Language of document : ECLI:EU:T:2011:364

Cause T‑144/07, da T‑147/07 a T‑150/07 e T‑154/07

ThyssenKrupp Liften Ascenseurs NV e altri

contro

Commissione europea

«Concorrenza — Intese — Mercato dell’installazione e della manutenzione degli ascensori e delle scale mobili — Decisione che constata un’infrazione all’art. 81 CE — Manipolazione delle gare d’appalto — Ripartizione dei mercati — Fissazione dei prezzi»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Intese — Accordi fra imprese — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri — Criteri di valutazione — Pregiudizio potenziale e significativo — Intesa che comprenda l’intero territorio di uno Stato membro — Compartimentazione dei mercati nazionali — Inammissibilità

(Artt. 81 CE e 82 CE)

2.      Concorrenza — Intese — Accordi fra imprese — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri — Carattere sensibile — Valutazione alla luce della posizione e dell’importanza delle parti sul mercato

(Art. 81 CE)

3.      Concorrenza — Ripartizione delle competenze tra la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza — Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza — Diritto delle imprese a che i loro casi siano trattati da una determinata autorità garante della concorrenza — Insussistenza

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 11, n. 6; comunicazione della Commissione 2004/C 101/03, punti 8 e 31)

4.      Comunità europee — Regime linguistico — Notifica dei documenti in una lingua diversa dalla lingua delle parti — Consenso delle parti — Assenza di irregolarità

(Regolamento del Consiglio n. 1, art. 3)

5.      Concorrenza — Regole dell’Unione — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Unità economica — Criteri di valutazione — Presunzione di un’influenza determinante esercitata dalla società controllante sulle controllate da essa detenute al 100%

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

6.      Concorrenza — Regole dell’Unione — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Presunzione di un’influenza determinante esercitata dalla società controllante sulle controllate da essa detenute al 100%

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

7.      Concorrenza — Regole dell’Unione — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Unità economica — Criteri di valutazione — Presunzione di un’influenza determinante esercitata dalla società controllante sulle controllate da essa detenute al 100% — Violazione del principio di personalità delle pene — Insussistenza — Violazione della presunzione di innocenza — Insussistenza

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

8.      Concorrenza — Regole dell’Unione — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Unità economica — Criteri di valutazione — Presunzione di un’influenza determinante esercitata dalla società controllante sulle controllate da essa detenute al 100% — Controllata detenuta da una società holding intermedia — Circostanza insufficiente a superare la presunzione

(Art. 81, n. 1, CE)

9.      Atti delle istituzioni — Motivazione — Obbligo — Portata — Decisioni — Regolarizzazione di un difetto di motivazione nel corso del procedimento contenzioso — Inammissibilità

(Art. 253 CE)

10.    Procedura — Provvedimenti istruttori — Audizione di testimoni

(Regolamento di procedura del Tribunale, artt. 64 e 65)

11.    Concorrenza — Ammende — Decisione della Commissione che accerta un’infrazione adottata successivamente ad una decisione di immunità provvisoria di un’autorità nazionale garante della concorrenza — Violazione del principio del ne bis in idem — Insussistenza

(Art. 81 CE; Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, art. 54; regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 5, 14 e 23)

12.    Concorrenza — Ammende — Decisione della Commissione che accerta un’infrazione adottata successivamente ad una decisione di immunità provvisoria di un’autorità nazionale garante della concorrenza — Violazione del principio della tutela del legittimo affidamento — Insussistenza — Violazione del principio di buona amministrazione — Insussistenza

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23)

13.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Criteri di valutazione

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

14.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Coerenza tra gli importi posti a carico di più imprese

(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

15.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Considerazione della capacità economica dell’impresa di arrecare un danno

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

16.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Carattere dissuasivo

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

17.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti — Recidiva — Nozione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 2)

18.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Riduzione dell’importo dell’ammenda in contropartita di una cooperazione dell’impresa incriminata — Presupposti — Valore aggiunto significativo degli elementi di prova forniti dall’impresa di cui trattasi

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Riduzione dell’importo dell’ammenda in contropartita di una cooperazione dell’impresa incriminata — Potere discrezionale della Commissione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

20.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata — Presupposti — Riduzione dell’importo in caso di mancata contestazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazioni della Commissione 96/C 207/04 e 2002/C 45/03)

21.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata — Applicazione della comunicazione sulla cooperazione — Riduzione a motivo della mancata contestazione al di fuori della suddetta comunicazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazioni della Commissione 96/C 207/04 e 2002/C 45/03)

22.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata — Riduzione a motivo della mancata contestazione al di fuori della comunicazione sulla cooperazione — Proporzionalità

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

23.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata — Riduzioni concesse in base, da un lato, alla comunicazione sulla cooperazione e, dall’altro, alla mancata contestazione al di fuori della comunicazione sulla cooperazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 2002/C 45/03)

