Language of document : ECLI:EU:C:2017:480

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 20 giugno 2017 (1)

Causa C670/16

Tsegezab Mengesteab

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo, Minden, Germania)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Interpretazione del regolamento (UE) n. 604/2013 – Articolo 21, paragrafo 1, richieste di presa in carico – Termini di presentazione di una richiesta di presa in carico – Momento in cui una domanda di protezione internazionale viene presentata ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2 – Momento da cui inizia a decorrere il termine fissato dall’articolo 21, paragrafo 1 – Eventualità che inosservanze del termine ex articolo 21, paragrafo 1 rientrino nell’ambito di applicazione del diritto di ricorso avverso una decisione di trasferimento, o alla revisione della medesima, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1»






1.        Nell’ambito del presente rinvio pregiudiziale, il Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden, Germania) chiede indicazioni dettagliate circa l’interpretazione di vari aspetti del regolamento Dublino III (2) e di taluni atti dell’Unione posti alla base delle procedure ivi previste (3). In primo luogo, si tratta di stabilire se, ove un cittadino di un paese terzo presenti una domanda di protezione internazionale nello Stato membro «A» ma detto Stato chieda allo Stato membro «B» di prendersi carico dell’esame della sua domanda e quest’ultimo divenga lo Stato membro competente in base alle norme del regolamento Dublino III, l’interessato possa impugnare la decisione di trasferimento dello Stato membro A ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi adducendo che la richiesta di presa in carico era stata presentata dopo la scadenza del termine stabilito nel regolamento Dublino III. In secondo luogo, si chiede di precisare quale evento segni la decorrenza del termine entro il quale lo Stato membro «A» (lo Stato membro richiedente) deve presentare una richiesta di presa in carico. In proposito sorgono diverse sottoquestioni quali, ad esempio, se il termine inizi a decorrere nel momento in cui il cittadino del paese terzo si reca presso le autorità di uno Stato membro e presenta la sua domanda iniziale di protezione internazionale o quando tali autorità rilasciano un documento attestante che l’interessato ha diritto a rimanere nello Stato membro in attesa della decisione sulla sua domanda di protezione internazionale beneficiando, in tale periodo, di determinati servizi assistenziali – compreso l’alloggio e le prestazioni di sicurezza sociale ‑ oppure, ancora, quando viene presentata la domanda di protezione internazionale alle autorità competenti (e, in tal caso, cosa si intenda per «presentazione» di una siffatta domanda).

 Contesto normativo dell’Unione europea

 La Carta

2.        L’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (4) garantisce il diritto di asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati (5) e a norma dei Trattati.

3.        L’articolo 47, primo comma, della Carta stabilisce che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice (6).

4.        In base al successivo articolo 52, paragrafo 3, il significato e la portata dei diritti garantiti dalla Carta che sono corrispondenti a diritti garantiti dalla CEDU sono uguali .

 Il sistema Dublino – descrizione generale

5.        Le origini del sistema Dublino possono essere ricondotte al meccanismo interstatale della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (7). Detto sistema stabilisce criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di domande di protezione internazionale. Le disposizioni di cui trattasi sono state recepite nella Convenzione di Dublino (8), inserita nell’acquis dell’Unione con il Trattato di Amsterdam nel 1997 e in seguito sostituita dal regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio(9).

 Il regolamento Dublino III

6.        Nei considerando si rinvengono le affermazioni di seguito riportate.

–        Il meccanismo per determinare lo Stato membro competente dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale (10).

–        La direttiva procedure (11) dovrebbe integrare e lasciare impregiudicate le disposizioni relative alle garanzie procedurali disciplinate dal regolamento Dublino III, fatti salvi i limiti nell’applicazione di detta direttiva (12).

–        Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della Carta. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del regolamento Dublino III quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito (13).

–        Per quanto riguarda il trattamento di persone che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino III, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi che a essi derivano dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (14). Il regolamento Dublino III rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta e dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza (15).

7.        L’articolo 2 reca le seguenti definizioni:

«a)      “cittadino di un paese terzo”: qualsiasi persona che non è un cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE e che non è cittadino di uno Stato che partecipa al [regolamento Dublino III] in virtù di un accordo con l’Unione europea;

b)      “domanda di protezione internazionale”: la domanda di protezione internazionale quale definita all’articolo 2, lettera h), della [direttiva qualifiche (16)];

c)      “richiedente”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide che abbia manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva;

(…)».

8.        L’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III sancisce il principio generale secondo cui gli Stati membri «esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III». A norma dell’articolo 3, paragrafo 2, quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri di cui al capo III, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata. L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, riprende la giurisprudenza derivante dalla sentenza NS della Corte (17) e così dispone:

«Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente».

9.        In base all’articolo 4, paragrafo 1, «[n]on appena sia presentata una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, in uno Stato membro, le autorità competenti dello stesso informano il richiedente dell’applicazione del presente regolamento (…)» (18). Gli Stati membri devono inoltre effettuare un colloquio personale con il richiedente ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1 (19).

10.      Il capo III comprende gli articoli da 7 a 15. L’articolo 7, paragrafo 1, stabilisce che i criteri di cui al capo III si applicano nell’ordine nel quale sono ivi definiti. La determinazione dello Stato membro competente avviene sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro (articolo 7, paragrafo 2).

11.      Al vertice della gerarchia dei criteri si collocano quelli collegati ai minori (articolo 8) e ai familiari (articoli 9, 10 e 11). Il giudice del rinvio non ha indicato detti criteri come oggetto del procedimento principale.

12.      L’articolo 13, paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all’articolo 22, paragrafo 3, del [regolamento Dublino III], inclusi i dati di cui al [regolamento Eurodac], che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».

13.      A norma dell’articolo 17, paragrafo 1, «[i]n deroga all’articolo 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel [regolamento Dublino III]».

14.      Conformemente all’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), lo Stato membro competente è tenuto a prendere in carico il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato membro. In tali casi, il successivo paragrafo 2 stabilisce che lo Stato membro competente deve esaminare o portare a termine l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dal richiedente.

15.      Le norme che disciplinano le procedure di «presa in carico» e di «ripresa in carico» sono stabilite nel capo VI. L’articolo 20 così dispone:

«1.      La procedura di determinazione dello Stato membro competente è avviata non appena una domanda di protezione internazionale è presentata per la prima volta in uno Stato membro.

2.      La domanda di protezione internazionale si considera presentata non appena le autorità competenti dello Stato membro interessato ricevono un formulario presentato dal richiedente o un verbale redatto dalle autorità. Nel caso di domanda non scritta, il periodo che intercorre dalla dichiarazione di volontà e la stesura del relativo verbale deve essere quanto più breve possibile.

(…)».

16.      L’articolo 21, paragrafo 1, stabilisce quanto segue:

«Lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame della stessa può chiedere a tale Stato membro di prendere in carico il richiedente quanto prima e, al più tardi, entro tre mesi dopo la presentazione della domanda ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2.

In deroga al primo comma, nel caso di una risposta pertinente di Eurodac con dati registrati ai sensi dell’articolo 14 del [regolamento Eurodac], la richiesta è inviata entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, di tale regolamento.

Se la richiesta di prendere in carico un richiedente non è formulata entro i termini previsti al primo e al secondo comma, la competenza dell’esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro al quale la domanda è stata presentata».

17.      In base all’articolo 22, paragrafo 1, lo Stato membro richiesto è tenuto a procedere alle verifiche necessarie e a deliberare sulla richiesta di presa in carico di un richiedente entro due mesi a decorrere dal ricevimento della richiesta. In virtù dell’articolo 22, paragrafo 2, devono essere utilizzati determinati elementi di prova e circostanze indiziarie. L’articolo 22, paragrafo 7, dispone che se lo Stato membro richiesto non risponde entro la scadenza del termine di due mesi citato al paragrafo 1, ciò equivale all’accettazione della richiesta di presa in carico nella procedura di determinazione dello Stato membro responsabile con riferimento a una richiesta di presa in carico.

18.      Le procedure per le richieste di ripresa in carico sono descritte negli articoli da 23 a 25. Uno Stato membro presso il quale una persona abbia presentato una nuova domanda di protezione internazionale che ritenga che un altro Stato membro sia competente può presentare una richiesta di ripresa in carico (articolo 23, paragrafo 1). Tale richiesta è presentata quanto prima e in ogni caso entro due mesi dal ricevimento di una risposta pertinente di Eurodac positiva. Se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse dai dati ottenuti dal sistema Eurodac, lo Stato membro ha tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale per presentare la sua richiesta (articolo 23, paragrafo 2). Se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale spetta allo Stato membro in cui la nuova domanda è stata presentata (articolo 23, paragrafo 3).

19.      Sussiste un termine pari a due mesi per la presentazione della domanda di ripresa in carico ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva in parola qualora vi sia una risposta pertinente di Eurodac positiva, non sia presentata una nuova domanda nello Stato membro richiedente e il cittadino del paese terzo interessato soggiorni sul territorio di detto Stato senza un titolo di soggiorno. In mancanza di una prova ottenuta dal sistema Eurodac, il periodo è di tre mesi dalla data in cui lo Stato membro richiedente apprende che [un altro Stato membro] può essere competente per detta persona. Se la richiesta di ripresa in carico non è presentata entro i termini prescritti all’articolo 24, paragrafo 2, lo Stato membro richiedente deve offrire all’interessato la possibilità di presentare una nuova domanda (20).

20.      In base all’articolo 26, quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere (o riprendere) in carico un richiedente, lo Stato membro richiedente deve notificare all’interessato la decisione di trasferirlo verso lo Stato membro competente. Tale decisione deve contenere informazioni sui mezzi di impugnazione disponibili.

21.      L’articolo 27, paragrafo 1, stabilisce che i richiedenti hanno diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale. A norma del successivo paragrafo 3, gli Stati membri prevedono nel proprio diritto nazionale che i ricorsi avverso decisioni di trasferimento o le revisioni delle medesime sospendono le decisioni di cui trattasi permettendo all’interessato di rimanere nel territorio degli Stati membri in attesa dell’esito dell’impugnazione.

22.      L’articolo 29 verte sulle modalità e i termini dei trasferimenti. In base al suo paragrafo 1, il trasferimento «dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3».

23.      L’articolo 35, paragrafo 1, così dispone: «[g]li Stati membri notificano immediatamente alla Commissione le specifiche autorità responsabili dell’esecuzione degli obblighi risultanti dal presente regolamento e gli eventuali cambiamenti in ordine alle autorità designate. Gli Stati membri provvedono affinché tali autorità dispongano delle risorse necessarie per lo svolgimento dei loro compiti e in particolare per rispondere entro i termini previsti alle richieste di informazione, alle richieste di presa in carico e alle richieste di ripresa in carico dei richiedenti».

 Il regolamento Eurodac

24.      Il sistema istituito con il regolamento Eurodac ha lo scopo di concorrere alla determinazione dello Stato membro competente, ai sensi del regolamento Dublino III, per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo [o da un apolide], e di facilitare inoltre l’applicazione di quest’ultimo regolamento (21). La «risposta pertinente» è definita come «la corrispondenza constatata o le corrispondenze constatate dal sistema centrale, sulla base di un confronto, tra i dati relativi alle impronte digitali registrati nella banca dati centrale informatizzata e quelli trasmessi da uno Stato membro relativi a una persona (…)» (22).

25.      A norma dell’articolo 9, ciascuno Stato membro procede tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di ogni richiedente protezione internazionale di età non inferiore a 14 anni e, non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, trasmette tali dati al sistema centrale insieme a determinati altri dati (23). I dati sono conservati per 10 anni. L’obbligo di rilevamento e trasmissione delle impronte digitali sussiste anche rispetto ai cittadini del paese terzo che siano fermati in relazione all’attraversamento irregolare di una frontiera estera (articolo 14, paragrafi 1 e 2). I dati rilevati sono registrati nel sistema centrale. Fatti salvi gli obblighi di elaborare una statistica, i dati così registrati sono utilizzati unicamente ai fini del confronto con i dati relativi ai richiedenti protezione internazionale (24).

 Il regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino

26.      Il regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino fissa le specifiche modalità adottate per agevolare la cooperazione tra le autorità degli Stati membri competenti ad applicare il regolamento Dublino III rispetto alla trasmissione e al trattamento delle richieste di presa in carico e di ripresa in carico dei richiedenti protezione internazionale (25). Al regolamento di attuazione è allegato un modulo standard di richiesta di presa in carico. La richiesta deve contenere, in particolare, copia di tutti gli elementi di prova e prove indiziarie da cui si desume la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale dello Stato membro richiesto e i dati relativi alla risposta pertinente di Eurodac positiva (26).

27.      L’allegato II del regolamento di cui trattasi contiene un «elenco A» e un «elenco B» indicanti gli elementi di prova per la determinazione dello Stato competente ai fini del regolamento Dublino III. L’elenco A si riferisce alle prove formali che determinano la competenza finché non siano confutate da prove contrarie. Il primo trattino del punto 7 del suddetto elenco menziona una risposta pertinente fornita da Eurodac previo raffronto delle impronte del richiedente con impronte raccolte in forza dell’articolo 14 del regolamento Eurodac.

 La direttiva qualifiche

28.      La direttiva qualifiche stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (27). Tra le definizioni di cui all’articolo 2 figurano le seguenti:

«a)      “protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria (…);

(…)

h)      “domanda di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

(…)».

 La direttiva procedure

29.      La direttiva procedure stabilisce procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale (28). La direttiva si applica alle domande di protezione internazionale presentate nel territorio dell’Unione (29). Gli Stati membri devono designare un’autorità accertante che sarà competente per l’esame delle domande a norma di tutte le procedure pertinenti. Gli Stati membri possono stabilire che l’autorità accertante sia anche responsabile a trattare i casi a norma del regolamento Dublino III (30).

30.      In base all’articolo 6, paragrafo 1, quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità non competenti per la registrazione della persona interessata a norma del diritto nazionale, la registrazione deve comunque essere effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. Tali autorità devono informare i richiedenti su dove e in che modo possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale. A norma dell’articolo 6, paragrafo 2, gli Stati membri devono provvedere affinché chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima (31). Fatto salvo il medesimo articolo 6, paragrafo 2, gli Stati membri possono esigere che le domande di protezione internazionale siano introdotte personalmente e/o in un luogo designato (articolo 6, paragrafo 3). Il successivo paragrafo 4 stabilisce che «[i]n deroga al paragrafo 3, una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato».

