Language of document : ECLI:EU:C:2001:617

SENTENZA DELLA CORTE

20 novembre 2001 (1)

«Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Art. 7, n. 1 - Esaurimento del diritto

di marchio - Immissione in commercio al di fuori del SEE -

Importazione all'interno del SEE - Consenso del titolare del marchio - Necessità di un consenso espresso o tacito - Legge applicabile al contratto - Presunzione di consenso - Inapplicabilità»

Nei procedimenti riuniti da C-414/99 a C-416/99,

aventi ad oggetto le domande di pronunce pregiudiziali proposte alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Patent Court) (Regno Unito), nelle cause dinanzi ad essa pendenti tra

Zino Davidoff SA

e

A & G Imports Ltd (causa C-414/99),

tra

Levi Strauss & Co.,

Levi Strauss (UK) Ltd

e

Tesco Stores Ltd,

Tesco plc (causa C-415/99)

e tra

Levi Strauss & Co.,

Levi Strauss (UK) Ltd

e

Costco Wholesale UK Ltd, già Costco UK Ltd (causa C-416/99),

domande vertenti sull'interpretazione dell'art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall'Accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3),

LA CORTE,

composta dai sigg. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, P. Jann, dalla sig.ra N. Colneric e dal sig. S. von Bahr, presidenti di sezione, dai sigg. C. Gulmann (relatore), D.A.O. Edward, A. La Pergola, J.-P. Puissochet, L. Sevón, V. Skouris e C.W.A. Timmermans, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl


cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

-    per la Zino Davidoff SA, dai sigg. M. Silverleaf, QC, e R. Hacon, barrister, su incarico del sig. R. Swift, solicitor;

-    per la Levi Strauss & Co. e la Levi Strauss (UK) Ltd, dai sigg. H. Carr e D. Anderson, QC, su incarico dello studio legale Baker & MacKenzie, solicitors;

-    per la A & G Imports Ltd, dal sig. G. Hobbs, QC, e dalla sig.ra C. May, barrister, su incarico dei sigg. A. Millmore e I. Mackie, solicitors;

-    per la Tesco Stores Ltd e la Tesco plc, dai sigg. G. Hobbs e D. Alexander, barrister, su incarico della sig.ra C. Turner e del sig. E. Powell, solicitors;

-    per la Costco Wholesale UK Ltd, dai sigg. G. Hobbs e D. Alexander, su incarico dei sigg. G. Heath e G. Williams, solicitors;

-    per il governo tedesco, dai sigg. W.-D. Plessing, A. Dittrich e dalla sig.ra B. Muttelsee-Schön, in qualità di agenti;

-    per il governo francese, dalle sig.re K. Rispal-Bellanger e A. Maitrepierre, in qualità di agenti;

-    per il governo italiano, dal prof. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. O. Fiumara, viceavvocato generale dello Stato;

-    per il governo finlandese, dalla sig.ra E. Bygglin, in qualità di agente;

-    per il governo svedese, dal sig. A. Kruse, in qualità di agente;

-    per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra K. Banks, in qualità di agente;

-    per l'Organo di vigilanza dell'EFTA, dalla sig.ra A.-L. H. Rolland, in qualità di agente,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della Zino Davidoff SA, rappresentata dal sig. M. Silverleaf, della Levi Strauss & Co. e della Levi Strauss (UK) Ltd, rappresentate dai sigg. H. Carr e D. Anderson, della A & G Imports Ltd, rappresentata dal sig. G. Hobbs e dalla sig.ra C. May, della Tesco Stores Ltd, della Tesco plc e della Costco Wholesale UK Ltd, rappresentate dai sigg. G. Hobbs e D. Alexander, del governo tedesco, rappresentato dal sig. H. Heitland, in qualità di agente, del governo francese, rappresentato dalla sig.ra A. Maitrepierre, della Commissione, rappresentata dalla sig.ra K. Banks, e dell'Organo di vigilanza dell'EFTA, rappresentato dal sig. P. Dyrberg e dalla sig.ra D. Sif Tynes, in qualità di agenti, all'udienza del 16 gennaio 2001,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 5 aprile 2001,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    Con ordinanza 24 giugno 1999 (causa C-414/99) e con due ordinanze 22 luglio 1999 (cause C-415/99 e C-416/99), giunte alla Corte il 29 ottobre successivo, la High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division (Patent Court) (Tribunale di secondo grado d'Inghilterra e del Galles in materia di brevetti), ha proposto, in osservanza dell'art. 234 CE, sei questioni pregiudiziali, nella prima causa, e tre questioni pregiudiziali identiche, in ciascuna delle altre due cause, vertenti sull'interpretazione dell'art. 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall'Accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: la «direttiva»).

2.
    Tali questioni sono sorte nell'ambito di tre controversie tra due titolari di marchi registrati nel Regno Unito ed un concessionario di marchio, da un lato, e quattro società di diritto inglese, dall'altro, in merito alla vendita nel Regno Unito di prodotti precedentemente immessi in commercio al di fuori dello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»).

Ambito normativo

3.
    L'art. 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa» ha il seguente disposto:

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)    un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(...)

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 (...) sono soddisfatte:

(...)

c)    di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

(...)».

