Language of document : ECLI:EU:C:2009:410

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 30 giugno 2009 1(1)

Causa C‑101/08

Audiolux e altri

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Cour de cassation (Lussemburgo)]

«Diritto societario – Principi generali del diritto comunitario – Esistenza nel diritto comunitario di un principio generale concernente la parità di trattamento degli azionisti – Ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis – Diritti degli azionisti di minoranza – Equilibrio istituzionale – Certezza del diritto – Principio di irretroattività»





Indice

I – Introduzione

II – Contesto normativo

III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

V – Principali argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

VI – Valutazione

A – Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

B – Esame delle questioni pregiudiziali

1. Sulla prima questione

a) Considerazioni introduttive

b) I principi generali del diritto

i) Nozione

ii) Sul principio di parità di trattamento degli azionisti nel diritto comunitario

– Analisi delle pertinenti disposizioni del diritto comunitario

Diritto primario

Linee guida internazionali

– Argomenti che ostano ad una qualificazione in termini di principio generale del diritto

c) Conclusione

2. Sulla seconda questione

3. Sulla terza questione

C – Conclusioni

VII – Conclusione


I –    Introduzione

1.        La Cour de cassation lussemburghese ha sottoposto alla Corte tre questioni, con le quali sostanzialmente chiede di accertare se da una serie di disposizioni delle istituzioni comunitarie in materia di diritto societario possa desumersi l’esistenza nel diritto comunitario di un principio generale concernente la parità di trattamento degli azionisti, il quale tuteli gli azionisti di minoranza di una società in caso di acquisizione del controllo di essa da parte di un’altra società, conferendo loro il diritto di cedere i propri titoli alle stesse condizioni di tutti gli altri azionisti.

2.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame è stata presentata nell’ambito di una controversia giudiziaria avviata dagli azionisti di minoranza della società per azioni RTL Group (in prosieguo: i «ricorrenti del procedimento principale») contro la società di diritto belga Groupe Bruxelles Lambert (GBL), la società di diritto tedesco Bertelsmann AG (Bertelsmann), la società per azioni RTL Group, nonché contro i membri del consiglio di amministrazione della RTL Group (in prosieguo: i «convenuti del procedimento principale»). Con il loro ricorso i ricorrenti del procedimento principale chiedono l’annullamento della convenzione stipulata tra la GBL e la Bertelsmann, in forza della quale la GBL ha ceduto alla Bertelsmann la propria partecipazione del 30% nel capitale della RTL Group in cambio del 25% del capitale della Bertelsmann stessa, ovvero, in subordine, l’accertamento della responsabilità solidale dei convenuti del procedimento principale per il danno da essi subito, con conseguente condanna degli stessi al risarcimento di tale danno.

II – Contesto normativo

Direttiva 77/91/CEE

3.        Ai sensi del quinto ‘considerando’ della direttiva 77/91 (2) «in conformità degli obiettivi di cui all’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), è necessario che, in materia di aumento e di riduzione del capitale, gli Stati membri, nelle loro legislazioni tutelino l’osservanza ed armonizzino l’applicazione dei principi atti a salvaguardare la parità di trattamento degli azionisti che si trovano in condizioni identiche e la protezione dei creditori esistenti prima della decisione di riduzione».

4.        Gli artt. 20 e 42 della direttiva 77/91 dispongono rispettivamente quanto segue:

«Articolo 20

1.       Gli Stati membri possono non applicare l’articolo 19:

(…)

d)       alle azioni acquisite in virtù di un obbligo legale risultante da una decisione giudiziaria a tutela delle minoranze di azionisti, in particolare in caso di fusione, di cambiamento dell’oggetto o del tipo della società, di trasferimento della sede sociale all’estero o di introduzione di limitazioni per il trasferimento delle azioni;

(…)

f)       alle azioni acquisite per indennizzare azionisti minoritari di società collegate;

(…).

Articolo 42

Per l’applicazione della presente direttiva le legislazioni degli Stati membri salvaguardano la parità di trattamento degli azionisti che si trovano in condizioni identiche».

Raccomandazione 77/534/CEE

5.        Ai sensi del sesto ‘considerando’ della raccomandazione 77/534/CEE (3), «la Commissione ha potuto (…) constatare, dopo aver consultato gli ambienti interessati, che presso quest’ultimi esiste un ampio consenso sui principi del codice».

6.        L’undicesimo ‘considerando’ della citata raccomandazione dispone quanto segue:

«I principi generali sono le disposizioni essenziali del codice e rivestono un’importanza primordiale.

Essi prevalgono largamente sulle disposizioni più particolareggiate che seguono e che ne sono solamente una illustrazione.

(…)

C)       Il terzo principio generale concerne l’uguaglianza degli azionisti. Malgrado le critiche, la Commissione ha ritenuto di dover mantenere il principio della uguaglianza di trattamento, illustrandone l’applicazione con due regole complementari e ponendo soprattutto l’accento su un obbligo concreto di pubblicità.

La disposizione complementare n. 17 menziona l’uguaglianza di trattamento che in caso di trasferimento di una partecipazione di controllo deve essere offerta agli altri azionisti, ma ammette che la protezione di tali azionisti si potrebbe realizzare in modi diversi per tener conto del fatto che in Germania esiste una norma che limita i poteri dell’azionista dominante.

(…)».

7.        Il terzo principio generale del codice di condotta europeo concernente le transazioni sui valori mobiliari, allegato alla predetta raccomandazione, dispone quanto segue:

«Dovrebbe essere garantita l’uguaglianza di trattamento ad ogni detentore di valori mobiliari dello stesso tipo, emessi dalla stessa società; in particolare, ogni atto che implichi, direttamente o indirettamente, il trasferimento di una partecipazione che consenta di controllare, de jure o de facto, una società i cui titoli sono negoziati sul mercato, terrà conto del diritto di tutti gli azionisti ad essere trattati allo stesso modo».

8.        La diciassettesima disposizione complementare del codice di condotta europeo dispone quanto segue:

«Ogni operazione che implichi il trasferimento di una partecipazione di controllo ai sensi del principio generale n. 3 non dovrebbe avvenire clandestinamente, senza che gli altri azionisti e le autorità di controllo del mercato ne siano informati.

È auspicabile che la facoltà di cedere i propri titoli alle medesime condizioni sia offerta a tutti gli azionisti della società il cui controllo è stato trasferito, salvo che beneficino di una protezione che si consideri equivalente».

Direttiva 79/279/CEE

9.        In base all’art. 4, n. 2, della direttiva 79/279 (4) «gli emittenti di valori mobiliari ammessi alla quotazione ufficiale sono soggetti agli obblighi elencati negli schemi C o D allegati alla presente direttiva, a seconda che si tratti rispettivamente di azioni o di obbligazioni».

10.      Al punto 2, lett. a), dello schema C allegato alla citata direttiva, concernente gli «obblighi della società le cui azioni sono ammesse alla quotazione ufficiale di una borsa valori», si stabilisce che «la società deve assicurare il medesimo trattamento agli azionisti che si trovano in condizioni identiche».

Direttiva 2001/34/CE

11.      La disposizione sopra citata è stata recepita nell’art. 65, n. 1, della direttiva 2001/34 (5), il cui art. 111, n. 1, ha abrogato la direttiva 79/279.

12.      D’altra parte l’art. 65 della direttiva 2001/34 è stato abrogato, ai sensi dell’art. 32, punto 5, della direttiva 2004/109 (6), con effetto dal 20 gennaio 2007. L’art. 17 della direttiva 2004/109, che riporta la rubrica «Obblighi di informazione per gli emittenti le cui azioni sono ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato», al n. 1 dispone quanto segue:

«L’emittente di azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato garantisce parità di trattamento per tutti i possessori di azioni che si trovano in condizioni identiche».

Direttiva 2004/25/CE

13.      L’ottavo, il nono ed il decimo ‘considerando’ della direttiva 2004/25 (7) enunciano quanto segue:

«(8)  Secondo i principi generali del diritto comunitario e, in particolare, il diritto di difesa, le decisioni di un’autorità di vigilanza dovrebbero poter essere riesaminate, secondo opportune procedure, da un organo giurisdizionale indipendente (…).

(9)       È opportuno che gli Stati membri adottino le misure necessarie per tutelare i possessori di titoli, in particolare quelli con partecipazioni di minoranza, quando è stato acquisito il controllo delle loro società. Gli Stati membri dovrebbero assicurare tale tutela obbligando chiunque acquisisca il controllo di una società a promuovere un’offerta rivolta a tutti i possessori di titoli di tale società, proponendo loro di acquisire la totalità dei loro titoli ad un prezzo equo definito in comune (…).

(10)  L’obbligo di promuovere un’offerta rivolta a tutti i possessori di titoli non si dovrebbe applicare a coloro che detengono già una partecipazione di controllo alla data dell’entrata in vigore delle disposizioni nazionali che recepiscono la presente direttiva».

14.      L’art. 3 della direttiva 2004/25, che riporta la rubrica «Principi generali», al n. 1, lett. a), e al n. 2, lett. a) dispone quanto segue:

«1.       Ai fini dell’attuazione della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a che siano applicati i seguenti principi:

a)       tutti i possessori di titoli di una società emittente della stessa categoria devono beneficiare di un trattamento equivalente; inoltre, se una persona acquisisce il controllo di una società, gli altri possessori di titoli devono essere tutelati;

(…)

2.       Perché siano applicati i principi enunciati nel paragrafo 1, gli Stati membri:

a)       provvedono a che siano soddisfatti i requisiti minimi stabiliti dalla presente direttiva;

(…)».

15.      L’art. 5 della direttiva 2004/25, che riporta la rubrica «Tutela degli azionisti di minoranza; offerta obbligatoria e prezzi equi», ai nn. 1, 3 e 4 dispone quanto segue:

«1.       Gli Stati membri provvedono a che, qualora una persona fisica o giuridica, per effetto di propri acquisti o dell’acquisto da parte di persone che agiscono di concerto con essa, detenga titoli di una società di cui all’articolo 1, paragrafo 1, che, sommati ad una partecipazione già in suo possesso e ad una partecipazione di persone che agiscono di concerto con essa, le conferiscano, direttamente o indirettamente, diritti di voto in detta società in una percentuale tale da esercitare il controllo della stessa, detta persona sia tenuta a promuovere un’offerta per tutelare gli azionisti di minoranza di tale società. L’offerta è promossa quanto prima ed è indirizzata a tutti i possessori dei titoli per la totalità delle loro partecipazioni, al prezzo equo definito nel paragrafo 4.

(…)

3.       La percentuale di diritti di voto sufficiente a conferire il controllo ai sensi del paragrafo 1 e le modalità del calcolo sono determinate dalle norme dello Stato membro in cui la società ha la propria sede legale.

4.       È considerato prezzo equo il prezzo massimo pagato per gli stessi titoli dall’offerente, o da persone che agiscono di concerto con lui, in un periodo, che spetta agli Stati membri determinare, di non meno di sei e non più di dodici mesi antecedenti all’offerta di cui al paragrafo 1 (…).

Nel rispetto dei principi generali contenuti nell’articolo 3, paragrafo 1, gli Stati membri possono autorizzare le autorità di vigilanza a modificare il prezzo di cui al comma precedente in circostanze e secondo criteri chiaramente determinati (…)».

16.      Come termine di recepimento l’art. 21 della direttiva 2004/25 ha fissato il 20 maggio 2006.

III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

17.      La Audiolux SA e gli altri ricorrenti del procedimento principale sono azionisti di minoranza della società per azioni RTL Group con sede in Lussemburgo, le cui azioni sono scambiate nelle borse di Lussemburgo, Bruxelles e Londra. Come risulta dal fascicolo, prima degli avvenimenti che hanno dato origine al procedimento principale la GBL deteneva una quota del 30% delle azioni della RTL. La Bertelsmann deteneva una quota dell’80% della Bertelsmann Westdeutsche TV GmbH (in prosieguo: la «BWTV»), mentre il restante 20% era nelle mani della Westdeutsche Allgemeine Zeitungsverlagsgesellschaft E. Brost & J. Funke GmbH & Co. (in prosieguo: la «WAZ»). La BWTV deteneva una quota del 37% delle azioni della RTL, il gruppo britannico Pearson Television una quota del 22% e i restanti azionisti, tra cui anche la Audiolux, l’11%.

18.      Attraverso una serie di transazioni intervenute nella prima metà del 2001 la GBL cedeva la sua quota del 30% del patrimonio della RTL in cambio di una quota del 25% del patrimonio della Bertelsmann.

