Language of document : ECLI:EU:C:2014:2010

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

19 giugno 2014 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Diritto dei brevetti – Prodotti fitosanitari – Certificato protettivo complementare – Regolamento (CE) n. 1610/96 – Articoli 1 e 3 – Nozioni di “prodotto” e di “sostanze attive” – Fitoprotettore»

Nella causa C‑11/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundespatentgericht (Germania), con decisione del 6 dicembre 2012, pervenuta in cancelleria il 10 gennaio 2013, nel procedimento

Bayer CropScience AG

contro

Deutsches Patent- und Markenamt,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da M. Ilešič, presidente di sezione, C. G. Fernlund (relatore), A. Ó Caoimh, C. Toader e E. Jarašiūnas, giudici,

avvocato generale: N. Jääskinen

cancelliere: K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 novembre 2013,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Bayer CropScience AG, da D. von Renesse, Patentanwältin;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da P. Ondrůšek e F. W. Bulst, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 febbraio 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 1 e 3 del regolamento (CE) n. 1610/96 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 1996, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari (GU L 198, pag. 30).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Bayer CropScience AG (in prosieguo: la «Bayer») e il Deutsches Patent- und Markenamt (Ufficio tedesco dei brevetti e dei marchi) in merito alla validità della decisione del 12 marzo 2007 con la quale tale ufficio ha rifiutato di rilasciare alla Bayer un certificato protettivo complementare.

 Contesto normativo

 La direttiva 91/414

3        La direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU L 230, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2006/136/CE della Commissione, dell’11 dicembre 2006 (GU L 349, pag. 42; in prosieguo: la «direttiva 91/414»), aveva introdotto norme uniformi riguardanti le condizioni e le procedure di autorizzazione all’immissione in commercio (in prosieguo: l’«AIC») dei prodotti fitosanitari, nonché della loro revisione e revoca. Essa era intesa non soltanto ad armonizzare le norme relative alle condizioni ed alle procedure di autorizzazione relative a tali prodotti, ma anche a garantire un livello elevato di tutela della salute umana e animale, nonché dell’ambiente, contro le minacce e i rischi indotti da un uso incontrollato di tali prodotti. La citata direttiva mirava inoltre ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione di detti prodotti.

4        Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 91/414, un prodotto fitosanitario poteva essere immesso in commercio e utilizzato in uno Stato membro soltanto se autorizzato dalle autorità competenti di quest’ultimo conformemente alle disposizioni di tale direttiva.

5        L’articolo 4 della direttiva in parola recitava:

«1.      Gli Stati membri prescrivono che un prodotto fitosanitario possa essere autorizzato soltanto se:

a)      le sue sostanze attive sono elencate nell’allegato I e sono soddisfatte le condizioni ivi stabilite e, per quanto concerne le lettere b), c), d), ed e) seguenti, in applicazione dei principi uniformi di cui all’allegato VI;

b)      è accertato, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e tecniche, e dimostrato dalla valutazione del fascicolo di cui all’allegato III, che se è utilizzato in conformità dell’articolo 3, paragrafo 3 e tenuto conto di tutte le condizioni normali d’impiego e delle conseguenze del suo uso, tale prodotto:

i)      è sufficientemente efficace;

ii)      non ha alcun effetto inaccettabile sui vegetali o sui prodotti vegetali;

iii)      non provoca sofferenze e dolori inaccettabili ai vertebrati da combattere;

iv)      non ha effetti nocivi, in maniera diretta o indiretta, sulla salute dell’uomo o degli animali (ad esempio attraverso l’acqua potabile, il cibo o i mangimi) o sulle acque sotterranee;

v)      non ha nessun influsso inaccettabile sull’ambiente, per quanto riguarda, in particolare:

–        il suo destino e la distribuzione nell’ambiente, con riferimento particolare alla contaminazione delle acque, ivi comprese quelle potabili e sotterranee,