24.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Fatturato complessivo dell’impresa di cui trattasi

[Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 5, lett. b)]

25.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Rispetto del principio di proporzionalità — Presupposti

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, n. 2)

1.      L’interpretazione e l’applicazione della condizione relativa agli effetti sul commercio fra Stati membri, che figura agli artt. 81 CE e 82 CE, devono assumere come punto di partenza lo scopo di tale condizione, che consiste nel delimitare, in materia di disciplina della concorrenza, il campo di applicazione del diritto dell’Unione rispetto a quello degli Stati membri. Rientrano perciò nell’ambito del diritto dell’Unione qualsiasi intesa e qualsiasi prassi atte ad incidere sulla libertà del commercio fra Stati membri in un senso che possa nuocere alla realizzazione degli scopi di un mercato unico fra gli Stati membri, in particolare isolando i mercati nazionali o modificando la struttura della concorrenza nel mercato comune.

Perché una decisione, un accordo o una prassi possano pregiudicare il commercio fra Stati membri, è necessario che, in base ad un complesso di elementi di diritto o di fatto, appaia probabile che essi siano atti ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sugli scambi tra Stati membri, in modo tale da far temere che possano nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Tale influenza inoltre non deve essere insignificante Dunque, il pregiudizio per gli scambi intracomunitari deriva in generale dalla combinazione di diversi fattori che, considerati isolatamente, non sarebbero necessariamente determinanti. Orbene, un’intesa che si estenda a tutto il territorio di uno Stato membro ha per sua stessa natura l’effetto di consolidare la compartimentazione nazionale, ostacolando così l’integrazione economica voluta dal Trattato.

(v. punti 55-57, 60)

2.      L’influenza che un accordo o una pratica concordata possono esercitare sugli scambi tra Stati membri va valutata tenendo conto, in particolare, della posizione e dell’importanza delle parti sul mercato dei prodotti di cui trattasi. Qualora le imprese che partecipano a un’intesa rappresentino congiuntamente la maggior parte dell’offerta dei prodotti di cui trattasi sul mercato interessato, detta intesa può essere considerata idonea a pregiudicare in modo notevole il commercio fra Stati membri.

Peraltro, la Commissione non ha l’obbligo di dimostrare che i comportamenti anticoncorrenziali abbiano un effetto sensibile sugli scambi fra Stati membri. Infatti, ciò che importa ai fini dell’art. 81, n. 1, CE è solo che gli accordi e le pratiche concordate restrittivi della concorrenza possano pregiudicare il commercio fra Stati membri.

(v. punti 67-69)

3.      Risulta dalle disposizioni del regolamento n. 1/2003 che la Commissione mantiene un ruolo preponderante nella ricerca e nell’accertamento delle infrazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, che non è pregiudicato dalla competenza parallela di cui le autorità nazionali garanti della concorrenza dispongono in forza di detto regolamento. Infatti, conformemente all’art. 11, n. 6, di tale regolamento, la Commissione può avviare un procedimento in vista dell’adozione di una decisione anche qualora un’autorità nazionale stia già trattando il caso, previa consultazione di quest’ultima. Inoltre, conformemente a detta disposizione, l’avvio di un procedimento da parte della Commissione priva le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri della competenza ad applicare le norme dell’Unione in materia di concorrenza riguardo al medesimo caso.

Peraltro, secondo il suo punto 31, la comunicazione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza non conferisce alle imprese implicate un diritto soggettivo a che il loro caso venga trattato da una determinata autorità. Pertanto, un’impresa non può sostenere di avere un diritto o di nutrire un legittimo affidamento a che le autorità nazionali garanti della concorrenza perseguano una determinata infrazione al posto della Commissione.

Inoltre, il punto 8 della suddetta comunicazione è privo di efficacia vincolante, dato che la sua formulazione dimostra che la semplice possibilità di ripartizione dei compiti alla quale fa riferimento non comporta l’obbligo per la Commissione di non trattare un caso qualora le condizioni che esso enuncia siano soddisfatte.

(v. punti 76-77, 80)

4.      La Commissione è un’istituzione multilingue che dev’essere considerata in grado di lavorare in tutte le lingue ufficiali della Comunità. Un’impresa ricorrente non può sostenere che la notifica della comunicazione degli addebiti e della decisione che conclude il procedimento amministrativo in una determinata lingua ufficiale, mentre essa avrebbe utilizzato due altre lingue ufficiali nell’ambito del procedimento amministrativo, pregiudichi l’esercizio dei suoi diritti di difesa, qualora essa ammetta di avere acconsentito alla notifica dei documenti nella lingua suddetta.

(v. punti 86, 414)

5.      Il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra i due soggetti giuridici. Infatti, in una simile situazione la società controllante e la sua controllata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa. Pertanto, il fatto che una società controllante e la propria controllata costituiscano una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE consente alla Commissione di emanare una decisione che infligge ammende alla società controllante, senza necessità di dimostrare l’implicazione personale di quest’ultima nell’infrazione.

Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata che abbia infranto le norme dell’Unione in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui la detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata.

In tali circostanze, è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla controllante per presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla sua controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di superare la suddetta presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato.

(v. punti 94-97, 310-313)

6.      Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata che abbia infranto le norme dell’Unione in materia di concorrenza, esiste una presunzione relativa secondo cui la detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata. Qualora i vincoli organizzativi, economici e giuridici che intercorrono tra tali imprese possano provare l’esistenza di un’influenza delle società controllanti sulla strategia delle loro controllate, è giustificato considerarle come un’unica entità economica.

Per contro, la circostanza che le imprese ricorrenti abbiano partecipato autonomamente al procedimento amministrativo ed abbiano presentato risposte individuali alla comunicazione degli addebiti non è idonea a confutare la presunzione riguardante la responsabilità delle società controllanti per il comportamento delle loro controllate. Infatti, se è vero che la circostanza che la società controllante si presenti come l’unico interlocutore della Commissione riguardo all’infrazione di cui trattasi può dimostrare l’esercizio effettivo di un’influenza determinante sul comportamento della controllata, la presentazione da parte delle controllate di un gruppo di risposte separate alla comunicazione degli addebiti non può tuttavia costituire una prova della loro autonomia.

(v. punti 96, 125-127)

7.      In forza del principio della personalità delle pene e delle sanzioni, che è applicabile a tutti i procedimenti amministrativi che possono condurre a sanzioni in forza delle norme dell’Unione in materia di concorrenza, un’impresa può essere sanzionata esclusivamente per fatti ad essa individualmente ascritti. Tuttavia, tale principio deve conciliarsi con la nozione di impresa. Infatti, non è una relazione di istigazione a commettere l’illecito tra la controllante e la sua controllata né, a maggior ragione, un’implicazione della prima in tale illecito, ma il fatto che esse costituiscono un’unica impresa ai sensi dell’art. 81 CE che permette alla Commissione di indirizzare alla società controllante di un gruppo di società la decisione che impone ammende. Inoltre, la prassi decisionale anteriore della Commissione non è trasponibile ad un caso determinato. Infatti, decisioni relative ad altri casi possono avere solo un carattere indicativo se i dati relativi alle circostanze dei casi non sono identici.

Il principio della presunzione di innocenza, quale risulta in particolare dall’art. 6, n. 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fa parte dei diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico dell’Unione ed è stato peraltro riaffermato dall’art. 6, n. 2, UE e dall’art. 48, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tenuto conto della natura delle infrazioni in parola, nonché della natura e del grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione di innocenza si applica in particolare ai procedimenti relativi a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di ammende o di penalità di mora.

In tale contesto, una regola relativa all’imputabilità di un’infrazione, quale la presunzione di un’influenza determinante esercitata da una società controllante sulle sue controllate di cui possiede il 100% del capitale, non può violare tale presunzione. Infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato che l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non osta alle presunzioni di fatto o di diritto che si riscontrano nelle leggi penali, ma impone di racchiuderle entro limiti ragionevoli tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e preservando i diritti della difesa. Pertanto, non si può considerare una violazione della presunzione d’innocenza il fatto che, in procedimenti in materia di concorrenza, vengano tratte determinate conclusioni sulla base di principi fondati sull’esperienza, purché le imprese di cui trattasi mantengano la possibilità di confutare tali conclusioni.

(v. punti 106-108, 112, 114)

8.      La possibilità di sanzionare l’ultima società controllante per il comportamento illecito di una sua controllata non osta a che una società holding intermedia o la controllata stessa venga sanzionata, se la Commissione ha potuto considerare che dette società costituivano un’unica impresa. Infatti, in tal caso, la Commissione può decidere, se sussistono le condizioni dell’imputabilità, di sanzionare la controllata che ha partecipato all’infrazione, la controllante intermedia che l’ha controllata durante tale periodo e l’ultima società controllante del gruppo. A tale proposito, nel contesto di un gruppo di società, una holding è una società volta a raggruppare partecipazioni in diverse società e la cui funzione consiste nell’assicurarne l’unità di direzione.

(v. punti 119, 122)

9.      Anche se la Commissione, nella motivazione delle decisioni che adotta per provvedere all’applicazione delle norme sulla concorrenza, non è tenuta a discutere tutti i punti di fatto e di diritto e ad esporre le considerazioni che l’hanno indotta ad adottare la decisione, essa è tuttavia tenuta, ai sensi dell’art. 253 CE, a menzionare quantomeno i fatti e le considerazioni che rivestono importanza essenziale nell’economia della sua decisione, consentendo così al giudice dell’Unione ed alle parti interessate di conoscere le condizioni nelle quali essa ha applicato il Trattato. Inoltre, salvo circostanze eccezionali, una decisione deve essere corredata di una motivazione inclusa nel testo e non può essere espressa per la prima volta, ex post, dinanzi al giudice. Pertanto, la motivazione, in linea di principio, deve essere comunicata all’interessato contemporaneamente alla decisione che gli arreca pregiudizio.

