Language of document : ECLI:EU:C:2013:496

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

18 luglio 2013 (*)

«Radiodiffusione televisiva – Direttiva 2010/13/UE – Articoli 4, paragrafo 1, e 23, paragrafo 1 – Spot pubblicitari – Normativa nazionale che prevede limiti di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti televisive a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti televisive in chiaro – Parità di trattamento – Libera prestazione dei servizi»

Nella causa C‑234/12,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con decisione del 7 marzo 2012, pervenuta in cancelleria il 14 maggio 2012, nel procedimento

Sky Italia srl

contro

Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni,

nei confronti di

Reti Televisive Italiane (RTI) SpA,

Maria Iaccarino,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, G. Arestis (relatore), J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev e J.L. da Cruz Vilaça, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 aprile 2013,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Sky Italia srl, da L. Torchia e R. Mastroianni, avvocati;

–        per la Reti Televisive Italiane (RTI) SpA, da G.M. Roberti, G. Rossi, S. Previti, I. Perego e M. Serpone, avvocati;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Varone, avvocato dello Stato;

–        per la Commissione europea, da G. Conte e C. Vrignon, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 maggio 2013,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU L 95, pag. 1, e – rettifica – GU L 263, pag. 15), del principio generale di parità di trattamento, degli articoli 49 TFUE, 56 TFUE e 63 TFUE, nonché dell’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Sky Italia srl (in prosieguo: la «Sky Italia») e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (in prosieguo: l’«AGCOM») in merito ad una delibera di quest’ultima che ha inflitto un’ammenda alla Sky Italia per aver violato la normativa nazionale in materia di affollamento pubblicitario televisivo.

 Contesto normativo

 Il diritto dell’Unione

3        I considerando 41, 83 e 87 della direttiva sui servizi di media audiovisivi così recitano:

«(41)      Gli Stati membri dovrebbero poter applicare ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione norme più dettagliate o severe nei settori coordinati dalla presente direttiva, assicurandosi che tali norme siano conformi ai principi generali del diritto dell’Unione. (...)

(...)

(83)      Per garantire un’integrale ed adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori, è essenziale che la pubblicità televisiva sia sottoposta ad un certo numero di norme minime e di criteri e che gli Stati membri abbiano la facoltà di stabilire norme più rigorose o più particolareggiate e, in alcuni casi, condizioni differenti per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione.

(...)

(87)      Dovrebbe essere previsto un limite del 20% per spot di televendita e pubblicità televisiva per ora d’orologio, applicabile anche nelle ore di maggiore ascolto. (...)».

4        L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sui servizi di media audiovisivi prevede quanto segue:

«Gli Stati membri conservano la facoltà di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nei settori coordinati dalla presente direttiva, purché tali norme siano conformi al diritto dell’Unione».

5        Ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, di tale direttiva, «[l]a percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d’orologio non deve superare il 20%».

 Il diritto italiano

6        Le disposizioni relative ai limiti di affollamento pubblicitario televisivo sono contenute nell’articolo 38 del decreto legislativo n. 177, del 31 luglio 2005, recante il Testo unico dei Servizi di Media audiovisivi e radiofonici (Supplemento ordinario alla GURI n. 208, del 7 settembre 2005), come modificato e sostituito dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 44, del 15 marzo 2010, che ha trasposto la direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GURI n. 73, del 29 marzo 2010, pag. 33; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 177/2005»), ai sensi del quale:

«1.      La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo non può eccedere il 4 per cento dell’orario settimanale di programmazione ed il 12 per cento di ogni ora; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva.

2.      La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte delle emittenti in chiaro, anche analogiche, in ambito nazionale, diverse dalla concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, non può eccedere il 15 per cento dell’orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di una determinata e distinta ora d’orologio; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva. (…)

(…)

5.      La trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento, anche analogiche, non può eccedere per l’anno 2010 il 16 per cento, per l’anno 2011 il 14 per cento, e, a decorrere dall’anno 2012, il 12 per cento di una determinata e distinta ora d’orologio; un’eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso dell’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva.

(…)».

 Fatti e questioni pregiudiziali

7        Con delibera del 13 settembre 2011, l’AGCOM ha irrogato una sanzione pari a EUR 10 329 alla Sky Italia per violazione dell’articolo 38, comma 5, del decreto legislativo n. 177/2005.

8        In particolare, secondo quanto accertato dall’AGCOM, il giorno 5 marzo 2011 la Sky Italia ha trasmesso, mediante la propria emittente a pagamento Sky Sport 1, nella fascia oraria dalle 21.00 alle 22.00, 24 spot pubblicitari televisivi per una durata di 10 minuti e 4 secondi, pari ad una percentuale oraria del 16,78%, ridotta al 16,44% mediante la detrazione dei cosiddetti frames neri. L’AGCOM ha pertanto constatato che, nel suddetto arco di tempo, la Sky Italia aveva superato di più di due punti percentuali di eccedenza, da recuperare nelle fasce orarie contigue, il limite orario di affollamento pubblicitario del 14% imposto dalla normativa nazionale alle emittenti televisive a pagamento.