31.      I richiedenti protezione internazionale sono autorizzati a rimanere nello Stato membro interessato ai fini esclusivi della procedura di esame della loro domanda (32).

 La direttiva accoglienza

32.      La direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (33), come definiti nell’articolo 2, lettera h), della direttiva qualifiche, stabilisce che gli Stati membri devono informare i richiedenti, entro un termine di quindici giorni dopo la «presentazione» di una domanda, dei benefici riconosciuti e degli obblighi loro spettanti in riferimento alle condizioni di accoglienza (articolo 5, paragrafo 1). Gli Stati membri provvedono affinché, entro tre giorni dalla presentazione di una domanda, ai richiedenti sia rilasciato un documento che certifichi lo status di richiedente protezione internazionale o che attesti che il richiedente è autorizzato a soggiornare nel territorio dello Stato membro interessato nel periodo in cui la domanda è pendente o in esame (articolo 6, paragrafo 1).

 Diritto nazionale

33.      Dalle spiegazioni fornite dal giudice nell’ordinanza di rinvio emerge che quando un cittadino di un paese terzo presenta domanda di protezione internazionale in Germania, il sistema nazionale opera una distinzione tra una richiesta informale rivolta alle autorità (come le autorità preposte al controllo delle frontiere, le autorità di polizia, funzionari per l’immigrazione o centri di accoglienza per i richiedenti asilo), da un lato, e, dall’altro, la presentazione di una domanda formale di protezione internazionale presso il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati; in prosieguo: il «BAMF»), l’ente chiamato, in base al diritto nazionale, a pronunciarsi sulle domande di asilo e competente ad adottare decisioni in materia di diritto dei cittadini stranieri.

34.      In un primo momento, il cittadino del paese terzo è trasferito al centro di accoglienza competente che deve informare il BAMF. Le autorità tedesche devono rilasciare a detto cittadino una certificazione sulla registrazione come richiedente asilo (in prosieguo: la «certificazione»). A partire da quel momento, il cittadino ha diritto di soggiornare in Germania sino alla conclusione della procedura relativa alla sua domanda di asilo. Viene fissato un appuntamento per il cittadino del paese terzo che è tenuto a comparire personalmente presso l’ufficio locale del BAMF allo scopo di presentare la sua domanda di protezione internazionale.

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

35.      Tsegezalb Mengesteab (in prosieguo: il «ricorrente») è un cittadino eritreo. Egli affermava di essere entrato per la prima volta nel territorio dell’Unione il 4 settembre 2015, raggiungendo l’Italia dalla Libia attraverso il Mediterraneo. Il 12 settembre 2015 egli raggiungeva la Germania via terra dall’Italia. Il 14 settembre 2015, a fronte della sua richiesta informale di asilo, le autorità tedesche gli rilasciavano in un primo momento una certificazione emessa dal governo regionale dell’Alta Baviera. L’8 ottobre 2015, l’autorità centrale competente per gli stranieri di Bielefeld gli rilasciava una seconda certificazione. Il 14 gennaio 2016 il sig. Mengesteab inviava al BAMF la seconda certificazione, nviandola nuovamente il 6 febbraio 2016. In data 22 luglio 2016, il sig. Mengesteab presentava al BAMF una domanda formale di protezione internazionale.

36.      Il 19 agosto 2016, un controllo effettuato nella banca dati Eurodac mostrava che le impronte digitali del sig. Mengesteab erano state rilevate in Italia (risposta pertinente di Eurodac IT2LE01HRQ), senza tuttavia che questi avesse presentato domanda di protezione internazionale in tale paese. In pari data le autorità tedesche presentavano una richiesta di presa in carico alle loro controparti italiane, le quali non fornivano alcuna risposta.

37.      Con decisione del 10 novembre 2016, notificata al sig. Mengesteab il 16 novembre successivo, il BAMF dichiarava inammissibile la sua domanda di protezione internazionale, respingendo dunque la sua richiesta di asilo e disponendo il suo allontanamento in Italia. Il BAMF riteneva che lo Stato membro competente per l’esame della domanda del ricorrente fosse l’Italia e non la Germania, dal momento che quest’ultimo aveva irregolarmente attraversato il confine esterno dell’Unione viaggiando dalla Libia verso l’Italia, e che il suo caso rientrasse quindi nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

38.      Il 17 novembre 2016, il sig. Mengesteab impugnava la suddetta decisione dinanzi al giudice del rinvio, chiedendo la sospensione della decisione di trasferimento. Il 22 dicembre successivo il giudice disponeva la sospensione del provvedimento di allontanamento.

39.      Secondo il sig. Mengesteab, la Germania sarebbe competente ad esaminare la sua domanda, poiché la richiesta di presa in carico sarebbe stata presentata successivamente al decorso del termine trimestrale di cui all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III. A suo avviso, il termine per presentare la richiesta di presa in carico sarebbe iniziato a decorrere il 14 settembre 2015, con la presentazione della sua richiesta informale di asilo. Nulla cambierebbe in caso di risposta pertinente di Eurodac positiva, giacché il termine più breve di due mesi previsto dall’articolo 21, [paragrafo 1,] secondo comma mira ad accelerare la procedura di presa in carico.

40.      Il BAMF replica anzitutto che le disposizioni in materia di termini contenute nel regolamento Dublino III non possono formare oggetto di ricorso o revisione da parte dei richiedenti, in quanto non fondano diritti individuali. In secondo luogo, esso ritiene che i termini di cui trattasi non inizino a decorrere sino alla presentazione di una domanda formale di asilo.

41.      Il giudice del rinvio chiede se il sig. Mengesteab possa impugnare l’applicazione dei termini di cui all’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III nei procedimenti a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, del medesimo regolamento. In caso affermativo, detto giudice chiede chiarimenti, segnatamente, in ordine alla determinazione di ciò che costituisce la presentazione di una domanda di protezione internazionale ai sensi del regolamento Dublino III.

42.      Pertanto, il giudice del rinvio chiede quanto segue:

«1)      Se un richiedente asilo possa far valere il trasferimento della competenza in capo allo Stato membro richiedente per decorso del termine per la presentazione della richiesta di presa in carico (articolo 21, paragrafo 1, terzo comma, del [regolamento Dublino III]).

2)      In caso di risposta affermativa alla prima questione: se un richiedente asilo possa far valere il trasferimento della competenza anche quando lo Stato membro richiesto conferma la sua disponibilità a prenderlo in carico.

3)      In caso di risposta negativa alla seconda questione: se dall’accettazione esplicita o implicita (articolo 22, paragrafo 7, del [regolamento Dublino III]) dello Stato membro richiesto si possa desumere che detto Stato membro continua ad essere disponibile a prendere in carico il richiedente asilo.

4)      Se il termine di due mesi di cui all’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma, del [regolamento Dublino III] possa terminare dopo il decorso del termine trimestrale di cui all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento in parola quando lo Stato membro richiedente lascia passare più di un mese dal momento in cui detto ultimo termine inizia a decorrere prima di inoltrare una richiesta alla banca dati “Eurodac”.

5)      Se una domanda di protezione internazionale si consideri presentata ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III] già con il primo rilascio di una certificazione sulla registrazione come richiedente asilo o soltanto con la registrazione di una domanda formale di asilo. In particolare:

a)      Se la certificazione sulla registrazione come richiedente asilo sia un formulario o un verbale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III].

b)      Se l’autorità competente ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del [regolamento Dublino III] sia l’autorità competente per il ricevimento del formulario o la redazione del verbale o l’autorità competente a decidere sulla domanda di asilo.

c)      Se un verbale redatto dalle autorità debba considerarsi pervenuto all’autorità competente anche quando a quest’ultima è stato comunicato il contenuto essenziale del formulario o del verbale o se sia invece a tal fine necessario che le sia inviato l’originale o una copia del verbale.

6)      Se eventuali ritardi tra la prima richiesta di asilo o il primo rilascio di una certificazione sulla registrazione come richiedente asilo e la presentazione di una richiesta di presa in carico possano comportare un trasferimento della competenza in capo allo Stato membro richiedente in applicazione analogica dell’articolo 21, paragrafo 1, terzo comma, del [regolamento Dublino III] od obbligare lo Stato membro richiedente a servirsi del suo diritto di avocazione a norma dell’articolo 17, paragrafo 1, primo comma, del regolamento in questione.

7)      In caso di risposta affermativa alla sesta questione rispetto a una delle due alternative: a partire da quale momento debba ravvisarsi la sussistenza di un ritardo eccessivo nella presentazione di una richiesta di presa in carico.

8)      Se una richiesta di presa in carico in cui lo Stato membro richiedente indica soltanto la data dell’ingresso nel proprio territorio e la data della presentazione della domanda formale di asilo, omettendo di precisare anche la data della prima richiesta di asilo o la data del primo rilascio di una certificazione sulla registrazione come richiedente asilo, rispetti il termine di cui all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del [regolamento Dublino III] o se una siffatta domanda sia “inefficace”».

43.      Hanno presentato osservazioni scritte la Germania, l’Ungheria e la Commissione europea. All’udienza, tenutasi il 25 aprile 2017, le tre parti suddette hanno formulato osservazioni orali, analogamente al sig. Mengesteab e al Regno Unito.

 Analisi

 Osservazioni preliminari

44.      Nella sua ordinanza di rinvio, il giudice a quo indica che il sig. Mengesteab era entrato nel territorio dell’Unione europea raggiungendo l’Italia dalla Libia attraverso il Mediterraneo. Trattandosi di un cittadino eritreo, all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione egli avrebbe dovuto essere in possesso di un visto (34). È verosimile che egli ne fosse privo e che, pertanto, sia entrato illegalmente nel territorio dell’Unione, dal momento che non soddisfaceva le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen (35). In tale contesto, le questioni sollevate dal giudice del rinvio muovono dal presupposto che il sig. Mengesteab rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e che l’Italia sia lo Stato membro competente a norma del regolamento di cui trattasi.

45.      Ci si chiede se la premessa da cui muove il giudice del rinvio, vale a dire che il sig. Mengesteab sia entrato illegalmente – ai sensi della menzionata disposizione - in Italia, sia fondata.

46.      Il presente procedimento non verte espressamente sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Una questione analoga, riguardante cittadini di paesi terzi che hanno varcato le frontiere terrestri attraverso i Balcani occidentali tra l’autunno 2015 e la primavera 2016, è attualmente pendente dinanzi alla Corte nell’ambito delle cause A.S. (36) e Jafari (37). nei procedimenti menzionati si chiede alla Corte di chiarire il significato dell’espressione «varcato illegalmente (…) la frontiera di uno Stato membro» contenuta nell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, in combinato disposto con l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen che permette allo Stato membro di derogare a una o più delle condizioni ex articolo 5, paragrafo 1, di tale atto (ad esempio il possesso di un visto valido) per motivi umanitari o in virtù di obblighi internazionali, autorizzando il cittadino del paese terzo interessato ad entrare nel suo territorio.

47.      Ci si chiede se siffatto aspetto sia stato considerato relativamente alla situazione del sig. Mengesteab, e,. in caso negativo, se sia necessario compiere un esame in tal senso.

48.      Si tratta di una questione tanto complessa quanto delicata, colma di inespressi interrogativi di carattere politico e resa estremamente ardua in considerazione dei tragici destini delle persone decedute nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Benché il giudice del rinvio non abbia sollevato tale questione, occorre tuttavia stabilire come il regolamento Dublino III trovi applicazione in questo caso specifico. Qualora l’articolo 13, paragrafo 1, non costituisca il corretto criterio del capo III, le questioni sollevate nella specie potrebbero non richiedere più una risposta.

49.      A titolo introduttivo, rammento che nell’aprile 2015 il Parlamento europeo ha sollecitato l’Unione europea e gli Stati membri ad adoperarsi il più possibile onde ridurre la perdita di vite umane in mare (38). Di conseguenza, l’Unione e gli Stati membri costieri, come l’Italia, hanno condotto una nutrita serie di operazioni coordinate di ricerca e soccorso («SAR») o di controllo delle frontiere aventi il medesimo scopo, spesso unitamente a Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) (39).

50.      Sembra esservi una presunzione tacita secondo cui i potenziali richiedenti protezione internazionale che raggiungono il territorio di uno Stato membro a seguito di una traversata per mare devono aver necessariamente varcato le frontiere esterne di detto Stato membro «illegalmente» ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. A mio avviso, tale presunzione non è inevitabilmente valida in ogni caso.

51.      Ove una persona, in seguito a una traversata via mare, sbarchi illesa e senza essere individuata per poi presentarsi alle autorità di detto Stato membro o di un altro Stato membro allo scopo di chiedere protezione internazionale, si può ragionevolmente presumere che abbia varcato il confine del primo Stato membro «illegalmente»: una simile ipotesi sarà infatti pressoché certamente corretta. Quando una persona viene tratta in salvo in alto mare da un gommone sovraffollato che sta affondano, la situazione giuridica è molto più complessa e può ulteriormente variare a seconda che la persona di cui trattasi sia salvata all’interno delle acque territoriali di uno Stato membro.

52.      L’obbligo di prestare assistenza alle persone in pericolo in mare rappresenta «una delle caratteristiche più antiche e fondamentali del diritto del mare» (40). L’articolo 98, paragrafo 1, lettera b), della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea - UNCLOS) stabilisce che ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri proceda, segnatamente, quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo. L’articolo 98, paragrafo 2, dell’UNCLOS stabilisce che ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea (41).

