Language of document : ECLI:EU:C:2013:473

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate l’11 luglio 2013 (1)

Causa C‑394/12

Shamso Abdullahi

contro

Bundesasylamt

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Asylgerichtshof (Austria)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Diritto d’asilo – Articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Regolamento (CE) n. 343/2003 – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo – Domanda d’asilo presentata in uno Stato membro a seguito di precedenti ingressi del richiedente nell’Unione effettuati di seguito attraverso due altri Stati membri – Effetto dell’accettazione della competenza da parte dello Stato membro nel quale è avvenuto il secondo ingresso – Diritto del richiedente di opporsi alla competenza di tale Stato membro – Portata del controllo giurisdizionale previsto dall’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 343/2003 – Sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (cause riunite C‑411/10 e C‑493/10)»





1.        La presente causa offre alla Corte l’opportunità di precisare ancora una volta la propria giurisprudenza in merito al regolamento n. 343/2003 (2) e nell’occasione, anzitutto, riguardo alla portata del ricorso previsto dall’articolo 19, paragrafo 2, di detto regolamento e all’applicazione del criterio da questo stabilito che attribuisce la competenza per l’esame di una domanda d’asilo allo Stato membro nel quale il richiedente sia entrato illegalmente. In aggiunta, viene nuovamente prospettato il caso degli Stati membri che si trovano nella situazione su cui si è pronunciata la sentenza del 21 dicembre 2001, N.S. e a (3).

2.        Proporrò alla Corte un’interpretazione restrittiva della portata del ricorso previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003, tale da rendere superflua una risposta alle altre questioni, sulle quali nondimeno mi soffermerò in via puramente subordinata. In tal modo, la causa dovrebbe consentire alla Corte di fissare linee guida per l’applicazione dei criteri dettati dal citato regolamento nei casi in cui si concluda che lo Stato membro competente in linea di principio non può esserlo per motivi di garanzia dei diritti fondamentali.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

1.      Regolamento n. 343/2003

3.        Ai sensi del suo articolo 1, il regolamento n. 343/2003 «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo».

4.        In virtù dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, del medesimo regolamento:

«1.      Gli Stati membri esaminano la domanda di asilo di un cittadino di un paese terzo presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2.      In deroga al paragrafo 1, ciascuno Stato membro può esaminare una domanda d’asilo presentata da un cittadino di un paese terzo, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento. In tale ipotesi, detto Stato membro diventa lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Eventualmente, esso ne informa lo Stato membro anteriormente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente asilo».

5.        Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento, «[i]l procedimento volto a determinare lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento è avviato non appena una domanda d’asilo è presentata per la prima volta in uno Stato membro».

6.        Nel capo III del regolamento n. 343/2003 (articoli da 5 a 14), intitolato «Gerarchia dei criteri», sono elencati i criteri pertinenti per la determinazione dello «Stato membro competente» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del medesimo regolamento.

7.        L’articolo 16, con il quale si apre il capo V del regolamento n. 343/2003 («Obbligo di prendere o riprendere in carico un richiedente asilo»), dispone, ai paragrafi 1 e 3, quanto segue:

«1.      Lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo in forza del presente regolamento è tenuto a:

a)      prendere in carico, alle condizioni specificate negli articoli da 17 a 19, il richiedente asilo che ha presentato domanda d’asilo in un altro Stato membro;

b)      portare a termine l’esame della domanda d’asilo;

c)      riprendere in carico (...) il richiedente asilo la cui domanda è in corso d’esame e che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza esserne stato autorizzato;

d)      riprendere in carico (...) il richiedente asilo che ha ritirato la sua domanda in corso d’esame e che ha presentato una domanda d’asilo in un altro Stato membro;

e)      riprendere in carico (...) il cittadino di un paese terzo del quale ha respinto la domanda e che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza esserne stato autorizzato.

(...)

3.      Gli obblighi di cui al paragrafo 1 vengono meno se il cittadino di un paese terzo si è allontanato dal territorio degli Stati membri per almeno tre mesi, sempre che detto cittadino di un paese terzo non sia titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato dallo Stato membro competente».

8.        Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del suddetto regolamento, «[l]o Stato membro che ha ricevuto una domanda d’asilo e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame della stessa può interpellare tale Stato membro affinché prenda in carico il richiedente asilo quanto prima e, al più tardi, entro tre mesi dopo la presentazione della domanda d’asilo (...)».

9.        L’articolo 18 del regolamento n. 343/2003 prevede quanto segue:

«1.      Lo Stato membro richiesto procede alle verifiche necessarie, in particolare nei suoi archivi, e delibera sulla richiesta di presa in carico di un richiedente entro due mesi a decorrere dalla data in cui ha ricevuto la richiesta.

(...)

7.      La mancata risposta entro la scadenza del termine di due mesi citato al paragrafo 1 e di quello di un mese citato al paragrafo 6 equivale all’accettazione della richiesta e comporta l’obbligo di prendere in carico la persona, comprese le disposizioni appropriate all’arrivo della stessa».

10.      L’articolo 19 del regolamento n. 343/2003 così recita:

«1.      Quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere in carico il richiedente asilo, lo Stato membro nel quale la domanda d’asilo è stata presentata notifica al richiedente asilo la decisione di non esaminare la domanda e l’obbligo del trasferimento del richiedente verso lo Stato membro competente.

