Language of document : ECLI:EU:C:2016:631

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

7 settembre 2016 (*)

«Impugnazione – Intese – Articolo 101 TFUE – Articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 – Mercato europeo del vetro destinato al settore auto – Accordi di ripartizione di mercati e scambi di informazioni commercialmente sensibili – Ammende – Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende – Punto 13 – Valore delle vendite – Regolamento (CE) n. 1/2003 – Articolo 23, paragrafo 2, secondo comma – Massimale di legge dell’ammenda – Tasso di cambio ai fini del calcolo del massimale dell’ammenda – Importo dell’ammenda – Competenza giurisdizionale estesa al merito – Imprese mono-prodotto – Proporzionalità – Parità di trattamento»

Nella causa C‑101/15 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 27 febbraio 2015,

Pilkington Group Ltd, con sede in Lathom (Regno Unito),

Pilkington Automotive Ltd, con sede in Lathom,

Pilkington Automotive Deutschland GmbH, con sede in Witten (Germania),

Pilkington Holding GmbH, con sede in Gelsenkirchen (Germania),

Pilkington Italia SpA, con sede in San Salvo (Italia),

rappresentate da S. Wisking e K. Fountoukakos-Kyriakakos, solicitors, e da C. Puech Baron, avocat,

ricorrenti,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata da A. Biolan, M. Kellerbauer e H. Leupold, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, C. Lycourgos, E. Juhász, C. Vajda e K. Jürimäe (relatore), giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 marzo 2016,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 aprile 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, la Pilkington Group Ltd, la Pilkington Automotive Ltd, la Pilkington Automotive Deutschland GmbH, la Pilkington Holding GmbH e la Pilkington Italia SpA chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 17 dicembre 2014, Pilkington Group e a./Commissione (T‑72/09, non pubblicata, EU:T:2014:1094; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha respinto il loro ricorso volto, in via principale, all’annullamento della decisione C (2008) 6815 definitivo della Commissione, del 12 novembre 2008, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo [81 CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/39.125 – Vetro destinato al settore auto), come modificata dalla decisione C (2009) 863 definitivo della Commissione, dell’11 febbraio 2009, e dalla decisione C (2013) 1119 final della Commissione, del 28 febbraio 2013 (in prosieguo: la «decisione controversa»), nei limiti in cui essa riguarda le ricorrenti, nonché, in subordine, all’annullamento dell’articolo 2 di tale decisione, nella parte in cui essa infligge un’ammenda alle ricorrenti, oppure, in ulteriore subordine, alla riduzione dell’importo di detta ammenda.

 Contesto normativo

 Il regolamento (CE) n. 1/2003

2        Intitolato «Ammende», l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [81 e 82 CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), dispone quanto segue:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)      commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo [81 o dell’articolo 82 CE]; (…)

(...)

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

(...)».

 Gli orientamenti del 2006

3        I punti da 4 a 6, 13 e 35 degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006») così recitano:

«4.      (...) Le ammende devono avere un effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli [81 e 82 CE] (effetto dissuasivo generale).

5.      Per conseguire tali obiettivi è opportuno che la Commissione si riferisca, come base per la determinazione delle ammende, al valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione. Anche la durata dell’infrazione dovrebbe avere un ruolo significativo nella determinazione dell’importo appropriato dell’ammenda. (...)

6.      La combinazione della durata e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce è considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato. (...)

(...)

13.      Al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce [(tale sarà il caso, ad esempio, degli accordi orizzontali volti alla fissazione del prezzo di un determinato prodotto, dove il prezzo di tale prodotto serve poi come base per la determinazione del prezzo di prodotti di qualità inferiore o superiore)], realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello [Spazio economico europeo (SEE)]. (...)

(...)

35.      In circostanze eccezionali la Commissione può, a richiesta, tener conto della mancanza di capacità contributiva di un’impresa in un contesto sociale ed economico particolare. La Commissione non concederà alcuna riduzione di ammenda basata unicamente sulla constatazione di una situazione finanziaria sfavorevole o deficitaria. Una riduzione potrebbe essere concessa soltanto su presentazione di prove oggettive dalle quali risulti che l’imposizione di un’ammenda, alle condizioni fissate dai presenti orientamenti, pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa e priverebbe i suoi attivi di qualsiasi valore».

 Fatti e decisione controversa

4        Dai punti da 1 a 12 e 36 della sentenza impugnata emerge che, nella decisione controversa, la Commissione ha considerato che un certo numero di imprese, di cui facevano parte le ricorrenti, ha partecipato a un’infrazione unica e continuata dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, consistente nella ripartizione concordata, nell’ambito del vetro destinato al settore auto, di contratti relativi alla fornitura di vetri per automobili o di insiemi di vetri, che comprendono generalmente un parabrezza, un lunotto posteriore e finestrini laterali, ai principali costruttori di automobili aventi sede all’interno del SEE. Per quanto riguarda le ricorrenti, la Commissione ha accertato tale infrazione per il periodo compreso tra il 10 marzo 1998 e il 3 settembre 2002 e ha loro inflitto congiuntamente e solidalmente, a tale titolo, un’ammenda di EUR 370 milioni [articolo 2, lettera c), della decisione controversa].

