Language of document : ECLI:EU:C:2013:531

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 5 settembre 2013 (1)

Causa C‑385/12

Hervis Sport- és Divatkereskedelmi Kft.

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Közép-dunántúli Regionális Adó Főigazgatósága

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Székesfehérvári Törvényszék (Ungheria)]

«Normativa tributaria — Libertà di stabilimento — Articolo 401 della direttiva 2006/112/CE — Imposta nazionale sull’attività di commercio al dettaglio esercitata all’interno dei negozi in determinati settori economici — Aliquota progressiva applicata a una base imponibile collegata al fatturato — Confronto tra imprese collegate all’interno di un gruppo o in una rete di franchising»





I –    Introduzione

1.        A causa della crisi finanziaria ed economica degli ultimi anni, gli Stati membri ricorrono ora con maggiore frequenza ad una classica fonte di entrate: la riscossione di imposte. Ciò non avviene solo attraverso un aumento delle aliquote delle imposte già esistenti; si assiste anche all’introduzione di nuove tipologie di imposte.

2.        La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte su una tale nuova imposta. Per fronteggiare l’accresciuto fabbisogno economico statale, l’Ungheria ha applicato, per un periodo limitato, un’imposta che, pur essendo commisurata al fatturato di determinate imprese, presentava un’aliquota progressiva, circostanza inusuale per un’imposta di tal genere.

3.        Non sorprende ovviamente che una nuova imposta sia oggetto di critiche. Nel caso di specie la Corte è chiamata tuttavia ad affrontare la questione della fondatezza di tali critiche anche dal punto di vista dell’ammissibilità di una siffatta imposta sotto il profilo del diritto dell’Unione. A tal riguardo, i contribuenti affermano, in particolare, che l’imposta, a causa dell’aliquota progressiva, determinerebbe una distorsione della concorrenza a danno delle imprese straniere. Occorrerà chiarire se tali distorsioni producano soltanto preoccupanti conseguenze economiche o se siano invece anche incompatibili con il diritto dell’Unione.

II – Contesto normativo

4.        Con la legge n. XCIV 2010 relativa all’imposta straordinaria su determinati settori (in prosieguo: la «legge n. XCIV 2010») è stata introdotta in Ungheria un’imposta che grava in particolare sulle attività di commercio al dettaglio svolte all’interno dei negozi e in determinati settori economici (in prosieguo: l’«imposta straordinaria»). La legge è entrata in vigore il 4 dicembre 2010 e si applicava retroattivamente all’attività svolta da un contribuente durante tutto il 2010 e in un successivo periodo limitato.

5.        La base imponibile di detta imposta è costituita dal volume d’affari netto conseguito in un anno d’imposta da un contribuente. L’aliquota dipende dall’importo della base imponibile. Fino a un volume d’affari di HUF 500 milioni (circa EUR 1,7 milioni) l’aliquota è pari allo 0%, per salire poi, secondo tre scaglioni, rispettivamente dello 0,1%, dello 0,4% e, infine, del 2,5%, quest’ultimo a partire da un volume d’affari di HUF 100 miliardi (circa EUR 333 milioni). In considerazione di detta aliquota a scaglioni, l’imposta non trova applicazione al di sotto di un determinato volume d’affari. In caso di riscossione dell’imposta, l’aliquota media e di conseguenza il carico fiscale aumentano con l’incremento del volume d’affari.

6.        A norma dell’articolo 7 della legge n. XCIV 2010, in caso di società collegate ai sensi della normativa ungherese in materia di imposte sulle società, l’imposta viene calcolata applicando in un primo momento l’aliquota fiscale sul volume d’affari di tutti i contribuenti collegati. L’imposta dovuta da ogni singolo contribuente è poi determinata in proporzione alla quota parte a esso imputabile del volume d’affari complessivo di tutti i contribuenti collegati. Secondo la normativa ungherese in materia di imposte sulle società, per società collegate si intendono, in particolare, quei contribuenti caratterizzati dal fatto che uno esercita un’influenza determinante sugli altri.

III – Procedimento principale e causa dinanzi alla Corte

7.        La società ungherese Hervis Sport- és Divatkereskedelmi Kft. (in prosieguo: la «Hervis») distribuisce articoli sportivi ed è soggetta, per effetto di tale attività, all’imposta straordinaria.

8.        Ai sensi dell’articolo 7 della legge n. XCIV 2010, la Hervis è collegata a una società controllante con sede nella Repubblica d’Austria che, direttamente o tramite altre imprese collegate, realizza in Ungheria, e in particolare nel settore del commercio al dettaglio di prodotti alimentari, fatturati che sono anch’essi soggetti all’imposta straordinaria. L’assunzione del volume d’affari complessivo del gruppo ai fini dell’applicazione dell’aliquota comporta per la Hervis un’aliquota media molto più elevata rispetto a quella che risulterebbe ad essa applicabile nel caso in cui l’imposta fosse calcolata sulla base del suo solo fatturato.

9.        La Hervis contesta l’imposta liquidata a suo carico per l’anno 2010 affermando che la riscossione dell’imposta straordinaria violerebbe talune disposizioni del diritto dell’Unione. L’imposta discriminerebbe, infatti, le imprese in mano a proprietari stranieri rispetto a quelle in mano a proprietari ungheresi e le imprese individuali rispetto a quelle operanti in una rete di franchising. Proprio nel settore del commercio al dettaglio di prodotti alimentari le società con azionisti ungheresi svolgerebbero la loro attività ricorrendo al meccanismo del franchising, riuscendo così a sottrarsi alla totalizzazione dei volumi d’affari nel quadro dell’imposta straordinaria dato che, ai fini del computo dell’imposta, rileverebbe il solo fatturato del singolo concessionario.

10.      In tale contesto, lo Székesfehérvári Törvényszék (Tribunale di Székesfehérvári), dinanzi al quale, medio tempore, la Hervis ha presentato riscorso, ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE:

Se sia compatibile con le disposizioni dei Trattati che disciplinano il principio del divieto generale di discriminazione (articoli 18 e 26 TFUE), il principio di libertà di stabilimento (articolo 49 TFUE), il principio di parità di trattamento (articolo 54 TFUE), il principio di parità per quanto riguarda le partecipazioni finanziarie al capitale delle società di cui all’articolo 54 (articolo 55 TFUE), il principio della libera prestazione dei servizi (articolo 56 TFUE), il principio della libera circolazione dei capitali (articoli 63 e 65 TFUE) e il principio di parità per quanto riguarda l’imposizione di tributi alle imprese (articolo 110 TFUE) il fatto che i contribuenti che esercitano l’attività di commercio al dettaglio nei negozi debbano versare un’imposta straordinaria se il loro volume d’affari netto annuale è superiore a 500 milioni di HUF.

11.      Nel corso del procedimento dinanzi alla Corte la Hervis, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e hanno partecipato all’udienza del 18 giugno 2013.

IV – Analisi

A –    Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

12.      Occorre anzitutto verificare la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale contestata dall’Ungheria.

13.      L’Ungheria eccepisce che, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza, la decisione di rinvio non spiegherebbe le ragioni per cui il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni di diritto dell’Unione citate nella questione pregiudiziale necessitino d’interpretazione. In particolare, non verrebbe spiegato sotto qual profilo l’imposta straordinaria ungherese produrrebbe effetti discriminatori.

14.      Secondo giurisprudenza costante della Corte, il giudice nazionale deve definire nella sua decisione di rinvio il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o almeno spiegare le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. La decisione di rinvio deve inoltre indicare i motivi che hanno indotto il giudice nazionale a interrogarsi sull’interpretazione del diritto dell’Unione e deve spiegare il nesso che questi individua tra le disposizioni di diritto dell’Unione e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui alla causa principale (2).

15.      Detti requisiti perseguono due obiettivi. Da una parte, s’intende in tal modo garantire che la Corte fornisca al giudice nazionale un’interpretazione utile del diritto dell’Unione. Dall’altra parte, la presenza di requisiti minimi quanto alle spiegazioni dovrebbe permettere agli Stati membri e alle altre parti di un procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE di formulare osservazioni utili. Dato che soltanto la decisione di rinvio è notificata alle parti, essa deve contenere tutte le informazioni per dare alle parti la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea (3).

16.      È in effetti dubbio se la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame soddisfi di per sé i requisiti di un contenuto minimo di spiegazioni. In particolare, il giudice del rinvio non spiega in modo esaustivo su quali circostanze di diritto e di fatto si fonderebbe la discriminazione dedotta dalla Hervis nel procedimento principale. Mancano non soltanto informazioni sull’articolo 7 della legge n. XCIV 2010, ma anche sull’inserimento della Hervis all’interno di una struttura di un gruppo di società e sul carico fiscale gravante sulle imprese in mano a proprietari nazionali e stranieri e su quelle attive, rispettivamente, all’interno o all’esterno di una rete di franchising.

17.      Tuttavia, in particolari circostanze, il contenuto di una decisione di rinvio può essere integrato da altre fonti di informazioni, senza che ciò pregiudichi gravemente gli obiettivi connessi ai requisiti formali della decisione medesima.

