CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
JÁN MAZÁK
presentate il 7 dicembre 2010 (1)
Causa C‑375/09
Prezes Urzędu Ochrony Konkurencji i Konsumentów
contro
Tele2 Polska sp. zoo, attualmente Netia SA w Warszawie
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Najwyższy (Polonia)]
«Concorrenza – Regolamento (CE) n. 1/2003 – Constatazione di inapplicabilità – Autonomia procedurale degli Stati membri – Competenza delle autorità nazionali garanti della concorrenza ad adottare decisioni che constatano l’inapplicabilità dell’art. 102 TFUE alle pratiche di un’impresa»
1. Nel presente procedimento il Sąd Najwyższy (Corte suprema polacca) chiede alla Corte di interpretare l’art. 5 del regolamento (CE) del Consiglio n. 1/2003 (2). La controversia verte sui limiti dell’autonomia procedurale degli Stati membri nel contesto del sistema di attuazione del diritto comunitario in materia di concorrenza [divenuto diritto dell’Unione europea (UE) in materia di concorrenza] ai sensi del regolamento n. 1/2003, che ha sostituito il precedente sistema instaurato dal regolamento n. 17 del Consiglio (3). È in discussione il modo in cui un’autorità nazionale garante della concorrenza (in prosieguo: «AGC») può concludere un procedimento amministrativo nel caso in cui, applicando il diritto dell’Unione europea in materia di concorrenza parallelamente al diritto nazionale, constati che il comportamento di una determinata impresa non contravviene al divieto di abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE.
I – Contesto normativo
A – Il diritto dell’UE
2. Ai sensi dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003, le AGC degli Stati membri sono competenti ad applicare gli artt. 101 TFUE e 102 TFUE in casi individuali. L’art. 5 del regolamento dispone inoltre quanto segue:
«A tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, [le AGC] possono adottare le seguenti decisioni:
– ordinare la cessazione di un’infrazione,
– disporre misure cautelari,
– accettare impegni,
– comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale.
Qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussist[a]no le condizioni per un divieto, possono anche decidere di non avere motivo di intervenire» (il corsivo è mio).
3. L’art. 10 del regolamento n. 1/2003 dispone che, per ragioni di interesse pubblico dell’Unione relative all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, la Commissione europea, d’ufficio, può stabilire mediante decisione che l’art. 101 TFUE è inapplicabile a un accordo, a una decisione di un’associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all’articolo 101, n. 1, TFUE non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all’art. 101, n. 3, TFUE. La Commissione può effettuare una tale constatazione anche in relazione all’art. 102 TFUE.
4. La comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle autorità garanti della concorrenza (4) enuncia che «[l]a Commissione è nella posizione più idonea quando uno o più accordi o pratiche (…) incidono sulla concorrenza in più di tre Stati membri» (punto 14) e che «[i]noltre, la Commissione è in una posizione particolarmente idonea per trattare i casi che presentano una stretta relazione con altre disposizioni [dell’Unione] per la cui applicazione la Commissione ha competenza esclusiva o che possono essere meglio applicate dalla Commissione, come pure i casi nei quali la tutela dell’interesse [dell’Unione] richiede l’adozione di una decisione della Commissione per adeguare la politica di concorrenza [dell’Unione] a problemi di concorrenza nuovi o per assicurare il rispetto effettivo delle regole di concorrenza» (punto 15).
B – Diritto nazionale
5. L’art. 11 della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori (5), nella versione in vigore all’epoca dei fatti, così recita:
«1) [L’AGC polacca] adotta una decisione di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza, qualora non constati la violazione dei divieti stabiliti agli artt. 5 o 8.
2) [L’AGC polacca] adotta la decisione di cui al n. 1 anche nel caso in cui l’accordo soddisfi i presupposti di cui all’art. 7, n. 1, ma non sia contenuto nel decreto del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 7.
3) L’onere di provare le circostanze di cui al n. 2 incombe all’impresa o all’associazione di imprese».
II – Fatti e questioni pregiudiziali
6. La Telekomunikacja Polska S. A. era sospettata di avere violato l’art. 8 della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori, nonché l’art. 102 TFUE (6). Al termine del procedimento, l’AGC polacca constatava che il comportamento di tale impresa non costituiva un abuso e che essa non aveva fatto ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza, e dichiarava, ai sensi dell’art. 102 TFUE, di non avere motivo per intervenire. Tale decisione veniva impugnata da un terzo, la Tele2 Polska sp. zoo, divenuta Netia SA w Warszawie. Il Sąd Okręgowy (Tribunale distrettuale) – Sąd Ochrony Konkurencji i Konsumentów (Tribunale per la tutela della concorrenza e dei consumatori), con sentenza successivamente confermata dalla Corte d’appello di Varsavia, annullava la decisione contestata, dichiarando che l’AGC polacca avrebbe dovuto adottare una decisione dichiarativa di non constatazione del ricorso ad una pratica restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 102 TFUE, poiché aveva adottato una decisione in tal senso in base al diritto nazionale.
