Language of document : ECLI:EU:C:2014:85

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 12 febbraio 2014 (1)

Causa C‑26/13

Árpád Kásler,

Hajnalka Káslerné Rábai

contro

OTP Jelzálogbank Zrt

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Kúria (Ungheria)]

«Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 4, paragrafo 2, e articolo 6, paragrafo 1 – Clausole sottratte alla valutazione relativa al loro carattere abusivo – Clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione del prezzo redatte in modo chiaro e comprensibile – Contratti di credito espressi in valuta estera – Differenziale tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita della valuta estera – Poteri del giudice nazionale in presenza di una clausola qualificata come abusiva»





1.        La presente causa si inserisce nel contesto dell’offerta di contratti di crediti al consumo espressi in valute estere. Il ricorso a questo tipo di contratti – che costituisce una prassi relativamente corrente in taluni Stati membri dell’Unione europea e che, prima facie, può essere ritenuto attraente dai prenditori per via del tasso di interesse inferiore a quello generalmente applicato – a seguito della crisi finanziaria internazionale della fine degli anni 2000, si è rivelato problematico per molti privati per via del forte deprezzamento di talune valute rispetto alla valuta estera considerata (in particolare il franco svizzero). Questi privati si sono trovati obbligati a rimborsare rate mensili, espresse in valuta nazionale, considerevolmente più elevate di quelle che avrebbero dovuto pagare se fossero state calcolate in base al tasso di cambio storico, applicabile al momento dell’erogazione del prestito. Le insoddisfazioni osservate sono state tali che, di riflesso, il settore bancario di taluni Stati membri ne è risultato notevolmente colpito (2).

2.        Tuttavia, le questioni sollevate nella fattispecie dalla Kúria (Ungheria) non vertono direttamente sulla compatibilità di tale prassi (3) con il diritto dell’Unione o sulla questione se le disposizioni di contratti di credito al consumo, per il sol fatto che sono espresse in valute non nazionali, possano o debbano essere dichiarate abusive, ma sulla circostanza se, e in quale misura, le clausole contrattuali che determinano i tassi di cambio rispettivamente applicabili all’erogazione e al rimborso del prestito rientrino tra quelle che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE (4), sono sottratte alla valutazione del loro carattere eventualmente abusivo in quanto, in primo luogo, si riferiscono all’oggetto principale e/o al rapporto qualità/prezzo dei servizi o dei beni forniti e, in secondo luogo, sono redatte in modo chiaro e comprensibile. Il giudice del rinvio interroga altresì la Corte sulle conseguenze che, all’occorrenza, in particolare ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice nazionale deve trarre in presenza di clausole contrattuali che è condotto a qualificare come abusive.

3.        Sebbene le questioni sollevate abbiano, in gran parte, carattere inedito, in quanto mirano a ottenere delle precisazioni sulla portata delle nozioni contemplate nella clausola detta di esclusione che compare all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la risposta da fornire dovrà necessariamente iscriversi nel solco degli insegnamenti della giurisprudenza in materia di protezione dei consumatori. In tal senso, sono del parere che nella fattispecie occorra trovare un punto di equilibrio tra l’obiettivo di protezione dei consumatori perseguito dalla direttiva 93/13, da un lato, e, dall’altro, la possibilità, espressa dall’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, di preservare, in una certa misura, i principi di autonomia della volontà e di libertà contrattuale e, più essenzialmente, la necessità – tenuto conto della natura eminentemente casistica del sistema predisposto da tale direttiva – di lasciare al giudice nazionale il compito di stabilire se le clausole contrattuali delle quali deve conoscere rientrino tra quelle di cui può valutare il carattere abusivo.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

4.        I considerando 12 e 19 della direttiva 93/13 enunciano:

«considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della (...) direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato [CEE], un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della (...) direttiva;

(…)

considerando che, ai fini della (...) direttiva, la valutazione del carattere abusivo non deve vertere su clausole che illustrano l’oggetto principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione; che, nella valutazione del carattere abusivo di altre clausole, si può comunque tener conto dell’oggetto principale del contratto e del rapporto qualità/prezzo (…)».

5.        L’articolo 3 della direttiva in parola recita:

«1.      Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

(…)

3.      L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive».

6.        L’articolo 4 della direttiva 93/13 così recita:

«1.      Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.      La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

7.        Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

8.        Il punto 1, lettere j) e l), dell’allegato della direttiva 93/13, relativo alle clausole contemplate all’articolo 3, paragrafo 3, della stessa, menziona le «[c]lausole che hanno per oggetto o per effetto di: (…) j) autorizzare il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza valido motivo specificato nel contratto stesso; (…) l) (…) permettere (…) al fornitore di servizi di aumentare [il loro] prezzo, senza che (…) il consumatore abbia il diritto corrispondente di recedere dal contratto se il prezzo finale è troppo elevato rispetto al prezzo concordato al momento della conclusione del contratto».

9.        Il punto 2 di detto allegato prevede, sub lettera b), che «la lettera j) non si oppone a clausole con cui il fornitore di servizi finanziari si riserva il diritto di modificare senza preavviso, qualora vi sia un valido motivo, il tasso di interesse di un prestito o di un credito da lui concesso o l’importo di tutti gli altri oneri relativi a servizi finanziari, a condizione che sia fatto obbligo al professionista di informare l’altra o le altre parti contraenti con la massima rapidità e che queste ultime siano libere di recedere immediatamente dal contratto», e sub lettera d), che «la lettera l) non si oppone alle clausole di indicizzazione dei prezzi, se permesse dalla legge, a condizione che le modalità di variazione vi siano esplicitamente descritte».

B –    Il diritto ungherese

10.      L’articolo 209 del codice civile ungherese, nella sua versione applicabile alla data della conclusione del contratto di prestito in questione nella controversia di cui al procedimento principale, disponeva:

«1.      Una clausola contrattuale generale, o una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale di un contratto stipulato con un consumatore, è abusiva se, in violazione dei requisiti di buona fede e di equità, determina, unilateralmente e senza giustificato motivo, i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto, in modo tale da svantaggiare la controparte di colui che impone la clausola contrattuale di cui trattasi.

2.      In sede di accertamento del carattere abusivo di una clausola, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze esistenti alla data della stipulazione del contratto e che hanno determinato la conclusione dello stesso, nonché la natura della prestazione convenuta e la relazione della clausola in questione con altre clausole del contratto o con altri contratti.

(…)

4.      Le disposizioni relative alle clausole contrattuali abusive non possono essere applicate alle clausole contrattuali che definiscono l’oggetto principale del contratto né a quelle che determinano l’equilibrio tra prestazione e controprestazione.

(…)».

11.      A far data dal 22 maggio 2009, i paragrafi 4 e 5 dell’articolo 209 del codice civile ungherese sono stati modificati nel modo seguente:

«4.      Una clausola contrattuale generale, o una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale di un contratto stipulato con un consumatore, è altresì abusiva per il sol fatto di non essere redatta in modo chiaro o comprensibile.

5.      Le disposizioni relative alle clausole contrattuali abusive non possono essere applicate alle clausole contrattuali che definiscono l’oggetto principale del contratto né a quelle che determinano l’equilibrio tra prestazione e controprestazione, a condizione che dette clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile».

12.      Ai sensi dell’articolo 237 dello stesso codice:

«1.      In caso di contratto invalido, occorre ripristinare la situazione preesistente alla conclusione di detto contratto.

2.      Se non è possibile ripristinare la situazione preesistente alla conclusione del contratto, il giudice può dichiarare il contratto applicabile fino alla sua pronuncia. Un contratto invalido può essere dichiarato valido se è possibile rimuovere la causa di invalidità, in particolare in caso di sproporzione tra le prestazioni delle parti in un contratto usurario mediante l’eliminazione del vantaggio sproporzionato. In questi casi, si deve ordinare, all’occorrenza, la restituzione della prestazione che resta dovuta in assenza di controprestazione».

13.      L’articolo 239 del codice civile ungherese così recita:

«1.      In caso di parziale invalidità di un contratto, il contratto è interamente viziato solo se non può essere eseguito in mancanza della parte invalida. Delle disposizioni di legge possono derogare alla presente disposizione.