9        La Sky Italia ha presentato ricorso di annullamento al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio avverso la delibera dell’AGCOM controversa, facendo sostanzialmente valere che la suddetta delibera sarebbe illegittima in quanto adottata in applicazione dell’articolo 38, comma 5, del decreto legislativo n. 177/2005, che essa considera contrario al diritto dell’Unione.

10      Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ritenendo sussistere dubbi circa la compatibilità della disposizione nazionale con il diritto dell’Unione, ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 4 della direttiva [2010/13], il principio generale di eguaglianza e le regole del Trattato [FUE] in materia di libera circolazione dei servizi, di diritto di stabilimento, e di libera circolazione dei capitali, debbano essere interpretati nel senso che ostano alla disciplina contenuta nell’articolo 38, comma 5, del decreto legislativo n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro.

2)      Se l’articolo 11 della Carta (...), interpretata alla luce dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare il principio del pluralismo dell’informazione, ostino alla disciplina contenuta nell’articolo 38, comma 5, del decreto legislativo n. 177/2005, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti in chiaro introducendo una distorsione concorrenziale e favorendo la creazione, ovvero il potenziamento, di posizioni dominanti nel mercato della pubblicità televisiva».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

11      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sui servizi di media audiovisivi, nonché il principio della parità di trattamento e le libertà fondamentali garantite dal Trattato, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti televisive a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti televisive in chiaro.

12      A tale riguardo occorre ricordare che, in base alla direttiva 89/552/CEE del Consiglio, del 3 ottobre 1989, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU L 298, pag. 23), la cui versione modificata è stata codificata dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi, la Corte ha già avuto modo di statuire che una direttiva siffatta non ha come obiettivo un’armonizzazione completa delle norme relative ai settori da essa disciplinati, ma stabilisce prescrizioni minime per le trasmissioni aventi la loro origine nell’Unione europea e che devono essere captate nella medesima (v. sentenze del 9 febbraio 1995, Leclerc-Siplec, C‑412/93, Racc. pag. I‑179, punti 29 e 44; del 5 marzo 2009, UTECA, C‑222/07, Racc. pag. I‑1407, punto 19, nonché del 22 settembre 2011, Mesopotamia Broadcast e Roj TV, C‑244/10 e C‑245/10, Racc. pag. I‑8777, punto 34).

13      Come risulta dall’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sui servizi di media audiovisivi, nonché dai considerando 41 e 83 della medesima, per garantire un’integrale ed adeguata protezione degli interessi della categoria di consumatori costituita dai telespettatori, gli Stati membri conservano la facoltà di richiedere ai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose e, in alcuni casi, condizioni differenti nei settori coordinati da tale direttiva, purché tali norme siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, ai suoi principi generali.

14      Ne consegue che l’articolo 23, paragrafo 1, della suddetta direttiva, il quale prevede che la percentuale di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d’orologio non debba superare il 20%, non esclude che, al di sotto di tale soglia del 20%, gli Stati membri impongano limiti diversi all’affollamento pubblicitario televisivo a seconda che si tratti di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro, sempre che le norme che impongono tali limiti siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, ai suoi principi generali, tra i quali figura segnatamente il principio della parità di trattamento, nonché alle libertà fondamentali garantite dal Trattato.

15      A tale proposito la Corte ha già avuto modo di statuire che il principio della parità di trattamento costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito dagli articoli 20 e 21 della Carta, il quale richiede che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, salvo che siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in particolare, sentenza del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a., C‑550/07 P, Racc. pag. I‑8301, punti 54 e 55 nonché giurisprudenza ivi citata).

16      Per determinare se le emittenti a pagamento e le emittenti in chiaro si trovino in una situazione paragonabile, occorre rilevare che la comparabilità di due situazioni distinte dev’essere valutata alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano, nonché dei principi e degli obiettivi del settore nel quale è compreso l’atto di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2011, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, C‑176/09, Racc. pag. I‑3727, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

17      A tale riguardo la Corte ha già avuto modo di statuire che la tutela della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori contro la pubblicità eccessiva costituisce un aspetto essenziale dell’obiettivo delle direttive in materia di fornitura di servizi di media audiovisivi (sentenze del 18 ottobre 2007, Österreichischer Rundfunk, C‑195/06, Racc. pag. I‑8817, punto 27, e del 24 novembre 2011, Commissione/Spagna, C‑281/09, Racc. pag. I‑11811, punto 45).

18      Per quanto riguarda i principi e gli obiettivi delle norme relative all’affollamento pubblicitario televisivo stabilite dalle direttive in materia di fornitura di servizi di media audiovisivi, la Corte ha rilevato che siffatte norme mirano ad instaurare una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive e degli inserzionisti, da un lato, e degli interessi degli aventi diritto, ossia gli autori e i realizzatori, e della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori, dall’altro (v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

19      Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, l’equilibrata tutela di tali interessi è diversa per le emittenti a pagamento rispetto alle emittenti in chiaro.