(v. punti 133, 146, 399)

10.    Per quanto riguarda la valutazione, da parte del giudice di primo grado, delle domande di misure di organizzazione del procedimento o di mezzi istruttori presentate da una parte di una controversia, il Tribunale è il solo giudice dell’eventuale necessità di integrare gli elementi di informazione di cui dispone nelle cause di cui è investito.

A tale riguardo, non può essere accolta una domanda per l’audizione di testimoni di un’impresa ricorrente qualora le dichiarazioni che questa mira ad ottenere con una simile testimonianza dinanzi al Tribunale siano già state rese dinanzi alla Commissione e siano state ritenute non suffragate da elementi di prova documentali e persino contraddette da alcuni elementi del fascicolo.

Una domanda di produzione di una precedente decisione della Commissione non può essere considerata necessaria, dato che una prassi decisionale della Commissione non può fungere da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza.

(v. punti 151-153, 211)

11.    Il principio del ne bis in idem, sancito anche dall’art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione, di cui il giudice garantisce il rispetto. Nel settore del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, tale principio vieta che un’impresa venga condannata o perseguita un’altra volta dalla Commissione per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione della Commissione non più impugnabile. L’applicazione del principio del ne bis in idem presuppone dunque che vi sia stata una pronuncia sui fatti materiali costituenti la violazione o che la legittimità del giudizio formulato intorno a quest’ultima sia stata verificata. Pertanto, il principio del ne bis in idem vieta soltanto una nuova valutazione nel merito dei fatti materiali costituenti la violazione, la quale avrebbe come conseguenza l’irrogazione di una seconda sanzione, che si cumulerebbe con la prima, nel caso in cui venga nuovamente ritenuta sussistere una responsabilità, ovvero l’irrogazione di una prima sanzione, nell’ipotesi in cui la responsabilità, esclusa dalla prima pronuncia, sia reputata sussistere dalla seconda.

Per quanto concerne la questione se una decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza possa impedire alla Commissione di condannare o di perseguire un’altra volta la stessa impresa, l’applicazione del principio del ne bis in idem è soggetta ad una triplice condizione di identità dei fatti, di identità del contravventore e di identità dell’interesse giuridico tutelato. Tale principio vieta quindi di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito al fine di tutelare lo stesso bene giuridico.

A tale riguardo, dato che una decisione di immunità provvisoria, adottata da un’autorità nazionale garante della concorrenza, non estingue definitivamente l’azione penale relativa ad un’infrazione del diritto della concorrenza, essa non impedisce alla Commissione di constatare e di sanzionare detta infrazione.

Peraltro, anche ammesso che l’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, essendo espressione di un principio generale del diritto dell’Unione, cioè il principio del ne bis in idem, possa essere invocato nel settore del diritto della concorrenza in seno all’Unione, si dovrebbe constatare che una decisione di immunità provvisoria adottata da un’autorità nazionale garante della concorrenza non può comunque essere considerata inclusa nell’ambito di tale disposizione. Infatti, la concessione di un’immunità provvisoria non soddisfa il requisito dell’estinzione definitiva dell’azione penale prescritto dalla suddetta disposizione.

(v. punti 158-161, 166-167, 174-176)

12.    Nel caso di una decisione della Commissione che sanziona un’infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza successivamente a decisioni di immunità provvisoria adottate dalle autorità nazionali garanti della concorrenza, un’impresa ricorrente non può avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento qualora non adduca alcun elemento di prova da cui risulti, da un lato, che la Commissione le abbia fornito precise assicurazioni sul fatto che gli atti di tali autorità l’avrebbero messa al riparo da qualsiasi procedimento e da qualsiasi condanna e, dall’altro, che essa abbia ricevuto precise assicurazioni da dette autorità quanto al fatto che gli atti da queste adottate avrebbero impedito alla Commissione di constatare e di sanzionare la suddetta infrazione.

La mancata considerazione, da parte della Commissione, delle decisioni di immunità provvisoria delle autorità nazionali garanti della concorrenza non può neppure violare il principio di buona amministrazione. Infatti, mentre la Commissione, in forza del principio di equità, deve tener conto delle sanzioni che sono state già irrogate all’impresa per lo stesso fatto qualora si tratti di sanzioni inflitte per violazione del diritto delle intese di uno Stato membro e, di conseguenza, per fatti avvenuti nel territorio dell’Unione, non sussiste tale situazione qualora dette autorità nazionali non abbiano inflitto alcuna sanzione all’impresa ricorrente.