19.      Successivamente la Bertelsmann acquisiva, nel dicembre 2001, la quota della Pearson Television. Dopo di ciò la RTL chiedeva la revoca della propria ammissione alla negoziazione ufficiale alla borsa di Londra. La cessione della quota della GBL alla Bertelsmann è oggetto di un ricorso della Audiolux S.A., della BGL Investment Partners e di altri azionisti di minoranza (in prosieguo: i «ricorrenti del procedimento principale») contro la GBL, la Bertelsmann e la RTL Group, nonché contro altri membri del consiglio di amministrazione della RTL Group dinanzi alla camera di commercio del Tribunal d’arrondissement de Luxembourg con il quale si chiede l’annullamento delle convenzioni stipulate tra la GBL e la Bertelsmann con le quali la GBL ha ceduto al gruppo Bertelsmann la propria partecipazione del 30% nel capitale della RTL, ricevendone in cambio il 25% del capitale della Bertelsmann stessa. In subordine i ricorrenti del procedimento principale chiedono la condanna in solido dei convenuti al risarcimento del danno, nonché l’autorizzazione a vendere le proprie quote alle stesse condizioni. In un successivo momento i ricorrenti hanno presentato ulteriori richieste.

20.      Con un ulteriore ricorso proposto contro la Bertelsmann ed altre società i ricorrenti del procedimento principale hanno chiesto di condannare i convenuti ad adempiere gli obblighi loro derivanti dal prospetto di ammissione della RTL Group alla borsa di Londra, pubblicato il 30 giugno 2000, e quindi, tra l’altro, ad aumentare la diffusione tra il pubblico delle quote azionarie della RTL Group portandola al 15%, e a non ritirarle dalla quotazione alla borsa di Londra. I ricorrenti hanno presentato diverse domande in tal senso con ricorsi del 6 settembre, nonché del 3, del 14 e del 18 ottobre 2002.

21.      Con sentenza 8 luglio 2003 il Tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha deciso la prima controversia relativa alla cessione della quota della GBL alla Bertelsmann ed ha respinto i ricorsi ritenendoli irricevibili dal momento che le domande della Audiolux non sarebbero fondate su nessuna norma o principio riconosciuto dal diritto lussemburghese. Contro tale sentenza i ricorrenti del procedimento principale hanno presentato appello dinanzi alla Cour d’appel con atto dell’8 ottobre 2003.

22.      Con sentenza 30 marzo 2004 il Tribunal d’arrondissement de Luxembourg ha respinto i ricorsi relativi alla seconda controversia. Anche contro questa sentenza i ricorrenti del procedimento principale hanno presentato appello dinanzi alla Cour d’appel con atto del 21 giugno 2004.

23.      La Cour d’appel ha riunito le due cause e ha respinto gli appelli con sentenza 12 luglio 2006. Essa ha confermato che né nel diritto societario né nel diritto finanziario lussemburghese vige un principio generale di parità di trattamento degli azionisti e che sul punto non occorre presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte delle Comunità europee.

24.      Contro la sentenza d’appello i ricorrenti del procedimento principale hanno presentato ricorso per cassazione dinanzi alla Cour de cassation con atto del 22 novembre 2006, proponendo sette motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso la Audiolux ha lamentato la violazione o l’erronea applicazione del principio generale di parità di trattamento degli azionisti con particolare riferimento all’ipotesi di una società le cui azioni sono quotate in borsa.

25.      La Cour de cassation, ritenendo che il primo motivo di ricorso concerna una questione di interpretazione del diritto comunitario la cui soluzione risulta rilevante per l’esito della causa, ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se i riferimenti alla parità di trattamento degli azionisti e in particolare alla tutela degli azionisti di minoranza, contenuti

a)      negli artt. 20 e 42 della seconda direttiva “società” 13 dicembre 1976, 77/91/CEE,

b)      nel “terzo principio generale” e nella “diciassettesima disposizione complementare” della raccomandazione della Commissione 25 luglio 1977 di un codice di condotta europeo concernente le transazioni sui valori mobiliari,

c)      nel punto 2, lett. a), dello schema C allegato alla direttiva CEE del Consiglio 5 marzo 1979, 79/279, concernente il coordinamento delle condizioni per l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori, e nella direttiva consolidata 28 maggio 2001,

d)      nell’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto, interpretato alla luce dell’ottavo ‘considerando’ della direttiva stessa,

siano riconducibili ad un principio generale del diritto comunitario.

2)         In caso di soluzione affermativa della prima questione, se tale principio generale si applichi soltanto alle relazioni tra una società e i suoi azionisti, o piuttosto s’imponga anche, specialmente nel caso di società con azioni quotate in borsa, nelle relazioni tra gli azionisti di maggioranza che esercitano o acquisiscono il controllo di una società e gli azionisti di minoranza di tale società.

3)         In caso di soluzione affermativa delle precedenti due questioni, se tale principio, tenuto conto della successione cronologica dei riferimenti normativi menzionati nella prima questione, dovesse essere applicato alle relazioni tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza nel senso della seconda questione, già prima dell’entrata in vigore della direttiva 2004/25 e, nel caso di specie, già prima dei fatti controversi risalenti al primo semestre del 2001».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

26.      La domanda di pronuncia pregiudiziale, datata 4 marzo 2008, è pervenuta alla cancelleria della Corte il 5 marzo 2008.

27.      Hanno presentato osservazioni scritte, nel termine previsto dall’art. 23 dello Statuto della Corte, la Audiolux, la GBL, la Bertelsmann, i governi della Repubblica francese, della Repubblica d’Irlanda e della Repubblica di Polonia, nonché la Commissione.

28.      All’udienza del 30 aprile 2009 sono intervenuti per presentare le proprie osservazioni orali i rappresentanti processuali della Audiolux, della GBL, della Bertelsmann, del governo della Repubblica d’Irlanda nonché della Commissione.

V –    Principali argomenti dei soggetti che hanno presentato osservazioni alla Corte

29.      La Audiolux considera ricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale e propone di risolvere affermativamente le questioni pregiudiziali. Gli atti di diritto comunitario menzionati nella prima questione pregiudiziale e le rispettive norme richiamate depongono a favore dell’esistenza di un principio di parità di trattamento degli azionisti. A proposito della direttiva 77/91 la Audiolux rileva in particolare che già dal suo quinto ‘considerando’ risulterebbe che il legislatore comunitario avrebbe considerato la parità di trattamento degli azionisti come un principio già esistente. La Audiolux richiama inoltre il sesto e l’undicesimo ‘considerando’ del codice di condotta. Il fatto che il codice di condotta sia semplicemente una raccomandazione non osta a che esso sia espressione dei principi generali del diritto comunitario. La Audiolux fonda le proprie tesi anche sulla relazione del gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario del gennaio 2002 (in prosieguo: la «Winter I»).

30.      Secondo la Audiolux dai lavori preparatori della direttiva 2004/25 risulta che esisteva ampio consenso sulla tutela degli azionisti di minoranza prevista nell’art. 5. Il decimo ‘considerando’ di tale direttiva si riferirebbe esclusivamente all’applicazione nel tempo della direttiva, e non riguarderebbe il principio di parità di trattamento degli azionisti, quale risulta dall’art. 3, n. 1, lett. a). Conformemente a quanto deciso nella causa Mangold (8), occorrerebbe distinguere tra l’applicazione delle disposizioni di una direttiva e l’applicazione del principio generale che vi sta alla base.

31.      A proposito della seconda questione pregiudiziale, la Audiolux rileva che l’art. 44, n. 2, lett. g), CE non distingue tra tutela degli azionisti dalla società e tutela degli azionisti da altri azionisti. Una siffatta distinzione non si rinverrebbe nemmeno nella direttiva 77/91, come conferma l’art. 20 di tale direttiva. Anche il codice di condotta, nel terzo principio generale e nella diciassettesima disposizione complementare, riconoscerebbe che il principio di parità di trattamento degli azionisti si applica anche alle relazioni tra azionisti.

32.      La Audiolux ritiene che l’influenza che l’azionista di maggioranza esercita sull’amministrazione della società elimini la differenza tra gli organi societari e lo stesso azionista di maggioranza. Una parità di trattamento di tutti gli azionisti presupporrebbe, pertanto, la subordinazione dell’azionista di maggioranza a tale principio. La Audiolux richiama infine la sentenza Mangold, che a suo avviso depone a favore dell’applicazione di un principio generale del diritto comunitario nel presente caso.

33.      In relazione alla terza questione pregiudiziale, l’Audiolux ritiene che l’applicazione del principio di parità di trattamento degli azionisti nel presente caso non comporti un’applicazione retroattiva della direttiva, in quanto esso ha trovato già espressione trent’anni fa nel codice di condotta ed è pacificamente ammesso da un decennio, come l’emanazione della direttiva 2004/25 dimostra.

34.      I convenuti 1-10 del procedimento principale (in prosieguo congiuntamente denominati: la «GBL») in relazione alla prima e alla seconda questione pregiudiziale rilevano preliminarmente che il riconoscimento di un principio generale del diritto comunitario presuppone per prima cosa che la norma controversa risulti da una delle finalità dei Trattati e abbia un contenuto adeguato. A tal proposito richiamano le sentenze Jippes (9) e Portogallo/Consiglio (10).

35.      In relazione agli atti di diritto comunitario menzionati nella prima questione pregiudiziale, la GBL sostanzialmente rileva che in base alla giurisprudenza della Corte il codice di condotta non potrebbe produrre alcun effetto giuridico. Da un lato non sarebbe stato incorporato nel diritto lussemburghese, dall’altro rinvierebbe soltanto alle norme comunitarie che intendeva integrare. Del resto l’esistenza della direttiva 2004/25 ed i suoi lavori preparatori dimostrerebbero l’assenza di un principio generale di parità di trattamento degli azionisti. A sostegno delle sue tesi la GBL richiama la relazione Winter I nonché la relazione del gruppo ad alto livello di esperti di diritto societario su un quadro normativo moderno per il diritto delle società in Europa del novembre 2002 (in prosieguo: la «Winter II»). Peraltro, le numerose possibilità di scelta rimesse agli Stati membri nonché la fissazione di requisiti minimi dimostrerebbero l’inesistenza di un siffatto principio.

36.      In merito alla terza questione pregiudiziale la GBL richiama la giurisprudenza della Corte sulla certezza del diritto e, in particolare, sul principio di irretroattività per dimostrare l’inesistenza di un principio di parità di trattamento degli azionisti. In ogni caso tale principio non potrebbe essere applicato a fatti precedenti all’entrata in vigore della direttiva 2004/25.

37.      Secondo i convenuti 11-18 del procedimento principale (in prosieguo congiuntamente denominati: la «Bertelsmann») la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile. Essa non riporterebbe le circostanze rilevanti necessarie per consentire alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali sulla base della conoscenza del contesto normativo e di fatto.

38.      Le disposizioni delle direttive 77/91 e 79/279 menzionate nella prima questione pregiudiziale si riferirebbero esclusivamente alle relazioni tra società e suoi azionisti e riguarderebbero ipotesi ben determinate che non presentano alcun collegamento con la problematica dibattuta nel procedimento principale. Benché il codice di condotta contenuto nella raccomandazione preveda un’offerta obbligatoria, questa, ai sensi della diciassettesima disposizione complementare, sarebbe soltanto «auspicabile» e ad essa si dovrebbe ricorrere solo in mancanza di altra protezione «equivalente».

39.      In relazione alla direttiva 2004/25 la Bertelsmann rileva in particolare che nel corso dei lavori preparatori di tale direttiva non vi fu unanimità circa l’opportunità di prevedere la promozione di un’offerta obbligatoria quale unico mezzo di tutela degli azionisti di minoranza. Inoltre, l’esistenza di numerose possibilità di scelta a favore degli Stati membri, le dettagliate disposizioni concernenti la promozione di un’offerta obbligatoria, nonché l’ambito di applicazione temporale sarebbero incompatibili con il presunto principio generale. Se si ammettesse l’esistenza di un siffatto principio, si dovrebbe dichiarare la nullità della direttiva in parola.

40.      Secondo la Bertelsmann non esiste, né a livello nazionale né a livello internazionale, un consolidato orientamento (opinio iuris) a favore dell’esistenza di un siffatto principio generale, come conferma anche la relazione Winter I. I vari riferimenti alla parità di trattamento degli azionisti, contenuti negli atti di diritto derivato, non sarebbero sufficienti per poter affermare l’esistenza di un principio generale. Il presunto principio in parola si distinguerebbe, per il suo contenuto radicalmente diverso, dai principi generali già riconosciuti dalla giurisprudenza. In ogni caso sarebbe troppo indeterminato per poter fondare l’obbligo di promuovere un’offerta obbligatoria.