18.      In particolare, le osservazioni scritte presentate dalle parti alla Corte possono così consentire un’interpretazione utile del diritto dell’Unione (4). Nel procedimento in esame le informazioni del giudice del rinvio sono state sufficientemente integrate, sia in fatto che in diritto, dalle osservazioni scritte della Hervis e dell’Ungheria.

19.      Nel presente procedimento, inoltre, anche le altre parti coinvolte hanno potuto prendere posizione in modo utile sulla domanda di pronuncia pregiudiziale. Ciò trova conferma, anzitutto, nel fatto che la Repubblica d’Austria e la Commissione hanno effettivamente preso posizione in modo utile con le loro osservazioni scritte (5). Le questioni di diritto rilevanti nella specie erano state inoltre, in parte, già oggetto di una discussione pubblica, in particolare sotto forma di interrogazioni parlamentari e risposte della Commissione (6). Infine, essendosi tenuta nel caso di specie anche un’udienza, pure le altri parti hanno parimenti potuto formulare osservazioni utili, al più tardi, in occasione di detta udienza dopo essere venute a conoscenza delle osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte nel corso del giudizio (7).

20.      La domanda di pronuncia pregiudiziale è pertanto ricevibile.

B –    Risposta alla domanda pregiudiziale

21.      Il giudice del rinvio chiede se il fatto che i contribuenti debbano assolvere l’imposta straordinaria ungherese, quando il loro volume d’affari annuale netto supera HUF 500 milioni, sia compatibile con varie disposizioni del TFUE.

22.      La Hervis e la Repubblica d’Austria hanno sostenuto che la domanda pregiudiziale non è stata espressa in modo sufficientemente differenziato e propongono la sua riformulazione. In particolare, la questione pregiudiziale sottacerebbe, infatti, il carattere peculiare dell’imposta la quale, a causa della forte progressione dell’aliquota e del diverso trattamento previsto per le reti di franchising e per quelle di filiali, comporterebbe degli svantaggi a carico delle imprese di commercio al dettaglio in mano a soci stranieri.

23.      Tuttavia, non vi è motivo di procedere a una riformulazione della domanda pregiudiziale su tale punto. I reali effetti della riscossione dell’imposta straordinaria, cui hanno fatto riferimento la Hervis e la Repubblica d’Austria, devono essere tenuti in debito conto in sede di interpretazione del diritto dell’Unione.

24.      Per fornire al giudice nazionale una risposta utile, la Corte dovrebbe considerare, oltre alle disposizioni indicate nella domanda pregiudiziale, anche il significato dell’articolo 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (8) (in prosieguo: la «direttiva IVA») ai fini del presente procedimento (9). Detta disposizione verte infatti proprio sull’ammissibilità delle imposte sul volume d’affari dal punto di vista del diritto dell’Unione (10).

25.      Mi occuperò, tuttavia, in un primo momento delle norme di diritto primario indicate dal giudice del rinvio.

1.      Divieto di discriminazione fiscale dei prodotti

26.      Occorre anzitutto verificare se il divieto di discriminazione di cui all’articolo 110 TFUE osti alla riscossione dell’imposta straordinaria. In base a detta disposizione nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari.

27.      Dato che sono comprese anche le mere imposte indirette sui prodotti, nella norma succitata non rientrano soltanto le imposte riscosse sui prodotti in quanto tali. Occorre invece tener conto dell’articolo 110 TFUE anche riguardo alle imposte riscosse sull’attività specifica necessaria in relazione ai prodotti nella misura in cui si ripercuotono direttamente sul loro prezzo (11).

28.      È in effetti possibile che l’imposta straordinaria, avendo la sua base imponibile nel volume d’affari, abbia avuto ripercussioni dirette sul prezzo dei prodotti nella misura in cui essa non è stata applicata retroattivamente all’anno 2010. Tuttavia, un tributo viola l’articolo 110, primo comma, TFUE solo quando è calcolato sul prodotto importato e sull’analogo prodotto nazionale secondo criteri — almeno indirettamente (12) — differenti, con la conseguenza che il prodotto importato è soggetto, almeno in determinati casi, a un onere più gravoso (13). Nel caso di specie, non vi è, però, motivo di ritenere che l’imposta straordinaria colpisca in modo più marcato i prodotti provenienti da altri Stati membri rispetto a quelli nazionali. Pur ammettendo che le imprese in mano a proprietari stranieri siano esposte a un carico superiore rispetto a quelle detenute da proprietari nazionali, non risulta comunque che le imprese in mano a proprietari stranieri considerate nel caso di specie distribuiscano prevalentemente prodotti di provenienza estera.

29.      L’articolo 110 TFUE non osta, pertanto, ad un’imposta straordinaria quale descritta dal giudice del rinvio.

2.      Il diritto di stabilimento

30.      Occorre poi verificare se il combinato disposto degli articoli 49 e 54 TFUE osti alla riscossione dell’imposta straordinaria ungherese. In base a dette disposizioni, gli Stati membri non possono limitare la libertà di stabilimento di una società con sede in uno Stato membro in un altro Stato membro. A norma dell’articolo 49, secondo comma, TFUE, la libertà di stabilimento ricomprende anche l’esercizio di attività economiche.

31.      Nel caso di specie, la riscossione dell’imposta straordinaria potrebbe comportare, a danno della società controllante della Hervis, un’illegittima limitazione della libertà di stabilimento in Ungheria. Se così fosse, la Hervis potrebbe avvalersi del diritto di stabilimento della sua controllante per sottrarsi essa stessa a una riscossione dell’imposta straordinaria contraria al diritto dell’Unione (14).

a)      Discriminazione

32.      La libertà di stabilimento vieta essenzialmente ogni discriminazione fondata sulla sede della società (15). Sussiste una discriminazione quando norme diverse sono applicate a situazioni analoghe o quando la stessa norma è applicata a situazioni diverse (16). Per questa ragione il combinato disposto degli articoli 49 e 54 TFUE osta a un trattamento fiscale differente delle società residenti e non residenti se, ai fini della misura nazionale di cui trattasi, le società interessate si trovano in una situazione obiettivamente comparabile (17).

33.      A un primo esame non risulta che la normativa sull’imposta straordinaria comporti una disparità di trattamento delle società ungheresi soggette all’imposta, come la Hervis, fondata sulla sede della loro società controllante. Le sue modalità di riscossione non cambiano, infatti, a seconda della sede della controllante. Dal punto di vista prettamente formale, la legge ungherese n. XCIV 2010 non accorda alle controllate di società nazionali un trattamento diverso rispetto alle controllate di società con sede in un altro Stato membro.

34.      L’articolo 49 TFUE vieta, tuttavia, anche ogni discriminazione indiretta o dissimulata fondata sulla sede della società. La discriminazione dissimulata consiste nel ricorso a un criterio di distinzione diverso dalla sede di una società che porta tuttavia in concreto al medesimo risultato (18).

35.      La Hervis, la Repubblica d’Austria e la Commissione hanno dedotto una serie di elementi dai quali si evincerebbe una discriminazione dissimulata delle attività delle società straniere in Ungheria. Essi riguardano un asserito diverso trattamento dei contribuenti riconducibili, rispettivamente, ad azionisti nazionali e stranieri a seconda che siano organizzati in una rete di filiali o di franchising, nonché a seconda del loro inserimento nella struttura di un gruppo o in una rete in franchising. Le parti si sono occupate solo parzialmente delle disposizioni della legge n. XCIV 2010 stessa e hanno invece discusso primariamente le conseguenze economiche pratiche dell’imposta straordinaria sui diversi sistemi di distribuzione.

36.      Determinanti ai fini del riconoscimento di una discriminazione dissimulata sono, tuttavia, solo i criteri di distinzione utilizzati dalle norme sull’imposta straordinaria. Le disposizioni in parola non prevedono un trattamento diverso per le reti di filiali e le reti di franchising in quanto tali, mentre i diversi risultati dal punto di vista fiscale sono la conseguenza di una disciplina che distingue in base all’importo del volume d’affari di un contribuente e totalizza i fatturati di tutte le sue attività. In linea con i criteri di distinzione della legge n. XCIV 2010 dai quali traggono origine gli elementi dedotti dalle parti, esaminerò quindi nel prosieguo i criteri del volume del fatturato di un contribuente [sub ii), infra], dei contribuenti collegati [sub iii), infra] e della fase del procedimento di distribuzione in cui viene realizzato il fatturato stesso [sub iv), infra] sotto il profilo di una possibile discriminazione dissimulata.

i)      Presupposti della discriminazione dissimulata

37.      Occorre tuttavia chiarire, in primis, quali siano gli esatti presupposti di una discriminazione dissimulata. Dalla pregressa giurisprudenza della Corte in materia di libertà di stabilimento non si evince, infatti, chiaramente quale criterio di distinzione diverso dalla sede di una società porti in effetti a un risultato egualmente discriminatorio.