(v. punti 181, 185-186)

13.    La gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza in seno all’Unione deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze del procedimento, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione. A tale proposito, le dimensioni del mercato rilevante non costituiscono, in linea di principio, un fattore indispensabile, ma solo uno fra più fattori pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione, e la Commissione non è peraltro obbligata a procedere ad una delimitazione del mercato rilevante o ad una valutazione delle sue dimensioni qualora l’infrazione in questione abbia un oggetto anticoncorrenziale. Infatti, gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione. Tuttavia, essi non ostano nemmeno a che tali fatturati siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto dell’Unione e qualora le circostanze lo richiedano.

In tale contesto, qualora la Commissione non abbia fissato l’importo generale di un’ammenda per un’infrazione riguardante uno Stato membro basandosi sulle dimensioni del mercato interessato, ma abbia fondato la sua conclusione sulla natura di detta infrazione e sulla sua estensione geografica, la considerazione secondo cui l’importo di partenza generale di un’ammenda fissata per l’intesa in detto Stato membro dovrebbe rispecchiare le presunte dimensioni ridotte del mercato rilevante si basa su una premessa errata e la decisione della Commissione non contravviene al principio di proporzionalità.

Lo stesso vale per la mancata considerazione dell’impatto dell’infrazione sul mercato. Infatti, conformemente al punto 1 A, primo comma, dei citati orientamenti, nel valutare la gravità dell’infrazione la Commissione deve procedere ad un esame dell’impatto concreto sul mercato unicamente quando risulti che tale impatto è misurabile. Per valutare detto impatto, è compito della Commissione riferirsi al gioco della concorrenza che di regola sarebbe esistito in mancanza d’infrazione. Tuttavia, qualora la Commissione affermi che era impossibile misurare gli effetti precisi di un’infrazione sul mercato, senza che le imprese interessate dimostrino il contrario, e basi la propria decisione sulla natura grave dell’infrazione nonché sull’estensione geografica della medesima, essa non supera manifestamente i limiti del potere discrezionale ad essa attribuito nella determinazione delle ammende per le infrazioni alle norme in materia di concorrenza.

(v. punti 193, 208-211, 215-216, 218-220, 226-230, 239-240, 243)

14.    Anche ammesso che la Commissione, quando constata più infrazioni molto gravi in un’unica decisione, debba garantire una certa coerenza tra gli importi di partenza generali delle ammende e le dimensioni dei vari mercati di cui trattasi, nulla indica che gli importi di partenza generali fissati per infrazioni commesse in più Stati membri siano privi di coerenza o costituiscano una deroga ad un presunto metodo di calcolo qualora Commissione abbia fissato importi di partenza generali tanto maggiori quanto maggiore era la dimensione del mercato, pur senza attenersi ad una formula matematica precisa, cosa a cui non è comunque tenuta.

(v. punti 235-236)

15.    Nell’ambito del calcolo dell’importo delle ammende inflitte ai sensi dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, un trattamento differenziato tra le imprese interessate rientra nell’esercizio dei poteri spettanti alla Commissione in forza di tale disposizione. Infatti, nell’ambito del suo margine discrezionale, la Commissione è chiamata a personalizzare la sanzione in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche propri delle imprese interessate, al fine di garantire, in ogni caso di specie, la piena efficacia delle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Così, secondo gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, per un’infrazione di una determinata gravità può essere opportuno, nei casi che coinvolgono più imprese, come i cartelli, ponderare l’importo di partenza generale per stabilire un importo di partenza specifico tenendo conto del peso e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, segnatamente qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che hanno commesso il medesimo tipo di infrazione. In particolare, è necessario valutare in quale misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in special modo ai consumatori.

Inoltre, conformemente al punto 1 A, settimo comma, degli stessi orientamenti, la differenziazione tra imprese che hanno partecipato ad una medesima infrazione non deve derivare da un calcolo rigorosamente aritmetico. Infatti, i principi di proporzionalità e di parità di trattamento non prescrivono che l’importo di partenza dell’ammenda rappresenti per tutti i diversi membri di un’intesa una percentuale identica del volume d’affari individuale. Pertanto, per verificare se una ripartizione dei membri di un’intesa in categorie sia conforme ai principi della parità di trattamento e di proporzionalità, il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità dell’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve limitarsi a controllare che tale ripartizione sia coerente e obiettivamente giustificata. Orbene, qualora un’impresa abbia partecipato solamente a una parte di un’intesa, la sua capacità di pregiudicare sensibilmente la concorrenza è inferiore. Pertanto, una decisione della Commissione che determina l’importo di partenza specifico in maniera diversa per una tale impresa non può essere discriminatoria.

Peraltro, il fatto che l’importo di partenza dell’ammenda non rappresenti necessariamente per tutti i membri di un’intesa una percentuale identica del loro rispettivo volume d’affari inerisce al metodo consistente nella ripartizione delle imprese in categorie, che comporta una determinazione forfettaria dell’importo di partenza fissato per le imprese appartenenti ad una stessa categoria. Un tale metodo, ancorché porti ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese di una stessa categoria, in linea di principio non può essere censurato.