4.
    L'art. 7 della direttiva 89/104, intitolato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1.    Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l'uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.    Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

5.
    In conformità all'art. 65, n. 2, in combinato disposto con l'allegato XVII, n. 4, dell'Accordo sul SEE, l'art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 è stato modificato ai fini di detto Accordo, nel senso che l'espressione «nella Comunità» è stata sostituita dai termini «in una Parte contraente».

6.
    La direttiva è stata attuata nel Regno Unito, con effetti a partire dal 31 ottobre 1994, mediante il Trade Marks Act 1994 (legge britannica 1994 in materia di marchi).

Cause principali

Causa C-414/99

7.
    La Zino Davidoff SA (in prosieguo: la «Davidoff») è titolare dei due marchi «Cool Water» e «Davidoff Cool Water», registrati ed utilizzati nel Regno Unito per un'ampia gamma di prodotti di profumeria e cosmetici. Tali prodotti, fabbricati su licenza o per conto della Davidoff e recanti i detti marchi con il suo consenso, sono venduti da parte ovvero per conto della medesima sia all'interno sia all'esterno del SEE.

8.
    Essi recano i numeri dei lotti di fabbricazione. Con tale segno identificativo si è voluto dare applicazione alle disposizioni della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169), attuata nel Regno Unito mediante il Cosmetic Products (Safety) Regulations 1996 (regolamento britannico 1996 in materia di sicurezza dei cosmetici) (SI 2925/1996). La questione se i numeri dei lotti di fabbricazione siano diretti anche a scopi diversi dall'osservanza della direttiva 76/768 e delle disposizioni nazionali di attuazione non è stata chiarita dal giudice nazionale.

9.
    Nel 1996 la Davidoff ha concluso un contratto di distribuzione in esclusiva con un operatore di Singapore. A norma di tale contratto, il distributore s'impegnava, da un lato, a vendere i prodotti della Davidoff unicamente su un determinato territorio, al di fuori del SEE, a taluni subdistributori, subagenti o commercianti al minuto locali e,dall'altro, ad imporre esso stesso alle dette controparti un divieto di rivendita al di fuori del territorio convenuto. Le parti hanno espressamente assoggettato tale contratto di distribuzione in esclusiva alla legge tedesca.

10.
    La A & G Imports Ltd (in prosieguo: la «A & G») ha acquistato lotti di prodotti della Davidoff, fabbricati nel SEE, originariamente immessi in commercio dalla Davidoff ovvero con il suo consenso sul mercato di Singapore.

11.
    Essa ha importato questi prodotti nel Regno Unito ed ha cominciato a venderli. Essa stessa o un altro operatore della catena di distribuzione ha rimosso o cancellato, in tutto o in parte, i numeri dei lotti di fabbricazione.

12.
    Nel 1998 la Davidoff ha citato in giudizio la A & G dinanzi alla High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division (Patent Court), sostenendo, in particolare, che l'importazione e la vendita nel Regno Unito dei detti prodotti violavano i suoi diritti di marchio.

13.
    La A & G ha fatto richiamo alle disposizioni degli artt. 5, n. 1, e 7, n. 1, della direttiva, sostenendo che l'importazione e la vendita dovevano - ovvero avrebbero dovuto - considerarsi effettuate con il consenso della Davidoff, alla luce delle modalità con cui i prodotti erano stati immessi in commercio a Singapore.

14.
    La Davidoff ha contestato di aver mai prestato il proprio consenso all'importazione dei prodotti di cui trattasi all'interno del SEE, ovvero che tale consenso potesse essere implicitamente desunto dal suo comportamento, facendo inoltre valere la sussistenza di motivi legittimi, ai sensi dell'art. 7, n. 2, della direttiva, per opporsi all'importazione ed all'immissione in commercio dei suoi prodotti. Tali motivi consisterebbero nella (parziale o totale) rimozione o cancellazione dei numeri dei lotti di fabbricazione.

15.
    Con ordinanza 18 maggio 1999 il giudice nazionale ha respinto un'istanza di provvedimenti provvisori della Davidoff, ritenendo che la controversia dovesse costituire oggetto di piena cognizione. Esso ha tuttavia ritenuto che, ai fini di quest'ultima, dovessero essere precisati la portata e gli effetti dell'art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva.

16.
    Alla luce di ciò, la High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division (Patent Court), ha deciso di sospendere il giudizio e proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)    Se il consenso del titolare del marchio alla immissione in commercio di prodotti nella Comunità, di cui alla direttiva, sia da interpretare nel senso che comprende il consenso dato esplicitamente o implicitamente e direttamente o indirettamente.

2)    Se,

    a)    nel caso in cui un titolare abbia consegnato o abbia acconsentito a che fossero consegnati ad un terzo taluni prodotti, e i diritti di quest'ultimo di commercializzarli ulteriormente siano determinati dalla legge regolatrice del contratto in base al quale egli ha acquistato i prodotti medesimi, e

    b)    nel caso in cui tali norme permettano al venditore di imporre restrizioni sull'ulteriore commercializzazione o uso dei beni da parte dell'acquirente, ma prevedano anche che, in mancanza di restrizioni, da parte o per conto del titolare, al diritto dell'acquirente di poter ulteriormente commercializzare i prodotti, il terzo acquisti il diritto di commercializzare i prodotti in qualsiasi Stato, compresa la Comunità,

    in tal caso, sempreché non siano state imposte effettive restrizioni in base a tale legge, dirette a limitare il diritto del terzo di commercializzare le merci, la direttiva debba essere interpretata nel senso che si deve ritenere che il titolare abbia acconsentito a che il terzo acquistasse in tal modo il diritto di commercializzare i beni nella Comunità.