38.      Da un lato, ci si chiede quanto stretto debba essere il rapporto tra il criterio di distinzione e la sede di una società per ravvisare una disparità di trattamento fondata sulla sede. Sino a oggi la Corte ha parlato sia di coincidenza, nella maggior parte dei casi (19), sia di mera prevalenza di soggetti interessati esteri (20) o, addirittura, di un mero pericolo di un pregiudizio (21). Certo è, sino ad oggi, soltanto che non è richiesta una coincidenza al 100% del criterio con la sede della società (22).

39.      Dall’altro lato, non è soltanto il grado di correlazione richiesto dalla giurisprudenza a essere incerto, ma anche se detta correlazione debba derivare dalla natura stessa del criterio di distinzione (23) o possa, invece, fondarsi anche su circostanze casuali (24). Un collegamento tra la natura stessa del criterio di distinzione e la sede di una società presupporrebbe che un simile criterio sia sempre connesso con la sede di una società. Ai fini di un collegamento di fatto solo casuale sarebbe invece sufficiente che una simile correlazione sussista in concreto in una data situazione attuale. Questa interpretazione implica che la discriminazione dissimulata potrebbe venir meno a seguito di una modifica della situazione attuale che può verificarsi in ogni momento.

40.      Propongo alla Corte di fissare criteri restrittivi ai fini del riconoscimento di una discriminazione dissimulata. Detta discriminazione non deve, infatti, determinare un ampliamento della fattispecie di discriminazione ma soltanto ricomprendere quei casi che, da un punto di vista meramente formale, non integrino nessuna discriminazione, pur producendone gli effetti.

41.      La correlazione tra il criterio di distinzione e la sede della società deve quindi, da un lato, poter essere riscontrata nella maggior parte dei casi. Non è pertanto sufficiente che i soggetti interessati siano solo in prevalenza esteri.

42.      Tuttavia, d’altro canto, non è possibile circoscrivere in modo generalizzato la discriminazione dissimulata ai soli casi in cui la correlazione derivi dalla natura stessa del criterio di distinzione e non si fondi solo su circostanze di fatto casuali.

43.      La correlazione tra un criterio di distinzione e la sede di una società trova, infatti, sempre il suo fondamento nelle circostanze di fatto. Ciò vale anche per il classico criterio di distinzione di una discriminazione dissimulata fondata sulla cittadinanza: la residenza di una persona fisica (25). La correlazione tra residenza e cittadinanza deriva dalla natura stessa del criterio di distinzione solo perché, in base all’attuale situazione di fatto, in uno Stato membro vivono prevalentemente persone con la corrispondente cittadinanza. In che misura questa circostanza derivi dalla natura stessa del collegamento tra residenza e cittadinanza, non può però essere valutato a prescindere dalla situazione di fatto attuale tenuto conto della mobilità dei cittadini dell’Unione e del significato dei diritti di un cittadino. Questi sono, però, soggetti a mutamenti cosicché, in definitiva, anche qui la disparità di trattamento, la quale, pacificamente, deriva dalla natura stessa del criterio di distinzione, si fonda sulla situazione di fatto attuale.

44.      Il riferimento alla situazione attuale concreta non è precluso neppure dal fatto che una modifica di detta situazione possa far sì che una disciplina nazionale, che all’atto della sua emanazione non sollevasse alcuna riserva con riguardo al diritto dell’Unione, evidenzi improvvisamente un carattere discriminatorio. Ai fini delle esigenze del mercato interno rileva, infatti, soltanto la sussistenza di una limitazione della libertà di stabilimento e non invece se sia possibile muovere un qualche rimprovero al legislatore dell’epoca.

45.      Una disparità di trattamento tra società residenti e non residenti può così derivare anche da un mero collegamento di fatto, sostanzialmente casuale, tra il criterio di distinzione e la sede di una società.

46.      In conclusione, sussiste una discriminazione dissimulata fondata sulla sede di una società quando, in base alla situazione di fatto attuale, il criterio di distinzione scelto nella disciplina nazionale nella maggior parte dei casi si ricollega a una società con sede all’estero.

47.      Condizione per il riconoscimento di una discriminazione dissimulata è tuttavia, oltre alla disparità di trattamento dissimulata, il fatto che i gruppi differenziati in base al criterio si trovino in una situazione oggettivamente analoga (26). Ciò consente di verificare se la disparità di trattamento accertata tragga origine da situazioni diverse e se sia, pertanto, esclusa una discriminazione (27). Questa condizione aggiuntiva fa sì che non venga impedito agli Stati membri di prevedere, nelle rispettive normative, differenziazioni effettivamente legittime per il solo fatto che il criterio di distinzione — anche solo casualmente — è collegato alla sede di una società.

ii)    Criterio del volume del fatturato del contribuente

48.      In tale contesto occorre anzitutto verificare se il criterio del volume del fatturato del contribuente, assunto dall’imposta straordinaria ungherese ai fini della determinazione dell’aliquota, costituisca una discriminazione dissimulata delle società non residenti.

49.      A norma delle disposizioni sull’imposta straordinaria, l’aliquota sale per scaglioni in base all’importo del volume d’affari. Ciò comporta che l’imposta straordinaria preveda per le imprese con un volume d’affari elevato un trattamento meno favorevole, quanto all’aliquota applicabile, rispetto alle imprese con un volume d’affari ridotto. La disciplina produce l’ulteriore effetto che i contribuenti che gestiscono numerosi punti vendita nell’ambito di una rete di filiali devono tendenzialmente applicare sul proprio fatturato un’aliquota media più alta rispetto ai contribuenti che gestiscano un solo negozio, quali, ad esempio, i concessionari.

–       Disparità di trattamento

50.      Presupposto per il riconoscimento di una discriminazione dissimulata è, anzitutto, la sussistenza di una disparità di trattamento dissimulata dei contribuenti in base alla sede della loro società controllante. Una disparità di trattamento dissimulata tra società residenti e non residenti sussisterebbe se, nella maggior parte dei casi, i contribuenti con volumi d’affari elevati fossero gestiti da non residenti e quelli con volumi d’affari ridotti, al contrario, da soggetti residenti.

51.      Ciò non appare evidente. In effetti, le imprese con un volume d’affari elevato sono, di norma, più idonee a operare sul mercato interno al di fuori dei confini nazionali e sussiste così potenzialmente una certa probabilità che dette imprese perseguano e conseguano fatturati elevati anche in altri Stati membri. Imprese con fatturati consistenti possono tuttavia essere gestite anche da soggetti residenti.

52.      Competerebbe, quindi, al giudice del rinvio verificare se, alla luce della situazione di fatto riscontrabile in Ungheria nell’anno controverso, fosse comunque ravvisabile una disparità di trattamento dissimulata.

53.      Le informazioni fornite dalla Hervis in relazione al settore alimentare non sono sufficienti ai fini di tale accertamento. Esse potrebbero effettivamente comprovare che nel settore del commercio di prodotti alimentari i contribuenti con soci esteri sono organizzati in reti di filiali, mentre le grandi catene di distribuzione di prodotti alimentari, riconducibili a proprietari nazionali, sono gestite con il meccanismo del franchising. Queste informazioni si riferiscono, tuttavia, soltanto a una parte dell’ambito di applicazione dell’imposta straordinaria e, in particolare, non al settore nel quale la Hervis stessa opera. Un trattamento discriminatorio dissimulato tra residenti e non residenti deve però, in linea di principio, essere riscontrato in relazione alla normativa nel suo insieme e non può essere circoscritto a un determinato ambito del settore disciplinato.

54.      In qual misura la totalizzazione dei volumi d’affari della Hervis con quelli realizzati dalla sua controllante nel settore del commercio di prodotti alimentari rappresenti una disparità di trattamento dissimulata, non è peraltro decisivo ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo del diritto dell’Unione, del criterio dell’importo del volume d’affari, ma deve invece essere verificato nell’ambito dell’esame del criterio della presa in considerazione di imprese collegate (28).

55.      Fermo restando un diverso accertamento del giudice del rinvio, non risulta quindi, in base alle informazioni a disposizione della Corte, che il collegamento dell’aliquota dell’imposta straordinaria all’importo del volume d’affari integri una disparità di trattamento dissimulata tra residenti e non residenti.

–       Situazione oggettivamente analoga

56.      Qualora il giudice del rinvio dovesse comunque accertare la sussistenza di una disparità di trattamento dissimulata, occorrerebbe poi esaminare se contribuenti rispettivamente con volumi d’affari elevati e con volumi d’affari ridotti si trovino, ai fini dell’imposta straordinaria ungherese, in una situazione oggettivamente analoga.

57.      A tal riguardo, la Commissione ritiene che non sussiste una situazione oggettivamente analoga, in particolare per quanto attiene al diverso trattamento delle reti di filiali e delle reti di franchising, solo quando il diverso trattamento loro accordato corrisponde a una diversa capacità contributiva. Un’aliquota dell’imposta straordinaria superiore, risultante dalla totalizzazione dei fatturati delle filiali di imprese di commercio al dettaglio integrate, non attesterebbe, tuttavia, una maggiore capacità contributiva di dette imprese. Una capacità maggiore potrebbe desumersi soltanto da un utile superiore che tenga conto non soltanto del volume d’affari, ma anche dei costi.

