Language of document : ECLI:EU:C:2009:244

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

23 aprile 2009 (*)

«Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Normativa nazionale che vieta le offerte congiunte ai consumatori»

Nei procedimenti riuniti C‑261/07 e C‑299/07,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal rechtbank van koophandel te Antwerpen (Belgio), con decisioni 24 maggio e 21 giugno 2007, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 1° e il 27 giugno 2007, nella causa

VTB-VAB NV (C‑261/07)

contro

Total Belgium NV,

e

Galatea BVBA (C‑299/07)

contro

Sanoma Magazines Belgium      NV,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. A. Tizzano (relatore), A. Borg Barthet, E. Levits e J.‑J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 18 giugno 2008,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la VTB-VAB NV, dagli avv.ti L. Eliaerts e B. Gregoir, advocaten;

–        per la Total Belgium NV, dall’avv. J. Stuyck, advocaat;

–        per la Sanoma Magazines Belgium NV, dall’avv. P. Maeyaert, advocaat;

–        per il governo belga, dalla sig.ra L. Van den Broeck e dal sig. T. Materne, in qualità di agenti, assistiti dall’avv. E. Balate, avocat;

–        per il governo spagnolo, dal sig. M. Muñoz Pérez, in qualità di agente;

–        per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti;

–        per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. W. Wils, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 21 ottobre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’art. 49 CE e della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22, in prosieguo: la «direttiva»).

2        Tali domande sono state presentate nel contesto di due controversie, da una parte, tra la VTB-VAB NV (in prosieguo: la «VTB») e la Total Belgium NV (in prosieguo: la «Total Belgium») e, dall’altra, tra la Galatea BVBA (in prosieguo: la «Galatea») e la Sanoma Magazines Belgium NV (in prosieguo: la «Sanoma») con riguardo alle pratiche commerciali della Total Belgium e della Sanoma, ritenute sleali dalla VTB nonché dalla Galatea.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3        Il quinto, il sesto, l’undicesimo e il diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva così recitano:

«(5) (...) gli ostacoli alla libera circolazione di servizi e di merci transfrontaliera o alla libertà di stabilimento (...) dovrebbero essere eliminati. Ciò è possibile solo introducendo a livello comunitario norme uniformi che prevedono un elevato livello di protezione dei consumatori e chiarendo alcuni concetti giuridici, nella misura necessaria per il corretto funzionamento del mercato interno e per soddisfare il requisito della certezza del diritto.

(6)       La presente direttiva ravvicina pertanto le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi. (...)

(11) L’elevata convergenza conseguita mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali attraverso la presente direttiva dà luogo a un elevato livello comune di tutela dei consumatori. La presente direttiva introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Essa stabilisce inoltre norme riguardanti le pratiche commerciali aggressive, che attualmente non sono disciplinate a livello comunitario.

(17) È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

4        L’art. 1 della direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

5        L’art. 2 della direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d)      “pratiche commerciali [delle imprese nei confronti dei consumatori]” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

(...)».

6        L’art. 3, n. 1, della direttiva così recita:

«La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali [delle imprese nei confronti dei consumatori], come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

7        Ai sensi dell’art. 4 della direttiva:

«Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva».

8        L’art. 5 della direttiva, rubricato «Divieto delle pratiche commerciali sleali», è così redatto:

«1.       Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

2.       Una pratica commerciale è sleale se:

a)       è contraria alle norme di diligenza professionale,

e

b)       falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

3.       Le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate nell’ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.

4.       In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

a)       ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7

o

b)       aggressive di cui agli articoli 8 e 9.

5.       L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

9        L’art. 6 della direttiva, rubricato «Azioni ingannevoli», dispone quanto segue:

«1.       È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

a)       l’esistenza o la natura del prodotto;

b)       le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;

c)      la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto;

d)       il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;

e)       la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;

f)       la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti;

g)       i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo [(GU L 171, pag. 12)], o i rischi ai quali può essere esposto.

2. È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:

a)       una qualsivoglia attività di marketing del prodotto, compresa la pubblicità comparativa, che ingeneri confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente;

b)       il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove:

i)      non si tratti di una semplice aspirazione ma di un impegno fermo e verificabile;

e

ii)       il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice».