41.      Il riconoscimento di un siffatto principio generale violerebbe, inoltre, le competenze del legislatore comunitario in quanto verrebbero stabilite delle regole la cui emanazione spetterebbe soltanto a questi. In particolare sarebbero violati i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, soprattutto dal punto di vista del principio di irretroattività. A tale violazione farebbero riferimento le disposizioni della direttiva 2004/25, dalle quali risulta che le regole concernenti l’offerta obbligatoria non si applicano alle situazioni venute in essere prima della data di entrata in vigore delle disposizioni nazionali di trasposizione. Inoltre i principi generali del diritto comunitario di regola non troverebbero applicazione alle relazioni tra privati. Le uniche eccezioni, tra le quali quella di cui alla sentenza Mangold, si distinguerebbero dalla presente causa per il contesto normativo completamente differente in cui tali decisioni sono state adottate.

42.      Il governo francese prende posizione soltanto sulla prima questione pregiudiziale sostenendo che gli atti di diritto comunitario elencati in tale questione pregiudiziale proverebbero l’esistenza di un principio di parità di trattamento degli azionisti. Nondimeno, secondo il governo francese l’applicazione di tale principio presuppone che gli interessati si trovino in una situazione simile. Inoltre da tale principio è possibile derogare allorché la disparità di trattamento risulti obiettivamente giustificata.

43.      Il governo irlandese avverte che un’eventuale soluzione affermativa delle questioni pregiudiziali comporterebbe serie conseguenze sia a livello di diritto costituzionale, per quanto riguarda la suddivisione di competenze tra le istituzioni comunitarie e la certezza del diritto, sia a livello di diritto societario. Si pronuncia espressamente a favore di una soluzione negativa delle questioni pregiudiziali.

44.      In relazione alla prima questione pregiudiziale il governo irlandese sostiene che le disposizioni comunitarie ivi elencate non offrono elementi sufficienti per ritenere che esse siano emanazione di un comune principio generale di uguaglianza degli azionisti. Si tratterebbe piuttosto di regole specifiche, concernenti specifiche situazioni. Il governo irlandese ritiene altresì che un siffatto principio non possa essere considerato, a causa della sua specificità, un principio generale del diritto comunitario. I principi generali del diritto comunitario, quali sono stati riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte, riguarderebbero – a differenza del principio qui controverso – aspetti fondamentali dell’ordinamento giuridico comunitario. Il governo irlandese sottolinea inoltre la notevole complessità del diritto societario, inteso a raggiungere un equilibrio di interessi. Conseguentemente risulterebbe vietata un’applicazione diretta del principio in esame.

45.      In relazione alla seconda questione pregiudiziale il governo irlandese ritiene che un eventuale principio generale si applichi esclusivamente alle relazioni tra società e suoi azionisti. A tal proposito segnala che l’offerta obbligatoria prevista nella direttiva 2004/25 costituisce un’eccezione nel diritto societario e, pertanto, non potrebbe essere considerata espressione di un principio generale.

46.      In relazione alla terza questione pregiudiziale il governo irlandese sottolinea che un’applicazione di tale principio – attesa la necessità di disposizioni più precise – si risolverebbe in definitiva in un’applicazione della direttiva 2004/25 precedente al termine della sua stessa entrata in vigore. Si tratterebbe, ad avviso del governo irlandese, di una conseguenza inammissibile, tanto più che comporterebbe un’applicazione orizzontale della direttiva ancor prima della scadenza del suo termine di trasposizione.

47.      Il governo polacco prende posizione sulla prima e sulla terza questione pregiudiziale sostenendo che il principio di parità di trattamento degli azionisti costituisce un principio generale del diritto comunitario. Si tratterebbe di un principio fondamentale del diritto societario europeo e nazionale, la cui applicabilità risale a molto prima dell’entrata in vigore della direttiva 2004/24. Tale principio sarebbe riconosciuto, esplicitamente o implicitamente, in numerosi atti di diritto comunitario.

48.      Attesa la sua generalità, tuttavia, tale principio non potrebbe essere applicato direttamente, sicché esso è rivolto prioritariamente al legislatore. Tale principio richiederebbe semplicemente un trattamento uguale per situazioni simili, pur ammettendo la possibilità di un trattamento differenziato ove obiettivamente giustificato. In base a tale principio gli azionisti godrebbero degli stessi diritti in misura corrispondente alla loro rispettiva partecipazione al patrimonio societario, senza peraltro escludere gli speciali diritti degli azionisti di minoranza rivolti alla loro stessa tutela. Queste regole terrebbero tuttavia conto della particolare situazione degli azionisti di minoranza rispetto agli azionisti di maggioranza, e pertanto dovrebbero essere stabilite dal legislatore.

49.      In relazione alla seconda questione pregiudiziale il governo polacco sostiene che il principio di uguaglianza degli azionisti si applica soltanto alla relazione tra società e suoi azionisti, sicché in via di principio gli azionisti non sarebbero tenuti a farsi carico degli interessi degli altri azionisti.

50.      La Commissione propone di risolvere in senso negativo le questioni pregiudiziali. A suo avviso l’uguaglianza degli azionisti e la tutela degli azionisti di minoranza non possono essere considerate un principio generale del diritto comunitario. In base alla giurisprudenza della Corte, soltanto determinati principi fondamentali potrebbero essere considerati prevalenti rispetto al diritto derivato e rientranti nel gruppo dei principi generali del diritto comunitario. L’uguaglianza degli azionisti e la tutela degli azionisti di minoranza rappresenterebbero principi troppo precisi per poter essere considerati principi «generali» del diritto comunitario. La Commissione rileva inoltre che non si tratta né di un principio comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, né di un diritto fondamentale previsto nel Trattato CE.

51.      Ad avviso della Commissione le disposizioni di diritto derivato menzionate nella prima questione pregiudiziale riguardano situazioni ben specifiche e non possono pertanto essere intese come espressione di un principio generale. L’emanazione della direttiva 2004/25 confermerebbe che il legislatore comunitario ha ritenuto necessario adottare regole a tutela degli azionisti di minoranza dopo il cambio di controllo all’interno di una società.

52.      In relazione alla seconda questione pregiudiziale, la Commissione da una parte rileva che gli obblighi imposti dalla direttiva 2004/25 all’azionista di maggioranza nei confronti degli azionisti di minoranza non possono essere considerati manifestazione di un principio generale del diritto comunitario. D’altra parte osserva che gli atti di diritto derivato elencati nella prima questione pregiudiziale non impongono alcun obbligo nelle relazioni tra singoli azionisti. Infine la Commissione rileva che un principio generale del diritto comunitario non potrebbe produrre alcun effetto diretto nelle relazioni tra privati.

53.      A proposito della terza questione pregiudiziale, la Commissione sottolinea che la direttiva 2004/25 non fa cenno all’esistenza di un supposto principio generale di parità di trattamento degli azionisti, rivolto, in particolare, alla tutela degli azionisti di minoranza, preesistente alla sua emanazione.

VI – Valutazione

A –    Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

54.      La prima questione giuridica da affrontare concerne l’eccezione, sollevata dalla Bertelsmann, di irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.

55.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno l’ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (11).

56.      Pertanto, le informazioni fornite nella decisione di rinvio pregiudiziale devono non solo consentire alla Corte di fornire risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte. Spetta alla Corte vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (12).

57.      Nel presente caso nella decisione di rinvio sono esposte, in termini scarni ma sufficientemente precisi, le disposizioni rilevanti del diritto nazionale e comunitario, nonché l’origine e la natura della controversia. Ne consegue che il giudice del rinvio ha adeguatamente definito il contesto di fatto e di diritto nell’ambito del quale formula la sua domanda di interpretazione del diritto comunitario, ed ha fornito alla Corte tutte le informazioni necessarie per consentire a quest’ultima di rispondere utilmente a tale domanda.

58.      Va pertanto respinta l’eccezione della Bertelsmann secondo cui la domanda di pronuncia pregiudiziale dovrebbe essere dichiarata irricevibile in toto.

B –    Esame delle questioni pregiudiziali

59.      La presente causa ruota intorno alla prima questione pregiudiziale, con la quale sostanzialmente si chiede se il principio di parità di trattamento degli azionisti rientri nel novero dei principi generali del diritto comunitario. La seconda e la terza questione pregiudiziale sono espressamente formulate solo per il caso in cui la prima questione pregiudiziale sia risolta in senso affermativo dalla Corte. Anche il loro esame deve pertanto seguire tale ordine.

1.      Sulla prima questione

a)      Considerazioni introduttive

60.      Occorre in via preliminare rilevare che la prima questione pregiudiziale necessita di una precisazione.

61.      Secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, a prescindere dalla ripartizione di competenze tra il giudice nazionale e la Corte, spetta a quest’ultima, in caso di questioni formulate in modo improprio, estrapolare dal complesso degli elementi forniti dal giudice nazionale, e in particolare dalla motivazione del provvedimento di rinvio, gli elementi di diritto comunitario che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (13).

62.      La prima questione pregiudiziale, in base ad una valutazione oggettiva della domanda di pronuncia pregiudiziale e tenuto conto degli interessi delle parti del procedimento principale, deve essere in fondo intesa nel senso che con essa si chiede se nel diritto comunitario viga un principio generale che impone la parità di trattamento degli azionisti, e se tale principio produca anche effetti a tutela degli azionisti di minoranza di una società facendo sì che questi, in caso di acquisizione del controllo della società, abbiano il diritto di cedere le loro quote alle stesse condizioni degli altri azionisti.

63.      Attraverso l’esame dell’ulteriore questione se il controverso principio generale imponga una conseguenza giuridica sufficientemente precisa che avvantaggi i ricorrenti del procedimento principale, si evita che la soluzione della Corte resti astratta (14). Qui di seguito, pertanto, si affronterà la questione principale con la precisazione di cui sopra.

64.      Il giudice del rinvio nella sua prima questione pregiudiziale richiama una serie di atti delle istituzioni comunitarie di cui all’art. 249 CE, la cui natura giuridica non è unitaria, ma che tutti quanti fanno riferimento più o meno espressamente ad un non meglio definito principio di parità di trattamento degli azionisti. Tali disposizioni costituiscono, in virtù della loro collocazione nel diritto positivo, un fondamentale punto di riferimento per la seguente analisi giuridica.

65.      Per motivi sistematici è opportuno procedere prima di tutto ad un chiarimento concettuale della nozione di principi generali del diritto comunitario, per poi affrontare la questione se sussistano i presupposti per il riconoscimento da parte della Corte della parità di trattamento degli azionisti quale principio generale.

b)      I principi generali del diritto

i)      Nozione

66.      Nella giurisprudenza della Corte ai principi generali del diritto comunitario spetta un posto particolare.

67.      La nozione di principi generali è tuttavia a tutt’oggi controversa (15). La terminologia non è uniforme né nella dottrina giuridica né nella giurisprudenza. In parte le divergenze riguardano solo le scelte lessicali, come quando la Corte e gli avvocati generali si riferiscono ad una norma giuridica generalmente ammessa (16), ad un principio generalmente ammesso (17), ad un principio giuridico fondamentale (18), ad un principio fondamentale (19), ad un mero principio (20), ad un principio (21) o al principio generale di uguaglianza che fa parte dei principi fondamentali del diritto comunitario (22).

68.      Vi è, tuttavia, unanimità nel ritenere che nella giurisprudenza i principi generali rappresentano uno strumento importante per colmare le lacune e per orientare l’interpretazione (23). Ciò risulta, non da ultimo, dal fatto che l’ordinamento giuridico comunitario è un ordinamento in continua evoluzione il quale – attesa la sua apertura all’evoluzione integratrice – deve essere necessariamente lacunoso e bisognevole di interpretazione. Consapevole di ciò, anche la Corte si è astenuta da una precisa classificazione dei principi generali, per preservarsi la flessibilità di cui ha bisogno per poter decidere le questioni sostanziali che emergono indipendentemente dalle differenze terminologiche (24).

69.      In base ad una definizione proposta dalla dottrina, rientrano tra i principi generali le disposizioni fondamentali del diritto comunitario primario non scritto che sono immanenti nello stesso ordinamento giuridico delle Comunità europee o che sono comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri (25). In via di principio è possibile distinguere tra principi generali del diritto comunitario in senso stretto, vale a dire quelli che risultano esclusivamente dallo spirito e dal sistema del Trattato CE e che riguardano specifici aspetti del diritto comunitario, e principi generali che sono comuni agli ordinamenti giuridici e costituzionali degli Stati membri (26). Mentre il primo gruppo di principi generali è direttamente desumibile dal diritto comunitario primario, per individuare i principi del secondo gruppo la Corte ricorre sostanzialmente ad una comparazione giuridica critico-valutativa (27), senza tuttavia dare alcun rilievo in tale sede al metodo del minimo denominatore comune. Nemmeno si ritiene necessario che i principi in tal modo elaborati siano sempre presenti, con la stessa specifica formulazione assunta a livello comunitario, anche in tutti gli ordinamenti giuridici oggetto di comparazione.