53.      Un «luogo sicuro» è un luogo in cui si ritiene che le operazioni di soccorso debbano concludersi. Si tratta inoltre di un luogo in cui la sicurezza per la vita dei sopravvissuti non è più minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base (quali cibo, riparo e cure mediche) e in cui possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale (42). Tuttavia, nel contempo, non esiste alcun obbligo per uno Stato costiero (o per lo Stato di cui la nave batte bandiera, o per lo Stato che organizza le operazioni SAR) di autorizzare lo sbarco delle persone soccorse sul suo territorio (43). In linea di principio [e fermo restando ovviamente il principio di non respingimento (non-refoulement)], i cittadini di un paese terzo soccorsi da un’imbarcazione battente bandiera di uno Stato membro dell’Unione o nelle acque territoriali di uno Stato membro possono essere sbarcati in uno Stato extra UE (44). Dieci anni fa, nel 2007, la Commissione ha rilevato taluni problemi connessi all’individuazione del porto più adatto per lo sbarco (45). Nel 2009, il comitato di facilitazione dell’Organizzazione marittima internazionale ha proposto che il governo responsabile della zona SAR accetti lo sbarco delle persone soccorse ove non possa essere individuato alcun altro luogo sicuro, ma la proposta è stata poi respinta (46). In seguito ad un’iniziativa del Consiglio avviata nel 2010 (47) ed annullata dalla Corte per motivi di ordine procedurale (48), il regolamento Frontex ha fissato la seguente regola generale per le operazioni SAR: gli Stati membri ospitanti e partecipanti devono cooperare con il centro di coordinamento per individuare un luogo sicuro, ma qualora ciò non sia possibile, «appena ragionevolmente fattibile», le persone soccorse possono essere sbarcate nello Stato membro che ospita l’operazione (49). Tuttavia, il regolamento Frontex non si applica alle acque territoriali di paesi terzi (50) ed è stato criticato in quanto omette di fornire «condizioni giuridiche precise per lo sbarco in caso di situazioni [SAR]» (51).

54.      La breve panoramica da me tracciata rivela chiaramente che l’intersezione fra diritto internazionale del mare, diritto internazionale umanitario (come previsto dalla convenzione di Ginevra del 1951) e diritto dell’Unione europea non fornisce una risposta rapida e manifesta alla domanda se debba ritenersi che le persone soccorse durante una traversata del Mediterraneo e sbarcate in uno Stato membro costiero dell’Unione (generalmente, ma non soltanto, la Grecia o l’Italia) abbiano varcato «illegalmente» le frontiere di detto Stato membro ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

55.      Ciò posto, nel caso di specie la Corte non si trova nella posizione maggiormente idonea per fornire i chiarimenti necessari al giudice del rinvio. Poiché la questione non era stata sollevata nell’ordinanza di rinvio, gli Stati parte del sistema Dublino(52) non ne sono stati informati; pertanto, essi non potevano decidere in maniera informata se presentare o meno osservazioni scritte al riguardo.

56.      Per quanto concerne i fatti concreti all’origine dell’ordinanza di rinvio, la Corte non sa se il sig. Mengesteab sia stato soccorso in mare (e, in caso affermativo, da chi) o se sia stato effettivamente autorizzato a entrare in Italia per motivi umanitari o in virtù di obblighi internazionali. È invece possibile che egli si sia spostato in assoluta clandestinità. In tale circostanza, è oltremodo probabile che il suo caso ricada inequivocabilmente nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

57.      Per le ragioni suesposte, pur avendo ritenuto necessario porre in evidenza il problema, la questione della corretta interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III nel contesto di una traversata via mare che si conclude con l’ingresso nel territorio di uno Stato membro costiero deve, a mio avviso, essere definita nell’ambito di un’altra causa in cui è sollevata direttamente da un giudice nazionale. Pertanto, passo ora ad esaminare le questioni sollevate del giudice del rinvio.

 Prima, seconda e terza questione

58.      La prima, la seconda e la terza questione sono strettamente connesse. Esse mirano essenzialmente a stabilire se il sig. Mengesteab possa impugnare la decisione di trasferimento dalla Germania all’Italia quale Stato membro competente per l’esame della sua domanda.

 Prima questione: osservazioni di carattere generale

59.      Con la prima questione, il giudice del rinvio intende accertare se l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III consenta a un richiedente protezione internazionale di impugnare una decisione di trasferimento quando lo Stato membro richiedente (nel caso di specie, la Germania) non rispetta il termine di tre mesi previsto dall’articolo 21, paragrafo 1, ai fini della presentazione di una siffatta domanda.

60.      Secondo la Germania e il Regno Unito occorre rispondere in senso negativo alla suddetta questione, mentre il sig. Mengesteab e l’Ungheria sostengono il contrario. Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione ha affermato che un richiedente può impugnare una decisione di trasferimento per tale motivo, salvo poi mutare la propria posizione in udienza sostenendo che il diritto di proporre ricorso o di chiedere la revisione riconosciuto a un richiedente dall’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III non riguarda le disposizioni del regolamento medesimo dirette a fissare i termini entro i quali gli Stati membri devono presentare una richiesta di presa in carico.

61.      A mio parere, la prima questione verte su due aspetti generali, vale a dire l’interpretazione dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e la portata del diritto a un ricorso effettivo sancito nell’articolo 27, paragrafo 1. La questione è essenzialmente se gli atti degli Stati membri, in particolare la mancata risposta entro i termini previsti dal regolamento, debbano essere soggetti a controllo giurisdizionale nell’ambito di un’azione avviata dinanzi a un giudice nazionale da un richiedente protezione internazionale che impugna una decisione di trasferimento.

62.      Nell’esaminare le suddette questioni ritengo fondamentale tener conto di alcuni principi generali della giurisprudenza della Corte affermati nel preambolo del regolamento Dublino III (53). Difatti, l’Unione europea si fonda sullo stato di diritto in quanto né i suoi Stati membri, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla Carta o ai Trattati che istituiscono un sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso a permettere il controllo giurisdizionale della legittimità degli atti che rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Inoltre, i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in particolare, alla CEDU, che riveste, a questo proposito, un particolare significato (54).

63.      I diritti fondamentali specifici presi in considerazione sono, inter alia, il rispetto dei diritti della difesa e il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva garantiti dall’articolo 47 della Carta. Il primo rientra tra i diritti processuali connessi al diritto di essere ascoltati, mentre il secondo richiede che l’autorità competente consenta alla persona interessata di difendere i suoi diritti e di accedere a un ricorso effettivo per tutte le violazioni dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione (55). A questo proposito, l’articolo 47 presenta un ambito di applicazione più ampio rispetto ai diritti corrispondenti sanciti negli articoli 6 e 13 della CEDU (56).

64.      Interpretando gli articoli 21, paragrafo 1, e 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III alla luce dei suddetti principi generali, ritengo occorra rispondere alla prima questione in senso affermativo per le ragioni che mi accingo ad illustrate. Le implicazioni pratiche per il caso del sig. Mengesteab emergeranno nella risposta alla quinta questione, intesa a stabilire quando si possa ritenere «presentata» una domanda di protezione internazionale. Tale momento costituisce il dies a quo del termine trimestrale di cui all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma (57).

 Articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III

65.      Benché, in effetti, i termini fissati nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III non siano espressamente oggetto di ricorso o revisione a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, una siffatta interpretazione non contrasta con il tenore letterale e non è incompatibile con gli obiettivi della normativa (58).

66.      La tensione tra diritti individuali e meccanismi interstatali istituiti dalle procedure disciplinate dal sistema Dublino è stata riconosciuta sin dal principio (59). Dal momento che il sistema Dublino era stato originariamente concepito per fornire agli Stati membri un meccanismo volto a individuare con celerità lo Stato competente per il trattamento di una domanda di asilo, probabilmente l’esistenza di tale tensione non sorprende (60).

67.      Tuttavia, nel corso del tempo le modalità con cui tale tensione deve essere adeguatamente risolta hanno subito una variazione. In primo luogo, attualmente è necessario tener conto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta a livello di diritto primario (61). In secondo luogo, la genesi normativa mostra come, nell’introdurre il regolamento Dublino III, il legislatore dell’Unione abbia inteso garantire la piena compatibilità delle sue disposizioni con i diritti fondamentali quali principi generali del diritto dell’Unione, nonché con il diritto internazionale. In proposito, «particolare rilievo è stato dato alla necessità di rafforzare le garanzie legali e procedurali delle persone soggette alla procedura Dublino e permettere loro di difendere meglio i loro diritti (…)» (62). Tale importanza riconosciuta ai diritti fondamentali emerge dalla struttura e dal contesto del regolamento Dublino III. Congiuntamente, essi costituiscono il contesto in cui occorre interpretare l’articolo 21, paragrafo 1 (63).

68.      Dalla struttura del regolamento si evince chiaramente che l’obiettivo primario è quello di determinare quanto prima lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri (64). La determinazione deve essere compiuta dalle autorità competenti designate a tal fine dall’articolo 35, paragrafo 1. Nell’espletare le proprie funzioni, le citate autorità devono agire nei termini specificati nel regolamento Dublino III.

69.      In base all’articolo 3, paragrafo 1, la domanda deve essere esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III. Il principio generale è che la competenza ad esaminare una domanda di asilo spetta allo Stato membro che ha svolto il ruolo principale nell’ingresso o nel soggiorno del richiedente all’interno del territorio dell’Unione. I criteri di cui al capo III in materia di ingresso clandestino nel territorio dell’Unione (vale a dire, l’articolo 13, paragrafo 1) sono quelli più sovente applicati nel determinare la competenza ad esaminare una domanda di protezione internazionale, mentre quelli previsti negli articoli da 8 a 11 del capo III, relativi a minori e unità familiare, sono impiegati con minore frequenza (65). Il sistema Dublino è concepito per garantire che un richiedente non sia costretto a peregrinare da uno Stato membro all’altro o lasciato in «orbita» senza che alcuno Stato membro sia disponibile ad esaminare la sua domanda di protezione internazionale. L’espressione «un solo Stato membro» indica che i richiedenti non possono presentare più domande in diversi Stati membri («forum shopping» (66)).

70.      La procedura di determinazione dello Stato membro competente deve essere avviata non appena è presentata una domanda di protezione internazionale in uno Stato membro (articolo 20, paragrafi 1 e 2, del regolamento Dublino III). Qualora lo Stato membro che ha ricevuto una siffatta domanda ritenga che un altro Stato membro sia competente per l’esame della medesima, può chiedere a quest’ultimo di prendere in carico il richiedente. Le richieste di presa in carico devono essere presentate quanto prima o, al più tardi, entro tre mesi dalla data di presentazione della domanda ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2. Lo Stato membro in cui è stata presentata la domanda non è tenuto ad agire in tal senso, dal momento che la procedura di presa in carico è discrezionale. In mancanza di siffatta richiesta, tale Stato resta lo Stato membro competente.

71.      Inoltre, la genesi normativa mostra che, quando il regolamento Dublino II ha sostituito la convenzione di Dublino, il termine di presentazione delle richieste di presa in carico è stato ridotto da sei a tre mesi (67). I termini rivisti contenuti nel regolamento Dublino II (che si riflettono nel regolamento Dublino III) erano collegati alle procedure di ammissibilità previste nella direttiva procedure (allora allo stadio di proposta) (68). Nella propria relazione, la Commissione aveva all’epocaaffermato che il meccanismo di determinazione dello Stato competente poteva essere applicato in modo efficiente soltanto se, inter alia, le richieste fossero state trattate entro i termini previsti (69).

72.      Se uno Stato membro decide di presentare una richiesta di presa in carico, i termini fissati dall’articolo 21, paragrafo 1 sono vincolanti e rigorosi. Gli Stati membri non possono prorogarli, né tantomeno il legislatore ha concesso a questi ultimi la facoltà di prevedere deroghe a specifici termini in circostanze eccezionali.

73.      È senz’altro possibile che uno Stato membro nel quale è stata presentata una domanda presenti una richiesta di presa in carico ad un altro Stato membro e che la stessa venga accolta. In tal caso, cessa la responsabilità del primo Stato in parola rispetto alla verifica sostanziale della richiesta di asilo. Nondimeno, esso può altresì: i) scegliere di non formulare alcuna richiesta di presa in carico, ii) presentare una richiesta nel termine di tre mesi di cui all’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, che può venire legittimamente respinta dallo Stato membro richiesto (per mancanza di prove), oppure iii) presentare la richiesta di cui trattasi dopo la scadenza del termine trimestrale. In tutti questi casi, il suddetto Stato diviene lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale (70). Ciò comporta ovviamente una conseguenza sostanziale per il richiedente stesso, il quale non è trasferito dallo Stato membro «A» allo Stato membro «B», ma rimane nel primo Stato membro in attesa che la sua domanda di protezione internazionale sia trattata e oggetto di decisione. Il considerevole impatto sul richiedente varia a seconda delle circostanze del caso. Se la procedura Dublino procede celermente, è probabile che l’impatto di tale processo sull’iter generale della domanda di protezione internazionale del richiedente sia più contenuto rispetto ai casi in cui una domanda subisce ritardi, in particolare, nella fase preliminare di determinazione dello Stato membro competente (71). In proposito, i termini fissati, compresi quelli di cui all’articolo 21, paragrafo 1, garantiscono un determinato grado di certezza sia ai richiedenti che allo Stato membro interessato. I vari termini fissati sono determinanti per il funzionamento generale del sistema Dublino.

74.      Tale posizione è avvalorata dalle disposizioni introdotte per riconoscere o ampliare determinati diritti individuali, quali il diritto di informazione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, e il diritto alla notifica della decisione di trasferimento sancito nell’articolo 26, paragrafi 1 e 2, del regolamento Dublino III.

75.      Aggiungo che dalla formulazione letterale dell’articolo 29, paragrafo 3, emerge che il quadro normativo prevede che una persona possa essere trasferita erroneamente e che tale trasferimento possa essere riformato in appello o in seguito a revisione (72).

76.      Concludo pertanto che la formulazione e gli obiettivi, unitamente al quadro normativo del regolamento Dublino III, indicano che, laddove gli Stati membri non rispettino i termini previsti per le richieste di presa in carico, i richiedenti dovrebbero poter impugnare le decisioni di trasferimento, in particolare, quando tale violazione incide sull’iter della domanda di protezione internazionale dell’interessato.

 Articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III

77.      Il giudice del rinvio chiede se la sentenza della Corte nella causa Abdullahi (73) debba applicarsi al caso del sig. Mengesteab. La predetta causa riguardava una cittadina somala entrata per la prima volta nel territorio dell’Unione in Grecia. Successivamente, la sig.ra Abdullahi aveva attraversato l’Ungheria fino a raggiungere l’Austria, dove aveva chiesto asilo. Le autorità austriache avevano ritenuto che, in base ai criteri pertinenti del capo III, lo Stato membro competente fosse l’Ungheria (74) e le autorità ungheresi accettavano di esaminare la sua domanda. La sig.ra Abdullahi sosteneva invece che lo Stato membro competente fosse la Grecia, essendo questo il paese del suo primo ingresso nel territorio dell’Unione europea (75). La Corte ha dichiarato che il diritto di proporre ricorso o di chiedere la revisione sancito dall’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento Dublino II deve essere interpretato nel senso che, nelle circostanze in cui uno Stato membro abbia accettato la presa in carico di un richiedente asilo in quanto Stato membro effettivo del primo ingresso del richiedente asilo nel territorio dell’Unione, detto richiedente può contestare tutto ciò soltanto deducendo l’esistenza di carenze sistemiche della procedura d’asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro, che costituiscono fondati motivi per ritenere che egli corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta.