5        Il 28 febbraio 2013, la Commissione ha adottato la decisione C (2013) 1119 final, che modifica la decisione C (2008) 6815 definitivo quanto, segnatamente, al calcolo dell’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti. Con tale decisione, la Commissione ha, in sostanza, inteso rettificare due errori che essa riteneva di aver commesso nell’effettuare il suddetto calcolo. Per effetto di detta decisione, il nuovo importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti è stato fissato a EUR 357 milioni in luogo dell’importo iniziale di EUR 370 milioni.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

6        Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 18 febbraio 2009, così come modificato mediante lettera pervenuta alla cancelleria del Tribunale il 15 marzo 2013, le ricorrenti hanno proposto un ricorso di annullamento avverso la decisione controversa deducendo sei motivi. Solo il terzo, il quinto e il sesto motivo, vertenti sul calcolo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti, presentano un interesse ai fini della presente impugnazione. Le ricorrenti chiedevano altresì al Tribunale, e ciò, eventualmente, a prescindere da tali motivi di annullamento, che esso esercitasse la propria competenza giurisdizionale estesa al merito riducendo l’importo dell’ammenda che era stata loro inflitta.

7        Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto integralmente il ricorso.

 Domande delle parti in sede di impugnazione

8        Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata, nella parte in cui essa respinge il ricorso proposto avverso l’articolo 2, lettera c), della decisione controversa;

–        ridurre l’ammenda che è stata loro inflitta ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della decisione controversa, e

–        condannare la Commissione alle spese.

9        La Commissione chiede il rigetto dell’impugnazione e la condanna delle ricorrenti alle spese.

 Sull’impugnazione

10      Le ricorrenti deducono tre motivi a sostegno della propria impugnazione.

 Sul primo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione del punto 13 degli orientamenti del 2006

 Argomenti delle parti

11      Con il loro primo motivo, diretto contro i punti da 217 a 227 della sentenza impugnata, le ricorrenti censurano il Tribunale per avere dichiarato che la Commissione ha legittimamente tenuto conto, ai fini della determinazione dell’importo di base dell’ammenda che è stata loro inflitta, delle vendite realizzate sulla base di contratti anteriori al periodo dell’infrazione e non rinegoziati durante tale periodo (in prosieguo: le «vendite controverse»).

12      Le ricorrenti rilevano che il Tribunale si è così fondato su un’interpretazione errata della nozione di «valore delle vendite dei beni o servizi, realizzate dall’impresa, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce», di cui al punto 13 degli orientamenti del 2006. Infatti, tale nozione non consentirebbe alla Commissione di tenere conto delle vendite controverse, in quanto sarebbe evidente che queste non hanno potuto in alcun modo rientrare nell’ambito dell’infrazione, e ciò neppure nell’ipotesi in cui quest’ultima perseguisse un obiettivo di stabilizzazione generale del mercato interessato dall’infrazione. Pertanto, la presa in considerazione di dette vendite non fornirebbe «un parametro adeguato», ai sensi del punto 6 di tali orientamenti, poiché essa condurrebbe a sopravvalutare al contempo l’importanza economica dell’infrazione, il peso relativo dell’impresa che ha realizzato tali vendite nell’ambito dell’infrazione e la lesività di quest’ultima.

13      Le ricorrenti sottolineano che nessuno dei motivi invocati dal Tribunale al punto 225 della sentenza impugnata, vertente sul modus operandi e sull’obiettivo perseguito dall’infrazione, è tale da dimostrare che le vendite controverse rientravano nell’ambito dell’infrazione.

14      La Commissione ritiene che gli argomenti delle ricorrenti debbano essere respinti in quanto infondati.

 Giudizio della Corte

15      Con il loro primo motivo, le ricorrenti rilevano, in sostanza, che il Tribunale è incorso in un errore di diritto laddove ha dichiarato che la Commissione poteva includere le vendite controverse nelle vendite prese in considerazione per il calcolo dell’ammenda che è stata loro inflitta, a titolo di «vendite collegate di beni o servizi, realizzate dall’impresa, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce», ai sensi del punto 13 degli orientamenti del 2006.

16      Per quanto riguarda l’inflizione di un’ammenda ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, la Corte ha dichiarato che la Commissione deve valutare, caso per caso e a fronte del contesto nonché degli obiettivi perseguiti dal regime sanzionatorio istituito da detto regolamento, l’impatto voluto nei confronti dell’impresa interessata, segnatamente tenendo conto di un fatturato che rifletta la situazione economica reale dell’impresa stessa nel periodo nel corso del quale l’infrazione è stata commessa (sentenza del 9 luglio 2015, InnoLux/Commissione C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

17      A tale riguardo, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, si può tenere conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, sia pure approssimativa e imperfetta, delle dimensioni e del potere economico dell’impresa stessa, quanto della quota di tale fatturato riferibile ai prodotti oggetto dell’infrazione e che è, perciò, atta a fornire un’indicazione della gravità di quest’ultima (sentenza del 9 luglio 2015, InnoLux/Commissione, C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

18      Ai sensi del punto 13 degli orientamenti del 2006, «[a]l fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, (...) realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE». Nella loro parte introduttiva, detti orientamenti precisano, al loro punto 6, che «[l]a combinazione della durata e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce è considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato».

