Language of document : ECLI:EU:C:2010:743

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentate il 7 dicembre 2010 (1)

Causa C‑375/09

Prezes Urzędu Ochrony Konkurencji i Konsumentów

contro

Tele2 Polska sp. zoo, attualmente Netia SA w Warszawie

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Najwyższy (Polonia)]

«Concorrenza – Regolamento (CE) n. 1/2003 – Constatazione di inapplicabilità – Autonomia procedurale degli Stati membri – Competenza delle autorità nazionali garanti della concorrenza ad adottare decisioni che constatano l’inapplicabilità dell’art. 102 TFUE alle pratiche di un’impresa»





1.        Nel presente procedimento il Sąd Najwyższy (Corte suprema polacca) chiede alla Corte di interpretare l’art. 5 del regolamento (CE) del Consiglio n. 1/2003 (2). La controversia verte sui limiti dell’autonomia procedurale degli Stati membri nel contesto del sistema di attuazione del diritto comunitario in materia di concorrenza [divenuto diritto dell’Unione europea (UE) in materia di concorrenza] ai sensi del regolamento n. 1/2003, che ha sostituito il precedente sistema instaurato dal regolamento n. 17 del Consiglio (3). È in discussione il modo in cui un’autorità nazionale garante della concorrenza (in prosieguo: «AGC») può concludere un procedimento amministrativo nel caso in cui, applicando il diritto dell’Unione europea in materia di concorrenza parallelamente al diritto nazionale, constati che il comportamento di una determinata impresa non contravviene al divieto di abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’UE

2.        Ai sensi dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003, le AGC degli Stati membri sono competenti ad applicare gli artt. 101 TFUE e 102 TFUE in casi individuali. L’art. 5 del regolamento dispone inoltre quanto segue:

«A tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, [le AGC] possono adottare le seguenti decisioni:

–        ordinare la cessazione di un’infrazione,

–        disporre misure cautelari,

–        accettare impegni,

–        comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale.

Qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussist[a]no le condizioni per un divieto, possono anche decidere di non avere motivo di intervenire» (il corsivo è mio).

3.        L’art. 10 del regolamento n. 1/2003 dispone che, per ragioni di interesse pubblico dell’Unione relative all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, la Commissione europea, d’ufficio, può stabilire mediante decisione che l’art. 101 TFUE è inapplicabile a un accordo, a una decisione di un’associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all’articolo 101, n. 1, TFUE non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all’art. 101, n. 3, TFUE. La Commissione può effettuare una tale constatazione anche in relazione all’art. 102 TFUE.

4.        La comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza (4) enuncia che «[l]a Commissione è nella posizione più idonea quando uno o più accordi o pratiche (…) incidono sulla concorrenza in più di tre Stati membri» (punto 14) e che «[i]noltre, la Commissione è in una posizione particolarmente idonea per trattare i casi che presentano una stretta relazione con altre disposizioni [dell’Unione] per la cui applicazione la Commissione ha competenza esclusiva o che possono essere meglio applicate dalla Commissione, come pure i casi nei quali la tutela dell’interesse [dell’Unione] richiede l’adozione di una decisione della Commissione per adeguare la politica di concorrenza [dell’Unione] a problemi di concorrenza nuovi o per assicurare il rispetto effettivo delle regole di concorrenza» (punto 15).

B –    Diritto nazionale

5.        L’art. 11 della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori (5), nella versione in vigore all’epoca dei fatti, così recita:

«1)      [L’AGC polacca] adotta una decisione di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza, qualora non constati la violazione dei divieti stabiliti agli artt. 5 o 8.

2)      [L’AGC polacca] adotta la decisione di cui al n. 1 anche nel caso in cui l’accordo soddisfi i presupposti di cui all’art. 7, n. 1, ma non sia contenuto nel decreto del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 7.

3)      L’onere di provare le circostanze di cui al n. 2 incombe all’impresa o all’associazione di imprese».

II – Fatti e questioni pregiudiziali

6.        La Telekomunikacja Polska S. A. era sospettata di avere violato l’art. 8 della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori, nonché l’art. 102 TFUE (6). Al termine del procedimento, l’AGC polacca constatava che il comportamento di tale impresa non costituiva un abuso e che essa non aveva fatto ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza, e dichiarava, ai sensi dell’art. 102 TFUE, di non avere motivo per intervenire. Tale decisione veniva impugnata da un terzo, la Tele2 Polska sp. zoo, divenuta Netia SA w Warszawie. Il Sąd Okręgowy (Tribunale distrettuale) – Sąd Ochrony Konkurencji i Konsumentów (Tribunale per la tutela della concorrenza e dei consumatori), con sentenza successivamente confermata dalla Corte d’appello di Varsavia, annullava la decisione contestata, dichiarando che l’AGC polacca avrebbe dovuto adottare una decisione dichiarativa di non constatazione del ricorso ad una pratica restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 102 TFUE, poiché aveva adottato una decisione in tal senso in base al diritto nazionale.

7.        L’AGC polacca proponeva un ricorso per cassazione, sostenendo che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 detta una regola di competenza per le AGC e ne limita la possibilità di decisione, e che, conformemente a tale regola, le AGC non possono adottare una siffatta decisione. L’AGC polacca aveva invece adottato una decisione che aveva posto fine alla causa in maniera diversa dalla statuizione nel merito. L’art. 5 del regolamento elenca quattro tipi di decisioni di merito e successivamente, nella sua ultima parte, menziona una decisione di natura procedurale: le AGC «possono anche decidere di non avere motivo di intervenire». La Commissione può constatare mediante decisione che l’art. 102 TFUE è inapplicabile ad un determinato comportamento dell’impresa, ma le AGC non hanno tale facoltà.

8.        Il giudice del rinvio ritiene, in primo luogo, che il caso in esame verta sui limiti imposti all’autonomia procedurale delle AGC e che ad esse non sia consentito di adottare una decisione che constata l’assenza di prassi restrittive della concorrenza, in quanto siffatta decisione non rientra tra quelle elencate all’art. 5, secondo comma, del regolamento n. 1/2003. In secondo luogo, il giudice nazionale suggerisce che, nondimeno, l’art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’art. 5, secondo comma, e altre disposizioni del medesimo regolamento, potrebbe essere interpretato nel senso che consente alle AGC di adottare una decisione analoga a quella in questione. In tale contesto il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 5 del regolamento [n. 1/2003] debba essere interpretato nel senso che l’[AGC] non può adottare decisioni di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. [102 TFUE], qualora in esito al procedimento dichiari che l’impresa in questione non ha violato il divieto di abuso di posizione dominante risultante da tale disposizione del Trattato.

2)      In caso di soluzione affermativa della prima questione, se, in una situazione in cui la legislazione nazionale per la tutela della concorrenza autorizza l’[AGC] a concludere il procedimento in materia di repressione delle pratiche anticoncorrenziali – qualora si constati che il comportamento dell’impresa non viola il divieto ex art. [102 TFUE] – esclusivamente con l’adozione di una decisione di non constatazione di una prassi restrittiva della concorrenza, l’art. 5, terza frase, del regolamento [n. 1/2003] debba interpretarsi nel senso che costituisce il fondamento normativo diretto di una decisione di tale autorità “sull’assenza di motivo per l’intervento da parte della medesima”».

9.        Hanno presentato osservazioni scritte i governi polacco (7) e ceco, la Commissione e l’Autorità di vigilanza AELS. Tutte le parti menzionate, ad eccezione del governo ceco, hanno svolto osservazioni orali all’udienza tenutasi il 21 settembre 2010.

III – Analisi

A –    Argomenti principali delle parti

10.      La Commissione e l’Autorità di vigilanza AELS sostengono, in sostanza, che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 non consente ad un’AGC di adottare una decisione di natura dichiarativa con cui constata l’inapplicabilità degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE e che solo la Commissione dispone di tale competenza. Tra l’altro, consentire ad un’AGC di dichiarare l’inapplicabilità degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE – qualora possa essere stabilita la legittimità del comportamento dell’impresa –, oltre a comportare un notevole dispendio di risorse amministrative, potrebbe dissuadere le vittime di comportamenti che esse ritengano illegittimi dall’esercitare azioni individuali contro il responsabile e dal contribuire così all’attuazione privata delle norme dell’Unione europea in materia di concorrenza (mentre il regolamento n. 1/2003 è volto a sostenere l’attuazione privata). Quanto alla seconda questione, la Commissione afferma che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 è direttamente applicabile. L’Autorità di vigilanza AELS sostiene che, in una situazione come quella oggetto della causa principale, in cui si ritiene che non sussistano le condizioni per l’adozione di una decisione di divieto, un’AGC è tenuta, in forza degli artt. 3, n. 1, e 5 del regolamento n. 1/2003, ad applicare l’art. 102 TFUE e a concludere il proprio procedimento amministrativo constatando di non avere motivo per intervenire.