58.      Si deve rilevare, in limine, che il diverso trattamento tra contribuenti con un volume d’affari elevato e contribuenti con un volume d’affari ridotto risponde proprio alla natura di un’imposta il cui importo è definito sulla base del volume d’affari. Una siffatta disparità di trattamento sussiste, infatti, anche quando un’imposta di tal sorta preveda soltanto un’aliquota unica. In termini assoluti, i contribuenti con un fatturato consistente pagheranno sempre, infatti, un’imposta superiore rispetto a quelli con fatturato modesto.

59.      Nel caso di specie si pone tuttavia anche la questione se i contribuenti con un volume d’affari elevato e quelli con un fatturato ridotto si trovino, ai fini della misura dell’aliquota dell’imposta, in una situazione oggettivamente analoga. In altre parole, occorre chiarire se volumi d’affari diversi possano legittimamente portare, sotto il profilo dell’uguaglianza, all’applicazione di aliquote diverse. Si tratta di verificare, in definitiva, se sussista un elemento che giustifichi la disparità di trattamento. Una simile verifica è oggetto, di norma, dell’esame della sussistenza di un motivo di giustificazione (29).

60.      A prescindere dalla questione dell’inquadramento dogmatico di un siffatto esame, concordo con la Commissione che la diversa capacità di un contribuente può, in linea di principio, giustificare l’applicazione di aliquote diverse.

61.      A tal riguardo, la progressione dell’aliquota costituisce una differenziazione nota nell’ambito della disciplina fiscale dei redditi, quindi nel caso di imposte commisurate agli utili. Diversamente dalla Commissione, non escluderei tuttavia a priori la legittimità di una progressione anche nel caso di imposte collegate al fatturato. Il volume del fatturato può, infatti, rappresentare un indicatore caratterizzante la capacità fiscale poiché utili elevati possono essere conseguiti soltanto in presenza di fatturati importanti e l’utile per unità derivante da un fatturato aggiuntivo (ricavi marginali) aumenta in considerazione della riduzione dei costi fissi.

62.      Se, in tale contesto, volumi d’affari diversi possano giustificare l’applicazione di aliquote diverse non può tuttavia essere chiarito senza ricorrere a un controllo della proporzionalità della progressione dell’aliquota. A tal fine, il giudice del rinvio dovrebbe stabilire e ponderare una serie di circostanze di fatto. Occorrerebbe in particolare chiarire come si configuri la suddivisione del carico medio di tutti i contribuenti tenuto conto dell’aliquota applicabile ai diversi livelli della tariffa e come si sviluppino di norma i ricavi marginali del volume d’affari dei contribuenti.

63.      Tuttavia, a prescindere dalla questione se i contribuenti con un volume d’affari elevato e quelli con un volume d’affari ridotto si trovino, riguardo alla misura dell’aliquota, in una situazione oggettivamente analoga, in mancanza di una disparità di trattamento riconoscibile a carico delle società non residenti (30), il criterio del volume del fatturato del contribuente non è un criterio di distinzione che possa fondare una discriminazione dissimulata delle società non residenti.

iii) Criterio dei contribuenti collegati

64.      Occorre poi verificare se il diverso trattamento accordato ai contribuenti collegati in un determinato modo con altri contribuenti, integri una discriminazione dissimulata fondata sulla sede della società.

65.      L’imposta straordinaria ungherese non differenzia, infatti, l’aliquota applicabile soltanto sulla base del fatturato del contribuente. In determinate circostanze, ai fini della determinazione dell’aliquota, vengono cumulati addirittura i volumi d’affari di contribuenti distinti. Ciò accade nel caso dei contribuenti collegati nell’ambito di un gruppo, ma non invece per quelli riuniti in una rete di franchising. Dato che la Hervis è inserita in una struttura di gruppo che realizza in Ungheria, inter alia, anche un fatturato nel settore del commercio di prodotti alimentari, l’aliquota risultante a suo carico è superiore rispetto a quanto accade per i contribuenti meramente appartenenti ad una rete di franchising.

66.      Il criterio di distinzione consiste quindi, nel caso in esame, nel modo in cui un contribuente, rispettivamente una società controllata o un concessionario, è collegato a un’impresa che esercita un’influenza sulle sue operazioni commerciali. In un caso la suddetta impresa è un socio del contribuente con poteri decisionali; nell’altro, essa dispone, eventualmente, di ampi poteri sulla base del contratto di franchising.

67.      Il giudice del rinvio dovrebbe anzitutto accertare, sulla base della situazione di fatto, se sussista una disparità di trattamento dissimulata tra imprese residenti e non residenti. Sarebbe questo il caso se, nell’anno controverso, l’inserimento in una struttura di gruppo fosse collegato nella maggior parte dei casi a una sede estera della società controllante.

68.      Si pone quindi la questione se i contribuenti inseriti in una struttura di gruppo e quelli parte di una rete di franchising si trovino in una situazione oggettivamente analoga. A questo scopo è decisivo se, ai fini della determinazione dell’imposta straordinaria sulla base del volume d’affari, i vincoli che legano una società controllata alla sua controllante siano oggettivamente analoghi a quelli che legano un concessionario in franchising al suo concedente.

69.      Tuttavia, nel caso qui considerato di un’influenza dominante della controllante sulla controllata, le strutture di gruppo e le reti di franchising non sono in ogni caso comparabili. In virtù di detta influenza dominante i fatturati delle società controllate sono infatti imputabili alla società controllante. Spetta appunto esclusivamente alla società madre controllante scegliere se realizzare i fatturati direttamente o attraverso una società controllata soggetta a imposta. I concedenti non hanno analoghi poteri data l’autonomia giuridica e commerciale di cui gode il concessionario.

70.      Con riguardo al criterio di commisurazione dell’imposta straordinaria ungherese al fatturato realizzato, i contribuenti inseriti in una rete di franchising e quelli appartenenti ad una struttura di gruppo non si trovano, quindi, in una situazione oggettivamente analoga.

71.      Il criterio di distinzione dei contribuenti collegati non può pertanto portare al riconoscimento di una discriminazione dissimulata.

iv)    Criterio della fase del procedimento di distribuzione in cui viene realizzato il fatturato

72.      Resta da verificare, infine, se la tassazione soltanto dell’ultima fase della distribuzione integri una discriminazione dissimulata delle società con sede in un altro Stato membro.

73.      A norma delle disposizioni sull’imposta straordinaria è tassata, infatti, soltanto l’attività di commercio al dettaglio svolta all’interno di un negozio e non l’attività di vendita all’ingrosso condotta al precedente livello della catena di distribuzione. Questa distinzione è il motivo per cui i contribuenti che dispongono di filiali sono assoggettati ad un trattamento fiscale diverso rispetto a un’intera rete di franchising composta di concedenti e concessionari, dal momento che il volume d’affari realizzato dal concedente non viene tassato.

74.      Questa differenza costituisce l’aspetto centrale delle contestazioni sollevate in particolare dalla Hervis secondo cui nel settore alimentare, al quale la Hervis è collegata attraverso la sua controllante ai fini dell’imposta straordinaria, si verificherebbe una disparità di trattamento tra imprese, rispettivamente, in mano a proprietari residenti e non residenti.

75.      Anche a questo scopo, per ammettere l’esistenza di una disparità di trattamento dissimulata, il giudice del rinvio dovrebbe anzitutto verificare se nella maggior parte dei casi i soggetti non residenti operino in Ungheria attraverso una rete di filiali mentre i residenti agiscono direttamente o indirettamente come concedenti attraverso una rete di franchising.

76.      Se così fosse, occorrerebbe poi verificare se un’impresa che gestisce una rete di filiali e un concedente si trovino, ai fini dell’imposta straordinaria ungherese, in una situazione oggettivamente analoga.

77.      A tal proposito, la Hervis e la Repubblica d’Austria sostengono che il meccanismo del franchising in Ungheria non presenta grandi differenze rispetto alle imprese di commercio al dettaglio integrate con filiali. Ciò varrebbe, in particolare, per quanto attiene all’identità di regime quanto all’accesso al mercato, all’acquisto della merce, alla definizione dei prezzi, all’attività di promozione e all’elaborazione informatica dei dati.

78.      Per la valutazione di una situazione oggettivamente analoga non è tuttavia determinante se i gruppi da confrontare presentino delle similitudini da uno o più punti di vista. Dirimente è piuttosto se essi si trovino, ai fini della normativa nazionale, in una situazione analoga.