Infine, il diritto dell’Unione non contempla un principio di applicazione generale secondo cui la sanzione dev’essere proporzionata all’importanza dell’impresa sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione.

(v. punti 247-248, 253-254, 259-260, 263, 274, 277)

16.    La necessità di garantire un sufficiente effetto deterrente all’ammenda, sebbene non giustifichi l’aumento del livello generale delle ammende nell’ambito di attuazione di una politica di concorrenza, esige che l’importo dell’ammenda sia modulato al fine di tener conto dell’effetto perseguito sull’impresa cui essa è inflitta, e ciò affinché l’ammenda non sia resa insignificante, o al contrario eccessiva, con particolare riferimento alla capacità finanziaria dell’impresa in parola, in conformità alle esigenze derivanti, da un lato, dalla necessità di garantire l’efficacia dell’ammenda e, dall’altro, dal rispetto del principio di proporzionalità.

A tale riguardo, la Commissione può considerare il fatturato globale di ciascuna impresa che faccia parte di un’intesa come un criterio pertinente per determinare un coefficiente moltiplicatore a fini deterrenti. Pertanto, le dimensioni e le risorse globali di un’impresa sono i criteri pertinenti rispetto all’obiettivo perseguito, ossia garantire l’effettività dell’ammenda adeguandone l’importo in considerazione delle risorse globali dell’impresa e della sua capacità di mobilizzare i fondi necessari per il pagamento di detta ammenda. Infatti, la fissazione della percentuale di maggiorazione dell’importo di partenza per assicurare un sufficiente effetto deterrente all’ammenda è diretta a garantire l’efficacia dell’ammenda più che a dar conto della nocività dell’infrazione per il gioco normale della concorrenza e, pertanto, della gravità della detta infrazione.

È inoltre giustificato l’aumento dell’importo di partenza per garantire la finalità di dissuasione dell’ammenda, procedimento che consiste nel differenziare il trattamento dei membri di una medesima intesa allo scopo di tener conto della misura in cui essi sono effettivamente colpiti dall’ammenda. Un siffatto aumento non determina una violazione del principio della parità di trattamento per il solo fatto che la Commissione si è riferita al fatturato globale dei partecipanti, e non ai fatturati realizzati all’interno dell’Unione o sul mercato nazionale rilevante, per valutare la necessità di aumentare l’importo delle ammende al fine di garantirne l’effetto dissuasivo.

(v. punti 285, 287, 292, 294-295)

17.    La nozione di recidiva, come viene intesa in un certo numero di ordinamenti giuridici nazionali, implica che un soggetto abbia commesso nuove infrazioni dopo essere stato punito per infrazioni simili. Inoltre, il punto 2 degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA menziona specificamente la recidiva della medesima o delle medesime imprese per un’infrazione del medesimo tipo nell’elenco esemplificativo delle circostanze aggravanti che possono giustificare un aumento dell’importo di base dell’ammenda.

A tale riguardo, non si può ammettere che la Commissione possa ritenere, nell’ambito della valutazione della circostanza aggravante della recidiva, che un’impresa debba essere considerata responsabile di una precedente infrazione per la quale non sia stata sanzionata da una decisione della Commissione e non sia stata destinataria di una comunicazione degli addebiti, cosicché detta impresa non è stata messa in condizione, nell’ambito del procedimento conclusosi con l’adozione della decisione che constatava la precedente infrazione, di presentare i propri argomenti al fine di contestare, per quanto la riguarda, l’eventuale esistenza di un’unità economica con altre imprese.

Tale conclusione si impone a maggior ragione in quanto, pur essendo vero che il principio di proporzionalità esige che il tempo trascorso tra l’infrazione di cui trattasi e una violazione precedente delle regole di concorrenza venga preso in considerazione per valutare la propensione dell’impresa a sottrarsi a tali regole, la Commissione non può essere vincolata ad un eventuale termine di prescrizione per una constatazione di recidiva.

Analogamente, sebbene sia ragionevolmente lecito ritenere che una società controllante sia effettivamente a conoscenza di una precedente decisione indirizzata dalla Commissione alla sua controllata di cui essa detiene la quasi totalità del capitale, tale conoscenza non può supplire alla mancata constatazione, nella decisione precedente, di un’unità economica tra detta società controllante e la sua controllata al fine di imputare alla controllante la responsabilità della precedente infrazione e di aumentare per recidiva l’importo delle ammende ad essa inflitte.

(v. punti 308, 319-320, 322)

18.    La comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese costituisce uno strumento destinato a precisare, nel rispetto delle norme di rango superiore, i criteri che la Commissione intende applicare nell’esercizio del suo potere discrezionale nella fissazione delle ammende inflitte per infrazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Da ciò consegue un’autolimitazione di tale potere, che non è tuttavia incompatibile con il mantenimento di un margine sostanziale di valutazione per la Commissione.