19      Ne discende che il punto 13 degli orientamenti del 2006 ha l’obiettivo di assumere quale base iniziale per il calcolo dell’ammenda inflitta a un’impresa un importo che rifletta l’importanza economica dell’infrazione e il peso di tale impresa nella stessa. Conseguentemente, se è vero che la nozione di «valore delle vendite» di cui al punto 13 non può, certamente, estendersi sino a ricomprendere le vendite realizzate dall’impresa interessata che non rientrano nella sfera di applicazione dell’intesa contestata, l’obiettivo perseguito da tale disposizione risulterebbe comunque pregiudicato se tale nozione fosse intesa come comprendente unicamente il fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulta accertato che sono state effettivamente oggetto dell’intesa (sentenze dell’11 luglio 2013, Team Relocations e a./Commissione, C‑444/11 P, non pubblicata, EU:C:2013:464, punto 76, nonché del 12 novembre 2014, Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione, C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 57).

20      Orbene, per quanto riguarda le vendite controverse, se, come sostenuto dalle ricorrenti, queste ultime sono state realizzate in forza di contratti conclusi anteriormente al periodo di infrazione, resta tuttavia il fatto che il Tribunale ha correttamente dichiarato, al punto 226 della sentenza impugnata, che la Commissione ha potuto validamente includerle nel valore delle vendite calcolato ai sensi del punto 13 degli orientamenti del 2006, ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda, a pari titolo delle vendite realizzate in forza di contratti di fornitura conclusi nel corso del periodo di infrazione, ma per le quali non è stato dimostrato che avessero formato lo specifico oggetto di una collusione.

21      Infatti, emerge dai punti da 222 a 225 della sentenza impugnata che il Tribunale ha convalidato il metodo di calcolo utilizzato dalla Commissione, esaminando i motivi, vertenti sulla modalità di funzionamento e sugli obiettivi dell’infrazione, sui quali tale istituzione si è basata per dichiarare che la presa in considerazione delle vendite controverse era giustificata, in quanto esse consentivano di riflettere l’importanza economica dell’infrazione.

22      Pertanto, il Tribunale ha segnatamente considerato, ai punti 224 e 225 della sentenza impugnata, che la presa in considerazione delle vendite controverse era giustificata sia in relazione alla portata e al modus operandi dell’intesa sia con riguardo all’obiettivo generale di stabilità del mercato che essa perseguiva, cosicché una collusione vertente su ogni contratto di fornitura non era necessaria al raggiungimento di tale obiettivo. A tale riguardo, il Tribunale ha correttamente rilevato che, in tali circostanze, la necessità di una collusione vertente su un determinato contratto di fornitura dipendeva dalla ripartizione delle consegne, dal bisogno soggettivo di adottare misure per conservare le rispettive quote di mercato, nonché dalla capacità di ogni contratto di comportare un cambiamento significativo nella quota di consegne generali prospettate da ciascun partecipante all’intesa.

23      Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, tali considerazioni non sono prive di rilevanza. Infatti, il piano globale dell’intesa consisteva in una ripartizione delle consegne del vetro destinato al settore auto tra i partecipanti all’intesa, per quanto riguardava tanto i contratti di fornitura esistenti quanto i nuovi contratti. Tale ripartizione interessava dunque, come emerge dalla constatazione di fatto operata dal Tribunale al punto 24 della sentenza impugnata, l’intera attività di tali partecipanti sul mercato interessato, il che è tra l’altro confermato dal modus operandi dell’intesa, secondo il quale la stessa comprendeva misure correttive che tenevano conto dei contratti di fornitura esistenti. Ne discende che le vendite realizzate sulla base di contratti anteriori al periodo di infrazione e non rinegoziati nel corso di tale periodo dovevano essere considerate come rientranti nel campo di applicazione dell’intesa, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 19 della presente sentenza. Di conseguenza, occorre rilevare che se la Commissione non avesse potuto includere tali vendite nel valore delle vendite calcolate ai sensi del punto 13 degli orientamenti del 2006, l’importo dell’ammenda che ne sarebbe risultata non avrebbe riflesso l’importanza economica dell’infrazione. Pertanto, il Tribunale non è incorso in un errore di diritto laddove ha considerato che le vendite controverse formavano l’oggetto dell’infrazione in parola.

24      Di conseguenza, occorre respingere il primo motivo in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003

 Argomenti delle parti

25      Con il loro secondo motivo, diretto contro i punti da 410 a 423 della sentenza impugnata, le ricorrenti censurano il Tribunale per aver dichiarato che l’importo definitivo dell’ammenda che è stata loro inflitta dalla Commissione non superava il massimale del 10% del fatturato totale realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione controversa, previsto all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 (in prosieguo: il «massimale di legge dell’ammenda»).

26      Il Tribunale sarebbe così incorso in un errore di diritto laddove ha giudicato che la Commissione poteva legittimamente utilizzare, per la conversione di tale fatturato totale, il quale, per quanto riguarda le ricorrenti, è espresso in lire sterline, il tasso di cambio medio della Banca centrale europea (BCE) applicabile per il periodo compreso tra il 1° aprile 2007 e il 31 marzo 2008 e non già il tasso di cambio applicabile alla data di adozione della decisione controversa, ossia il 12 novembre 2008. L’importo massimo che la Commissione avrebbe potuto infliggere alle ricorrenti si sarebbe limitato a EUR 317 547 860, vale a dire EUR 39 452 140 in meno rispetto all’ammenda che è stata loro definitivamente irrogata.