79.      Così non è, tuttavia, nel caso dei concedenti e delle imprese che agiscono attraverso una rete di filiali. Nella misura in cui i concedenti non sono assoggettati all’imposta straordinaria, essi non realizzano, infatti, alcun fatturato nei confronti di consumatori finali, ma soltanto nei confronti dei concessionari. Essi devono essere paragonati, quindi, piuttosto ai grossisti o ai produttori, i cui servizi vengono utilizzati anche da imprese che gestiscono una rete di filiali e che non sono soggetti, a loro volta, all’imposta straordinaria. Se anche il concedente fosse assoggettato, con il proprio volume d’affari, all’imposta straordinaria, sui prodotti graverebbe una doppia imposizione, dal momento che l’imposta verrebbe riscossa sia a livello del concedente che del concessionario. Non sarebbero, invece, soggette a un’analoga doppia imposizione le imprese che gestiscono una rete di filiali.

80.      Neppure il criterio di distinzione collegato alla fase del procedimento di distribuzione in cui viene realizzato il volume d’affari porta quindi a riconoscere una discriminazione dissimulata.

v)      Conclusione interlocutoria

81.      Secondo gli elementi forniti alla Corte, le disposizioni sull’imposta straordinaria ungherese non contengono quindi, in conclusione, nessuna disposizione che discrimini, apertamente o in modo dissimulato, sotto il profilo della loro libertà di stabilimento, le società per il fatto di avere la propria sede all’estero.

b)      Restrizione non discriminatoria

82.      Secondo giurisprudenza costante, devono essere considerate restrizioni alla libertà di stabilimento, oltre alla discriminazione, tutte le misure che vietano, ostacolano o scoraggiano l’esercizio di tale libertà (31).

83.      Tuttavia, come già osservato altrove, nel settore del diritto tributario una verifica sulla base di detto criterio non è possibile, in quanto altrimenti sarebbe necessario esaminare, sotto il profilo del diritto dell’Unione, tutti i tipi di imposte nazionali (32).

84.      Questa opinione non viene condivisa solo dalla giurisprudenza della Corte, atteso che essa non ha ancora avuto modo di occuparsi della questione di restrizioni della libertà di stabilimento non discriminatorie nel settore del diritto tributario. La particolare posizione del diritto tributario rispetto all’applicazione delle libertà fondamentali trova conferma anche nei Trattati. Varie disposizioni del TFUE prevedono, in tal senso, requisiti formali più rigorosi per la legislazione dell’Unione in materia fiscale (33) e pongono in tal modo l’accento sulla sovranità fiscale dello Stato membro.

c)      Conclusione interlocutoria

85.      Occorre quindi concludere che, alla luce delle indicazioni fornite alla Corte, la riscossione dell’imposta straordinaria non costituisce un’illecita restrizione alla libertà di stabilimento in Ungheria della società controllante la Hervis.

3.      Libera prestazione dei servizi e libera circolazione dei capitali

86.      Poiché nel caso di specie a essere colpita è la libertà di stabilimento della società madre controllante la Hervis, la libera circolazione dei capitale passa, rispetto ad essa, in secondo piano (34), come hanno correttamente osservato anche le parti. A prescindere dal rapporto di concorrenza tra libertà di prestazione dei servizi e libertà di trasferimento, ritengo che il caso di specie non riguardi la libera prestazione dei servizi poiché oggetto dell’attività della Hervis è la distribuzione di prodotti.

4.      Il divieto generale di discriminazioni

87.      Dal momento che, in materia di diritto di stabilimento, il principio del divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza trova espressione nell’attuale articolo 49 TFUE (35), l’articolo 18 TFUE non trova, in forza del criterio di specialità, applicazione nel caso di specie.

5.      L’ammissibilità di imposte sul volume d’affari alla luce della direttiva IVA

88.      In conclusione, esaminerò il significato dell’articolo 401 della direttiva IVA ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo del diritto dell’Unione, della riscossione dell’imposta straordinaria in esame.

89.      In base alla suddetta disposizione, la direttiva IVA non vieta agli Stati membri di riscuotere imposte che non abbiano il carattere di imposta sul volume d’affari. Da essa ne consegue tuttavia che agli Stati membri è preclusa la riscossione di imposte con un tale carattere (36).

90.      Nel caso in esame si pone in effetti la questione se l’imposta straordinaria ungherese, quantificata sulla base del volume d’affari, presenti il carattere di imposta sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA e sia, pertanto, vietata dal diritto dell’Unione. L’imposta straordinaria determina, infatti, a causa della sua aliquota progressiva, un’importante distorsione della concorrenza tra le imprese con un fatturato elevato e quelle con fatturato ridotto. Questa distorsione della concorrenza non rappresenta tuttavia, come abbiamo visto, una discriminazione transfrontaliera (37), cosicché le libertà fondamentali non ostano all’imposta straordinaria. Nel diritto dell’Unione non è, però, solo la normativa in materia di aiuti a occuparsi di tali distorsioni della concorrenza ma anche — specialmente per il settore delle imposte sul volume d’affari — le disposizioni del sistema comune di imposta sul valore aggiunto.

91.      Sono consapevole del fatto che il giudice del rinvio non ha sottoposto nessuna questione vertente sull’interpretazione dell’articolo 401 della direttiva IVA e che neppure le parti si sono espresse al riguardo dinanzi alla Corte. Ciò non sorprende se si considera che, secondo giurisprudenza costante della Corte, la sussistenza di una violazione dell’articolo 401 della direttiva IVA va direttamente esclusa quando l’imposta nazionale non presenta una delle quattro caratteristiche essenziali dell’IVA (38). Tra queste quattro caratteristiche essenziali rientrano la sua riscossione generalizzata, il carattere proporzionale rispetto al prezzo, la sua riscossione in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione e il riconoscimento della detrazione dell’IVA versata a monte sicché l’imposta si applica in ciascuna fase sul valore aggiunto dei beni e dei servizi e grava, in definitiva, sul consumatore finale (39). L’imposta straordinaria ungherese non presenta però, evidentemente, né la terza né la quarta caratteristica dal momento che essa è riscossa soltanto nella fase di distribuzione del commerciante al dettaglio.

92.      Desidero, tuttavia, esaminare il significato dell’articolo 401 della direttiva IVA ai fini del procedimento in esame in quanto, da una parte, ritengo che le condizioni astratte di applicazione della disposizione in parola necessitino di una correzione per garantire l’efficacia pratica della norma considerata [v. sul punto lettera a), infra]. D’altra parte, a seguito di un’eventuale correzione delle condizioni di cui trattasi da parte della Corte, sussisterebbero dei dubbi quanto alla compatibilità dell’imposta straordinaria ungherese con l’articolo 401 della direttiva IVA [v. sul punto lettere b) e c), infra].

a)      Ratio dell’articolo 401 della direttiva IVA

93.      La ratio del divieto di riscossione di imposte che abbiano il carattere di imposta sul volume d’affari può essere così spiegata: il sistema comune dell’IVA previsto a livello dell’Unione va a sostituire le diverse previgenti imposte sul volume d’affari presenti nei differenti Stati membri (40). Come indicano i considerando 4 e 8 della direttiva 67/227/CEE (41), nella maggior parte degli Stati membri venivano in precedenza riscosse imposte sul volume d’affari sotto forma di imposta cumulativa a cascata e, quindi, non come imposta sul valore aggiunto. Con il sistema comune d’imposta sul valore aggiunto tutte le imposte sul volume d’affari devono ora essere sostituite all’interno dell’Unione con una forma precisa di imposta sul volume d’affari, ovvero l’imposta sul valore aggiunto.

94.      Il sistema comune dell’IVA non armonizza, pertanto, il settore dell’imposta sul valore aggiunto bensì il più ampio settore delle imposte sul volume d’affari, imponendo sul volume d’affari un determinato tipo di imposta, vale a dire la vigente imposta sul valore aggiunto. Contrasterebbe ovviamente con detta armonizzazione se gli Stati membri potessero mantenere, sotto qualsiasi forma, accanto al sistema comune dell’IVA, altre imposte sul volume d’affari.

95.      Già per questo motivo appare troppo restrittivo il pregresso orientamento della giurisprudenza secondo cui il divieto di riscossione di un’imposta sul valore aggiunto sancito all’articolo 401 della direttiva IVA osta a un’imposta nazionale solo quando detta imposta presenta le caratteristiche essenziali dell’imposta sul valore aggiunto (42). Già l’avvocato generale Léger ha osservato che tale orientamento della Corte permetterebbe paradossalmente agli Stati membri di reintrodurre quell’imposta cumulativa a cascata che il sistema comune dell’IVA mira proprio a eliminare (43). L’imposta cumulativa a cascata, infatti, non presenta le caratteristiche essenziali di un’imposta sul valore aggiunto poiché non prevede la detrazione dell’imposta a monte.

96.      A ciò si aggiunga che, secondo la giurisprudenza della Corte, un’imposta nazionale ha il carattere di un’imposta sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA ed è quindi vietata dal diritto dell’Unione, quando danneggia il funzionamento del sistema comune dell’IVA (44). Detto funzionamento si fonda, peraltro, proprio sul fatto che una determinata forma di imposta sul volume d’affari — ovvero la vigente imposta sul valore aggiunto — garantisce in tutti gli Stati membri le stesse condizioni di concorrenza. In base al considerando 4 della direttiva IVA, obiettivo dell’introduzione del sistema comune dell’IVA è l’applicazione negli Stati membri di legislazioni relative alle imposte sul volume d’affari che non falsino le condizioni di concorrenza e non ostacolino la libera circolazione delle merci e dei servizi. A tal fine è necessario eliminare, per quanto possibile, i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza, tanto sul piano nazionale quanto a livello dell’Unione.