–        l’impatto sulle specie non bersaglio;

c)      la natura e la quantità delle sostanze attive in esso contenute e, se del caso, delle sue impurezze e degli altri componenti significativi dal punto di vista tossicologico ed ecotossicologico, possono essere determinate con metodi adeguati, armonizzati secondo la procedura prevista all’articolo 21 o, in caso contrario, riconosciuti dalle autorità incaricate del rilascio dell’autorizzazione;

d)      i suoi residui, provenienti da un impiego autorizzato e che assumono un significato tossicologico o ambientale, possono essere determinati con metodi adeguati di uso corrente;

e)      le sue proprietà fisico-chimiche sono state determinate e giudicate accettabili per garantire una utilizzazione e un magazzinaggio adeguati;

f)      ove opportuno, i livelli massimi di residui (LMR) per i prodotti agricoli interessati dall’uso di cui all’autorizzazione sono fissati o modificati a norma del regolamento (CE) n. 396/2005 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 febbraio 2005, concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale e che modifica la direttiva 91/414 (GU L 70, pag. 1)].

2.      L’autorizzazione deve precisare i requisiti di commercializzazione ed uso del prodotto e almeno quelli necessari per essere in regola con le disposizioni del paragrafo 1, lettera b).

3.      Gli Stati membri provvedono affinché la conformità alle esigenze di cui al paragrafo 1, dalla lettera b) alla lettera f), sia accertata mediante prove e controlli ufficiali o ufficialmente riconosciuti, condotti in condizioni agricole, fitosanitarie e ambientali che siano adeguate all’impiego del prodotto fitosanitario in questione e rappresentative delle condizioni che ricorrono nei luoghi in cui il prodotto stesso dovrà essere utilizzato nel territorio dello Stato membro interessato.

4.      Fatte salve le disposizioni dei paragrafi 5 e 6, tali autorizzazioni sono concesse solo per una durata determinata non superiore a 10 anni, stabilita dagli Stati membri;  esse possono essere rinnovate dopo aver verificato che le condizioni di cui al paragrafo 1 continuano ad essere soddisfatte. I rinnovi possono essere accordati per il periodo necessario alle autorità competenti dello Stato membro per procedere a tale verifica, in caso di richiesta di rinnovo.

(...)».

 Il regolamento n. 1610/96

6        Dai considerando 5 e 6 del regolamento n. 1610/96 risulta che, anteriormente alla sua adozione, la durata della protezione effettiva conferita dal brevetto per ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca fitosanitaria e per generare le risorse necessarie al mantenimento di una ricerca efficiente era considerata insufficiente, penalizzando in tal modo la competitività di tale settore. Detto regolamento è diretto a colmare tale lacuna attraverso la creazione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari.

7        I considerando 11 e 16 di detto regolamento sono così formulati:

«(11)      considerando che la durata della protezione conferita dal certificato deve essere fissata in modo da permettere una protezione effettiva sufficiente; che, a tal fine, il titolare di un brevetto e del relativo certificato deve poter beneficiare, complessivamente, di quindici anni al massimo di esclusiva, a partire dalla prima [AIC] nella Comunità del prodotto fitosanitario in questione;

(...)

(16)      considerando che soltanto un’azione a livello comunitario permette di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito, che consiste nell’assicurare una protezione sufficiente dell’innovazione nel campo fitosanitario, garantendo al contempo il funzionamento adeguato del mercato interno dei prodotti fitosanitari».

8        L’articolo 1 del regolamento n. 1610/96 precisa quanto segue:

«Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

1)      “prodotti fitosanitari”: le sostanze attive e i preparati contenenti una o più sostanze attive, presentate nella forma in cui vengono consegnate all’utilizzatore e destinate a:

a)      proteggere i vegetali o i prodotti vegetali da tutti gli organismi nocivi o a prevenirne gli effetti, sempreché tali sostanze o preparati non siano altrimenti definiti nelle successive disposizioni;

b)      influire sui processi vitali dei vegetali, senza peraltro fungere da fertilizzanti (ad esempio, i regolatori di crescita);

c)      conservare i prodotti vegetali, sempreché tali sostanze o prodotti non siano disciplinati da disposizioni speciali del Consiglio o della Commissione in materia di conservanti;

d)      eliminare i vegetali indesiderati;

o

e)      eliminare parti di vegetali, frenare o evitare una crescita indesiderata dei vegetali;