7. L’AGC polacca proponeva un ricorso per cassazione, sostenendo che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 detta una regola di competenza per le AGC e ne limita la possibilità di decisione, e che, conformemente a tale regola, le AGC non possono adottare una siffatta decisione. L’AGC polacca aveva invece adottato una decisione che aveva posto fine alla causa in maniera diversa dalla statuizione nel merito. L’art. 5 del regolamento elenca quattro tipi di decisioni di merito e successivamente, nella sua ultima parte, menziona una decisione di natura procedurale: le AGC «possono anche decidere di non avere motivo di intervenire». La Commissione può constatare mediante decisione che l’art. 102 TFUE è inapplicabile ad un determinato comportamento dell’impresa, ma le AGC non hanno tale facoltà.
8. Il giudice del rinvio ritiene, in primo luogo, che il caso in esame verta sui limiti imposti all’autonomia procedurale delle AGC e che ad esse non sia consentito di adottare una decisione che constata l’assenza di prassi restrittive della concorrenza, in quanto siffatta decisione non rientra tra quelle elencate all’art. 5, secondo comma, del regolamento n. 1/2003. In secondo luogo, il giudice nazionale suggerisce che, nondimeno, l’art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’art. 5, secondo comma, e altre disposizioni del medesimo regolamento, potrebbe essere interpretato nel senso che consente alle AGC di adottare una decisione analoga a quella in questione. In tale contesto il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’art. 5 del regolamento [n. 1/2003] debba essere interpretato nel senso che l’[AGC] non può adottare decisioni di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. [102 TFUE], qualora in esito al procedimento dichiari che l’impresa in questione non ha violato il divieto di abuso di posizione dominante risultante da tale disposizione del Trattato.
2) In caso di soluzione affermativa della prima questione, se, in una situazione in cui la legislazione nazionale per la tutela della concorrenza autorizza l’[AGC] a concludere il procedimento in materia di repressione delle pratiche anticoncorrenziali – qualora si constati che il comportamento dell’impresa non viola il divieto ex art. [102 TFUE] – esclusivamente con l’adozione di una decisione di non constatazione di una prassi restrittiva della concorrenza, l’art. 5, terza frase, del regolamento [n. 1/2003] debba interpretarsi nel senso che costituisce il fondamento normativo diretto di una decisione di tale autorità “sull’assenza di motivo per l’intervento da parte della medesima”».
9. Hanno presentato osservazioni scritte i governi polacco (7) e ceco, la Commissione e l’Autorità di vigilanza AELS. Tutte le parti menzionate, ad eccezione del governo ceco, hanno svolto osservazioni orali all’udienza tenutasi il 21 settembre 2010.
III – Analisi
A – Argomenti principali delle parti
10. La Commissione e l’Autorità di vigilanza AELS sostengono, in sostanza, che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 non consente ad un’AGC di adottare una decisione di natura dichiarativa con cui constata l’inapplicabilità degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE e che solo la Commissione dispone di tale competenza. Tra l’altro, consentire ad un’AGC di dichiarare l’inapplicabilità degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE – qualora possa essere stabilita la legittimità del comportamento dell’impresa –, oltre a comportare un notevole dispendio di risorse amministrative, potrebbe dissuadere le vittime di comportamenti che esse ritengano illegittimi dall’esercitare azioni individuali contro il responsabile e dal contribuire così all’attuazione privata delle norme dell’Unione europea in materia di concorrenza (mentre il regolamento n. 1/2003 è volto a sostenere l’attuazione privata). Quanto alla seconda questione, la Commissione afferma che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 è direttamente applicabile. L’Autorità di vigilanza AELS sostiene che, in una situazione come quella oggetto della causa principale, in cui si ritiene che non sussistano le condizioni per l’adozione di una decisione di divieto, un’AGC è tenuta, in forza degli artt. 3, n. 1, e 5 del regolamento n. 1/2003, ad applicare l’art. 102 TFUE e a concludere il proprio procedimento amministrativo constatando di non avere motivo per intervenire.
11. Il governo polacco sostiene che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 contiene un elenco esaustivo delle competenze delle AGC. L’art. 5, ultima frase, non consentirebbe loro di adottare una decisione con efficacia dichiarativa che constata l’assenza di prassi restrittive. In risposta alla seconda questione, il governo polacco afferma che l’atto con cui un’AGC chiude un procedimento relativo ad una presunta violazione della concorrenza – una volta accertato di non avere motivo per intervenire – dovrebbe assumere la forma di una decisione procedurale che dispone la chiusura del procedimento senza che occorra statuire nel merito.
12. Contrariamente alle altre parti, il governo ceco sostiene che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 non consente ad un’AGC di adottare una decisione di non constatazione di una prassi restrittiva della concorrenza. Il regolamento n. 1/2003 non stabilirebbe una gerarchia tra la Commissione e le AGC e si fonderebbe semmai su un rapporto di collaborazione orizzontale. Lo scopo dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003 risulterebbe compromesso qualora un’AGC fosse competente ad adottare una decisione che constata l’assenza di una violazione dell’art. 102 TFUE, ma non qualora potesse dichiarare che non vi è stata alcuna infrazione. Il governo ceco afferma che le disposizioni applicabili della legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori non mettono a rischio gli obiettivi degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE.