70.      I principi generali si connotano per il fatto di incarnare principi fondamentali della Comunità e dei suoi Stati membri, il che spiega il loro rango di diritto primario all’interno della gerarchia delle fonti dell’ordinamento giuridico comunitario (28). Di estrema importanza è in particolare la tutela dei diritti fondamentali in senso stretto, elaborata e assicurata sotto questa ampia denominazione dal sistema giurisdizionale comunitario, nonché l’elaborazione di quei diritti processuali equivalenti a diritti fondamentali che, in quanto principi generali dello Stato di diritto, sono stati elevati al rango di diritto costituzionale della Comunità (29). Fanno pertanto parte dei principi generali anche quei principi che risultano strettamente connessi con i principi su cui si fonda l’Unione europea, quali la libertà, la democrazia, il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e lo Stato di diritto di cui all’art. 6, n. 1, UE, e che da essi derivano. La loro violazione da parte di uno Stato membro può dare avvio al particolare meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 7 UE.

71.      Come principi generali del diritto comunitario sono stati ad esempio riconosciuti importanti principi dello Stato di diritto, come il concetto di proporzionalità (30), la chiarezza giuridica (31) o il diritto del cittadino ad un’effettiva protezione giuridica (32). In quest’ambito rientrano anche vari principi generali di corretta amministrazione, come il principio della tutela del legittimo affidamento (33), il principio ne bis in idem (34), il diritto alla difesa (35), anche nella forma della possibilità di presentare deduzioni in caso di atti lesivi (36), l’obbligo di motivazione degli atti giuridici (37) o il principio del previo accertamento da parte dell’autorità procedente di tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (38). Vi rientra anche il richiamo alla «forza maggiore» (39). Si possono tuttavia rinvenire anche principi non estranei al diritto contrattuale, come ad esempio il principio generale pacta sunt servanda (40) o anche il principio clausula rebus sic stantibus (41).

72.      Nella direzione dello Stato sociale rilevano ad esempio il riconoscimento del principio della solidarietà (42) o l’obbligo di assistenza dell’amministrazione nei confronti dei suoi dipendenti (43). Sul versante del riconoscimento dei vincoli federali interni alla Comunità europea rientra il più volte sottolineato principio di collaborazione tra gli Stati membri ed i loro obblighi di cooperazione nei rapporti con la Comunità. Sul fondamento dell’art. 10 CE la Corte ha così elaborato il principio della reciproca lealtà comunitaria (44). La Corte ha inoltre accolto il principio di democrazia, ad esempio sottolineando la necessità di una partecipazione effettiva del Parlamento al processo legislativo della Comunità, in conformità alle procedure previste dal Trattato (45).

73.      Tra i diritti fondamentali comunitari, che la Corte ha riconosciuto ricorrendo alla già menzionata comparazione giuridica di tipo valutativo e sulla scorta di convenzioni internazionali ed europee sui diritti dell’uomo, rientrano quei diritti fondamentali dell’uomo che caratterizzano le società liberali e democratiche, come ad esempio la libertà di espressione (46) e la libertà di associazione (47). Vi rientrano parimenti quei principi fondamentali che risultano direttamente dal Trattato CE, come il principio di non discriminazione a causa della cittadinanza (48) e il divieto di discriminazioni fondate sul sesso (49).

ii)    Sul principio di parità di trattamento degli azionisti nel diritto comunitario

74.      È controverso se dallo stesso ordinamento giuridico comunitario possa essere desunto un principio generale di parità di trattamento degli azionisti. A tal fine siffatto principio, al pari degli esempi sopra riportati, dovrebbe rivestire nel settore del diritto societario comunitario un’importanza così fondamentale da aver trovato espressione nel diritto primario o in numerose norme del diritto comunitario derivato.

–       Analisi delle pertinenti disposizioni del diritto comunitario


 Diritto primario

75.      In mancanza di univoche disposizioni nei Trattati fondamentali, un tale principio generale non può essere desunto dal diritto primario scritto. Né l’elenco delle finalità della Comunità di cui all’art. 3 CE, né le disposizioni concernenti il movimento dei capitali e dei pagamenti di cui agli artt. 56 ss. CE contengono precise indicazioni in tal senso.

76.      Si potrebbe pensare di porre a fondamento della richiesta di parità di trattamento degli azionisti, avanzata dai ricorrenti del procedimento principale, il principio generale di uguaglianza. Il principio generale di uguaglianza, che vieta di trattare in maniera diversa situazioni analoghe, a meno che tale differenza non sia obiettivamente giustificata, costituisce uno dei principi fondamentali della Comunità (50). Norme sull’uguaglianza di fronte alla legge fanno anche parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.

77.      In via di principio i diritti fondamentali, tra i quali rientra anche il principio di uguaglianza, sono diritti di difesa del singolo di fronte al potere pubblico. Suscita pertanto perplessità il tentativo di trasportare, come evidentemente proposto dalla GBL, il principio generale di uguaglianza, riconosciuto nella giurisprudenza della Corte, direttamente in un settore che, negli ordinamenti degli Stati membri, rientra nel diritto privato. Il principio di uguaglianza o il divieto di discriminazioni non rientrano tra i tradizionali principi guida del diritto privato (51). A parte ciò, risulta praticamente impossibile applicare congruamente il principio generale di uguaglianza nella sua generalità per decidere la controversia principale, dal momento che da tale principio non possono essere desunti né i presupposti di fatto per la sua applicazione, né alcuna conseguenza giuridica sufficientemente determinata in caso di sua violazione.

78.      Il principio generale di uguaglianza potrebbe, tuttavia, aver costituito il fondamento per elaborare una specifica regola di parità di trattamento nel diritto societario comunitario. Occorre pertanto verificare se esiste una regola di parità di trattamento degli azionisti quale espressione particolare del principio generale di uguaglianza.

 Linee guida internazionali

79.      I Principi di governo societario dell’OCSE, emanati nel 1999 e riformulati nel 2004, forniscono un quadro preciso dei principi di valore validi su scala mondiale per le società quotate in borsa. Essi costituiscono pertanto il punto di riferimento principale per verificare se a livello internazionale possa essere ammessa una regola sulla parità di trattamento degli azionisti tra loro che preveda, in caso di acquisizione di una partecipazione di maggioranza, un diritto all’acquisto obbligatorio. Nelle raccomandazioni dell’OCSE sono confluiti gli standard fondamentali nazionali e internazionali per la stabilità del mercato finanziario. Per la loro preparazione sono state consultate importanti organizzazioni internazionali ed un’ampia rosa di associazioni di imprese.

80.      La versione del 1999 non conteneva alcuna disciplina relativa alla parità di trattamento degli azionisti. Solo la nuova versione dei Principi del 2004 menziona per la prima volta il principio di parità di trattamento nella sezione «Parte I - III) Equo trattamento degli azionisti» (52). Al punto 2 si afferma che «gli azionisti di minoranza dovrebbero essere tutelati da atti abusivi da parte, o nell’interesse, degli azionisti di controllo, che agiscano direttamente o indirettamente e dovrebbero disporre di efficaci rimedi giuridici» (53). Nelle relative annotazioni esplicative della Parte III si segnala il pericolo che gli azionisti di controllo si impegnino in attività che potrebbero favorire i loro propri interessi a scapito degli azionisti di minoranza (54). Quali possibili soluzioni vengono prospettati numerosi rimedi, come ad esempio una migliore attuazione dei diritti degli azionisti di minoranza, il miglioramento del flusso di informazioni, la richiesta di maggioranze qualificate per determinate decisioni degli azionisti, ecc. Il diritto all’acquisto obbligatorio non viene espressamente menzionato. Si riferisce semplicemente che, in alcune circostanze, «taluni sistemi giuridici» impongono o consentono agli azionisti di controllo di acquistare i titoli residui detenuti da altri azionisti ad un prezzo fissato da una perizia indipendente. Risulta, quindi, chiaramente che a livello internazionale non esiste nel diritto societario una regola di parità di trattamento.

Atti delle istituzioni comunitarie

81.      Elementi a favore dell’esistenza di un siffatto principio generale potrebbero eventualmente emergere dal diritto derivato o da altri atti delle istituzioni comunitarie. In effetti numerose disposizioni comunitarie contengono un rinvio ad una regola di parità di trattamento degli azionisti qualora questi si trovino in condizioni identiche (55).

82.      Il giudice del rinvio nel suo provvedimento di rinvio richiama le seguenti disposizioni: l’art. 42 della direttiva 77/91, il punto 2, lett. a), dello schema C allegato alla direttiva 79/279, recepito nell’art. 65 della direttiva 2001/34, nonché l’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva 2004/25. Ulteriori riferimenti a tale regola sono altresì rinvenibili in altre direttive concernenti il diritto societario, ad esempio nella direttiva 2004/109, il cui art. 17, n. 1, stabilisce che «l’emittente di azioni ammesse alla negoziazione in un mercato regolamentato garantisce parità di trattamento per tutti i possessori di azioni che si trovano in condizioni identiche». L’art. 18, n. 1, della citata direttiva prevede, inoltre, che «l’emittente di titoli di debito ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato garantisce parità di trattamento per tutti i possessori di titoli di debito dello stesso grado per quanto riguarda tutti i diritti inerenti a tali titoli». Lo stesso può dirsi per la direttiva 2007/36/CE (56), relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, il cui art. 4 stabilisce che «la società assicura la parità di trattamento di tutti gli azionisti che si trovano nella stessa posizione per quanto concerne la partecipazione e l’esercizio dei diritti di voto in assemblea».

83.      Anche l’art. 5, n. 1, della direttiva 2004/25 impone uno specifico obbligo a tutela dei possessori di titoli con partecipazioni di minoranza per garantire un’effettiva parità di trattamento di tutti gli azionisti quando è stato acquisito il controllo della loro società. Questa disciplina, illustrata al nono ‘considerando’ della direttiva citata, prevede nello specifico che chiunque acquisisca il controllo di una società dovrebbe essere obbligato a promuovere un’offerta rivolta a tutti i possessori di titoli di tale società, proponendo loro di acquisire la totalità dei loro titoli e, segnatamente, ad un prezzo equo definito in comune.

–       Argomenti che ostano ad una qualificazione in termini di principio generale del diritto

Difetto di rango costituzionale

84.      Ad una più attenta considerazione delle disposizioni sopra menzionate, risulta tuttavia chiaro che esse si limitano sostanzialmente a disciplinare ben specifiche ipotesi rilevanti per il diritto societario, in quanto impongono alla società determinati obblighi a tutela di tutti gli azionisti. Ad esse manca pertanto il carattere generale ed aperto, che invece connota per definizione i principi generali.

85.      Inoltre non tutte le disposizioni menzionate sono giuridicamente vincolanti, come è ad esempio il caso della raccomandazione 77/534/CEE. Al pari dei pareri, le raccomandazioni, ai sensi dell’art. 249, quinto comma, CE, sono atti non vincolanti delle istituzioni comunitarie che, pur potendo eventualmente venire in rilievo come strumenti di interpretazione, non possono tuttavia far sorgere obblighi o diritti in capo ai singoli (57). La natura non vincolante delle disposizioni di questo atto delle istituzioni risulta altresì dal fatto che la facoltà di cedere i propri titoli alle medesime condizioni, prevista dalla diciassettesima disposizione complementare del codice di condotta europeo a favore di tutti gli azionisti di una società il cui controllo sia stato trasferito, è indicata come meramente «auspicabile». Ciò non basta in nessun caso a far sorgere, a livello comunitario, in capo agli azionisti di minoranza il diritto all’acquisto obbligatorio nei confronti degli azionisti di maggioranza. Conseguentemente si deve convenire con la tesi della Commissione e della Bertelsmann secondo cui deve essere respinta dalla Corte la possibilità di invocare direttamente il contenuto della predetta raccomandazione per far valere posizioni giuridiche individuali.

86.      Le disposizioni controverse sono evidentemente frutto dello sforzo del legislatore comunitario di impedire disparità di trattamento tra gli azionisti arbitrarie, cioè non obiettivamente giustificate. Tuttavia non si può da esse direttamente dedurre l’esistenza di un principio generale di parità di trattamento degli azionisti nel senso del diritto comunitario.