2)      “sostanze”: gli elementi chimici ed i loro composti, allo stato naturale o sotto forma di prodotti industriali, inclusa qualsiasi impurità che derivi inevitabilmente dal processo di fabbricazione;

3)      “sostanze attive”: le sostanze o i microorganismi, compresi i virus, aventi un’azione generale o specifica:

a)      sugli organismi nocivi o

b)      sui vegetali, parti di vegetali o prodotti vegetali;

4)      “preparazione”: le miscele o le soluzioni composte da due o più sostanze, di cui almeno una sostanza attiva, destinate ad essere utilizzate come prodotti fitosanitari;

5)      “vegetali”: piante vive o parti vive di piante, compresi frutti freschi e sementi;

6)      “prodotti vegetali”: prodotti di origine vegetale non trasformati o che hanno subito solo un trattamento semplice quale la macinazione, l’essiccazione o la compressione, sempreché non si tratti di vegetali come definiti al punto 5;

7)      “organismi nocivi”: parassiti dei vegetali o dei prodotti vegetali, appartenenti ai regni animale o vegetale, nonché i virus, i batteri, i micoplasmi o altri agenti patogeni;

8)      “prodotto”: la sostanza attiva quale definita al punto 3) o la composizione di sostanze attive di un prodotto fitosanitario;

9)      “brevetto di base”: un brevetto che protegge un prodotto quale definito al punto 8), in quanto tale, un preparato quale definito al punto 4), un processo di ottenimento di un prodotto o un’applicazione di un prodotto e che è designato dal suo titolare ai fini della procedura di rilascio di un certificato;

10)      “certificato”: il certificato protettivo complementare».

9        L’articolo 2 del regolamento n. 1610/96, intitolato «Campo di applicazione», così dispone:

«Ogni prodotto protetto da un brevetto nel territorio di uno Stato membro e soggetto, in quanto prodotto fitosanitario, prima dell’immissione in commercio, ad una procedura di autorizzazione amministrativa ai sensi dell’articolo 4 della direttiva [91/414] — o in base ad una disposizione equivalente di diritto nazionale se si tratta di un prodotto fitosanitario per il quale la domanda di autorizzazione è stata depositata prima della attuazione della direttiva [91/414] da parte del rispettivo Stato membro —, può formare oggetto di un certificato, alle condizioni e secondo le modalità previste nel presente regolamento».

10      L’articolo 3 di tale regolamento, rubricato «Condizioni di rilascio del certificato», prevede al suo paragrafo 1 quanto segue:

«Il certificato viene rilasciato se, nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7, e alla data di tale domanda:

a)      il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore;

b)      per il prodotto, in quanto prodotto fitosanitario, è stata rilasciata un’[AIC], in vigore, (…) a norma dell’articolo 4 della direttiva [91/414] o di una disposizione equivalente di diritto nazionale;

c)      il prodotto non è già stato oggetto di un certificato;

d)      l’autorizzazione di cui alla lettera b) è la prima [AIC] del prodotto, in quanto prodotto fitosanitario».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

11      La Bayer è titolare di un brevetto europeo, concesso per la Germania, recante il titolo «Sostituti dell’isoxazoline, procedimento di fabbricazione, prodotti che li contengono e loro impiego come riduttori di fitotossicità». Tale brevetto copre anche l’isoxadifen, un antidoto agronomico.

12      Il 10 luglio 2003, la Bayer presentava al Deutsches Patent- und Markenamt una richiesta di certificato protettivo complementare per l’isoxadifen e suoi sali ed esteri. Tale domanda si basava sull’AIC provvisoria, rilasciata dalle autorità tedesche il 21 marzo 2003, conformemente all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 91/414, per un prodotto fitosanitario ad uso erbicida, il cui nome commerciale è MaisTer. Tale prodotto è composto da foramsulfuron, isoxadifen e iodosulfuron.

13      A sostegno della sua domanda, la Bayer aveva indicato, come prima AIC nell’Unione europea, quella rilasciata il 10 aprile 2001 dalle autorità italiane per un prodotto fitosanitario commercializzato con il nome Ricestar, composto delle sostanze fenoxaprop-p-etile e isoxadifen-etile.