2.      La decisione menzionata al paragrafo 1 è motivata. Essa è corredata dei termini relativi all’esecuzione del trasferimento e contiene, se necessario, le informazioni relative al luogo e alla data in cui il richiedente deve presentarsi, nel caso in cui si rechi nello Stato membro competente con i propri mezzi. La decisione può formare oggetto di ricorso o revisione. Il ricorso o la revisione della decisione non ha effetto sospensivo ai fini dell’esecuzione del trasferimento a meno che il giudice o l’organo giurisdizionale competente non decida in tal senso caso per caso se la legislazione nazionale lo consente.

(...)

4.      Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, la competenza ricade sullo Stato membro nel quale la domanda d’asilo è stata presentata. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione del richiedente asilo, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora il richiedente asilo si sia reso irreperibile».

2.      Direttiva 2005/85/CE

11.      L’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 (4) così recita:

«Gli Stati membri dispongono che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso i seguenti [atti]:

a)      la decisione sulla sua domanda di asilo (…)

(...)».

B –    Diritto nazionale

12.      Il Bundesgesetz über die Gewährung von Asyl del 2005 (legge federale sul riconoscimento di asilo; in prosieguo: il «BGA») stabilisce, all’articolo 18, che il Bundesasylamt e l’Asylgerichtshof devono garantire d’ufficio, in tutte le fasi del procedimento, che siano fornite indicazioni utili ai fini della decisione o che siano integrate quelle relative alle circostanze invocate a sostegno della domanda, che siano indicate le relative prove e che vengano integrate le prove presentate e, in generale, che sia fornita ogni informazione ritenuta essenziale per suffragare la domanda, richiedendo eventualmente d’ufficio le prove necessarie.

II – Fatti

13.      Nel luglio 2011 la sig.ra Abdullahi, cittadina somala, è entrata illegalmente in Grecia dalla Turchia. Da lì, con l’aiuto di una rete di immigrazione clandestina, dopo avere attraversato Macedonia, Serbia e Ungheria, è giunta in Austria, dove è stata fermata nei pressi del confine con l’Ungheria.

14.      Il 29 agosto 2011 essa ha presentato domanda di protezione internazionale in Austria. Il 7 settembre 2011 il Bundesasylamt ha trasmesso alla Repubblica di Ungheria una richiesta di presa in carico ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003. La Repubblica di Ungheria ha comunicato la propria accettazione con lettera del 29 settembre 2011.

15.      Il 30 settembre 2011 il Bundesasylamt ha dichiarato irricevibile la domanda d’asilo della ricorrente in Austria e ha ordinato la sua espulsione verso la Repubblica di Ungheria.

16.      La sig.ra Abdullahi ha presentato dinanzi all’Asylgerichtshof un ricorso, al quale tale giudice ha riconosciuto effetto sospensivo. Tale circostanza è stata comunicata alla Repubblica di Ungheria l’8 novembre 2011.

17.      Con sentenza del 5 dicembre 2011, l’Asylgerichtshof ha accolto il ricorso per vizi procedurali.

18.      Riavviato il procedimento amministrativo, il Bundesasylamt ha di nuovo respinto la domanda d’asilo il 26 gennaio 2012 e ha ordinato ancora una volta l’espulsione verso l’Ungheria, ritenendo che la competenza spettasse a tale Stato ai sensi del regolamento n. 343/2003. Il Bundesasylamt ha constatato, inoltre, che un trasferimento della ricorrente in Ungheria non avrebbe violato i suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 della CEDU.

19.      La sig.ra Abdullahi ha proposto ricorso dinanzi all’Asylgerichtshof, adducendo per la prima volta che lo Stato membro effettivamente competente ad esaminare la sua domanda di asilo era la Grecia e non l’Ungheria, e sostenendo inoltre che, poiché le condizioni in Grecia erano contrarie alla dignità umana, l’Austria avrebbe dovuto provvedere all’esame della sua domanda di asilo.

20.      Il ricorso è stato respinto con sentenza del 14 febbraio 2012.

21.      La sig.ra Abdullahi ha interposto ricorso dinanzi al Verfassungsgerichtshof, il quale, in data 23 marzo 2012, ha ordinato la sospensione del procedimento, circostanza che è stata comunicata alla Repubblica di Ungheria il 2 aprile 2012.

22.      Con sentenza del 27 giugno 2012, il Verfassungsgerichtshof ha accolto il ricorso per violazione del diritto costituzionale della ricorrente a un procedimento dinanzi al giudice precostituito per legge.

23.      La causa è stata nuovamente rinviata all’Asylgerichtshof, che a questo punto solleva le presenti questioni pregiudiziali.

III – Questioni sollevate

24.      Il tenore letterale delle questioni pregiudiziali è il seguente:

«1)      Se l’articolo 19 del regolamento n. 343/2003, letto in combinato disposto con l’articolo 18 di quest’ultimo, debba essere interpretato nel senso che, per effetto dell’accettazione formulata da uno Stato membro a norma delle disposizioni suddette, tale Stato membro è quello cui spetta, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, frase introduttiva, del citato regolamento, la competenza ad esaminare la domanda di asilo; oppure se, sotto il profilo del diritto dell’Unione, allorché l’organo nazionale di riesame arriva a concludere – in un procedimento riguardante un ricorso o una revisione ex articolo 19, paragrafo 2, del citato regolamento n. 343/2003, e indipendentemente dalla suddetta accettazione – che la competenza spetta ad un altro Stato membro ai sensi del capo III del medesimo regolamento (anche qualora quest’ultimo Stato non sia stato investito di una richiesta di presa in carico oppure non formuli alcuna accettazione), detto organo di riesame sia tenuto a constatare in maniera vincolante la competenza di quest’altro Stato membro ai fini del procedimento dinanzi ad esso pendente finalizzato ad una decisione sul ricorso o sulla revisione in questione. Se, al riguardo, sussistano diritti soggettivi di ciascun richiedente asilo a che la propria domanda di asilo venga esaminata da un determinato Stato membro competente in forza dei suddetti criteri di competenza.

