Language of document : ECLI:EU:C:2015:471

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

16 luglio 2015 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia civile – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni – Motivi di diniego – Violazione dell’ordine pubblico dello Stato richiesto – Decisione promanante da un giudice di un altro Stato membro, contraria al diritto dell’Unione in materia di marchi – Direttiva 2004/48/CE – Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale – Spese giudiziarie»

Nella causa C‑681/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi), con decisione del 20 dicembre 2013, pervenuta in cancelleria il 23 dicembre 2013, nel procedimento

Diageo Brands BV

contro

Simiramida‑04 EOOD,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Tizzano, presidente di sezione, S. Rodin, E. Levits, M. Berger (relatore) e F. Biltgen, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 dicembre 2014,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Diageo Brands BV, da F. Vermeulen, C. Gielen e A. Verschuur, advocaten;

–        per la Simiramida‑04 EOOD, da S. Todorova Zhelyazkova, M. Gerritsen e A. Gieske, advocaten;

–        per il governo tedesco, da T. Henze e J. Kemper, in qualità di agenti;

–        per il governo lettone, da I. Kalniņš e I. Ņesterova, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da A.‑M. Rouchaud‑Joët e G. Wils, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 marzo 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 34, punto 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), e dell’articolo 14 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU L 157, pag. 45).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Diageo Brands BV (in prosieguo: la «Diageo Brands») alla Simiramida‑04 EOOD (in prosieguo: la «Simiramida») relativamente ad una domanda di risarcimento proposta da quest’ultima per il pregiudizio asseritamente subìto a causa di un sequestro eseguito – su richiesta della Diageo Brands – su merci ad essa destinate.

 Contesto normativo

 Il regolamento n. 44/2001

3        A mente del considerando 16 del regolamento n. 44/2001, «[l]a reciproca fiducia nella giustizia in seno [all’Unione europea] implica che le decisioni emesse in un altro Stato membro siano riconosciute di pieno diritto, ossia senza che sia necessario esperire alcun procedimento, salvo che vi siano contestazioni».

4        Il capo III del regolamento n. 44/2001, intitolato «Riconoscimento ed esecuzione», è suddiviso in tre sezioni. La sezione 1, intitolata «Riconoscimento», comprende, in particolare, gli articoli 33, 34 e 36 di detto regolamento.

5        L’articolo 33, paragrafo 1, del regolamento n. 44/2001 recita:

«Le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento».

6        Secondo l’articolo 34 di detto regolamento:

«Le decisioni non sono riconosciute:

1)      se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto;

(...)».

7        L’articolo 36 di detto regolamento dispone quanto segue:

«In nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame del merito».

 La direttiva 89/104/CEE

8        La prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: la «direttiva 89/104»), è stata abrogata dalla direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25). Tuttavia, in considerazione della data dei fatti, la direttiva 89/104 resta applicabile alla lite di cui al procedimento principale.

9        L’articolo 5 della citata direttiva così disponeva:

«1.       Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(...)

3.      Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate a[i] paragraf[i] 1 e 2 sono soddisfatte:

a)      di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

(...)».

10      L’articolo 7 della direttiva 89/104, intitolato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», al paragrafo 1 prevedeva quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio in una Parte contraente [dello Spazio economico europeo] con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso».

 La direttiva 2004/48

11      Il considerando 10 della direttiva 2004/48 indica che l’obiettivo della stessa è di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri «al fine di assicurare un livello elevato, equivalente ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno».

12      Il considerando 22 della citata direttiva precisa che, tra le misure che devono offrire gli Stati membri, «[è] altresì indispensabile definire misure provvisorie che consentano la cessazione immediata della violazione, senza la necessità di attendere la decisione nel merito (…) e avendo adottato tutte le garanzie necessarie a coprire le spese o i danni causati alla parte convenuta in caso di domande infondate».

13      Ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2004/48 concerne «le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale», precisandosi in tale contesto che, secondo la medesima disposizione, l’espressione «diritti di proprietà intellettuale» include i «diritti di proprietà industriale».

14      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso che essa prevede si applicano «alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione comunitaria e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato».

15      A norma dell’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale che gli Stati membri sono tenuti ad adottare devono essere «effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».

16      In tale prospettiva, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/48 impone agli Stati membri di assicurare che le competenti autorità giudiziarie possano, a determinate condizioni, «dispo[rre] celeri ed efficaci misure provvisorie per salvaguardare le prove pertinenti per quanto concerne l’asserita violazione». La medesima disposizione precisa che tali misure possono includere «il sequestro delle merci controverse». Secondo l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che le competenti autorità giudiziarie possano, su richiesta dell’attore, «disporre il sequestro o la consegna dei prodotti sospettati di pregiudicare un diritto di proprietà intellettuale». Gli articoli 7, paragrafo 4, e 9, paragrafo 7, della medesima direttiva prevedono che, «qualora successivamente si constati che non vi è stata violazione o minaccia di violazione di un diritto di proprietà intellettuale», l’autorità giudiziaria abbia la facoltà «di ordinare all’attore, su richiesta del convenuto, di corrispondere a quest’ultimo un adeguato risarcimento del danno eventualmente arrecato dalle misure in questione».