14      Il Deutsches Patent- und Markenamt ha respinto tale richiesta con decisione del 12 marzo 2007, sulla base, sostanzialmente, di tre motivi. In primo luogo l’AIC concessa il 21 marzo 2003 era un’AIC provvisoria; in secondo luogo, la richiesta di certificato protettivo complementare si riferiva ad un’unica sostanza attiva, mentre tale AIC aveva ad oggetto una composizione di sostanze attive e, in terzo luogo, non era possibile basarsi sull’AIC rilasciata il 10 aprile 2001, essendo stata questa concessa per una composizione di sostanze attive diversa da quella oggetto dell’AIC del 21 marzo 2003.

15      Avverso tale decisione la Bayer ha proposto un ricorso che costituisce l’oggetto del procedimento principale. Il giudice del rinvio constata che, dall’adozione della citata decisione, la Corte ha pronunciato numerose sentenze pertinenti ai fini della causa principale. Secondo tale giudice, nella sentenza Hogan Lovells International (C‑229/09, EU:C:2010:673), la Corte ha statuito che un certificato protettivo complementare può essere rilasciato sulla base di un’AIC provvisoria. Detto giudice aggiunge che, nelle sentenze Medeva (C‑322/10, EU:C:2011:773) nonché Georgetown University e a. (C‑422/10, EU:C:2011:776), la Corte ha interpretato il regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e de Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali (GU L 152, pag. 1), nel senso che una richiesta di certificato protettivo complementare per un solo principio attivo non può essere respinta in ragione del fatto che quest’ultimo non è l’unico principio attivo rientrante nella composizione del medicinale di cui trattasi.

16      In considerazione di tali elementi, il giudice del rinvio ritiene che sia ormai possibile concedere un certificato protettivo complementare sulla base dell’AIC provvisoria concessa il 21 marzo 2003 e calcolare la durata del certificato protettivo complementare prendendo in considerazione l’AIC rilasciata dalle autorità italiane il 10 aprile 2001 per il Ricestar, anche se questo presenta una composizione di sostanze che non è identica a quella del MaisTer.

17      Il giudice del rinvio nutre tuttavia dubbi sul fatto che un antidoto agronomico possa essere oggetto di un certificato protettivo complementare. Esso rammenta che l’articolo 2 del regolamento n. 1610/96 consente che un siffatto certificato sia concesso per prodotti protetti da un brevetto e soggetti, in quanto prodotti fitosanitari, ad una AIC, conformemente all’articolo 4 della direttiva 91/414. Esso precisa che la nozione di «prodotti fitosanitari» è definita nell’articolo 1, punto 1, lettera a), del regolamento n. 1610/96, con riferimento alle sostanze attive da essi contenute, le quali sono destinate a proteggere le piante dagli organismi nocivi. Orbene, secondo il giudice del rinvio, gli antidoti agronomici non producono simili effetti, bensì sono volti ad inibire gli effetti dannosi di una sostanza attiva erbicida, al fine di aumentarne l’efficacia.

18      Tenuto conto dell’effetto perlopiù indiretto di un antidoto agronomico sulle piante o sugli organismi nocivi, il giudice del rinvio si chiede se sia possibile considerare che tale tipo di sostanza rientra nella nozione di «sostanze attive» ai sensi del regolamento n. 1610/96.

19      Per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 1 di tale regolamento, detto giudice ritiene che un antidoto agronomico possa costituire una sostanza attiva tenuto conto dei suoi effetti sugli organismi bersaglio. Esso rileva tuttavia diverse fonti di conflitto con la giurisprudenza esistente che una siffatta interpretazione implicherebbe.

20      Infatti, nella sentenza Massachusetts Institute of Technology (C‑431/04, EU:C:2006:291), la Corte avrebbe deciso, in materia di medicinali ad uso umano, che un eccipiente, cioè una sostanza che non esercita alcun effetto terapeutico proprio, non rientra nella nozione di «principio attivo» di cui al regolamento (CEE) n. 1768/92 del Consiglio, del 18 giugno 1992, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali (GU L 182, pag. 1). Tale sentenza della Corte potrebbe, a parere del giudice del rinvio, condurre a limitare la nozione di «sostanze attive» soltanto alle sostanze che svolgono un’azione fitosanitaria propria diretta. Tuttavia, tale giudice considera che il funzionamento di un antidoto agronomico non è equiparabile tout court a quello di un eccipiente di un medicinale e precisa che, difatti, un antidoto agronomico è a volte indispensabile per l’uso di una sostanza attiva.