2)      Se l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003 debba essere interpretato nel senso che lo Stato membro nel quale avviene un primo ingresso illegale (“primo Stato membro”) è tenuto a riconoscere la propria competenza ad esaminare la domanda di asilo presentata da un cittadino di uno Stato terzo, qualora si verifichi la seguente situazione:

un cittadino di un paese terzo proveniente da uno Stato terzo entra illegalmente nel primo Stato membro di cui trattasi. Costui non presenta in tale Stato una domanda di asilo. Si trasferisce poi in uno Stato terzo. Dopo meno di tre mesi lascia uno Stato terzo ed entra illegalmente in un altro Stato membro dell’Unione europea (“secondo Stato membro”). Da questo secondo Stato membro si reca immediatamente e direttamente in un terzo Stato membro, dove presenta la sua prima domanda di asilo. A questa data sono passati meno di dodici mesi dall’ingresso illegale nel primo Stato membro.

3)      Se, a prescindere dalla soluzione della questione sub 2), qualora il “primo Stato membro” menzionato in quest’ultima sia uno Stato membro il cui sistema di asilo presenta comprovate carenze sistemiche, analoghe a quelle descritte nella sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 gennaio 2011, M.S.S., ricorso n. 30.696/09, si imponga una diversa valutazione relativamente allo Stato membro competente in via prioritaria ai sensi del regolamento n. 343/2003, nonostante la sentenza della Corte di giustizia del 21 dicembre 2011, N.S., C‑411/10 e C‑493/10. Se si possa in particolare presupporre, ad esempio, che un soggiorno in un siffatto Stato membro sia a priori inidoneo a integrare una fattispecie attributiva di competenza ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 343/2003».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

25.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è pervenuta presso la cancelleria della Corte il 27 agosto 2012.

26.      Il giudice del rinvio, invocando la ristrettezza dei termini processuali nazionali, la situazione di incertezza in cui versa la sig.ra Abdullahi, l’importanza delle questioni sollevate e l’elevato numero di procedimenti in cui le stesse si ripropongono, ha chiesto la trattazione della causa secondo il procedimento accelerato di cui all’articolo 104 bis del regolamento di procedura, nella versione del 19 giugno 1991. Tale richiesta è stata respinta con ordinanza del presidente della Corte del 5 ottobre 2012, che ha concesso però di trattare la causa con priorità, conformemente all’articolo 55, paragrafo 2, del medesimo regolamento.

27.      Hanno presentato osservazioni scritte la sig.ra Abdullahi, i governi austriaco, ellenico, ungherese, italiano e del Regno Unito, la Confederazione svizzera e la Commissione.

28.      Nell’udienza tenutasi il 7 maggio 2013 hanno svolto le proprie osservazioni orali la sig.ra Abdullahi, i governi francese ed ellenico, nonché la Commissione. Nel corso dell’udienza le parti, su proposta della Corte, hanno incentrato i propri interventi sui seguenti punti: (A) natura del ricorso previsto dall’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 e rilevanza del fatto che tale ricorso non sia menzionato nell’articolo 39 della direttiva 2005/85; (B) compatibilità del controllo sui criteri di determinazione della competenza con il termine previsto all’articolo 17, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 343/2003, ed esecuzione nella pratica delle decisioni di accoglimento; (C) interpretazione del temine di dodici mesi di cui all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003; (D) rilevanza dell’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento n. 343/2003 ai fini della determinazione dello Stato membro competente.

V –    Analisi

A –    Prima questione

29.      Come rileva l’Asylgerichtshof nell’ordinanza di rinvio, con la prima questione si chiede, anzitutto, se l’accettazione, da parte di uno Stato membro, della competenza ad esaminare una domanda d’asilo escluda o meno la possibilità di verificare – nel contesto del ricorso di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 – se, conformemente ai criteri stabiliti nel medesimo regolamento, la competenza spetti in realtà ad un altro Stato membro.

30.      Più concretamente, il giudice del rinvio chiede se, nell’ambito di un siffatto ricorso, il richiedente possa invocare un eventuale diritto soggettivo a che la sua domanda d’asilo sia esaminata dallo Stato membro che risulti competente sulla base dei criteri contenuti nel regolamento n. 343/2003.

31.      L’Asylgerichtshof è propenso a ritenere che l’accettazione da parte di uno Stato membro debba essere determinante per attribuirgli la competenza ad esaminare la domanda d’asilo, ammettendo come unica eccezione i casi di arbitrarietà manifesta o di rischio di violazione di diritti. In simili casi, ove accertati nel procedimento corrispondente, l’autorità giudiziaria nazionale dovrà dichiarare in modo vincolante la competenza dello Stato membro appropriato in applicazione del regolamento n. 343/2003.

32.      La risposta che, a mio avviso, occorre dare alla prima parte della questione è chiara. È sufficiente ricordare, al riguardo, che l’accettazione della competenza ex articolo 18 del regolamento n. 343/2003 non è comparabile all’assunzione di questa stessa competenza ex articolo 3, paragrafo 2, del medesimo regolamento, norma questa che prevede la cosiddetta «clausola di sovranità». Se in quest’ultimo caso siamo di fronte all’esercizio di un potere discrezionale – e, in tal senso, sovrano (5) –, sottratto al controllo dei giudici, nel caso dell’accettazione cui si riferisce l’articolo 18 siamo di fronte ad un atto giuridico che servirà da fondamento affinché lo Stato membro al quale è stata presentata una domanda d’asilo decida di non esaminarla e di trasferire il richiedente verso lo Stato membro che ha accettato di procedere all’esame, tenendo presente che questa duplice decisione, per espressa previsione dell’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003, «può formare oggetto di ricorso o revisione».