17      Per quanto riguarda le spese giudiziarie, l’articolo 14 della direttiva 2004/48 così dispone:

«[Gli] Stati membri assicurano che spese giudiziarie ragionevoli e proporzionate, nonché altri oneri eventualmente sopportati dalla parte vincitrice siano di norma a carico della parte soccombente, a meno che il rispetto del principio di equità non lo consenta».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

18      La Diageo Brands BV, con sede ad Amsterdam (Paesi Bassi), è titolare del marchio «Johnny Walker». Essa commercializza whisky con questo marchio in Bulgaria tramite un importatore locale esclusivo.

19      La Simiramida, con sede a Varna (Bulgaria), commercializza bevande alcoliche.

20      Il 31 dicembre 2007, un container con 12 096 bottiglie di whisky del marchio «Johnny Walker», destinato alla Simiramida, è arrivato dalla Georgia nel porto di Varna.

21      Ritenendo che l’importazione in Bulgaria di tale partita di bottiglie senza la sua autorizzazione costituisse una violazione del marchio di cui è titolare, la Diageo Brands ha chiesto e ottenuto, in virtù di un’ordinanza del 12 marzo 2008, l’autorizzazione del Sofiyski gradski sad [Tribunale della città di Sofia (Bulgaria)] al sequestro della merce.

22      Il 9 maggio 2008, su appello della Simiramida, il Sofiyski apelativen sad (Corte d’appello di Sofia) ha annullato detta ordinanza.

23      Con decisioni del 30 dicembre 2008 e del 24 marzo 2009, il Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione) ha respinto, per motivi di forma, il ricorso per cassazione proposto dalla Diageo Brands.

24      Il sequestro della partita di bottiglie di whisky eseguito su domanda della Diageo Brands è stato revocato il 9 aprile 2009.

25      Nel procedimento di merito instaurato dalla Diageo Brands contro la Simiramida per violazione del marchio di cui la prima è titolare, il Sofiyski gradski sad ha, con decisione dell’11 gennaio 2010, respinto le domande della Diageo Brands. Detto giudice ha statuito che da una decisione interpretativa emessa dal Varhoven kasatsionen sad il 15 giugno 2009 risultava che l’importazione in Bulgaria di prodotti immessi in commercio al di fuori dello Spazio economico europeo (SEE) con l’autorizzazione del titolare del marchio in questione non configurava una violazione dei diritti conferiti dal marchio stesso. Il Sofiyski gradski sad ha dichiarato che, in forza del diritto processuale bulgaro, esso era vincolato alla suddetta decisione interpretativa.

26      La Diageo Brands non ha esperito alcun mezzo di ricorso avverso la decisione del Sofiyski gradski sad dell’11 gennaio 2010, che è quindi passata in giudicato.

27      Nel procedimento principale, la Simiramida chiede ai giudici neerlandesi che la Diageo Brands venga condannata a pagarle una somma che essa valuta pari a oltre EUR 10 milioni, a titolo di risarcimento del danno che ritiene di aver subìto a causa del sequestro eseguito su domanda della Diageo Brands. La Simiramida basa la propria domanda sulla decisione emessa l’11 gennaio 2010 dal Sofiyski gradski sad, nella parte in cui quest’ultimo ha constatato l’illegittimità di tale sequestro. A propria difesa, la Diageo Brands sostiene che detta decisione non può essere riconosciuta nei Paesi Bassi in quanto manifestamente contraria all’ordine pubblico neerlandese, ai sensi dell’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001. Nella citata decisione il Sofiyski gradski sad avrebbe fatto un’applicazione manifestamente errata del diritto dell’Unione europea basandosi sulla decisione interpretativa emessa dal Varhoven kasatsionen sad il 15 giugno 2009, che sarebbe viziata da un errore nel merito e sarebbe stata per giunta adottata in violazione dell’obbligo di tale giudice di sollevare una questione pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

28      Con decisione del 2 marzo 2011, il Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam) ha accolto l’argomentazione della Diageo Brands e ha respinto la domanda della Simiramida.

29      Su appello della Simiramida, il Gerechtshof te Amsterdam (Corte d’appello di Amsterdam), con decisione del 5 giugno 2012, ha riformato la decisione del Rechtbank Amsterdam e ha dichiarato che la decisione del Sofiyski gradski sad dell’11 gennaio 2010 doveva beneficiare del riconoscimento nei Paesi Bassi. Esso non ha tuttavia statuito sulla domanda di risarcimento.