3)    Se, nel caso di risposta affermativa alla questione di cui [sub 2], spetti al giudice nazionale determinare se siano state comunque imposte effettive restrizioni al terzo.

4)    Se l'art. 7, n. 2, della direttiva sia da interpretare nel senso che i motivi legittimi del titolare per opporsi ad un'ulteriore commercializzazione dei suoi prodotti comprendano ogni azione da parte di un terzo che pregiudichi sostanzialmente il valore, l'attrattiva o l'immagine del marchio o dei prodotti ad esso relativi.

5)    Se l'art. 7, n. 2, della direttiva sia da interpretare nel senso che i motivi legittimi facenti capo al titolare per opporsi ad un'ulteriore commercializzazione dei suoi beni includano la soppressione o la cancellazione da parte di terzi (in tutto o in parte) di qualsiasi contrassegno sui beni, qualora tale soppressione o cancellazione non possa verosimilmente causare nessun serio o sostanziale danno alla reputazione del marchio o dei relativi prodotti.

6)    Se l'art. 7, n. 2, della direttiva sia da interpretare nel senso che i motivi legittimi del titolare per opporsi ad un'ulteriore commercializzazione di tali prodotti includano la soppressione o la cancellazione da parte di terzi (in tutto o in parte) dei numeri dei lotti di fabbricazione sui prodotti, qualora tale soppressione o cancellazione risulti, rispetto ai relativi prodotti

    a)    come una violazione di una qualsiasi norma del codice penale di uno Stato membro (escluse le norme riguardanti il marchio) ovvero

    b)    come una violazione delle disposizioni della direttiva 76/768/CEE».

Cause C-415/99 e C-416/99

17.
    La Levi Strauss & Co, società costituita in base al diritto dello Stato del Delaware (Stati Uniti), è titolare dei marchi Levi's e 501, registrati nel Regno Uniti e utilizzati, in particolare, per jeans.

18.
    La Levi Strauss (UK) Ltd, società di diritto britannico, è concessionaria nel Regno Unito della Levi Strauss & Co. per i marchi registrati riguardo alla produzione, distribuzione e vendita, tra l'altro, dei jeans Levi's 501. La detta società vende essa stessa tali prodotti nel Regno Unito oppure concede licenze a diversi altri commercianti al minuto nell'ambito di un sistema di distribuzione selettiva.

19.
    La Tesco Stores Ltd e la Tesco plc (in prosieguo, congiuntamente: la «Tesco») sono due società di diritto britannico; la seconda è società madre della prima. La Tesco gestisce una delle principali catene di supermercati del Regno Unito e vende, in particolare, capi di abbigliamento.

20.
    La Costco Wholesale UK Ltd (in prosieguo: la «Costco»), società di diritto britannico, vende nel Regno Unito numerosi articoli di marca tra cui, in particolare, capi di abbigliamento.

21.
    La Levi Strauss & Co. e la Levi Strauss (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «Levi») si sono sempre rifiutate di vendere jeans Levi's 501 alla Tesco ed alla Costco e non hanno acconsentito a che le medesime operassero quali distributori autorizzati di tali prodotti.

22.
    La Tesco e la Costco si sono procurate jeans Levi's 501, prodotti autentici venduti in origine dalla Levi o per conto di quest'ultima, presso operatori che li importavano da paesi esterni al SEE. I contratti in forza dei quali esse hanno acquistato tali prodotti non contenevano nessuna restrizione che imponesse che questi ultimi dovessero o meno essere venduti su un determinato territorio. I jeans acquistati dalla Tesco erano stati fabbricati negli Stati Uniti, in Messico o in Canada dalla Levi o per conto di quest'ultima. Quelli acquistati dalla Costco erano stati fabbricati in condizioni analoghe negli Stati Uniti o in Messico.

23.
    I fornitori della Tesco e della Costco si erano procurati le merci direttamente o indirettamente presso rivenditori autorizzati negli Stati Uniti, in Canada o in Messico, oppure anche presso grossisti che li avevano acquistati da «collettori», vale a dire da soggetti che acquistano jeans in piccoli quantitativi in numerosi negozi autorizzati, in particolare negli Stati Uniti e in Canada.

24.
    Nel 1998 la Levi ha avviato un'azione giudiziaria contro la Tesco e la Costco dinanzi alla High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division (Patent Court),sostenendo che l'importazione e la vendita dei jeans Levi's da parte di queste ultime costituisse violazione del proprio diritto di marchio.