Pertanto, la Commissione dispone di un ampio margine di valutazione allorché è chiamata a valutare se elementi di prova forniti da un’impresa che abbia espresso la propria intenzione di beneficiare della comunicazione sulla cooperazione apportino un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 di detta comunicazione.

Parimenti, la Commissione, dopo avere constatato che taluni elementi di prova costituiscono un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, dispone di un margine di valutazione quando è chiamata a stabilire il livello esatto della riduzione dell’importo dell’ammenda da concedere all’impresa interessata. Infatti, il punto 23, lett. b), primo comma, della detta comunicazione prevede forcelle per la riduzione dell’importo dell’ammenda per le diverse categorie di imprese considerate. Alla luce di detto potere discrezionale, solo un superamento manifesto di tale potere può essere censurato dal giudice dell’Unione.

Pertanto, la Commissione non commette errori manifesti di valutazione determinando la riduzione dell’ammenda, sulla base della comunicazione sulla cooperazione, al livello più basso di una simile forcella, se le informazioni fornite dall’impresa interessata erano già in possesso della Commissione o non riguardavano fatti precedentemente ignorati da quest’ultima e, pur avendo potuto rafforzare la capacità di quest’ultima di provare l’infrazione, non hanno un valore aggiunto significativo. Un’impresa non può neppure pretendere un’ulteriore riduzione dell’ammenda inflittale dalla Commissione in ragione di un documento contemporaneo all’infrazione che essa le avrebbe fornito, qualora tale documento fosse già in possesso della Commissione e l’impresa abbia semplicemente fornito spiegazioni aggiuntive per comprenderne il significato.

Inoltre, la Commissione non può violare il principio della parità di trattamento nell’ambito della sua valutazione della cooperazione offerta dalle imprese partecipanti a un’intesa. Una siffatta violazione non sussiste qualora, da un lato, la ponderazione del valore aggiunto di una domanda a titolo della comunicazione sulla cooperazione sia effettuata in funzione degli elementi di prova già in possesso della Commissione e, dall’altro, una delle imprese interessate abbia apportato prove documentali contemporanee che presentavano valore aggiunto significativo, mentre un’altra abbia fornito un solo elemento di prova contemporaneo, cosicché, non trovandosi le due imprese in situazioni comparabili, il trattamento differenziato loro applicato è giustificato.

(v. punti 332-333, 335, 337, 350, 355, 357, 361, 363, 367-369)

19.    Una società ricorrente sanzionata per infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza non può basarsi sul principio dell’in dubio pro reo per chiedere che le sia applicata una percentuale più favorevole di riduzione dell’ammenda inflitta dalla Commissione in un caso di asserito dubbio che vizierebbe la motivazione della decisione relativa alla determinazione di tale percentuale. Infatti, tale principio riguarda l’amministrazione della prova dell’esistenza di un’infrazione e mira a determinare se le constatazioni relative ai fatti operate dalla Commissione nella decisione impugnata siano sostenute dagli elementi di prova da essa prodotti.

(v. punto 343)

20.    A differenza della parte D, punto 2, secondo trattino, della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese del 1996, la comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese del 2002 non prevede una riduzione dell’importo dell’ammenda a favore di un’impresa che, dopo avere ricevuto la comunicazione degli addebiti, non contesti i fatti sui quali la Commissione fonda le sue accuse. Nell’ambito di quest’ultima comunicazione, per ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda, un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova della presunta infrazione che apportino un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in suo possesso.

A tale riguardo, conformemente ai punti 21 e 22 della comunicazione sulla cooperazione del 2002, la Commissione, per ponderare il valore aggiunto degli elementi di prova forniti da un’impresa, tiene conto non solo della natura e/o del livello di precisione dei medesimi, ma anche degli elementi di prova già in suo possesso nel momento in cui l’impresa interessata ha presentato la propria domanda. Di conseguenza, la Commissione effettua la propria valutazione sulla base sia della qualità della cooperazione dell’impresa interessata sia del confronto del valore aggiunto in questione con gli elementi di prova già in suo possesso.

(v. punti 378-379, 382, 393, 398)

21.    Il diritto di invocare la tutela del legittimo affidamento si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione dell’Unione, fornendogli precise assicurazioni, ha fatto sorgere in lui aspettative fondate. Per contro, nessuno può invocare una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento in mancanza di assicurazioni precise da parte dell’amministrazione. Costituiscono assicurazioni in tal senso informazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate ed affidabili.

Nell’ambito della determinazione dell’importo di un’ammenda per infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione, l’annuncio, nella comunicazione degli addebiti, che la Commissione intende concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda al di fuori della comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese non può costituire un’assicurazione precisa quanto all’entità o alla percentuale della riduzione che verrebbe eventualmente concessa alle imprese interessate. Pertanto, un’affermazione siffatta non può in alcun caso suscitare un legittimo affidamento a tale riguardo.