10      L’art. 7 della direttiva, rubricato «Omissioni ingannevoli», così recita:

«1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

2. Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

3. Qualora il mezzo di comunicazione impiegato per comunicare la pratica commerciale imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata un’omissione di informazioni si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque misura adottata dal professionista per mettere le informazioni a disposizione dei consumatori con altri mezzi.

4. Nel caso di un invito all’acquisto sono considerate rilevanti le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal contesto:

a)       le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di comunicazione e al prodotto stesso;

b)       l’indirizzo geografico e l’identità del professionista, come la sua denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente, l’indirizzo geografico e l’identità del professionista per conto del quale egli agisce;

c)       il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore;

d)       le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale;

e)       l’esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto per i prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto.

5. Sono considerati rilevanti gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing, di cui l’allegato II fornisce un elenco non completo».

11      L’art. 8 della direttiva, rubricato «Pratiche commerciali aggressive», prevede quanto segue:

«È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

12      L’art. 9 della direttiva, rubricato «Ricorso a molestie, coercizione o indebito condizionamento», è così redatto:

«Nel determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento, sono presi in considerazione i seguenti elementi:

a)       i tempi, il luogo, la natura o la persistenza;

b)       il ricorso alla minaccia fisica o verbale;

c)       lo sfruttamento da parte del professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di gravità tale da alterare la capacità di valutazione del consumatore, al fine di influenzarne la decisione relativa al prodotto;

d)       qualsiasi ostacolo non contrattuale, oneroso o sproporzionato, imposto dal professionista qualora un consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro professionista;

e)       qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa».

13      Infine, ai sensi dell’art. 19 della direttiva:

«Gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 12 giugno 2007. (...)

Essi applicano tali disposizioni entro il 12 dicembre 2007. (...)».

 La normativa nazionale

14      L’art. 54 della legge 14 luglio 1991 sulle pratiche commerciali e sull’informazione e la tutela dei consumatori (Moniteur belge del 29 agosto 1991, in prosieguo: la «legge del 1991»), è così redatto:

«Ai sensi del presente articolo per operazione commerciale congiunta si intende l’acquisto, a titolo oneroso o gratuito, di prodotti, di servizi, di qualsiasi altro vantaggio, o di titoli che consentano di conseguire gli stessi, abbinato all’acquisto di altri prodotti o di altri servizi, anche se identici.

A parte le deroghe qui di seguito previste, i venditori non possono offrire ai consumatori operazioni commerciali congiunte. Sono parimenti vietate le operazioni commerciali congiunte offerte ai consumatori da più venditori che agiscono con unità d’intenti».

15      Gli artt. 55‑57 della legge del 1991 prevedono alcune deroghe al predetto divieto.

16      L’art. 55 della legge del 1991 dispone quanto segue:

«Possono essere offerti congiuntamente ad un prezzo unitario complessivo:

1. prodotti o servizi che costituiscono un insieme unitario;

Il Re può, su proposta dei Ministri competenti e del Ministro delle Finanze, indicare i servizi offerti nel settore finanziario che costituiscono un insieme unitario;

2. prodotti o servizi identici, a condizione che:

a)      ciascun prodotto e ciascun servizio possa essere acquistato separatamente, nello stesso punto vendita, al prezzo normale,

b)      sia fornita all’acquirente una chiara informazione su tale possibilità e sul singolo prezzo di ogni prodotto e di ogni servizio,

c)      lo sconto eventualmente concesso a chi acquista l’insieme dei prodotti o dei servizi ammonti al massimo ad un terzo della somma dei singoli prezzi».

17      Ai sensi dell’art. 56 della legge del 1991:

«Possono essere offerti a titolo gratuito, congiuntamente ad un prodotto o ad un servizio principale:

1.       gli accessori di un prodotto principale, che il suo produttore ha specificamente adattato al prodotto medesimo e che sono forniti insieme ad esso per aumentarne la funzionalità o agevolarne l’uso,

2.       le confezioni o i contenitori utilizzati per la custodia e la preparazione dei prodotti, tenuto conto del tipo e del valore di tali prodotti,

3.       piccoli prodotti e servizi considerati normali nel commercio, nonché trasporto, montaggio, controllo ed assistenza per i prodotti venduti,

4.       campioni di prova dell’assortimento del produttore o del fornitore del prodotto principale, purché siano offerti nella quantità o nella dimensione strettamente necessaria per una valutazione delle caratteristiche del prodotto,

5.       fotografie a colori, adesivi e altre immagini di minimo valore commerciale,

6.       titoli per partecipare a lotterie legalmente autorizzate,

7.       oggetti con scritte pubblicitarie non cancellabili e chiaramente visibili, non presenti in commercio in quanto tali, a condizione che il loro prezzo d’acquisto pagato dal venditore ammonti al massimo al 5 % del prezzo di vendita del prodotto o del servizio principale con il quale sono distribuiti».