25.
    Essa ha dichiarato di aver impartito ai propri rivenditori autorizzati, negli Stati Uniti e in Canada, o per lettera o a voce, alcune direttive riguardanti un divieto di rivendita all'ingrosso, in forza del quale le merci potevano essere vendute solo agli acquirenti finali. Nei suoi formulari di conferma scritta di ordinativo essa si sarebbe riservata il diritto, di cui avrebbe fatto più volte uso, d'interrompere la fornitura dei prodotti a un rivenditore che avesse violato questo divieto. Essa avrebbe chiesto ai propri rivenditori autorizzati di limitare le loro vendite di capi di abbigliamento, fissando un numero massimo per cliente, normalmente pari a sei, e di esporre nei loro negozi cartelli che indicassero la sua politica di divieto di rivendita all'ingrosso nonché il detto limite commerciale. In Messico, essa avrebbe venduto i propri prodotti a grossisti autorizzati. Essa avrebbe sempre informato questi ultimi, segnatamente mediante reiterate comunicazioni scritte, della sua regola secondo la quale le merci non dovevano costituire oggetto di vendite all'esportazione.

26.
    La Tesco ha ammesso di sapere all'epoca che la Levi non era d'accordo a che i suoi jeans fossero venduti all'interno del SEE se non tramite rivenditori autorizzati. Viceversa, la Costco ha sostenuto d'ignorarlo.

27.
    La Tesco e la Costco hanno rilevato di non essere vincolate da nessuna restrizione contrattuale. La Levi non avrebbe cercato d'imporre una qualsivoglia restrizione collegata alle merci o di divulgare informazioni a tal proposito ed essa non si sarebbe nemmeno riservata diritti di un qualsivoglia genere. Di conseguenza, a loro parere, l'operatore che avesse acquistato i jeans controversi aveva il diritto di disporne liberamente.

28.
    Alla luce di ciò, la High Court of Justice (England and Wales), Chancery Division (Patent Court), ha deciso di sospendere il giudizio e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)    Se l'effetto della direttiva 89/104/CEE (in prosieguo: la ”direttiva”) - qualora merci su cui sia apposto un marchio registrato siano state immesse in commercio in un paese extra SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso e poi importate o vendute all'interno del SEE da terzi - sia quello di attribuire al titolare del marchio il diritto di impedire tale importazione o vendita a meno che egli non vi abbia espressamente ed esplicitamente acconsentito, ovvero se tale consenso possa essere implicito.

2)    Nel caso in cui la soluzione della questione sub 1) fosse nel senso che il consenso può essere implicito, se tale consenso possa essere implicito nel fatto che le merci siano state vendute dal titolare o per suo conto senza restrizioni contrattuali, vincolanti per il primo acquirente e per quelli successivi, che vietino la rivendita all'interno del SEE.

3)    Qualora merci su cui sia apposto un marchio registrato siano state immesse in commercio in un paese extra SEE dal titolare del marchio,

    a]    in che misura sia rilevante o determinante per accertare se sussistesse o meno il consenso del titolare all'immissione in commercio all'interno del SEE di tali merci, ai sensi della direttiva, il fatto che:

        i)    il soggetto che immette le merci in commercio (senza essere un rivenditore autorizzato) lo faccia con la consapevolezza di essere il legittimo proprietario delle merci, le quali non presentano alcun elemento che indichi che non possono essere messe in commercio all'interno del SEE; e/o

        ii)    il soggetto che immette in commercio le merci (senza essere un rivenditore autorizzato) lo faccia con la consapevolezza che il titolare del marchio si oppone all'immissione in commercio di tali merci all'interno del SEE; e/o

        iii)    il soggetto che immette in commercio le merci (senza essere un rivenditore autorizzato) lo faccia con la consapevolezza che il titolare del marchio si oppone all'immissione in commercio di tali merci da parte di chiunque non sia un rivenditore autorizzato; e/o

        iv)    le merci siano state acquistate in paesi extra SEE presso rivenditori autorizzati i quali erano stati informati dal titolare della sua opposizione alla vendita delle merci da parte loro a scopo di rivendita, ma che non hanno imposto ai loro compratori alcuna restrizione contrattuale relativa al modo in cui si poteva disporre delle merci; e/o

        v)    le merci siano state acquistate in paesi extra SEE presso rivenditori autorizzati i quali erano stati informati dal titolare che dette merci dovevano essere vendute a rivenditori all'interno degli stessi paesi extra SEE e non dovevano essere vendute per l'esportazione, ma che non hanno imposto ai loro compratori alcuna restrizione contrattuale relativa al modo in cui si poteva disporre delle merci; e/o

        vi)    il titolare abbia provveduto, o meno, a dare comunicazione a tutti i compratori successivi delle proprie merci (vale a dire quelli tra il primo acquirente dal titolare e la persona che ha immesso in commercio le merci all'interno del SEE) della propria opposizione alla vendita delle merci a scopo di rivendita; e/o

        vii)    il titolare abbia provveduto, o meno, ad imporre una restrizione contrattuale che vincoli legalmente il primo acquirente vietandoglila vendita a scopo di rivendita a chiunque non sia il consumatore finale.

    b]    Se l'accertamento se sussistesse o meno il consenso del titolare all'immissione in commercio all'interno del SEE di tali merci, ai sensi della direttiva, dipenda da elementi ulteriori o diversi e, in tal caso, da quali».

29.
    Con ordinanza del presidente della Corte 15 dicembre 1999, le cause da C-414/99 a C-416/99 sono state riunite, in osservanza dell'art. 43 del regolamento di procedura, ai fini delle fasi scritta e orale e della sentenza.