2.      In caso di parziale invalidità di un contratto stipulato con un consumatore, il contratto è interamente viziato solo se non può essere eseguito in mancanza della parte invalida».

14.      Ai sensi dell’articolo 239/A, paragrafo 1, del codice in parola:

«La parte può chiedere al giudice di accertare l’invalidità del contratto o di talune clausole del contratto (invalidità parziale), anche qualora non chieda altresì l’applicazione delle conseguenze connesse a tale invalidità».

II – La controversia di cui al procedimento principale, le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte

15.      Il 29 maggio 2008, il sig. Kásler e la sig.ra Káslerné Rábai (in prosieguo: i «ricorrenti nel procedimento principale») hanno concluso con OTP Jelzálogbank Zrt (in prosieguo: la «convenuta nel procedimento principale») un contratto denominato «prestito ipotecario espresso in valuta estera garantito mediante ipoteca».

16.      In conformità al punto I/1 del contratto, la parte convenuta nel procedimento principale accordava ai ricorrenti nel procedimento principale un prestito dell’importo di 14 400 000 HUF, con la precisazione che «l’importo in valuta estera del prestito è stabilito in base al tasso di cambio all’acquisto della valuta applicato dalla banca alla data di erogazione dei fondi». Secondo il disposto del punto I del contratto, i ricorrenti nel procedimento principale avevano preso atto che «dopo l’erogazione dei fondi, l’importo del prestito, dei relativi interessi e delle spese di gestione, nonché l’importo degli interessi moratori e delle altre spese saranno fissati in valuta estera». In base al tasso di cambio all’acquisto dei franchi svizzeri applicato dalla convenuta nel procedimento principale al momento dell’erogazione dei fondi, l’equivalente in franchi svizzeri (CHF) di detto importo in HUF è stato fissato in 94 240,84 CHF. I ricorrenti nel procedimento principale erano tenuti a rimborsare tale somma in 25 anni, con esigibilità di ogni rata mensile al 4º giorno di ogni mese.

17.      In forza del punto II del contratto, su tale prestito è stato fissato un tasso di interesse nominale del 5,2% il quale, aumentato di spese di gestione dell’ordine del 2,04%, comportava un tasso annuo effettivo globale (TAEG) del 7,43% alla data di conclusione del contratto in parola.

18.      Infine, ai sensi del punto III/2 del contratto, «il creditore determina l’importo in HUF di ogni rata mensile che deve essere corrisposto in base al tasso di cambio applicato dalla banca alla vendita della valuta [estera] il giorno precedente la data di esigibilità».

19.      I ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto un ricorso nei confronti della convenuta nel procedimento principale, allegando il carattere abusivo del punto III/2 del contratto. Essi hanno affermato che tale clausola, dal momento che consentiva alla banca di calcolare le rate mensili di rimborso esigibili in base al tasso di cambio alla vendita della valuta da essa applicato, le conferiva un vantaggio unilaterale e indebito ai sensi dell’articolo 209 del codice civile ungherese.

20.      Il giudice di primo grado ha accolto tale ricorso. Questa sentenza è stata successivamente confermata in appello. Nella sua sentenza, il giudice di appello ha ritenuto in particolare che, nel quadro di un’operazione di prestito come quella in questione nel procedimento principale, la banca non mette a disposizione del cliente delle valute estere e, inoltre, non gli fornisce alcun servizio finanziario relativo all’acquisto o alla vendita di valute, di modo che, ai fini dell’ammortamento del prestito, la banca non può applicare un tasso di cambio differente da quello che è stato utilizzato al momento della sua erogazione. Detto giudice ha ritenuto altresì che la clausola controversa non sia chiara e comprensibile, in quanto non consentirebbe di conoscere le ragioni che giustificano una modalità di calcolo del prestito differente a seconda che si tratti della sua erogazione o del suo ammortamento.

21.      La convenuta nel procedimento principale ha quindi proposto un ricorso avverso la sentenza resa in appello.

22.      In particolare, essa ha sostenuto che la clausola controversa – dal momento che le consente di percepire un introito che rappresenta la controprestazione dovuta per il prestito in valuta estera di cui beneficiano i prenditori e serve a coprire le spese connesse alle operazioni dell’istituto di credito sul mercato per l’acquisto di valute – rientra nell’ambito di applicazione dell’eccezione prevista dall’articolo 209, paragrafo 4, del codice civile ungherese, di modo che non si deve procedere all’esame del suo carattere abusivo in forza dell’articolo 209, paragrafo 1, di detto codice.

23.      Per contro, i ricorrenti nel procedimento principale hanno sostenuto che siffatto esame è necessario. In particolare, essi hanno affermato che la banca non può invocare, nei loro confronti, le particolarità del funzionamento delle banche e porre a loro carico le spese che ne deriverebbero per la banca. Poiché il consenso dei prenditori aveva ad oggetto l’erogazione di un importo in HUF, sarebbe inammissibile confondere gli introiti della banca e il prestito concesso. Peraltro, la clausola controversa non sarebbe chiara.

24.      In tale contesto il giudice del rinvio ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:

«1)      Se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in caso di prestito espresso in valuta estera, ma in realtà erogato in valuta nazionale e che deve essere rimborsato dal consumatore esclusivamente in valuta nazionale, la clausola contrattuale che determina i tassi di cambio, che non è stata oggetto di negoziato individuale, rientri nella nozione di “definizione dell’oggetto principale del contratto”.

      In caso di risposta negativa, se, in base alla seconda frase di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva [93/13], si debba considerare il differenziale tra i tassi di cambio all’acquisto e alla vendita [della valuta] come una remunerazione la cui adeguatezza rispetto al servizio non può essere esaminata per valutare il suo carattere abusivo. Se, a tal proposito, sia determinante l’effettiva realizzazione di un’operazione di cambio tra l’istituto finanziario e il consumatore.

2)      Qualora l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che il giudice nazionale, indipendentemente dalle disposizioni del diritto nazionale, può prendere in esame anche il carattere abusivo di tali clausole contrattuali, se queste non sono chiare e comprensibili, se quest’ultimo requisito debba essere inteso nel senso che impone che la clausola in questione sia di per sé stessa chiara e comprensibile per il consumatore dal punto di vista grammaticale oppure nel senso che, inoltre, debbano essere chiare e comprensibili per questo stesso consumatore le ragioni economiche sottese all’applicazione della clausola contrattuale nonché il rapporto di detta clausola con altre clausole del contratto.

3)      Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e il punto 73 della sentenza resa nella causa Banco Español de Crédito [(5)] debbano essere interpretati nel senso che il giudice nazionale non può neppure sanare l’invalidità, nei confronti del consumatore, di una disposizione abusiva di une clausola contrattuale generale utilizzata in un contratto di prestito concluso con un consumatore, modificando o integrando la clausola contrattuale in questione, qualora il contratto non possa sussistere sulla base delle restanti clausole contrattuali, dopo l’eliminazione della clausola abusiva. Se, a tal proposito, rilevi la circostanza che il diritto nazionale contiene una disposizione di natura sussidiaria che disciplina la questione giuridica in discussione in assenza della clausola invalida.

25.      La parte convenuta nel procedimento principale, i governi ungherese, ceco, tedesco, greco, italiano e austriaco nonché la Commissione europea hanno depositato delle osservazioni scritte. All’udienza tenutasi il 5 dicembre 2013, hanno partecipato la parte convenuta nel procedimento principale, i governi ungherese e tedesco nonché la Commissione.

III – Sulle questioni pregiudiziali

26.      Prima di affrontare, a una a una, le questioni sollevate, occorre preliminarmente fornire alcune indicazioni sul senso (ratio legis) e sulla portata dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

A –    Osservazioni preliminari sul senso e sulla portata dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13

27.      L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, costituisce indubbiamente un’espressione della possibilità di tener conto dell’autonomia della volontà e della libertà contrattuale delle parti, che è il corollario dell’economia di mercato.

28.      Tale disposizione collega l’applicazione dell’eccezione, che sottrae talune clausole contrattuali all’esame del loro carattere abusivo, al soddisfacimento di due condizioni cumulative: in primo luogo, le clausole in questione devono riguardare «l’oggetto principale del contratto» o «la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro»; in secondo luogo, le clausole devono essere «formulate in modo chiaro e comprensibile».