78.      A mio parere, la sentenza Abdullahi si riferisce soltanto alle circostanze peculiari del caso citato, mentre la situazione del sig. Mengesteab è diversa.

79.      In primo luogo, il sig. Mengesteab non contesta l’applicazione del pertinente criterio di cui al capo III (articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III). In secondo luogo, l’interpretazione fornita del regolamento Dublino II nella causa Abdullahi è stata ampiamente superata dalle modifiche introdotte nella successiva versione del regolamento Dublino (76). Gli obiettivi e lo schema generale del regolamento si sono evoluti con conseguente ampiamento del diritto di ricorso o di revisione rispetto a quanto previsto nell’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento Dublino II. Il regolamento precedentemente in vigore non conteneva, del pari, disposizioni equivalenti a quelle del regolamento Dublino III in materia di garanzie riconosciute ai richiedenti con riferimento alle informazioni che gli Stati membri devono mettere a loro disposizione e all’obbligo di effettuare un colloquio personale (77). Le modifiche nel quadro normativo trovano conferma nei dichiarati obiettivi di migliorare la protezione offerta ai richiedenti nell’ambito del sistema Dublino e di introdurre un ricorso effettivo che verta tanto sull’esame dell’applicazione del regolamento Dublino III quanto della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito (78).

80.      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, secondo cui i richiedenti devono avere diritto a un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, è stato recentemente esaminato dalla Corte nelle cause Ghezelbash (79) e Karim (80).

81.      In entrambi i casi succitati, un richiedente protezione internazionale ha cercato di contestare la decisione, adottata dalle autorità competenti dello Stato membro in cui si trovava, concernente il trasferimento in un altro Stato che aveva concordato con il primo Stato membro di riconoscere la propria competenza ad esaminare la domanda del richiedente. Nella sentenza Ghezelbash, la Corte stabiliva [con riferimento a un’asserita errata applicazione del criterio del capo III relativo ai visti (articolo 12 del regolamento Dublino III)] che, al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale, il ricorso effettivo istituito dal regolamento Dublino III avverso le decisioni di trasferimento deve avere a oggetto i) l’esame dell’applicazione di tale regolamento e ii) l’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito (81). Nella sentenza Karim la Corte ha statuito che l’errata applicazione dell’articolo 19, paragrafo 2, (che non rientra tra i criteri di cui al capo III ma è parte del Capo V del regolamento Dublino III) poteva essere oggetto di ricorso o revisione in base all’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento citato, affermando che «(…) l’applicazione del [regolamento Dublino III] riposa essenzialmente sull’espletamento di una procedura di determinazione dello Stato membro competente, designato sulla base dei criteri di cui al capo III di tale regolamento (…)» (82).

82.      Il sig. Mengesteab e l’Ungheria affermano che le sentenze Ghezelbash e Karim trovano applicazione nel caso di specie. La Germania, il Regno Unito e la Commissione ritengono che esse si applichino soltanto in circostanze limitate, vale a dire quando un richiedente protezione internazionale eccepisce un’errata applicazione dei criteri di cui al capo III o quando la disposizione in esame è strettamente collegata all’applicazione dei criteri di cui trattasi. La Commissione invita inoltre la Corte a chiarire le sue pronunce nelle cause Ghezelbash e Karim e a precisare i limiti ai diritti riconosciuti a un richiedente ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

83.      A mio avviso, benché le sentenze Ghezelbash e Karim non stabiliscano espressamente se un richiedente asilo abbia diritto di contestare il mancato rispetto dei termini fissati nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, i principi ivi sanciti trovano comunque applicazione anche nel caso di specie (83).

84.      Mi appresto ad affrontare immediatamente le obiezioni sollevate rispetto alla possibilità che i richiedenti nella posizione del sig. Mengesteab possano avvalersi dell’articolo 21, paragrafo 1, nell’ambito di procedimenti di ricorso o revisione di decisioni di trasferimento.

85.      Come primo argomento, la Germania, il Regno Unito e la Commissione (quest’ultima in sede di udienza) affermano che un richiedente non può invocare il mancato rispetto dei termini fissati nell’articolo 21, paragrafo 1, poiché essi disciplinano rapporti interstatali, tra lo Stato membro richiedente e lo Stato membro richiesto. Pertanto, i singoli non dovrebbero poter impugnare tali rapporti.

86.      La suddetta opinione non mi convince, dal momento che il sistema Dublino non costituisce più un meccanismo meramente interstatale. La situazione è mutata a partire dalla sua introduzione nell’acquis dell’Unione quale regolamento Dublino II, come emerge dai lavori preparatori dell’atto di cui trattasi (84). Tale posizione è divenuta ancora più chiara con l’introduzione del regolamento Dublino III (85).

87.      La seconda obiezione, sollevata principalmente dal Regno Unito, è incentrata sull’argomento della natura procedurale dei termini. Il Regno Unito invita la Corte a distinguere tra situazioni che determinano diritti sostanziali (quali l’errata applicazione dei criteri di cui al capo III) e quelle che (a suo dire) riguardano unicamente la procedura.

88.      A mio avviso, la situazione non è così chiara come suggerisce il Regno Unito. Ritengo che una distinzione siffatta potrebbe condurre ad un’applicazione artificiosa del regolamento e, di fatto, non essere compatibile con la Carta.

89.      È vero che la fissazione di termini è generalmente considerata una questione di carattere procedurale. Tuttavia, l’applicazione del termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III comporta ripercussioni sostanziali sia per i richiedenti che per gli Stati membri interessati (86).

90.      Nel diritto dell’Unione in materia di atti delle istituzioni dell’UE è di norma riconosciuto che la violazione di forme sostanziali integra un vizio dell’esercizio del potere quando tale esercizio può incidere sull’esito della procedura. A tal proposito, tanto il rispetto del principio della tutela giurisdizionale effettiva quanto quello del diritto al contraddittorio sono stati considerati forme essenziali (87). Per quanto attiene alla richiesta di presa in carico, il superamento del termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma innesca le conseguenze indicate nel terzo comma, vale a dire, il mantenimento della competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale in capo allo Stato membro richiedente.

91.      Riferendosi alle contestazioni della validità di talune decisioni di iscrizione, la Corte ha stabilito che il controllo giurisdizionale ricomprende, in particolare, il rispetto delle norme procedurali e che il giudice dell’Unione deve verificare che l’autorità dell’Unione abbia rispettato le garanzie procedurali applicabili (88). A mio parere, tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie.

92.      L’applicazione dei termini fissati dall’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, in relazione alla legittimità di una richiesta di presa in carico e di una susseguente decisione di trasferimento basata sulla stessa, si collega ad aspetti di fatto e di diritto attinenti all’applicazione del regolamento di cui trattasi rispetto ai quali i giudici nazionali dovrebbero poter esercitare un controllo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

93.      Mi preme sottolineare che una decisione della Corte al riguardo non potrà mai ostacolare la procedura a livello nazionale. L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III sancisce il diritto a un mezzo di impugnazione. Ciò non comporta che ogni impugnazione proposta sarà accolta nel merito. Tuttavia, affinché il diritto a un ricorso effettivo di cui all’articolo suddetto sia esercitato con efficacia, i giudici nazionali devono poter stabilire se una decisione di trasferimento fondata su un accordo di presa in carico a norma dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III sia stata adottata nel rispetto delle procedure previste nella disposizione di cui trattasi e delle garanzie di base sancite dal regolamento in parola (89).

94.      Qualora un richiedente contesti una decisione di trasferimento in ragione del mancato rispetto, da parte dello Stato membro richiedente, del termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, per la presentazione di una richiesta di presa in carico, affinché il diritto in parola sia effettivo è necessario che il giudice nazionale possa esaminare, inter alia, l’applicazione del regolamento Dublino III in linea con la sua formulazione, la sua struttura e gli obiettivi perseguiti dal legislatore. Ho già osservato che i termini di cui all’articolo suddetto non sono in alcun modo flessibili (90). Il riconoscimento al richiedente di un diritto di agire giudizialmente in caso di violazione di un termine consente un sindacato giurisdizionale volto a garantire, se le circostanze lo giustificano, che il richiedente di cui trattasi benefici realmente di un ricorso effettivo.

95.      Il Regno Unito e la Commissione affermano, correttamente, che la formulazione dell’articolo 21, paragrafo 1, non conferisce alcun diritto individuale. Tuttavia, ciò non significa che il legislatore intendesse pertanto impedire ai singoli di invocare una violazione dei termini previsti nel regolamento Dublino III. Termini vincolanti sono stati introdotti per la prima volta nel regolamento Dublino II allo scopo di incentivare gli Stati membri a determinare il prima possibile lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo ed evitare di lasciare «in orbita» per molto tempo i richiedenti protezione internazionale (91). Così, un richiedente ha interesse al fatto che il sistema Dublino operi in maniera efficace affinché lo Stato membro competente sia determinato in maniera celere e il suo caso giunga alla fase della valutazione nel merito. Eliminare i ritardi tra la determinazione dello Stato membro competente, prima, e la trattazione e definizione della domanda di protezione internazionale, poi, presenta vantaggi anche per gli Stati membri. Una procedura rapida ed efficiente limita la probabilità di movimenti secondari verso gli Stati che si ritiene sottopongano a un trattamento più rapido le domande nell’ambito del sistema Dublino.

96.      Ci si chiede se una richiesta di presa in carico presentata con un giorno di ritardo rispetto al termine trimestrale fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III sarebbe sufficiente a rendere inefficace ogni trasferimento successivo. Oppure se i trasferimenti dovrebbero essere vietati solo in casi di cospicui ritardi, ad esempio, pari o superiori a un anno.

97.      In proposito osservo che l’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva procedure fissa a sei mesi il termine entro il quale deve essere concluso l’esame nel merito della domanda di protezione internazionale. A mio avviso, in circostanze normali, il periodo necessario per presentare una richiesta di presa in carico non può superare quello concernente l’esame nel merito (92). Pertanto, un periodo superiore a sei mesi (che è più del doppio del termine fissato dal legislatore) tenderebbe a indicare una situazione di rischio per gli obiettivi del regolamento Dublino III. La determinazione dello Stato membro competente non sarebbe avvenuta «rapidamente» e il richiedente resterebbe effettivamente «in orbita» in attesa della definizione della fase preliminare anteriore alla valutazione della sua domanda nel merito. Ciò detto, spetterebbe ovviamente al giudice nazionale decidere ogni singolo caso alla luce di tutte le circostanze.

98.      Aggiungo che, visto che le impugnazioni in base all’articolo 27, paragrafo 1, hanno effetto sospensivo, lo Stato membro richiesto non patisce necessariamente un danno in caso di contestazione della decisione di trasferimento. I richiedenti la cui impugnazione è accolta non sono «premiati» in quanto tali. L’accoglimento di un’impugnazione implica semplicemente l’applicazione della posizione predefinita nel regolamento Dublino III, con la conseguenza che lo Stato membro richiedente resta competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale.

99.      Una terza obiezione, sollevata dal Regno Unito e dalla Commissione, consiste nel fatto che il diritto a proporre ricorso o revisione in caso di mancato rispetto dei termini favorirebbe il forum shopping.

100. Tale argomento non mi convince.

101. Non vi sono elementi indicanti che il sig. Mengesteab sia sospettato di agire in tal senso. Nel caso di specie, non si pone pertanto un problema siffatto. Occorre inoltre ricordare che il regolamento Dublino III contiene disposizioni specifiche dirette a contrastare il fenomeno menzionato, in particolare, quelle in materia di richieste di ripresa in carico contenute negli articoli da 23 a 25 (93). Impugnare una decisione di trasferimento a norma dell’articolo 21, paragrafo 1, in ragione del superamento del termine di tre mesi è una questione differente rispetto al forum shopping.

102. La presentazione da parte del richiedente di due domande in due diversi Stati membri ricadrebbe, in effetti, nella definizione di forum shopping. In un’ipotesi siffatta, troverebbero applicazione i termini di cui all’articolo 23 e le autorità competenti sarebbero soggette al termine trimestrale ivi previsto. In caso di mancato rispetto dei suddetti termini, la competenza spetterebbe dunque allo Stato membro in cui è stata presentata la nuova domanda. Tale conseguenza scaturisce tuttavia dal contesto normativo stesso e non dal diritto di proporre ricorso o di chiedere la revisione (94).

103. La quarta eccezione viene sollevata dalla sola Commissione. Essa chiede alla Corte di circoscrivere il diritto di proporre ricorso o di chiedere la revisione sancito dall’articolo 27, paragrafo 1, collegandolo esclusivamente alle disposizioni vertenti sui diritti fondamentali del richiedente (95). Da quanto comprendo, l’argomento si fonda sulla premessa che il diritto d’asilo è garantito nella misura in cui sarà ovviamente rispettato il principio di non respingimento (non refoulement). La Commissione afferma così che un diritto di proporre ricorso o di chiedere la revisione dovrebbe essere riconosciuto solo laddove siano in gioco il diritto alla vita familiare o i diritti del minore o quando vi siano carenze sistemiche nel sistema di asilo dello Stato in cui il richiedente deve essere trasferito (96).

104. Nelle funzioni riconosciute alla Corte nell’ambito dei presenti procedimenti non rientra il riesame del contenuto della proposta della Commissione per un «regolamento Dublino IV». Ciò premesso, per quanto mi riguarda, non intendo l’espressione «diritto a un ricorso effettivo» nel senso indicato. La suddetta espressione deve essere interpretata alla luce degli articoli 41 e 47 della Carta (97), in linea con la posizione della Corte nelle sentenze Ghezelbash e Karim (98).

105. La lettura della Commissione comporterebbe anche un’arbitraria distinzione rispetto all’applicazione dei criteri di cui al capo III, posto che casi vertenti sull’errata applicazione dei criteri collegati ai minori o laddove esiste un legame familiare (articoli da 8 a 11) sarebbero soggetti all’articolo 27, paragrafo 1, mentre casi di erronea applicazione dei criteri di cui agli articoli da 12 a 15 (visti e requisiti di ingresso), in linea di principio, non lo sarebbero.