Sulle questioni relative all'art. 7, n. 1, della direttiva

Osservazioni preliminari

30.
    Occorre osservare che, nella causa C-414/99, le questioni sono sollevate con riferimento a prodotti immessi in commercio nella Comunità mentre, nelle cause C-415/99 e C-416/99, esse lo sono con riferimento a prodotti immessi in commercio all'interno del SEE, ossia tenuto conto della modifica apportata all'art. 7, n. 1, della direttiva 89/104 dell'Accordo sul SEE.

31.
    Dato che il contenuto delle risposte da dare non muta, per gli Stati membri della Comunità, a seconda che si tratti dell'una o dell'altra situazione, nel prosieguo della presente sentenza si farà riferimento a un'immissione in commercio nel SEE.

32.
    Occorre parimenti ricordare che, negli artt. 5 e 7 della direttiva, il legislatore comunitario ha consacrato la regola dell'esaurimento comunitario, vale a dire quella in forza della quale il diritto attribuito dal marchio non consente al suo titolare di vietare l'uso del medesimo per prodotti messi in commercio nel SEE con questo marchio da esso stesso o con il suo consenso. Adottando tali disposizioni, il legislatore comunitario non ha lasciato agli Stati membri la possibilità di stabilire nel loro diritto nazionale l'esaurimento del diritto conferito dal marchio per prodotti posti in commercio in paesi terzi (sentenza 16 luglio 1998, causa C-355/96, Silhouette International Schmied, Racc. pag. I-4799, punto 26).

33.
    L'effetto della direttiva è pertanto quello di limitare l'esaurimento del diritto attribuito al titolare del marchio ai soli casi in cui i prodotti siano immessi in commercio nel SEE e di permettere al titolare di vendere i suoi prodotti al di fuori di questa zona senza che questa messa in commercio esaurisca i suoi diritti all'interno del SEE. Precisando che l'immissione sul mercato al di fuori del SEE non esaurisce il diritto del titolare d'impedire l'importazione di tali prodotti effettuata senza il suo consenso, il legislatore comunitario ha così permesso al titolare del marchio di controllare la prima immissione sul mercato nel SEE dei prodotti contrassegnati dal marchio (sentenza 1° luglio 1999, causa C-173/98, Sebago e Maison Dubois, Racc. pag. I-4103, punto 21).

34.
    Mediante le sue questioni pregiudiziali, il giudice nazionale mira principalmente a conoscere in quale circostanza si possa ritenere che il titolare di un marchio abbia acconsentito, direttamente o indirettamente, a che terzi, proprietari attuali di prodotti contrassegnati con questo marchio e immessi in commercio al di fuori del SEE dal titolare o con il suo consenso, importino i detti prodotti e li mettano in commercio all'interno del SEE.

Sulla possibilità di un consenso tacito del titolare di un marchio a una messa in commercio all'interno del SEE

35.
    Con la prima questione posta in ciascuna delle cause da C-414/99 a C-416/99, il giudice nazionale chiede in sostanza se l'art. 7, n. 1, della direttiva debba essere interpretato nel senso che il consenso del titolare di un marchio a una messa in commercio all'interno del SEE di prodotti contrassegnati con questo marchio che siano stati precedentemente messi in commercio al di fuori del SEE da questo titolare o con il suo consenso debba essere espresso o se possa anche essere tacito.

36.
    Tale questione mira pertanto a far precisare le forme di manifestazione del consenso del titolare del marchio a un'immissione in commercio nel SEE.

37.
    La risposta a una siffatta questione presuppone che si determini preliminarmente se, in considerazione di circostanze quali quelle della fattispecie principale, la nozione di «consenso» utilizzata nell'art. 7, n. 1, della direttiva debba essere interpretata uniformemente nell'ordinamento giuridico comunitario.

38.
    Il governo italiano ritiene che, in caso di messa in commercio al di fuori del SEE, non sussista mai un esaurimento del marchio come conseguenza di una disposizione comunitaria, poiché siffatto esaurimento non è previsto dalla direttiva. La questione relativa all'esistenza di un consenso espresso o tacito a una reimportazione all'interno del SEE andrebbe riferita non al consenso all'esaurimento, di cui all'art. 7, n. 1, della direttiva, bensì ad un atto di disposizione avente ad oggetto il diritto di marchio, che rientrerebbe nell'ambito del diritto nazionale interessato.

39.
    A tal riguardo, occorre ricordare che gli artt. 5-7 della direttiva realizzano un'armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio e che essi definiscono pertanto i diritti di cui godono i titolari di marchi all'interno della Comunità (sentenza Silhouette International Schmied, citata, punti 25 e 29).

40.
    L'art. 5 della direttiva attribuisce al titolare del marchio un diritto esclusivo che gli consente in particolare di vietare ai terzi, «salvo proprio consenso», d'importare prodotti contrassegnati con il suo marchio. L'art. 7, n. 1, contiene un'eccezione a questa norma, in quanto prevede che il diritto del titolare è esaurito quando i prodotti sono stati immessi in commercio all'interno del SEE dal titolare o «con il suo consenso».