30      È in tali circostanze che lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte suprema) – dinanzi al quale la Diageo Brands ha proposto un ricorso per cassazione avverso la decisione del Gerechtshof te Amsterdam – ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)       Se l’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 debba essere interpretato nel senso che tale motivo di diniego comprende anche il caso in cui la decisione del giudice dello Stato membro di origine sia manifestamente contraria al diritto dell’Unione europea, e ciò sia stato riconosciuto da detto giudice.

2 a)      Se l’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 debba essere interpretato nel senso che alla possibilità di far valere utilmente tale motivo di diniego osta il fatto che la parte che lo invoca abbia omesso di esperire i rimedi giurisdizionali disponibili nello Stato membro di origine della decisione.

2 b)      In caso di risposta positiva alla seconda questione, lettera a), se la situazione sia diversa nel caso in cui l’esaurimento dei rimedi giurisdizionali nello Stato membro di origine della decisione fosse inutile, in quanto occorre presumere che ciò non avrebbe portato a una decisione differente.

3)      Se l’articolo 14 della direttiva 2004/48 debba essere interpretato nel senso che tale disposizione si applica anche alle spese sostenute dalle parti nel contesto di un procedimento di risarcimento dei danni in uno Stato membro, qualora la domanda e la difesa riguardino l’asserita responsabilità del convenuto per il sequestro e le comunicazioni effettuati al fine di assicurare il rispetto del suo diritto di marchio in un altro Stato membro, e a tale riguardo si ponga una questione relativa al riconoscimento nel primo Stato membro di una decisione del giudice del secondo Stato membro».

 Sulla domanda intesa alla riapertura della fase orale del procedimento

31      La fase orale del procedimento è stata chiusa il 3 marzo 2015 in seguito alla presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale; la Diageo Brands ne ha chiesto la riapertura con lettera del 6 marzo 2015, depositata presso la cancelleria della Corte il 20 marzo successivo.

32      A sostegno di tale domanda, la Diageo Brands fa valere, in primo luogo, che, ai paragrafi 27 e seguenti delle sue conclusioni, l’avvocato generale ha sollevato dubbi quanto all’esattezza delle premesse sulle quali lo Hoge Raad der Nederlanden ha fondato la propria decisione di rinvio, ossia, da un lato, quella secondo cui la decisione interpretativa del Varhoven kasatsionen sad del 15 giugno 2009, confermata da una seconda decisione del 26 aprile 2012, nonché la decisione del Sofiyski gradski sad costituiscono una violazione manifesta e cosciente di un principio fondamentale del diritto dell’Unione e, dall’altro, quella secondo cui l’esercizio di un mezzo di ricorso dinanzi al Varhoven kasatsionen sad sarebbe stato inutile per la Diageo Brands. Secondo quest’ultima, ove la Corte ritenesse che l’esattezza di dette premesse possa ancora essere dibattuta tra le parti, tale discussione dovrebbe rispondere ai requisiti del principio fondamentale del contraddittorio consacrato all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

33      In secondo luogo, la Diageo Brands fa valere che essa non ha avuto la possibilità di presentare osservazioni su taluni documenti depositati dalla Commissione europea nel corso dell’udienza.

34      A tale riguardo va ricordato che, ai sensi dell’articolo 83 del suo regolamento di procedura, la Corte può, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, disporre la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha allegato un fatto nuovo tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o tra gli interessati menzionati all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea (v. sentenza Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

35      Nella specie la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene di essere sufficientemente edotta per statuire e che non sia necessario decidere la causa sulla base di argomenti che non sono stati oggetto di discussione in contraddittorio tra le parti. Infatti, le premesse del ragionamento del giudice del rinvio alle quali si riferisce la Diageo Brands sono state richiamate e hanno formato oggetto di discussione in contraddittorio nel corso dell’udienza.

36      Quanto ai documenti presentati dalla Commissione nel corso dell’udienza, occorre osservare che gli stessi non sono stati registrati e non fanno parte del fascicolo.

37      Inoltre, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia, richiedono il suo intervento. La Corte non è però vincolata né alle conclusioni dell’avvocato generale né alla motivazione in base alla quale egli vi perviene (v. sentenza Commissione/Parker Hannifin Manufacturing e Parker-Hannifin, C‑434/13 P, EU:C:2014:2456, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).

38      Di conseguenza, occorre respingere la domanda di riapertura della fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e sulla seconda questione

39      Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il fatto che una decisione emessa da un giudice di uno Stato membro sia manifestamente contraria al diritto dell’Unione e sia stata resa in violazione di garanzie di ordine procedurale costituisca un motivo di diniego del riconoscimento ai sensi dell’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001. Il giudice del rinvio chiede inoltre se, in tale contesto, il giudice dello Stato membro richiesto debba tener conto del fatto che il soggetto che si oppone a tale riconoscimento non ha esperito i mezzi di ricorso previsti dalla normativa dello Stato di origine.