21      Inoltre, il giudice del rinvio, facendo riferimento alla sentenza Söll (C‑420/10, EU:C:2012:111), rileva che la Corte ha già statuito che la nozione di «biocidi» comprende anche i prodotti che agiscono in modo solo indiretto sugli organismi nocivi bersaglio, in quanto contengono una o più sostanze attive necessarie al processo che realizza l’azione voluta.

22      Inoltre, tale giudice evidenzia che l’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1107/2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414 (GU L 309, pag. 1) potrebbe contribuire a precisare il contenuto delle nozioni di «prodotto» e di «sostanze attive». Tali nozioni, come impiegate nel regolamento n. 1610/96, sono state riprese nella direttiva 91/414. Orbene, tale direttiva è stata abrogata e sostituita dal regolamento n. 1107/2009. Quest’ultimo distinguerebbe ormai le nozioni di sostanza attiva, di antidoto agronomico, di sinergizzante, di coformulante e di coadiuvante. L’articolo 2, paragrafo 3, lettera a), del regolamento n. 1107/2009 descriverebbe quindi gli antidoti agronomici come «sostanze o preparati che vengono aggiunti a un prodotto fitosanitario per eliminare o ridurre gli effetti fitotossici del prodotto fitosanitario su certi vegetali».

23      Il giudice del rinvio illustra che il regolamento n. 1610/96 non è stato modificato dopo l’adozione del regolamento n. 1107/2009. Tuttavia, in forza del collegamento esistente tra tali due regolamenti, la nozione di «sostanze attive» dovrebbe essere interpretata nello stesso modo in entrambi i regolamenti. Di conseguenza, un certificato protettivo complementare non potrebbe essere rilasciato per un antidoto agronomico.

24      Inoltre, a partire dal 2005, su iniziativa della Commissione, la Repubblica federale di Germania avrebbe abbandonato la sua prassi consistente nel dichiarare e classificare gli antidoti agronomici applicando le stesse regole valide per le sostanze attive. Di conseguenza, il giudice del rinvio indica che risulterebbe impossibile, in pratica, per il titolare di un brevetto relativo ad un antidoto agronomico, il quale intenda ottenere un certificato protettivo complementare senza disporre di un’AIC per un prodotto fitosanitario, stabilire se un terzo possieda una siffatta AIC. Secondo tale giudice, ciò potrebbe lasciare intendere che non si è voluto riservare agli antidoti agronomici lo stesso trattamento delle sostanze attive.

25      Il giudice del rinvio rileva tuttavia che tale approccio contrasta con il fatto che, durante la vigenza del regolamento n. 1107/2009, le condizioni materiali per l’approvazione di un antidoto agronomico sono in larga parte le stesse previste per l’approvazione di una sostanza attiva. Vi sarebbe, tra le due procedure di cui trattasi, un «nesso di equivalenza funzionale», ai sensi della sentenza Hogan Lovells International (EU:C:2010:673). Pertanto, la procedura di rilascio di un’AIC per un antidoto agronomico potrebbe richiedere tanto tempo quanto quella di una sostanza attiva. Tenuto conto dello scopo del regolamento n. 1610/96, ciò potrebbe giustificare il rilascio di un certificato protettivo complementare.

26      Nella specie, il giudice del rinvio sottolinea che l’isoxadifen è stato oggetto di esame in occasione della procedura di AIC provvisoria di un prodotto contenente due altre sostanze attive. La durata di tale procedura avrebbe ridotto la durata effettiva della tutela del brevetto. Pertanto, potrebbe essere giustificato accordare un certificato protettivo complementare a tale sostanza. Tuttavia, secondo tale giudice, una siffatta interpretazione potrebbe essere in contrasto con la giurisprudenza derivante dalla sentenza BASF (C‑258/99, EU:C:2001:261, punto 31), nella quale la Corte ha dichiarato che l’AIC non figura tra i criteri previsti dal regolamento n. 1610/96 per definire la nozione di «prodotto».