41.
    Appare pertanto evidente che il consenso, il quale equivale ad una rinuncia del titolare al suo diritto esclusivo, ex art. 5 della direttiva, di vietare ai terzi d'importare prodotti contrassegnati con il suo marchio, costituisce l'elemento determinante per l'estinzione di tale diritto.

42.
    Ebbene, se la nozione di consenso dipendesse dall'ordinamento nazionale degli Stati membri, potrebbe derivarne, per i titolari di marchi, una tutela variabile in funzione della legge volta a volta applicabile. L'obiettivo di una «medesima tutela» «negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri», fissata nel nono 'considerando‘ della direttiva 89/104 e giudicata «fondamentale» da quest'ultimo, non sarebbe raggiunto.

43.
    Spetta pertanto alla Corte dare un'interpretazione uniforme della nozione di «consenso» a un'immissione in commercio all'interno del SEE, quale contenuta nell'art. 7, n. 1, della direttiva.

44.
    Le parti delle cause principali, i governi tedesco, finlandese e svedese nonché l'Organo di vigilanza dell'EFTA ammettono, espressamente o nella sostanza, che il consenso a un'immissione in commercio all'interno del SEE di prodotti precedentemente venduti al di fuori di questa zona possa essere espresso o tacito. Viceversa, il governo francese sostiene che il consenso dev'essere espresso. Per quanto riguarda la Commissione, essa ritiene che la questione sia quella di accertare non se il consenso debba essere espresso o tacito, bensì se il titolare del marchio abbia avuto una prima occasione di godere dei diritti esclusivi ad esso spettanti all'interno del SEE.

45.
    Occorre constatare che, in considerazione dell'importanza del suo effetto estintivo del diritto esclusivo dei titolari dei marchi di cui trattasi nelle cause principali, diritto che consente loro di controllare la prima immissione in commercio all'interno del SEE, il consenso dev'essere espresso in modo che esprima con certezza volontà di rinunciare a tale diritto.

46.
    Una siffatta volontà risulta normalmente da una manifestazione espressa del consenso. Tuttavia, non si può escludere che, in determinati casi, essa possa risultare in modo tacito da elementi e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori all'immissione in commercio al di fuori del SEE le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano parimenti, con certezza, una rinuncia del titolare al proprio diritto.

47.
    Occorre pertanto rispondere alla prima questione proposta in ciascuna delle cause da C-414/99 a C-416/99 che l'art. 7, n. 1, della direttiva dev'essere interpretato nel senso che il consenso del titolare di un marchio a una messa in commercio all'interno del SEE di prodotti contrassegnati con questo marchio che siano stati precedentemente messi in commercio al di fuori del SEE da questo titolare o con il suo consenso può essere tacito, quando è desumibile da elementi e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori all'immissione in commercio al di fuori del SEE le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano con certezza una rinuncia del titolare al proprio diritto di opporsi a un'immissione in commercio all'interno del SEE.

Sulla possibilità di un consenso tacito risultante dal mero silenzio del titolare di un marchio

48.
    Con la sua seconda questione e con la sua terza questione, lett. a), sub i), vi) e vii), nelle cause C-415/99 e C-416/99 e con la sua seconda questione nella causa C-414/99, il giudice nazionale chiede in sostanza se, alla luce degli elementi delle cause principali, un consenso tacito possa risultare:

-    da una mancata comunicazione, da parte del titolare del marchio, a tutti gli acquirenti successivi dei prodotti immessi in commercio al di fuori del SEE, della sua opposizione a una messa in commercio all'interno del SEE;

-    da una mancata indicazione, sui prodotti, di un divieto di messa in commercio all'interno del SEE;

-    dalla circostanza che il titolare del marchio abbia ceduto la proprietà dei prodotti contrassegnati con il marchio senza imporre restrizioni contrattuali e che, in base alla legge applicabile al contratto, il diritto di proprietà ceduto comprenda, in mancanza di siffatte restrizioni, un diritto illimitato di rivendita o, quanto meno, un diritto di vendere successivamente i prodotti all'interno del SEE.

49.
    Facendo riferimento, in particolare, alle citate sentenze Silhouette International Schmied e Sebago e Maison Dubois, la A & G, la Tesco e la Costco affermano che una persona citata in giudizio per violazione di un marchio beneficia della presunzione di aver agito con il consenso del titolare del marchio, salvo prova contraria prodotta da quest'ultimo.

50.
    A loro parere, il titolare di un marchio che desideri che il suo diritto esclusivo sia garantito all'interno del SEE dovrebbe vegliare a che:

-    i prodotti contrassegnati con il marchio rechino un'indicazione chiara dell'esistenza di restrizioni in tal senso, e

-    queste restrizioni costituiscano oggetto di accordi in sede di contratti di compravendita e rivendita dei detti prodotti.