27      In primo luogo, le ricorrenti asseriscono che l’interpretazione del Tribunale non è conforme all’obiettivo del massimale legale dell’ammenda, di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, il quale è volto a offrire una protezione contro le fluttuazioni monetarie che precedono l’adozione della decisione della Commissione, ossia la data in cui l’ammenda diviene esigibile.

28      A tale riguardo, il Tribunale si sarebbe erroneamente fondato sulla giurisprudenza relativa al tasso di cambio applicabile per il calcolo dell’importo di base dell’ammenda, la quale non sarebbe estendibile all’ambito della determinazione del massimale legale dell’ammenda, poiché l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione nell’istituire tale massimale sarebbe distinto e autonomo rispetto a quello dei criteri della gravità e della durata dell’infrazione. L’obiettivo di tale massimale sarebbe precisamente quello di fornire una protezione assoluta contro le conseguenze pregiudizievoli delle fluttuazioni monetarie che potrebbero verificarsi fino alla data di adozione della decisione della Commissione, come risulterebbe dalla giurisprudenza della Corte e, in particolare, dal punto 59 della sentenza del 16 novembre 2000, Enso Española/Commissione (C‑282/98 P, EU:C:2000:628), dal punto 89 della sentenza del 16 novembre 2000, Sarrió/Commissione (C‑291/98 P, EU:C:2000:631), dal punto 606 della sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582), nonché dal punto 63 della sentenza del 4 settembre 2014, YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153).

29      In secondo luogo, le ricorrenti censurano la considerazione del Tribunale contenuta al punto 418 della sentenza impugnata, secondo cui le imprese dovrebbero sopportare il rischio di fluttuazioni monetarie tra l’esercizio sociale precedente e la data di adozione della decisione della Commissione, il che comporterebbe costi significativi per tali imprese. Tale considerazione non sarebbe conforme all’obiettivo dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e non troverebbe alcun fondamento nella giurisprudenza della Corte.

30      In terzo luogo, l’approccio del Tribunale non permetterebbe di garantire la parità di trattamento tra le imprese la cui contabilità è tenuta in valute diverse dall’euro e quelle la cui contabilità è tenuta in euro, giacché le prime sarebbero esposte al rischio di vedere variare sensibilmente il livello del massimale legale dell’ammenda in funzione delle fluttuazioni monetarie, mentre le seconde non sarebbero esposte a un rischio di tal genere.

31      In quarto luogo, l’approccio seguito dal Tribunale non consentirebbe di garantire la certezza del diritto, poiché esso creerebbe un’incertezza quanto al rischio finanziario massimo che sarebbero condotte a sostenere le imprese la cui moneta di conto è diversa dall’euro.

32      La Commissione asserisce che tale motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Giudizio della Corte

33      Con il loro secondo motivo, le ricorrenti contestano, in sostanza, al Tribunale di avere dichiarato che la Commissione poteva validamente calcolare il massimale legale dell’ammenda riferendosi alla media dei tassi di cambio applicabile durante l’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione controversa, anziché al tasso di cambio applicabile alla data dell’adozione di tale decisione. Esse affermano che, così procedendo, il Tribunale ha disatteso l’obiettivo di tale massimale legale, la giurisprudenza della Corte, nonché i principi di parità di trattamento e della certezza del diritto.

34      L’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 dispone che, per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

35      Le ricorrenti, il cui fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente è espresso in lire sterline, non contestano il diritto della Commissione a fissare in euro le ammende che essa infligge ai sensi dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003. Tale disposizione non contiene tuttavia alcuna indicazione quanto al tasso di cambio che deve essere utilizzato per la determinazione del massimale legale dell’ammenda, qualora il fatturato totale, di cui al secondo comma del paragrafo 2 di tale disposizione, sia espresso in una valuta diversa dall’euro.

36      A tale riguardo, ai fini della valutazione della fondatezza del metodo di conversione applicato dalla Commissione, occorre rilevare che il Tribunale ha fatto riferimento, senza essere censurato dalle ricorrenti su tale punto, all’obiettivo perseguito dal massimale legale dell’ammenda, come precisato dalla Corte, ai punti 281 e 282 della sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408) e richiamato dal Tribunale al punto 414 della sentenza impugnata. Tale obiettivo è di evitare che siano inflitte ammende che le imprese, date le loro dimensioni, quali determinate dal loro fatturato complessivo, ancorché in maniera approssimativa e imperfetta, non saranno, prevedibilmente, in grado di saldare.

37      Come emerge dalla giurisprudenza della Corte, l’importo dell’ammenda applicabile a un’impresa è infatti limitato da un massimale esprimibile in cifre e assoluto, in modo tale che l’importo massimo dell’ammenda applicabile a una data impresa è determinabile anticipatamente (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, InnoLux/Commissione, C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

38      Pertanto, considerato tale obiettivo, il Tribunale non può essere censurato laddove ha dichiarato, al punto 415 della sentenza impugnata, che in via di principio il limite massimo derivante dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 deve essere fissato con riferimento alla realtà economica, come si presentava durante l’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione che sanziona l’infrazione all’articolo 81 CE.