27      Alla luce di queste considerazioni, il Bundespatentgericht ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la nozione di “prodotto” di cui all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 1, punto 8, (…) nonché la nozione di “sostanze attive” di cui all’articolo 1, punto 3, del [regolamento n. 1610/96] debbano essere interpretate nel senso che ricomprendono anche un antidoto agronomico».

 Sulla questione pregiudiziale

28      Per rispondere alla questione sottoposta dal giudice del rinvio, con la quale quest’ultimo mira a determinare se il regolamento n. 1610/96 consenta il rilascio di un certificato protettivo complementare per un brevetto relativo ad un antidoto agronomico, occorre rilevare che nessuna disposizione espressa di tale regolamento autorizza né esclude specificatamente una simile possibilità.

29      L’articolo 2 del regolamento n. 1610/96 prevede che «[o]gni prodotto protetto da un brevetto nel territorio di uno Stato membro e soggetto, in quanto prodotto fitosanitario, prima dell’immissione in commercio, ad una procedura di autorizzazione amministrativa ai sensi dell’articolo 4 della direttiva [91/414] — o in base ad una disposizione equivalente di diritto nazionale se si tratta di un prodotto fitosanitario per il quale la domanda di autorizzazione è stata depositata prima della attuazione della direttiva [91/414] da parte del rispettivo Stato membro —, può formare oggetto di un certificato, alle condizioni e secondo le modalità previste nel presente regolamento».

30      La nozione di «prodotto» è definita nell’articolo 1, punto 8, del regolamento n. 1610/96 come «la sostanza attiva (…) o la composizione di sostanze attive di un prodotto fitosanitario».

31      Per quanto riguarda le «sostanze attive», esse sono definite nell’articolo 1, punto 3, di tale regolamento come «le sostanze o i microrganismi, compresi i virus, aventi un’azione generale o specifica (…) sugli organismi nocivi o (…) sui vegetali, parti di vegetali o prodotti vegetali».

32      La nozione di «sostanze attive» è utilizzata, nell’articolo 1, punto 1, del citato regolamento, per definire la nozione di «prodotti fitosanitari». Tale disposizione si riferisce agli usi cui sono destinate le sostanze attive che rientrano nella composizione dei prodotti fitosanitari. Ai sensi di tale disposizione, tali usi possono consistere nel «(...) proteggere i vegetali o i prodotti vegetali da tutti gli organismi nocivi o a prevenirne gli effetti (…); (…) influire sui processi vitali dei vegetali, senza peraltro fungere da fertilizzanti (ad esempio, i regolatori di crescita); (…) conservare i prodotti vegetali (…); (…) eliminare i vegetali indesiderati (o) eliminare parti di vegetali, frenare o evitare una crescita indesiderata dei vegetali».

33      Emerge da tali elementi che la nozione di «sostanze attive», ai fini dell’applicazione del regolamento n. 1610/96, si riferisce alle sostanze che svolgono un’azione tossica, fitotossica o fitosanitaria propria. Occorre, a tale proposito, sottolineare che, poiché il regolamento n. 1610/96 non opera alcuna distinzione a seconda della natura diretta o indiretta di tale azione, non si deve limitare la nozione di «sostanze attive» a quelle la cui azione può essere qualificata come diretta (v., per analogia, per quanto riguarda i prodotti medicinali, sentenza Chemische Fabrik Kreussler, C‑308/11, EU:C:2012:548, punto 36, e, relativamente ai biocidi, sentenza Söll, EU:C:2012:111, punto 31).

34      Per contro, una sostanza priva di una siffatta azione tossica, fitotossica o fitosanitaria non può essere considerata una «sostanza attiva», ai sensi del regolamento n. 1610/96 e, di conseguenza, non può dare luogo al rilascio di un certificato protettivo complementare. Tale interpretazione corrisponde a quella prevalente in materia di medicinali, atteso che la Corte ha già avuto modo di statuire che una sostanza priva di effetti terapeutici propri, come un eccipiente o un coadiuvante, non costituisce un principio attivo e, di conseguenza, non può dare luogo al rilascio di un certificato protettivo complementare (sentenza Massachusetts Institute of Technology, EU:C:2006:291, punto 25, e ordinanza Glaxosmithkline Biologicals e Glaxosmithkline Biologicals, Niederlassung der Smithkline Beecham Pharma, C‑210/13, EU:C:2013:762, punto 35).