51.
    La A & G afferma che la clausola del contratto concluso tra la Davidoff e il suo distributore a Singapore, in forza della quale quest'ultimo s'impegnava ad imporre ai propri subdistributori, subagenti e/o commercianti al minuto di non rivendere i prodotti al di fuori del territorio convenuto, non vietava al distributore né ai suoi subdistributori, subagenti e/o commercianti al minuto di vendere questi prodotti a terzi nei limiti del detto territorio con diritti illimitati di rivendita. Ebbene, il fascicolo della causa principale non conterrebbe nessun elemento di prova che dimostri che i prodotti controversi sarebbero stati venduti dal distributore o dai suoi subdistributori, subagenti o commercianti al minuto al di fuori del territorio convenuto. Inoltre, sui prodotti osulla loro confezione non sarebbe stata posta nessuna indicazione relativa all'esistenza di restrizioni in materia di rivendita e questi prodotti sarebbero stati acquistati e poi venduti alla A & G senza nessuna restrizione di tal genere.

52.
    La Tesco e la Costco ritengono che, in mancanza, nei contratti in forza dei quali un operatore acquista prodotti di marca immessi in commercio al di fuori del SEE, di restrizioni relative alla loro rivendita, è irrilevante che il titolare del marchio abbia potuto rendere noto, mediante annunci o in qualsiasi altro modo, che esso non fosse d'accordo a che tali prodotti fossero venduti all'interno del SEE dal detto operatore.

53.
    Occorre tuttavia prendere atto del fatto che dalla risposta alla prima questione posta nelle tre cause da C-414/99 a C-416/99 risulta che il consenso dev'essere espresso positivamente e che gli elementi presi in considerazione per considerare esistente un consenso tacito devono esprimere con certezza una rinuncia del titolare del marchio a far valere il suo diritto esclusivo.

54.
    Ne consegue che spetta all'operatore che fa richiamo all'esistenza di un consenso di produrne la prova e non al titolare del marchio di dimostrare la mancanza di un consenso.

55.
    Di conseguenza, un consenso tacito a un'immissione in commercio all'interno del SEE di prodotti immessi in commercio al di fuori di quest'ultimo non può risultare dal mero silenzio del titolare del marchio.

56.
    Parimenti, un consenso tacito non può risultare dalla mancata comunicazione, da parte del titolare del marchio, della sua opposizione a una messa in commercio all'interno del SEE né dalla mancata indicazione, sui prodotti, di un divieto d'immissione in commercio all'interno del SEE.

57.
    Infine, un siffatto consenso non può risultare dalla circostanza che il titolare del marchio abbia ceduto la proprietà dei prodotti contrassegnati con il marchio senza imporre restrizioni contrattuali e che, in base alla legge applicabile nel contratto, il diritto di proprietà ceduto comprenda, in mancanza di siffatte restrizioni, un diritto illimitato di rivendita o, quanto meno, un diritto di vendere ulteriormente i prodotti all'interno del SEE.

58.
    Infatti, una legge nazionale che prendesse in considerazione il mero silenzio del titolare del marchio ammetterebbe non un consenso tacito, bensì un consenso presunto. Essa non rispetterebbe pertanto il requisito del consenso espresso positivamente, quale imposto dal diritto comunitario.

59.
    Ebbene, dal momento che spetta al legislatore comunitario determinare i diritti del titolare di un marchio nell'ambito degli Stati membri e della Comunità, non può ammettersi l'applicazione di disposizioni di legge, invocate a titolo di legge applicabileal contratto di vendita al di fuori del SEE, al fine di limitare la tutela accordata al titolare di un marchio dagli artt. 5, n. 1, e 7, n. 1, della direttiva.

60.
    Occorre pertanto risolvere la seconda questione e la terza questione, lett. a), sub i), vi) e vii), nelle cause C-415/99 e C-416/99 nonché la seconda questione nella causa C-414/99 dichiarando che un consenso tacito non può risultare:

-    da una mancata comunicazione, da parte del titolare del marchio, a tutti gli acquirenti successivi dei prodotti immessi in commercio al di fuori del SEE, della sua opposizione a una messa in commercio all'interno del SEE;

-    da una mancata indicazione, sui prodotti, di un divieto di messa in commercio all'interno del SEE;

-    dalla circostanza che il titolare del marchio abbia ceduto la proprietà dei prodotti contrassegnati con il marchio senza imporre restrizioni contrattuali e che, in base alla legge applicabile al contratto, il diritto di proprietà ceduto comprenda, in mancanza di siffatte restrizioni, un diritto illimitato di rivendita o, quanto meno, un diritto di vendere successivamente i prodotti all'interno del SEE.

61.
    In considerazione di questa risposta, non occorre risolvere la terza questione proposta nella causa C-414/99.

Sulla conseguenza della mancata conoscenza, da parte dell'importatore nel SEE dei prodotti contrassegnati con un marchio, di un'opposizione a quest'importazione manifestata dal titolare del detto marchio

62.
    Con la sua terza questione, lett. a), sub ii)-v), proposta nelle cause C-415/99 e C-416/99, il giudice nazionale chiede in sostanza se sia rilevante, per quanto concerne l'esaurimento del diritto esclusivo del titolare del marchio, il fatto:

-    che l'operatore il quale importa prodotti contrassegnati con il marchio sia all'oscuro dell'opposizione del titolare alla loro immissione in commercio all'interno del SEE o alla loro messa in commercio su tale mercato da parte di operatori diversi dai rivenditori autorizzati, oppure

-    che i rivenditori e i grossisti autorizzati non abbiano imposto ai propri acquirenti restrizioni contrattuali che riproducessero siffatta opposizione, benché essi ne fossero stati informati da parte del titolare del marchio.