11.      Il governo polacco sostiene che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 contiene un elenco esaustivo delle competenze delle AGC. L’art. 5, ultima frase, non consentirebbe loro di adottare una decisione con efficacia dichiarativa che constata l’assenza di prassi restrittive. In risposta alla seconda questione, il governo polacco afferma che l’atto con cui un’AGC chiude un procedimento relativo ad una presunta violazione della concorrenza – una volta accertato di non avere motivo per intervenire – dovrebbe assumere la forma di una decisione procedurale che dispone la chiusura del procedimento senza che occorra statuire nel merito.

12.      Contrariamente alle altre parti, il governo ceco sostiene che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 non consente ad un’AGC di adottare una decisione di non constatazione di una prassi restrittiva della concorrenza. Il regolamento n. 1/2003 non stabilirebbe una gerarchia tra la Commissione e le AGC e si fonderebbe semmai su un rapporto di collaborazione orizzontale. Lo scopo dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003 risulterebbe compromesso qualora un’AGC fosse competente ad adottare una decisione che constata l’assenza di una violazione dell’art. 102 TFUE, ma non qualora potesse dichiarare che non vi è stata alcuna infrazione. Il governo ceco afferma che le disposizioni applicabili della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori non mettono a rischio gli obiettivi degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE.

B –    Analisi


 Osservazioni preliminari sul nuovo sistema di attuazione basato sull’«eccezione legale»

13.      Il regolamento n. 1/2003 (8), definito anche come «il regolamento di modernizzazione», ha apportato modifiche radicali alle modalità di attuazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Tra le novità introdotte, è stata abolita la notifica alla Commissione degli accordi ai fini dell’esenzione ai sensi dell’attuale art. 101, n. 3, TFUE (9) – sostituita dal sistema di eccezione legale (10) – ed attualmente sia le AGC sia i giudici nazionali sono associati molto più strettamente all’applicazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (11).

14.      Il decentramento dell’attuazione del diritto UE della concorrenza va al di là del semplice obbligo della AGC e dei giudici nazionali di applicare gli artt. 101 e 102 TFUE. Per consentire la corretta attuazione del decentramento, il regolamento n. 1/2003 prevede almeno tre meccanismi distinti: i) l’attribuzione di competenze alle AGC e ai giudici nazionali, con conseguente riduzione dell’attività di esecuzione diretta della Commissione (12), ii) l’obbligo delle AGC e dei giudici nazionali di applicare gli artt. 101 TFUE e 102 TFUE nell’ambito di un sistema che disciplina il rapporto tra il diritto nazionale e quello dell’Unione, e infine, ma non in ordine di importanza, iii) dispositivi volti ad agevolare la cooperazione e il controllo sull’operato delle AGC e dei giudici nazionali al fine di garantire l’applicazione uniforme e coerente delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (13). Come si vedrà, una conseguenza inerente all’importante ruolo svolto dalle AGC (e dai giudici nazionali) nel funzionamento del nuovo sistema consiste nel fatto che, ai sensi del regolamento n. 1/2003, esse sono soggette a norme rigorose concernenti sia le loro competenze che l’esercizio delle stesse (14).

 Sulla prima questione

15.      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 osti a che le AGC adottino decisioni negative nel merito allorché applicano l’art. 102 TFUE.

16.      Come giustamente suggerito dall’Autorità di vigilanza AELS, in linea di principio, le questioni che fanno riferimento unicamente all’art. 102 TFUE andrebbero interpretate nel senso che riguardano anche la competenza delle AGC ad adottare decisioni negative nel merito ai sensi del’art. 101 TFUE. Ritengo, pertanto, che le risposte alle questioni sollevate debbano valere sia per l’art 101 TFUE che per l’art. 102 TFUE.

17.      Secondo il giudice del rinvio è indubbio che una decisione ai sensi del diritto nazionale della concorrenza (15), con cui si constata che una particolare prassi non costituisce una restrizione della concorrenza, non rientra nella categoria delle decisioni elencate nella seconda frase dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003.

18.      Il giudice nazionale nutre invece dubbi sulla questione se l’AGC polacca possa adottare una decisione di questo tipo sul fondamento dell’art. 102 TFUE, dato che l’art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003 conferisce alle AGC la competenza a decidere di non avere motivo di intervenire se non sussistono le condizioni per un divieto.

19.      Anzitutto, occorre esaminare le disposizioni applicabili del regolamento n. 1/2003. Ai sensi dell’art. 3 di tale regolamento (16), le AGC devono applicare gli artt. 101 e 102 TFUE qualora le pratiche di un’impresa sospettata di violare divieti scaturenti dal diritto nazionale della concorrenza possano pregiudicare il commercio tra Stati membri. Il regolamento n. 1/2003 presuppone che le AGC applichino gli artt. 101 e 102 TFUE conformemente alle norme procedurali dei loro Stati di appartenenza e questi ultimi, se necessario, devono modificare la propria normativa interna per adeguarla al nuovo sistema (17).

20.      Invero, per quanto riguarda tale principio generale, la Corte ha dichiarato nella sentenza Otto (18) che «l’applicazione degli artt. [101 e 102 TFUE] da parte delle autorità nazionali è in via di principio disciplinata dalle norme processuali nazionali. Fatta salva l’osservanza del diritto [dell’Unione] ed in particolare dei suoi principi fondamentali, spetta quindi al diritto nazionale definire le modalità procedurali idonee a garantire i diritti della difesa degli interessati. Queste garanzie possono differire da quelle che si applicano nei procedimenti [dell’Unione]».

21.      Inoltre l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 afferma che le AGC sono competenti ad applicare gli artt. 101 e 102 TFUE in casi individuali e che a tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, “possono adottare” le seguenti decisioni: i) ordinare la cessazione di un’infrazione; ii) disporre misure cautelari; iii) accettare impegni e iv) comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale. Esso prevede infine che, qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussistano le condizioni per un divieto, le AGC possono anche decidere di non avere motivo di intervenire.

22.      Si pone quindi la questione se l’elenco delle decisioni che le AGC sono autorizzate ad adottare (contenuto all’art. 5 del regolamento n. 1/2003) sia esaustivo. Il governo polacco e la Commissione ritengono che si tratti effettivamente di un elenco esaustivo, tesi che sembra condivisa dalla dottrina (19).

23.      In ogni caso è sufficiente rilevare che l’art. 5 non ha propriamente carattere esaustivo, se non altro perché non è l’unica disposizione del regolamento n. 1/2003 in forza della quale le AGC possono adottare decisioni: vi è anche l’art. 29, n. 2 («Revoca in casi specifici»), secondo cui le AGC possono revocare, a determinate condizioni, il beneficio di un regolamento di esenzione per categoria (20).

24.      Infatti, come giustamente osservato dal giudice del rinvio, se – in esito ad un procedimento in cui le norme dell’Unione in materia di concorrenza sono state applicate parallelamente a quelle nazionali – l’AGC conclude che la prassi dell’impresa oggetto dell’indagine non contravviene al divieto di abuso di posizione dominante, l’AGC, di regola, in base al principio dell’autonomia procedurale, deve adottare la decisione appropriata prevista dal diritto nazionale. Nel sistema legale polacco una siffatta decisione sarebbe una decisione di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza adottata sul fondamento dell’art. 11 della legge sulla tutela della concorrenza e dei consumatori.

25.      Tuttavia è importante sottolineare che è comunque possibile porre limiti al principio dell’autonomia procedurale, non da ultimo perché occorre conseguire uno degli obiettivi del regolamento n. 1/2003 – vale a dire l’applicazione uniforme degli artt. 101 e 102 TFUE in tutta l’Unione europea (primo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003). A mio parere, l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 comporta una siffatta limitazione, laddove specifica i tipi di decisioni che possono essere adottati dalle AGC.

26.      Benché sia evidente che il regolamento n. 1/2003 non armonizza le modalità procedurali nazionali (21), ciò non toglie che alcune importanti questioni sono state disciplinate a livello dell’Unione – soprattutto il contenuto delle decisioni adottabili dalle AGC.

27.      A mio parere, se il legislatore dell’Unione avesse voluto consentire alle AGC di adottare decisioni che constatano l’assenza di prassi restrittive della concorrenza (come previsto dalla legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori), avrebbe chiaramente e specificamente incluso questo tipo di decisioni nell’elenco di cui all’art. 5 del regolamento n. 1/2003 (o, quanto meno, in un’altra parte del regolamento, come ha fatto per le decisioni ex art. 29, n. 2). Ciò vale a maggior ragione in quanto il legislatore dell’Unione era cosciente di tale problematica, che infatti è stata oggetto di discussione nel corso del procedimento legislativo che ha condotto all’adozione del regolamento n. 1/2003 (v., infra, paragrafi 39‑41).

28.      L’intenzione di non attribuire alle AGC il potere di adottare tali decisioni emerge anche dalla relazione di accompagnamento alla proposta della Commissione. In tale documento la Commissione ha sottolineato che la «proposta presuppone che le [AGC] applicheranno gli articoli [101 e 102 TFUE] conformemente alle rispettive norme procedurali nazionali. Non è necessario, ai fini dell’attuazione della riforma, avviare un’armonizzazione su larga scala delle norme procedurali nazionali [(22)]. È necessario invece regolare a livello comunitario uno specifico numero di questioni che hanno un impatto diretto sul valido funzionamento del sistema proposto». La Commissione ha aggiunto che è «necessario definire il contenuto delle decisioni che [le AGC] possono adottare in applicazione degli articoli [101 e 102 TFUE] (vedi l’articolo 5 della proposta di regolamento) per garantire la piena ed effettiva attuazione del regime di eccezione previsto. Nell’applicare le regole di concorrenza [dell’Unione], nessuna [AGC] può avere la facoltà di adottare decisioni d’esenzione costitutive di diritti».