B – Analisi
Osservazioni preliminari sul nuovo sistema di attuazione basato sull’«eccezione legale»
13. Il regolamento n. 1/2003 (8), definito anche come «il regolamento di modernizzazione», ha apportato modifiche radicali alle modalità di attuazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Tra le novità introdotte, è stata abolita la notifica alla Commissione degli accordi ai fini dell’esenzione ai sensi dell’attuale art. 101, n. 3, TFUE (9) – sostituita dal sistema di eccezione legale (10) – ed attualmente sia le AGC sia i giudici nazionali sono associati molto più strettamente all’applicazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (11).
14. Il decentramento dell’attuazione del diritto UE della concorrenza va al di là del semplice obbligo della AGC e dei giudici nazionali di applicare gli artt. 101 e 102 TFUE. Per consentire la corretta attuazione del decentramento, il regolamento n. 1/2003 prevede almeno tre meccanismi distinti: i) l’attribuzione di competenze alle AGC e ai giudici nazionali, con conseguente riduzione dell’attività di esecuzione diretta della Commissione (12), ii) l’obbligo delle AGC e dei giudici nazionali di applicare gli artt. 101 TFUE e 102 TFUE nell’ambito di un sistema che disciplina il rapporto tra il diritto nazionale e quello dell’Unione, e infine, ma non in ordine di importanza, iii) dispositivi volti ad agevolare la cooperazione e il controllo sull’operato delle AGC e dei giudici nazionali al fine di garantire l’applicazione uniforme e coerente delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (13). Come si vedrà, una conseguenza inerente all’importante ruolo svolto dalle AGC (e dai giudici nazionali) nel funzionamento del nuovo sistema consiste nel fatto che, ai sensi del regolamento n. 1/2003, esse sono soggette a norme rigorose concernenti sia le loro competenze che l’esercizio delle stesse (14).
Sulla prima questione
15. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 osti a che le AGC adottino decisioni negative nel merito allorché applicano l’art. 102 TFUE.
16. Come giustamente suggerito dall’Autorità di vigilanza AELS, in linea di principio, le questioni che fanno riferimento unicamente all’art. 102 TFUE andrebbero interpretate nel senso che riguardano anche la competenza delle AGC ad adottare decisioni negative nel merito ai sensi del’art. 101 TFUE. Ritengo, pertanto, che le risposte alle questioni sollevate debbano valere sia per l’art 101 TFUE che per l’art. 102 TFUE.
17. Secondo il giudice del rinvio è indubbio che una decisione ai sensi del diritto nazionale della concorrenza (15), con cui si constata che una particolare prassi non costituisce una restrizione della concorrenza, non rientra nella categoria delle decisioni elencate nella seconda frase dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003.
18. Il giudice nazionale nutre invece dubbi sulla questione se l’AGC polacca possa adottare una decisione di questo tipo sul fondamento dell’art. 102 TFUE, dato che l’art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003 conferisce alle AGC la competenza a decidere di non avere motivo di intervenire se non sussistono le condizioni per un divieto.
19. Anzitutto, occorre esaminare le disposizioni applicabili del regolamento n. 1/2003. Ai sensi dell’art. 3 di tale regolamento (16), le AGC devono applicare gli artt. 101 e 102 TFUE qualora le pratiche di un’impresa sospettata di violare divieti scaturenti dal diritto nazionale della concorrenza possano pregiudicare il commercio tra Stati membri. Il regolamento n. 1/2003 presuppone che le AGC applichino gli artt. 101 e 102 TFUE conformemente alle norme procedurali dei loro Stati di appartenenza e questi ultimi, se necessario, devono modificare la propria normativa interna per adeguarla al nuovo sistema (17).
20. Invero, per quanto riguarda tale principio generale, la Corte ha dichiarato nella sentenza Otto (18) che «l’applicazione degli artt. [101 e 102 TFUE] da parte delle autorità nazionali è in via di principio disciplinata dalle norme processuali nazionali. Fatta salva l’osservanza del diritto [dell’Unione] ed in particolare dei suoi principi fondamentali, spetta quindi al diritto nazionale definire le modalità procedurali idonee a garantire i diritti della difesa degli interessati. Queste garanzie possono differire da quelle che si applicano nei procedimenti [dell’Unione]».
21. Inoltre l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 afferma che le AGC sono competenti ad applicare gli artt. 101 e 102 TFUE in casi individuali e che a tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, “possono adottare” le seguenti decisioni: i) ordinare la cessazione di un’infrazione; ii) disporre misure cautelari; iii) accettare impegni e iv) comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale. Esso prevede infine che, qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussistano le condizioni per un divieto, le AGC possono anche decidere di non avere motivo di intervenire.
22. Si pone quindi la questione se l’elenco delle decisioni che le AGC sono autorizzate ad adottare (contenuto all’art. 5 del regolamento n. 1/2003) sia esaustivo. Il governo polacco e la Commissione ritengono che si tratti effettivamente di un elenco esaustivo, tesi che sembra condivisa dalla dottrina (19).
23. In ogni caso è sufficiente rilevare che l’art. 5 non ha propriamente carattere esaustivo, se non altro perché non è l’unica disposizione del regolamento n. 1/2003 in forza della quale le AGC possono adottare decisioni: vi è anche l’art. 29, n. 2 («Revoca in casi specifici»), secondo cui le AGC possono revocare, a determinate condizioni, il beneficio di un regolamento di esenzione per categoria (20).