87.      Come sopra esposto, infatti, i principi generali si connotano innanzitutto per il rango costituzionale che rivestono all’interno dell’ordinamento giuridico comunitario. I principi generali di regola incarnano concetti e valori giuridici fondamentali, propri di un ordinamento giuridico. Inoltre essi si distinguono da specifiche norme giuridiche per il fatto che rivendicano un certo grado di validità generale senza limitarsi ad un determinato settore del diritto (58).

88.      Il concetto della parità di trattamento degli azionisti attraversa come un filo rosso il diritto societario della Comunità e degli Stati membri e costituisce evidentemente un ideale fondamentale in questo settore del diritto (59). Tuttavia, per ora non può rivendicare di aver raggiunto rango costituzionale in alcun ordinamento giuridico. La sua codificazione, sia nel diritto nazionale sia nel diritto comunitario, è confinata invece a disposizioni di legge ordinaria.

Assenza di un consolidato orientamento nella dottrina giuridica

89.      Una disamina della dottrina giuridica rivela inoltre un elevato grado di divergenza a proposito della valutazione della precisa natura giuridica del concetto di parità di trattamento degli azionisti nonché della sua collocazione sistematica all’interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Mentre alcuni Autori parlano di un «fondamentale principio giuridico del diritto societario» (60), altri indicano il concetto di parità di trattamento degli azionisti semplicemente come «idea fondamentale» (61) o «ideale semplificato rivolto ad impedire arbitrarie disparità di trattamento da parte degli organi societari» (62). Alcuni Autori vi individuano perfino un’«emanazione del generale principio di giustizia, il cui fondamento originario non si trova nella legge, ma al di fuori di essa e al di fuori dello stesso diritto positivo» (63).

90.      Tuttavia, a prescindere dalla sua esatta qualificazione, vi è indubbiamente unanimità nel ritenere che il principio di parità di trattamento degli azionisti non sia suscettibile di precisa definizione e sia pertanto «concettualmente inafferrabile, costituendo semplicemente uno strumento flessibile per raggiungere determinate finalità» (64). In considerazione del difetto di determinatezza di tale principio per ciò che concerne il suo fondamento, il suo ambito di applicazione, il suo contenuto e le conseguenze di una sua eventuale violazione, la dottrina prevalente conclude nel senso che tale principio, per ricevere concreta attuazione, necessita per forza di una specificazione del suo contenuto ad opera dei legislatori o della giurisprudenza (65).

91.      Nemmeno è possibile richiamare le relazioni Winter I e Winter II (66) per comprovare un consolidato orientamento nella dottrina giuridica o all’interno degli ordinamenti degli Stati membri in ordine all’esistenza di un siffatto principio generale.

92.      Così risulta chiaramente dalla relazione Winter I che prima dell’emanazione della direttiva 2004/25 sussistevano numerose differenze nella disciplina degli Stati membri delle offerte pubbliche di acquisto, sicché le offerte pubbliche di acquisto non potevano essere promosse con le stesse possibilità di successo e gli azionisti negli Stati membri non disponevano delle stesse possibilità di offrire in vendita le loro azioni. In considerazione di ciò il gruppo di esperti si dichiarò favorevole ad una disciplina che semplificasse le offerte pubbliche di acquisto (67). Un grado altrettanto elevato di disomogeneità concerneva le disposizioni degli Stati membri relative alla controprestazione da pagare, sia in relazione all’entità sia in relazione alla natura delle prestazioni da offrire (68). Al fine di assicurare una sufficiente prevedibilità di tale controprestazione – il che ad avviso del gruppo di esperti costituisce un requisito necessario per un efficiente funzionamento dei mercati dei capitali nell’Unione europea – esso si pronunciò espressamente a favore dell’introduzione di criteri armonizzati a livello comunitario.

93.      Se fosse esistito, come sostiene la Audiolux (69), un principio generale di parità di trattamento degli azionisti che avesse regolato con sufficiente precisione le modalità di un’offerta pubblica di acquisto, non sarebbe stato necessario in tal caso emanare norme di armonizzazione a livello comunitario al fine di superare la disomogeneità normativa esistente tra gli Stati membri. Per contro, le relazioni summenzionate fanno emergere un urgente bisogno di un intervento normativo a livello comunitario.

Difetto di validità generale

94.      Va inoltre considerato che il concetto di parità di trattamento degli azionisti vale solo limitatamente al diritto societario della Comunità e dei suoi Stati membri, quindi ad un settore determinato del diritto, sicché esso è privo di validità generale. Manca, pertanto, un ulteriore elemento caratteristico che di regola connota i principi generali (70).

95.      Una siffatta constatazione pone il concetto di parità di trattamento degli azionisti in netto contrasto con quei principi generali effettivamente riconosciuti come tali dalla Corte, che godono di rango costituzionale, come ad esempio il principio dello Stato di diritto, che è comune a tutti gli Stati membri dell’Unione e sul quale si fonda l’Unione ai sensi dell’art. 6, n. 1, UE e che è riconosciuto nella giurisprudenza della Corte ed ha conosciuto plurime manifestazioni a livello di diritto derivato sotto forma di certezza del diritto, di diritto di difesa e di diritto ad un’effettiva tutela giuridica.

96.      Il difetto tanto di rango costituzionale quanto di validità generale di questo concetto ne preclude, quindi, la qualificazione in termini di principio generale del diritto comunitario.

Difetto di determinatezza della conseguenza giuridica

97.      Risulta, pertanto, a questo punto superfluo affrontare l’ulteriore questione se esiste un principio generale che tutela gli azionisti di minoranza di una società attribuendo loro, in caso di acquisizione del controllo della loro società, il diritto di cedere i propri titoli alle stesse condizioni di tutti gli altri azionisti.

98.      Nell’ipotesi, tuttavia, che la Corte, diversamente da quanto qui sostenuto, dovesse ritenere esistente un principio generale di parità di trattamento degli azionisti, si riproporrebbero ancora una volta, a mio avviso, seri dubbi sul fatto che un tale principio generale possa essere così sufficientemente determinato da poter produrre la conseguenza giuridica cui mirano i ricorrenti del procedimento principale. Come giustamente rileva la Commissione, un principio generale di tal tipo sarebbe fin troppo preciso per poter essere ancora considerato «generale».

Divieto di aggiramento della voluntas legis

99.      Le disposizioni menzionate dal giudice del rinvio nella sua prima questione pregiudiziale non contengono nessuna norma che impone espressamente la conseguenza giuridica cui mirano i ricorrenti del procedimento principale.

100. Un’eccezione potrebbe essere costituita dall’art. 5, n. 1, della direttiva 2004/25, che prevede l’imposizione dell’obbligo di promuovere un’offerta a carico della persona fisica o giuridica che acquisisce il controllo di una società. Tale disposizione obbliga gli Stati membri ad assicurare che a tutti i possessori di titoli sia sottoposta un’offerta per la totalità delle loro partecipazioni ad un prezzo equo. Questa disposizione conferisce in un certo senso concretezza all’art. 3, n. 1, lett. a), della stessa direttiva, ove è stabilito il principio generale della parità di trattamento di tutti i possessori di titoli di una società emittente. La disposizione da ultimo citata prevede altresì che se una persona acquisisce il controllo di una società gli altri possessori di titoli devono essere tutelati.

101. Tuttavia nel caso di specie non può farsi luogo ad una diretta applicazione della citata direttiva. Innanzitutto i fatti che hanno dato origine alla causa principale si sono verificati prima dell’entrata in vigore della direttiva o del termine per la sua trasposizione, sicché il Granducato di Lussemburgo all’epoca non era ancora obbligato ad applicare la direttiva (71). Ciò produce una duplice conseguenza. Da un lato i ricorrenti del procedimento principale non possono invocare direttamente tale disposizione. Dall’altro lato occorre considerare che il riconoscimento di un principio generale di parità di trattamento degli azionisti che preveda sostanzialmente la stessa conseguenza giuridica prevista dall’art. 5, n. 1, della direttiva 2004/25, comporterebbe necessariamente un’applicazione retroattiva della direttiva 2004/25, il che, tuttavia, evidentemente non può essere conforme alle intenzioni del legislatore comunitario, perché altrimenti sarebbe stata superflua l’emanazione di una disciplina ad hoc.

102. Dal primo ‘considerando’ della direttiva 2004/25 risulta infatti che vi era la necessità di coordinare, ai sensi dell’art. 44, n. 2, lett. g), CE, talune garanzie richieste dagli Stati membri al fine di renderle equivalenti in tutta la Comunità. Il fatto che in questo settore vi era l’esigenza di un intervento del legislatore comunitario per imporre obblighi precisi che devono essere rispettati dagli operatori del mercato, e per stabilire le modalità con le quali doveva essere realizzata la parità di trattamento degli azionisti, dimostra che né prima né dopo l’entrata in vigore della direttiva 2004/25 esisteva un principio generale di parità di trattamento degli azionisti, giuridicamente autosufficiente.

Rispetto dell’equilibrio istituzionale

103. Se la Corte riconoscesse un principio generale di parità di trattamento degli azionisti di fatto corrispondente, per la determinatezza del suo contenuto giuridico, ad una norma giuridica, sussisterebbe altresì il pericolo di un sovvertimento dell’equilibrio istituzionale prefigurato dal Trattato, tanto più che la competenza legislativa della Comunità viene esercitata congiuntamente dal Consiglio e dal Parlamento europeo.

104. L’equilibrio istituzionale all’interno della Comunità non si fonda sul principio della divisione dei poteri proprio dello Stato di diritto (72), quanto piuttosto su un principio di divisione delle funzioni in virtù del quale le funzioni della Comunità devono essere esercitate da quelle istituzioni che sono state al meglio predisposte dai Trattati a tale scopo. A differenza del principio della divisione dei poteri, che serve tra l’altro a garantire la tutela dell’individuo attraverso un contenimento del potere dello Stato, il principio della divisione delle funzioni è rivolto ad un effettivo raggiungimento delle finalità della Comunità (73).

105. Consapevole di ciò, la Corte, già nel 1958 a partire dalle sentenze nella causa Meroni (74) e da allora con una costante giurisprudenza, ha elaborato il concetto di «equilibrio istituzionale» sulla base di una visione complessiva dei principi di organizzazione e delle attribuzioni di poteri previsti dai Trattati istitutivi delle Comunità europee, in particolare dal Trattato CE, ed ha conferito ad esso il ruolo di principio normativo strutturale, suscettibile di essere fatto valere in giudizio (75).

106. Come la Corte ha statuito nella sentenza Parlamento/Consiglio (76), il Trattato ha instaurato un sistema di ripartizione delle competenze fra le istituzioni della Comunità secondo il quale ciascuna svolge una propria specifica funzione nella struttura istituzionale della Comunità e nella realizzazione dei compiti affidatile. Il rispetto dell’equilibrio istituzionale comporta che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni. Esso impone altresì che possa essere sanzionata qualsiasi eventuale violazione di detta regola. Nella stessa sentenza la Corte ha inoltre statuito che ad essa spetta secondo i Trattati di assicurare il rispetto del diritto nella loro interpretazione ed applicazione. Essa deve quindi poter garantire la conservazione dell’equilibrio istituzionale e, di conseguenza, il sindacato giurisdizionale del rispetto delle prerogative delle istituzioni comunitarie (77).

107. La Corte, quale istituzione della Comunità ai sensi dell’art. 7, n. 1, CE, fa essa stessa parte di questo equilibrio istituzionale. Tale circostanza implica che la Corte – nella sua qualità di organo giurisdizionale della Comunità chiamato ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato – rispetta le prerogative legislative del Consiglio e del Parlamento (78). Ciò presuppone necessariamente che la Corte, da un lato, lasci al legislatore comunitario il compito affidatogli dal Trattato di legiferare nel settore del diritto societario e, dall’altro, conservi, come ha finora fatto, il necessario orientamento restrittivo in sede di elaborazione dei principi generali del diritto comunitario i quali, a determinate condizioni, potrebbero contrastare con le finalità legislative. La Corte può senz’altro rifarsi ai principi generali per trovare, in conformità alle finalità perseguite dai Trattati, adeguate soluzioni ai problemi interpretativi sottoposti alla sua decisione. Tuttavia non le è consentito di sostituirsi al legislatore comunitario qualora una lacuna normativa possa essere colmata da quest’ultimo (79).

108. Le leggi di regola scaturiscono da un contemperamento di differenti interessi politici e sociali, rappresentati dalle istituzioni e dagli organismi che partecipano al procedimento legislativo. Oltre che della congrua legittimazione democratica, essi dispongono della necessaria competenza tecnica per essere all’altezza della responsabilità politica loro conferita. A tal proposito occorre rilevare che i giudici comunitari hanno espressamente riconosciuto nella loro giurisprudenza le prerogative di contemperamento e decisione del legislatore comunitario in determinati settori del diritto (80).