29.      Come giustamente osservato dall’Autorità di vigilanza AELS, mentre il regolamento n. 1/2003 autorizza le AGC ad adottare decisioni «positive» di merito (23), è evidente che esso non contempla, in parallelo a tale competenza a porre fine alle infrazioni applicando (anche) l’art. 102 TFUE, la competenza delle AGC ad adottare decisioni «negative» di merito. Nulla nell’art. 5, né peraltro in nessun’altra disposizione del regolamento n. 1/2003, attribuisce specificamente alle AGC la competenza a dichiarare formalmente che non vi è stata violazione dell’art. 102 TFUE in un caso individuale. Semmai, è evidente che un’AGC può solo decidere «di non avere motivo di intervenire» (v. art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003).

30.      Ritengo (al pari del governo polacco, della Commissione e dell’Autorità di vigilanza AELS), che qualsiasi altra interpretazione rischierebbe di creare situazioni nelle quali, in virtù del principio del ne bis in idem, una decisione negativa di un’AGC potrebbe impedire alla Commissione, o ad un’altra AGC, di accertare successivamente una violazione dell’art. 101 TFUE (24).

31.      Si può osservare che tali limitazioni della competenza della AGC riguardo alle decisioni negative sembrerebbero anche in linea con la prassi decisionale della Commissione. Nei casi individuali in materia di antitrust, qualora dalle indagini della Commissione non siano emerse prove sufficienti per dimostrare che ricorrevano le condizioni legali di una violazione del diritto UE della concorrenza, il procedimento viene concluso senza che la Commissione adotti una decisione negativa di merito o emetta un parere motivato rivolto ai soggetti che hanno preso parte alla presunta infrazione (25).

32.      Inoltre il giudice del rinvio fa giustamente riferimento ad un’interpretazione sistematica del regolamento n. 1/2003. L’art. 5 fa parte del capitolo II del suddetto regolamento, dal titolo «Competenze». L’art. 4 di tale capitolo riguarda le competenze della Commissione, l’art. 5 quelle delle AGC e l’art. 6 quelle dei giudici nazionali. Mentre gli artt. 4 e 6 si limitano a confermare generalmente le competenze della Commissione e dei giudici nazionali quanto all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, l’art. 5 limita la competenza delle AGC all’applicazione di tali disposizioni in casi individuali e disciplina espressamente in qual modo (cioè adottando quali decisioni) le AGC applichino gli artt. 101 e 102 TFUE (26).

33.      A mio parere l’interpretazione letterale dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003 proposta nei paragrafi precedenti, oltre ad essere molto chiara, risulta anche suffragata da altre disposizioni del medesimo regolamento. In effetti importa confrontare il testo dell’art. 5 con quello dell’art. 10.

34.      Ai sensi dell’art. 10, intitolato «Constatazione di inapplicabilità», per ragioni di interesse pubblico dell’Unione relative all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, la Commissione, d’ufficio, può stabilire mediante decisione che l’art. 101 TFUE è inapplicabile a un accordo, a una decisione di un’associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all’art. 101, n. 1, TFUE non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all’art. 101, n. 3, TFUE. La Commissione può effettuare una tale constatazione anche in relazione all’art. 102 TFUE (27). Le decisioni ex art. 10 sono intese a garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza attraverso il loro effetto nei confronti delle altre autorità di vigilanza (28).

35.      Ne consegue che, nel regolamento n. 1/2003, il legislatore dell’Unione ha conferito alla Commissione la competenza esclusiva ad adottare decisioni negative di merito (constatazioni di inapplicabilità).

36.      Tale interpretazione è suffragata dal quattordicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003, secondo cui può essere utile, in casi eccezionali dettati da ragioni di interesse pubblico dell’Unione europea, che la Commissione adotti decisioni di natura dichiarativa in ordine all’inapplicabilità del divieto di cui all’art. 101 TFUE o all’art. 102 TFUE, al fine di rendere chiara la legislazione e di garantirne un’applicazione coerente in tutta l’Unione, in particolare per quanto riguarda nuovi tipi di accordi o di pratiche non consolidati nella giurisprudenza e prassi amministrativa esistenti. Quanto alla condizione relativa al ricorso a tale dispositivo solo in casi eccezionali, si può ritenere che essa rispecchi uno degli obiettivi del regolamento n. 1/2003, ossia preparare le condizioni per una transizione verso l’autovalutazione (29).

37.      Inoltre, il regolamento n. 1/2003 ha imposto alla Commissione di redigere una relazione sul funzionamento dello stesso entro il 1° maggio 2009, vale a dire cinque anni dopo la sua entrata in vigore. In un documento di lavoro di accompagnamento a codesta relazione (30), la Commissione afferma di non avere ancora adottato alcuna decisione ai sensi dell’art. 10, affermazione confermata anche all’udienza tenutasi nel settembre 2010. Oltre a ciò, l’impiego dell’espressione «interesse pubblico [dell’UE]» nella disposizione in parola esclude la possibilità che tali decisioni possano essere legittimamente adottate nell’interesse di singole imprese, dato che lo scopo consiste nell’impedire che questo strumento venga utilizzato per rimpiazzare la decisione di esenzione del vecchio sistema. L’art. 10 riguarda solo casi eccezionali ed è inteso a chiarire il diritto e a garantirne l’applicazione coerente in tutta l’Unione europea (31) e in particolare a: i) «correggere» l’approccio delle AGC, o ii) segnalare alla REC il modo in cui dev’essere trattato un determinato caso. È interessante notare come la Commissione spieghi nella relazione che in pratica, tuttavia, tali strumenti ex ante per garantire l’uniformità sono stati ampiamente superati dagli intensi sforzi profusi dalla REC per promuovere l’applicazione uniforme delle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Apparentemente, all’epoca in cui è stato adottato il regolamento n. 1/2003, non si prevedeva che la REC si sarebbe rivelata una sede così adeguata per discutere questioni generali di politica della concorrenza. Pertanto la Commissione non ha avuto motivo di procedere a norma dell’art. 10 in quanto il suo impiego, fino ad ora, si è reso superfluo.

38.      Effettivamente, a mio parere, il legislatore dell’Unione ha deliberatamente ed espressamente previsto che le decisioni che dichiarano la legittimità di una pratica possono essere adottate: i) solo dalla Commissione, ii) quando lo esiga l’interesse pubblico dell’Unione e solo in relazione all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, iii) qualora la Commissione agisca d’ufficio e iv) solo in casi eccezionali (32).

39.      A tal riguardo può essere interessante prendere in considerazione il Libro bianco della Commissione sulla modernizzazione delle norme per l’attuazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] del 28 aprile 1999, che ha preceduto la modernizzazione realizzata con il regolamento n. 1/2003 (33). Le «constatazioni di inapplicabilità» sono state proposte per la prima volta nel Libro bianco, che rappresentava il risultato di una discussione interna alla Commissione avviata nel 1997 da un piccolo gruppo di lavoro incaricato di esaminare i problemi sollevati dal sistema di notifica del regolamento n. 17 (34). La Commissione ha ricevuto molte osservazioni sul Libro bianco e nel 2000 ha infine presentato la sua proposta.

40.      Il Libro bianco indicava che la Commissione non doveva più adottare decisioni d’esenzione ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE, ma suggeriva anche che essa doveva poter adottare «decisioni individuali che non siano di divieto» ed enunciava che «[s]e un’operazione presenta una problematica nuova, può essere in effetti necessario fornire al mercato orientamenti relativi alla politica seguita dalla Commissione riguardo a determinate restrizioni. Decisioni positive di questo tipo sarebbero pertanto adottate eccezionalmente, per motivi di interesse generale. (…) Tali decisioni saranno di natura dichiarativa e avranno lo stesso valore giuridico delle attuali decisioni di attestazione negativa». Un gruppo di Stati membri esprimeva preoccupazione per il rischio che tali decisioni positive, essendo difficili da conciliare con un sistema di eccezione legale, potessero portare alla reintroduzione del sistema di notifica. Un altro gruppo di Stati membri suggeriva di conferire anche alle AGC la competenza ad adottare siffatte decisioni positive (35).