24. Infatti, come giustamente osservato dal giudice del rinvio, se – in esito ad un procedimento in cui le norme dell’Unione in materia di concorrenza sono state applicate parallelamente a quelle nazionali – l’AGC conclude che la prassi dell’impresa oggetto dell’indagine non contravviene al divieto di abuso di posizione dominante, l’AGC, di regola, in base al principio dell’autonomia procedurale, deve adottare la decisione appropriata prevista dal diritto nazionale. Nel sistema legale polacco una siffatta decisione sarebbe una decisione di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza adottata sul fondamento dell’art. 11 della legge sulla tutela della concorrenza e dei consumatori.
25. Tuttavia è importante sottolineare che è comunque possibile porre limiti al principio dell’autonomia procedurale, non da ultimo perché occorre conseguire uno degli obiettivi del regolamento n. 1/2003 – vale a dire l’applicazione uniforme degli artt. 101 e 102 TFUE in tutta l’Unione europea (primo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003). A mio parere, l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 comporta una siffatta limitazione, laddove specifica i tipi di decisioni che possono essere adottati dalle AGC.
26. Benché sia evidente che il regolamento n. 1/2003 non armonizza le modalità procedurali nazionali (21), ciò non toglie che alcune importanti questioni sono state disciplinate a livello dell’Unione – soprattutto il contenuto delle decisioni adottabili dalle AGC.
27. A mio parere, se il legislatore dell’Unione avesse voluto consentire alle AGC di adottare decisioni che constatano l’assenza di prassi restrittive della concorrenza (come previsto dalla legge polacca sulla tutela della concorrenza e dei consumatori), avrebbe chiaramente e specificamente incluso questo tipo di decisioni nell’elenco di cui all’art. 5 del regolamento n. 1/2003 (o, quanto meno, in un’altra parte del regolamento, come ha fatto per le decisioni ex art. 29, n. 2). Ciò vale a maggior ragione in quanto il legislatore dell’Unione era cosciente di tale problematica, che infatti è stata oggetto di discussione nel corso del procedimento legislativo che ha condotto all’adozione del regolamento n. 1/2003 (v., infra, paragrafi 39‑41).
28. L’intenzione di non attribuire alle AGC il potere di adottare tali decisioni emerge anche dalla relazione di accompagnamento alla proposta della Commissione. In tale documento la Commissione ha sottolineato che la «proposta presuppone che le [AGC] applicheranno gli articoli [101 e 102 TFUE] conformemente alle rispettive norme procedurali nazionali. Non è necessario, ai fini dell’attuazione della riforma, avviare un’armonizzazione su larga scala delle norme procedurali nazionali [(22)]. È necessario invece regolare a livello comunitario uno specifico numero di questioni che hanno un impatto diretto sul valido funzionamento del sistema proposto». La Commissione ha aggiunto che è «necessario definire il contenuto delle decisioni che [le AGC] possono adottare in applicazione degli articoli [101 e 102 TFUE] (vedi l’articolo 5 della proposta di regolamento) per garantire la piena ed effettiva attuazione del regime di eccezione previsto. Nell’applicare le regole di concorrenza [dell’Unione], nessuna [AGC] può avere la facoltà di adottare decisioni d’esenzione costitutive di diritti».
29. Come giustamente osservato dall’Autorità di vigilanza AELS, mentre il regolamento n. 1/2003 autorizza le AGC ad adottare decisioni «positive» di merito (23), è evidente che esso non contempla, in parallelo a tale competenza a porre fine alle infrazioni applicando (anche) l’art. 102 TFUE, la competenza delle AGC ad adottare decisioni «negative» di merito. Nulla nell’art. 5, né peraltro in nessun’altra disposizione del regolamento n. 1/2003, attribuisce specificamente alle AGC la competenza a dichiarare formalmente che non vi è stata violazione dell’art. 102 TFUE in un caso individuale. Semmai, è evidente che un’AGC può solo decidere «di non avere motivo di intervenire» (v. art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003).
30. Ritengo (al pari del governo polacco, della Commissione e dell’Autorità di vigilanza AELS), che qualsiasi altra interpretazione rischierebbe di creare situazioni nelle quali, in virtù del principio del ne bis in idem, una decisione negativa di un’AGC potrebbe impedire alla Commissione, o ad un’altra AGC, di accertare successivamente una violazione dell’art. 101 TFUE (24).
31. Si può osservare che tali limitazioni della competenza della AGC riguardo alle decisioni negative sembrerebbero anche in linea con la prassi decisionale della Commissione. Nei casi individuali in materia di antitrust, qualora dalle indagini della Commissione non siano emerse prove sufficienti per dimostrare che ricorrevano le condizioni legali di una violazione del diritto UE della concorrenza, il procedimento viene concluso senza che la Commissione adotti una decisione negativa di merito o emetta un parere motivato rivolto ai soggetti che hanno preso parte alla presunta infrazione (25).