18      Infine, l’art. 57 della legge del 1991 prevede quanto segue:

«È inoltre consentito offrire a titolo gratuito, congiuntamente ad un prodotto o ad un servizio principale:

1.       titoli che consentano l’acquisto di un prodotto o servizio identico, a condizione che la riduzione del prezzo risultante da tale acquisto non ecceda la percentuale fissata dall’art. 55, n. 2;

2.       titoli che consentano l’acquisto di uno dei benefici previsti dall’art. 56, nn. 5 e 6;

3.       titoli che consentano esclusivamente una restituzione in contanti, a condizione:

a)       che menzionino il valore in contanti che rappresentano;

b)       che, nei punti vendita dei prodotti o di fornitura dei servizi, la quota o l’importanza della restituzione offerta sia chiaramente indicata, al pari dei prodotti o servizi il cui acquisto legittima l’acquisizione di titoli;

4.       titoli consistenti in documenti che legittimano, successivamente all’acquisto di un certo quantitativo di prodotti o di servizi, un’offerta gratuita o una riduzione di prezzo all’atto dell’acquisto di un prodotto o di un servizio simile, a condizione che tale beneficio sia procurato dallo stesso venditore e non sia superiore ad un terzo del prezzo dei prodotti o servizi precedentemente acquistati.

I titoli devono menzionare il limite eventuale della loro validità, al pari delle modalità dell’offerta.

Quando il venditore interrompe l’offerta, il consumatore deve beneficiare del vantaggio offerto in percentuale degli acquisti precedentemente effettuati».

19      Il 5 giugno 2007, il Regno belga ha adottato la legge di modifica della legge 14 luglio 1991 sulle pratiche commerciali e sull’informazione e la tutela dei consumatori (Moniteur belge del 21 giugno 2007, pag. 34272; in prosieguo: la «legge 5 giugno 2007») che, conformemente al suo art. 1, traspone le disposizioni della direttiva.

 Cause principali e questioni pregiudiziali

 Causa C‑261/07

20      Dalla decisione di rinvio risulta che, dal 15 gennaio 2007, la Total Belgium, una controllata del gruppo Total che distribuisce, segnatamente, carburante nelle stazioni di servizio, offre ai consumatori titolari di una tessera Total Club tre settimane di servizio di soccorso stradale gratuito per ogni rifornimento di almeno venticinque litri di carburante per automobile o di almeno dieci litri per ciclomotore.

21      Il 5 febbraio 2007 la VTB, una società che fornisce servizi di soccorso ed assistenza stradale, proponeva dinanzi al rechtbank van koophandel te Antwerpen un’azione inibitoria nei confronti della Total Belgium per la cessazione di tale pratica commerciale, in quanto essa costituirebbe, in particolare, un’offerta congiunta vietata dall’art. 54 della legge del 1991.

22      Ciò premesso, il rechtbank van koophandel te Antwerpen decideva di sospendere il procedimento e di sollevare dinanzi alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva (...) osti ad una disposizione nazionale, come l’art. 54 della legge [del 1991] che – ad eccezione dei casi tassativamente elencati nella legge – vieta ogni offerta congiunta di un venditore ad un consumatore, compresa l’offerta con la quale un prodotto, che il consumatore deve acquistare, viene abbinata ad un servizio gratuito, il cui godimento è collegato all’acquisto del prodotto, senza riguardo alle circostanze della fattispecie, in particolare nonostante l’influenza che l’offerta concreta può avere sul consumatore medio, e malgrado la questione se, nelle circostanze del caso di specie, tale offerta possa essere considerata in contrasto con gli obblighi di diligenza professionale o con gli usi di lealtà commerciale».