39      Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 51 delle sue conclusioni, tale constatazione è conforme alla scelta del legislatore dell’Unione di considerare il fatturato realizzato durante l’ultimo esercizio sociale chiuso prima dell’adozione della decisione che fissa l’importo dell’ammenda come, in linea di massima, valore di riferimento, determinabile anticipatamente, che meglio può riflettere la capacità finanziaria dell’impresa alla data in cui essa è riconosciuta responsabile dell’infrazione e in cui le è inflitta una sanzione pecuniaria dalla Commissione.

40      Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, occorre rilevare che tale scelta giustifica altresì il fatto di prendere in considerazione il tasso di cambio applicabile durante tale periodo al fine di effettuare la conversione di tale valore di riferimento, laddove questo è espresso in una valuta diversa dall’euro.

41      Infatti, è necessario constatare che, in primo luogo, quanto alla valutazione della capacità finanziaria di un’impresa, è conforme alla scelta del legislatore dell’Unione fare riferimento, a tale fine, non già al tasso di cambio applicabile alla data della decisione che infligge l’ammenda, bensì al tasso di cambio medio durante l’esercizio sociale precedente l’adozione di tale decisione, poiché quest’ultimo è in grado di meglio riflettere la realtà economica come si presentava nel corso di tale esercizio.

42      A tale riguardo, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non è possibile inferire dalla giurisprudenza della Corte che, quanto alla conversione dell’importo massimo dell’ammenda, questa avrebbe dichiarato che sarebbe necessario riferirsi al tasso di cambio applicabile al momento dell’adozione della decisione che infligge l’ammenda. Di contro, occorre rilevare che tale giurisprudenza conferma quanto dichiarato, in sostanza, dal Tribunale al punto 415 della sentenza impugnata, vale a dire che, quando si tratta di valutare la realtà economica come si presentava a una data epoca, è coerente riferirsi ai tassi di cambio applicabili nel corso di tale periodo. Invero, in caso contrario, la valutazione di tale realtà economica sarebbe necessariamente falsata da fattori estrinseci e aleatori, come la fluttuazione dei tassi di cambio verificatasi in un periodo successivo a tale esercizio (v., per analogia, sentenza del 16 novembre 2000, Sarrió/Commissione, C‑291/98 P, EU:C:2000:631, punti 86 e 88).

43      In secondo luogo, il metodo di conversione avallato dal Tribunale al punto 416 della sentenza impugnata risponde all’esigenza di prevedibilità del massimale legale dell’ammenda, richiamato al punto 37 della presente sentenza, nei limiti in cui tale metodo si basa su un tasso di cambio conoscibile prima dell’adozione della decisione della Commissione che infligge l’ammenda, e in funzione del quale è possibile determinare in anticipo il massimale di quest’ultima.

44      In terzo luogo, per quanto riguarda l’affermazione delle ricorrenti secondo cui il Tribunale avrebbe disatteso l’obiettivo del massimale legale, nel senso che tale massimale mirerebbe a garantire una protezione assoluta contro le fluttuazioni monetarie fino alla data di adozione della decisione che infligge l’ammenda, questa non può essere condivisa.

45      Invero, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, una simile protezione non costituisce un autonomo obiettivo del massimale legale dell’ammenda, ma piuttosto un aspetto della protezione che tale massimale offre contro le ammende di livello eccessivo e sproporzionato (v., per analogia, sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 281). Per quanto riguarda l’obiettivo del massimale legale dell’ammenda, le ricorrenti non possono, dunque, trarre argomento dalla giurisprudenza citata al punto 28 della presente sentenza. Se è vero che tale giurisprudenza, relativa alla conversione del valore delle vendite nell’ambito della determinazione dell’importo di base dell’ammenda, ammette che il massimale legale configura un limite alle eventuali conseguenze pregiudizievoli delle fluttuazioni monetarie, tuttavia da essa non discende né che tale limite costituisce una protezione assoluta contro fluttuazioni di tal genere, né che il tasso di cambio pertinente per la determinazione di detto massimale è quello applicabile alla data dell’adozione della decisione che infligge l’ammenda.

46      Quanto agli asseriti effetti delle fluttuazioni monetarie sul livello del massimale legale dell’ammenda convertito in euro, occorre rilevare che le ricorrenti non deducono alcun elemento atto a dimostrare che la constatazione effettuata dal Tribunale al punto 415 della sentenza impugnata, secondo cui il metodo di calcolo del massimale legale dell’ammenda utilizzato dalla Commissione costituisce un limite alle eventuali conseguenze pregiudizievoli di tali fluttuazioni, sarebbe errata. Infatti, dal punto 42 della presente sentenza emerge che tale metodo, basato sulla media dei tassi storici applicabili durante l’esercizio sociale precedente l’adozione della decisione che infligge l’ammenda piuttosto che sul tasso di cambio applicabile alla data di tale decisione, tende per sua natura a neutralizzare l’effetto di tali fluttuazioni sul livello del massimale legale dell’ammenda fino alla data dell’adozione di detta decisione. L’argomento delle ricorrenti non può, a tale riguardo, essere accolto, in quanto un metodo di conversione basato su un tasso di cambio giornaliero presenta un carattere necessariamente aleatorio e incerto, a differenza del metodo considerato dal Tribunale.

47      Di conseguenza, occorre constatare che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto allorché ha affermato, al punto 416 della sentenza impugnata, che il metodo di conversione utilizzato dalla Commissione per determinare il massimale legale dell’ammenda era conforme all’obiettivo di tale massimale.