 Osservazioni preliminari

40      In via preliminare, occorre ricordare che il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri, che nel diritto dell’Unione riveste un’importanza fondamentale, impone a ciascuno di detti Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di presupporre, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (v., in tal senso, parere 2/13, EU:C:2014:2454, punto 191 e la giurisprudenza ivi citata). Come emerge dal considerando 16 del regolamento n. 44/2001, il sistema di riconoscimento e di esecuzione previsto da quest’ultimo si basa proprio sulla reciproca fiducia nella giustizia in seno all’Unione. Tale fiducia esige, in particolare, che le decisioni giudiziarie emesse in uno Stato membro siano riconosciute di pieno diritto in un altro Stato membro (v. sentenza flyLAL‑Lithuanian Airlines, C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 45).

41      In tale sistema, l’articolo 34 del regolamento n. 44/2001, che enuncia i motivi che possono ostare al riconoscimento di una decisione, deve essere interpretato restrittivamente, in quanto configura un ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali di tale regolamento. Per quanto attiene più in particolare al ricorso alla clausola dell’ordine pubblico di cui all’articolo 34, punto 1, di detto regolamento, essa deve applicarsi soltanto in casi eccezionali (v. sentenza Apostolides, C‑420/07, EU:C:2009:271, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata).

42      In base a una giurisprudenza costante della Corte, sebbene, in linea di principio, gli Stati membri restino liberi di determinare, in forza della riserva di cui all’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001, le esigenze del loro ordine pubblico in modo conforme alle loro concezioni nazionali, la delimitazione di tale nozione rientra nondimeno nell’interpretazione di detto regolamento. Pertanto, benché non spetti alla Corte definire il contenuto dell’ordine pubblico di uno Stato membro, essa è però tenuta a controllare i limiti entro i quali il giudice di uno Stato membro può ricorrere a tale nozione per non riconoscere una decisione promanante da un altro Stato membro (v. sentenze flyLAL‑Lithuanian Airlines, C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 47 e la giurisprudenza ivi citata).

43      A tal riguardo, occorre rilevare che, vietando il riesame nel merito della decisione emessa in un altro Stato membro, l’articolo 36 del regolamento n. 44/2001 osta a che il giudice dello Stato richiesto neghi il riconoscimento di tale decisione per il solo fatto che esista una divergenza tra la norma giuridica applicata dal giudice dello Stato di origine e quella che avrebbe applicato il giudice dello Stato richiesto se fosse stato investito della controversia. Allo stesso modo, il giudice dello Stato richiesto non può controllare l’esattezza delle valutazioni di diritto o di fatto operate dal giudice dello Stato di origine (v. sentenza flyLAL‑Lithuanian Airlines, C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).

44      È ammissibile ricorrere alla clausola dell’ordine pubblico di cui all’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 solo ove il riconoscimento della decisione pronunciata in un altro Stato membro contrasti in modo inaccettabile con l’ordinamento giuridico dello Stato richiesto, in quanto detta decisione lederebbe un principio fondamentale. Per rispettare il divieto di un riesame nel merito della decisione pronunciata in un altro Stato membro, la lesione dovrebbe costituire una violazione manifesta di una norma giuridica considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dello Stato richiesto o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tale ordinamento (v. sentenza flyLAL‑Lithuanian Airlines, C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata).

45      È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se gli elementi indicati dal giudice del rinvio siano idonei a dimostrare che il riconoscimento della decisione del Sofiyski gradski sad dell’11 gennaio 2010 costituirebbe una violazione manifesta dell’ordine pubblico neerlandese, ai sensi dell’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001.

46      Detti elementi riguardano la violazione, nella decisione di cui sopra, di una norma di diritto sostanziale, nonché la violazione, nell’ambito del procedimento che ha condotto alla citata decisione, di garanzie di ordine procedurale.

 Sulla violazione della norma di diritto sostanziale di cui all’articolo 5 della direttiva 89/104

47      Nel procedimento principale il giudice del rinvio parte dalla premessa secondo cui, statuendo, nella sua decisione dell’11 gennaio 2010, che l’importazione in Bulgaria di prodotti immessi in commercio al di fuori del SEE con l’autorizzazione del titolare del marchio non configura una violazione dei diritti conferiti da tale marchio, il Sofiyski gradski sad ha applicato in maniera manifestamente erronea l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104.

48      A tal proposito, occorre rilevare anzitutto che la circostanza che l’errore manifesto che sarebbe stato commesso dal giudice dello Stato di origine riguardi, come nella fattispecie di cui al procedimento principale, una norma del diritto dell’Unione, e non una norma di diritto interno, non modifica i presupposti per il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico ai sensi dell’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001. Infatti, spetta al giudice nazionale garantire con la stessa efficacia la tutela dei diritti stabiliti dall’ordinamento giuridico nazionale e dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Renault, C‑38/98, EU:C:2000:225, punto 32).