41.      In risposta a tali questioni, la relazione di accompagnamento alla proposta giustificava le constatazioni di inapplicabilità con il fatto che nel «sistema di eccezione direttamente applicabile, le principali funzioni della Commissione saranno quelle di reprimere le infrazioni, sviluppare una politica di concorrenza e promuovere un’applicazione coerente delle norme mediante misure generali come regolamenti d’esenzione per categoria ed orientamenti e linee direttrici». Essa affermava che la «Commissione può adottare [decisioni che constatano l’assenza di infrazione] solo agendo d’ufficio e per ragioni di pubblico interesse [dell’Unione]. Queste condizioni garantiscono che le decisioni constatanti l’assenza di infrazione non possano essere ottenute su richiesta delle imprese: questa possibilità minerebbe seriamente il principale obiettivo della riforma [(36)], che è quello di concentrare le attività di tutte le autorità responsabili della concorrenza sui comportamenti vietati. Nel sistema decentrato la Commissione, in quanto custode dei trattati e in quanto autorità centrale, ha uno speciale ruolo da svolgere nel definire la politica della concorrenza e nel garantire che gli articoli [101 e 102 TFUE] siano applicati in maniera coerente nel mercato interno. A tale fine è necessario conferire alla Commissione il potere di adottare decisioni positive qualora l’interesse pubblico [dell’Unione] lo richieda. Questa facoltà consente alla Commissione di emanare decisioni di assenza di infrazione in particolare riguardo a nuovi tipi di accordi, pratiche o questioni attualmente non ancora regolati dalla giurisprudenza e dalla prassi decisionale».

42.      La mia interpretazione delle disposizioni applicabili è inoltre suffragata dalle considerazioni sviluppate in recenti conclusioni di avvocati generali e nella giurisprudenza dell’Unione.

43.      Anzitutto, nella causa T‑Mobile Netherlands e a. (37), l’avvocato generale Kokott ha sottolineato l’importanza dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza a seguito dell’adozione del regolamento n. 1/2003: «le regole in materia di concorrenza sancite dagli artt. [101 e 102 TFUE] sono state applicate, a partire dal 1° maggio 2004 [(38)], in un sistema decentrato che dipende in maniera determinante dalla collaborazione delle [AGC] e dei giudici nazionali [(39)]. Essenziale al riguardo è che continui ad essere assicurata l’applicazione uniforme delle regole in materia di concorrenza nell[’Unione europea]. Divergenze eccessivamente ampie fra le [AGC] e i giudici degli Stati membri nell’attuazione delle regole in materia di concorrenza ai sensi degli artt. [101 e 102 TFUE] violerebbero non solo il fondamentale obiettivo di condizioni di concorrenza identiche per le imprese sul mercato interno europeo, bensì anche il fine di una tutela uniforme degli interessi dei consumatori in tutta l[’ Unione europea]. Per questo motivo l’obiettivo di un’applicazione uniforme degli artt. [101 e 102 TFUE] compare anche come un filo conduttore attraverso il regolamento n. 1/2003».

44.      In secondo luogo, l’avvocato generale Mengozzi ha osservato nella causa X (40) che «il concetto di coerenza o, più precisamente, l’espressione “application cohérente” sembra abbastanza flessibile perché si possano includere nel campo di applicazione della procedura prevista dall’art. 15, n. 3, primo comma, terza frase, del regolamento n. 1/2003 situazioni in cui un giudice nazionale comprometterebbe o potrebbe compromettere l’applicazione uniforme, addirittura effettiva, dell’art. [101 TFUE]o dell’art. [102 TFUE] (…). Un siffatto approccio sembra a maggior ragione appropriato in quanto gli obiettivi del regolamento n. 1/2003 sono quelli di provvedere all’applicazione uniforme ed efficace degli artt. [101 e 102 TFUE] (…), nel contesto dei quali la Commissione, tenuto conto dei compiti di sorveglianza ad essa affidati dal diritto [dell’Unione] [(41)], svolge una funzione predominante [(42)] (…). [I]l passaggio da un’applicazione particolarmente centralizzata degli artt. 81 CE e 82 CE, quale esisteva sotto l’egida del regolamento [n. 17] ad un regime decentralizzato di attuazione delle norme comunitarie sulla concorrenza, come quello stabilito dal regolamento n. 1/2003, richiede la costituzione di procedure capaci di garantire un’applicazione “effettiva”, “efficace”, “uniforme” e/o “coerente” delle disposizioni degli artt. [101 e 102 TFUE] (…). È anche vero che, tra le procedure, figurano quelle relative alla cooperazione tra i giudici degli Stati membri, da una parte, e la Commissione nonché le autorità nazionali garanti della concorrenza, dall’altra, previste all’art. 15 del regolamento n. 1/2003».

45.      In terzo luogo, la giurisprudenza dell’Unione ha svolto considerazioni analoghe (43).

46.      Va rilevato che la natura speciale attribuita all’art. 10 dal regolamento n. 1/2003 emerge anche dal fatto che, a differenza dell’art. 5 del medesimo regolamento, l’art. 10 non riguarda la chiusura del procedimento in un caso individuale. Esso è volto semmai a consentire alla Commissione di affrontare nuovi problemi di diritto UE della concorrenza, a prescindere, in linea di principio, da un’indagine specifica.

47.      In effetti, dalla lettura del regolamento n. 1/2003 risulta che – mentre l’idea di fondo è che la Commissione e le AGC dispongono di competenze parallele (44) e devono costituire tra loro una rete che applica il diritto UE della concorrenza in un contesto di stretta collaborazione – la posizione della Commissione è comunque diversa da quella delle AGC, in virtù del suo potere di adottare decisioni che constatano l’assenza di infrazioni ai sensi del’art. 10 del regolamento n. 1/2003 (45), della regola contenuta nell’art. 11, n. 6, di detto regolamento, secondo cui l’avvio di un procedimento da parte della Commissione priva le AGC della competenza a trattare i medesimi casi, nonché della regola di cui all’art. 16, n. 2, secondo cui le AGC non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione precedentemente adottata dalla Commissione in ordine allo stesso accordo o alla stessa pratica. Queste tre differenze sono tutte correlate allo specifico ruolo della Commissione, consistente nel chiarire il diritto e garantirne l’applicazione uniforme in tutta l’Unione europea, come previsto dall’art. 105, n. 1, TFUE (ex art. 85, n. 1, CE) (46).

48.      Ritengo (al pari del governo polacco e della Commissione) che l’argomento secondo cui le AGC non sono competenti ad effettuare constatazioni di inapplicabilità sia compatibile con l’obiettivo dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza e che tale argomento sia suffragato dal fatto che una constatazione di inapplicabilità non è una delle categorie di decisioni elencate all’art. 11, n. 4, del regolamento n. 1/2003 il quale dispone che, prima dell’adozione di una decisione, le AGC devono informare la Commissione (ciò vale evidentemente solo per le categorie di decisioni elencate all’art. 11, n. 4, che possono avere ripercussioni sull’uniformità di applicazione del diritto UE della concorrenza) (47). Se così non fosse, la Commissione non sarebbe in grado di garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza e/o di avviare procedimenti ai sensi dell’art. 11, n. 6, del regolamento n. 1/2003 (48) laddove sussista un rischio di applicazione non uniforme di tale diritto.

49.      A mio parere, dalle precedenti considerazioni risulta che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 rispecchia un compromesso raggiunto dal legislatore dell’Unione a conclusione di un lungo procedimento legislativo.

50.      Da quest’analisi emerge che le AGC non sono competenti ad adottare decisioni che constatano l’assenza di infrazioni agli artt. 101 e 102 TFUE (49). Infatti, poco importa che le norme di procedura nazionali consentano l’adozione di tali decisioni in relazione a divieti sanciti dal diritto nazionale in materia di concorrenza. Il principio dell’autonomia procedurale non giustifica l’ampliamento delle competenze delle AGC per quanto riguarda le decisioni che esse hanno facoltà di adottare in forza del regolamento n. 1/2003.

51.      Concordo invero con il giudice nazionale sul fatto che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 andrebbe interpretato nel senso che l’espressione «decidere di non avere motivo di intervenire» implica chiaramente l’adozione di una decisione diversa da quelle con le quali viene constatata l’assenza di una violazione dell’art. 102 TFUE. Come già rilevato, il legislatore dell’Unione ha deliberatamente escluso che le AGC potessero adottare decisioni di questo tipo. Dalla relazione di accompagnamento alla proposta concernente il regolamento n. 1/2003 emerge inoltre che, per quanto attiene alle competenze delle AGC, in casi come quello in esame – in cui l’AGC accerta che il comportamento di un’impresa non ha violato l’art. 102 TFUE – esse possono «chiudere il procedimento» o «respingere la denuncia» con decisione, se ritengono di non avere motivo di intervenire (pag. 16 della proposta) e che «nessuna [AGC] può avere la facoltà di adottare decisioni d’esenzione costitutive di diritti» (pag. 12).

52.      Da tutto quanto procede risulta che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 deve essere interpretato nel senso che un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro non può adottare decisioni di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 102 TFUE qualora, in esito al procedimento, dichiari che l’impresa in questione non ha violato il divieto di abuso di posizione dominante risultante da tale disposizione del Trattato.

 Sulla seconda questione

53.      Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003 possa costituire il fondamento normativo diretto per l’adozione da parte di tale autorità di una decisione sull’assenza di motivi per l’intervento da parte della medesima in una situazione come quella del caso in esame, in cui l’adozione di una decisione negativa nel merito è prevista solo dal diritto nazionale.