29.      Come emerge dai lavori che hanno preceduto l’adozione della direttiva 93/13 (6), il testo della direttiva infine adottata allo scopo di contrastare le clausole abusive si è rivelato assai meno ambizioso rispetto alla prima proposta della Commissione (7), poiché si è dovuto trovare un compromesso tra, da un lato, l’obiettivo di protezione dei consumatori e di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di clausole abusive e, dall’altro, i principi dell’autonomia della volontà e della libertà contrattuale che sono profondamente radicati nelle tradizioni giuridiche della maggior parte degli Stati membri nell’ambito del diritto dei contratti.

30.      In sostanza, mi sembra che il suddetto compromesso si manifesti principalmente in due modi.

31.      In primo luogo, contrariamente alla proposta della Commissione di redigere un elenco tassativo di clausole che avrebbero dovuto essere automaticamente considerate abusive, l’elenco delle clausole che compare nell’allegato alla direttiva 93/13 ha carattere meramente indicativo.

32.      In secondo luogo, è particolarmente degno di nota il fatto che la direttiva in parola si riferisca soltanto, da un lato, alle clausole che non sono state oggetto di negoziato individuale (articolo 3 della direttiva 93/13) e, dall’altro, alle clausole diverse da quelle relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto o alla perequazione tra il prezzo e la prestazione (articolo 4, paragrafo 2).

33.      Per quanto attiene alla disposizione corrispondente al paragrafo 2 dell’articolo 4 della direttiva 93/13, risulta chiaramente dalla posizione comune adottata il 22 settembre 1992 che essa è stata aggiunta allo scopo di escludere «tutto ciò che è diretta conseguenza della libertà contrattuale delle parti». In altri termini, è stato espresso l’auspicio che il nucleo centrale del rapporto contrattuale (essentialia negotii) – dal momento che è stato definito in termini chiari e comprensibili – non sia colpito.

34.      Orbene, l’inserimento di una siffatta disposizione potrebbe sembrare, a vari titoli, paradossale.

35.      Innanzitutto, appare sorprendente che la direttiva 93/13, che mira essenzialmente a proteggere il consumatore, escluda al tempo stesso che le disposizioni non negoziate che fanno parte del «cuore» del contratto possano essere oggetto di valutazione per quanto attiene al loro carattere abusivo (8). Ciò spiega certamente perché taluni Stati membri abbiano scelto di estendere il livello della tutela concessa dalla direttiva 93/13 non riprendendo la limitazione derivante dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, negli atti di trasposizione (9).

36.      Quindi, sebbene si possa comprendere l’auspicio, espresso chiaramente in occasione dei lavori che hanno preceduto l’adozione della direttiva 93/13, di accordare un certo spazio all’autonomia della volontà e alla libertà contrattuale, è lecito interrogarsi sulla ratio legis di tale disposizione. Posto che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, comunque non sono interessate le clausole contrattuali che sono state oggetto di negoziato individuale, l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva in parola interviene in un ambito in cui la libertà contrattuale non è stata pienamente espressa.

37.      Questo paradosso è stato parzialmente eliminato dalla Corte nella citata sentenza Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, che ha fornito delle precisazioni rimarchevoli riguardo alla funzione svolta dall’articolo 4, paragrafo 2, nel sistema di protezione attuato dalla direttiva 93/13.

38.      Ricordando, innanzitutto, che la direttiva 93/13 ha proceduto soltanto a una minima e parziale armonizzazione delle legislazioni nazionali relative alle clausole abusive, riconoscendo agli Stati membri la possibilità di garantire al consumatore un livello di protezione più elevato di quello da essa previsto, la Corte ha poi statuito che la suddetta disposizione non mirava a definire l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 93/13, ma unicamente a stabilire le modalità e la portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivono le prestazioni essenziali dei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore. Infine, negando un qualsiasi carattere imperativo dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha concluso che l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 8 di detta direttiva debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che autorizzi un controllo giurisdizionale sul carattere abusivo della clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, anche se tali clausole sono formulate in modo chiaro e comprensibile. Infatti, autorizzando la possibilità di un sindacato giurisdizionale completo sul carattere abusivo di clausole, quali quelle contemplate all’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, una normativa nazionale consente di garantire a quest’ultimo, in conformità all’articolo 8 di tale direttiva, un livello di protezione effettiva più elevato di quello stabilito da quest’ultima (10).

39.      Nel solco di quanto già deciso dalla Corte e come esporrò nel prosieguo, questi dati nel loro complesso dovrebbero condurre a una definizione dei concetti contemplati dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, basata su criteri autonomi (11), distinti dagli approcci eventualmente adottati a livello nazionale.

40.      In primo luogo, ciò implica che, nonostante il potere di valutazione di cui dispone il giudice nazionale adito, i criteri che consentono di definire l’oggetto principale o il rapporto qualità/prezzo del bene o del servizio fornito, devono essere chiaramente definiti.

41.      In secondo luogo, il requisito di «chiarezza e leggibilità», contemplato dalla direttiva 93/13, deve tener conto del fatto che il consumatore, pur essendo ragionevolmente attento e avveduto, si trova in una posizione di debolezza rispetto ai professionisti con cui addiviene alla stipula dei contratti. La chiarezza e la leggibilità non devono limitarsi ad aspetti puramente formali o linguistici, ma devono tener conto dell’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto consumatore/professionista.

42.      È alla luce del complesso di tali considerazioni che esaminerò le questioni sollevate dal giudice del rinvio.

B –    Sulla prima questione pregiudiziale

43.      Con la sua prima questione pregiudiziale, in sostanza la Kúria intende sapere se il carattere abusivo della clausola contrattuale relativa al differenziale tra i tassi di cambio rispettivamente applicabili all’erogazione e al rimborso del prestito, che non sia stata oggetto di un negoziato individuale, possa essere esaminata nel merito o se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 vi si opponga in quanto tale clausola attiene alla definizione dell’oggetto principale del contratto o del rapporto qualità/prezzo della prestazione.

44.      Più in generale, la Corte è invitata a stabilire se ogni elemento del corrispettivo che deve essere pagato in numerario dal debitore costituisca una clausola che definisce «l’oggetto principale del contratto» o se, oltre all’erogazione del credito, soltanto la corresponsione degli interessi rientri nell’oggetto principale del contratto (primo aspetto). Nell’ipotesi in cui quest’ultima affermazione fosse esatta, si pone altresì la questione se l’obbligo di pagamento derivante dal differenziale tra i tassi di cambio debba o meno essere considerato come parte della «remunerazione», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, seconda ipotesi, della direttiva 93/13 (secondo aspetto).

1.      Primo aspetto: profili della nozione di oggetto principale di un contratto

45.      Ricordo che, nella citata sentenza Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, la Corte ha già indicato che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 prende in considerazione le «prestazioni essenziali dei contratti» stipulati tra un professionista e un consumatore (12). Peraltro, essa non era chiamata a stabilire se la clausola controversa riguardasse effettivamente prestazioni essenziali.

46.      A tal proposito, occorre tenere a mente che, in definitiva, spetta soltanto ai giudici nazionali definire cosa rientri nella nozione di prestazioni essenziali di un dato contratto. Tale valutazione implica indubbiamente un esame esaustivo del contratto in questione nonché del complesso delle circostanze di fatto e di diritto che hanno accompagnato la conclusione di detto contratto (13).

47.      Tuttavia, la Corte, nel contesto dell’esercizio della competenza in materia di interpretazione del diritto dell’Unione conferitale all’articolo 267 TFUE, può fornire dei criteri generali per definire le nozioni contenute nella direttiva 93/13 (14).

48.      Ciò è necessario nella fattispecie, soprattutto alla luce del fatto che, in materia, sembrano emergere molteplici orientamenti, specialmente in relazione alla conclusione di contratti di credito. Secondo un primo orientamento, seguito in particolare dalla Supreme Court (Regno Unito) (15), non occorrerebbe distinguere tra gli elementi essenziali del prezzo («core terms») e le spese che possono essere dovute in presenza di talune condizioni («incidental terms») e, pertanto, tutti gli obblighi di pagamento relativi alla prestazione soddisferebbero i criteri dell’eccezione contemplata all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Per contro, i giudici tedeschi, nonché la dottrina tedesca maggioritaria, sembrano adottare un approccio molto più restrittivo a tal proposito (16).