106. Per me non è affatto chiaro come una simile posizione possa soddisfare i requisiti posti dalla Carta.

107. Un esame del diritto a un ricorso effettivo in base all’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III richiede che tale disposizione sia letta congiuntamente all’articolo 26, paragrafo 1. Quest’ultima impone agli Stati membri di notificare al richiedente la decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti. L’articolo 27, paragrafo 1, garantisce il diritto ad essere sentito, che costituisce un diritto della difesa, ed è finalizzato a riconoscere la possibilità di proporre un ricorso effettivo contro le decisioni di trasferimento erronee (99). In mancanza dei requisiti di notifica di cui all’articolo 26, paragrafo 1, l’articolo 27, paragrafo 1, non potrebbe soddisfare le suddette funzioni. Dalla chiara formulazione dell’articolo 27, paragrafo 1, – «un ricorso effettivo (…) o (…) una revisione (…) in fatto e in diritto» – emerge che l’applicazione dei termini ricade nella disposizione di cui trattasi. Una lettura siffatta è conforme ai diritti della difesa e al principio della tutela giurisdizionale effettiva, che risultano interconnessi, come chiarito dalla Corte nella sentenza Kadi II (100).

108. Nella misura in cui l’articolo 27, paragrafo 1, non esclude espressamente i termini fissati nell’articolo 21, paragrafo 1, ritengo che una restrizione del diritto a un ricorso effettivo e all’accesso alla tutela giurisdizionale nei modi suggeriti violerebbe la formulazione, gli obiettivi e lo schema del regolamento Dublino III.

109. È evidente che la crisi dei rifugiati verificatasi alla fine del 2015 e agli inizi del 2016 ha creato una situazione eccezionale che ha posto gli Stati membri in una posizione difficile, erodendo altresì le risorse disponibili (101). Tuttavia, non accetto che tale situazione possa essere addotta quale giustificazione per circoscrivere la tutela giurisdizionale riconosciuta dalle disposizioni del regolamento Dublino III.

110. Concludo pertanto che l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, letto alla luce del considerando 19 di detto regolamento, deve essere interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale ha diritto di presentare ricorso o di chiedere la revisione della decisione di trasferimento adottata a seguito di una richiesta di presa in carico quando, nel presentare detta richiesta, lo Stato membro richiedente non ha rispettato il termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi.

 Seconda questione

111. Il giudice del rinvio chiede se un richiedente asilo possa impugnare una decisione di trasferimento anche quando lo Stato membro richiesto è disponibile alla presa in carico e accetta di divenire lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale.

112. Nel caso del sig. Mengesteab, l’Italia non ha risposto alla richiesta di presa in carico della Germania. Essa è designata quale Stato membro competente in virtù dell’articolo 22, paragrafo 7, del regolamento Dublino III, dal momento che le autorità italiane non hanno preso posizione nel termine di due mesi fissato dall’articolo 22, paragrafo 1, del regolamento in esame.

113. A mio parere, il diritto a un ricorso effettivo riconosciuto al richiedente dall’articolo 27, paragrafo 1, non dipende dalla reazione (o dalla mancata reazione) dello Stato membro richiesto. La formulazione letterale dell’articolo succitato indica che il mezzo di impugnazione da esso reso disponibile si collega alla decisione di trasferimento emessa dallo Stato membro richiedente. Il suo obiettivo consiste nel garantire il controllo giurisdizionale della decisione di cui trattasi sotto il profilo della correttezza del suo fondamento in fatto e in diritto. Nell’ambito di un ricorso o di una revisione sono sottoposti a sindacato i suddetti elementi e non la condotta dallo Stato membro richiesto, chiamato a compiere determinate verifiche entro due mesi a decorrere dal ricevimento della richiesta di presa in carico (articolo 22, paragrafo 1).

114. Così, se un richiedente impugna una decisione di trasferimento in ragione del mancato rispetto dei termini fissati nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, è irrilevante il fatto che lo Stato membro richiesto accetti la richiesta di presa in carico. Lo stesso dicasi quando lo Stato membro richiesto diviene lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale in forza dell’articolo 22, paragrafo 7.

115. Alla luce delle risposte che propongo di fornire alla prima e alla seconda questione, la risposta alla terza questione appare superflua.

 Quarta questione

116. In base all’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento Dublino III, nel caso di una risposta pertinente di Eurodac positiva rispetto a un cittadino di un paese terzo che sia fermato dalle autorità di controllo di uno Sato membro in relazione a un attraversamento irregolare della propria frontiera ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento Eurodac, la richiesta di presa in carico è inviata entro due mesi dal ricevimento di detta risposta pertinente.

117. Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede se il termine di due mesi inizi a decorrere una volta scaduto il termine di tre mesi fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III, con l’effetto che lo Stato membro richiedente disporrebbe di un periodo complessivo di cinque mesi per presentare una richiesta di presa in carico. In alternativa, si chiede se l’articolo summenzionato preveda un termine più breve in caso di risposta pertinente di Eurodac positiva (102).

118. L’Ungheria e la Commissione affermano che il termine di due mesi è autonomo e non inizia a decorrere alla scadenza del termine di tre mesi di cui all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III. Il Regno Unito non condivide tale posizione e ritiene che un’interpretazione del suddetto articolo 21 nel senso che il periodo di due mesi si aggiunge al termine trimestrale sia coerente con la formulazione del regolamento.

119. La formulazione dell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III indica che il termine generale per la presentazione di una richiesta di presa in carico è di tre mesi. L’espressione «in deroga» in apertura del secondo comma indica che, nonostante la regola generale, è prevista una disposizione specifica per i casi in cui esiste una risposta pertinente di Eurodac positiva. In base alla mia lettura, per le ragioni di seguito indicate, il termine di due mesi si sostituisce quale alternativa al termine generale trimestrale e non si aggiunge ad esso.

120. In primo luogo, una risposta pertinente di Eurodac positiva ottenuta dal confronto delle impronte digitali del richiedente con impronte rilevate a norma dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento Eurodac, costituisce prova di un ingresso illegale a una frontiera esterna degli Stati membri dell’Unione (103). Si tratta di un elemento di prova formale che determina se uno Stato membro sia in effetti lo Stato membro competente ai fini del regolamento Dublino III (104). In presenza di una risposta pertinente di Eurodac positiva, la procedura può svolgersi con maggiore celerità rispetto ai casi in cui mancano simili prove (105). Lo Stato richiedente dovrebbe così poter stabilire più rapidamente l’eventuale necessità di presentare una richiesta di presa in carico.

121. In secondo luogo, l’opinione per cui una risposta pertinente di Eurodac positiva facilita la rapida determinazione delle procedure Dublino III trova eco nelle disposizioni in materia di ripresa in carico (106). In tali ipotesi, una richiesta di ripresa in carico deve essere presentata quanto prima e, in ogni caso, entro due mesi dal ricevimento della risposta pertinente di Eurodac positiva, a norma dell’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, del regolamento Dublino III. Se la richiesta di ripresa in carico è basata su prove diverse da una siffatta risposta, il periodo in parola è pari a tre mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo succitato.

122. Analogamente, con riferimento alle fattispecie che ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 24 del regolamento Dublino III (riguardanti le richieste di ripresa in carico relative a persone che soggiornano sul territorio di uno Stato membro senza un titolo di soggiorno e che non hanno presentato una nuova domanda di protezione internazionale), si distingue tra i casi in cui vi è una risposta pertinente di Eurodac positiva e quelli in cui manca una siffatta prova. In presenza di una suddetta risposta, l’articolo 24, paragrafo 2, primo comma, prevede un termine di due mesi. Ove manchi una prova siffatta, il successivo secondo comma fissa un termine di tre mesi. A norma dell’articolo 25, paragrafo 1, lo Stato membro richiesto deve decidere sulla richiesta di ripresa in carico quanto prima e in ogni caso entro il termine di un mese dalla data in cui perviene la richiesta. Tuttavia, quando la richiesta di ripresa in carico si fonda su una risposta pertinente di Eurodac positiva, il termine è di sole due settimane.

123. In terzo luogo, eventi differenti fanno decorrere i termini fissati nell’articolo 21, paragrafo 1, primo e secondo comma. Nel primo caso, ad avere rilievo è la presentazione della domanda di protezione internazionale. Nel secondo, è il ricevimento della risposta pertinente positiva dal sistema centrale Eurodac. Per giungere a un periodo di cinque mesi, occorrerebbe ritenere che i due mesi menzionati nel suddetto articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III inizino a decorrere soltanto alla scadenza del termine trimestrale a prescindere dal momento in cui diviene disponibile la risposta pertinente positiva. Tuttavia, una siffatta lettura è contraria all’esplicita formulazione del testo.

124. Il Regno Unito teme che gli Stati membri possano talvolta incontrare delle difficoltà nell’applicazione del regolamento Eurodac ed ha spiegato che vi sono stati casi di persone che si sono volontariamente ferite per ostacolare le autorità competenti nel rilevamento delle impronte. In altri casi, è stato difficile ottenere le impronte in quanto i polpastrelli dell’interessato erano stati danneggiati nel corso del tempo dal lavoro manuale.

125. Pur non dubitando della legittimità delle preoccupazioni manifestate dal Regno Unito, non credo che i problemi da esso individuati possano essere risolti interpretando l’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento Dublino III come detto Stato ha suggerito.

126. L’obbligo di rilevamento delle impronte digitali è introdotto dall’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento Eurodac (107). In base al regolamento di cui trattasi, tale rilevamento deve avvenire tempestivamente, non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale (108). Il termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento Dublino III riguarda soltanto gli obblighi degli Stati membri connessi alle richieste di presa in carico. Esso non specifica il termine entro il quale dovrebbe avvenire il rilevamento delle impronte digitali di un cittadino del paese terzo successivamente alla presentazione della sua domanda di protezione internazionale. Allo scopo di ottenere una risposta pertinente di Eurodac positiva, le impronte digitali devono, per definizione, essere già state registrate nel sistema centrale Eurodac (ad esempio, perché rilevate e trasmesse in relazione all’attraversamento irregolare di una frontiera esterna di un altro Stato membro ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento Eurodac). Tale fase della procedura precede la richiesta di presa in carico. A mio parere, quindi, nella misura in cui il Regno Unito teme che gli Stati membri possano essere danneggiati dalla fissazione di un periodo inferiore, pari a due mesi, in base al secondo comma della disposizione di cui trattasi, la sua posizione si fonda su una lettura errata dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Il termine di due mesi non può iniziare a decorrere ove le impronte digitali non siano state rilevate ai sensi dell’articolo 9 del regolamento Eurodac ai fini del confronto con le impronte già presenti nel sistema centrale Eurodac, o laddove (per una qualche ragione) non si riscontrino nel menzionato sistema impronte corrispondenti. In tali casi trova applicazione il termine generale di tre mesi.

127. È certo vero che dal testo della disposizione non emerge (opinabilmente) con chiarezza se il periodo di due mesi fissato dall’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma si sovrapponga al termine generale trimestrale o se tale periodo inizi a decorrere alla scadenza di detto ultimo termine.

128. Ciò nondimeno, uno degli obiettivi principali della procedura Dublino è la celere determinazione dello Stato membro competente. Sarebbe incompatibile con il suddetto obiettivo configurare che il termine di due mesi iniziasse a decorrere dopo la scadenza del termine trimestrale di cui all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma (giungendo a un periodo di cinque mesi) (109). Così, in presenza di una risposta pertinente di Eurodac positiva, il periodo per presentare una richiesta di presa in carico inizia a decorrere con il ricevimento da parte dello Stato membro richiedente della comunicazione che conferma il rinvenimento di una corrispondenza per le impronte digitali nel sistema centrale Eurodac. Un siffatto riscontro positivo Eurodac costituisce evidenza probatoria di un ingresso irregolare di una frontiera esterna degli Stati membri UE. Di conseguenza, in circostanze del genere il periodo per la presentazione di una richiesta di presa in carico dovrebbe essere più breve del termine generale di tre mesi.

129. Pertanto, concludo che il periodo di tre mesi indicato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III costituisce il termine generale entro il quale devono essere presentate le richieste di presa in carico. Il periodo più breve di due mesi fissato nel successivo secondo comma del medesimo articolo si applica quando un confronto tra le impronte digitali rilevate a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento Eurodac fornisce una risposta pertinente positiva ai sensi degli articoli 2, lettera d), e 14, paragrafo 1, del menzionato regolamento. Il suddetto periodo di due mesi non si aggiunge al termine generale trimestrale e non può pertanto iniziare a decorrere dopo la scadenza del termine indicato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento Dublino III. Quando le autorità competenti ricevono una risposta pertinente positiva, il termine di due mesi inizia a decorrere da tale ricevimento e comporta una riduzione del periodo generale di tre mesi fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma.

 Quinta questione

130. Con la quinta questione, il giudice del rinvio intende chiarire il significato del periodo «[l]a domanda di protezione internazionale si considera presentata non appena le autorità competenti dello Stato membro interessato ricevono un formulario presentato dal richiedente o un verbale redatto dalle autorità» presente nell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. Il giudice spiega che nel sistema tedesco, a fronte dell’iniziale presentazione di una richiesta informale di asilo, viene rilasciata una certificazione attestante lo status di richiedente asilo del cittadino del paese terzo. Successivamente alla registrazione della richiesta, tale cittadino deve presentare una domanda formale di protezione internazionale al BAMF, l’autorità competente designata a norma dell’articolo 35, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Ci si chiede se la certificazione rilasciata dalle autorità dopo la presentazione di una richiesta informale integri una «presentazione» della domanda di protezione internazionale a norma del regolamento Dublino III o se la domanda si intenda presentata solo con la registrazione di una domanda formale presentata dinanzi alle autorità competenti.

131. La Germania, il Regno Unito e la Commissione affermano che una domanda si intende presentata solo con l’inoltro della domanda formale e con il suo ricevimento da parte delle autorità competenti. Il sig. Mengesteab e l’Ungheria non condividono tale posizione. A detta del sig. Mengesteab, la trasmissione della richiesta informale di asilo costituisce la «presentazione della domanda di protezione internazionale» ai fini dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III e da avvio al decorso del termine di tre mesi fissato dall’articolo 21, paragrafo 1, primo comma. L’Ungheria ritiene che la certificazione rilasciata a seguito della presentazione di una richiesta informale di asilo costituisca il «verbale» inviato dalle autorità a norma dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.