32. Inoltre il giudice del rinvio fa giustamente riferimento ad un’interpretazione sistematica del regolamento n. 1/2003. L’art. 5 fa parte del capitolo II del suddetto regolamento, dal titolo «Competenze». L’art. 4 di tale capitolo riguarda le competenze della Commissione, l’art. 5 quelle delle AGC e l’art. 6 quelle dei giudici nazionali. Mentre gli artt. 4 e 6 si limitano a confermare generalmente le competenze della Commissione e dei giudici nazionali quanto all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, l’art. 5 limita la competenza delle AGC all’applicazione di tali disposizioni in casi individuali e disciplina espressamente in qual modo (cioè adottando quali decisioni) le AGC applichino gli artt. 101 e 102 TFUE (26).
33. A mio parere l’interpretazione letterale dell’art. 5 del regolamento n. 1/2003 proposta nei paragrafi precedenti, oltre ad essere molto chiara, risulta anche suffragata da altre disposizioni del medesimo regolamento. In effetti importa confrontare il testo dell’art. 5 con quello dell’art. 10.
34. Ai sensi dell’art. 10, intitolato «Constatazione di inapplicabilità», per ragioni di interesse pubblico dell’Unione relative all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, la Commissione, d’ufficio, può stabilire mediante decisione che l’art. 101 TFUE è inapplicabile a un accordo, a una decisione di un’associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all’art. 101, n. 1, TFUE non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all’art. 101, n. 3, TFUE. La Commissione può effettuare una tale constatazione anche in relazione all’art. 102 TFUE (27). Le decisioni ex art. 10 sono intese a garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza attraverso il loro effetto nei confronti delle altre autorità di vigilanza (28).
35. Ne consegue che, nel regolamento n. 1/2003, il legislatore dell’Unione ha conferito alla Commissione la competenza esclusiva ad adottare decisioni negative di merito (constatazioni di inapplicabilità).
36. Tale interpretazione è suffragata dal quattordicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1/2003, secondo cui può essere utile, in casi eccezionali dettati da ragioni di interesse pubblico dell’Unione europea, che la Commissione adotti decisioni di natura dichiarativa in ordine all’inapplicabilità del divieto di cui all’art. 101 TFUE o all’art. 102 TFUE, al fine di rendere chiara la legislazione e di garantirne un’applicazione coerente in tutta l’Unione, in particolare per quanto riguarda nuovi tipi di accordi o di pratiche non consolidati nella giurisprudenza e prassi amministrativa esistenti. Quanto alla condizione relativa al ricorso a tale dispositivo solo in casi eccezionali, si può ritenere che essa rispecchi uno degli obiettivi del regolamento n. 1/2003, ossia preparare le condizioni per una transizione verso l’autovalutazione (29).
37. Inoltre, il regolamento n. 1/2003 ha imposto alla Commissione di redigere una relazione sul funzionamento dello stesso entro il 1° maggio 2009, vale a dire cinque anni dopo la sua entrata in vigore. In un documento di lavoro di accompagnamento a codesta relazione (30), la Commissione afferma di non avere ancora adottato alcuna decisione ai sensi dell’art. 10, affermazione confermata anche all’udienza tenutasi nel settembre 2010. Oltre a ciò, l’impiego dell’espressione «interesse pubblico [dell’UE]» nella disposizione in parola esclude la possibilità che tali decisioni possano essere legittimamente adottate nell’interesse di singole imprese, dato che lo scopo consiste nell’impedire che questo strumento venga utilizzato per rimpiazzare la decisione di esenzione del vecchio sistema. L’art. 10 riguarda solo casi eccezionali ed è inteso a chiarire il diritto e a garantirne l’applicazione coerente in tutta l’Unione europea (31) e in particolare a: i) «correggere» l’approccio delle AGC, o ii) segnalare alla REC il modo in cui dev’essere trattato un determinato caso. È interessante notare come la Commissione spieghi nella relazione che in pratica, tuttavia, tali strumenti ex ante per garantire l’uniformità sono stati ampiamente superati dagli intensi sforzi profusi dalla REC per promuovere l’applicazione uniforme delle norme dell’Unione in materia di concorrenza. Apparentemente, all’epoca in cui è stato adottato il regolamento n. 1/2003, non si prevedeva che la REC si sarebbe rivelata una sede così adeguata per discutere questioni generali di politica della concorrenza. Pertanto la Commissione non ha avuto motivo di procedere a norma dell’art. 10 in quanto il suo impiego, fino ad ora, si è reso superfluo.
38. Effettivamente, a mio parere, il legislatore dell’Unione ha deliberatamente ed espressamente previsto che le decisioni che dichiarano la legittimità di una pratica possono essere adottate: i) solo dalla Commissione, ii) quando lo esiga l’interesse pubblico dell’Unione e solo in relazione all’applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE, iii) qualora la Commissione agisca d’ufficio e iv) solo in casi eccezionali (32).
39. A tal riguardo può essere interessante prendere in considerazione il Libro bianco della Commissione sulla modernizzazione delle norme per l’attuazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] del 28 aprile 1999, che ha preceduto la modernizzazione realizzata con il regolamento n. 1/2003 (33). Le «constatazioni di inapplicabilità» sono state proposte per la prima volta nel Libro bianco, che rappresentava il risultato di una discussione interna alla Commissione avviata nel 1997 da un piccolo gruppo di lavoro incaricato di esaminare i problemi sollevati dal sistema di notifica del regolamento n. 17 (34). La Commissione ha ricevuto molte osservazioni sul Libro bianco e nel 2000 ha infine presentato la sua proposta.