97.      La Corte stessa ha di conseguenza preteso, nelle sue più recenti sentenze in materia, che nel raffronto di un’imposta nazionale con le caratteristiche dell’IVA, venga riservata particolare attenzione alla necessità che sia sempre garantita la neutralità del sistema comune (45). Resta però da chiarire perché soltanto un’imposta che soddisfa le caratteristiche essenziali dell’IVA dovrebbe poter danneggiare il funzionamento del sistema comune dell’IVA falsando le condizioni di concorrenza. Come ha già osservato correttamente l’avvocato generale Stix‑Hackl, ciò che rischia di interferire in maggior misura con il sistema comune è un’imposta che, pur possedendo caratteristiche essenziali dell’IVA, ne possiede anche altre con essa contrastanti (46).

98.      In senso contrario all’orientamento restrittivo della Corte depone così non soltanto il tenore dell’articolo 401 della direttiva IVA, il quale non si riferisce al carattere di un’imposta sul valore aggiunto ma al carattere di una distinta imposta sul volume d’affari. L’interpretazione restrittiva della norma in parola la priva soprattutto di efficacia pratica poiché ammette la riscossione di imposte nazionali sul volume d’affari, che — come nel caso di un’imposta sul volume d’affari secondo il sistema cumulativo a cascata — danneggiano il funzionamento del sistema comune dell’IVA falsando le condizioni di concorrenza.

99.      La giurisprudenza offre a questo proposito uno spiraglio per un’interpretazione più ampia dell’articolo 401 della direttiva IVA non avendo mai chiarito, in un certo modo, se anche altre imposte, diverse da quelle che soddisfano le caratteristiche essenziali di un’imposta sul valore aggiunto, possano essere vietate sulla base del diritto dell’Unione. Resta, infatti, ancora possibile leggere le parole della Corte nel senso che quantomeno un’imposta che presenti le caratteristiche essenziali dell’imposta sul valore aggiunto è incompatibile con l’attuale articolo 401 della direttiva IVA (47). In base a una tale lettura non sarebbe escluso che anche altre imposte siano incompatibili con detta norma (48).

100. In conclusione, mi sembra chiaro che il divieto di un’imposta ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA presuppone che un’imposta nazionale presenti le caratteristiche di un’imposta sul volume d’affari e non di un’imposta sul valore aggiunto. Detta disposizione vieta inoltre, in linea con la sua ratio e con la pregressa giurisprudenza, solo quelle imposte che pregiudicano il funzionamento del sistema comune dell’IVA, falsando le condizioni di concorrenza a livello nazionale o dell’Unione.

101. Esaminerò quindi brevemente nel prosieguo quali effetti possa avere una tale lettura modificata della giurisprudenza sul caso in esame.

b)      Caratteristiche essenziali di un’imposta sul valore aggiunto

102. Occorrerebbe anzitutto verificare se l’imposta straordinaria ungherese presenti le caratteristiche essenziali di un’imposta sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA.

103. Per definire le caratteristiche essenziali di un’imposta sul volume d’affari occorre muovere dalle caratteristiche essenziali di un’imposta sul valore aggiunto quali indicate dalla giurisprudenza della Corte. Queste ultime dovrebbero, infatti, ricomprendere già le caratteristiche della categoria generale di imposta sul volume d’affari oltre alle ulteriori caratteristiche precipue dell’imposta sul valore aggiunto.

i)      Riconoscimento della detrazione dell’IVA assolta a monte e possibilità di rivalsa

104. Si deve anzitutto concordare con gli avvocati generali Mischo e Stix‑Hackl quanto al fatto che la detrazione dell’imposta assolta a monte non può rientrare tra le caratteristiche essenziali di un’imposta sul volume d’affari (49). Proprio questa caratteristica impedirebbe di vietare agli Stati membri di reintrodurre quel meccanismo cumulativo a cascata che il sistema comune dell’IVA mira a eliminare.

105. Anche la rivalsa dell’imposta a carico del consumatore finale richiesta dalla Corte (50) e che viene spesso indicata come una conseguenza della detrazione dell’imposta a monte (51), non è una condizione per il riconoscimento del carattere di un’imposta sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA. Proprio nel sistema cumulativo a cascata la rivalsa dell’imposta è messa in discussione, infatti, per la mancanza di pari condizioni di concorrenza. Esigere che sia prevista la possibilità di traslare l’imposta escluderebbe peraltro dal divieto di cui all’articolo 401 della direttiva IVA proprio le imposte che distorcono in modo particolarmente marcato la concorrenza e che pertanto, a causa delle differenti condizioni di concorrenza dei contribuenti, non possono essere oggetto di rivalsa.

ii)    Riscossione in ogni fase del procedimento di produzione e di distribuzione

106. Anche la caratteristica della riscossione in ogni fase del procedimento di produzione e di distribuzione non costituisce una caratteristica essenziale dell’imposta sul volume d’affari (52).

107. Ciò è stato già riconosciuto non soltanto dalla Corte nella sua giurisprudenza pregressa (53). Anche i sistemi monofase rappresentano un’alternativa al vigente sistema di imposta sul valore aggiunto dal momento che la loro applicazione sui volumi d’affari realizzati nei confronti dei consumatori finali porta, in linea di principio, allo stesso risultato dal punto di vista fiscale.

iii) Commisurazione al prezzo

108. La caratteristica della commisurazione al prezzo è, in effetti, la caratteristica intrinseca di un’imposta sul volume d’affari. Solo se l’imposta individua la sua base imponibile nel volume d’affari stesso si può parlare di un’imposta sul volume d’affari.

109. È tuttavia irrilevante che l’imposta venga commisurata al singolo volume d’affari realizzato o alla somma dei volumi d’affari realizzati in un determinato periodo, come per l’imposta straordinaria ungherese in questione. Anche se un’imposta è calcolata sul volume d’affari complessivo di un anno, essa si ripercuote, infatti, comunque su ogni singolo volume d’affari (54).

110. Nell’ambito di alcune cause più risalenti nel tempo la Corte ha, in parte, negato l’applicazione del divieto in particolare a un’imposta che, come nel caso dell’imposta straordinaria qui in esame, gravi su determinati gruppi di imprese unicamente sulla base del fatturato annuo complessivo (55). Tuttavia, una tale affermazione potrebbe anche trovare origine in un’interpretazione non corretta rinvenibile in parte della giurisprudenza secondo cui l’imposta sul valore aggiunto è riscossa sul valore aggiunto conseguito con ogni operazione (56). Dal punto di vista della tecnica fiscale non è però così, dato che la base imponibile, a norma dell’articolo 73 della direttiva IVA, è composta dalla prestazione nella sua interezza.

111. L’imposta straordinaria ungherese soddisferebbe, in tal modo, la caratteristica della commisurazione al prezzo.

iv)    Riscossione generalizzata

112. Anche la riscossione generalizzata rientra, da ultimo, tra le caratteristiche essenziali di un’imposta sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA.

113. Ciò deriva direttamente dall’interpretazione dell’articolo 401 della direttiva IVA. La norma indica, infatti, quali esempi di imposte che non hanno carattere d’imposta sul volume d’affari, singole tipologie di imposte riferibili alla tassazione di determinati contenuti dei servizi come assicurazioni, immobili o giochi e scommesse. Dette particolari imposte sul volume d’affari continuano così a essere ammesse anche dopo l’introduzione del sistema comune dell’IVA. Sono pertanto vietate soltanto le imposte generali sul volume d’affari. Solo queste ultime hanno una portata tale da poter pregiudicare il funzionamento del sistema generale dell’IVA.

114. La Corte ha sino a oggi considerato quali imposte generali sul volume d’affari solo quelle imposte che gravano su tutte le operazioni economiche in uno Stato membro (57).

115. Occorre, tuttavia, riconoscere che anche la vigente imposta sul valore aggiunto è lungi dal gravare su tutte le operazioni. In particolare, gli articoli 132 e 135 della direttiva IVA prevedono numerose esenzioni fiscali per singole prestazioni o per interi settori. La riscossione generalizzata di un’imposta non può per questo presupporre che realmente tutti i contenuti dei servizi siano tassati. Una simile interpretazione priverebbe inoltre il divieto di cui all’articolo 401 della direttiva IVA di ogni applicazione pratica rilevante (58).

116. In particolare, nel caso di un’imposta come quella qui in esame che viene riscossa soltanto nell’ultima fase del procedimento di distribuzione non si può esigere che sia ricompreso ogni tipo di fatturato. Ai fini della riscossione generalizzata dell’imposta sul volume d’affari si pone, nel caso di un’imposta siffatta, soltanto la questione del suo carattere generale rispetto ai volumi d’affari realizzati nei confronti dei consumatori finali.