49      Occorre poi ricordare che il giudice dello Stato richiesto non può, a pena di rimettere in discussione la finalità del regolamento n. 44/2001, rifiutare il riconoscimento di una decisione promanante da un altro Stato membro per il solo motivo che esso ritiene che in tale decisione il diritto nazionale o il diritto dell’Unione sia stato male applicato. Deve invece ritenersi che, in siffatte ipotesi, il sistema di rimedi giurisdizionali istituito in ciascuno Stato membro, integrato dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, fornisca una garanzia sufficiente ai soggetti giuridici interessati (v., in tal senso, sentenza Apostolides, C‑420/07, EU:C:2009:271, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).

50      Dunque, la clausola dell’ordine pubblico assumerebbe rilevanza solo nel caso in cui il suddetto errore di diritto fosse tale per cui il riconoscimento della decisione de qua nello Stato richiesto comporterebbe la violazione manifesta di una norma giuridica essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione e, dunque, nell’ordinamento di tale Stato membro.

51      Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 52 delle sue conclusioni, la disposizione di diritto sostanziale controversa nel procedimento principale, ossia l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104, è inserita in una direttiva di armonizzazione minima, il cui scopo è di ravvicinare parzialmente le diverse legislazioni degli Stati membri in materia di marchi. Se è vero che il rispetto dei diritti conferiti dall’articolo 5 di detta direttiva al titolare di un marchio nonché l’applicazione corretta delle regole relative all’esaurimento di tali diritti, previste all’articolo 7 della citata direttiva, hanno una diretta incidenza sul funzionamento del mercato interno, non si può tuttavia dedurne che un errore nell’attuazione di dette disposizioni contrasterebbe in modo inaccettabile con l’ordinamento giuridico dell’Unione in quanto comporterebbe la lesione di un principio fondamentale di tale ordinamento.

52      Occorre, al contrario, affermare che il semplice fatto che la decisione resa l’11 gennaio 2010 dal Sofiyski gradski sad sia, secondo il giudice dello Stato richiesto, viziata da un errore quanto all’applicazione al caso di specie delle disposizioni disciplinanti i diritti del titolare di un marchio, come previsti nella direttiva 89/104, non può giustificare il mancato riconoscimento di tale decisione nello Stato richiesto, dal momento che detto errore non costituisce una violazione di una norma giuridica essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione e, dunque, in quello dello Stato richiesto.

 Sulla violazione di garanzie di ordine procedurale

53      Nella presente causa, il giudice del rinvio sottolinea che l’errore commesso, a suo avviso, dal Sofiyski gradski sad trae origine dalla decisione interpretativa resa il 15 giugno 2009 dal Varhoven kasatsionen sad, in cui quest’ultimo giudice avrebbe fornito un’interpretazione manifestamente erronea, ma vincolante per i giudici di grado inferiore, dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104. Il giudice del rinvio aggiunge che, con ogni probabilità, il Varhoven kasatsionen sad non poteva ignorare la manifesta erroneità di detta interpretazione, poiché diversi membri del collegio hanno, attraverso opinioni dissenzienti, manifestato il loro disaccordo quanto alla citata interpretazione.

54      A tal proposito, occorre osservare che il semplice fatto che, in ossequio alle norme procedurali in vigore in Bulgaria, diversi membri del Varhoven kasatsionen sad abbiano emesso, nella decisione interpretativa di cui trattasi, un’opinione dissenziente da quella della maggioranza, non può essere considerato come la prova di una deliberata intenzione di tale maggioranza di violare il diritto dell’Unione, ma deve piuttosto essere considerato come il riflesso della discussione che può essere legittimamente sorta dall’esame di una questione giuridica complessa.

55      Occorre peraltro rilevare che, nelle sue osservazioni scritte sottoposte alla Corte, la Commissione ha riferito di aver esaminato, nell’ambito di un procedimento per inadempimento che aveva avviato contro la Repubblica di Bulgaria, la conformità al diritto dell’Unione delle decisioni interpretative emesse dal Varhoven kasatsionen sad il 15 giugno 2009 e il 26 aprile 2012. La Commissione ha aggiunto che, all’esito di detto esame, essa è giunta alla conclusione che queste due decisioni sono conformi al diritto dell’Unione e ha posto fine al citato procedimento per inadempimento.

56      Queste divergenze di valutazione, sulle quali non spetta alla Corte pronunciarsi nell’ambito della presente causa, dimostrano quantomeno che non si può rimproverare al Varhoven kasatsionen sad di aver commesso, e di aver imposto ai giudici di grado inferiore, una violazione manifesta di una disposizione del diritto dell’Unione.