49.      A mio avviso, al giudice spetta l’individuazione, in ogni caso di specie, della o delle prestazioni essenziali che devono obiettivamente essere considerate essenziali nella struttura generale del contratto, al fine di determinare ciò che costituisce l’oggetto principale di un contratto. Questa valutazione – inconcepibile in forma astratta – non può limitarsi a un esame dei parametri che definiscono un dato contratto dal punto di vista del diritto nazionale, ma deve tener conto delle specificità che emergono dalla stessa lettera del contratto.

50.      Peraltro, si osserva che l’oggetto principale di un contratto comprende, in generale, vari aspetti indissociabili e che un siffatto contratto non può essere definito in modo esauriente mediante il riferimento a parte del servizio o del bene atteso.

51.      Per illustrare il mio pensiero, faccio riferimento all’esempio di un contratto di vendita di un’automobile. L’oggetto principale del contratto non concerne un veicolo qualsiasi, ma deve essere definito come relativo a un veicolo di una certa marca, dotato di certe caratteristiche tecniche e rispondente a certi criteri estetici.

52.      In materia di contratto di prestazione di servizio, è possibile fare riferimento all’esempio di un contratto di viaggio tutto compreso, concluso tra un consumatore e un tour operator. Se è vero che in astratto, secondo il diritto nazionale applicabile e la prassi, si può ritenere che fanno indubbiamente parte del nucleo centrale del contratto non soltanto le prestazioni di trasporto, ma altresì le prestazioni pattuite riguardo all’alloggio, non si può concludere di conseguenza che una di queste componenti prevalga o rivesta un carattere secondario rispetto all’altra. Questi due aspetti fanno indubbiamente parte dell’oggetto principale del contratto in questione.

53.      Così, per stabilire che una clausola di un contratto non fa parte del suo oggetto principale, il giudice nazionale chiamato a pronunciarsi dovrà appurare, caso per caso, se tale clausola, in un modo o nell’altro, concorra obiettivamente a definire le caratteristiche essenziali di quest’ultimo sul piano giuridico o commerciale. In tal senso, spetta dunque al giudice decidere se la suddetta clausola faccia intrinsecamente parte delle prestazioni che definiscono il contratto, in quanto, in sua assenza, il contratto perderebbe una delle sue caratteristiche fondamentali o, addirittura, non potrebbe sussistere sulla base delle restanti clausole contrattuali.

54.      Nella fattispecie, allo scopo di dare una risposta utile al giudice del rinvio, occorre fornire gli elementi atti a definire ciò che può costituire le «prestazioni essenziali» di un contratto di credito.

55.      Sulla scia di quanto ho precedentemente affermato, devono essere presi in considerazione non soltanto gli elementi ricavati dal diritto nazionale applicabile, ma altresì quelli propri della lettera del contratto in questione.

56.      Il contratto di credito al consumo può essere definito in generale come un accordo in virtù del quale il creditore consegna una certa somma di denaro al prenditore, con l’onere per quest’ultimo di restituirla, con – quando si tratta di un prestito con interessi – pagamento di interessi da parte del prenditore.

57.      Questa definizione corrisponde in larga parte a quella adottata nell’ambito del diritto dell’Unione, per esempio, nella direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito (17), ma altresì a quella sancita nel pertinente diritto nazionale, nella fattispecie il diritto ungherese. Infatti, ai sensi dell’articolo 523, paragrafo 1, del codice civile ungherese, mediante un contratto di credito, l’istituto finanziario si obbliga a mettere una determinata somma di denaro a disposizione del debitore, il quale si obbliga a rimborsare l’importo del prestito in conformità al contratto. L’articolo 523, paragrafo 2, del codice civile ungherese contempla espressamente, a titolo di corrispettivo, solo il pagamento degli interessi.

58.      Se il tasso di interesse nominale è parte dell’essenza stessa di un contratto di credito, che ne è di un meccanismo che consente al creditore di calcolare le rate mensili sulla base del tasso di cambio di una valuta estera?

59.      Certamente, si può sostenere la tesi che la nozione di clausola che definisce «l’oggetto principale del contratto» debba essere intesa in senso molto stretto e che, pertanto, per quanto attiene a un contratto di credito, ciascun elemento del corrispettivo che il debitore deve pagare in numerario nell’ambito dell’operazione in questione non può essere considerato come facente parte dell’oggetto principale del contratto. Infatti, si potrebbe pensare di operare una distinzione tra le disposizioni contrattuali relative alla determinazione del tasso di interesse, che si riferiscono all’oggetto principale e, considerato il meccanismo del prestito in questione, le disposizioni che concernono spese secondarie o accessorie.

60.      Tuttavia, se è vero che difficilmente questa considerazione di ordine generale potrebbe essere contestata per quanto attiene a un contratto di credito in senso ampio, non sono affatto convinto che essa sia valida in tutti i casi e, in particolare, trattandosi di un contratto di credito definito come un «prestito ipotecario espresso in valuta estera garantito mediante ipoteca».

61.      Se si accoglie la tesi secondo cui la nozione di oggetto principale del contratto deve comprendere tutto ciò che le parti, data la chiara lettera del contratto, hanno definito come tale, in quanto essa coincide con tutti gli obblighi essenziali che devono essere presi in considerazione a titolo di corrispettivo della o delle prestazioni fornite (18), mi sembra difficile limitare l’oggetto del contratto alle clausole relative alla determinazione del tasso di interesse nominale.

62.      Trattandosi di un prestito espresso in valuta estera, la clausola che determina i tassi di cambio applicabili, con ogni probabilità, rientra nell’oggetto principale del contratto, in quanto, molto verosimilmente, ne rappresenta uno dei parametri essenziali, poiché, in assenza di detta clausola, l’esecuzione del contratto è compromessa (19). A mio avviso, essa si distingue chiaramente dal meccanismo di modifica delle spese di vaglia in questione nella causa Invitel (20) o, ancora, dalla clausola sugli interessi moratori presa in considerazione nella citata sentenza Banco Español de Credito.

63.      Infatti, il meccanismo del prestito in valute estere si fonda su vari aspetti, in linea di principio indissociabili. In primo luogo, il prestito, benché concretamente erogato e rimborsato in moneta nazionale, in ogni caso è espresso in valuta estera. In secondo luogo, il tasso di interesse applicabile, che ha ad oggetto l’importo del prestito espresso in valuta estera, è in genere inferiore a quello applicabile al prestito espresso in valuta locale. In terzo luogo, i pagamenti delle rate mensili del prestito sono effettuati in moneta nazionale in funzione del tasso di cambio applicabile al momento dei pagamenti (21).

64.      Questa interpretazione non inficia la tesi secondo cui, considerata l’imperativa necessità di proteggere i consumatori, il giudice nazionale, nella misura del possibile, deve privilegiare una nozione relativamente stretta di ciò che costituisce l’oggetto principale del contratto. L’approccio che deve essere adottato nella definizione della nozione di oggetto principale del contratto, contemplata all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, deve condurre ad escludere le disposizioni che rivestono un carattere secondario o residuale nella struttura del contratto e non quelle concernenti una o più prestazioni essenziali caratterizzanti detto contratto.

65.      Dall’insieme di tali considerazioni risulta che non si può escludere che, trattandosi di un contratto di prestito quale quello considerato nella controversia di cui al procedimento principale, la clausola che determina il tasso di cambio applicabile rientri nell’oggetto principale del contratto, in quanto costituisce uno dei pilastri di un contratto espresso in valuta estera.

66.      Nell’eventualità che la Corte non intenda aderire a quest’ultima conclusione, occorre stabilire se l’obbligo di pagamento derivante dal differenziale tra i tassi di cambio all’acquisto e alla vendita della valuta possa essere considerato come un elemento relativo al rapporto qualità/prezzo del servizio reso.

2.      Secondo aspetto: il differenziale tra il tasso di cambio alla vendita e il tasso di cambio all’acquisto della valuta estera può essere considerato come un elemento della remunerazione dovuta al creditore?

67.      Nella fattispecie, in esito ad un’analisi superficiale, si potrebbe ritenere che la prassi in questione riguardi necessariamente un elemento del prezzo, sicché potrebbe essere assoggettata a un controllo di merito, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, solo se la formulazione della clausola in questione non fosse chiara né comprensibile.