132. Il giudice del rinvio ritiene che una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando le autorità nazionali rilasciano al richiedente una certificazione attestante il suo diritto a soggiornare nello Stato membro interessato sino alla conclusione della procedura di asilo e a ricevere assistenza, come ad esempio alloggio e talune prestazioni di sicurezza sociale.

133. A mio parere, la posizione assunta da Germania, Regno Unito e Commissione riflette la migliore interpretazione dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.

134. Secondo una giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non solo della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (110).

135. La domanda di protezione internazionale è definita nell’articolo 2, lettera h), della direttiva qualifiche come «una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata» (111). Una simile formulazione letterale è sufficientemente ampia da ricomprendere una richiesta informale di protezione internazionale rivolta a un’autorità dello Stato membro (quali le autorità di polizia, di confine o le autorità competenti in materia d’immigrazione o il personale di un centro di accoglienza) e una domanda formale presentata alle competenti autorità designate a norma dell’articolo 35, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

136. Il regolamento Dublino III non definisce cosa si intenda per «presentazione» di una domanda di protezione internazionale. Sotto il profilo delle questioni di carattere procedurale relative alla concessione di protezione internazionale, la direttiva procedure è evidentemente strettamente collegata alle disposizioni del regolamento Dublino III (112).

137. L’articolo 6 della direttiva procedure suddivide la procedura di presentazione della domanda in due fasi: in primo luogo, la fase in cui una persona presenta una domanda di protezione internazionale e, in secondo luogo, quella in cui detta persona ha un’effettiva possibilità di inoltrarla (113). Con riferimento alla prima fase, l’articolo 6, paragrafo 1, afferma che la domanda deve essere registrata entro tre giorni lavorativi dopo la sua presentazione (114). Con riferimento alla seconda fase (cui non si applicano i termini fissati nell’articolo 6, paragrafo 1), l’articolo 6, paragrafo 2, stabilisce che chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale deve avere un’effettiva possibilità di inoltrarla «quanto prima» (115). L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva procedure riflette l’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, prevedendo che «una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato». La direttiva procedure, alla pari del regolamento Dublino III, non definisce cosa si intenda per «presentazione» di una domanda di protezione internazionale e non contiene specifiche disposizioni procedurali al riguardo. Tali aspetti restano pertanto soggetti alle disposizioni nazionali.

138. Il termine «presentata» nell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III suggerisce una procedura formale di presentazione di una domanda di protezione internazionale (116). La suddetta domanda è formulata o mediante compilazione di un formulario o mediante redazione da parte di un terzo di un verbale ufficiale per conto del richiedente. Formulari standard per la presentazione delle domande di protezione internazionale non si rinvengono né in allegato alla direttiva procedure, né in allegato alla direttiva qualifiche. La determinazione del contenuto preciso del formulario e del verbale è pertanto rimessa a ciascuno Stato membro. È possibile che i richiedenti siano, di norma, chiamati a compilare personalmente il formulario, magari con l’ausilio di organizzazioni non governative o delle autorità competenti di uno Stato membro. Tuttavia, è possibile che taluni richiedenti non siano in grado di compilarlo ed è quindi previsto che un soggetto terzo rediga un verbale da utilizzare in luogo del formulario. Tale posizione sembra essere confermata dall’articolo 20, paragrafo 2, secondo cui «[n]el caso di domanda non scritta, il periodo che intercorre dalla dichiarazione di volontà e la stesura del relativo verbale deve essere quanto più breve possibile». A quanto mi consta, la certificazione rilasciata dalle autorità responsabili ad accogliere i richiedenti non costituisce né un formulario, né un verbale ai sensi della disposizione di cui trattasi. La certificazione in parola è volta unicamente ad attestare lo status del richiedente in attesa della valutazione della sua domanda e a garantire che siano soddisfatti i requisiti posti dalla direttiva accoglienza (117). Non si tratta di dare atto delle informazioni dettagliate su di un richiedente che sono necessarie alle autorità competenti per trattare nel merito la sua domanda di asilo.

139. Affinché una domanda si consideri presentata, l’articolo 20, paragrafo 2, richiede inoltre che il formulario o il verbale pervengano alle autorità competenti. Nel contesto del regolamento Dublino III, le autorità competenti devono essere quelle indicate nell’articolo 35, paragrafo 1, e non un’autorità nazionale cui lo Stato membro assegna compiti generali nel proprio apparato per l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Questo perché, nel sistema instaurato dalla procedura Dublino, alla presentazione della domanda di protezione internazionale consegue una serie di eventi. Essa segna l’avvio de: i) il processo di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda (articolo 1); ii) l’obbligo di fornire al richiedente informazioni sulla procedura Dublino (articolo 4, paragrafo 1); iii) la possibilità per uno Stato membro di decidere di esercitare la facoltà di divenire lo Stato membro competente in deroga all’individuazione della competenza in base ai criteri di cui al capo III (articolo 17, paragrafo 1); e iv) l’inizio del decorso dei termini di presentazione delle richieste di presa o ripresa in carico (a norma, rispettivamente, dell’articolo 21, primo comma, e dell’articolo 23, secondo comma) (118).

140. Di conseguenza, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, la domanda di protezione internazionale deve essere contenuta in un formulario o in un verbale in linea con le disposizioni procedurali nazionali e deve essere pervenuta all’autorità competente designata a norma dell’articolo 35, paragrafo 1, del regolamento menzionato. Tale autorità è competente, inter alia, a ricevere la domanda. La questione se quindi si tratti della stessa autorità che assiste i richiedenti nella preparazione della domanda è disciplinata dalla direttiva procedure.

141. Il giudice del rinvio afferma che, in base al sistema tedesco, un cittadino di un paese terzo che presenta unarichiesta di protezione internazionale (prima fase) alle autorità nazionali, quali le autorità di confine, di polizia o quelle competenti in materia di immigrazione, deve essere trasferito a un centro di accoglienza ai fini della registrazione. Il centro di accoglienza deve poi notificare al BAMF (l’autorità competente designata a norma dell’articolo 35, paragrafo 1, del regolamento Dublino III) la richiesta di protezione internazionale e all’interessato deve essere rilasciata una certificazione. Tali passaggi devono essere compiuti prima della presentazione di una domanda di protezione internazionale (seconda fase)dinanzi al BAMF.

142. Sembra quindi che il documento rilevante ai fini della richiesta informale di protezione internazionale (prima fase) non venga presentato al BAMF. Inoltre, nulla indica che la richiesta informale sia presentata utilizzando un formulario a norma dell’articolo 20, paragrafo 2 (119). La richiesta informale non costituisce un verbale ai fini della succitata disposizione, poiché essa non è redatta dalle autorità nazionali, ma proviene piuttosto dal richiedente stesso.

143. Ritengo inoltre che la certificazione rilasciata a fronte della richiesta informale non sia – del pari - un verbale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, giacché non è una domanda di protezione internazionale avanzata da un cittadino di un paese terzo a norma dell’articolo 2, lettera h), della direttiva qualifiche. Si tratta piuttosto di una risposta ufficiale alla domanda informale del richiedente che registra lo status provvisorio dell’interessato in attesa della valutazione della sua domanda di protezione internazionale e conferma il suo diritto all’assistenza dovutagli in base alla direttiva accoglienza (120). È infatti verosimile che si tratti del documento che, secondo la normativa nazionale, è emesso in conformità dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva accoglienza il quale certifica lo status di richiedente o attesta che il richiedente è autorizzato a soggiornare nel territorio dello Stato membro interessato nel periodo in cui la sua domanda di protezione internazionale è pendente.

144. L’interpretazione in senso opposto dell’articolo 20, paragrafo 2, proposta dal giudice del rinvio si fonda su talune peculiarità procedurali del sistema tedesco. Tuttavia, tali peculiarità potrebbero non ritrovarsi altrove nell’Unione europea. È possibile che altri Stati membri non emettano obbligatoriamente una certificazione formale a fronte di una richiesta informale di protezione internazionale. Pertanto, ritengo che la data di emissione della certificazione non possa costituire il momento di presentazione della domanda.

145. L’Ungheria afferma che se la domanda di protezione internazionale si considerasse presentata quando raggiunge le autorità competenti, ciò attribuirebbe agli Stati membri margini di discrezionalità eccessivi. In particolare, sarebbe consentito loro di controllare la durata del tempo intercorrente tra il momento in cui un cittadino di un paese terzo formula la prima richiesta di protezione internazionale e quello in cui, infine, presenta la sua domanda, in modo da far sì che le domande siano presentate soltanto quando l’amministrazione nazionale è in grado di rispettare i termini per le domande di presa e di ripresa in carico. Tale situazione potrebbe condurre ad un trattamento arbitrario dei singoli casi che pregiudicherebbe l’applicazione delle procedure Dublino, segnatamente, rispetto al requisito della celere determinazione dello Stato membro competente. Il giudice del rinvio esprime preoccupazioni analoghe.

146. È vero che il regolamento Dublino III non contiene alcuna disposizione volta a disciplinare il periodo intercorrente tra la richiesta informale e la presentazione di una domanda formale di protezione internazionale. Nulla impone agli Stati membri di agire entro un determinato termine, salvo l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva procedure che obbliga gli Stati membri a garantire a chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima. Ne risulta che vi è effettivamente margine per lo Stato membro per «gestire» la rapidità con cui ammette la presentazione delle domande di asilo.

147. I potenziali svantaggi derivanti, a carico dei singoli, da tale flessibilità devono essere valutati in considerazione dei problemi che emergerebbero nell’ambito della procedura Dublino qualora si ignorassero gli articoli 20, paragrafo 2, e 35, paragrafo 1, e se le richieste informali proposte dinanzi ad autorità nazionali diverse da quelle designate a norma di quest’ultima disposizione fossero considerate equivalenti alla presentazione di una domanda. A mio avviso, quest’ultima interpretazione sarebbe versosimilmente maggiormente idonea a turbare la procedura Dublino e introdurrebbe un elemento di incertezza rispetto alla data di effettiva presentazione di una domanda. Inoltre renderebbe inapplicabile il calcolo dei termini.

148. Pertanto, a mio parere, l’interpretazione migliore dell’articolo 20, paragrafo 2, è quella che riconosce piena importanza alla formulazione della disposizione di cui trattasi letta congiuntamente all’articolo 35, paragrafo 1.

149. Ritengo che il legislatore abbia rimesso alle disposizioni procedurali nazionali la determinazione del momento in cui le autorità competenti dello Stato membro interessato hanno ricevuo il formulario o il verbale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2. Nei casi in cui gli Stati membri applicano l’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva procedure, il margine di confusione sarà circoscritto relativamente a tale aspetto, dal momento che la domanda deve essere presentata personalmente (come accade in Germania) o in un luogo designato (121). Quello è il momento in cui le autorità competenti «ricevono» il verbale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2.

150. Ne consegue che le richieste informali di protezione internazionale e le certificazioni rilasciate dalle autorità nazionali dal sig. Mengesteab in data 14 settembre 2015 e 8 ottobre 2015 non integrano la presentazione di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, né le certificazioni in parola costituiscono un verbale a norma della suddetta disposizione.Di conseguenza , nessuna delle due date summenzionate rappresenta il dies a quo del termine entro il quale le autorità competenti erano tenute a presentare la richiesta di presa in carico. Tale termine ha iniziato a decorrere il 22 luglio 2016 quando il sig. Mengesteab ha presentato la sua domanda formale di protezione internazionale al BAMF. La richiesta di presa in carico avanzata il 19 agosto 2016 non ha pertanto violato il termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma.

151. Pertanto, concludo che una domanda di protezione internazionale si considera presentata ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III quando le autorità competenti designate come responsabili dell’esecuzione degli obblighi di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi, ricevono un formulario o un verbale. A detto riguardo: i) una certificazione attestante la registrazione come richiedente asilo non costituisce un formulario o un verbale; ii) l’autorità competente così designata è quella responsabile per il ricevimento di una domanda di protezione internazionale presentata nello Stato membro interessato; e iii) la domanda si considera pervenuta all’autorità competente conformemente alle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva procedure.

 Sesta e settima questione

152. A mio parere, alla luce della risposta da me fornita alla quinta questione e benché si tratti di un aspetto rimesso in definitiva al giudice del rinvio, la richiesta di presa in carico presentata nel caso del sig. Mengesteab non era inefficace e la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale del ricorrente non spetterà automaticamente alla Germania ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento Dublino III. In tale contesto, il giudice del rinvio chiede se i dieci mesi di ritardo tra l’8 ottobre 2015 (data di emissione della seconda certificazione) e il 19 agosto 2016 (data della richiesta di presa in carico) significhino che la Germania è tenuta ad esaminare la domanda del sig. Mengesteab ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III (sesta questione). Qualora effettivamente ricorresse tale ipotesi, il giudice del rinvio chiede quale lasso di tempo tra l’emissione di una certificazione e la proposizione di una richiesta di presa in carico integri un ritardo eccessivo nella presentazione di detta richiesta (settima questione).

153. La risposta, sinteticamente, è che gli Stati membri non possono essere tenuti a esercitare il potere discrezionale di esaminare una domanda di protezione internazionale per ragioni umanitarie, riconosciuto loro dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. In tali circostanze, non si rende strettamente necessario esaminare la settima questione (122).

154. L’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 1, è chiaramente una questione di diritto dell’Unione (123). Dal tenore letterale emerge che la disposizione di cui trattasi integra una deroga alla regola generale sancita dall’articolo 3, paragrafo 1, secondo cui lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale è individuato in base ai criteri enunciati al capo III. L’espressione «ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale (…)» indica che l’applicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, è rimessa alla discrezionalità dello Stato membro. Il regolamento Dublino III non contempla alcun meccanismo diretto a imporre allo Stato membro di avvalersi della menzionata disposizione. La premessa su cui si fonda la questione sollevata dal giudice del rinvio, secondo cui un ritardo tra l’emissione della certificazione e la presentazione della richiesta di presa in carico potrebbe comportare che lo Stato membro sia tenuto ad applicare l’articolo 17, paragrafo 1, è quindi errata (124). Del pari, nel regolamento Dublino III non si rinviene alcun fondamento giuridico per sostenere che un determinato lasso di tempo sia eccessivo.