57      Come indicato dal giudice del rinvio, la Diageo Brands afferma inoltre che i giudici bulgari hanno violato il principio di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, principio che, secondo la Diageo Brands, si traduce nell’obbligo di far ricorso al meccanismo del rinvio pregiudiziale e che è una manifestazione specifica del principio di leale cooperazione tra gli Stati membri, sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TFUE.

58      A tal proposito, occorre anzitutto rilevare che il Sofiyski gradski sad, che ha reso la decisione di cui è chiesto il riconoscimento, è un giudice di primo grado, la cui decisione può formare oggetto di un ricorso giurisdizionale di diritto interno. Di conseguenza, ai sensi dell’articolo 267, secondo comma, TFUE, tale giudice può, ma non deve, chiedere alla Corte di pronunciarsi su una questione pregiudiziale.

59      Occorre poi evidenziare che il sistema instaurato dall’articolo 267 TFUE per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto dell’Unione negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte ed i giudici nazionali, attraverso un procedimento estraneo a qualsiasi iniziativa delle parti. Infatti, il rinvio pregiudiziale poggia su un dialogo tra giudici, il cui avvio dipende interamente dalla valutazione della pertinenza e della necessità del rinvio stesso compiuta dal giudice nazionale (sentenza Kelly, C‑104/10, EU:C:2011/506, punti 62 e 63 nonché la giurisprudenza ivi citata).

60      Ne consegue che, anche supponendo che la questione relativa all’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104 sia stata sollevata dinanzi al Sofiyski gradski sad, tale giudice non era obbligato a sottoporre alla Corte una questione al riguardo.

61      In tale contesto occorre osservare che, in base alle informazioni fornite alla Corte, la decisione del Sofiyski gradski sad dell’11 gennaio 2010 poteva formare oggetto di un appello, cui avrebbe potuto eventualmente far seguito un’impugnazione dinanzi al Varhoven kasatsionen sad.

62      Orbene, dalla decisione di rinvio risulta che la Diageo Brands non ha esperito, avverso la citata decisione, i mezzi di ricorso che le erano offerti dal diritto nazionale. La Diageo Brands sostiene che la sua astensione è dovuta al fatto che l’esperimento di tali mezzi di ricorso sarebbe stato privo di senso, poiché non avrebbe potuto portare a una decisione differente da parte dei giudici di grado superiore, allegazione questa che il giudice del rinvio ritiene non priva di fondamento.

63      Sul punto occorre rilevare che, come ricordato al punto 40 della presente sentenza, il sistema di riconoscimento e di esecuzione previsto dal regolamento n. 44/2001 è fondato sulla reciproca fiducia nella giustizia in seno all’Unione. È tale fiducia – che gli Stati membri accordano reciprocamente ai loro sistemi giuridici e alle loro istituzioni giudiziarie – che permette di ritenere che, in caso di errata applicazione del diritto nazionale o del diritto dell’Unione, il sistema di rimedi giurisdizionali istituito in ciascuno Stato membro, integrato dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE, fornisca una garanzia sufficiente ai soggetti giuridici interessati (v. punto 49 della presente sentenza).

64      Ne consegue che il regolamento n. 44/2001 dev’essere interpretato nel senso che esso si basa sull’idea fondamentale secondo cui i soggetti di diritto sono tenuti, in linea di principio, ad utilizzare tutti i mezzi di ricorso offerti dal diritto dello Stato membro di origine. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni, tranne in circostanze particolari che rendano eccessivamente difficile o impossibile l’esperimento dei mezzi di ricorso nello Stato membro di origine, i singoli devono avvalersi in tale Stato membro di tutti i rimedi giurisdizionali disponibili al fine di impedire a monte una violazione dell’ordine pubblico. Questa regola è tanto più giustificata nel caso in cui l’asserita violazione dell’ordine pubblico derivi, come nella controversia di cui al procedimento principale, da una presunta violazione del diritto dell’Unione.

65      Per quanto concerne le circostanze invocate dalla Diageo Brands nel procedimento principale per giustificare il mancato esperimento, da parte sua, dei mezzi di ricorso che aveva a disposizione, occorre rilevare, in primo luogo, come dal fascicolo risulti che non si può escludere che, nella sua decisione dell’11 gennaio 2010, il Sofiyski gradski sad abbia applicato erroneamente la decisione interpretativa emessa il 15 giugno 2009 dal Varhoven kasatsionen sad. Orbene, se la Diageo Brands avesse interposto appello contro detta decisione, un tale errore, anche a supporre che sia stato commesso, avrebbe potuto essere corretto dal giudice del gravame. In ogni caso, quest’ultimo avrebbe potuto, in caso di dubbi circa la fondatezza della valutazione in diritto effettuata dal Varhoven kasatsionen sad, sottoporre alla Corte una questione interpretativa del diritto dell’Unione riguardato da detta valutazione (v., in tal senso, sentenza Elchinov, C‑173/09, EU:C:2010:581, punto 27).