20      Si deve infatti necessariamente constatare che, per quanto riguarda le norme relative all’affollamento pubblicitario televisivo, gli interessi finanziari delle emittenti televisive a pagamento sono diversi da quelli delle emittenti televisive in chiaro. Mentre le prime ricavano introiti dagli abbonamenti sottoscritti dai telespettatori, le seconde non beneficiano di una siffatta fonte di finanziamento diretto e devono finanziarsi con le entrate della pubblicità televisiva o mediante altre fonti.

21      Una simile differenza è, in linea di massima, tale da porre le emittenti televisive a pagamento in una situazione oggettivamente diversa per quanto riguarda l’incidenza economica delle norme relative all’affollamento pubblicitario televisivo sulle modalità di finanziamento delle emittenti stesse.

22      Inoltre, la situazione dei telespettatori è oggettivamente diversa a seconda che essi usufruiscano dei servizi di un’emittente televisiva a pagamento, ai quali sono abbonati, o di quelli di un’emittente televisiva in chiaro. Tali abbonati hanno infatti un rapporto commerciale diretto con la loro emittente televisiva e versano un corrispettivo per la fruizione dei programmi televisivi.

23      Ne consegue che, nel ricercare una tutela equilibrata degli interessi finanziari delle emittenti televisive e degli interessi dei telespettatori nel settore della pubblicità televisiva, il legislatore nazionale ha potuto stabilire, senza violare il principio della parità di trattamento, limiti diversi all’affollamento pubblicitario orario a seconda che si tratti di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro.

24      Per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi prevista all’articolo 56 TFUE, che è l’unica libertà fondamentale che occorre considerare nell’ambito della controversia di cui è investito il giudice del rinvio, si deve rilevare che la normativa nazionale di cui al procedimento principale è tale da costituire una restrizione a tale libertà. Tuttavia la Corte ha già avuto modo di statuire che la tutela dei consumatori contro gli eccessi della pubblicità commerciale costituisce un motivo imperativo d’interesse generale che può giustificare restrizioni alla libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza del 28 ottobre 1999, ARD, C‑6/98, Racc. pag. I‑7599, punto 50). È inoltre necessario che l’applicazione di una siffatta restrizione sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario al suo raggiungimento (v., in particolare, sentenza del 18 ottobre 2012, X, C‑498/10, punto 36).

25      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 66 delle sue conclusioni, la mera circostanza che i limiti di affollamento pubblicitario orario siano diversi a seconda che si tratti di emittenti a pagamento o di emittenti in chiaro non autorizza a concludere che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale sia sproporzionata rispetto all’obiettivo di tutela degli interessi dei telespettatori. Spetta al giudice del rinvio, che dispone di tutti gli elementi di analisi nella controversia principale, verificare se siano soddisfatte le condizioni di cui al punto precedente della presente sentenza.

26      Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sui servizi di media audiovisivi nonché il principio della parità di trattamento e l’articolo 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di massima, ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti televisive a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti televisive in chiaro, sempre che sia rispettato il principio di proporzionalità, circostanza che dev’essere verificata dal giudice del rinvio.

 Sulla seconda questione

27      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 11 della Carta osti ad una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale.

28      A tale riguardo il giudice del rinvio si chiede se la normativa nazionale relativa all’affollamento pubblicitario televisivo sia tale da violare il principio fondamentale della libertà di espressione e, in particolare, la libertà ed il pluralismo dei media, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della Carta, considerate le distorsioni concorrenziali tra le emittenti televisive eventualmente causate dalla suddetta normativa nazionale.

29      Detto giudice rileva infatti, a tale riguardo, che l’articolo 38, comma 5, del decreto legislativo n. 177/2005 è tale da introdurre una distorsione concorrenziale e da favorire la creazione o il potenziamento di posizioni dominanti nel mercato della pubblicità televisiva.

30      A tale riguardo occorre ricordare che l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o almeno spieghi le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono basate (v. sentenze del 26 gennaio 1993, Telemarsicabruzzo e a., da C‑320/90 a C‑322/90, Racc. pag. I‑393, punto 6, nonché del 31 gennaio 2008, Centro Europa 7, C‑380/05, Racc. pag. I‑349, punto 57).

31      Tali esigenze valgono in modo del tutto particolare nel settore della concorrenza, caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse (citate sentenze Telemarsicabruzzo e a., punto 7, nonché Centro Europa 7, punto 58).

32      Tuttavia, nel caso di specie, la decisione di rinvio è alquanto lacunosa per quanto concerne le informazioni relative, in particolare, alla definizione del mercato rilevante, al calcolo delle quote di mercato detenute dalle diverse imprese operanti nel mercato stesso e all’abuso di posizione dominante richiamato dal giudice del rinvio nella sua seconda questione.

33      Di conseguenza, occorre considerare la seconda questione irricevibile.

 Sulle spese

34      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) nonché il principio della parità di trattamento e l’articolo 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di massima, ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prescrive limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per le emittenti televisive a pagamento rispetto a quelli stabiliti per le emittenti televisive in chiaro, sempre che sia rispettato il principio di proporzionalità, circostanza che dev’essere verificata dal giudice del rinvio.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.