155. A mio avviso, un ritardo tra l’emissione di una certificazione sulla registrazione di un singolo quale richiedente protezione internazionale e la presentazione di una richiesta di presa in carico non può sfociare in un obbligo per lo Stato membro richiedente di esercitare il suo potere discrezionale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Alla luce di tale risposta non occorre rispondere alla settima questione.

 Ottava questione

156. Con l’ottava questione il giudice del rinvio chiede chiarimenti relativamente alle informazioni che devono essere inserite nella richiesta di presa in carico ai fini della sua efficacia. In particolare, esso desidera sapere se è sufficiente fornire dettagli sulla data di ingresso nello Stato membro richiedente e sulla data in cui il richiedente ha presentato domanda formale di protezione internazionale, o se sia altresì necessario inserire la data della richiesta informale di protezione e del rilascio della certificazione.

157. L’allegato I del regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino contiene un formulario standard per determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale che deve essere completato all’atto della presentazione di una richiesta di presa in carico. Il formulario di cui trattasi non contiene dettagli riguardo alla richiesta informale di asilo o alla data di rilascio della certificazione. Inoltre, neppure l’articolo 21 contiene requisiti in tal senso.

158. Le otto questioni sollevate dal giudice del rinvio sono tra loro tutte collegate. Tenuto conto di tale aspetto e delle opinioni da me esposte, in particolare in risposta alle questioni da 1 a 5, ritengo che una richiesta di presa in carico non debba necessariamente contenere dettagli relativamente alla richiesta informale di protezione internazionale e alla data di rilascio della certificazione.

159. Pertanto concludo che, se una richiesta di presa in carico a norma dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento Dublino III deve essere presentata utilizzando un formulario come previsto nell’allegato I del regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino, non è necessario che gli Stati membri inseriscano la data della prima richiesta informale di protezione internazionale o la data di rilascio della certificazione sulla registrazione come richiedente protezione internazionale.

 Conclusione

160. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la Corte debba rispondere alle questioni sollevate dal Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo, Minden, Germania) dichiarando che:

1)      L’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce del considerando 19 del medesimo regolamento, deve essere interpretato nel senso che un richiedente protezione internazionale ha diritto di presentare ricorso o chiedere la revisione della decisione di trasferimento adottata a seguito di una richiesta di presa in carico quando, nel presentare detta richiesta, lo Stato membro richiedente non ha rispettato il termine fissato nell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi.

2)      In tali circostanze, la questione se lo Stato membro richiesto accetti la richiesta di presa in carico è irrilevante. Ciò vale altresì quando lo Stato membro richiesto diviene lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale in forza dell’articolo 22, paragrafo 7, del regolamento n. 604/2013.

3)      Non occorre rispondere alla terza questione.

4)      Il periodo di tre mesi indicato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 604/2013 costituisce il termine generale entro il quale devono essere presentate le richieste di presa in carico. Il periodo più breve di due mesi previsto all’articolo 21, paragrafo 1, secondo comma si applica quando un confronto tra le impronte digitali rilevate a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento Eurodac fornisce una risposta pertinente positiva ai sensi degli articoli 2, lettera d), e 14, paragrafo 1, del medesimo regolamento. Il suddetto periodo di due mesi non si cumula al termine generale di tre mesi e non può pertanto iniziare a decorrere dopo la scadenza del termine indicato nell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 604/2013.

5)      Una domanda di protezione internazionale si considera presentata ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 quando le autorità competenti designate come responsabili dell’esecuzione degli obblighi di uno Stato membro ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1, del regolamento di cui trattasi, ricevono un formulario o un verbale. A detto riguardo: i) una certificazione attestante la registrazione come richiedente asilo non costituisce un formulario o un verbale; ii) l’autorità competente così designata è quella responsabile per ricevere una domanda di protezione internazionale che sia presentata nello Stato membro interessato; e iii) la domanda si considera pervenuta all’autorità competente conformemente alle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

6)      Al ritardo tra l’emissione di una certificazione sulla registrazione di un singolo quale richiedente protezione internazionale e la presentazione di una richiesta di presa in carico non può conseguireil sorgere di un obbligo per lo Stato membro richiedente di esercitare il suo potere discrezionale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

7)      Non occorre rispondere alla settima questione.

8)      Se la richiesta di presa in carico a norma dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2003 deve essere presentata utilizzando un formulario come previsto nell’allegato I del regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014, che modifica il regolamento (CE) n. 1560/2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, non è necessario che lo Stato membro vi inserisca la data della prima richiesta informale di protezione internazionale o la data di rilascio della certificazione della registrazione come richiedente protezione internazionale.


1      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).


3 –      V., in particolare, regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 (…) e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (GU 2013, L 180, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Eurodac») e il regolamento (CE) n. 1560/2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 222, pag. 3), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, del 30 gennaio 2014, che modifica il regolamento (CE) n. 1560/2003 (GU 2014, L 39, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino»).


4 –      GU 2010, C 83, pag. 389 (in prosieguo: la «Carta»).


5 –      Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967.


6 –      I diritti corrispondenti a quelli di cui all’articolo 47 della Carta sono sanciti dagli articoli 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»).


7 –      Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19; in prosieguo: la «CAAS»). Le disposizioni concernenti la determinazione della competenza per l’esame delle domande di asilo erano contenute negli articoli da 28 a 38 e sono state sostituite dal sistema Dublino.


8 –      GU 1997, C 254, pag. 1.


9 –      Regolamento del 18 febbraio 2003 (GU 2003, L 50, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Dublino II» - detto regolamento è stato a sua volta sostituito dal regolamento Dublino III). I criteri applicati al fine di determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale sono attualmente indicati nel capo III del regolamento Dublino III (in prosieguo: i «criteri di cui al capo III»).


10 –      Considerando 5.


11 –      Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 6; in prosieguo: la «direttiva procedure»).


12 –      Considerando 12.


13 –      Considerando 19.


14 –      Considerando 32.


15 –      Considerando 39.


16 –      Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9; in prosieguo: la «direttiva qualifiche»).


17 –      Sentenza del 21 dicembre 2011, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865.


18 –      Le informazioni fornite ai richiedenti devono comprendere particolari riguardanti la possibilità di impugnare una decisione di trasferimento [articolo 4, paragrafo 1, lettera d)].


19 –      Il colloquio personale può non essere effettuato qualora il richiedente interessato sia fuggito o abbia già fornito informazioni pertinenti per determinare lo Stato membro competente (articolo 5, paragrafo 2).


20 –      Lo Stato membro richiesto deve decidere entro il termine di un mese dalla data di ricevimento di una richiesta di ripresa in carico. Quando una richiesta siffatta è basata su dati ottenuti dal sistema Eurodac, tale termine è ridotto a due settimane (articolo 25, paragrafo 1). L’assenza di risposta entro le scadenze indicate all’articolo 25, paragrafo 1 equivale all’accettazione della ripresa in carico dell’interessato (articolo 25, paragrafo 2).


21 –      Articolo 1.


22 –      Articolo 2, lettera d). Il sistema consta di una banca dati centrale informatizzata per le impronte digitali (in prosieguo: il «sistema centrale») (articolo 3, paragrafo 1).


23 –      I dati sono elencati nell’articolo 11 del regolamento Eurodac e comprendono il sesso del richiedente, il numero di riferimento assegnato dallo Stato membro d’origine, la data di rilevamento delle impronte digitali, la data della trasmissione dei dati al sistema centrale e l’identificativo utente dell’operatore.


24 –      Articolo 15.


25 –      Considerando 3.


26 –      Articolo 1.


27 –      Articolo 1.


28 –      Articolo 1.


29 –      Articolo 3, paragrafo 1.


30 –      Articolo 4, paragrafi 1 e 2. L’«autorità accertante» è definita nell’articolo 2, lettera f), come «qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo».


31 –      Se il richiedente non presenta la domanda, gli Stati membri possono ricorrere all’articolo 28 che prevede l’applicazione della procedura in caso di ritiro implicito della domanda o di rinuncia ad essa.


32 –      Articolo 9, paragrafo 1.


33 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (GU 2013, L 180, pag. 96) (in prosieguo: la «direttiva accoglienza»).


34 –      V. articolo 1 e allegato I del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (GU 2001, L 81, pag. 1).


35 –      Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1). Il regolamento citato è stato poi abrogato e sostituito dal regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (GU 2016, L 77, pag. 1), recante anch’esso il titolo codice frontiere Schengen. Nel momento in cui il sig. Mengesteab ha varcato il confine esterno dell’Unione entrando in Italia (vale a dire, il 12 settembre 2015), era in vigore la precedente versione del codice frontiere Schengen, modificata dal regolamento (UE) n. 1051/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013 (GU 2013, L 295, pag. 1). Nelle presenti conclusioni farò riferimento a detta versione del codice frontiere Schengen.


36 –      Causa C‑490/16, ancora pendente.


37 –      Case C‑646/16, ancora pendente.


38 –      Risoluzione del Parlamento europeo, del 29 aprile 2015, sulle recenti tragedie nel Mediterraneo e sulle politiche dell’UE in materia di migrazione e asilo, 2015/2660(RSP), punto 1.


39 –      Le operazioni di cui trattasi sono disciplinate dal regolamento (UE) n. 656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (GU 2014, L 189, pag. 93; in prosieguo: il «regolamento Frontex»).


40 –      De Vattel, E., The Law of Nations (1834), pag. 170, citato da Moreno-Lax, V., «Seeking Asylum in the Mediterranean: Against a Fragmentary Reading of EU Member States’ Obligations Accruing at Sea», 23, 2 International Journal of Refugee Law (2011), pagg. da 174 a 220, a pag. 194.


41 –      La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974 (SOLAS), come modificata, si applica a tutti i natanti, sia di proprietà dello Stato che commerciali; v. anche capo V, articolo 33, allegato alla Convenzione SOLAS, e punti 2.1.10, 1.3.2, dell’allegato alla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo del 1979 [International Convention on Maritime Search and Rescue (SAR)], 1405 UNTS 109.


42 –      Il termine non è definito nelle convenzioni SOLAS o SAR, ma nelle linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare dell’Organizzazione marittima internazionale (International Maritime Organization - IMO), risoluzione MSC.167(78), adottate il 20 maggio 2004. Il legislatore dell’Unione ha adottato una definizione in termini pressoché identici nell’articolo 2, punto 12, del regolamento Frontex. Un luogo sicuro può essere sulla terra ferma o a bordo di un’unità di soccorso o di una diversa nave o struttura sul mare adeguata e atta a fungere da luogo sicuro sino allo sbarco dei sopravvissuti verso la loro prossima destinazione.


43 –      V. Moreno-Lax, V., cit. supra alla nota 40, pag. 175.


44 –      V. Moreno-Lax, V., cit. supra alla nota 40, pag. 196. Relativamente agli accordi con paesi terzi, v. Butler, G., e Ratcovich M., «Operation Sophia in Uncharted Waters: European and International Law Challenges for the EU Naval Mission in the Mediterranean Sea», 85(3) Nordic Journal of International Law (2016), pagg. da 235 a 259, a pag. 249.


45 –      V. documento di lavoro dei servizi della Commissione - Study on the international law instruments in relation to illegal immigration by sea [Studio sugli strumenti di diritto internazionale in merito all’immigrazione illegale via mare], SEC(2007) 691.


46 –      IMO, Principles Relating To Administrative Procedures For Disembarking Persons Rescued At Sea (2009), FAL.3/Circ.194.


47 –      V. parte II dell’allegato alla decisione 2010/252/UE del Consiglio, del 26 aprile 2010, che integra il codice frontiere Schengen per quanto riguarda la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (GU 2010, L 111, pag. 20). L’accordo proposto prevedeva che, in caso di operazioni congiunte sotto l’egida di Frontex, lo sbarco dovesse avvenire nel paese terzo da cui era partita la nave che trasportava le persone e, qualora ciò non fosse possibile, che dovesse essere privilegiato lo sbarco nello Stato membro ospitante le operazioni (punto 2.1.).


48 –      Sentenza del 5 settembre 2012, Parlamento/Consiglio, C‑355/10, EU:C:2012:516. La Corte ha dichiarato che il Consiglio non aveve la competenza per adottare di per sé solo le misure contestate.


49 –      Articolo 10, paragrafo 1, lettera c), del regolamento Frontex.


50 –      Parlamento europeo, Migrants in the Mediterranean: Protecting Human Rights, pag. 43.


51 –      V. Klein, N., «A Maritime Security Framework for the Legal Dimensions of Irregular Migration by Sea», in Moreno-Lax, V., e Papastravridis, E., Boat Refugees’ and Migrants at Sea: A Comprehensive Approach (Brill/Nijhoff, Leiden/Boston: 2017), pagg. da 35 a 59, a pag. 49.


52      Per una descrizione in dettaglio degli Stati che applicano il regolamento Dublino III, v. paragrafo 23 e nota a pié di pagina nelle conclusioni da me presentate nella causa A.S., C‑646/16, e Jafari, C‑646/16, EU:C:2017:443.


53 –      V., in particolare, considerando 32 e 39 del regolamento Dublino III.


54 –      Sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 283 e la giurisprudenza ivi citata.


55 –      Sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (in prosieguo: la «sentenza Kadi II»), C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 99 e 100; v. inoltre le mie conclusioni nella causa Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:186, paragrafi 82 e 83.


56 –      V. spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali in relazione all’articolo 47 (GU 2007, C 303, pag. 2).


57 –      V. infra paragrafi 130 e segg. sulla quinta questione.


58 –      V. considerando 5 del regolamento Dublino III.


59 –      V. relazione della proposta della Commissione, del 26 luglio 2001, di regolamento del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, COM(2001) 447 definitivo (GU 2001, C 304E, pag. 192).


60 –      V. supra paragrafo 6.


61 –      La convenzione CAAS e la convenzione di Dublino sono anteriori alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (GU 2000,C 364, pag. 1) solennemente proclamata dalla Commissione, dal Parlamento europeo e da Consiglio ed approvata dagli Stati membri al Consiglio europeo di Nizza. Il regolamento Dublino II è stato adottato prima che la Carta acquisisse lo status di Trattato nel 2009.


62 –      V. relazione della proposta della Commissione COM(2008) 820 definitivo, pag. 11, e considerando 19 del regolamento Dublino III.