40. Il Libro bianco indicava che la Commissione non doveva più adottare decisioni d’esenzione ai sensi dell’art. 81, n. 3, CE, ma suggeriva anche che essa doveva poter adottare «decisioni individuali che non siano di divieto» ed enunciava che «[s]e un’operazione presenta una problematica nuova, può essere in effetti necessario fornire al mercato orientamenti relativi alla politica seguita dalla Commissione riguardo a determinate restrizioni. Decisioni positive di questo tipo sarebbero pertanto adottate eccezionalmente, per motivi di interesse generale. (…) Tali decisioni saranno di natura dichiarativa e avranno lo stesso valore giuridico delle attuali decisioni di attestazione negativa». Un gruppo di Stati membri esprimeva preoccupazione per il rischio che tali decisioni positive, essendo difficili da conciliare con un sistema di eccezione legale, potessero portare alla reintroduzione del sistema di notifica. Un altro gruppo di Stati membri suggeriva di conferire anche alle AGC la competenza ad adottare siffatte decisioni positive (35).
41. In risposta a tali questioni, la relazione di accompagnamento alla proposta giustificava le constatazioni di inapplicabilità con il fatto che nel «sistema di eccezione direttamente applicabile, le principali funzioni della Commissione saranno quelle di reprimere le infrazioni, sviluppare una politica di concorrenza e promuovere un’applicazione coerente delle norme mediante misure generali come regolamenti d’esenzione per categoria ed orientamenti e linee direttrici». Essa affermava che la «Commissione può adottare [decisioni che constatano l’assenza di infrazione] solo agendo d’ufficio e per ragioni di pubblico interesse [dell’Unione]. Queste condizioni garantiscono che le decisioni constatanti l’assenza di infrazione non possano essere ottenute su richiesta delle imprese: questa possibilità minerebbe seriamente il principale obiettivo della riforma [(36)], che è quello di concentrare le attività di tutte le autorità responsabili della concorrenza sui comportamenti vietati. Nel sistema decentrato la Commissione, in quanto custode dei trattati e in quanto autorità centrale, ha uno speciale ruolo da svolgere nel definire la politica della concorrenza e nel garantire che gli articoli [101 e 102 TFUE] siano applicati in maniera coerente nel mercato interno. A tale fine è necessario conferire alla Commissione il potere di adottare decisioni positive qualora l’interesse pubblico [dell’Unione] lo richieda. Questa facoltà consente alla Commissione di emanare decisioni di assenza di infrazione in particolare riguardo a nuovi tipi di accordi, pratiche o questioni attualmente non ancora regolati dalla giurisprudenza e dalla prassi decisionale».
42. La mia interpretazione delle disposizioni applicabili è inoltre suffragata dalle considerazioni sviluppate in recenti conclusioni di avvocati generali e nella giurisprudenza dell’Unione.
43. Anzitutto, nella causa T‑Mobile Netherlands e a. (37), l’avvocato generale Kokott ha sottolineato l’importanza dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza a seguito dell’adozione del regolamento n. 1/2003: «le regole in materia di concorrenza sancite dagli artt. [101 e 102 TFUE] sono state applicate, a partire dal 1° maggio 2004 [(38)], in un sistema decentrato che dipende in maniera determinante dalla collaborazione delle [AGC] e dei giudici nazionali [(39)]. Essenziale al riguardo è che continui ad essere assicurata l’applicazione uniforme delle regole in materia di concorrenza nell[’Unione europea]. Divergenze eccessivamente ampie fra le [AGC] e i giudici degli Stati membri nell’attuazione delle regole in materia di concorrenza ai sensi degli artt. [101 e 102 TFUE] violerebbero non solo il fondamentale obiettivo di condizioni di concorrenza identiche per le imprese sul mercato interno europeo, bensì anche il fine di una tutela uniforme degli interessi dei consumatori in tutta l[’ Unione europea]. Per questo motivo l’obiettivo di un’applicazione uniforme degli artt. [101 e 102 TFUE] compare anche come un filo conduttore attraverso il regolamento n. 1/2003».
44. In secondo luogo, l’avvocato generale Mengozzi ha osservato nella causa X (40) che «il concetto di coerenza o, più precisamente, l’espressione “application cohérente” sembra abbastanza flessibile perché si possano includere nel campo di applicazione della procedura prevista dall’art. 15, n. 3, primo comma, terza frase, del regolamento n. 1/2003 situazioni in cui un giudice nazionale comprometterebbe o potrebbe compromettere l’applicazione uniforme, addirittura effettiva, dell’art. [101 TFUE]o dell’art. [102 TFUE] (…). Un siffatto approccio sembra a maggior ragione appropriato in quanto gli obiettivi del regolamento n. 1/2003 sono quelli di provvedere all’applicazione uniforme ed efficace degli artt. [101 e 102 TFUE] (…), nel contesto dei quali la Commissione, tenuto conto dei compiti di sorveglianza ad essa affidati dal diritto [dell’Unione] [(41)], svolge una funzione predominante [(42)] (…). [I]l passaggio da un’applicazione particolarmente centralizzata degli artt. 81 CE e 82 CE, quale esisteva sotto l’egida del regolamento [n. 17] ad un regime decentralizzato di attuazione delle norme comunitarie sulla concorrenza, come quello stabilito dal regolamento n. 1/2003, richiede la costituzione di procedure capaci di garantire un’applicazione “effettiva”, “efficace”, “uniforme” e/o “coerente” delle disposizioni degli artt. [101 e 102 TFUE] (…). È anche vero che, tra le procedure, figurano quelle relative alla cooperazione tra i giudici degli Stati membri, da una parte, e la Commissione nonché le autorità nazionali garanti della concorrenza, dall’altra, previste all’art. 15 del regolamento n. 1/2003».