35      La risposta alla questione se un antidoto agronomico sia una sostanza attiva, ai sensi dell’articolo 1, punto 3, del regolamento n. 1610/96, dipende, di conseguenza, dalla circostanza se tale sostanza svolga un’azione tossica, fitotossica o fitosanitaria propria. Se ciò si verifica, essa rientra nella nozione di «prodotto», ai sensi dell’articolo 1, punto 8, di tale regolamento, e può, quindi, alla condizioni previste nell’articolo 3 del regolamento n. 1610/96, dare luogo al rilascio di un certificato protettivo complementare.

36      Emerge dai chiarimenti forniti dal giudice del rinvio, come anche dalle osservazioni presentate dalla Bayer e dalla Commissione, che gli antidoti agronomici che rientrano nella composizione di prodotti fitosanitari sono volti a ridurre gli effetti tossici di questi ultimi su talune piante. Gli antidoti agronomici possono quindi aumentare l’efficacia di un prodotto fitosanitario migliorando la sua selettività e limitandone gli effetti tossici o ecotossici. Occorre rilevare, a tale proposito, che l’articolo 2 del regolamento n. 1107/2009, il quale non era applicabile all’epoca dei fatti controversi nella causa principale, definisce gli antidoti agronomici come determinate «sostanze o preparati (…) aggiunti ad un prodotto fitosanitario per eliminare o ridurre gli effetti fitotossici del prodotto fitosanitario su certi vegetali».

37      Spetta al giudice nazionale investito della controversia principale verificare, alla luce di tutti gli elementi di fatto e scientifici pertinenti, se la sostanza di cui trattasi nella causa principale, a causa dell’azione da essa svolta in quanto antidoto agronomico, possa essere qualificata come «sostanza attiva», ai sensi dell’articolo 1, punto 3, del regolamento n. 1610/96.

38      Occorre tuttavia rilevare che, anche se è necessario l’accertamento di tale qualificazione, esso non è tuttavia sufficiente a determinare se un antidoto agronomico possa dare luogo al rilascio di un certificato protettivo complementare. Infatti, è necessario che siano soddisfatte le quattro condizioni cumulative elencate nell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1610/96. Tale disposizione prevede, in sostanza, che un certificato protettivo complementare possa essere rilasciato solo se, alla data della domanda, il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore e non è già stato oggetto di un certificato. Inoltre, occorre che tale prodotto abbia ottenuto un’AIC in vigore «a norma dell’articolo 4 della direttiva 91/414 o di una disposizione equivalente di diritto nazionale» e, infine, che tale AIC sia la prima del prodotto in quanto prodotto fitosanitario (v., in tal senso, sentenza Hogan Lovells International, EU:C:2010:673, punto 51).

39      A tale proposito, occorre rammentare che il regolamento n. 1610/96 è diretto a limitare l’erosione della tutela effettiva accordata alle invenzioni brevettate nel settore fitosanitario, a causa, in particolare, dei tempi di ottenimento delle AIC. Il certificato protettivo complementare è diretto a ristabilire una durata di tutela effettiva sufficiente del brevetto, permettendo al suo titolare di beneficiare di un periodo di esclusiva aggiuntivo alla scadenza del brevetto di base destinato a compensare, almeno parzialmente, il ritardo accumulato nello sfruttamento commerciale della sua invenzione a causa del lasso di tempo che è trascorso tra la data del deposito della domanda di brevetto e quella dell’ottenimento della prima AIC nell’Unione (sentenza Hogan Lovells International, EU:C:2010:673, punti 49 e 50).