109. Meritano inoltre considerazione i rilievi sollevati dal governo irlandese (81). Si deve con esso convenire che, in considerazione della complessità del diritto societario e della varietà delle legislazioni degli Stati membri, le quali non di rado risentono della particolare situazione economica del singolo Stato membro, occorre cautela. Il governo irlandese giustamente rileva che una modifica del diritto societario, sia essa apportata dal legislatore o dalla giurisprudenza, dovrebbe essere prima di tutto meditata a fondo. Il legislatore comunitario si troverebbe qui nella situazione migliore per contemperare le posizioni dei singoli Stati membri. Se la Corte riconoscesse un principio generale di parità di trattamento degli azionisti nel senso auspicato dai ricorrenti del procedimento principale, le conseguenze di un tale riconoscimento non sarebbero prevedibili.

110. Infine, a proposito della funzione dei principi generali di strumenti per colmare le lacune (82), occorre considerare che il ricorso ad essi in settori ad elevata densità normativa come quello del diritto societario è meno necessario che in altri settori regolamentati in termini meno rigorosi.

Esigenze connesse alla certezza del diritto

111. Un orientamento giudiziale restrittivo risulterebbe opportuno, non per ultimo, anche per ragioni di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto. I principi di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario. Pertanto, essi devono essere rispettati dalle istituzioni comunitarie, ma anche dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri loro conferiti dalle direttive comunitarie (83).

112. Il principio di certezza del diritto è diretto a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici rientranti nella sfera del diritto comunitario (84). Il riconoscimento di un principio generale di parità di trattamento degli azionisti solleverebbe, tuttavia, molte questioni in ordine al suo preciso ambito di applicazione ratione materiae, ratione personae e ratione temporis. La Corte dovrebbe all’occorrenza stabilire quali presupposti debbano ricorrere nel caso concreto affinché si possa applicare questo principio generale.

113. Risulterebbe altresì problematico stabilire il preciso momento a partire dal quale questo principio generale possa reclamare la sua validità nel diritto comunitario. Come sopra esposto, il riconoscimento di un siffatto principio comporterebbe in definitiva un’applicazione retroattiva dell’art. 5, n. 1, della direttiva 2004/25, il che – considerata la chiara scelta del legislatore in ordine al preciso momento di entrata in vigore di tale disciplina – violerebbe il principio di irretroattività. In linea di massima, il principio della certezza del diritto osta a che l’efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione. Una deroga è tuttavia possibile, in via eccezionale, qualora lo esiga uno scopo di interesse generale e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato (85). Nel presente caso, tuttavia, non si comprende come un’eventuale violazione del principio di irretroattività possa essere imposta dall’interesse generale.

c)      Conclusione

114. Alla luce delle considerazioni sopra svolte la mia conclusione è che nel diritto comunitario non esiste un principio generale di parità di trattamento degli azionisti il quale tuteli gli azionisti di minoranza di una società, in caso di acquisizione del controllo di essa da parte di un’altra società, conferendo loro il diritto di cedere i propri titoli alle stesse condizioni di tutti gli altri azionisti.

115. Alla luce di tale conclusione non mi sembra necessario prendere in esame la sentenza Mangold. Il presupposto per poter trasporre tale giurisprudenza nel caso in esame consiste nell’indubbia individuazione di un principio generale nel diritto comunitario che rende possibile l’applicazione proprio di questo principio generale ancor prima dell’entrata in vigore di una specifica disposizione di diritto derivato avente sostanzialmente il medesimo contenuto. La Corte nella sentenza Mangold ha infatti statuito che il principio di parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro non è sancito dalla direttiva 2000/78, ma costituisce un principio generale del diritto comunitario. La Corte ha fondato tale sua conclusione sulla constatazione che il divieto di discriminazione in ragione dell’età trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (86). Come sopra rilevato, tuttavia, tale presupposto nel presente caso non sussiste.

2.      Sulla seconda questione

116. Risulta, pertanto, a questo punto superfluo risolvere la seconda questione pregiudiziale. Le seguenti osservazioni valgono solo per l’ipotesi in cui la Corte, contrariamente alla tesi qui sostenuta, dovesse risolvere in senso affermativo la prima questione pregiudiziale.

117. In via preliminare occorre rilevare che le disposizioni menzionate dal giudice del rinvio nella sua prima questione pregiudiziale impongono obblighi soltanto all’emittente delle azioni e alla società, ma non agli azionisti nelle loro reciproche relazioni.

118. Mentre gli artt. 17 e 18 della direttiva 2004/109 stabiliscono obblighi a carico dell’emittente delle azioni, l’art. 4 della direttiva 2007/35 impone alla società un obbligo di parità di trattamento. L’art. 42 della direttiva 77/91 non stabilisce, invece, a chi di preciso debbano rivolgersi le disposizioni emanate dagli Stati membri in attuazione della direttiva stessa per garantire la parità di trattamento degli azionisti (87). Nondimeno tutte le disposizioni di questa direttiva riguardano operazioni della società stessa, come la costituzione di una società per azioni, o la salvaguardia, l’aumento e la diminuzione del suo capitale, nonché il ritiro forzato di azioni. Qualora per tali operazioni sia prevista una delibera dell’assemblea, ad esempio per l’aumento del capitale ai sensi dell’art. 25, n. 1, della direttiva 77/91, ciò deve avvenire nel rispetto della regola della parità di trattamento. Se ne desume che gli organi societari, ma non gli azionisti stessi, sono vincolati alla regola della parità di trattamento.

119. Tale constatazione è peraltro conforme all’orientamento prevalente della dottrina giuridica. Secondo tale orientamento la società è l’unica diretta destinataria del principio di diritto societario di parità di trattamento (88). Per contro, nelle relazioni tra soci vige tutt’al più un obbligo di fedeltà (89) che, in quanto tale, obbliga il socio a tener conto degli interessi degli altri soci quando esercita i suoi diritti societari. Non è invece possibile desumere ulteriori obblighi dell’azionista nei confronti degli altri azionisti della sua società.

120. In senso contrario alla possibilità per i ricorrenti del procedimento principale di invocare direttamente un principio generale di parità di trattamento degli azionisti depone, inoltre, il fatto che in via di principio i principi generali vincolano soltanto le istituzioni comunitarie e gli Stati membri nonché le loro articolazioni interne, ma non i singoli nelle loro reciproche relazioni (90). Ciò è dovuto sia all’origine sia allo scopo dei principi generali, consistente nel tutelare i singoli contro illegittime violazioni dei loro diritti fondamentali da parte delle autorità (91).

121. D’altra parte non si può nemmeno ignorare che in alcuni casi il diritto comunitario crea anche diritti soggettivi nelle relazioni tra soggetti privati. Ciò vale ad esempio per le disposizioni del diritto derivato (92). Tuttavia, di regola tali norme impongono obblighi a carico dei singoli solo dopo la loro trasposizione nel diritto nazionale o in sede di interpretazione conforme alle direttive, in quanto le direttive di per sé non producono effetti orizzontali (93). Per altro verso la giurisprudenza riconosce che determinate disposizioni di diritto primario, come ad esempio i divieti di discriminazione di cui agli artt. 12 CE, 39 CE, 49 CE e 141 CE, possono produrre effetti orizzontali (94).

122. A sostegno della possibilità di invocare direttamente i principi generali nelle relazioni tra soggetti privati, non può comunque essere richiamata la sentenza Mangold, dal momento che la Corte in tale sentenza non ha preso posizione sulla questione se il divieto di discriminazione in ragione dell’età abbia anche effetto orizzontale (95). Indipendentemente dal fatto che il procedimento principale all’origine di quella causa riguardava una controversia di diritto civile, la Corte, adita in via pregiudiziale, doveva sostanzialmente decidere se il diritto comunitario ostava ad una disposizione nazionale in base alla quale i datori di lavoro potevano concludere senza limiti di sorta contratti di lavoro a tempo determinato con lavoratori che avessero compiuto i cinquantadue anni. Si trattava, pertanto, principalmente di verificare la compatibilità del diritto nazionale con i precetti del diritto comunitario.

123. Tutto ciò considerato, la seconda questione pregiudiziale deve essere risolta nel senso che il principio generale di parità di trattamento degli azionisti – ammesso che davvero esista un siffatto principio nel diritto comunitario – potrebbe trovare applicazione soltanto nelle relazioni tra una società e i suoi azionisti.

3.      Sulla terza questione

124. La terza questione pregiudiziale è stata posta solo per il caso in cui le prime due questioni siano risolte in senso affermativo. Poiché nella presente sede si è ritenuto non esistente un principio generale di parità di trattamento degli azionisti e le questioni giuridiche alla base di tale opinione sono state già affrontate in sede di analisi della prima e della seconda questione pregiudiziale, a mio avviso risulta superfluo risolvere la terza questione pregiudiziale.

C –    Conclusioni

125. In conclusione, è possibile rilevare che in senso contrario al riconoscimento di un siffatto principio generale depone in primo luogo il fatto che la parità di trattamento degli azionisti non riveste rango costituzionale né nell’ordinamento giuridico comunitario, né negli ordinamenti giuridici degli Stati membri (96). Dalla precedente analisi è altresì emersa la mancanza di un consolidato orientamento della dottrina giuridica a favore dell’esistenza di un siffatto principio generale (97). Considerando, inoltre, che tale principio è circoscritto allo specifico settore del diritto societario, esso non possiede nemmeno quella validità generale all’interno di un ordinamento giuridico che è invece tipica dei principi generali (98).

126. D’altra parte, anche nell’ipotesi in cui la Corte, contrariamente alla tesi qui sostenuta, dovesse ritenere esistente un siffatto principio generale, sarebbe assai dubbio che tale principio possa prescrivere una conseguenza giuridica a tal punto determinata da poter creare in capo agli azionisti di minoranza un diritto all’acquisto obbligatorio (99). Attesa la divisione delle funzioni tra le istituzioni comunitarie esistente nel diritto comunitario istituzionale, la prescrizione di una siffatta conseguenza giuridica spetta esclusivamente al legislatore comunitario, il quale dovrebbe, se del caso, stabilirne con precisione, mediante l’emanazione di un’apposita norma, i presupposti giuridici (100). Il riconoscimento – sotto forma di principio generale di creazione giurisprudenziale – di un diritto all’acquisto obbligatorio in capo agli azionisti di minoranza, non sarebbe conforme alle intenzioni del legislatore comunitario. Esso comporterebbe in definitiva un’applicazione retroattiva della direttiva 2004/25, con conseguente pregiudizio anche delle esigenze connesse alla certezza del diritto (101).

127. Sulla base dell’analisi sopra svolta concludo nel senso che non esiste un principio generale di parità di trattamento degli azionisti quale specifica espressione del principio generale di uguaglianza, il quale tuteli gli azionisti di minoranza di una società, in caso di acquisizione del suo controllo da parte di un’altra società, conferendo loro il diritto di cedere i propri titoli alle stesse condizioni di tutti gli altri azionisti.

128. Qualunque sia la qualificazione giuridica della parità di trattamento degli azionisti, occorre constatare che essa può creare diritti e obblighi esclusivamente nelle relazioni tra la società e i suoi azionisti, ma non nelle relazioni tra azionisti (102).

VII – Conclusione

129. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere le questioni sottoposte dalla Cour de cassation come segue:

1)       Nel diritto comunitario non esiste un principio generale che impone la parità di trattamento degli azionisti e che tutela gli azionisti di minoranza di una società conferendo loro, in caso di acquisizione del controllo della società, il diritto di cedere le proprie azioni alle stesse condizioni degli altri azionisti.

2)       Un principio generale di parità di trattamento degli azionisti potrebbe trovare tutt’al più applicazione soltanto nelle relazioni tra una società e i suoi azionisti.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Seconda direttiva del Consiglio 13 dicembre 1976, 77/91/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società di cui all’articolo 58, secondo comma, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa (GU L 26, pag. 1).


3 – Raccomandazione della Commissione 25 luglio 1977, 77/534/CEE, di un codice di condotta europeo concernente le transazioni sui valori mobiliari (GU L 212, pag. 37).


4 – Direttiva del Consiglio 5 marzo 1979, 79/279/CEE, concernente il coordinamento delle condizioni per l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale di una borsa valori (GU L 66, pag. 21).


5 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 28 maggio 2001, 2001/34/CE, riguardante l’ammissione di valori mobiliari alla quotazione ufficiale e l’informazione da pubblicare su detti valori (GU L 184, pag. 1).


6 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 dicembre 2004, 2004/109/CE, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE (GU L 390, pag. 38).