 Causa C‑299/07

23      La causa principale oppone la Galatea, una società che gestisce un negozio di biancheria a Schoten (Belgio), alla Sanoma, una controllata del gruppo finlandese Sanoma, editrice di diverse riviste, tra cui il settimanale Flair.

24      Il numero di Flair del 13 marzo 2007 conteneva un allegato che dava diritto, tra il 13 marzo e il 15 maggio 2007, ad uno sconto dal 15 al 25 % su diversi prodotti venduti in vari negozi di biancheria situati nella regione fiamminga.

25      Il 22 marzo 2007, la Galatea proponeva dinanzi al rechtbank van koophandel te Antwerpen un’azione inibitoria per la cessazione di tale pratica, deducendo che la Sanoma aveva violato, in particolare, l’art. 54 della legge del 1991.

26      Ciò premesso, il rechtbank van koophandel te Antwerpen decideva di sospendere il procedimento e di sollevare dinanzi alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’art. 49 CE sulla libera prestazione dei servizi, nonché la direttiva (...) ostino ad una disposizione nazionale, come l’art. 54 della legge [del 1991] che – ad eccezione dei casi tassativamente elencati nella legge – vieta ogni offerta congiunta di un venditore ad un consumatore, in virtù della quale l’acquisto, a titolo oneroso o gratuito, di prodotti, di servizi, di qualsiasi altro vantaggio, o di titoli che consentano di conseguire gli stessi, è abbinato all’acquisto di altri prodotti o servizi, anche identici, senza riguardo alle circostanze della fattispecie, in particolare nonostante l’influenza che l’offerta concreta può avere sul consumatore medio, e malgrado la questione se, nelle circostanze del caso di specie, tale offerta possa essere considerata in contrasto con gli obblighi di diligenza professionale o con gli usi di lealtà commerciale».

27      Con ordinanza del presidente della Corte 29 agosto 2007, le cause C‑261/07 e C‑299/07 sono state riunite ai fini della fase scritta e orale del procedimento nonché della sentenza.

 Sulle questioni pregiudiziali

28      Con le sue due questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva vada interpretata nel senso che osti ad una normativa nazionale, come l’art. 54 della legge del 1991, che, salvo talune eccezioni, e senza riguardo alle circostanze specifiche del caso di specie, fissa un principio generale di divieto di offerte congiunte da parte del venditore al consumatore.

 Sulla ricevibilità della domanda di decisione pregiudiziale nella causa C‑261/07

29      La VTB contesta la ricevibilità della domanda di decisione pregiudiziale argomentando che essa verterebbe sull’interpretazione di una direttiva il cui termine di trasposizione, fissato al 12 dicembre 2007, non era ancora scaduto alla data in cui è stata emanata la decisione di rinvio, vale a dire il 24 maggio 2007.

30      Per le stesse ragioni, e senza sollevare espressamente un’eccezione di irricevibilità, i governi belga e spagnolo ritengono che la direttiva non sarebbe applicabile alla causa principale. In particolare, secondo il governo spagnolo, una disposizione nazionale non potrebbe essere disapplicata da un giudice per violazione della direttiva prima del decorso del termine previsto per la sua trasposizione.

31      Tali argomenti, tuttavia, non possono essere accolti.

32      Al riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali stabilita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Pertanto, dal momento che le questioni poste dei giudici nazionali riguardano l’interpretazione di una norma del diritto comunitario, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire (v., segnatamente, sentenze 13 marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I‑2099, punto 38; 22 maggio 2003, causa C‑18/01, Korhonen e a., Racc. pag. I‑5321, punto 19, nonché 19 aprile 2007, causa C‑295/05, Asemfo, Racc. pag. I‑2999, punto 30).

33      Ne consegue che la presunzione di rilevanza inerente alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali può essere esclusa solo in casi eccezionali e, segnatamente, qualora risulti manifestamente che la sollecitata interpretazione delle disposizioni del diritto comunitario considerate in tali questioni non abbia alcun rapporto con la realtà o con l’oggetto della causa principale (v., segnatamente, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman, Racc. pag. I‑4921, punto 61, nonché 1° aprile 2008, causa C‑212/06, Governo della Comunità francese e governo vallone, Racc. pag. I‑1683, punto 29).