54.      Ho già rilevato che sia nella sentenza Otto (50) che nella sentenza GT‑Link (51) la Corte ha dichiarato che «l’applicazione [dell’art. 102 TFUE] da parte delle autorità nazionali è in via di principio disciplinata dalle norme processuali nazionali». Nella sentenza Otto, tuttavia, la Corte ha aggiunto che «[f]atta salva l’osservanza del diritto [dell’Unione] ed in particolare dei suoi principi fondamentali, spetta quindi al diritto nazionale definire le modalità procedurali idonee a garantire i diritti della difesa degli interessati. Queste garanzie possono differire da quelle che si applicano nei procedimenti [dell’Unione]» (52).

55.      Pertanto la Commissione e l’autorità di vigilanza AELS osservano giustamente che, in una fattispecie come quella all’esame del giudice nazionale, in cui non ricorrono le condizioni per l’adozione di una decisione di divieto, gli artt. 3, n. 1, e 5 del regolamento n. 1/2003 impongono alle AGC di applicare l’art. 102 TFUE e di concludere il procedimento amministrativo constatando di non avere motivo di intervenire. In effetti, dalle considerazioni svolte in ordine alla prima questione risulta che, data l’importanza di garantire l’applicazione uniforme delle norme UE sulla concorrenza in tutta l’Unione, il fatto che il diritto di uno Stato membro in materia di concorrenza non conferisca ancora (espressamente) all’AGC la competenza ad adottare tale decisione non modifica gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza degli artt. 3, n. 1, e 5 del regolamento n. 1/2003 (53).

56.      Anzitutto il regolamento n. 1/2003 – come tutti i regolamenti – è direttamente applicabile negli Stati membri (54). In secondo luogo, il principio di prevalenza (55) impone al giudice nazionale di non applicare il diritto interno contrastante con il diritto dell’Unione, e di applicare invece quest’ultimo. Infatti, secondo la giurisprudenza, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore. Il giudice non è tenuto a chiedere o attendere la previa rimozione di tale disposizione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (56). Come giustamente osservato dall’Autorità di vigilanza AELS, lo stesso obbligo si applica mutatis mutandis alle AGC, che sono anch’esse tenute a disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti con il diritto dell’Unione.

57.      Successivamente, la logica impone che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 sia direttamente applicabile – esso consente alle AGC competenti di disporre, a partire dal 1° maggio 2004, di un potere decisionale coerente, senza dover attendere il recepimento della suddetta disposizione nell’ordinamento nazionale (57).

58.      Infine, per fornire alcuni esempi concreti, si può osservare che le AGC tedesca, italiana e belga hanno già applicato direttamente il regolamento n. 1/2003. In primo luogo, il Bundeskartellamt ha fatto ricorso all’art. 5 del regolamento n. 1/2003 già prima dell’entrata in vigore della settima modifica della legge tedesca sulla concorrenza (58). In secondo luogo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato direttamente l’art. 5 del regolamento e ha adottato una decisione che disponeva misure cautelari, un provvedimento che all’epoca non era contemplato dal diritto italiano (59). Detta decisione è stata confermata dal TAR del Lazio con decisione 6 dicembre 2005. Infine, il Conseil de la concurrence ha ritenuto di potere esercitare competenze di esecuzione anche in assenza di disposizioni nazionali che le conferissero siffatte competenze, e nonostante disposizioni nazionali in senso contrario. Tale posizione era stata assunta in relazione alla facoltà di accettare impegni, uno dei tipi di decisione elencati all’art. 5, ma non previsto dalla legge belga. Il Conseil de la concurrence ha ritenuto che dall’effetto diretto del regolamento n. 1/2003 discendesse una sua competenza «del tipo di quella ex art. 9» (60).

59.      Da tutte le precedenti considerazioni risulta che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 è direttamente applicabile e che le AGC possono chiudere il procedimento con una decisione di carattere procedurale con cui constatano di non avere motivo di intervenire.

IV – Conclusione

60.      Sono pertanto del parere che la Corte dovrebbe risolvere nel seguente modo le questioni sottopostele dal Sąd Najwyższy:

«1)      L’art. 5 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 [CE] (divenuti artt. 101 e 102 TFUE) deve essere interpretato nel senso che un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro non può adottare decisioni di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 102 TFUE qualora, in esito al procedimento, abbia rilevato che l’impresa in questione non ha violato il divieto di abuso di posizione dominante risultante da tale disposizione del Trattato.

2)      Qualora, in base alle informazioni di cui dispone un’autorità garante della concorrenza, non sussistano le condizioni per una decisione di divieto ai sensi dell’art. 5, prima frase, del regolamento n. 1/2003, tale autorità può concludere il procedimento decidendo di non avere motivo di intervenire».


1 – Lingua originale: l’inglese.


2 – Le questioni sono state sollevate nel contesto di un’impugnazione proposta dal presidente dell’Autorità polacca garante della concorrenza (Prezes Urzędu Ochrony Konkurencji i Konsumentów; in prosieguo: l’«AGC polacca») contro una sentenza del Sąd Apelacyjny w Warszawie (Corte d’appello di Varsavia). Regolamento 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 [CE] (divenuti artt. 101 e 102 TFUE) (GU 2003, L 1, pag. 1).


3 – Regolamento 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 13, pag. 204).


4 – GU 2004 C 101, pag. 43.


5 – Ustawa z dnia 15 grudnia 2000 r. o ochronie konkurencji i konsumentów (versione consolidata in Dziennik Ustaw 2005, n. 244, voce 2080).


6 – L’ordinanza di rinvio si limita a precisare che si trattava di una prassi riguardante l’applicazione di una clausola di esclusività per l’utilizzo di servizi telefonici accessibili al pubblico della Telekomunikacja Polska sul mercato nazionale dell’accesso a servizi di collegamenti telefonici in rete telefonica fissa prestati secondo il principio dell’accessibilità e della preselezione.


7 – Apparentemente, le osservazioni del governo polacco rispecchiano la posizione dell’AGC polacca.


8 – Per quanto riguarda l’interpretazione del regolamento n. 1/2003, v. sentenze 11 giugno 2009, causa C‑429/07, X (Racc. pag. I‑4833) e le seguenti cause pendenti: causa C‑439/08, VEBIC (conclusioni presentate dall’avvocato generale Mengozzi il 25 marzo 2010 e sentenza prevista per il 7 dicembre 2010), e causa C‑360/09, Pfleiderer (in cui presenterò le mie conclusioni il 16 dicembre 2010). Per quanto riguarda il Tribunale, in relazione all’art. 11, n. 6, del regolamento n. 1/2003, v. sentenze 8 marzo 2007, causa T‑339/04, France Télécom/Commissione (Racc. pag. II‑521), e 8 marzo 2007, causa T‑340/04, France Télécom/Commissione (Racc. pag. II‑573), confermata su impugnazione con sentenza 2 aprile 2009, causa C‑202/07 P, France Télécom/Commissione (Racc. pag. I‑2369).


9 – È interessante notare che, sebbene i due principali obiettivi del decentramento dell’attuazione del diritto dell’Unione – la riduzione del carico di lavoro della Commissione e il coinvolgimento delle AGC e dei giudici nazionali in tale attuazione – rimangano inalterati, gli elementi di tale politica, quali indicati nel regolamento n. 1/2003, sono diversi da quelli di cui alla proposta del 2000 della Commissione – secondo la quale a norma dell’art. [3 della proposta di regolamento] quando un accordo o una pratica può incidere sugli scambi tra Stati membri sono applicabili solo le norme dell’Unione in materia di concorrenza(Proposta di regolamento del Consiglio concernente l’applicazione alle imprese delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 [CE] recante modifica dei regolamenti (CEE) n. 1017/68, (CEE) n. 2988/74, (CEE) n. 4056/86 e (CEE) n. 3975/87; COM(2000) 582 def., pag. 12). V. G.L. Tosato e L. Bellodi (a cura di), EU Competition Law, Volume I, Procedure, Claeys & Casteels, 2006, pag. 218.


10 – Nel sistema precedente, l’art. 81 CE era caratterizzato dalla formulazione di una norma di divieto (art. 81, n. 1) e dai suoi effetti (nullità di pieno diritto – art. 81, n. 2), temperati dall’esercizio della facoltà della Commissione di concedere esenzioni da tale divieto (art. 81, n. 3). Ai sensi del regolamento n. 1/2003, l’esenzione individuale di un accordo dal divieto di cui all’art. 101, n. 1, TFUE non dipende più dalla sua notifica alla Commissione. Attualmente gli accordi rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 101, n. 1, che soddisfano le condizioni di cui al n. 3 dello stesso articolo, non sono vietati e non occorre al riguardo una decisione previa – l’art. 101, n. 3, è considerato come un’eccezione legale direttamente applicabile. V. C.S. Kerse e N. Khan, EC Antitrust Procedure, Quinta edizione, Sweet & Maxwell, Londra, 2005, pag. 15.