33.      In sintesi, la seconda delle alternative prospettate dal giudice del rinvio nel suo quesito è quella rilevante. La questione non è, pertanto, se sia esperibile «ricorso o revisione», bensì in che misura sia possibile un controllo della decisione che stabilisce di non esaminare la domanda d’asilo e di procedere al trasferimento del richiedente verso lo Stato membro che ha accettato tale competenza.

34.      Su questo aspetto nulla viene espressamente detto nel regolamento n. 343/2003, il quale, all’articolo 19, paragrafo 2, si limita a disporre che «[i]l ricorso o la revisione (…) non ha effetto sospensivo ai fini dell’esecuzione del trasferimento a meno che il giudice o l’organo giurisdizionale competente non decida in tal senso caso per caso se la legislazione nazionale lo consente». In tali circostanze, gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 343/2003 possono servire quale orientamento per elaborare un’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 2, dalla quale si evincano il senso che occorre attribuire al ricorso previsto da tale norma e, di conseguenza, la portata da riconoscere al controllo esercitato attraverso tale strumento procedurale (6).

35.      Il regolamento n. 343/2003 risponde essenzialmente all’intento di istituire un procedimento che consenta di «determinare con rapidità lo Stato membro competente» per l’esame di una domanda d’asilo, secondo quanto enunciato nel considerando 4. A mio avviso, questo è l’obiettivo fondamentale del regolamento, al cui perseguimento è subordinata ogni sua disposizione. In tal senso vanno intese, in particolare, la disciplina dei termini di cui al capo V e la creazione di un insieme di criteri oggettivi per la determinazione dello Stato membro competente, i quali, oltre a garantire la semplificazione del procedimento, mirano ad evitare il cosiddetto forum shopping, affinché la determinazione dello Stato membro competente non sia lasciata alla casualità delle condotte dei richiedenti (7).

36.      Pertanto, in linea con le considerazioni espresse dall’avvocato generale Jääskinen nelle sue citate conclusioni nella causa Puid (8), si può affermare che il regolamento n. 343/2003 non si prefigge come obiettivo principale di «conferire diritti ai privati, bensì [di] organizzare i rapporti fra Stati membri», per quanto essa contenga «taluni elementi non irrilevanti per i diritti dei richiedenti asilo» (9).

37.      Il regolamento n. 343/2003 disciplina i rapporti fra gli Stati membri ai fini della determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo. Il corretto funzionamento del meccanismo di determinazione istituito dal regolamento costituisce, pertanto, una questione che interessa direttamente gli Stati membri, dal momento che è proprio l’esercizio delle loro potestà pubbliche ad essere principalmente implicato nell’applicazione di tale normativa dell’Unione.

38.      Tuttavia, tali potestà devono essere esercitate nel rispetto degli obblighi gravanti sugli Stati membri nell’ambito del diritto d’asilo, che l’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce «nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea».

39.      Pertanto, anche il diritto fondamentale d’asilo risulta implicato, sebbene in modo mediato o indiretto, nell’applicazione del regolamento n. 343/2003. Per questo motivo, pur essendo gli Stati membri i principali interessati alla corretta applicazione del regolamento, anche i richiedenti asilo mantengono un legittimo interesse al riguardo. Tuttavia, non ritengo che tale interesse giunga a trasformarsi in un diritto soggettivo legittimante la pretesa che la domanda d’asilo venga esaminata da un determinato Stato membro.

40.      A mio avviso, ai fini di una corretta interpretazione del regolamento n. 343/2003 è necessario tenere conto del fatto che, in ultima analisi, si tratta di garantire l’esercizio effettivo del diritto di asilo. Il regolamento n. 343/2003 è un elemento basilare nel quadro del sistema normativo concepito dall’Unione per consentire l’esercizio di tale diritto fondamentale. Tale sistema – i cui attuali principi ispiratori sono il riconoscimento del diritto di cui all’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali e il mandato a sviluppare una politica comune in materia, sancito all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE – è costituito essenzialmente, oltre che dal regolamento in questione, dalle norme minime sull’attribuzione della qualifica di rifugiato contenute nella direttiva 2004/83/CE (10) e dalle norme minime procedurali di cui alla direttiva 2005/85.

41.      Il regolamento n. 343/2003, come tutte le norme dell’Unione che con esso costituiscono il sistema di garanzia del diritto fondamentale di asilo, deve essere inteso pertanto, e in definitiva, come una norma strumentale al servizio di tale garanzia. In questa ottica di principio, ritengo che lo spirito del sistema risieda nell’idea che l’Unione costituisce, nel suo insieme, un «territorio sicuro» per qualsiasi richiedente asilo. Con l’ingresso nel territorio dell’Unione, chi sta fuggendo dalle circostanze e dalle condizioni che hanno provocato la sua fuga e che possono giustificare la concessione del diritto d’asilo, accede a uno spazio in cui vede assicurata tale protezione. Ai fini dell’asilo, l’Unione nel suo insieme e ciascuno dei suoi Stati membri sono un «territorio sicuro», essendo proprio tale presunzione il fondamento della fiducia che sta alla base dell’integrazione degli Stati membri nel sistema europeo comune di asilo (11). Certamente, come vedremo in seguito, non si tratta in nessun caso di una presunzione assoluta (12).