68.      Tuttavia, non bisogna trascurare il fatto che non si fa riferimento a tutti gli elementi del prezzo, ma soltanto alla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro. Come emerge dalla relazione della Commissione sull’applicazione della direttiva 93/13 (22), le clausole relative alle modalità di calcolo o alle modalità di modifica del prezzo sono interamente assoggettate al controllo della suddetta direttiva.

69.      La seconda ipotesi di esclusione contemplata all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 mi sembra riguardare i casi, in concreto rarissimi, avuto riguardo all’assenza di tariffari (23), in cui può essere stabilito un rapporto quasi matematico tra la qualità della prestazione fornita e la remunerazione della stessa.

70.      Per quanto attiene alle clausole contrattuali di un contratto di prestito espresso in valuta estera, il quale prevede che al momento dell’erogazione del prestito si applichi il tasso di cambio all’acquisto della valuta, mentre al momento del rimborso di detto prestito si applica il tasso di cambio alla vendita, la problematica si presenta nel modo seguente.

71.      Se, come sembra accadere nella controversia di cui al procedimento principale, la banca non mette a disposizione del cliente un servizio particolare e il riferimento alla valuta estera costituisce soltanto un parametro di misura del valore, si potrà ritenere che la differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita della valuta estera non è una controprestazione adeguata e che si può procedere all’esame del carattere abusivo della corrispondente clausola contrattuale. Per contro, se è accertata l’esistenza di un rapporto diretto tra, da un lato, il differenziale esistente tra il tasso di cambio all’acquisto e alla vendita e, dall’altro, la qualità della prestazione fornita – il che sembra doversi escludere considerata la natura fluttuante di tale differenziale – le clausole relative a detto differenziale non possono essere sottoposte alla valutazione relativa al loro carattere abusivo.

72.      Alla luce dell’insieme di tali considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, deve essere interpretato nel senso che, in caso di prestito espresso in valuta estera, ma in realtà erogato in valuta nazionale e che deve essere rimborsato dal consumatore esclusivamente in valuta nazionale, la clausola contrattuale che determina i tassi di cambio, la quale non sia stata oggetto di negoziato individuale, può essere ritenuta come facente parte dell’oggetto principale del contratto allorché risulta chiaramente da quest’ultimo che tale clausola ne costituisce un parametro essenziale. Per contro, il differenziale tra il tasso di cambio alla vendita e il tasso di cambio all’acquisto della valuta non può essere considerato come una remunerazione la cui adeguatezza rispetto al servizio non può essere esaminata per valutare il suo carattere abusivo.

C –    Sulla seconda questione pregiudiziale: necessità di una formulazione chiara e comprensibile delle clausole soggette all’esclusione contemplata all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13

73.      La risposta a tale seconda questione, che verte sul requisito di chiarezza e comprensibilità fissato all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, assume rilevanza solo qualora si dovesse ritenere che occorre fornire una risposta positiva alla prima questione. Infatti, come ho precedentemente affermato, non si può escludere che, trattandosi di un contratto di prestito espresso in valuta estera, le clausole che determinano i tassi di cambio applicabili all’ammortamento e all’erogazione del prestito si riferiscano proprio all’oggetto principale del contratto.

74.      In primo luogo, e ancor prima di affrontare il merito della questione sollevata, spetta alla Corte stabilire se la necessità di una formulazione chiara e comprensibile si imponga anche nell’ipotesi in cui detto requisito non sia stato ripreso nelle disposizioni nazionali.

75.      Infatti, il giudice del rinvio ha sottolineato che la parte convenuta aveva sostenuto che era impossibile che il giudice investito della controversia verificasse se le clausole in discussione fossero redatte in modo chiaro e comprensibile, in quanto, alla data di conclusione del contratto di credito in questione, l’articolo 209, paragrafo 4, del codice civile ungherese non riprendeva tale requisito.

76.      A questo proposito, mi sembra che emerga abbastanza chiaramente dalla giurisprudenza consolidata della Corte relativa all’obbligo di interpretazione conforme – che si impone anche ai giudici nazionali in una controversia di tipo orizzontale (24) – che il giudice nazionale chiamato a interpretare il proprio diritto nazionale è tenuto a farlo, nella misura del possibile, alla luce della lettera e della finalità della direttiva 93/13, per raggiungere il risultato perseguito da quest’ultima (25).

77.      Tale obbligo di interpretazione conforme si impone a maggior ragione considerato che, riguardo al requisito di chiarezza e di comprensibilità ripreso all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha sottolineato la sua importanza statuendo che, al fine di garantire concretamente gli obiettivi di protezione dei consumatori perseguiti dalla direttiva 93/13, ogni trasposizione di detto articolo 4, paragrafo 2, doveva essere completa, sicché il divieto di valutare il carattere abusivo delle clausole concerne unicamente quelle redatte in modo chiaro e comprensibile (26).

78.      Ne deriva che il giudice nazionale investito della controversia è dunque in condizione (e anzi ha l’obbligo) di verificare se le clausole in questione soddisfino il requisito di trasparenza enunciato all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, e ciò indipendentemente dalla questione se tale requisito, alla data di conclusione del contratto di prestito controverso, fosse stato esplicitamente ripreso nel diritto nazionale applicabile.

79.      In secondo luogo, si pone la questione se il requisito in base al quale le clausole concernenti l’oggetto principale o il rapporto qualità/prezzo della prestazione debbono essere «chiare e comprensibili», per poter sottrarsi alla valutazione del loro carattere abusivo, faccia riferimento solo all’aspetto formale e linguistico della clausola o se, in modo più ampio, verta altresì sulle conseguenze economiche dell’applicazione della clausola contrattuale controversa o sul suo rapporto con altre clausole.

80.      Orbene, sulla scia di quanto ho precedentemente affermato, posto che la protezione del consumatore, quale parte vulnerabile, impone necessariamente un’interpretazione chiara e obiettiva delle nozioni di oggetto principale e di prezzo contenute nell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, essa richiede, al tempo stesso, che il requisito di trasparenza sia inteso in modo estensivo. Come sottolineato dalla Commissione, considerata la situazione di inferiorità in cui si trova il consumatore rispetto al professionista relativamente al livello di informazione, questi può incontrare delle difficoltà nella corretta valutazione delle conseguenze di talune clausole contrattuali, sebbene siano state redatte chiaramente da un punto di vista linguistico.

81.      Pertanto, l’esame sulla chiarezza e sulla comprensibilità di una clausola non dovrebbe limitarsi all’aspetto puramente redazionale della stessa. La chiarezza e la comprensibilità di una clausola contrattuale devono essere valutate chiedendosi se essa garantisce al consumatore di avere a disposizione le informazioni mediante le quali egli sarà in condizione di valutare i vantaggi e gli inconvenienti della conclusione di un dato contratto e i rischi in cui incorre per via dell’operazione. Il consumatore deve cogliere non soltanto il contenuto di una clausola, ma altresì gli obblighi e i diritti a essa connessi (27).

82.      D’altronde, mi sembra che questa interpretazione trovi un solido fondamento nella più recente giurisprudenza della Corte.

83.      Infatti, nella sentenza RWE Vertrieb (28), che aveva ad oggetto in particolare l’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 93/13, che impone ai professionisti di redigere le clausole contrattuali proposte ai consumatori in «modo chiaro e comprensibile», la Corte ha precisato che spettava al giudice del rinvio sincerarsi, in funzione dell’insieme delle circostanze del caso di specie, che il consumatore fosse in condizione di prevedere le spese in cui poteva incorrere.

84.      Certo, tale giurisprudenza concerne l’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 93/13, ma essa mi sembra valida a fortiori per quanto riguarda il requisito di trasparenza ripreso all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, posto che quest’ultima disposizione ha l’importante effetto di sottrarre talune clausole contrattuali alla valutazione relativa al carattere abusivo. Occorre infatti evitare di ridurre eccessivamente i requisiti di chiarezza e comprensibilità della clausola di cui trattasi, che condizionano la realizzazione di un controllo di merito e che spetta al competente giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso di tali circostanze di specie.