45. In terzo luogo, la giurisprudenza dell’Unione ha svolto considerazioni analoghe (43).
46. Va rilevato che la natura speciale attribuita all’art. 10 dal regolamento n. 1/2003 emerge anche dal fatto che, a differenza dell’art. 5 del medesimo regolamento, l’art. 10 non riguarda la chiusura del procedimento in un caso individuale. Esso è volto semmai a consentire alla Commissione di affrontare nuovi problemi di diritto UE della concorrenza, a prescindere, in linea di principio, da un’indagine specifica.
47. In effetti, dalla lettura del regolamento n. 1/2003 risulta che – mentre l’idea di fondo è che la Commissione e le AGC dispongono di competenze parallele (44) e devono costituire tra loro una rete che applica il diritto UE della concorrenza in un contesto di stretta collaborazione – la posizione della Commissione è comunque diversa da quella delle AGC, in virtù del suo potere di adottare decisioni che constatano l’assenza di infrazioni ai sensi del’art. 10 del regolamento n. 1/2003 (45), della regola contenuta nell’art. 11, n. 6, di detto regolamento, secondo cui l’avvio di un procedimento da parte della Commissione priva le AGC della competenza a trattare i medesimi casi, nonché della regola di cui all’art. 16, n. 2, secondo cui le AGC non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione precedentemente adottata dalla Commissione in ordine allo stesso accordo o alla stessa pratica. Queste tre differenze sono tutte correlate allo specifico ruolo della Commissione, consistente nel chiarire il diritto e garantirne l’applicazione uniforme in tutta l’Unione europea, come previsto dall’art. 105, n. 1, TFUE (ex art. 85, n. 1, CE) (46).
48. Ritengo (al pari del governo polacco e della Commissione) che l’argomento secondo cui le AGC non sono competenti ad effettuare constatazioni di inapplicabilità sia compatibile con l’obiettivo dell’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza e che tale argomento sia suffragato dal fatto che una constatazione di inapplicabilità non è una delle categorie di decisioni elencate all’art. 11, n. 4, del regolamento n. 1/2003 il quale dispone che, prima dell’adozione di una decisione, le AGC devono informare la Commissione (ciò vale evidentemente solo per le categorie di decisioni elencate all’art. 11, n. 4, che possono avere ripercussioni sull’uniformità di applicazione del diritto UE della concorrenza) (47). Se così non fosse, la Commissione non sarebbe in grado di garantire l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in materia di concorrenza e/o di avviare procedimenti ai sensi dell’art. 11, n. 6, del regolamento n. 1/2003 (48) laddove sussista un rischio di applicazione non uniforme di tale diritto.
49. A mio parere, dalle precedenti considerazioni risulta che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 rispecchia un compromesso raggiunto dal legislatore dell’Unione a conclusione di un lungo procedimento legislativo.
50. Da quest’analisi emerge che le AGC non sono competenti ad adottare decisioni che constatano l’assenza di infrazioni agli artt. 101 e 102 TFUE (49). Infatti, poco importa che le norme di procedura nazionali consentano l’adozione di tali decisioni in relazione a divieti sanciti dal diritto nazionale in materia di concorrenza. Il principio dell’autonomia procedurale non giustifica l’ampliamento delle competenze delle AGC per quanto riguarda le decisioni che esse hanno facoltà di adottare in forza del regolamento n. 1/2003.
51. Concordo invero con il giudice nazionale sul fatto che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 andrebbe interpretato nel senso che l’espressione «decidere di non avere motivo di intervenire» implica chiaramente l’adozione di una decisione diversa da quelle con le quali viene constatata l’assenza di una violazione dell’art. 102 TFUE. Come già rilevato, il legislatore dell’Unione ha deliberatamente escluso che le AGC potessero adottare decisioni di questo tipo. Dalla relazione di accompagnamento alla proposta concernente il regolamento n. 1/2003 emerge inoltre che, per quanto attiene alle competenze delle AGC, in casi come quello in esame – in cui l’AGC accerta che il comportamento di un’impresa non ha violato l’art. 102 TFUE – esse possono «chiudere il procedimento» o «respingere la denuncia» con decisione, se ritengono di non avere motivo di intervenire (pag. 16 della proposta) e che «nessuna [AGC] può avere la facoltà di adottare decisioni d’esenzione costitutive di diritti» (pag. 12).
52. Da tutto quanto procede risulta che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 deve essere interpretato nel senso che un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro non può adottare decisioni di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 102 TFUE qualora, in esito al procedimento, dichiari che l’impresa in questione non ha violato il divieto di abuso di posizione dominante risultante da tale disposizione del Trattato.
