui la Corte fosse comunque disposta a prendere in considerazione l’idea che la discriminazione diretta in base alla cittadinanza di cui all’art. 12 CE sia, in linea di principio, giustificabile, rinvio alle ragioni (come sopra esposte) per cui ritengo che non possa essere giustificata la prima condizione cumulativa indirettamente discriminatoria imposta dal decreto contestato. A fortiori, le suddette osservazioni si applicano alla seconda condizione cumulativa direttamente discriminatoria del decreto.
Conclusione riguardo alla seconda condizione cumulativa dell’art. 1, primo comma, del decreto
132. Ne consegue che non possono essere giustificate le disposizioni contenute nell’art. 1, primo comma, del decreto (secondo cui un cittadino belga soddisfa automaticamente la seconda condizione cumulativa vantando il diritto, indissociabile dalla propria cittadinanza, a soggiornare a titolo permanente in Belgio mentre tutti i cittadini stranieri – compresi tutti gli altri cittadini dell’UE – devono soddisfare uno degli altri sette criteri stabiliti in detta disposizione o le condizioni di cui alla direttiva 2004/38).
Soluzione delle questioni prima e seconda
133. Accettare le restrizioni introdotte dalla Comunità francese equivarrebbe a permettere agli Stati membri una compartimentazione dei rispettivi sistemi d’istruzione superiore (99). La Corte dovrebbe pertanto accettare con molta cautela che l’accesso all’istruzione superiore possa essere ristretto anche con misure indirettamente discriminatorie che soddisfino il criterio della proporzionalità (il che, da quanto emerge dagli atti, non è il caso delle misure belghe). Essa non dovrebbe essere disposta ad accettare misure direttamente discriminatorie su tale fondamento e per tale fine.
134. Concludo, pertanto, che gli artt. 12, primo comma, e 18, n. 1, CE, in combinato disposto con gli artt. 149, nn. 1 e 2, secondo trattino, e 150, n. 2, terzo trattino, CE debbano essere interpretati nel senso che ostano a misure come quelle contenute nel Décret régulant le nombre d’étudiants dans certains cursus de premier cycle de l’enseignement supérieur emanato dalla Comunità francese del Belgio.
La terza questione
135. Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede se la soluzione alla prima questione sarebbe diversa qualora la Comunità francese, tenuto conto dell’art. 149, n. 1, in fine, CE e dell’art. 13, n. 2, lett. c), dell’ICESCR(100), che contiene un obbligo di standstill, opti per il mantenimento di un accesso ampio e democratico ad un’istruzione superiore di qualità per la popolazione di tale Comunità.
136. La Corte ha affermato che il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) (101) si annovera tra gli strumenti internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo di cui la Corte tiene conto per l’applicazione dei principi generali del diritto comunitario (102). Ritengo che la stessa affermazione valga per l’ICESCR che, analogamente all’ICCPR, vincola ogni singolo Stato membro (103).
137. Il giudice del rinvio osserva correttamente che l’art. 13, n. 2, lett. c), dell’ICESCR contiene una clausola di standstill in quanto prevede «l’instaurazione progressiva dell’istruzione gratuita».
138. Le osservazioni generali sulla suddetta disposizione indicano che il divieto di discriminazione di cui all’art. 2, n. 2, dell’ICESCR non è «soggetto ad alcuna attuazione progressiva né alla disponibilità di risorse; esso si applica per intero e senza indugio a tutti gli aspetti dell’istruzione e racchiude tutti i motivi di discriminazione vietati a livello internazionale» (104). A titolo esemplificativo, le osservazioni generali prevedono che «tra le violazioni dell’art. 13 figurano l’introduzione o la mancata abrogazione di norme che discriminino singoli soggetti o gruppi di persone in base ai motivi vietati, nel settore dell’istruzione» (105). L’art. 2, n. 2, dell’ICESCR indica «l’origine nazionale o sociale» tra i motivi vietati.