11 – V., tra l’altro, sesto, settimo e quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003 e artt. 5 e 6 del medesimo regolamento. Vigente il regolamento n. 17, era raro che le AGC perseguissero le violazioni degli artt. 81 CE e 82 CE, non da ultimo perché il diritto nazionale consentiva loro di applicare tali disposizioni solo in circa metà degli Stati membri, e anche quando erano autorizzate a farlo, la facoltà della Commissione di concedere esenzioni le scoraggiava dal trattare casi concernenti l’art. 81, n. 1, CE. Se un’AGC avviava un’azione sanzionatoria per violazione dell’art. 81, n. 1, CE, le imprese potevano decidere di notificare il loro accordo o la loro pratica alla Commissione, la quale, essendo tenuta ad agire conseguentemente alla notifica, poteva essere obbligata ad avviare il procedimento, facendo così venir meno la competenza dell’AGC. V. W.P.J. Wils, «Community report», in D. Cahill e J.D. Cooke, The Modernisation of EU Competition Law Enforcement in the EU, Cambridge, FIDE 2004, pagg. 679 e segg. V. anche E. Gippini Fournier, «Community report», in H.F. Koeck e M.M. Karollus (a cura di), The Modernisation of European Competition Law, Nomos, FIDE 2008.


12 – La Commissione può così concentrarsi maggiormente sulle priorità chiave, quali i cartelli e le indagini settoriali (con le quali cerca di individuare i settori in cui le regole di concorrenza non funzionano adeguatamente).


13 – L’importanza fondamentale di tale obiettivo è evidenziata dal fatto che le regole di concorrenza dell’Unione sono state applicate con frequenza molto maggiore: alla fine del 2009 risultava che i membri della Rete europea della concorrenza (REC) avevano trattato non meno di 1000 casi, in molti settori diversi, applicando le norme dell’Unione in materia di concorrenza. V. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Relazione sul funzionamento del regolamento n. 1/2003, COM(2009) 206 def. del 29 aprile 2009, pag. 7.


14 – V. G.L. Tosato e L. Bellodi, cit. alla nota 9, pag. 219.


15 – Vale a dire, ai sensi dell’art. 11 della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori.


16 – V., ad esempio, C. Lucey, Unforeseen consequences of Article 3 of EU Regulation 1/2003, ECLR, 2006, 27(10), pagg. 558‑563.


17 – Art. 35 del regolamento n. 1/2003. G.L. Tosato e L. Bellodi, cit. alla nota 9, rilevano a pag. 32 (nota 101) che, in Italia, l’art. 54, n. 5, della legge 6 febbraio 1996, n. 52, aveva già conferito all’AGC italiana la competenza ad applicare gli artt. 81, n. 1, CE e 82 CE. Oltre a ciò, è interessante notare che nel Regno Unito, prima della riforma, le AGC non erano competenti ad applicare le norme dell’Unione in materia di concorrenza.


18 – Sentenza 10 novembre 1993, causa C‑60/92 (Racc. pag. I‑5683, punto 14). V. anche sentenza 17 luglio 1997, causa C‑242/95, GT‑Link (Racc. pag. I‑4449, punti 23‑26).


19 – V., tra l’altro, J. Faull e A. Nikpay, The EC law of competition, Oxford University Press, 2007, pag. 113, secondo cui l’art. 5 contiene un elenco esaustivo in quanto, nell’applicazione dell’art. 101 TFUE o dell’art. 102 TFUE, le AGC non possono adottare decisioni diverse da quelle ivi elencate. In particolare le AGC non possono adottare decisioni che constatano l’assenza di infrazioni e tale facoltà è riservata alla Commissione. V. anche E. Langen, e H.‑J. Bunte, (a cura di), Kommentar zum deutschen und europäischen Kartellrecht – Band 2, 11a ed., Luchterhand, 2010, pagg. 752 e segg.; U. Loewenheim, K.M. Meessen e A. Riesenkampff, Kartellrecht – Band 1 Europäisches Recht – Kommentar, C.H. Beck Verlag, Monaco, 2005, pag. 740; G. Hirsch, F. Montag e F.J. Säcker, Competition Law: European Community Practice and Procedure, Sweet & Maxwell, Londra, 2008, pagg. 1579 e segg., e C.S. Kerse, e N. Khan, cit. alla nota 10, pag. 261, secondo cui non è chiaro i) se l’elenco debba essere considerato esaustivo né ii) quali siano gli effetti dell’art. 5, ultima frase; quest’ultima, secondo alcuni commentatori, significherebbe che le AGC non sono competenti ad adottare decisioni che constatano l’assenza di infrazioni e lo scopo sembrerebbe essere quello di cercare di impedire che le AGC adottino decisioni di questo tipo, in particolare quelle che constatano l’inapplicabilità dell’art. 101, n. 1, TFUE.


20 – In sostanza, qualora accordi, decisioni di associazioni di imprese o pratiche concordate, cui si applica un regolamento di esenzione per categoria della Commissione, producano effetti incompatibili con l’art. 101, n. 3, TFUE nel territorio di uno Stato membro avente tutte le caratteristiche di un mercato geografico distinto, l’AGC competente può revocare il beneficio del REC in relazione a tale territorio.


21 – C. Esteva Mosso, Regulation 1/2003 – Five years on, 16th St. Gallen International Competition Law Forum 2009 (2010), pag. 247: “il regolamento n. 1/2003 concilia efficacemente le differenze esistenti tra i contesti istituzionali e procedurali all’interno dell’Unione. Tuttavia, si è riscontrata una certa convergenza spontanea verso il modello del regolamento. Molti Stati membri hanno abolito il sistema di notifica, alcuni hanno previsto analoghe competenze di attuazione, o nuovi tipi di decisioni. Ma rimangono differenze rilevanti: per quanto riguarda le ammende, le sanzioni penali, la responsabilità delle associazioni di imprese, le situazioni in cui l’azione è soggetta a prescrizione, il livello di prova richiesto e le condizioni per l’imposizione di impegni”. Ch. Lemaire, Premier bilan de l’application du règlement n° 1/2003, Petites affiches, 17 dicembre 2009, n. 251, pagg. 38 e segg., sostiene che, al di là delle norme sostanziali, la cui convergenza consegue in ampia misura dall’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e dalla regola della convergenza, sicuramente gli sviluppi più importanti e interessanti sono stati registrati nel settore delle modalità procedurali e delle sanzioni. Tali sviluppi non erano stati previsti durante i negoziati relativi al regolamento n. 1/2003, dato che gli Stati membri respinsero l’introduzione di questioni quali l’immunità o la riduzione delle sanzioni o altre modalità procedurali. Il principio dell’autonomia istituzionale e procedurale avrebbe dovuto assumere un ruolo di grande rilievo. E tuttavia, apparentemente, si sta realizzando una vera e propria convergenza. V. A. Jones e B. Sufrin, EC Competition Law, Oxford, 2004, pag. 1161: per quanto riguarda l’art. 5 del regolamento n. 1/2003, può darsi che l’esperienza con il sistema decentrato dimostri che è necessario un certo grado di armonizzazione per consentire alla REC di funzionare correttamente (la comunicazione della Commissione sulla cooperazione all’interno della rete è stata deliberatamente lasciata flessibile e potrebbe essere necessario rivederla). H. Brokelmann, Enforcement of Articles 81 and 82 EC under Regulation 1/2003: The case of Spain and Portugal, World Competition, 29(4): 535-554, 2006, pag. 553, sostiene che il nuovo regime di attuazione, e in particolare gli artt. 3, n. 2, e 16, n. 2, del regolamento n. 1/2003, esercitano una forte influenza armonizzatrice sull’interpretazione delle norme nazionali in materia di concorrenza.


22 – Si può affermare che la Commissione non perseguiva la piena armonizzazione delle norme di procedura nazionali – e uno dei motivi potrebbe consistere nel fatto che non intendeva mettere a rischio la riforma di modernizzazione in sé –, e si è limitata ad armonizzare quelle sostanziali. V. trentacinquesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003: «[i]l presente regolamento riconosce le ampie differenze che esistono nei sistemi pubblici degli Stati membri preposti all’applicazione della legge», e dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione sul funzionamento della rete delle autorità garanti della concorrenza, iscritta a verbale del Consiglio (doc. 15435/02 ADD 1 del 10 dicembre 2002), punti 6‑8: «Gli Stati membri accettano la diversità dei loro sistemi di applicazione, ma riconoscono reciprocamente gli standard dei rispettivi sistemi quale base di cooperazione».


23 – Segnatamente, ordine di cessazione, accettazione di impegni e irrogazione di ammende previste dal diritto nazionale (art. 5, terzo comma, seconda frase, del regolamento n. 1/2003).


24 – Per quanto riguarda tale principio nel contesto del diritto UE della concorrenza, v., tra le altre, sentenze 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (Racc. pag. I‑8375); 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione (Racc. pag. I‑123); 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑5977), e 10 maggio 2007, causa C‑328/05 P, SGL Carbon/Commissione (Racc. pag. I‑3921). Per quanto riguarda il Tribunale, v. sentenza 9 luglio 2003, causa T‑223/00, Kyowa Hakko Kogyo e Kyowa Hakko Europe/Commissione (Racc. pag. II‑2553). Per quanto attiene al significato dell’espressione «i medesimi atti» nel contesto di tale principio, v. sentenza 9 marzo 2006, causa C‑436/04, Van Esbroeck (Racc. pag. I‑2333). Per quanto concerne detto principio e il regolamento n. 1/2003, v., in particolare, causa C‑17/10, Toshiba Corporation e a., ancora pendente.