66      In secondo luogo, se fosse stata successivamente proposta un’impugnazione dinanzi al Varhoven kasatsionen sad, quest’ultimo, in quanto giudice nazionale avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, avrebbe dovuto, in linea di principio, adire la Corte, nel momento in cui fosse sorto un dubbio quanto all’interpretazione della direttiva 89/104 (v., in tal senso, sentenza Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 35). Un’ingiustificata omissione, da parte di detto giudice, di adempiere tale obbligo, avrebbe avuto quale conseguenza di far sorgere la responsabilità della Repubblica di Bulgaria conformemente alle regole definite dalla Corte al riguardo (sentenza Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 50 e 59).

67      Date tali circostanze, non consta che i giudici bulgari abbiano manifestamente violato il principio di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, né che la Diageo Brands sia stata privata della tutela garantita dal sistema di rimedi giurisdizionali istituito in detto Stato membro, come integrato dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE.

68      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 34, punto 1, del regolamento n. 44/2001 deve essere interpretato nel senso che il fatto che una decisione emessa in uno Stato membro sia contraria al diritto dell’Unione non giustifica che tale decisione non venga riconosciuta in un altro Stato membro sulla base del rilievo che essa viola l’ordine pubblico di quest’ultimo Stato, qualora l’errore di diritto invocato non costituisca una violazione manifesta di una norma giuridica considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione, e dunque in quello dello Stato membro richiesto, o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tali ordinamenti giuridici. Non ricorre una violazione siffatta nel caso di un errore nell’applicazione di una disposizione quale l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104.

Il giudice dello Stato richiesto, quando verifica l’eventuale esistenza di una violazione manifesta dell’ordine pubblico di quest’ultimo, deve tener conto del fatto che, tranne in circostanze particolari che rendano eccessivamente difficile o impossibile l’esperimento dei mezzi di ricorso nello Stato membro di origine, i soggetti giuridici interessati devono avvalersi in tale Stato membro di tutti i rimedi giurisdizionali disponibili al fine di prevenire a monte una siffatta violazione.

 Sulla terza questione

69      Con tale questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14 della direttiva 2004/48 – secondo cui la parte soccombente deve, di norma, sopportare le spese sostenute dalla parte vincitrice – debba essere interpretato nel senso che esso è applicabile alle spese giudiziarie sostenute dalle parti nell’ambito di un’azione di risarcimento proposta in uno Stato membro per il ristoro dei danni subiti in virtù di un sequestro eseguito in un altro Stato membro, che era inteso a prevenire la lesione di un diritto di proprietà intellettuale, qualora nell’ambito di questa azione di risarcimento si ponga la questione del riconoscimento di una decisione emessa in tale altro Stato membro che constata il carattere ingiustificato di detto sequestro.

70      Per rispondere a tale questione, occorre determinare se il procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/48.

71      Come enunciato nel suo considerando 10, l’obiettivo della direttiva 2004/48 è di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri relativamente ai mezzi per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale al fine di assicurare un livello elevato, equivalente ed omogeneo di protezione della proprietà intellettuale nel mercato interno.

72      A tal fine, ed in conformità al suo articolo 1, la direttiva 2004/08 concerne tutte le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. L’articolo 2, paragrafo 1, della citata direttiva precisa che tali misure, procedure e mezzi di ricorso si applicano ad ogni violazione di detti diritti, come previsto dalla legislazione dell’Unione e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

73      La Corte ha statuito che le disposizioni della direttiva 2004/48 non intendono disciplinare tutti gli aspetti collegati ai diritti di proprietà intellettuale, ma solo quelli inerenti, da un lato, al rispetto di tali diritti e, dall’altro, alle violazioni di questi ultimi, imponendo l’esistenza di rimedi giurisdizionali efficaci, destinati a prevenire, a porre fine o a rimediare a qualsiasi violazione di un diritto di proprietà intellettuale esistente (v. sentenza ACI Adam BV e a., C‑435/12, EU:C:2014:254, punto 61 e la giurisprudenza ivi citata).

74      Emerge dalle misure, dalle procedure e dai mezzi di ricorso previsti dalla direttiva 2004/08 che i rimedi giurisdizionali diretti ad assicurare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale sono integrati da azioni di risarcimento strettamente connesse ai primi. Così, mentre gli articoli 7, paragrafo 1, e 9, paragrafo 1, di detta direttiva prevedono misure provvisorie e cautelari volte, in particolare, a prevenire qualsiasi violazione imminente di un diritto di proprietà intellettuale, e comprendenti segnatamente il sequestro di prodotti sospettati di pregiudicare un diritto di questo tipo, gli articoli 7, paragrafo 4, e 9, paragrafo 7, di detta direttiva prevedono, per parte loro, misure che permettono al convenuto di chiedere un risarcimento nel caso in cui successivamente emerga che non vi è stata violazione o minaccia di violazione di un diritto di proprietà intellettuale. Come risulta dal considerando 22 della medesima direttiva, tali misure di risarcimento costituiscono garanzie che il legislatore ha ritenuto necessarie per controbilanciare le misure provvisorie celeri ed efficaci da lui stesso previste.