7 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 21 aprile 2004, 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto (GU L 142, pag. 12).


8 – Sentenza 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold (Racc. pag. I‑9981).


9 – Sentenza 12 luglio 2001, causa C‑189/01, Jippes e a. (Racc. pag. I‑5689).


10 – Sentenza 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio (Racc. pag. I‑8395).


11 – V., tra le altre, sentenze 26 gennaio 1993, cause riunite da C‑320/90 a C‑322/90, Telemarsicabruzzo e a. (Racc. pag. I‑393, punti 6 e 7); 14 luglio 1998, causa C‑284/95, Safety Hi-Tech (Racc. pag. I‑4301, punti 69 e 70) e causa C‑341/95, Bettati (Racc. pag. I‑4355, punti 67 e 68); 21 settembre 1999, cause riunite da C‑115/97 a C‑117/97, Brentjens’ Handelsonderneming (Racc. pag. I‑6025, punto 37); 11 settembre 2003, causa C‑207/01, Altair Chimica (Racc. pag. I‑8875, punto 24); 9 settembre 2004, causa C‑72/03, Carbonati Apuani (Racc. pag. I‑8027, punto 10), nonché sentenza 23 marzo 2006, causa C‑237/04, Enirisorse (Racc. pag. I‑2843, punto 17).


12 – V., tra le altre, ordinanze 30 aprile 1998, cause riunite C‑128/97 e C‑137/97, Testa e Modesti (Racc. pag. I‑2181, punto 6); 11 maggio 1999, causa C‑325/98, Anssens (Racc. pag. I‑2969, punto 8), nonché sentenze Altair Chimica, cit. supra alla nota 11 (punto 25), e Enirisorse, cit. supra alla nota 11 (punto 18).


13 – Sulla competenza processuale della Corte di precisare o di riformulare, nell’ambito del procedimento pregiudiziale di cui all’art. 234 CE, le questioni pregiudiziali, v. sentenza 29 novembre 1978, causa 83/78, Redmond (Racc. pag. 2347, punto 26).


14 – Secondo Middecke, A., in Handbuch des Rechtsschutzes der Europäischen Union, II ed., Monaco, 2003, § 10, punto 38, pag. 225, la soluzione della questione sottoposta non può essere fornita in termini talmente astratti da risultare inutile per il giudice nazionale ai fini della decisione del procedimento principale. Per ragioni di rispetto dell’ambito di competenze del giudice nazionale, tuttavia, la questione non può nemmeno essere risolta in termini così concreti da anticipare l’applicazione del diritto comunitario.


15 – V. Schwarze, J., European Administrative Law, Lussemburgo, 2006, pag. 65, e Sariyiannidou, E., Institutional balance and democratic legitimacy in the decision‑making process of the EU, Bristol, 2006, pag. 145.


16 – Sentenza 16 luglio 1956, causa 8/55, Fédération Charbonnière de Belgique/Alta Autorità (Racc. pag. 197, in particolare pag. 311).


17 – Sentenza 21 giugno 1958, causa 13/57, Wirtschaftsvereinigung Eisen- und Stahlindustrie/Alta Autorità (Racc. pag. 253, in particolare pag. 304).


18 – Sentenza 22 marzo 1961, cause riunite 42 e 49/59, SNUPAT/Alta Autorità (Racc. pag. 99, in particolare pag. 169).


19 – Sentenza 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hofmann‑La Roche/Commissione (Racc. pag. 461, in particolare pag. 511).


20 – Sentenza 15 luglio 1960, cause riunite 43/59, 45/59 e 48/59, von Lachmüller e a./Commissione (Racc. pag. 903, in particolare pag. 989).


21 – Sentenza 12 luglio 1962, causa 14/61, Hoogovens/Alta Autorità (Racc. pag. 473, in particolare pag. 549).


22 – Sentenza 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel e a. (Racc. pag. 1753, in particolare pag. 1769).


23 – Tridimas, T., The General Principles of EU Law, II ed., Londra, 2006, pagg. 17 e seg., e pagg. 29 e seg., da un lato sottolinea la funzione dei principi generali del diritto comunitario di strumenti per colmare le lacune quale conseguenza del fatto che l’ordinamento giuridico comunitario è un ordinamento giovane e recente, bisognevole di ulteriore sviluppo. Peraltro il Trattato CE costituisce un trattato‑quadro con numerose disposizioni formulate in termini generali e numerosi concetti giuridici indeterminati, che conferiscono alla Corte l’ulteriore compito di sviluppare il diritto. Dall’altro lato, l’Autore sottolinea la funzione dei principi generali di strumenti di interpretazione per l’interpretazione del diritto derivato. Lenaerts, K./Van Nuffel, P., Constitutional Law of the European Union, II ed., Londra, 2005, punto 17‑066, pag. 711, osservano che l’amministrazione, per interpretare il diritto comunitario, ricorre di regola ai principi generali, soprattutto in caso di punti oscuri o di lacune nella normativa oggetto di interpretazione.


24 – In tal senso Schwarze, J., op. cit. alla nota 15, pag. 65.


25 – V. Schweitzer, M./Hummer, W./Obwexer, W., Europarecht, pag. 65, punti 240 e seg.


26 – In tal senso Lengauer, A.‑M., Kommentar zu EU- und EG-Vertrag (a cura di Heinz Mayer), Vienna, 2004, art. 220, punto 27, pag. 65.


27 – In tal senso Schweitzer, M./Hummer, W./Obwexer, W., op. cit. alla nota 25, punto 244, pag. 66; Oppermann, T., Europarecht, III ed., Monaco, 2005, punto 21, pag. 144.


28 – È pacifico che i principi generali hanno il rango di diritto primario [v. Schroeder, W., EUV/EGV – Kommentar (a cura di Rudolf Streinz), art. 249, pag. 2159, punto 15]. La Corte ha più volte statuito che gli atti giuridici emanati dalle istituzioni comunitarie devono essere valutati alla luce dei principi generali. V. sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder (Racc. pag. 419, punto 7), e 13 dicembre 1979, causa 44/79, Hauer (Racc. pag. 3727, punti 14 e seg.).


29 – Così anche Wegener, B., in Calliess/Ruffert (a cura di), Kommentar zu EUV/EGV, III ed., Monaco, 2007, art. 220, punto 37, pag. 1956, e Tridimas, T., op. cit. alla nota 23, pagg. 2 e seg.


30 – V. sentenza 9 agosto 1994, causa C‑359/92, Germania/Consiglio (Racc. pag. I‑3681). Già prima della codificazione di tale concetto nell’art. 5, terzo comma, CE, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina era pacifico che l’esercizio delle competenze comunitarie dovesse avvenire nel rispetto della proporzionalità [v. Lienbacher, G., EU‑Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze), I ed., Baden‑Baden, 2000, art. 5 CE, punto 36, pag. 270].


31 – V. sentenza 10 giugno 1980, causa 32/79, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 2403).


32 – V. sentenza del Tribunale 6 marzo 2001, causa T‑192/99, Dunnett, e a./BEI (Racc. pag. II‑813).


33 – V. sentenza 6 luglio 2000, causa C‑402/98, Agricola Tabacchi Bonavicina (Racc. pag. I‑5501).


34 – V. sentenza 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilhelm (Racc. pag. 1).


35 – V. sentenza 4 luglio 1963, causa 32/62, Alves (Racc. pag. 99).


36 – V. sentenze 14 luglio 1972, causa 55/69, Cassella Farbwerke Mainkur/Commissione (Racc. pag. 887); 28 maggio 1980, cause riunite 33/79 e 75/79, Kuhner/Commissione (Racc. pag. 1677); 29 giugno 1994, causa C‑135/92, Fiskano/Commissione (Racc. pag. I‑2885); 24 ottobre 1996, causa C‑32/95 P, Commissione/Lisrestal e a. (Racc. pag. I‑5373, punto 21); 21 settembre 2000, causa C‑462/98 P, Mediocurso/Commissione (Racc. pag. I‑7183, punto 36); 12 dicembre 2002, causa C‑395/00, Cipriani (Racc. pag. I‑11877, punto 51); 13 settembre 2007, cause riunite C‑439/05 P e C‑454/05 P, Land Oberösterreich e Austria/Commissione (Racc. pag. I‑7141), nonché sentenza 18 dicembre 2008, causa C‑349/07, Sopropré (Racc. pag. I‑10369, punti 36 e 37).


37 – V. sentenza 25 ottobre 1978, causa 125/77, Koninklijke Scholten‑Honig (Racc. pag. 1991).


38 – V. sentenza 21 novembre 1991, causa C‑269/90, Technische Universität München (Racc. pag. I‑5469).


39 – V. sentenza 14 febbraio 1978, causa 68/77, IFG/Commissione (Racc. pag. 353).


40 – V. sentenza del Tribunale 25 maggio 2004, causa T‑154/01, Distilleria Palma/Commissione (Racc. pag. II‑1493, punto 45).


41 – V. sentenza del Tribunale 21 settembre 2005, causa T‑306/01, Ali Yusuf e Al Barakaat International Foundation/Consiglio (Racc. pag. II‑3533, punto 277).


42 – V. sentenza 18 marzo 1980, cause riunite 154/78, 205/78, 206/78, da 226/78 a 228/78, 263/78 e 264/78, 39/79, 31/79, 83/79 e 85/79, Ferriera Valsabbia/Commissione (Racc. pag. 907).


43 – V. sentenza Kuhner, cit. supra alla nota 36.


44 – V. sentenza 5 maggio 1981, causa 804/79, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 1045).


45 – V. sentenza 30 marzo 1995, causa C‑65/93, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑643, punto 21).


46 – V. sentenza 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione (Racc. pag. 19).


47 – V. sentenza 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4930).


48 – V. sentenza 12 luglio 1984, causa 237/83, Prodest (Racc. pag. 3153).


49 – V. sentenza 15 giugno 1978, causa 149/77, Defrenne (Racc. pag. 1365).


50 – V. sentenze 3 ottobre 2006, causa C‑17/05, Cadman (Racc. pag. I‑9583, punto 28); 26 giugno 2001, causa C‑381/99, Brunnhofer (Racc. pag. I‑4961, punto 28), nonché sentenza 17 settembre 2002, causa C‑320/00, Lawrence e a. (Racc. pag. I‑7325, punto 12). Questa formula attraversa, con minime variazioni, la giurisprudenza della Corte e compare evidentemente per la prima volta nella sentenza Ruckdeschel e a., cit. supra alla nota 22 (punto 7).


51 – In tal senso Basedow, J., «Der Grundsatz der Nichtdiskriminierung im europäischen Privatrecht», in Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 2008, pag. 230, in particolare pag. 244. A suo avviso al divieto generale di discriminazioni (ovvero al principio generale di uguaglianza) non può essere riconosciuta alcuna autonoma rilevanza operativa nel diritto privato europeo. Il suo ruolo sarebbe quello di un principio ermeneutico che agevola la comprensione del diritto positivo, in quanto ci consente di inquadrare i singoli atti giuridici in un contesto più ampio e di verificarne la coerenza sistematica. Secondo tale Autore il principio in parola sarebbe privo di un proprio contenuto normativo. Mazière, P., Le principe d’égalité en droit privé, Aix‑en‑Provence, 2003, pagg. 429 e seg., contesta l’esistenza di un principio generale di uguaglianza nel diritto privato. L’Autore si esprime in termini assai critici sui tentativi di introdurre il principio di uguaglianza nel diritto privato.


52 – OCSE – Principi di Governo Societario – Nuova versione 2004, Parigi, 2004, pag. 23.


53 – Ibidem.


54 – Ibidem, pag. 47.


55 – Nulla del genere può desumersi dal regolamento (CE) del Consiglio 8 ottobre 2001, n. 2157, relativo allo statuto della Società europea (SE), entrato in vigore l’8 ottobre 2004 (GU L 294, pag. 1). Il regolamento, pur non prevedendo espressamente la parità di trattamento degli azionisti, consente tuttavia agli Stati membri di emanare disposizioni a tutela degli azionisti di minoranza.


56 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 luglio 2007, 2007/36/CE, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate (GU L 184, pag. 17).