25 – Nonostante il rigetto di denunce ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento (CE) della Commissione 7 aprile 2004, n. 773, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 e 102 TFUE] (GU L 123, pag. 18).


26 – Le disposizioni dell’art. 5 sono importanti perché, in un certo senso, armonizzano le competenze delle AGC nell’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE. Così, qualora la Commissione chiuda il procedimento relativo ad una denuncia o non avvii un procedimento in relazione ad un determinato caso, può essere certa che l’AGC dispone di poteri sufficienti per applicare efficacemente il diritto dell’Unione in materia di concorrenza. V. G.L. Tosato e L. Bellodi, cit. alla nota 9, pag. 220. Gli autori sostengono che il regolamento n. 1/2003 conferisce alle AGC una certa discrezionalità riguardo alla necessità di un intervento. Tuttavia l’art. 5 implica che le AGC debbano avviare un’indagine quando, per parafrasare tale disposizione, «in base alle informazioni di cui dispongono, sussistono le condizioni per un divieto». Questa disposizione risulta necessaria in ragione della discrezionalità riconosciuta alla Commissione e alle AGC per quanto concerne l’apertura di un procedimento formale e la decisione su un caso individuale. Ciò potrebbe limitare la tutela dei diritti conferiti ai singoli dagli artt. 101, n. 1, e 102 TFUE, in particolare allorché, pur risultando evidente la violazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza, il valore economico del caso non è sufficiente per consentire all’interessato di esercitare un’azione giurisdizionale. Per ridurre tale rischio, l’art. 5, ultima frase, impone alle AGC di agire in presenza di determinate condizioni.


27 – C.S. Kerse e N. Khan, cit. alla nota 10, pagg. 108 e 109, hanno sottolineato che, mentre la Commissione aveva emanato una comunicazione dettagliata sull’orientamento informale, non esistono analoghe istruzioni sull’inapplicabilità, nonostante il fatto che questa seconda procedura sfoci in una decisione formale [comunicazione della Commissione sull’orientamento informale per questioni nuove relative agli articoli 81 e 82 [CE] (lettere di orientamento) (GU 2004 C 101, pag. 78)]. Per di più, la decisione di cui all’art. 10 sostituisce le precedenti «attestazione negativa» ed «esenzione», per quanto una dichiarazione a norma dell’art. 10 possa assomigliare maggiormente alla prima che non alla seconda. La dichiarazione di inapplicabilità può contenere una constatazione in ordine all’applicabilità dell’art. 101, n. 3, TFUE (a differenza delle «decisioni negative»), la quale tuttavia sarebbe applicabile solo per un certo periodo di tempo (a differenza delle esenzioni). J. Schwarze e A. Weitbrecht, Grundzüge des europäischen Kartellverfahrensrechts – Die Verordnung (EG) Nr. 1/2003, Nomos, 2004, pag. 133, sostengono che l’art. 10 del regolamento n. 1/2003 costituisce un «residuato» del sistema precedente e che pertanto il sistema di esenzione legale non è stato pienamente attuato. E. Langen e H.‑J. Bunte, cit. alla nota 19, pag. 799, ritengono che le decisioni positive siano difficili da comprendere e fuori luogo (ein schwer fassbarer Fremdkörper) in un sistema di eccezione legale. V. anche A. Klees, EuropäischesKartellverfahrensrecht, Carl Heymanns Verlag, 2005, pag. 184.


28 – C. Gauer, D. Dalheimer, L. Kjolbye e E. De Smijter, Regulation No 1/2003: a modernised application of EC competition rules, Competition Policy Newsletter, Number 1 – Spring 2003, pagg. 3 e segg. Tuttavia le decisioni ex art. 10 non sono dirette a sostituire le decisioni di esenzione del sistema precedente né a costituire strumenti per «sancire» accordi individuali in assenza di problemi di applicazione uniforme o di politica della concorrenza. L. Ortiz Blanco (a cura di), European Community Competition Procedure, seconda edizione, Oxford, 2006, sostiene che resta da verificare la natura giuridica delle decisioni che constatano l’assenza di infrazione. Non è agevole distinguerle dalle decisioni di rigetto delle denunce, dal momento che hanno entrambe natura dichiarativa e vincolante (per le AGC e i giudici nazionali). Sono dichiarative in quanto non «costituiscono» diritti, a differenza delle precedenti decisioni di esenzione ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE. V. anche F. Montag e A. Rosenfeld, A solution to the problems? Regulation 1/2003 and the Modernisation of Competition Procedure, ZWeR, 2/2003, pagg. 115 e segg.


29 – Secondo G. Hirsch, F. Montag, e F.J. Säcker, cit. alla nota 19, pag. 1614, poiché tale sistema comporta necessariamente un grado più elevato di incertezza del diritto, la Commissione dovrebbe interpretare in maniera più estensiva le condizioni di adozione delle decisioni positive.


30 – Documento di lavoro della Commissione di accompagnamento alla relazione sul funzionamento del regolamento n. 1/2003 (cit. alla nota 13). La relazione costituiva una sorta di riepilogo, il cui scopo era valutare gli effetti della riforma di modernizzazione nel periodo considerato, ed era basata su un’ampia consultazione pubblica.


31 – Invero, uno dei più gravi timori espressi nel corso del procedimento di adozione del regolamento n. 1/2003 era che il rafforzamento delle competenze delle AGC e dei giudici nazionali per la piena applicazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza mettesse a rischio l’applicazione uniforme di tali norme.


32 – Si potrebbe validamente argomentare che la Commissione adotterebbe una decisione ex art. 10 solo laddove intendesse procedere ad una constatazione quasi normativa in ordine all’applicabilità degli artt. 101 e 102 TFUE. La Commissione sembra maggiormente disposta a redigere lettere di orientamento, sebbene anche su tale punto la comunicazione sull’orientamento informale indichi chiaramente che tali lettere dovrebbero costituire l’eccezione, e non la regola. V. C.S. Kerse e N. Khan, cit. alla nota 10, pag. 109.


33 – C.D. Ehlermann, The Modernisation of EC Antitrust Policy: a Legal and Cultural Revolution, CMLR, 37: 537‑590, 2000, l’ha definito «il più importante documento orientativo che la Commissione abbia mai pubblicato in oltre 40 anni di politica comunitaria della concorrenza».


34 – All’epoca in cui è stato adottato il regolamento n. 17, il divieto di accordi restrittivi della concorrenza era rivoluzionario a livello europeo. La notifica centralizzata e il sistema di autorizzazione garantivano che la nuova normativa fosse interpretata e applicata dalla Commissione, che era dedita in modo specifico alla «nuova missione». Il sistema di notifica aveva anche una funzione pedagogica, in quanto le imprese e i loro legali venivano istruiti dalla Commissione attraverso il procedimento di autorizzazione. V. D. Geradin (a cura di), Modernisation and enlargement: Two major challenges for EC competition law, Intersentia, 2004, pagg. 14 e 15.


35 – V. L. Ortiz Blanco, cit. alla nota 28, pag. 211.


36 – La Commissione ha chiaramente insistito sul fatto che l’art. 10 del regolamento n. 1/2003 non doveva poter essere utilizzato come una scappatoia per reintrodurre le notifiche, cosa che avrebbe potuto mettere a rischio il principale obiettivo del regolamento stesso.


37 – Conclusioni 19 febbraio 2009, relative alla causa C‑8/08, decisa con sentenza 4 giugno 2009, Racc. pag. I‑4529, paragrafi 85 e 86.


38 – Tale data segna il passaggio alla più moderna normativa sulle procedure antimonopolistiche del regolamento n. 1/2003 (v. art. 45, secondo comma).


39 – A tal riguardo v., in particolare, quarto, sesto, settimo, ottavo, ventunesimo e ventiduesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003. Anche in relazione al periodo anteriore al 1° maggio 2004, la Corte aveva già sottolineato l’obbligo di leale cooperazione incombente ai giudici nazionali nell’ambito del diritto della concorrenza. V. sentenza 14 dicembre 2000, causa C‑344/98, Masterfoods (Racc. pag. I‑11369, punto 49). (Dalla giurisprudenza della Corte risulta inoltre che l’obbligo, imposto agli Stati membri dall’art. 5 CE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi del Trattato valgono per tutti gli organi degli Stati membri ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali; v., in tal senso, sentenza 17 dicembre 1998, causa C‑2/97, IP, Racc. pag. I‑8597, punto 26).


40 – Causa C‑429/07, cit. alla nota 8 (paragrafi 34 e 41).


41 – Sentenze 7 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione (Racc. pag. 1825, punto 105), e 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione (Racc. pag. I‑4405, punto 22).