48      Inoltre, le ricorrenti non possono trarre argomenti dal fatto che le imprese la cui contabilità è tenuta in una valuta diversa dall’euro subirebbero una disparità di trattamento rispetto a quelle la cui contabilità è espressa in euro, in ragione dell’esposizione delle prime al rischio monetario. Infatti, dato che le ricorrenti non contestano che l’ammenda che è stata loro inflitta possa essere fissata in euro, è inevitabile che esse siano esposte alle fluttuazioni monetarie. Orbene, a tale riguardo, il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 418 della sentenza impugnata, che le fluttuazioni monetarie costituiscono un’alea che può generare vantaggi oppure svantaggi, alla quale devono abitualmente far fronte le imprese che realizzano una parte delle loro vendite sul mercato delle esportazioni nell’ambito delle loro attività commerciali e la cui esistenza, in quanto tale, non è idonea a rendere inadeguato l’importo di un’ammenda legittimamente fissato in funzione della gravità e della durata dell’infrazione.

49      Ancora, l’argomento delle ricorrenti, vertente su un’asserita violazione, da parte del Tribunale, del principio della certezza del diritto, si basa, come dichiarato al punto 46 della presente sentenza, sull’errata premessa che il metodo di calcolo convalidato dal Tribunale le avrebbe esposte al rischio che il livello del massimale legale dell’ammenda vari in funzione delle fluttuazioni monetarie verificatesi tra la fine dell’esercizio sociale precedente e la data della decisione controversa.

50      Occorre, quindi, respingere tali argomenti in quanto infondati.

51      Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto dichiarando, al punto 421 della sentenza impugnata, che la Commissione era legittimata a calcolare il massimale legale dell’ammenda con riferimento al fatturato totale realizzato dalle ricorrenti durante l’esercizio sociale precedente, convertito in euro al tasso di cambio medio applicabile nel corso di tale esercizio.

52      Conseguentemente, occorre respingere il secondo motivo delle ricorrenti in quanto infondato.

 Sul terzo motivo, vertente su una violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità, nonché sul mancato esercizio da parte del Tribunale della sua competenza estesa al merito

 Argomenti delle parti

53      Il terzo motivo delle ricorrenti, diretto contro i punti da 396 a 402, 434, 438 e da 440 a 444 della sentenza impugnata, si articola in due parti.

54      Con la prima parte, le ricorrenti contestano al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto applicando in modo non corretto i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, laddove esso ha respinto il loro motivo con cui hanno dedotto che l’ammenda che è stata loro inflitta dalla Commissione sarebbe stata proporzionalmente più onerosa rispetto a quella inflitta agli altri partecipanti all’intesa, a causa del carattere meno diversificato dell’attività delle ricorrenti.

55      Il Tribunale avrebbe dunque ignorato l’argomento delle ricorrenti secondo cui, quando le conseguenze pregiudizievoli di un’ammenda su un’impresa sono sproporzionate rispetto a quelle inflitte agli altri destinatari della decisione, come indicherebbe il rapporto tra la percentuale dell’importo dell’ammenda e il fatturato totale annuo di tali imprese, la Commissione deve assicurarsi del rispetto dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Orbene, nel caso di specie, tale situazione di fatto sarebbe stata prevedibile al momento in cui la decisione controversa è stata adottata, come rivelerebbe la relazione della società di consulenza presentata al Tribunale. A tale riguardo, il Tribunale avrebbe mal interpretato l’obiettivo di tale relazione, che sarebbe stata prodotta non quale elemento di prova di fatti successivi all’adozione della decisione controversa, ma come prova del fatto che l’inflizione di un’ammenda significativa alle ricorrenti avrebbe avuto un impatto sproporzionato e avrebbe provocato un grave deterioramento della situazione finanziaria di queste ultime rispetto agli altri partecipanti all’intesa.

56      Il Tribunale avrebbe, inoltre, erroneamente interpretato l’argomento delle ricorrenti consistente nell’affermazione che la Commissione doveva tenere conto non di un’eventuale situazione deficitaria delle imprese meno adatte alle condizioni del mercato, bensì dell’impatto che un’ammenda significativa potrebbe avere sulla situazione finanziaria delle imprese e, in particolare, di quelle la cui attività è meno diversificata.

57      Infine, il Tribunale avrebbe ignorato che argomenti analoghi a quelli formulati dalle ricorrenti sono stati presi in considerazione dalla Commissione in precedenti decisioni e dal Tribunale, in particolare, nella sentenza del 12 dicembre 2012, Novácke chemické závody/Commissione (T‑352/09, EU:T:2012:673).

58      Quanto alla seconda parte del terzo motivo, le ricorrenti contestano al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto poiché ha omesso di esercitare la sua competenza giurisdizionale estesa al merito, al livello richiesto, per porre rimedio alla disparità di trattamento di cui esse sarebbero state oggetto rispetto agli altri partecipanti all’infrazione all’origine della decisione controversa. Le ricorrenti asseriscono che il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto, nell’esercizio di tale competenza, delle difficoltà finanziarie alle quali il pagamento dell’ammenda le avrebbe esposte, senza che sia necessario, come avrebbe statuito il Tribunale al punto 443 della sentenza impugnata, che tali difficoltà costituiscano circostanze eccezionali. Affinché le difficoltà in questione conducano a una correzione dell’importo dell’ammenda, sarebbe sufficiente che esse siano tali da avere un impatto significativo sulle ricorrenti, in modo da sottoporle a una disparità di trattamento rispetto agli altri partecipanti a detta infrazione.