139. L’art. 13 dell’ICESCR è – squisitamente – una misura che vieta la discriminazione in base ad un motivo proibito riguardo all’accesso all’istruzione. Il tentativo di far leva sull’art. 13, n. 2, lett. c), dell’ICESCR per giustificare una misura che discrimina palesemente in base ad uno dei motivi espressamente vietati sia dall’art. 12 CE, sia dall’art. 2, n. 2, dell’ICESCR è pertanto inspiegabile (106). (Invero, i ricorrenti nella causa principale hanno in parte fondato il proprio ricorso sull’art. 13 dell’ICESCR per impugnare il decreto contestato).
140. Per dovere di completezza, aggiungo che le osservazioni generali sull’art. 13, n. 2, lett. c), dell’ICESCR prevedono altresì che «mentre l’istruzione secondaria “deve essere resa generale ed accessibile a tutti”, l’istruzione superiore “deve essere resa accessibile a tutti su un piano d’uguaglianza, in base alle attitudini di ciascuno”. Secondo tale articolo, l’istruzione superiore non deve essere “resa generale”, ma soltanto disponibile “in base alle attitudini”. Le “attitudini” dei singoli dovrebbero essere valutate con riferimento alla loro competenza ed esperienza» (107).
141. Riguardo all’art. 149, n. 1, CE, ribadisco che sebbene esso stabilisca che gli Stati membri rimangono responsabili per «quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema d’istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche», la Corte ha chiarito che le condizioni d’accesso alla formazione professionale rientrano nel campo d’applicazione del Trattato (108). Inoltre, secondo una giurisprudenza consolidata, anche tra le materie che non rientrano nell’ambito di applicazione del Trattato (come ad esempio taluni aspetti della politica sull’istruzione) la competenza degli Stati membri dev’essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario e, in particolare, in conformità con le disposizioni del Trattato attinenti alla libertà di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri, quale conferita dall’art. 18, n. 1, CE (109).
142. Il divieto di discriminazione dovrebbe, infatti, essere considerato la pietra miliare del Trattato, proprio perché non tocca l’autonomia regolamentare degli Stati membri – a condizione che le rispettive leggi siano applicabili equamente ai cittadini e agli stranieri. Il principio chiave ad esso sotteso è che tutti i cittadini dell’Unione devono essere trattati come singole persone, a prescindere dalla loro cittadinanza (110). «Accesso all’istruzione libero e uguale per tutti» significa pertanto esattamente quello che esprime e non «accesso all’istruzione libero e uguale per tutti i miei cittadini».
143. Riconosco che i problemi riscontrati dalla Comunità francese non sono di poco conto. Tuttavia, essi dovrebbero essere risolti in una maniera che non sia una variante del concetto di «parità di trattamento per chi rientra nel cerchio magico» (111) (in questo caso i cittadini belgi), ma che rispetti lo «status fondamentale» di cittadino dell’UE garantendo parità di trattamento nell’accesso all’istruzione a tutti i cittadini UE, a prescindere dalla cittadinanza.
144. La soluzione della prima e seconda questione non è pertanto confutata dall’ultima parte dell’art. 149, n. 1, CE. Al contrario, essa è rafforzata da una corretta lettura dell’art. 13, n. 2, lett. c), dell’ICESCR.
Sulla domanda della limitazione degli effetti della sentenza nel tempo
145. Il governo belga ha chiesto alla Corte di limitare gli effetti temporali della sentenza qualora dovesse interpretare l’art. 12 CE nel senso che osta a una normativa nazionale come il decreto in questione.
146. A sostegno della propria richiesta, il governo belga ha invocato i seguenti motivi: le ripercussioni sulle finanze pubbliche della Comunità francese, il fatto che il decreto fosse stato concepito specificatamente per uniformarsi alla giurisprudenza della Corte e al diritto comunitario, il fatto che la Commissione avesse indicato che il sistema poteva essere giustificabile e la mancanza di giurisprudenza in materia.