Neppure una prassi decisionale della Commissione può fungere da quadro giuridico per le ammende in materia di concorrenza.

(v. punti 421-425)

22.    Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti.

A tale riguardo, non viola il principio di proporzionalità una decisione della Commissione che concede solamente una riduzione minima dell’1% dell’importo dell’ammenda per la mancata contestazione dei fatti, e alla luce del valore marginale di una cooperazione offerta dopo la comunicazione degli addebiti, qualora tale riduzione si aggiunga a quelle già riconosciute nell’ambito della comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese.

(v. punti 428, 432, 449)

23.    La Commissione non può violare il principio della parità di trattamento nell’ambito della sua valutazione della cooperazione fornita dalle imprese partecipanti a un’intesa. Tuttavia, oltre al fatto che le riduzioni degli importi delle ammende concesse nell’ambito della comunicazione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese e le riduzioni accordate al di fuori dell’ambito di tale comunicazione costituiscono fasi distinte del calcolo dell’importo delle ammende, le imprese che hanno cooperato sia nell’ambito di detta comunicazione che al di fuori di essa, da una parte, e le imprese che hanno cooperato soltanto al di fuori dell’ambito della medesima comunicazione, dall’altra, non si trovano in situazioni comparabili. Pertanto, la Commissione può legittimamente applicare una riduzione dell’importo dell’ammenda per la cooperazione al di fuori della comunicazione sulla cooperazione, da un lato, direttamente all’importo totale dell’ammenda alle imprese che non hanno cooperato nell’ambito di detta comunicazione e, dall’altro, all’importo già ridotto in base alla suddetta comunicazione alle imprese che hanno cooperato nell’ambito della medesima.

(v. punti 435-437)

24.    Secondo l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti ad un’infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente. Il fatturato di cui alla menzionata disposizione si riferisce al fatturato complessivo dell’impresa considerata. Pertanto, il tetto del 10% del fatturato previsto in detta disposizione dev’essere calcolato sulla base del volume d’affari complessivo di tutte le società che costituiscono l’entità economica che agisce in qualità di impresa ai sensi dell’art. 81 CE.

(v. punti 443-444)

25.    In base al principio di proporzionalità, nell’ambito della determinazione dell’ammontare delle ammende per infrazione alle norme dell’Unione in materia di concorrenza, le ammende non devono essere sproporzionate rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto all’osservanza delle norme in materia di concorrenza, e l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionato all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto in particolare della sua gravità. Inoltre, nella determinazione dell’importo delle ammende, la Commissione può tenere conto dell’esigenza di garantire alla stesse un effetto sufficientemente dissuasivo.

A tale riguardo, in primo luogo, intese consistenti principalmente in un accordo collusivo segreto tra concorrenti per ripartirsi i mercati o congelare le quote di mercato attribuendosi i progetti relativi alla vendita e all’installazione di ascensori e/o di scale mobili nuovi, e per non farsi concorrenza nel settore della manutenzione e dell’ammodernamento di ascensori e scale mobili, rientrano per loro stessa natura tra le violazioni più gravi dell’art. 81 CE. A tale riguardo, le dimensioni relativamente ridotte del mercato dei prodotti di cui trattasi, quand’anche appurate, sono meno importanti degli altri elementi a sostegno della gravità dell’infrazione messi insieme.

In secondo luogo, la regola della proporzionalità delle ammende rispetto alle dimensioni e alla potenza economica delle unità economiche interessate, che agiscono in qualità di impresa ai sensi dell’art. 81 CE, non è violata se esse non superano il tetto di cui all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, inteso ad evitare che le ammende siano sproporzionate rispetto all’importanza dell’impresa.

In terzo luogo, ai fini del calcolo delle ammende, la Commissione può prendere in considerazione segnatamente le dimensioni e la potenza economica dell’unità economica che agisce in qualità di impresa ai sensi dell’art. 81 CE. Tuttavia, l’impresa pertinente da prendere in considerazione può non corrispondere a ciascuna controllata che ha partecipato alle infrazioni constatate, ma alle imprese costituite dalla società controllante e dall’insieme delle sue controllate.

In quarto luogo, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare delle ammende in funzione della gravità e della durata dell’infrazione, ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a diverse imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende a cui è giunto il suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le stesse imprese in ordine al loro fatturato complessivo o al loro fatturato sul mercato interessato dall’infrazione. Infatti, l’importo finale dell’ammenda non costituisce, a priori, un elemento appropriato per determinare un’eventuale mancanza di proporzionalità dell’ammenda alla luce dell’importanza dei partecipanti dell’intesa. La determinazione dell’importo finale dell’ammenda è, in particolare, funzione di diverse circostanze collegate al comportamento individuale dell’impresa in questione e non alla sua quota di mercato o al suo fatturato, come la durata dell’infrazione, l’esistenza di circostanze aggravanti o attenuanti e il grado di cooperazione della detta impresa.

(v. punti 450-456)