42.      Alla luce di quanto precede, il nucleo essenziale del diritto fondamentale di asilo conferito dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali risulta garantito con l’ingresso nell’Unione, cosicché il suo titolare non può vedersi pregiudicato dal fatto che l’esame della propria domanda competa a uno Stato membro o all’altro. Questo perché, almeno in modo puramente transitorio, in tutti tali Stati è sufficientemente garantito il suo corretto esercizio, che l’interessato può fare valere in ogni caso mediante il ricorso di cui all’articolo 39 della direttiva 2005/85 avverso le decisioni relative al merito della sua domanda d’asilo o altre occorrenze nell’iter procedurale della stessa, ma non, significativamente, avverso le decisioni concernenti la determinazione dello Stato membro competente ad esaminarla.

43.      Tuttavia, questo non priva l’interessato, in nessun caso, di un legittimo interesse alla corretta determinazione dello Stato membro competente per l’esame della sua domanda. Di fatto, lo stesso regolamento n. 343/2003 gli riconosce il diritto di ricorrere contro la decisione adottata al riguardo. Tuttavia, poiché il nucleo essenziale del suo diritto fondamentale non viene compromesso, in linea di principio, dal fatto che la sua domanda venga esaminata da un determinato Stato membro, ritengo che il diritto che l’interessato può far valere mediante il ricorso di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 abbia una portata limitata, perfettamente conforme, del resto, alla natura propria del regolamento n. 343/2003 di normativa finalizzata a disciplinare, anzitutto, la cooperazione tra gli Stati membri nella gestione del sistema di asilo dell’Unione.

44.      A mio giudizio, tale ricorso può avere ad oggetto solo il rispetto dello stesso regolamento in relazione a due profili: (A) l’esistenza di circostanze che consentano di confutare la presunzione di rispetto dei diritti fondamentali sui quali si basa il sistema dell’Unione; (B) il riconoscimento, da parte del regolamento n. 343/2003, di determinati diritti specifici, correlati al diritto d’asilo propriamente detto, e delle loro corrispondenti garanzie.

45.      Per quanto concerne il primo aspetto, ci troveremmo nelle circostanze della causa che ha dato luogo alla sentenza N.S., sulla quale tornerò in seguito, più precisamente in sede di risposta alla terza questione. Si tratta di una situazione in cui viene messo in discussione il fondamento stesso del sistema del regolamento n. 343/2003, che altro non è se non la fiducia reciproca fra gli Stati membri quanto all’osservanza di tutte quelle condizioni che garantiscono il dovuto rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo (13).

46.      Il secondo aspetto sarebbe costituito, a mio parere, dai diritti che il regolamento n. 343/2003 conferisce specificamente al richiedente asilo nel corso del procedimento di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della sua domanda. Tale è il caso dei diritti connessi al ricongiungimento della famiglia (articoli 7, 8, 14 e 15), di quelli legati alla condizione di minore (articolo 6) o di quelli che riguardano la rapidità del procedimento (osservanza dei termini e applicazione delle conseguenze previste in ciascun caso, come previsto, ad esempio, all’articolo 19, paragrafo 4). Sono tutti diritti che, in definitiva, oltrepassano la posizione giuridica degli Stati membri nell’ambito dei rapporti disciplinati dal regolamento n. 343/2003, e che conferiscono al richiedente asilo un diritto soggettivo specifico e autonomo, riguardante sempre, inoltre, un ambito protetto tramite la garanzia di un diritto fondamentale: il diritto alla protezione della vita familiare (articoli 7 e 33 della Carta dei diritti fondamentali), il diritto alla protezione dei minori (articolo 24 della Carta) e il diritto ad una buona amministrazione (articolo 41 della Carta). Non si tratta qui, in definitiva, di un semplice diritto al corretto svolgimento di un procedimento nel quale si risolvono questioni che riguardano principalmente gli Stati membri, ma del diritto a che nella soluzione di tali questioni vengano rispettati determinati diritti e interessi che sono oggetto della protezione conferita da taluni diritti fondamentali.

47.      In conclusione, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che il richiedente asilo può avvalersi del ricorso o della revisione di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 soltanto per opporsi a un’applicazione dei criteri del regolamento la quale, o conduca all’attribuzione della competenza – con tutti gli obblighi che essa comporta – ad uno Stato membro che non è in grado di garantire un trattamento compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali del richiedente, o disattenda i criteri di determinazione basati sui diritti soggettivi specificamente riconosciuti al richiedente asilo dallo stesso regolamento.

48.      Pertanto, limitandomi alle circostanze del caso dibattuto nel procedimento principale, ritengo che la sig.ra Abdullahi potrebbe opporsi alla determinazione dell’Ungheria quale Stato membro competente per l’esame della sua domanda d’asilo solo adducendo che il suo trasferimento in tale Stato membro è incompatibile con la protezione dei suoi diritti fondamentali o che le autorità austriache hanno omesso di tener conto di criteri di determinazione basati su diritti soggettivi a lei specificamente riconosciuti dal regolamento n. 343/2003.

B –    Seconda questione

49.      In considerazione di quanto precede, ritengo che la seconda questione sollevata dall’Asylgerichtshof non sia rilevante.

50.      Infatti, la determinazione dell’Ungheria quale Stato membro competente – che è la questione dibattuta nel procedimento a quo – potrebbe essere revocata nell’ambito del ricorso previsto all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 solo qualora si accertasse che l’Ungheria non è in grado di garantire la protezione dei diritti fondamentali della sig.ra Abdullahi, oppure qualora le autorità austriache avessero omesso di applicare i criteri del regolamento basati su circostanze costitutive di un diritto soggettivo della richiedente asilo, quali possono essere la condizione di minore o la presenza di familiari in altri Stati membri.