63 –      Sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 59.


64 –      Sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 57.


65 –      V. relazione della proposta della Commissione COM(2016) 270 final, per un «regolamento Dublino IV».


66 –      Intendo la nozione di «forum shopping» come riferita agli abusi in relazione alle procedure di asilo, come le domande multiple presentate da uno stesso richiedente in diversi Stati membri all’unico scopo di prolungare il soggiorno negli Stati membri, v. [COM(2008) 820 definitivo) del 3 dicembre 2008, pag. 4. L’espressione è impiegata anche in senso più ampio per indicare i cittadini di paesi terzi che desiderano presentare la loro domanda di protezione internazionale in un determinato Stato membro. Nelle presenti conclusioni utilizzerò l’espressione soltanto nella prima accezione, in particolaregiacché uno degli obiettivi primari delle disposizioni del sistema Dublino consiste nel prevenire tali domande multiple. L’utilizzo dell’espressione «forum shopping» è stata contestata come fuorviante e inappropriata, v. The reform of the Dublin III Regulation, (studio per la commissione LIBE commissionato dal Dipartimento tematico Diritti dei cittadini e affari costituzionali del Parlamento europeo), pag. 21.


67 –      Nella proposta di regolamento Dublino IV, la Commissione suggerisce di ridurre ulteriormente tale periodo a un mese.


68 –      Le procedure di cui trattasi sono attualmente previste nell’articolo 34 della direttiva procedure.


69 –      V. punto 3.3, pag. 4, della relazione di COM(2001) 447 definitivo.


70 –      Articolo 21, paragrafo 1, terzo comma. V., inoltre, supra, paragrafi 18 e 19 sulle domande di ripresa in carico. Per quanto concerne l’interpretazione degli articoli 23 e 24 del regolamento Dublino III e l’applicazione di detti termini, v. causa pendente Hasan, C‑360/16.


71 –      V., infra, paragrafi 96 e 97.


72 –      L’interpretazione dell’articolo 29 è oggetto della causa Shiri, C‑201/16, attualmente pendente.


73 –      Sentenza del 10 dicembre 2013, C‑394/12, EU:C:2013:813.


74 –      L’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento Dublino II corrispondeva all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.


75 –      All’epoca, il rimpatrio dei richiedenti asilo in Grecia era stato sospeso. Tale circostanza avrebbe dunque consentito alla sig.ra Abdullahi di chiedere che la sua domanda fosse esaminata in Austria.


76 –      Nella sua proposta COM(2008) 820 definitivo, la Commissione ha modificato il testo delle disposizioni relative al diritto del richiedente di proporre ricorso avverso la decisione di trasferimento o di ottenerne la revisione; v., in particolare, il considerando 17 e l’articolo 26 recante il titolo «Impugnazione». Il testo era stato quindi modificato durante la procedura di codecisione. Il testo relativo ai mezzi di impugnazione in quelli che sono attualmente i considerando 9 e 19 e l’articolo 27, paragrafo 1, è stato inserito dal legislatore. Il Consiglio ha adottato la sua posizione in prima lettura sulla base di un compromesso raggiunto con il Parlamento europeo, che prevedeva in particolare maggiori salvaguardie e diritti per i richiedenti protezione internazionale; v. procedura interistituzionale 2008/243/COD.


77 –      V., in particolare, articoli 4, paragrafo 1, lettera d), 5 e 26, del regolamento Dublino III.


78 –      Considerando 9 e 19 del regolamento Dublino III.


79 –      Sentenza del 7 giugno 2016, C‑63/15, EU:C:2016:409.


80 –      Sentenza del 7 giugno 2016, C‑155/15, EU:C:2016:410.


81 –      Punti 38 e 39.


82 –      Punto 23.


83 –      Sentenza del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, punti da 44 a 46 e da 51 a 53, nonché paragrafo 62 supra.


84 –      V., ad esempio, COM(2001) 447 definitivo., pag. 3.


85 –      V., ad esempio, paragrafo 74 supra e considerando 19 del regolamento Dublino III.


86 –      V. paragrafo 73 supra.


87 –      Sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti 326 e 338.


88 –      Sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 117 e 118.


89 –      V., per analogia, sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf, C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 61. In ordine alle tutele e alle garanzie procedurali, v., segnatamente, articoli 4, 5 e 26 del regolamento Dublino III.


90 –      V., supra, paragrafo 72.


91 –      V. commenti dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sulla proposta della Commissione per il regolamento Dublino IV [COM(2016) 270], pag. 21; relazione della proposta della Commissione in merito al regolamento Dublino II [COM(2001) 447 definitivo]; e proposta della Commissione relativa al regolamento Dublino III [COM(2008) 820 definitivo].


92 –      Le informazioni fornite ai richiedenti, specificate nell’articolo 4 ed elencate nell’allegato X del regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino, contengono il seguente passaggio: «Se invece decidiamo che la competenza per la domanda spetta a un altro paese, cercheremo di trasferirvi appena possibile in tale paese, dove la domanda sarà esaminata. La durata complessiva della procedura Dublino, fino al momento in cui sarete trasferiti nel paese competente, potrebbe arrivare, in circostanze normali, fino a 11 mesi». Il corsivo non è mio, ma riflette il testo dell’allegato X del succitato regolamento. Si tratta di un periodo quasi doppio rispetto ai sei mesi concessi per l’esame nel merito, il che mi induce a pensare che la fase di determinazione dello Stato membro competente possa talvolta avere una durata eccessiva. La valutazione nel merito può essere delicata e complessa e può comprendere più di un passaggio, dal momento che taluni sistemi nazionali valutano prima se al richiedente debba essere riconosciuto lo status di rifugiato e, in caso negativo, se a questo debba essere concessa protezione sussidiaria: v., ad esempio, sentenza dell’8 maggio 2014, N., C‑604/12, EU:C:2014:302, punti 55 e segg. Non mi è chiaro perché la fase preliminare (determinazione dello Stato membro competente) dovrebbe richiedere più tempo della valutazione nel merito.


93 –      V. anche articoli 3, paragrafo 1, e 20, paragrafi 4 e 5, del regolamento Dublino III.


94 –      Nella sua proposta di regolamento Dublino IV, la Commissione suggerisce che la competenza non spetti allo Stato membro richiedente in caso di richiesta di ripresa in carico. Tuttavia, essa non formula il medesimo suggerimento per la richiesta di presa in carico (il caso del sig. Mengesteab). V. pagina 16 della relazione di COM(2016) 270 final.


95 –      Rileva altresì osservare che il circoscritto diritto di ricorso o revisione, come proposto dalla Commissione, comporterebbe che il diritto di impugnazione possa essere esercitato con successo solo di rado. In primo luogo, la Grecia è l’unico Stato membro verso il quale i richiedenti asilo non sono rimpatriati. Prima dell’adozione, nel 2011, della decisione di non trasferire i richiedenti in tale paese, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo pendevano numerosi procedimenti nell’ambito dei quali venivano condannate le condizioni di accoglienza presenti in Grecia e vi era una copiosa documentazione redatta al riguardo dalle organizzazioni non governative. Senza un simile sostegno, sarebbe estremamente difficile per un singolo addurre materiale probatorio per un caso analogo nei confronti di altri Stati membri. In secondo luogo, raramente i singoli richiedenti si avvalgono dei criteri di cui al capo III relativi alla famiglia e gli Stati membri hanno mostrato una certa riluttanza ad accettare tali domande quando sono formulate [v. pagina 10 della relazione della proposta per COM(2016) 270 definitivo].


96 –      V. relazione della proposta per COM(2016) 270 definitivo. La Commissione propone essenzialmente la soluzione da essa avanzata senza successo dinanzi alla Corte nelle cause Ghezelbash e Karim.


97 –      Mentre l’articolo 41 della Carta si riferisca alle istituzioni dell’Unione, la giurisprudenza della Corte indica che gli Stati membri sono soggetti ai principi di buona amministrazione quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione; v. sentenza del 22 novembre 2012, M., C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 82, e dell’8 maggio 2014, N., C‑604/12, EU:C:2014:302, punti 49 e 50. Per quanto concerne il diritto ad essere sentito e il diritto a un ricorso effettivo, v. paragrafi 62 e 63 supra.


98 –      Sentenze del 7 giugno 2016, Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, e Karim, C‑155/15, EU:C:2016:410.


99 –      V. anche articolo 4, paragrafo 1, lettera d), del regolamento Dublino III che impone agli Stati membri di informare i richiedenti della possibilità di impugnare una decisione di trasferimento. Si veda, inoltre, la causa Hassan, C‑647/16 (pendente dinanzi alla Corte).


100 –      Sentenza del 18 luglio 2013, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti da 115 a 117.


101 –      In udienza, la Germania ha indicato che, nel periodo compreso tra il 2007 e il 2011, il numero medio di richiedenti protezione internazionale è stato di 39 000 l’anno. Nel 2012 tale numero è raddoppiato, giungendo a 78 000; nel 2013 era pari a 127 000, nel 2014 a 202 000, nel 2015 a 477 000 e nel 2016 a 746 000. Non sono stati forniti dati per il primo trimestre del 2017.


102      Si potrebbe plausibilmente intendere la quarta questione posta dal giudice nazionale (v. paragrafo 42 supra) come diretta ad accertare se il periodo di due mesi possa essere utilizzato come una sorta di estensione flessibile all’ordinario periodo di tre mesi qualora lo Stato membro indugi nel presentare una richiesta alla banca dati Eurodac. Tuttavia, nel corso dell’udienza la questione è stata considerata, in particolare sia dal Regno Unito che dalla Commissione, come vertente sull’aspetto se il periodo rilevante fosse [3 + 2] mesi, anziché soltanto due mesi, laddove fosse presentata una richiesta Eurodac. Né l’avvocato del sig. Mengesteab né il rappresentante della Germania hanno contestato simile prospettiva. Di conseguenza, la adotterò a mia volta nel trattare la questione.


103 –      V. regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino, allegato II, punto 7, primo trattino. Tali informazioni rilevano a fini dei motivi di fatto e di diritto indicati nella richiesta di presa in carico, come precisato nell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1560/2003.


104 –      Articolo 22, paragrafo 3, lettera a), punto i), del regolamento Dublino III.


105 –      Considerando 30 del regolamento Dublino III.V. anche regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino., allegato X, parte B, che elenca le informazioni inviate ai richiedenti a norma dell’articolo 4 del regolamento Dublino III.


106 –      V. articoli da 23 a 25 del regolamento Dublino III e paragrafi 18 e 19 supra.


107 –      V. anche articolo 14, paragrafo 1, del regolamento Eurodac.


108 –      Gli stessi termini si rinvengono nell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento Eurodac. Attualmente, la Commissione ha due procedure di infrazione in corso, contro l’Italia e contro la Grecia, per mancato rispetto degli obblighi su di esse gravanti in forza del regolamento Eurodac.


109 –      V. considerando 30 del regolamento Dublino III e paragrafo 24 supra.


110 –      Sentenza del 6 giugno 2013, MA e a., C‑648/11, EU:C:2013:367, punto 50.


111 –      L’articolo 4 della direttiva qualifiche disciplina la valutazione della domanda di protezione internazionale. A norma del suo paragrafo 1, i richiedenti possono essere chiamati a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda.


112 –      V. considerando 12 del regolamento Dublino III e paragrafo 30 supra.


113 –      V., rispettivamente, il paragrafo 1 e il paragrafo 2 dell’articolo 6 della direttiva procedure.


114 –      Il periodo di cui trattasi è prorogato a sei giorni lavorativi se la domanda è presentata ad autorità nazionali non competenti a tal fine a norma del diritto nazionale, ad esempio la polizia (v. articolo 6, paragrafo 1, secondo comma). La direttiva accoglienza non distingue tra richiesta informale di protezione internazionale e presentazione di una domanda formale. Il termine «presentare» è usato in entrambi i casi.


115 –      Gli Stati membri possono esigere che le domande siano introdotte personalmente e/o in un luogo designato (articolo 6, paragrafo 3, della direttiva procedure).


116 –      Nell’Oxford English Dictionary, il termine «lodge [(presentare)]» è definito come «to present (a complaint, appeal, claim ecc.) formally to the proper authorities [presentare formalmente alle autorità competenti (un reclamo, un ricorso, una domanda ecc.)]». Il termine «lodged» nell’articolo 1 del regolamento Dublino III è stato tradotto in francese con «introduite». Tuttavia, posto che il termine «lodge» non è impiegato in maniera coerente nei testi che insieme compongono il sistema europeo comune di asilo, non mi baserò su argomentazioni puramente linguistiche al fine di chiarire la sua interpretazione (v. nota 114 supra).


117 –      V., supra, paragrafi 32 e 34.


118 –      Devo aggiungere, per correttezza, che non tutti i termini fissati nel regolamento Dublino III sono collegati alla presentazione della domanda di protezione internazionale. In base all’articolo 13, paragrafo 1, quando un richiedente ha varcato illegalmente, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, la competenza dello Stato membro in questione per l’esame della domanda di protezione internazionale cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera La competenza non è collegata alla presentazione di una domanda di protezione internazionale.


119 –      Dall’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento Dublino III emerge che la domanda formale di protezione internazionale deve essere redatta utilizzando un formulario trasmesso alle autorità competenti, salvo che essa sia presentata per mezzo di un verbale inviato a dette autorità; v. paragrafo 15 supra.


120 –      V., rispettivamente, articolo 9 della direttiva procedure e articolo 6, paragrafo 1, della direttiva accoglienza.


121 –      V. paragrafi 33 e 34 supra.


122 –      V. inoltre l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III il quale si applica qualora sia impossibile trasferire un richiedente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro.


123 –      Sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a., C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 54.


124 –      È improbabile che dalla mera inattività successivamente al rilascio della certificazione si possa presumere che uno Stato membro abbia invocato l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, salvo che esso abbia effettuato le necessarie notifiche nella rete telematica «DubliNet», previste nel regolamento recante modalità di attuazione del regolamento di Dublino, e in Eurodac; v. articolo 17, paragrafo 1, secondo e terzo comma. Non mi soffermo espressamente in maggiore dettaglio sull’aspetto se (e, in tal caso, in quali fasi) l’inazione prolungata nel trattare una richiesta di protezione internazionale farà ricadere sullo Stato membro inattivo la responsabilità di provvedere alla valutazione nel merito, e in quali limiti di tempo.