117. A prescindere da quali siano i casi in cui si possa ravvisare una riscossione generale (59), mancano nel procedimento qui in esame le necessarie informazioni sull’ambito di applicazione dell’imposta. Il giudice del rinvio indica unicamente che l’imposta straordinaria riguarda le attività di commercio al dettaglio in determinati settori, identificati mediante un codice numerico, della nomenclatura unica delle attività commerciali in Ungheria. Non se ne evince, tuttavia, in qual misura la tassazione dei volumi d’affari realizzati si estenda ai consumatori finali.

118. Alla luce delle informazioni a disposizione non si può pertanto stabilire se un’imposta come quella speciale ungherese rappresenti un’imposta generale sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA.

c)      Distorsione delle condizioni di concorrenza

119. Ove si dovesse riconoscere che l’imposta straordinaria ungherese rappresenta un’imposta generale sul volume d’affari ai sensi dell’articolo 401 della direttiva IVA, un divieto in base al diritto dell’Unione presupporrebbe anche che l’imposta danneggi il funzionamento del sistema comune dell’IVA, falsando le condizioni di concorrenza a livello nazionale o dell’Unione.

120. Nel caso dell’imposta straordinaria ciò potrebbe verificarsi. La vendita degli stessi prodotti soggiace infatti, in definitiva, a causa della progressione dell’aliquota, a un carico fiscale diverso a seconda del contribuente. Ciò non accade tuttavia con riferimento alla riscossione retroattiva dell’imposta straordinaria, dal momento che quest’ultima non poteva avere effetti distorsivi sulla concorrenza poiché non era nota al momento dell’effettuazione del volume d’affari.

121. A causa delle modalità di riscossione dell’imposta straordinaria, inoltre, la lunghezza del processo di produzione e di distribuzione torna ad essere rilevante ai fini del carico fiscale in contrasto con il principio fondamentale di cui all’articolo 1, paragrafo 2, primo comma, della direttiva IVA. Se un commerciante all’ingrosso rifornisce un piccolo commerciante individuale non insorge infatti, in base all’aliquota a scaglioni dell’imposta straordinaria, alcun onere fiscale. Se invece il processo di distribuzione viene ridotto di un passaggio, con il suddetto commerciante all’ingrosso che agisce ora come dettagliante di grandi dimensioni, la progressione della tariffa determina l’insorgenza di un carico fiscale. Anche il diverso trattamento delle reti di filiali e delle reti di franchising è il risultato di questa riscossione dell’imposta straordinaria non conforme ai principi del sistema comune dell’IVA (60).

122. In tal modo, l’imposta straordinaria ungherese pregiudicherebbe, in linea di principio, per effetto della sua tariffa a scaglioni, il funzionamento del sistema comune dell’IVA, falsando le condizioni della concorrenza a livello nazionale. Nella presente fattispecie, diversamente dal caso delle libertà fondamentali, non è necessaria una distorsione transfrontaliera della concorrenza.

d)      Conclusione interlocutoria

123. Alla luce delle insufficienti informazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale quanto al carattere generale dell’imposta straordinaria e in considerazione del fatto che l’interpretazione dell’articolo 401 della direttiva IVA non sembra aver avuto, sino ad ora, nessun ruolo nel procedimento principale, non propongo alla Corte di riaprire la fase orale per permettere alle parti di prendere posizione al riguardo.

124. Nella specie, ritengo sia più opportuno chiarire soltanto le questioni sottoposte dal giudice del rinvio e vertenti sul diritto primario, indicando al giudice del rinvio, quanto al resto, la necessità di tenere opportunamente conto dell’articolo 401 della direttiva IVA. Il giudice del rinvio, qualora dovesse ritenere che, alla luce della pregressa giurisprudenza della Corte e delle considerazioni qui svolte, non si possa escludere che l’imposta straordinaria ungherese violi l’articolo 401 della direttiva IVA, dovrebbe proporre una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale.

6.      Conclusione

125. Occorre quindi rispondere alla questione pregiudiziale nel senso che l’articolo 49 TFUE, applicabile nel caso di specie in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, non osta alla riscossione dell’imposta straordinaria ungherese quale descritta dal giudice del rinvio. Il giudice del rinvio dovrà, tuttavia, verificare se l’imposta straordinaria sia compatibile con l’articolo 401 della direttiva IVA.

V –    Conclusioni

126. Propongo pertanto di rispondere alla questione pregiudiziale del Székesfehérvári Törvényszék nei termini seguenti:

L’articolo 49 TFUE, applicabile al caso in esame in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, non osta alla riscossione di un’imposta quale descritta dal giudice del rinvio, il quale dovrà, tuttavia, verificare se una simile imposta sia compatibile con l’articolo 401 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.


1 –      Lingua originale: il tedesco.


2 – V., tra le tante, sentenza del 21 dicembre 2011, Enel Produzione (C‑242/10, Racc. pag. I‑13665, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). Detti requisiti sono ora disciplinati anche dall’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 25 settembre 2012 (GU L 265, pag. 1) che tuttavia non trova ancora applicazione nel presente procedimento.


3 – V. ex multis sentenza del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, punti 84 e segg. e giurisprudenza ivi citata).


4 – V., in questo senso, sentenza del 3 marzo 1994, Vaneetveld (C‑316/93, Racc. pag. I‑763, punto 14).


5 – V., in questo senso, sentenze del 21 settembre 1999, Brentjens’ (da C‑115/97 a C‑117/97, Racc. pag. I‑6025, punto 40), e del 10 marzo 2009, Heinrich (C‑345/06, Racc. pag. I‑1659, punto 35).


6 – V. in particolare le interrogazioni parlamentari del 20 dicembre 2010 (E‑010535/2010), del 2 febbraio 2011 (E‑000576/2011) e del 19 gennaio 2012 (O‑000009/2012) nonché la risposta della Commissione del 15 marzo 2001 alle interrogazioni E‑000576/11 ed E‑000955/11.


7 – V., in questo senso, sentenze Brentjens’ (cit. alla nota 5, punto 42), e dell’11 aprile 2000, Deliège (C‑51/96 e C‑191/97, Racc. pag. I‑2549, punto 38).


8 –      GU L 347, pag. 1.


9 – V. ex multis, quanto al suddetto potere riconosciuto alla Corte, sentenze del 20 marzo 1986, Tissier (35/85, Racc. pag. 1207, punto 9), e del 30 maggio 2013, Worten (C‑342/12, punto 30).


10 – V. a tal proposito anche la risposta della Commissione del 15 marzo 2011 sulle interrogazioni E‑000576/11 ed E‑000955/11, in seguito alla quale la Commissione si è già occupata, sulla base del relativo reclamo, di una possibile violazione dell’articolo 401 della direttiva IVA da parte della legge speciale.


11 – V. sentenze dell’8 novembre 2007, Stadtgemeinde Frohnleiten e Gemeindebetriebe Frohnleiten (C‑221/06, Racc. pag. I‑9643, punto 43), e del 17 luglio 2008, Essent Netwerk Noord e a. (C‑206/06, Racc. pag. I‑5497, punto 44), ciascuna sull’articolo 90 CE.


12 – V. sentenza del 9 maggio 1985, Humblot (112/84, Racc. pag. 1367, punto 14), sull’articolo 95 CEE; v., in questo senso, anche sentenze del 17 settembre 1987, Feldain (433/85, Racc. pag. 3521, punto 16), e del 3 marzo 1988, Bergandi (252/86, Racc. pag. 1343, punto 28), sull’articolo 95 CEE.


13 – Sentenza Stadtgemeinde Frohnleiten e Gemeindebetriebe Frohnleiten (cit. alla nota 11, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata), sull’articolo 90 CE.


14 – V., in questo senso, sentenza del 12 aprile 1994, Halliburton Services (C‑1/93, Racc. pag. I‑1137).


15 – V. ex multis sentenze del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, Racc. pag. 2008, I‑10767, punto 32), e del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, Racc. pag. I‑5145, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).


16 – V. in particolare sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, Racc. pag. I‑225, punto 30); del 12 dicembre 2006, Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (C‑374/04, Racc. pag. I‑11673, punto 46), e del 2 aprile 2009, Elshani (C‑459/07, Racc. pag. I‑2759, punto 36).


17 – V., in questo senso, sentenze Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (cit. alla nota 16, punto 46), e Truck Center (cit. alla nota 15, punto 36).


18 – V. in particolare sentenze del 5 dicembre 1989, Commissione/Italia (C‑3/88, Racc. pag. 4035, punto 8); del 13 luglio 1993, Commerzbank (C‑330/91, Racc. pag. I‑4017, punto 14); dell’8 luglio 1999, Baxter e a. (C‑254/97, Racc. pag. I‑4809, punto 10); del 25 gennaio 2007, Meindl (C‑329/05, Racc. pag. I‑1107, punto 21), e del 1° giugno 2010, Blanco Pérez e Chao Gómez (C‑570/07 e C‑571/07, Racc. pag. I‑4629, punti 117 e segg.).