57 – La natura non vincolante delle raccomandazioni e dei pareri non significa, tuttavia, che essi siano giuridicamente privi di qualsiasi rilevanza [in tal senso Ruffert, M., in Calliess/Ruffert (a cura di), op. cit. alla nota 29, punto 126, pag. 2165]. Secondo la giurisprudenza della Corte – a prescindere dalla natura non vincolante delle raccomandazioni e a prescindere dal fatto che esse non possono far sorgere, in capo ai singoli, diritti che questi ultimi possano vantare dinanzi ai giudici nazionali – detti giudici devono tuttavia tenerle in considerazione ai fini della soluzione delle controversie loro sottoposte. Ciò vale ad esempio in sede di interpretazione di disposizioni nazionali attuative del diritto comunitario, ovvero ai fini dell’integrazione di disposizioni comunitarie vincolanti (v. sentenze 15 giugno 1976, causa 113/75, Frecassetti, Racc. pag. 983; 9 giugno 1977, causa 90/76, Van Ameyde, Racc. pag. 1091; 13 dicembre 1989, causa C‑322/88, Grimaldi, Racc. pag. 4407, punto 9, nonché sentenza 21 gennaio 1993, causa C‑188/91, Deutsche Shell AG, Racc. pag. I‑363, punto 18).


58 – Tridimas, T., op. cit. alla nota 23, pag. 1, si chiede come si possa distinguere un principio generale da una regola specifica. A suo avviso un primo criterio di distinzione è costituito dalla validità generale del principio, intendendo per «generale» il fatto che il principio deve presentare un certo grado di astrattezza. Un secondo criterio è costituito dalla rilevanza del principio all’interno di un ordinamento giuridico.


59 – Così anche Verse, D., Der Gleichbehandlungsgrundsatz im Recht der Kapitalgesellschaften, Tubinga, 2006, pag. 2, che parla di canone giuridico basilare del diritto societario.


60 – In tal senso Verse, D., op. cit. alla nota 59, pag. 557. Mehringer, C., Der allgemeine kapitalmarktrechtliche Gleichbehandlungsgrundsatz, Baden‑Baden, 2007, pag. 239, che a sua volta ritiene esistente un principio generale di parità di trattamento nel diritto dei mercati dei capitali a tutela degli investitori.


61 – Grundmann, S., Europäisches Gesellschaftsrecht, Heidelberg, 2004, pag. 145.


62 – De Cordt, Y., L’égalité entre actionnaires, Bruxelles, 2004, pag. 937.


63 – V. Hütte, A., Der Gleichbehandlungsgrundsatz im deutschen und französischen Recht der Personengesellschaften, Aquisgrana, 2003, pag. 180. Secondo Mehringer, C., op. cit. alla nota 60, pag. 241, il principio di parità di trattamento nel diritto dei mercati dei capitali trova il suo fondamento teorico-giuridico nell’idea di giustizia.


64 – De Cordt, Y., op. cit. alla nota 62, pag. 937.


65 – In questo senso De Cordt, Y., op. cit. alla nota 62, pag. 937. Osserva Mehringer, C., op. cit. alla nota 60, pag. 18, che i principi non sono norme e pertanto, in via di principio, non sono direttamente applicabili. Sarebbe sempre necessario richiamare una norma di legge, suscettibile di interpretazione, o un concetto come punto di riferimento; Verse, D., op. cit. alla nota 59, pag. 96, auspica che la Corte fornisca in futuro linee guida generali, svincolate dal singolo caso, per la concretizzazione del principio di parità di trattamento.


66 – Consultabili sul sito Internet della direzione generale della Commissione europea «Mercato interno» (http://ec.europa.eu/internal_market/company/modern/index_de.htm).


67 – V. relazione Winter I, capitolo I («Parità di condizioni di partenza per le offerte pubbliche di acquisto»), pagg. 20 e 21.


68 – V. relazione Winter I, capitolo II («Prezzo adeguato per le offerte obbligatorie»), pag. 55.


69 – V. pagg. 33 e segg. della memoria della Audiolux.


70 – V. paragrafo 87 delle presenti conclusioni.


71 – Dall’art. 22 della direttiva 2004/25 risulta, infatti, che tale direttiva è entrata in vigore il ventesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, e cioè il 22 maggio 2004. Ai sensi dell’art. 21, n. 1, inoltre, gli Stati membri avrebbero dovuto mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 20 maggio 2006.


72 – La divisione dei poteri, risalente alle teorie di Thomas Locke (1632‑1704), Charles de Montesquieu (1689‑1755) e Immanuel Kant (1724‑1804), è un basilare principio di organizzazione della maggior parte delle moderne Costituzioni democratiche e costituisce un tratto distintivo dello Stato di diritto. Grazie alla divisione dei poteri il potere politico dello Stato viene suddiviso in funzioni. Attraverso il reciproco controllo dei poteri si mira ad ottenere un contenimento del potere statale. Tradizionalmente si tratta dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Così scriveva Montesquieu nel suo libro «De l’esprit des lois» («Lo spirito delle leggi»), pubblicato nel 1748: «Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi tiranniche per attuarle tirannicamente. Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se la stessa persona, o lo stesso corpo di grandi, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le pubbliche risoluzioni, e quello di giudicare i delitti o le liti dei privati».


73 – In tal senso Schweitzer, M./Hummer, W./Obwexer, W., op. cit. alla nota 25, pag. 178, punto 653; anche Sariyiannidou, E., op. cit. alla nota 15, pag. 122, parla di «divisione delle funzioni». Secondo Oppermann, T., op. cit. alla nota 27, § 5, punto 5, pag. 80, la divisione dei poteri statali in legislativo, esecutivo e giudiziario all’interno della Comunità europea viene declinata diversamente a favore di uno specifico equilibrio istituzionale tra le istituzioni comunitarie. In particolare, tra Parlamento, Consiglio e Commissione i compiti sono suddivisi diversamente da quanto avviene a livello statale. Anche nella Comunità europea si ottiene il risultato di un reciproco controllo e di un equilibrio dei poteri («checks and balances»). Nell’equilibrio istituzionale delle istituzioni si rispecchia un fondamentale principio dello Stato di diritto. Esso comporta che ogni istituzione esercita le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni, e che eventuali violazioni di tale regola possono essere sanzionate grazie al controllo della Corte.


74 – Sentenze 13 giugno 1958, causa 9/56, Meroni (Racc. pag. 11) e causa 10/56, Meroni (Racc. pag. 51).


75 – V. sentenze 17 dicembre 1970, causa 25/70, Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel/Köster (Racc. pag. 1161, punto 9), e Parlamento/Consiglio, cit. supra alla nota 45 (punto 21).


76 – Sentenza 22 maggio 1990, causa 70/88, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑2041, punti 21 e 22).


77 – Sentenza Parlamento/Consiglio, cit. supra alla nota 76 (punto 23).


78 – Secondo Sariyiannidou, E., op. cit. alla nota 15, pag. 137, l’art. 220 CE attribuisce in definitiva alla Corte la competenza di stabilire ciò che è «diritto», senza che, tuttavia, tale competenza sia precisamente delimitata. La Corte, contribuendo allo sviluppo dei principi generali, avrebbe fatto ampio uso della sua competenza di concreare il diritto. L’Autrice esprime la preoccupazione che ciò potrebbe offuscare i confini tra attività giurisdizionale ed attività politica.


79 – In tal senso Louis, J.‑V., L’ordre juridique communautaire, VI ed., Bruxelles/Lussemburgo, 1993, pagg. 119 e 120. Secondo tale Autore la Corte non può sfruttare la presenza di lacune legislative nel diritto comunitario per sostituirsi al legislatore comunitario. Deve piuttosto preservare il necessario orientamento restrittivo («judicial self-restraint»).


80 – V. sentenza del Tribunale 6 ottobre 2005, cause riunite T‑22/02 e T‑23/02, Sumitomo Chemical e Sumika Fine Chemicals/Commissione (Racc. pag. II‑4065, punti 82 e seg.). In tale sentenza il Tribunale ha riconosciuto la competenza del legislatore comunitario di stabilire i termini di prescrizione. Ad avviso del Tribunale, infatti, si fa ricorso alla prescrizione nella misura risultante da un contemperamento tra l’esigenza di certezza del diritto e l’esigenza di legalità in funzione delle circostanze storiche e sociali che prevalgono nella società in una determinata epoca. Per questa ragione, la prescrizione è rimessa alla discrezione del solo legislatore. V. sentenza della Corte 31 maggio 2001, cause riunite C‑122/99 P e C‑125/99 P, D e Svezia (Racc. pag. I‑4319, punti 37 e seg.) In tale sentenza la Corte ha statuito che il giudice comunitario non può interpretare lo Statuto del personale in modo da equiparare al matrimonio situazioni giuridiche che ne sono distinte, come l’unione stabile registrata. Spetta unicamente al legislatore adottare, se del caso, provvedimenti che possano influire su tale situazione, per esempio modificando i termini dello Statuto. V. inoltre sentenze della Corte 7 gennaio 2004, causa C‑117/01, K.B. (Racc. pag. I‑541, punto 28); 2 ottobre 2003, cause riunite C‑172/01 P, C‑175/01 P, C‑176/01 P e C‑180/01 P, International Power (già National Power) e a./Commissione (Racc. pag. I‑11421, punto 106), nonché sentenza 24 settembre 2001, cause riunite C‑74/00 P e C‑75/00 P, Falck e Acciaierie di Bolzano/Commissione (Racc. pag. I‑7869, punto 139).


81 – V. punti 39‑45 della memoria del governo irlandese.


82 – V. paragrafo 68 delle presenti conclusioni.


83 – Sentenza 26 aprile 2005, causa C‑376/02, Stichting «Goed Wonen» (Racc. pag. I‑3445, punto 32).


84 – Sentenza della Corte 15 febbraio 1996, causa C‑63/93, Duff e a. (Racc. pag. I‑569, punto 20); sentenza del Tribunale 31 gennaio 2002, causa T‑206/00, Hult/Commissione (Racc. PI pag. I‑A‑19 e II‑81, punto 38).


85 – V., in tal senso, sentenze 11 luglio 1991, causa C‑368/89, Crispoltoni (Racc. pag. I‑3695, punto 17); 29 aprile 2004, cause riunite C‑487/01 e C‑7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep (Racc. pag. I‑5337, punto 59), nonché sentenza Stichting «Goed Wonen», cit. supra alla nota 83 (punto 33); v. anche Corte eur. D.U., sentenza National & Provincial Building Society/Regno Unito del 23 ottobre 1997 (Recueil des arrêts et décisions 1997‑VII, § 80).


86 – Sentenza Mangold, cit. supra alla nota 8 (punti 74 e 75).


87 – Già nelle mie conclusioni presentate il 4 settembre 2008 nella causa C‑338/06, Commissione/Spagna, sentenza 18 dicembre 2008, (Racc. pag. I‑10139, paragrafo 60), ho sottolineato il contenuto normativo decisamente indeterminato dell’art. 42 della direttiva 77/91.


88 – Hütte, A., op. cit. alla nota 63, pag. 71 e pag. 82; De Cordt, Y., op. cit. alla nota 62, pag. 255 e pag. 259; Verse, D., op. cit. alla nota 59, pag. 562; Hüffer, U., Kommentar zum Aktiengesetz, V ed., Monaco, 2002, §53a, punto 4, pag. 250.


89 – Hütte, A., op. cit. alla nota 63, pag. 72.


90 – In questo senso Tridimas, T., op. cit. alla nota 23, pag. 36 e pag. 44.


91 – Ibidem, pag. 47.


92 – V. ad esempio direttiva del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22); direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16), nonché direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31).


93 – La Corte ha statuito, con una giurisprudenza costante, che il principio della certezza del diritto osta a che le direttive possano creare obblighi a carico dei singoli. Conseguentemente il singolo non può far valere la direttiva in quanto tale (v. sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 48; 14 luglio 1994, causa C‑91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I‑3325, punto 20, nonché sentenza 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Wells, Racc. pag. I‑6325, punto 56).


94 – Così ad esempio l’art. 141 CE relativo al principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. La Corte ha precisato con la sua giurisprudenza che il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, enunciato dagli artt. 12 CE, 39 CE e 49 CE, si applica anche alle relazioni tra privati (v. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave, Racc. pag. 1405; 8 aprile 1976, causa 43/75, Racc. pag. 455; Bosman, cit. supra alla nota 47, nonché sentenza 6 giugno 2000, causa C‑281/98, Angonese, Racc. pag. I‑4139, punto 36).


95 – In tal senso Preis, U., «Verbot der Altersdiskriminierung als Gemeinschaftsgrundrecht», in Neue Zeitschrift für Arbeitsrecht, n. 8, 2006, pag. 402.


96 – V. paragrafi 87 e 88 delle presenti conclusioni.


97 – V. paragrafi 89‑93 delle presenti conclusioni.


98 – V. paragrafo 94 delle presenti conclusioni.


99 – V. paragrafo 98 delle presenti conclusioni.


100 – V. paragrafi 103‑109 delle presenti conclusioni.


101 – V. paragrafi 111 e 112 delle presenti conclusioni.


102 – V. paragrafi 117‑123 delle presenti conclusioni.