59      La Commissione ritiene che questo motivo debba essere respinto in quanto infondato.

 Giudizio della Corte

60      Con la prima parte di tale motivo, le ricorrenti contestano, in sostanza, al Tribunale di avere erroneamente applicato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, nell’ambito del controllo di legittimità della decisione controversa ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Esse ritengono che tali principi imponessero al Tribunale di dichiarare che la Commissione doveva tenere conto, in sede di determinazione dell’importo delle ammende, dell’impatto manifestamente più pregiudizievole dell’ammenda inflitta alle ricorrenti rispetto a quella inflitta agli altri partecipanti all’intesa, in ragione del carattere meno diversificato della loro attività, il che si tradurrebbe nella differenza di percentuale che rappresenterebbe l’ammenda rispetto al fatturato totale delle imprese interessate.

61      Per quanto riguarda gli elementi di cui alla relazione della società di consulenza indicata al punto 400 della sentenza impugnata, dal punto 401 di tale sentenza emerge che è essenzialmente per i motivi esposti ai punti 274 e 275 della medesima, vale a dire che tale relazione verteva sull’evoluzione della situazione finanziaria delle ricorrenti successiva all’adozione della decisione controversa e che, di conseguenza, non poteva in alcun caso incidere sulla legittimità di tale decisione nell’ambito del controllo svolto ai sensi dell’articolo 263 TFUE, che il Tribunale ha considerato che non occorreva prendere in considerazione tali elementi nella valutazione della legittimità dell’ammenda.

62      Se è vero che le ricorrenti hanno, certo, implicitamente ipotizzato uno snaturamento di tali elementi di prova, segnatamente allegando un asserito disconoscimento da parte del Tribunale dell’oggetto di tale relazione, tuttavia la mera allusione a tale snaturamento non soddisfa i requisiti fissati dalla giurisprudenza della Corte secondo cui l’impugnazione deve indicare in maniera precisa gli elementi che sarebbero stati snaturati e dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a compiere tale snaturamento (v., in tal senso, sentenza del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 50).

63      Quanto, poi, all’argomento vertente sulla mancata considerazione della percentuale dell’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti rispetto al loro fatturato complessivo in confronto agli altri destinatari della decisione controversa e dell’asserita disparità di trattamento che ne discenderebbe, è necessario rilevare che, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, il Tribunale vi ha risposto, ai punti da 397 a 399 della sentenza impugnata.

64      In particolare, il Tribunale ha correttamente statuito, al punto 398 di tale sentenza, che non è contrario ai principi di proporzionalità e di parità di trattamento che, in applicazione del metodo di calcolo dell’importo di base delle ammende, di cui al punto 13 degli orientamenti del 2006, a un’impresa le cui attività si concentrano più di altre sulla vendita di beni o servizi direttamente o indirettamente connessi con l’infrazione sia imposta un’ammenda che rappresenta una quota del suo fatturato complessivo più elevata di quella rappresentata dalle ammende inflitte rispettivamente a ciascuna delle altre imprese. Infatti, il Tribunale ha rilevato che era inerente a tale metodo di calcolo, che non si basa sul fatturato complessivo delle imprese interessate, che si presentassero disparità tra tali imprese in ordine al rapporto tra tale fatturato e l’importo delle ammende che sono loro inflitte.

65      Orbene, come rilevato dal Tribunale al punto 397 della sentenza impugnata, dalla giurisprudenza della Corte emerge che la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’importo delle ammende, ad assicurarsi, nel caso in cui siano inflitte ammende di tale genere a più imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende rendano conto di una differenziazione tra le imprese interessate quanto al loro fatturato complessivo (sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 312).

66      Per quanto riguarda l’asserita violazione del principio di parità di trattamento allegata dalle ricorrenti, anche nell’ipotesi in cui la presente censura sia volta a sostenere che la Commissione avrebbe dovuto discostarsi da tale metodo decidendo, per quanto riguarda le ricorrenti, di ridurre l’importo dell’ammenda in ragione del carattere meno diversificato della loro attività, occorre rilevare, al pari dell’avvocato generale al paragrafo 100 delle sue conclusioni, che la differenza di percentuale che rappresenterebbe l’ammenda rispetto al fatturato totale delle imprese coinvolte non può di per sé costituire un motivo sufficiente per giustificare che la Commissione si discosti da tale metodo di calcolo che si è essa stessa imposta. Invero, ciò finirebbe per avvantaggiare le imprese meno diversificate, in base a criteri che non sono pertinenti rispetto alla gravità e alla durata dell’infrazione. Orbene, per quanto attiene alla determinazione dell’importo dell’ammenda, non è possibile compiere, per effetto dell’applicazione di metodi di calcolo differenti, una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato a un accordo o a una pratica concordata contraria all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE (v., in tal senso, sentenza del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a., C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

67      Quanto all’argomento delle ricorrenti, vertente sull’impatto che un’ammenda significativa avrebbe sulla loro situazione finanziaria, occorre rilevare che la Corte ha reiteratamente dichiarato che la Commissione non è tenuta, quando determina l’importo dell’ammenda, a prendere in considerazione la situazione economica dell’impresa interessata, e segnatamente la sua capacità finanziaria, dal momento che il riconoscimento di un obbligo del genere si risolverebbe nel procurare vantaggi concorrenziali ingiustificati a favore delle imprese meno adattate alle condizioni del mercato (sentenza del 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, C‑328/05 P, EU:C:2007:277, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).