51.      Su entrambi i punti spetta in ogni caso al giudice del rinvio pronunciarsi. In questa sede, però, rileva solo il fatto che a tal fine non è necessario determinare quale sia stato il «primo Stato membro» attraverso il quale la richiedente asilo è entrata nell’Unione ai fini e agli effetti del regolamento n. 343/2003. E questo perché gli unici Stati membri rilevanti nel ricorso ex articolo 19, paragrafo 2, del regolamento devono essere l’Ungheria, in ogni caso (essendo lo Stato membro determinato dalla decisione oggetto di ricorso), ed eventualmente gli altri Stati nei quali la sig.ra Abdullahi abbia familiari, o infine la stessa Austria, se si verificasse il caso previsto dall’articolo 19, paragrafo 4, del regolamento (vale a dire se, una volta disposto il trasferimento in Ungheria, tale trasferimento non avvenisse entro il termine prescritto dal regolamento).

52.      Pertanto, l’individuazione dello Stato membro attraverso il quale ha avuto luogo l’ingresso della sig.ra Abdullahi nel territorio dell’Unione risulta irrilevante. Con ciò non intendo affermare che la corretta applicazione del regolamento n. 343/2003 dovesse condurre in ogni caso a escludere il criterio dello Stato membro di ingresso. Voglio dire piuttosto che, anche se – per ipotesi – tale criterio fosse quello che si sarebbe dovuto applicare, è certo che l’applicazione non corretta del regolamento non avrebbe comportato la violazione di un diritto soggettivo della sig.ra Abdullahi azionabile mediante il ricorso di cui all’articolo 19, paragrafo 2. Come ho già detto, la richiedente asilo non vanta un diritto soggettivo alla corretta applicazione del regolamento in tutti i suoi aspetti, ma solo all’applicazione corretta di quei criteri concreti basati su diritti soggettivi specificamente riconosciuti dal regolamento.

53.      Tuttavia, e in subordine, intendo svolgere qui di seguito alcune altre considerazioni in ordine a tale aspetto per il caso in cui la Corte ritenesse necessario rispondere alla seconda questione sollevata dall’Asylgerichtshof.

54.      Qualora nell’ambito del ricorso previsto dall’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 il giudice nazionale potesse riesaminare nel merito la decisione amministrativa in tutti i suoi punti e, di conseguenza, procedere in prima persona alla determinazione dello Stato membro competente in applicazione dei criteri del regolamento, il problema sollevato dall’Asylgerichtshof, nelle circostanze del caso di specie, è sapere come debba essere interpretato l’articolo 10, paragrafo 1, di detto regolamento, nel quale è stabilito il criterio dell’ingresso illegale attraverso un determinato Stato membro.

55.      L’Asylgerichtshof non chiede alla Corte di stabilire se la sig.ra Abdullahi sia entrata o meno nell’Unione attraverso quello che esso definisce «primo Stato membro», dato che la sua seconda questione parte dal presupposto che il primo ingresso sia avvenuto attraverso tale Stato membro. La questione è piuttosto se tale ingresso debba essere considerato «ingresso rilevante» ai fini dell’applicazione del criterio di cui all’articolo 10, paragrafo 1.

56.      Secondo il parere del giudice del rinvio – condiviso dai governi austriaco, ellenico e italiano, nonché dalla Confederazione svizzera – l’«ingresso rilevante» è soltanto quello avvenuto attraverso il «secondo Stato membro» (l’Ungheria). Secondo detto giudice, il primo viaggio della sig.ra Abdullahi verso l’Unione si è concluso quando costei ha lasciato il «primo Stato membro» (la Grecia). Il secondo ingresso attraverso il «secondo Stato membro» sarebbe, quindi, il risultato di un nuovo viaggio – l’unico, a suo avviso, rilevante.

57.      Per contro, la Commissione, il Regno Unito e i governi francese e ungherese, nonché la sig.ra Abdullahi, sostengono che l’ingresso rilevante è quello avvenuto attraverso il «primo Stato membro», conferendo particolare importanza al fatto che non fosse scaduto alcuno dei termini previsti dall’articolo 10, paragrafo 1, e dall’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento n. 343/2003. Ritengo che, in effetti, questo sia un dato decisivo per la soluzione del problema sollevato.

58.      Anche se il giudice del rinvio parla di due «viaggi», ritengo che nelle circostanze del caso di specie occorra parlare di un unico viaggio.

59.      È certo che, secondo i dati forniti dall’Asylgerichtshof, il viaggio della sig.ra Abdullahi inizia nell’aprile 2011 con un trasferimento per via aerea da un luogo indeterminato verso la Siria e termina in Austria, dove la predetta è stata fermata e ha richiesto asilo il 29 agosto 2011. Per giungere in Austria essa ha quindi seguito un percorso che l’ha portata dalla Siria alla Turchia e da questo paese, via mare, in Grecia, dove è entrata nel luglio 2011, proseguendo poi il viaggio via terra attraverso la Grecia, e di qui uscendo per entrare in uno Stato terzo, attraversare questo e altri Stati terzi, entrare di nuovo nell’Unione attraverso l’Ungheria e passare poi in Austria.