85.      Tornando alla controversia di cui al procedimento principale, e senza voler anticipare l’esame che dovrà effettuare il giudice nazionale, dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che, da un punto di vista puramente linguistico, le clausole contrattuali relative al tasso di cambio applicabili rispettivamente all’erogazione e all’ammortamento del prestito sembrano essere state enunciate con chiarezza. Il punto I/1 del contratto controverso precisa che «la fissazione dell’importo in valuta del prestito è effettuata in base al tasso di cambio all’acquisto della valuta applicato dalla banca alla data di erogazione dei fondi». Peraltro, ai sensi del punto III/2 dello stesso contratto, «il creditore determina l’importo in HUF di ogni rata mensile che deve essere corrisposto in base al tasso di cambio applicato dalla Banca alla vendita della valuta [estera] il giorno precedente la data di esigibilità».

86.      Ma, per quanto questi termini siano chiari, si possono nutrire dei dubbi sulla totale comprensibilità degli stessi. È lecito, infatti, interrogarsi in merito alla valutazione, da parte del consumatore interessato, delle precise conseguenze economiche della clausola del contratto di credito che fa riferimento al prezzo di acquisto della valuta (e non al prezzo di vendita della valuta) sugli importi di cui egli diverrà, in definitiva, debitore.

87.      Mentre, contrariamente a quanto suggerito dalla Commissione, il consumatore era, in larga misura, in condizione di valutare il rischio incorso sul piano del suo debito espresso in valuta nazionale in caso di rialzo del tasso di cambio della valuta estera di riferimento, in quanto il contratto di prestito da lui sottoscritto era appunto espresso in detta valuta estera, per contro è tutt’altro che evidente che il consumatore – in assenza di qualsiasi spiegazione al riguardo contenuta nel contratto o intervenuta in occasione della conclusione di quest’ultimo – sia stato in grado di cogliere i motivi che potevano giustificare il fatto che le rate mensili dovessero essere calcolate sulla base del tasso di cambio alla vendita della valuta estera, mentre al momento dell’erogazione del prestito è stato utilizzato il tasso di cambio all’acquisto di detta valuta.

88.      Quanti consumatori, infatti, benché ragionevolmente attenti e avveduti, sono in grado di cogliere la portata della differenza esistente tra il prezzo di vendita della valuta e il suo prezzo di acquisto? Diversamente da quanto si osserva in genere sul mercato dei valori mobiliari, l’acquisto e la vendita di valute funzionano mediante parità («cross») e sono effettuate in funzione di un’altra valuta. Dunque, sono due i tassi di cambio rilevanti, non uno soltanto («spot») (29). La differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita di una valuta («spread»), che è in larga parte tributaria del numero e della qualità di coloro che intervengono su un dato mercato, può rivelarsi considerevole. Queste ultime informazioni, generalmente ben note ai professionisti del settore bancario e finanziario e degli ambienti interessati, in compenso, non sono necessariamente conosciute dal consumatore medio (30).

89.      Tuttavia, spetterà al giudice nazionale verificare se, tenuto conto delle informazioni fornite dai professionisti anteriormente alla conclusione del contratto, questi fosse in condizione di valutare le precise conseguenze del riferimento al prezzo di acquisto (anziché al prezzo di vendita).

90.      Nella fattispecie, spetterà al giudice adito stabilire, alla luce delle circostanze oggettive presenti al momento della conclusione del contratto controverso, se il consumatore fosse in condizione di comprendere che, in aggiunta agli interessi, da un lato, e ai rischi necessariamente connessi alla variabilità del tasso di cambio tra la valuta nazionale (in cui effettuava i rimborsi del suo prestito) e la valuta estera di riferimento, dall’altro, si esponeva, senza cognizione di causa, a un onere supplementare derivante dalla differenza esistente tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto della valuta estera.

91.      Alla luce di queste considerazioni, e sempre che si debba rispondere in senso affermativo alla prima questione, propongo di rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, deve essere interpretato nel senso che spetta al giudice adito esaminare il carattere abusivo delle clausole contrattuali in esso contenute, qualora dette clausole non siano redatte in modo chiaro e comprensibile, sulla base di un’interpretazione conforme del diritto nazionale applicabile alla data di conclusione del contratto in questione. L’esame relativo alla chiarezza e alla comprensibilità delle clausole contrattuali deve tener conto di tutte le circostanze del caso di specie e, in particolare, delle informazioni portate a conoscenza del consumatore al momento della conclusione del contratto, e deve vertere, oltre che sull’aspetto strettamente formale e linguistico, sull’esatta valutazione delle conseguenze economiche di tali clausole e sui rapporti che possono sussistere tra esse.

D –    Sulla terza questione pregiudiziale: poteri del giudice nazionale di sostituire o modificare una clausola qualificata come abusiva

92.      Dalla decisione di rinvio risulta che il giudice adito in appello, dopo aver concluso nel senso del carattere abusivo della clausola contrattuale relativa al calcolo delle rate mensili mediante applicazione del differenziale tra il tasso di cambio all’acquisto e il tasso di cambio alla vendita della valuta estera di riferimento, ha deciso, ai sensi dell’articolo 237, paragrafo 2, del codice civile ungherese (31), che occorreva modificare il contratto di prestito in questione nella controversia di cui al procedimento principale, imponendo di calcolare le rate mensili di rimborso del prestito sulla base del tasso di cambio all’acquisto applicato dalla banca.

93.      Orbene, la modifica operata dal giudice d’appello solleva la questione se essa confligga con la soluzione espressa nella citata sentenza Banco Español de Credito.

94.      Ricordo che, in tale causa, la Corte era chiamata a pronunciarsi in particolare sulla questione se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, ostasse alla normativa di uno Stato membro che consente al giudice nazionale, allorché accerta la nullità di una clausola abusiva in un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, di integrare detto contratto rivedendo il contenuto di tale clausola.

95.      La Corte ha risposto in senso affermativo basandosi sul disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, e più in generale sulla finalità e sulla struttura complessiva della direttiva 93/13. In tale contesto, essa ha sottolineato in particolare che la facoltà di rivedere il contenuto delle clausole abusive potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine contemplato all’articolo 7 della direttiva 93/13. Una simile facoltà contribuirebbe a eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare tali clausole, consapevoli che, quand’anche fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti. Per questo motivo, una facoltà siffatta, se fosse riconosciuta al giudice nazionale, non potrebbe garantire, di per sé, una tutela del consumatore efficace quanto quella risultante dalla non applicazione delle clausole abusive (32).

96.      A tal proposito, appare importante sottolineare che l’orientamento espresso dalla Corte mirava a ristabilire un equilibrio contrattuale tra i diritti e gli obblighi delle parti nell’ipotesi in cui il contratto controverso, in linea di principio, potesse sussistere «senz’altra modifica che non [fosse] quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive, purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto [fosse] giuridicamente possibile» (punto 65 della sentenza).

97.      Così, il divieto per il giudice di rivedere il contenuto di una clausola da lui qualificata come abusiva, anziché limitarsi alla pura e semplice disapplicazione, si riferisce all’ipotesi in cui l’eliminazione della clausola controversa, avente carattere accessorio nella struttura del contratto, non compromette l’esistenza di detto contratto e non risulta pregiudizievole per il consumatore.

98.      Questa ipotesi si distingue da quella considerata nella controversia di cui al procedimento principale, in cui l’eliminazione della clausola contrattuale ritenuta abusiva implica l’impossibilità di proseguire l’esecuzione del contratto, il che, in definitiva, comporta delle conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il consumatore. Infatti, l’eliminazione delle clausole relative al tasso di cambio applicabile renderebbe il contratto di credito ineseguibile. Peraltro, con ogni probabilità, il consumatore dovrebbe rimborsare immediatamente l’importo del prestito ancora dovuto alla banca. Dal momento che, in linea di principio, il consumatore non dispone di una capacità di rimborso immediato, l’ipoteca immobiliare potrebbe essere eseguita.

99.      Così, l’estensione dell’orientamento espresso dalla Corte alla possibilità, per il giudice nazionale, di sostituire alla clausola abusiva invalida disposizioni nazionali di natura sussidiaria, in questo caso non mi sembra né necessaria né opportuna.