Sulla seconda questione
53. Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 5, ultima frase, del regolamento n. 1/2003 possa costituire il fondamento normativo diretto per l’adozione da parte di tale autorità di una decisione sull’assenza di motivi per l’intervento da parte della medesima in una situazione come quella del caso in esame, in cui l’adozione di una decisione negativa nel merito è prevista solo dal diritto nazionale.
54. Ho già rilevato che sia nella sentenza Otto (50) che nella sentenza GT‑Link (51) la Corte ha dichiarato che «l’applicazione [dell’art. 102 TFUE] da parte delle autorità nazionali è in via di principio disciplinata dalle norme processuali nazionali». Nella sentenza Otto, tuttavia, la Corte ha aggiunto che «[f]atta salva l’osservanza del diritto [dell’Unione] ed in particolare dei suoi principi fondamentali, spetta quindi al diritto nazionale definire le modalità procedurali idonee a garantire i diritti della difesa degli interessati. Queste garanzie possono differire da quelle che si applicano nei procedimenti [dell’Unione]» (52).
55. Pertanto la Commissione e l’autorità di vigilanza AELS osservano giustamente che, in una fattispecie come quella all’esame del giudice nazionale, in cui non ricorrono le condizioni per l’adozione di una decisione di divieto, gli artt. 3, n. 1, e 5 del regolamento n. 1/2003 impongono alle AGC di applicare l’art. 102 TFUE e di concludere il procedimento amministrativo constatando di non avere motivo di intervenire. In effetti, dalle considerazioni svolte in ordine alla prima questione risulta che, data l’importanza di garantire l’applicazione uniforme delle norme UE sulla concorrenza in tutta l’Unione, il fatto che il diritto di uno Stato membro in materia di concorrenza non conferisca ancora (espressamente) all’AGC la competenza ad adottare tale decisione non modifica gli obblighi incombenti agli Stati membri in forza degli artt. 3, n. 1, e 5 del regolamento n. 1/2003 (53).
56. Anzitutto il regolamento n. 1/2003 – come tutti i regolamenti – è direttamente applicabile negli Stati membri (54). In secondo luogo, il principio di prevalenza (55) impone al giudice nazionale di non applicare il diritto interno contrastante con il diritto dell’Unione, e di applicare invece quest’ultimo. Infatti, secondo la giurisprudenza, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore. Il giudice non è tenuto a chiedere o attendere la previa rimozione di tale disposizione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (56). Come giustamente osservato dall’Autorità di vigilanza AELS, lo stesso obbligo si applica mutatis mutandis alle AGC, che sono anch’esse tenute a disapplicare le disposizioni nazionali contrastanti con il diritto dell’Unione.
57. Successivamente, la logica impone che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 sia direttamente applicabile – esso consente alle AGC competenti di disporre, a partire dal 1° maggio 2004, di un potere decisionale coerente, senza dover attendere il recepimento della suddetta disposizione nell’ordinamento nazionale (57).
58. Infine, per fornire alcuni esempi concreti, si può osservare che le AGC tedesca, italiana e belga hanno già applicato direttamente il regolamento n. 1/2003. In primo luogo, il Bundeskartellamt ha fatto ricorso all’art. 5 del regolamento n. 1/2003 già prima dell’entrata in vigore della settima modifica della legge tedesca sulla concorrenza (58). In secondo luogo, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha applicato direttamente l’art. 5 del regolamento e ha adottato una decisione che disponeva misure cautelari, un provvedimento che all’epoca non era contemplato dal diritto italiano (59). Detta decisione è stata confermata dal TAR del Lazio con decisione 6 dicembre 2005. Infine, il Conseil de la concurrence ha ritenuto di potere esercitare competenze di esecuzione anche in assenza di disposizioni nazionali che le conferissero siffatte competenze, e nonostante disposizioni nazionali in senso contrario. Tale posizione era stata assunta in relazione alla facoltà di accettare impegni, uno dei tipi di decisione elencati all’art. 5, ma non previsto dalla legge belga. Il Conseil de la concurrence ha ritenuto che dall’effetto diretto del regolamento n. 1/2003 discendesse una sua competenza «del tipo di quella ex art. 9» (60).
59. Da tutte le precedenti considerazioni risulta che l’art. 5 del regolamento n. 1/2003 è direttamente applicabile e che le AGC possono chiudere il procedimento con una decisione di carattere procedurale con cui constatano di non avere motivo di intervenire.
IV – Conclusione
60. Sono pertanto del parere che la Corte dovrebbe risolvere nel seguente modo le questioni sottopostele dal Sąd Najwyższy:
«1) L’art. 5 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 [CE] (divenuti artt. 101 e 102 TFUE) deve essere interpretato nel senso che un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro non può adottare decisioni di non constatazione del ricorso ad una prassi restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 102 TFUE qualora, in esito al procedimento, abbia rilevato che l’impresa in questione non ha violato il divieto di abuso di posizione dominante risultante da tale disposizione del Trattato.
2) Qualora, in base alle informazioni di cui dispone un’autorità garante della concorrenza, non sussistano le condizioni per una decisione di divieto ai sensi dell’art. 5, prima frase, del regolamento n. 1/2003, tale autorità può concludere il procedimento decidendo di non avere motivo di intervenire».