60.      A mio avviso, al di là della discontinuità geografica, il percorso seguito dalla sig.ra Abdullahi sembra piuttosto unico e continuo: dalla Somalia (suo paese di origine), o quanto meno, secondo quanto accertato, dalla Siria, fino – senza interruzioni – in Austria, dove alla fine ha effettivamente presentato domanda di asilo. La continuità e unità del percorso emerge, a mio giudizio, dalla dimensione temporale del medesimo, dal momento che la distanza è stata percorsa in un tempo molto breve, praticamente il minimo indispensabile per arrivare a destinazione nelle stesse condizioni di clandestinità che hanno caratterizzato tutto il viaggio della sig.ra Abdullahi. Certamente, non è del tutto sicuro che la destinazione desiderata dalla sig.ra Abdullahi fosse l’Austria, paese nel quale è stata fermata quando forse intendeva proseguire il viaggio verso un altro Stato membro. Ritengo però che non sussista alcun dubbio sul fatto che la sua «destinazione» – se così si può chiamare – non era la Grecia, paese in cui è giunta nel luglio 2011 e che forse ha lasciato già in quello stesso mese, dal momento che è nel mese di agosto che ha presentato domanda di asilo in Austria dopo avere attraversato vari Stati terzi, oltre all’Ungheria.

61.      Tuttavia, tale continuità, per così dire, «ideale» del viaggio della sig.ra Abdullahi ha un peso solo relativo. Più importante è la circostanza che la sig.ra Abdullahi ha per la prima volta messo piede nel territorio dell’Unione in Grecia, quale primo «territorio sicuro», e che ciò ha fatto sorgere la competenza di tale Stato membro in virtù dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003, la quale cessa solo dodici mesi dopo la data di tale ingresso illegale.

62.      A tal proposito si impongono due considerazioni. In primo luogo, data la continuità del percorso della sig.ra Abdullahi dal suo luogo di origine fino al luogo in cui è stata fermata e ha chiesto asilo, può ritenersi che, uscendo dalla Grecia, essa non intendesse allontanarsi dall’Unione, ma più esattamente continuare il viaggio verso un altro Stato membro. La situazione geografica della Grecia può aver ragionevolmente imposto, a beneficio della facilità e dell’economicità del viaggio, un itinerario che attraversava vari Stati terzi, senza che, uscendo dalla Grecia per attraversare tali Stati, vi fosse alcuna intenzione, se così posso esprimermi, di allontanarsi dall’Unione. L’intenzione giuridicamente rilevante era, piuttosto, quella di rimanere nell’Unione raggiungendo un altro Stato membro.

63.      In secondo luogo, anche ammettendo che la sig.ra Abdullahi «si sia allontanata» dall’Unione uscendo dalla Grecia, non si può ignorare che l’effetto dell’allontanamento dal territorio dell’Unione non è istantaneo. Ciò si evince, a mio avviso, dall’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento n. 343/2003, secondo il quale gli obblighi dello Stato membro che risulti competente in conformità del regolamento «vengono meno se il cittadino di un paese terzo si è allontanato dal territorio degli Stati membri per almeno tre mesi». Tale norma si riferisce, senza dubbio, agli obblighi dello Stato membro competente una volta che questo sia stato individuato in base ai criteri stabiliti dal regolamento n. 343/2003. Nondimeno, essa deve ritenersi altresì operante nel momento stesso in cui l’autorità competente applica detti criteri, di modo che occorre escludere dal procedimento di determinazione dello Stato membro competente quegli Stati membri rispetto ai quali consti dall’inizio che il richiedente asilo si è allontanato da essi per un periodo di tre mesi.

64.      In ogni caso, in questa sede rileva soprattutto il fatto che, ai sensi del regolamento n. 343/2003, l’allontanamento fisico dal territorio non comporta automaticamente lo scioglimento del legame giuridico con l’Unione, in modo che i diritti e le aspettative che il richiedente asilo può aver acquisito entrando nell’Unione si mantengono per tre mesi successivamente alla sua uscita, riattivandosi qualora egli rientri nell’Unione prima della scadenza di tale termine. Nel caso di specie, la richiedente asilo non ha abbandonato l’Unione per più di un mese a partire dal suo ingresso in Grecia; così, la competenza di detto Stato membro sussisteva ancora validamente quando la sig.ra Abdullahi è entrata in Ungheria.

65.      Ritengo, pertanto, che gli effetti di un primo ingresso nell’Unione permangano fino a che non siano trascorsi tre mesi dopo l’allontanamento dal territorio degli Stati membri e che, quindi, nelle circostanze del caso di specie, la competenza spetti al «primo Stato membro».

C –    Terza questione

66.      Con la sua terza questione, il giudice nazionale, rinviando alla sentenza N.S., chiede in che misura la situazione di «uno Stato membro il cui sistema di asilo presenta comprovate carenze sistemiche» obblighi ad escludere la competenza di tale Stato, pur essendo esso competente ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento.

67.      Malgrado una certa difficoltà di interpretazione che il tenore letterale della terza questione comporta, ritengo che, viste le spiegazioni fornite dal giudice a quo nell’ordinanza di rinvio, occorra concludere che ciò che si chiede è se uno Stato membro nel quale sussistono le carenze di cui sopra debba essere escluso, senz’altro e per principio, come possibile Stato membro competente, oppure se, al contrario, una volta che esso sia stato individuato come Stato membro competente in applicazione del regolamento n. 343/2003, debba passarsi a individuare un altro Stato membro competente in applicazione dei restanti criteri del regolamento.

68.      Pertanto, il nucleo della questione è come si debba procedere una volta che occorra effettivamente escludere, ai sensi della giurisprudenza N.S., la determinazione di uno Stato membro quale Stato competente ad esaminare una domanda di asilo.

69.      La questione è, allora, come si determini un altro Stato membro competente una volta escluso, in conformità alla giurisprudenza N.S., quello che dovrebbe essere competente secondo i criteri del regolamento n. 343/2003.