42 – Invero, il sistema istituito dal regolamento n. 1/2003 attribuisce alle AGC la responsabilità dell’attuazione del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, senza sminuire in alcun modo l’importanza della leadership strategica e delle funzioni di controllo della Commissione. V. F. Rizzuto, Parallel Competence and the Power of the EC Commission under Regulation No 1/2003 according to the Court of First Instance, ECLR, 2008, 29(5), pagg. 286‑297. Il sistema viene descritto meglio come una centralizzazione simmetrica, più che come una centralizzazione dissimulata (la Commissione non è formalmente competente a rivolgersi alle AGC) o decentrata (l’attribuzione di competenze alle AGC non ha avuto luogo a spese delle competenze della Commissione). Esso è simmetrico e contingente in quanto solo la Commissione ha il potere di modificare l’oggetto delle indagini e della decisione, ove lo ritenga opportuno.


43 – V. sentenza France Télécom/Commissione, causa T‑339/04, cit. alla nota 8 (punti 79 e 84). (Per quanto attiene alla ripartizione delle competenze tra la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza, si deve osservare che il regolamento n. 1/2003 pone fine al regime centralizzato precedentemente in essere e organizza, secondo il principio della sussidiarietà, un’associazione più ampia di AGC, autorizzandole a tal fine ad attuare il diritto dell’Unione in materia di concorrenza. Tuttavia l’economia del regolamento si fonda sulla stretta collaborazione destinata a svilupparsi tra la Commissione e le AGC degli Stati membri organizzate in rete, ove la Commissione ha il compito di stabilire le modalità specifiche di questa collaborazione. Inoltre detto regolamento non rimette in causa la competenza generale che la giurisprudenza riconosce alla Commissione. In forza del regolamento n. 1/2003, la Commissione dispone infatti di un potere d’indagine molto ampio e conserva un ruolo predominante nell’accertamento delle infrazioni). V. anche sentenza France Télécom/Commissione, causa T‑340/04, cit. alla nota 8, punti 128, 129 e 132 (confermata su impugnazione con sentenza France Télécom/Commissione, causa C‑202/07 P, cit. alla nota 8).


44 – Secondo costante giurisprudenza, il diritto dell’Unione e il diritto nazionale in materia di concorrenza si applicano parallelamente, dato che essi considerano le pratiche restrittive sotto aspetti diversi. Mentre gli artt. 101 e 102 TFUE le contemplano sotto il profilo degli ostacoli che ne possono risultare per il commercio tra gli Stati membri, le leggi nazionali, ispirandosi a considerazioni proprie di ciascuno Stato, considerano le pratiche restrittive in questo solo ambito (v., tra le altre, sentenze 13 febbraio 1969, causa 14/68, Wilhelm e a., Racc. pag. 1, punto 3; 10 luglio 1980, cause riunite 253/78 e da 1/79 a 3/79, Giry e Guerlain e a., Racc. pag. 2327, punto 15; 9 settembre 2003, causa C‑137/00, Milk Marque e National Farmers’ Union, Racc. pag. I‑7975, punto 61, e 13 luglio 2006, cause riunite da C‑295/04 a C‑298/04, Manfredi e a., Racc. pag. I‑6619, punto 38). Occorre precisare che tale giurisprudenza attiene alla situazione giuridica preesistente all’entrata in vigore del regolamento n. 1/2003.


45 – Si può dire che tale competenza è analoga, in un certo senso, alla competenza ad adottare attestazioni negative ed esenzioni individuali risultante dagli artt. 2 e 6 del regolamento n. 17. Tuttavia essa se ne differenzia sotto importanti aspetti. A norma del regolamento n. 1/2003, la Commissione agisce d’ufficio e nell’interesse dell’Unione, e non deve quindi intervenire su richiesta. Inoltre le suddette decisioni sono per loro stessa natura dichiarative e non costitutive di diritti, come erano invece le esenzioni individuali. Infine l’art. 16 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’art. 1, n. 3, del medesimo regolamento, vieta alle AGC e ai giudici nazionali di adottare decisioni che siano in contrasto con decisioni ai sensi dell’art. 10. Ciò non accadeva con le attestazioni negative. Limitandosi a dichiarare che il diritto comunitario (ora diritto dell’Unione) era inapplicabile al caso considerato, le attestazioni negative lasciavano alle AGC e ai giudici la possibilità di applicare il diritto nazionale in materia di concorrenza (sentenza Giry e a., cit. alla nota 44). V. G.L. Tosato e L. Bellodi, cit. alla nota 9, pag. 40. Dal canto loro, U. Loewenheim, K.M. Meessen e A. Riesenkampff, cit. alla nota 19, pag. 740, ritengono che l’art. 5 non abbia corrispondenza nel regolamento n. 17. Essi sostengono inoltre che il regolamento n. 1/2003 non stabilisce un elenco tassativo di decisioni (Entscheidungskatalog) per le AGC e lascia invece tale compito al legislatore nazionale.


46 – V. W.P.J. Wils, cit. alla nota 11, pag. 682.


47 – Il fatto che una determinata AGC abbia constatato di non avere motivo di intervenire non impedisce ad altre AGC o ai giudici nazionali di concludere diversamente e di vietare un accordo o una pratica. La circostanza che l’art. 11, n. 4, riguardi solo le decisioni negative non rappresenta quindi un indizio del fatto che la «sovra‑attuazione» viene percepita come un problema più grave rispetto alla «sotto‑attuazione». Essa costituisce semplicemente il riconoscimento del fatto che, nel sistema istituito dal regolamento n. 1/2003, le decisioni negative prevalgono sempre (non sarebbe stato così qualora alle AGC fosse stata conferita la competenza ad adottare decisioni di esenzione costitutive di diritti). L’unica eccezione è rappresentata dalle decisioni negative adottate dalla Commissione ai sensi dell’art. 10, sicché tutto ciò che occorre è un sistema che impedisca l’adozione da parte delle AGC di decisioni negative ingiustificate. Infatti, una volta adottate ed attuate le decisioni negative, diventa difficile rimuoverne gli effetti. V. J. Faull e A. Nikpay, cit. alla nota 19, pag. 158.


48 – L’avvio da parte della Commissione di un procedimento per l’adozione di una decisione ai sensi del capitolo III del regolamento n. 1/2003 («Decisioni della Commissione») priva le AGC della competenza ad applicare gli artt. 101 e 102 TFUE. Qualora un’AGC stia già trattando il caso, la Commissione non deve avviare il procedimento senza averla prima consultata.


49 – Per un’interpretazione analoga v., tra gli altri, P. Oliver, Le règlement 1/2003 et les principes d’efficacité et d’équivalence, Cahiers de droit européen, vol. 41, nn. 3 e 4, 2005, pag. 366, e U. Loewenheim, K.M. Meessen e A Riesenkampff, cit. alla nota 19, pag. 738. Per un’interpretazione diversa, v. C.S. Kerse e N. Khan, cit. alla nota 10, pag. 261.


50 – Cit. alla nota 18 (punto 14).


51 – Idem (punto 23).


52 – Idem (il corsivo è mio).


53 – Ogni autorità che applica il diritto nazionale della concorrenza in un caso individuale è tenuta ad applicare gli artt. 101 e 102 TFUE nelle circostanze indicate dall’art. 3, n. 1, del regolamento n. 1/2003. Qualsiasi interpretazione ragionevole dell’obbligo di applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE fa riferimento all’esercizio delle competenze di esecuzione di cui all’art. 5. Con o senza designazione formale, un’autorità competente ad applicare il diritto nazionale in materia di concorrenza in casi individuali è soggetta all’art. 3, n. 1, e, pertanto, deve poter esercitare competenze di esecuzione, anche in assenza di disposizioni nazionali che le conferiscano espressamente siffatte competenze, e anche in presenza di disposizioni nazionali di segno contrario. V. il caso dell’AGC belga menzionato infra. V. E. Gippini Fournier, cit. alla nota 11, pag. 103.


54 – Sentenza 5 febbraio 1963, causa 26/62, van Gend & Loos (Racc. pag. 3).


55 – Sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa (Racc. pag. 1129).


56 – Sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629). V. anche sentenza 12 gennaio 2010, causa C‑341/08, Petersen (Racc. pag. I‑47, punto 80).


57 – Per tale interpretazione v., tra l’altro, E. Langen e H.‑J. Bunte, cit. alla nota 19, pag. 753; A. Klees, cit. alla nota 27, paragrafo 7, punto 37; G.‑K. de Bronett, Kommentar zum europäischen Kartellverfahrensrecht: VO 1/2003, Luchterhand, 2005, paragrafo 5, punto 1; J. Schwarze e A. Weitbrecht, cit. alla nota 27, paragrafo 8, punti 11 e segg.


58 – BkartA, B 9 – 55/03, p. 22 – «Deutsche Post AG». V. E. Langen e H.‑J. Bunte, cit. alla nota 19, pag. 753.


59 – Autorità garante della concorrenza, provvedimento n. 14 078, «Merck», del 23 febbraio 2005. V. U. Immenga e E.‑J. Mestmäcker, Wettbewerbsrecht – Band 1. EG / Teil 2, Beck, 2007, pag. 938.


60 – V. C. Cook, Commitment Decisions: The Law and Practice under Article 9, 29 (2) World Competition 209 (2006), nota 14. V. E. Gippini Fournier, cit. alla nota 11, pag. 104.