68      Infine, le ricorrenti non possono utilmente sostenere che di tali considerazioni sarebbe stato tenuto conto in altre decisioni della Commissione, poiché, secondo giurisprudenza costante della Corte, la precedente prassi decisionale della Commissione non serve da contesto normativo per le ammende in materia di diritto della concorrenza (sentenza del 23 aprile 2015, LG Display e LG Display Taiwan/Commissione, C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

69      In tali circostanze, la prima parte del terzo motivo non può essere accolta.

70      Con la seconda parte del loro terzo motivo, le ricorrenti censurano il Tribunale per avere impropriamente esercitato la sua competenza giurisdizionale estesa al merito che gli è attribuita dall’articolo 261 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, in quanto non ha ridotto l’importo dell’ammenda al fine di garantire la parità di trattamento tra i partecipanti all’intesa.

71      Occorre rammentare che, ai sensi delle disposizioni indicate al punto precedente, il Tribunale è autorizzato, oltre al mero controllo di legittimità delle ammende fissate dalla Commissione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione, C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

72      Al contrario, non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che, nell’esercizio della sua competenza giurisdizionale estesa al merito, statuisce sull’importo delle ammende inflitte a imprese in seguito alla violazione, da parte loro, del diritto dell’Unione (sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 164 e giurisprudenza ivi citata).

73      Unicamente nei limiti in cui la Corte ritiene che il livello della sanzione sia non soltanto inappropriato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato, occorrerebbe ravvisare un errore di diritto commesso dal Tribunale a causa del carattere incongruo dell’importo di un’ammenda (sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 165 e giurisprudenza ivi citata).

74      A tale riguardo, dai punti 433, 438 e 441 della sentenza impugnata emerge che, per quanto attiene al carattere asseritamente sproporzionato dell’ammenda inflitta alle ricorrenti, il Tribunale ha proceduto, nell’ambito della sua competenza giurisdizionale estesa al merito, a un esame degli argomenti di queste ultime, vertenti, in primo luogo, sul fatto che, in ragione del carattere meno diversificato della loro attività, l’importo di tale ammenda graverebbe maggiormente sulla loro situazione finanziaria rispetto a quella inflitta alle altre imprese interessate e, in secondo luogo, sul fatto che detta ammenda avrebbe avuto l’effetto di deteriorare la loro situazione finanziaria. Esso ha, in tale contesto, tenuto conto degli elementi contenuti nella relazione della società di consulenza, di cui al punto 55 della presente sentenza.

75      Quanto al primo argomento, dal punto 64 della presente sentenza emerge che, il Tribunale ha correttamente statuito, al punto 438 della sentenza impugnata, che le circostanze dedotte dalle ricorrenti, quand’anche fossero accertate, erano prive di pertinenza ai fini dell’esame del carattere proporzionato dell’ammenda.

76      Per quanto riguarda il secondo argomento, dai punti 441 e 442 della sentenza impugnata emerge che il Tribunale ha ritenuto, giustamente, che l’esistenza di eventuali difficoltà finanziarie possa giustificare, in quanto tale, una riduzione dell’ammenda unicamente in circostanze eccezionali, quando ciò sia motivato da un interesse prevalente. Infatti, come rilevato dal Tribunale, in sostanza, al punto 441 della sentenza impugnata, la presa in considerazione automatica di tali difficoltà equivarrebbe a privare del loro effetto dissuasivo le ammende che la Commissione impone alle imprese ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

77      Così, diversamente da quanto asserito dalle ricorrenti, il Tribunale ha dichiarato non che l’esercizio della sua competenza giurisdizionale estesa al merito poteva avvenire solo in circostanze eccezionali, bensì che una riduzione d’ammenda fondata sull’esistenza di asserite difficoltà finanziarie poteva effettuarsi solo laddove tali difficoltà presentino un carattere eccezionale. Ai punti 434 e 443 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che, sulla base degli elementi di cui disponeva, tale ipotesi non si verificasse nel caso di specie.

78      Pertanto, occorre rilevare che la seconda parte del terzo motivo deve essere respinta, nei limiti in cui esso, da un lato, deriva da una lettura erronea della sentenza impugnata e, dall’altro, intende ottenere un riesame delle valutazioni fattuali del Tribunale, il che non rientra tra le competenze della Corte nell’ambito di un’impugnazione.

79      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre respingere il terzo motivo in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

80      Poiché nessuno dei tre motivi dedotti dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnazione può essere accolto, quest’ultima deve essere integralmente respinta.

 Sulle spese

81      A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del successivo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché le ricorrenti sono risultate soccombenti nei loro motivi e la Commissione ha concluso per la loro condanna alle spese, occorre condannarle alle spese della presente impugnazione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      La Pilkington Group Ltd, la Pilkington Automotive Ltd, la Pilkington Automotive Deutschland GmbH, la Pilkington Holding GmbH e la Pilkington Italia SpA sono condannate alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.