70.      Secondo il punto 107 della sentenza N.S., «[f]erma restando la facoltà, di cui all’art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, di esaminare esso stesso la domanda, l’impossibilità di trasferire un richiedente asilo verso un altro Stato membro dell’Unione che risulti essere lo Stato membro competente in base ai criteri enunciati nel capo III di detto regolamento impone allo Stato membro che doveva effettuare tale trasferimento di proseguire l’esame dei criteri di cui al medesimo capo, per verificare se uno dei criteri ulteriori permetta di identificare un altro Stato membro come competente a esaminare la domanda di asilo» (14).

71.      L’aggettivo «ulteriori» ha perfettamente senso, dato che l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003 dispone che «[i] criteri per la determinazione dello Stato membro competente si applicano nell’ordine nel quale sono definiti dal presente capo» (15).

72.      Se le autorità austriache hanno ritenuto che il criterio applicabile per primo fosse quello contemplato nell’articolo 10 del regolamento n. 343/2003 (ingresso illegale nel territorio dell’Unione) è perché hanno escluso l’applicazione dei criteri precedenti (minore età, esistenza di familiari, possesso di un titolo di soggiorno); l’impossibilità di attenersi a tale criterio le obbliga ad esaminare la possibilità di applicare uno di quelli che seguono nell’ordine stabilito dal regolamento e, in ultima battuta, ad attenersi al criterio residuale fissato dall’articolo 13, che dichiara competente lo Stato membro nel quale è stata presentata la domanda d’asilo.

73.      In linea di principio, ciascuno dei criteri si esaurisce con la sua applicazione, dal momento che il loro tratto comune deve essere che con ciascuno di essi viene individuato un unico Stato membro competente. Pertanto, non ha senso applicare di nuovo il criterio che ha condotto alla determinazione dello Stato membro nel quale alla fine il richiedente asilo non può essere trasferito, perché tale applicazione condurrebbe ancora, inevitabilmente, allo Stato membro scartato. Per lo stesso motivo, sarebbe impensabile considerare anche l’applicazione di uno dei criteri precedenti, già rimasti inapplicati quando si è concluso che il criterio da applicare era uno di quelli successivi.

74.      Nel caso di specie, e in aderenza alla logica suddetta, resterebbero da applicare solo i criteri contemplati dall’articolo 11 (ingresso in uno Stato membro nel quale la sig.ra Abdullahi è dispensata dall’obbligo del visto) e dall’articolo 12 (domanda d’asilo presentata in una zona di transito di un aeroporto di uno Stato membro). Qualora non fosse applicabile alcuno di essi – accertamento questo che spetta al giudice del rinvio –, rimarrebbe solo il criterio residuale di cui all’articolo 13, con conseguente attribuzione della competenza alle autorità austriache. Tutto questo, ovviamente, ferma restando l’operatività della clausola di sovranità e della clausola umanitaria di cui, rispettivamente, all’articolo 3, paragrafo 2, e all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003.

VI – Conclusione

75.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali nei seguenti termini:

«1)      Il richiedente asilo può avvalersi del ricorso o, eventualmente, della revisione di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 per contestare o un’applicazione dei criteri del regolamento la quale conduca alla determinazione di uno Stato membro che non è in grado di garantire al richiedente asilo un trattamento compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali, o la disapplicazione di criteri di determinazione basati su diritti soggettivi specificamente riconosciuti al richiedente asilo dallo stesso regolamento».

In subordine, e qualora la Corte ritenesse che il ricorso di cui all’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 343/2003 consenta un’impugnazione basata su qualsiasi violazione di tale regolamento:

«2)      L’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 343/2003 deve essere interpretato nel senso che, nelle circostanze del caso in discussione nel procedimento principale, la competenza per l’esame della domanda d’asilo spetta allo Stato membro nel quale si è verificato il primo ingresso illegale.

3)      La constatazione, da parte del giudice nazionale, di carenze sistemiche nella procedura d’asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in un determinato Stato membro non comporta l’esclusione di quest’ultimo dal sistema creato dal regolamento n. 343/2003, tale per cui detto Stato membro rimanga escluso “a priori” dal suo ambito di applicazione. Una siffatta constatazione implica soltanto l’esclusione della competenza che potrebbe spettare a tale Stato in sede di applicazione dei criteri stabiliti da detto regolamento, con la conseguenza che si dovrà procedere all’individuazione di un altro Stato membro competente mediante l’applicazione dei criteri successivi a quello inizialmente applicato».


1 –      Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU L 50, pag. 1).


3 – Cause riunite C‑411/10 e C‑493/10.


4 –      Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13).


5 –      Come si ricorda nella sentenza del 30 maggio 2013, Halaf (C‑528/11, punto 37), i lavori preparatori del regolamento n. 343/2003 confermano che la norma di cui all’articolo 3, paragrafo 2, è stata introdotta al fine di consentire agli Stati membri di decidere «in piena sovranità» se esaminare una domanda d’asilo, senza assoggettamento ad alcuna condizione.


6 –      V. in tal senso, ex plurimis, sentenza del 29 gennaio 2009, Petrosian (C‑19/08, Racc. pag. I‑495, punto 34).


7 –      V., in tal senso, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Jääskinen nella causa Puid, C‑4/11, paragrafo 57.


8 –      Paragrafo 58.


9 –      Al riguardo, così come fa l’avvocato generale Jääskinen, occorre menzionare le conclusioni presentate dall’avvocato generale Trstenjak nella causa Kastrati (sentenza del 3 maggio 2012, C‑620/10, paragrafo 29).


10 –      Direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12).


11 –      In tal senso, sentenza N.S., cit., punti da 78 a 80.


12 –      Sentenza N.S., cit., punti 81 e 99.


13 –      Sentenza N.S., cit., punti 78 e 79.


14 – Il corsivo è mio.


15 – Il corsivo è mio.