40      In presenza di circostanze come quelle oggetto della causa principale spetta, quindi, al giudice nazionale investito della controversia verificare se, come previsto dall’articolo 3 del regolamento n. 1610/96, il prodotto, nella cui composizione rientra l’antidoto agronomico in parola, disponga, in quanto prodotto fitosanitario, nel territorio dello Stato membro, di un’AIC in vigore «a norma dell’articolo 4 della direttiva 91/414 o di una disposizione equivalente di diritto nazionale». Quest’ultima condizione dev’essere interpretata alla luce dell’articolo 2 di tale regolamento, dal quale emerge che la disposizione equivalente di diritto nazionale di cui trattasi è quella relativa alla situazione dei prodotti fitosanitari «per [i quali] la domanda di autorizzazione è stata depositata prima della attuazione della direttiva [91/414] da parte del rispettivo Stato membro».

41      Sia il giudice del rinvio sia il governo polacco e la Commissione hanno evidenziato che, durante la vigenza della direttiva 91/414, gli antidoti agronomici non erano assimilati alle sostanze attive e, di conseguenza, non erano soggetti alla procedura di iscrizione nell’allegato I di tale direttiva. Secondo la Commissione, gli antidoti agronomici, nell’ambito dell’applicazione della direttiva 91/414, sono stati considerati, tutt’al più, come semplici «coformulanti».

42      Occorre tuttavia constatare che, come evidenziato dall’avvocato generale al paragrafo 39 delle sue conclusioni, anche se la direttiva 91/414 non è priva di rilevanza ai fini dell’applicazione del regolamento n. 1610/96, il rilascio di un certificato protettivo complementare resta autonomamente disciplinato da tale regolamento. Quindi, anche se nessun antidoto agronomico sarebbe stato iscritto nell’allegato I della direttiva 91/414 in quanto sostanza attiva, una siffatta circostanza non consente di dedurne in via definitiva che lo sfruttamento commerciale di un brevetto relativo ad un antidoto agronomico non sia stato ritardato a causa della durata del rilascio di un’AIC «a norma dell’articolo 4 della direttiva 91/414 o di una disposizione equivalente di diritto nazionale», ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 1610/96.

43      Infatti, va ricordato che la procedura d’AIC di cui all’articolo 4 della direttiva 91/414 richiede la presentazione del fascicolo previsto all’allegato III di tale direttiva e volto a dimostrare, in particolare, l’efficacia e gli effetti di un prodotto fitosanitario. Tale fascicolo deve comprendere, tra l’altro, dati riguardanti i coformulanti di cui al punto 1.4.4. della parte A di tale allegato III, a titolo dei quali compaiono gli antidoti agronomici. Pertanto, non si può escludere che la presentazione di un fascicolo conforme ai requisiti stabiliti nel citato allegato III per il rilascio di un’AIC per un prodotto fitosanitario che contiene un antidoto agronomico abbia ritardato lo sfruttamento commerciale di un brevetto relativo a tale antidoto agronomico.

44      Si deve rilevare, a tale proposito, che il giudice del rinvio ha specificatamente indicato che l’isoxadifen è stato oggetto di esame in occasione della procedura di AIC provvisoria di un prodotto contenente due altre sostanze attive e che la durata di tale procedura ha ridotto la durata effettiva di tutela del brevetto. Tali constatazioni, che ricadono nella competenza del solo giudice nazionale investito della controversia principale, possono consentire di considerare soddisfatta la condizione di cui all’articolo 3 del regolamento n. 1610/96, relativa all’esistenza di un’AIC in vigore ottenuta a norma dell’articolo 4 della direttiva 91/414.

45      Emerge da tutte le considerazioni suesposte che occorre rispondere alla questione sottoposta dichiarando che la nozione di «prodotto», di cui all’articolo 1, punto 8, e all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1610/96, nonché la nozione di «sostanze attive», di cui all’articolo 1, punto 3, di tale regolamento, devono essere interpretate nel senso che può essere compresa in tali nozioni una sostanza destinata ad un uso fitoprotettore, nei limiti in cui essa svolge un’azione tossica, fitotossica o fitosanitaria propria.

 Sulle spese

46      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

La nozione di «prodotto», di cui all’articolo 1, punto 8, e all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1610/96 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 1996, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari, nonché la nozione di «sostanze attive», di cui all’articolo 1, punto 3, di tale regolamento, devono essere interpretate nel senso che può essere compresa in tali nozioni una sostanza destinata ad un uso fitoprotettore, nei limiti in cui essa svolge un’azione tossica, fitotossica o fitosanitaria propria.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.