147. Da una costante giurisprudenza risulta che solo in via eccezionale la Corte può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata. Nei casi in cui la Corte limiti in tal modo gli effetti di una sentenza, essa agisce in applicazione del principio della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico comunitario. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, cioè la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (112).
148. Più specificamente, la Corte ha disposto una limitazione temporale soltanto in presenza di circostanze ben precise, laddove vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale avevano eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione. Le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per sé, la limitazione dell’efficacia nel tempo di tale sentenza (113).
149. Nel caso di specie, tralasciando il merito delle sue argomentazioni ulteriori, dinanzi alla Corte il Belgio non ha dedotto elementi che dimostrino la sussistenza di un rischio di gravi ripercussioni economiche.
150. Conseguentemente, non è opportuno che la Corte, qualora dovesse decidere che l’art. 12 CE osta ad una normativa nazionale come il decreto contestato, limiti gli effetti della sentenza nel tempo.
Osservazione finale
151. Ho sottolineato l’importanza, per lo sviluppo dell’Unione, della libertà di circolazione degli studenti su basi di uguaglianza. Allo stesso modo, tuttavia, l’UE non deve ignorare i problemi molto concreti che possono sorgere per gli Stati membri che ospitano un gran numero di studenti di altri Stati membri (114).
152. Il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (115) prevede che l’azione a livello comunitario è giustificata se «gli obiettivi dell’azione proposta non possono essere sufficientemente realizzati con l’azione degli Stati membri nel quadro dei loro sistemi costituzionali nazionali e perciò possono dunque essere meglio conseguiti mediante l’azione da parte della Comunità». Esso fornisce altresì i seguenti principi guida da utilizzare nella verifica del rispetto di tale condizione: (i) la questione in esame presenta aspetti transnazionali che non possono essere disciplinati in maniera soddisfacente mediante l’azione degli Stati membri; (ii) le azioni dei soli Stati membri o la mancanza di un’azione comunitaria sarebbero in conflitto con le prescrizioni del Trattato o comunque pregiudicherebbero in modo rilevante gli interessi degli Stati membri; (iii) l’azione a livello comunitario produrrebbe evidenti vantaggi per la sua dimensione o i suoi effetti rispetto all’azione a livello di Stati membri.
153. Invito il legislatore comunitario e gli Stati membri a riflettere sull’applicazione dei suddetti criteri alla circolazione degli studenti tra gli Stati membri (116).
154. Infine, rammento che tra gli obiettivi della Comunità indicati all’art. 2 CE figura quello di promuovere la solidarietà tra gli Stati membri e che questi ultimi hanno un obbligo reciproco di leale collaborazione ai sensi dell’art. 10 CE (117). Ritengo che siffatte disposizioni siano assai pertinenti nel caso di specie. Laddove i modelli linguistici e le diverse politiche nazionali sull’accesso all’istruzione superiore incoraggino una mobilità particolarmente massiccia di studenti, che provoca reali difficoltà allo Stato membro ospitante, spetta sicuramente allo Stato membro ospitante e a quello di provenienza cercare attivamente una soluzione negoziata conforme al Trattato.
Conclusione
155. Conseguentemente, ritengo che le questioni pregiudiziali sottoposte dalla Cour Constitutionnelle (Belgio) debbano essere risolte come segue:
Questioni nn. 1 e 2
Gli artt. 12, primo comma, e 18, n. 1, CE, in combinato disposto con gli artt. 149, nn. 1 e 2, secondo trattino, e 150, n. 2, terzo trattino, CE devono essere interpretati nel senso che ostano a misure come quelle contenute nel Décret régulant le nombre d’étudiants dans certains cursus de premier cycle de l’enseignement supérieur emanate dalla Comunità francese del Belgio.
Questione n. 3
La presa in considerazione degli artt. 149, n. 1, in fine, CE e 13, n. 2, lett. c), del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali non influisce sulla soluzione delle prime due questioni.