100. Sono del parere che, in linea di principio, nulla dovrebbe ostare a che il giudice nazionale, in applicazione dei principi del diritto dei contratti, rimedi al carattere abusivo di una clausola sostituendola con una disposizione di diritto nazionale di natura sussidiaria. Infatti, poiché la sostituzione con una siffatta disposizione, che si suppone non contenga clausole abusive (33), farebbe sì che il contratto possa sussistere malgrado l’eliminazione della clausola controversa e continui ad essere cogente per le parti, mi sembra che essa sia conforme agli obiettivi di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

101. L’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione nel quadro della direttiva 93/13 consiste nel ristabilire l’equilibrio tra le parti, pur conservando, in linea di principio, la validità di un contratto nel suo complesso, e non nell’annullare tutti i contratti contenenti clausole abusive (34).

102. Per contro, se tale sostituzione non fosse permessa e il giudice fosse obbligato ad annullare il contratto, l’efficacia dissuasiva della sanzione della nullità rischierebbe di essere compromessa. Infatti, un siffatto annullamento normalmente avrà la conseguenza di far divenire esigibile l’integralità dell’importo del prestito ancora dovuto, di natura tale da eccedere le capacità finanziarie del consumatore, così penalizzando quest’ultimo anziché il prestatore professionale il quale, in considerazione di tale conseguenza, potrebbe non essere spronato a evitare che siffatte clausole siano inserite nei suoi contratti.

103. Stando così le cose, una «convalida» del contratto mediante sostituzione con una disposizione di natura sussidiaria, se possibile secondo il diritto nazionale applicabile – il che è compito del giudice del rinvio verificare – appare necessaria per ristabilire un reale equilibrio tra le parti e garantire così la protezione del consumatore contro le clausole abusive, principale obiettivo della direttiva 93/13, preservando l’utile effetto del meccanismo di protezione instaurato da tale direttiva.

104. Pur essendo cosciente che la Corte non è stata direttamente e precisamente investita di tale questione, che pertanto non è stata discussa dalle parti (35), mi sembra importante sottolineare che detto potere di sostituzione non dovrebbe essere illimitato: l’intervento del giudice, per quanto possibile, deve tendere unicamente a ristabilire una certa parità tra i professionisti e i consumatori loro contraenti (36).

105. Esso non deve condurre a creare un rivolgimento dell’equilibrio contrattuale mediante un intervento dell’autorità statale successivo alla conclusione del contratto. È ben noto, infatti, che il contratto, in linea di principio, rimane disciplinato dalla legge vigente il giorno in cui esso è concluso e che qualsiasi intervento di un terzo, ivi compreso lo Stato nella sua funzione legislativa, deve essere considerato con prudenza, in quanto potenzialmente è di natura tale da compromettere la libertà contrattuale e la libera concorrenza che ne costituisce il corollario (37).

106. Propongo di rispondere alla terza questione dichiarando che, sebbene, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice nazionale non possa sanare l’invalidità, nei confronti del consumatore, di una clausola contrattuale abusiva utilizzata, nulla osta a che il giudice nazionale applichi una disposizione di diritto nazionale di natura sussidiaria suscettibile di sostituirsi alla clausola contrattuale invalida, a condizione che, ai sensi delle norme di diritto nazionale, il contratto possa sussistere giuridicamente dopo l’eliminazione della clausola abusiva.

IV – Conclusione

107. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate a titolo pregiudiziale dalla Kúria nel modo seguente:

1.      L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori deve essere interpretato nel senso che, in caso di prestito espresso in valuta estera, ma in realtà erogato in valuta nazionale e che deve essere rimborsato dal consumatore esclusivamente in valuta nazionale, la clausola contrattuale che determina i tassi di cambio, la quale non sia stata oggetto di negoziato individuale, può essere ritenuta come facente parte dell’oggetto principale del contratto allorché risulta chiaramente da quest’ultimo che tale clausola ne costituisce un parametro essenziale. Per contro, il differenziale tra il tasso di cambio alla vendita e il tasso di cambio all’acquisto della valuta non può essere considerato come una remunerazione la cui adeguatezza rispetto al servizio non può essere esaminata per valutare il suo carattere abusivo.

2.      L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, deve essere interpretato nel senso che spetta al giudice adito esaminare il carattere abusivo delle clausole contrattuali in esso contenute, qualora dette clausole non siano redatte in modo chiaro e comprensibile, sulla base di un’interpretazione conforme del diritto nazionale applicabile alla data di conclusione del contratto in questione. L’esame relativo alla chiarezza e alla comprensibilità delle clausole contrattuali deve tener conto di tutte le circostanze del caso di specie e, in particolare, delle informazioni portate a conoscenza del consumatore al momento della conclusione del contratto, e deve vertere, oltre che sull’aspetto strettamente formale e linguistico, sull’esatta valutazione delle conseguenze economiche di tali clausole e sui rapporti che possono sussistere tra esse.

3.      Sebbene, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il giudice nazionale non possa sanare l’invalidità, nei confronti del consumatore, di una clausola contrattuale abusiva utilizzata, nulla osta a che il giudice nazionale applichi una disposizione di diritto nazionale di natura sussidiaria suscettibile di sostituirsi alla clausola contrattuale invalida, a condizione che, ai sensi delle norme di diritto nazionale, il contratto possa sussistere giuridicamente dopo l’eliminazione della clausola abusiva.


1 – Lingua originale: il francese.


2 –      Il giudice del rinvio ha così evidenziato il fatto che il volume dei prestiti in essere sottoscritti dalle famiglie ungheresi presso istituti di credito rappresenta il 32,56% del prodotto interno lordo, secondo i dati relativi al secondo semestre dell’anno 2012 forniti dalla Magyar Nemzeti Bank (Banca nazionale d’Ungheria), i prestiti concessi sulla base di una valuta estera, come quello in questione nella controversia di cui al procedimento principale, rappresentano il 18,54% di tale prodotto, ossia un importo di 5 289 miliardi di fiorini ungheresi (HUF). Per quanto attiene più specificamente ai crediti espressi in franchi svizzeri, essi sarebbero stati proposti su ampia scala non soltanto in Ungheria, ma anche in altri Stati membri, in particolare in Polonia e in Croazia.


3 –      Si deve segnalare che, a livello nazionale, sono state promosse un certo numero di azioni allo scopo di far accertare che la commercializzazione di contratti di crediti che comportano un rischio di cambio poteva essere eventualmente qualificata come pratica commerciale sleale e ingannevole, dal momento che i rischi incorsi sarebbero stati mal compresi da un certo numero di consumatori per via dell’inottemperanza da parte degli istituti bancari al loro dovere di informazione, di consulenza e di ammonimento. Più essenzialmente, taluni Stati membri hanno ritenuto che occorresse disciplinare la commercializzazione presso privati di prestiti in valute che comportano un rischio di cambio.


4 –      Direttiva del Consiglio del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).


5 –      Sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10).


6 –      Posizione comune del Consiglio del 22 settembre 1992 sull’adozione della direttiva concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (doc. 8406/1/92, GU 1992, C 283, pag. 1, n. 2).


7 –      Proposta della Commissione, del 3 settembre 1990, di direttiva del Consiglio concernente le clausole inique nei contratti stipulati con i consumatori [COM(90) 322 def.]. Per un’esposizione della cronistoria della direttiva 93/13 e dei commenti dottrinali relativi all’inserimento dell’articolo 4, paragrafo 2, si rinvia alle conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, Racc. pag. I‑4785, segnatamente paragrafi da 61 a 66).


8 –      In tal senso, nelle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 10 maggio 2001, Commissione/Paesi Bassi (C‑144/99, Racc. pag. I‑3541), l’avvocato generale Tizzano aveva sottolineato che «l’esclusione delle clausole aventi ad oggetto prestazioni essenziali dalla disciplina sulle condizioni generali costituisce una sostanziale limitazione del campo d’applicazione della direttiva. Basti pensare ai riflessi che ne conseguono per tutti i contratti, come quelli di assicurazione, che si prestano in modo particolare ad ambiguità redazionali proprio quanto al loro oggetto essenziale, cioè, nel detto esempio, quanto alla definizione del rischio assicurato».