19 – V. sentenze del 7 luglio 1988, Stanton e L’Étoile 1905 (143/87, Racc. pag. 3877, punto 9); Commerzbank (cit. alla nota 18, punto 15); Baxter e a. (cit. alla nota 18, punto 13), e del 22 marzo 2007, Talotta (C‑383/05, Racc. pag. I‑2555, punto 32); v. anche sentenze Bergandi (cit. alla nota 12, punto 28) sull’articolo 95 CEE e del 26 ottobre 2010, Schmelz (C‑97/09, Racc. pag. I‑10465, punto 48), sulla libera prestazione di servizi.


20 – V. sentenza Blanco Pérez e Chao Gómez (cit. alla nota 18, punto 119).


21 – V. sentenze Talotta (cit. alla nota 19, punto 32), e Blanco Pérez e Chao Gómez (cit. alla nota 18, punto 119); v. anche sentenza dell’8 maggio 1990, Biehl (C‑175/88, Racc. pag. I‑1779, punto 14), sulla libera circolazione dei lavoratori.


22 – V., in questo senso, sentenza del 28 giugno 2012, Erny (C‑172/11, punto 41), sulla libera circolazione dei lavoratori.


23 – V. sentenze Baxter e a. (cit. alla nota 18, punto 13), e Blanco Pérez e Chao Gómez (cit. alla nota 18, punto 119).


24 – V. sentenza Commissione/Italia (cit. alla nota 18, punto 9); v. anche sentenza Humblot (cit. alla nota 12, punto 14), sull’articolo 95 CEE.


25 – V. sentenza Schumacker (cit. alla nota 16, punto 28).


26 – V. paragrafo 32 supra.


27 – V., in questo senso, tra le tante, sentenza Test Claimants in Class IV of the ACT Group Litigation (cit. alla nota 16, punto 46).


28 –      V. paragrafi 64 e segg. infra.


29 – V. a tal proposito anche le mie conclusioni del 19 luglio 2012 nella causa A (C‑123/11, paragrafi 40 e segg.).


30 – V. paragrafi 48 e segg. supra.


31 – V. soltanto sentenze Truck Center (cit. alla nota 15, punto 33); Blanco Pérez e Chao Gómez (cit. alla nota 18, punto 53), e del 6 settembre 2012, DI. VI. Finanziaria di Diego della Valle & C. (C‑380/11, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).


32 – Vedi in dettaglio le mie conclusioni del 21 dicembre 2011 nella causa X (C‑498/10, paragrafo 28).


33 – V. sulla normativa concernente il mercato interno gli articoli 114, paragrafo 2, e 115; sulla politica industriale l’articolo 173, paragrafo 3, secondo comma; sulla politica ambientale, l’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera a), e sulla politica energetica, l’articolo 194, paragrafo 3, TFUE.


34 – V. a tal proposito sentenza del 13 novembre 2012, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑35/11, punti 91 e 94).


35 – V. sentenza dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C‑397/98 e C‑410/98, Racc. pag. 2001, I‑1727, punto 39).


36 – V. ex multis sentenze del 31 marzo 1992, Dansk Denkavit e Poulsen Trading (C‑200/90, Racc. pag. I‑2217, punto 10 e giurisprudenza ivi citata), e del 17 settembre 1997, UCAL (C‑347/95, Racc. pag. I‑4911, punto 32).


37 – V. paragrafo 48 e segg. supra.


38 – V., in particolare, sentenze del 9 marzo 2000, EKW e Wein & Co (C 437/97, Racc. pag. I‑1157, punto 23); del 19 settembre 2002, Tulliasiamies e Siilin (C‑101/00, Racc. pag. I‑7487, punto 105); del 3 ottobre 2006, Banca popolare di Cremona (C‑475/03, Racc. pag. I‑9373, punti 27 e segg.), e dell’11 ottobre 2007, KÖGÁZ e a. (C‑283/06 e C‑312/06, Racc. pag. I‑8463, punto 36); v., in senso analogo, già sentenza del 7 maggio 1992, Bozzi (C‑347/90, Racc. pag. I‑2947, punto 10).


39 – V. in particolare sentenze dell’8 giugno 1999, Pelzl e a. (C‑338/97, C‑344/97 e C‑390/97, Racc. pag. I‑3319, punto 21); Banca popolare di Cremona (cit. alla nota 38, punto 28), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punto 37).


40 – V., tra le tante, sentenze Banca popolare di Cremona (cit. alla nota 38, punto 23), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punto 31).


41 – Prima direttiva 67/227/CEE del Consiglio, dell’11 aprile 1967, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari (GU 71, pag. 1301).


42 – V. ex multis sentenza KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


43 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Léger del 13 marzo 1997 nella causa Solisnor‑Estaleiros Navais (C‑130/96, Racc. pag. I‑5053, paragrafo 42).


44 – V., tra le tante, sentenze Banca popolare di Cremona (cit. alla nota 38, punti da 23 a 25), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punti 31 e 34); v. già sentenza del 27 novembre 1985, Rousseau Wilmot (295/84, Racc. pag. 3764, punto 16).


45 – Sentenze Banca popolare di Cremona (cit. alla nota 38, punto 29), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punto 38).


46 – Conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl del 14 marzo 2006, nella causa Banca popolare di Cremona (C‑475/03, Racc. pag. I‑9373, paragrafo 36).


47 – V., in questo senso, sentenze Dansk Denkavit e Poulsen Trading (cit. alla nota 36, punto 11); del 26 giugno 1997, Careda e a. (da C‑370/95 a C‑372/95, Racc. pag. I‑3721, punto 14); del 19 febbraio 1998, SPAR (C‑318/96, Racc. pag. I‑785, punto 22); Pelzl e a. (cit. alla nota 40, punto 20), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punti 34 e segg.).


48 – V., a tal proposito, sentenza del 13 luglio 1989, Wisselink e a. (93/88 e 94/88, Racc. pag. 2671, punto 11), sul sistema cumulativo a cascata e le conclusioni dell’avvocato generale Alber del 18 marzo 1999 nella causa Pelzl e a. (C‑338/97, C‑344/97 e C‑390/97, Racc. pag. I‑3319, paragrafo 85).


49 – Conclusioni dell’avvocato generale Mischo del 27 aprile 1989 nella causa Wisselink e a. (93/88 e 94/88, Racc. pag. 2671, paragrafo 50), e conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nella causa Banca popolare di Cremona (cit. alla nota 46, paragrafo 110).


50 – V. in particolare sentenze Careda e a. (cit. alla nota 47, punti 14 e segg.), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punti 50 e 57).


51 – V. in particolare sentenze Pelzl e a. (cit. alla nota 39, punto 21); Banca popolare di Cremona (cit. alla nota 38, punto 28), e KÖGÁZ e a. (cit. alla nota 38, punto 37).


52 – Conclusioni Wisselink e a. (cit. alla nota 49, paragrafo 50).


53 – V. sentenza Wisselink e a. (cit. alla nota 48, punti 11 e segg.).


54 – Conclusioni Pelzl e a. (cit. alla nota 48, paragrafi 44 e 57); v. anche conclusioni dell’avvocato generale Jacobs del 17 marzo 2005 nella causa Banca popolare di Cremona (C‑475/03, Racc. pag. I‑9373, paragrafi 46 e segg.), e conclusioni Banca popolare di Cremona dell’avvocato generale Stix‑Hackl (cit. alla nota 46, paragrafo 79).


55 – V. sentenze Rousseau Wilmot (cit. alla nota 44, punto 16), e Pelzl e a. (cit. alla nota 39, punto 25); giunge però a una conclusione diversa la sentenza Dansk Denkavit e Poulsen Trading (cit. alla nota 36).


56 – V. sentenze del 19 marzo 1991, Giant (C‑109/90, Racc. pag. I‑1385, punto 14), e del 16 dicembre 1992, Beaulande (C‑208/91, Racc. pag. I‑6709, punto 18).


57 – Sentenze Beaulande (cit. alla nota 56, punto 16); del 17 settembre 1997, Solisnor‑Estaleiros Navais (cit. alla nota 43, punto 17), e Tulliasiamies e Siilin (cit. alla nota 38, punto 101); v. anche sentenza EKW e Wein & Co (cit. alla nota 38, punto 24).


58 – V., in questo senso, conclusioni dell’avvocato generale Saggio del 1° luglio 1999 nella causa EKW e Wein & Co (C‑437/97, Racc. pag. I‑1157, paragrafo 21).


59 – V. al riguardo le diverse alternative proposte nelle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs del 19 marzo 1992 nella causa Bozzi (C‑347/90, Racc. pag. I‑2947, paragrafo 14), e delle conclusioni dell’avvocato generale Alber del 20 novembre 1997, SPAR (C‑318/96, Racc. pag. 1998, I‑785, paragrafo 33).


60 –      V. paragrafi 72 e segg. infra.