63.
    Tali questioni sollevano il problema dell'opponibilità, a un terzo acquirente di merci a titolo particolare, di una restrizione del diritto di disporre liberamente di queste ultime imposta al primo acquirente dal primo venditore o convenuta tra le due parti in sede di compravendita.

64.
    Esse sono estranee alla questione degli effetti sul diritto di marchio del consenso a un'immissione in commercio all'interno del SEE. Infatti, se e in quanto un siffatto consenso non risulti dal silenzio del titolare del marchio, l'eventuale manifestazione di un divieto di vendita all'interno del SEE, alla quale il titolare non è tenuto, e a maggior ragione la ripetizione di questo divieto in uno o più contratti conclusi nella catena di distribuzione non costituiscono la condizione per la conservazione del suo diritto esclusivo.

65.
    Le norme nazionali relative all'opponibilità ai terzi di restrizioni relative alla vendita non sono pertanto rilevanti per la soluzione di una controversia tra il titolare del marchio e un operatore ulteriore della catena di distribuzione in merito alla conservazione o all'estinzione del diritto di marchio.

66.
    Occorre pertanto risolvere la terza questione, lett. a), sub ii)-v), proposta nelle cause C-415/99 e C-416/99 dichiarando che è irrilevante, per quanto concerne l'esaurimento del diritto esclusivo del titolare del marchio, il fatto:

-    che l'operatore il quale importa prodotti contrassegnati con il marchio sia all'oscuro dell'opposizione del titolare alla loro immissione in commercio all'interno del SEE o alla loro messa in commercio su tale mercato da parte di operatori diversi dai rivenditori autorizzati, oppure

-    che i rivenditori e i grossisti autorizzati non abbiano imposto ai propri acquirenti restrizioni contrattuali che riproducessero siffatta opposizione, benché essi ne fossero stati informati da parte del titolare del marchio.

67.
    In considerazione di questa risposta e di quelle fornite precedentemente, non occorre risolvere la terza questione, lett. b), proposta nelle cause C-415/99 e C-416/99.

Sulle questioni relative all'art. 7, n. 2, della direttiva

68.
    In considerazione delle risposte fornite alle questioni esaminate precedentemente, non è necessario ai fini della decisione della causa principale risolvere le questioni quarta, quinta e sesta proposte nella causa C-414/99.

Sulle spese

69.
    Le spese sostenute dai governi tedesco, francese, italiano, finlandese e svedese, dalla Commissione nonché dall'Organo di vigilanza dell'EFTA, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Patent Court), con ordinanze 24 giugno 1999 e 22 luglio 1999, dichiara:

1)    L'art. 7, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa, come modificata dall'Accordo sullo Spazio economico europeo 2 maggio 1992, dev'essere interpretato nel senso che il consenso del titolare di un marchio a una messa in commercio all'interno dello Spazio economico europeo di prodotti contrassegnati con questo marchio che siano stati precedentemente messi in commercio al di fuori dello Spazio economico europeo da questo titolare o con il suo consenso può essere tacito, quando è desumibile da elementi e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori all'immissione in commercio al di fuori dello Spazio economico europeo le quali, valutate dal giudice nazionale, esprimano con certezza una rinuncia del titolare al proprio diritto di opporsi a un'immissione in commercio all'interno dello Spazio economico europeo.

2)    Un consenso tacito non può risultare:

    -    da una mancata comunicazione, da parte del titolare del marchio, a tutti gli acquirenti successivi dei prodotti immessi in commercio al di fuori dello Spazio economico europeo, della sua opposizione a una messa in commercio all'interno dello Spazio economico europeo;

    -    da una mancata indicazione, sui prodotti, di un divieto di messa in commercio all'interno dello Spazio economico europeo;

    -    dalla circostanza che il titolare del marchio abbia ceduto la proprietà dei prodotti contrassegnati con il marchio senza imporre restrizioni contrattuali e che, in base alla legge applicabile al contratto, il diritto di proprietà ceduto comprenda, in mancanza di siffatte restrizioni, un diritto illimitato di rivendita o, quanto meno, un diritto di vendere successivamente i prodotti all'interno dello Spazio economico europeo.

3)    E' irrilevante, per quanto concerne l'esaurimento del diritto esclusivo del titolare del marchio, il fatto:

    -    che l'operatore il quale importa prodotti contrassegnati con il marchio sia all'oscuro dell'opposizione del titolare alla loro immissione in commercio all'interno dello Spazio economico europeoo alla loro messa in commercio su tale mercato da parte di operatori diversi dai rivenditori autorizzati, oppure

    -    che i rivenditori e i grossisti autorizzati non abbiano imposto ai propri acquirenti restrizioni contrattuali che riproducessero siffatta opposizione, benché essi ne fossero stati informati da parte del titolare del marchio.

Rodríguez Iglesias
Jann
Colneric

von Bahr

Gulmann
Edward

La Pergola

Puissochet
Sevón

Skouris

Timmermans

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 novembre 2001.

Il cancelliere

Il presidente

R. Grass

G.C. Rodríguez Iglesias


1: Lingua processuale: l'inglese.