34      Nel caso di specie, è giocoforza rilevare che non risulta manifestamente che la presente questione pregiudiziale non sia rilevante con riguardo alla decisione della quale è adito il giudice del rinvio.

35      Infatti, da una parte, dalla giurisprudenza risulta che possono essere considerate rientranti nell’ambito di applicazione di una direttiva non solo le disposizioni nazionali aventi espressamente ad oggetto l’attuazione della stessa, ma altresì, a decorrere dalla data di entrata in vigore di detta direttiva, le disposizioni nazionali preesistenti idonee a garantire la conformità del diritto nazionale a quest’ultima (v., in tal senso, sentenza 7 settembre 2006, causa C‑81/05, Cordero Alonso, Racc. pag. I‑7569, punto 29).

36      Orbene, se è pur vero, nella causa principale, che la legge 5 giugno 2007, che modifica la legge del 1991 e mira formalmente a trasporre la direttiva, è successiva ai fatti di cui alla causa principale e all’adozione della decisione di rinvio, ciò nondimeno, come risulta da tale decisione e come riconosciuto dal governo belga all’udienza, le disposizioni controverse contenute negli artt. 54 - 57 della legge del 1991, vale a dire quelle che fissano il principio di divieto generale di offerte congiunte e prevedono talune eccezioni a tale principio, non sono state né abrogate né modificate dalla legge 5 giugno 2007.

37      In altri termini, sia al momento dei fatti di cui alla causa principale, sia all’atto dell’adozione della decisione di rinvio, tali disposizioni preesistenti erano considerate dalle autorità nazionali suscettibili di garantire la trasposizione della direttiva a far data dalla sua entrata in vigore, vale a dire il 12 giugno 2005, e ricomprese, pertanto, nella sua sfera di applicazione.

38      D’altra parte, risulta, in ogni caso, dalla giurisprudenza della Corte che, in pendenza del termine per la trasposizione di una direttiva, gli Stati membri, destinatari di quest’ultima, devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (sentenza 18 dicembre 1997, causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I‑7411, punto 45; 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL, Racc. pag. I‑4431, punto 58, e 22 novembre 2005, causa C‑144/04, Mangold, Racc. pag. I‑9981, punto 67).

39      Al riguardo, la Corte ha avuto modo di precisare che un tale obbligo di astensione si impone a tutte le autorità degli Stati membri interessati, ivi compresi i giudici nazionali. Ne consegue che, dalla data in cui una direttiva è entrata in vigore, i giudici degli Stati membri devono astenersi per quanto possibile dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di trasposizione, la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva (v., in particolare, sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punti 122 e 123).

40      In quanto la direttiva era già entrata in vigore all’epoca dei fatti di cui alla causa principale, l’interpretazione richiesta dal rechtbank van koophandel te Antwerpen, che verte sulle disposizioni centrali della direttiva, va ritenuta utile al giudice del rinvio al fine di consentirgli di pronunciarsi nella controversia di cui è adito, conformandosi a detto obbligo di astensione.

41      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve ritenere la domanda di decisione pregiudiziale introdotta dal giudice del rinvio nella causa C‑261/07 ricevibile.

 Nel merito

 Osservazioni presentate alla Corte

42      La Total Belgium, la Sanoma, il governo portoghese e la Commissione delle Comunità europee ritengono che la direttiva osti a un divieto di offerte congiunte come quello previsto dall’art. 54 della legge del 1991.

43      Al riguardo, la Total Belgium, la Sanoma e la Commissione sostengono che le offerte congiunte rientrano nella nozione di «pratica commerciale» ai sensi della direttiva. Orbene, atteso che tale direttiva realizza una completa armonizzazione nel settore delle pratiche commerciali sleali, potrebbero essere vietate «in ogni caso» dagli Stati membri solo ed esclusivamente quelle pratiche che, conformemente a quanto previsto dall’art. 5, n. 5, della direttiva, sono riportate nel suo allegato I. Poiché le offerte congiunte non sono riportate in detto allegato, esse non potrebbero pertanto essere vietate in quanto tali, bensì solo qualora il giudice nazionale, alla luce delle concrete circostanze del caso di specie, accerti che i requisiti di cui all’art. 5 della direttiva sono soddisfatti. Conseguentemente, come sostiene anche il governo portoghese, un divieto di principio delle offerte congiunte, come quello previsto dall’art. 54 della legge del 1991, sarebbe in contrasto con la direttiva.