75      Nel caso di specie, il procedimento principale – che ha per oggetto il risarcimento del danno provocato da un sequestro in un primo tempo disposto dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro al fine di prevenire una violazione imminente di un diritto di proprietà intellettuale, e poi annullato dalle stesse autorità sulla base del rilievo che l’esistenza di una violazione non era dimostrata – costituisce il corollario dell’azione promossa dal titolare del diritto di proprietà intellettuale al fine di ottenere la pronuncia di una misura immediatamente efficace che gli ha consentito, senza attendere una decisione nel merito, di prevenire qualsiasi eventuale violazione del suo diritto. Una tale azione risarcitoria rientra nelle garanzie previste dalla direttiva 2004/48 a favore del convenuto, per controbilanciare l’adozione di una misura provvisoria che abbia colpito i suoi interessi.

76      Ne consegue che un procedimento come quello in corso dinanzi al giudice a quo deve considerarsi ricompreso nel campo di applicazione della direttiva 2004/48.

77      Per quanto riguarda l’articolo 14 della direttiva 2004/48, la Corte ha già dichiarato che tale disposizione mira a rafforzare il livello di tutela della proprietà intellettuale, evitando che una parte lesa sia dissuasa dall’avviare un procedimento giurisdizionale per tutelare i propri diritti (v. sentenza Realchemie Nederland, C‑406/09, EU:C:2011:668, punto 48).

78      Alla luce di tale obiettivo, nonché della formulazione ampia e generale dell’articolo 14 della direttiva 2004/48, che si riferisce alla «parte vincitrice» e alla «parte soccombente», senza aggiungere precisazioni o fissare limitazioni quanto al tipo di procedimento a cui la regola da esso enunciata deve riferirsi, occorre considerare che tale disposizione è applicabile alle spese di giustizia sostenute nell’ambito di qualsiasi procedimento rientrante nel campo di applicazione della citata direttiva.

79      A tal proposito, il fatto che, nella controversia di cui al procedimento principale, la valutazione della fondatezza o meno del sequestro di cui trattasi sollevi la questione del riconoscimento o del rifiuto di riconoscimento di una decisione resa in un altro Stato membro è privo di rilevanza. Una tale questione ha infatti carattere accessorio e non modifica l’oggetto della controversia.

80      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 14 della direttiva 2004/48 deve essere interpretato nel senso che esso è applicabile alle spese giudiziarie sostenute dalle parti nell’ambito di un’azione di risarcimento proposta in uno Stato membro per il ristoro dei danni subiti in virtù di un sequestro eseguito in un altro Stato membro, che era inteso a prevenire la lesione di un diritto di proprietà intellettuale, qualora nell’ambito di questa azione di risarcimento si ponga la questione del riconoscimento di una decisione emessa in tale altro Stato membro che constata il carattere ingiustificato di detto sequestro.

 Sulle spese

81      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 34, punto 1, del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, deve essere interpretato nel senso che il fatto che una decisione emessa in uno Stato membro sia contraria al diritto dell’Unione non giustifica che tale decisione non venga riconosciuta in un altro Stato membro sulla base del rilievo che essa viola l’ordine pubblico di quest’ultimo Stato, qualora l’errore di diritto invocato non costituisca una violazione manifesta di una norma giuridica considerata essenziale nell’ordinamento giuridico dell’Unione, e dunque in quello dello Stato membro richiesto, o di un diritto riconosciuto come fondamentale in tali ordinamenti giuridici. Non ricorre una violazione siffatta nel caso di un errore nell’applicazione di una disposizione quale l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 89/104/CE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992.

Il giudice dello Stato richiesto, quando verifica l’eventuale esistenza di una violazione manifesta dell’ordine pubblico di quest’ultimo, deve tener conto del fatto che, tranne in circostanze particolari che rendano eccessivamente difficile o impossibile l’esperimento dei mezzi di ricorso nello Stato membro di origine, i soggetti giuridici interessati devono avvalersi in tale Stato membro di tutti i rimedi giurisdizionali disponibili al fine di prevenire a monte una siffatta violazione.

2)      L’articolo 14 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso è applicabile alle spese giudiziarie sostenute dalle parti nell’ambito di un’azione di risarcimento proposta in uno Stato membro per il ristoro dei danni subiti in virtù di un sequestro eseguito in un altro Stato membro, che era inteso a prevenire la lesione di un diritto di proprietà intellettuale, qualora nell’ambito di questa azione di risarcimento si ponga la questione del riconoscimento di una decisione emessa in tale altro Stato membro che constata il carattere ingiustificato di detto sequestro.

Firme


* Lingua processuale: il neerlandese.