9 –      V., a tal proposito, la relazione della Commissione del 27 aprile 2000 sull’applicazione della direttiva 93/13 [COM(2000) 248 def.]. Tale relazione sottolinea che, se è vero che gran parte degli Stati membri non ha trasposto questa limitazione del campo di applicazione, ciò in pratica non ha comportato problemi applicativi. Secondo tale relazione, «[i] tribunali di questi Stati membri non hanno riveduto i prezzi, né hanno modificato l’essenza dei contratti in modo massiccio o indiscriminato come temuto da certe dottrine e da certi ambienti professionali. Infatti, nella vasta maggioranza dei casi, né il prezzo in quanto tale, che risulta dalle condizioni di concorrenza, né le clausole che illustrano in modo chiaro e comprensibile l’oggetto del contratto sono tali da suscitare problemi che richiedano di essere risolti con l’applicazione della legislazione sulle clausole abusive. La loro esclusione dal campo d’applicazione della direttiva solleva, tuttavia, dubbi d’interpretazione pregiudizievoli per la corretta applicazione del testo».


10 –      Sentenza Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, cit., punti da 42 a 44.


11 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nella causa Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, cit. (paragrafo 68).


12 –      V. sentenza cit., punto 34.


13 –      V., sul ruolo devoluto al giudice nazionale, sentenza del 9 novembre 2010, VB Pénzügyi Lízing (C‑137/08, Racc. pag. I‑10847, punto 49).


14 –      V., in tal senso, sentenza del 1° aprile 2004, Freiburger Kommunalbauten (C‑237/02, Racc. pag. I‑3403, punto 22).


15 –      V., segnatamente, Office of Fair Trading v. Abbey National [2009] UKSC 6.


16 –      Per un’esposizione più dettagliata delle differenti interpretazioni adottate negli Stati membri, si rinvia in particolare all’Issues paper della Law Commission/Scottish Law Commission del 25 luglio 2012 (Unfair Terms in Consumer contracts, a new approach?), in particolare ai punti 7.55 a 7.66, disponibile all’indirizzo: http://lawcommission.justice.gov.uk/docs/unfair_terms_in_consumer_contracts_issues.pdf. Si rinvia altresì all’articolo di M. Schillig, «Directive 93/13 and the “price term exemption”: a comparative analysis in the light of the “market for lemons” rationale», ICLQ (2011), vol. 60 (4), pagg. da 933 a 963.


17 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE (GU L 133, pag. 66, e rettifiche, GU 2009, L 207, pag. 14, GU 2010, L 199, pag. 40, e GU 2011, L 234, pag. 46), che, al suo articolo 3, lettera c), definisce il contratto di credito come «un contratto in base al quale il creditore concede o s’impegna a concedere al consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra agevolazione finanziaria analoga, ad eccezione dei contratti relativi alla prestazione continuata di un servizio o alla fornitura di merci dello stesso tipo in base ai quali il consumatore versa il corrispettivo, per la durata della prestazione o fornitura, mediante pagamenti rateali».


18 –      In tal senso, nelle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza della Corte del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10), l’avvocato generale Trstenjak ha affermato che, «[c]on riferimento ad un inquadramento tra gli elementi indicati all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, occorre evidenziare che il legislatore dell’Unione riconosce importanza all’indicazione del tasso annuo effettivo globale perché, in ultima analisi, essa riguarda l’oggetto principale del contratto di credito e, di fatto, informa sui costi che il mutuatario è tenuto a rimborsare al mutuante per la concessione del finanziamento. Il tasso annuo effettivo globale rappresenta così una delle prestazioni principali dovute al mutuante nella struttura complessiva dei diritti e dei doveri delle parti in base al contratto di credito. Ne consegue che anche una clausola contenente informazioni false sui costi perché, ad esempio, il tasso annuo effettivo globale è stato calcolato in modo errato, può essere oggetto di controllo sostanziale ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, se non è formulata in modo chiaro e comprensibile» (paragrafo 117).


19 –      Nella fattispecie, il giudice del rinvio, nell’ambito della terza questione, ha affermato che la validità e l’esecuzione del contratto di prestito controverso sarebbero compromesse in caso di eliminazione della clausola controversa.


20 –      Sentenza del 26 aprile 2012 (C‑472/10).


21 –      A tal proposito, l’articolo 231, paragrafo 2, del codice civile ungherese dispone per l’appunto che «[u]n credito espresso in una valuta diversa [da quella avente corso legale nel luogo dell’esecuzione] deve essere convertito in base al tasso di cambio facente fede nel luogo e al momento del pagamento».


22 –      Relazione del 27 aprile 2000 (cit., pagg. 15 e 16).


23 –      Il carattere molto limitato di questa ipotesi di esclusione è stato evidenziato da M. Schillig nel suo articolo (cit., pag. 947). L’autore ha sottolineato, in sostanza, che il rapporto qualità/prezzo non è mai soggetto a controllo, in quanto non esiste alcuno standard legale che possa fornire delle linee direttrici per un siffatto controllo.


24 –      V., segnatamente, sentenze del 13 novembre 1990, Marleasing (C‑106/89, Racc. pag. I‑4135, punto 8), e del 7 dicembre 1995, Spano e a. (C‑472/93, Racc. pag. I‑4321, punto 17).


25 –      V., segnatamente, sentenza del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, Racc. pag. I‑4941, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).


26 –      V. sentenze cit., Commissione/Paesi Bassi e Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, punto 39.


27 –      Del resto, occorre certamente intendere in questo senso il ricorso a due termini («chiaro» e «comprensibile»). La «chiarezza» sembra vertere principalmente sull’aspetto redazionale della clausola. La «comprensibilità» della clausola, dal canto suo, concerne la possibilità di cogliere l’esatta portata dei termini utilizzati.


28 –      Sentenza del 21 marzo 2013 (C‑92/11).


29 –      Il tasso di cambio unico regolarmente comunicato dalla stampa economica o generalista è la media dei due tassi di cambio.


30 –      Senza voler anticipare la soluzione che sarà adottata in definitiva dal giudice nazionale, emerge che nel contratto non vi era nulla che consentiva di comprendere in cosa consistesse precisamente la differenza tra il tasso di cambio all’acquisto e il tasso di cambio alla vendita della valuta estera.


31 –      Ai sensi di tale disposizione «[s]e non è possibile ripristinare la situazione preesistente alla conclusione del contratto, il giudice può dichiarare il contratto applicabile fino alla sua pronuncia. Un contratto invalido può essere dichiarato valido se è possibile rimuovere la causa di invalidità, in particolare in caso di sproporzione tra le prestazioni delle parti in un contratto usurario mediante l’eliminazione del vantaggio sproporzionato. In questi casi si deve ordinare, all’occorrenza, la restituzione della prestazione che resta dovuta in assenza di controprestazione».


32 –      V. sentenza Banco Español de Credito, cit., punti 69 e 70.


33 –      V. il tredicesimo considerando della direttiva 93/13, secondo cui «si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive».


34 –      Sentenza Pereničová e Perenič, cit., punto 31.


35 –      Tuttavia, nelle sue osservazioni, la parte convenuta ha affermato che la questione dell’eventuale applicabilità della normativa di natura sussidiaria ha natura ipotetica, dal momento che, alla data di conclusione del contratto di prestito in questione nella controversia di cui al procedimento principale, non esisteva una siffatta normativa. Peraltro, essa ha affermato che, dichiarando applicabile con efficacia cogente la disposizione normativa di natura sussidiaria, il giudice perverrebbe a restringere notevolmente la libertà contrattuale.


36 –      V. sentenza Banco Español de Crédito, cit., punto 40 e giurisprudenza ivi citata.


37 –      Benché la decisione di rinvio non menzioni espressamente le disposizioni sussidiarie in questione, dalle indicazioni fornite dal governo ungherese risulta che, alla data di conclusione del contratto controverso, le disposizioni sussidiarie a cui il giudice del rinvio sembra far riferimento sono costituite dall’articolo 200/A della legge n° CXII. del 1996, relativa agli istituti di credito e alle imprese finanziarie, in combinato disposto con il suo articolo 234/A. In applicazione di tali disposizioni, applicabili a tutti i contratti in essere il 27 novembre 2010, i tassi di cambio fino ad allora applicati ai contratti di prestito espressi in valuta estera saranno sostituiti dal tasso di cambio ufficiale fissato dalla Magyar Nemzeti Bank o dal tasso medio della valuta fissato dalla banca.