44      Di parere opposto, la VTB nonché i governi belga e francese fanno valere, essenzialmente, che le offerte congiunte esulano dalla nozione di «pratica commerciale» ai sensi della direttiva e, pertanto, non ricadono nella sua sfera di applicazione.

45      Al riguardo, il governo belga precisa che le offerte congiunte avevano costituito l’oggetto della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione delle vendite nel mercato interno (GU 2002, C 75, pag. 11), che operava una chiara distinzione tra il trattamento giuridico di tali offerte e quello delle pratiche commerciali di cui si occupa la direttiva. Orbene, atteso che tale proposta è stata ritirata solo nel 2006, le autorità belghe avrebbero fondatamente ritenuto che le offerte congiunte non costituissero «pratiche commerciali». Conseguentemente, il legislatore belga, all’atto della trasposizione della direttiva, non avrebbe ritenuto di dover modificare l’art. 54 della legge del 1991 né di essere tenuto a interpretarlo alla luce dei criteri posti dall’art. 5 della direttiva.

46      Il governo francese aggiunge, in particolare, che, se è pur vero che la direttiva obbliga gli Stati membri a vietare le pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori, ciò comunque non impedisce a tali Stati di vietare, per una migliore tutela dei consumatori, altre pratiche, come le offerte congiunte, indipendentemente dal loro carattere sleale ai sensi della direttiva.

47      Infine, secondo la VTB, l’art. 5 della direttiva, in ogni caso, non esclude che gli Stati membri qualifichino sleali pratiche commerciali diverse da quelle menzionate dal suo allegato I.

 Soluzione della Corte

48      Per risolvere le presenti questioni, è necessario, in limine, chiarire se le offerte congiunte, oggetto del divieto controverso, costituiscono pratiche commerciali ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva e sono, pertanto, assoggettate alle prescrizioni previste da quest’ultima.

49      Al riguardo, occorre rilevare che l’art. 2, lett. d), della direttiva definisce, facendo uso di una formula particolarmente ampia, la nozione di pratica commerciale come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori».

50      Orbene, come l’avvocato generale ha rilevato ai paragrafi 69 e 70 delle sue conclusioni, le offerte congiunte costituiscono atti commerciali che si iscrivono chiaramente nel contesto della strategia commerciale di un operatore e rivolte direttamente alla promozione e allo smercio delle sue vendite. Ne deriva che esse costituiscono pratiche commerciali ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva e ricadono, conseguentemente, nella sua sfera di applicazione.

51      Chiarito questo punto, occorre ricordare, anzitutto, che la direttiva intende fissare, conformemente al suo quinto e sesto ‘considerando’ nonché al suo art. 1, norme uniformi in materia di pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e di garantire un livello elevato di tutela di questi ultimi.

52      La direttiva procede, in tal modo, a un’armonizzazione completa di dette norme a livello comunitario. Pertanto, come previsto espressamente dal suo art. 4 e contrariamente a quanto sostengono la VTB e il governo francese, gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle definite dalla direttiva, anche al fine di garantire un livello più elevato di tutela dei consumatori.

53      Si deve poi rilevare che l’art. 5 della direttiva prevede il divieto delle pratiche commerciali sleali e indica i criteri che consentono di determinare un siffatto carattere di slealtà.

54      Così, conformemente al n. 2 di tale disposizione, una pratica commerciale è sleale se è contraria alle norme di diligenza professionale e falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio.

55      Inoltre, l’art. 5, n. 4, della direttiva definisce due categorie precise di pratiche commerciali sleali, e cioè le «pratiche ingannevoli» e le «pratiche aggressive» che soddisfano i criteri specificati, rispettivamente, dagli artt. 6 e 7 nonché 8 e 9 della direttiva. In forza di tali disposizioni, siffatte pratiche sono vietate quando, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, inducano o siano idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

56      La direttiva redige anche, al suo allegato I, un elenco esaustivo di 31 pratiche commerciali che, conformemente all’art. 5, n. 5, della direttiva, sono considerate sleali «in ogni caso». Conseguentemente, come espressamente precisato dal diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva, si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso ai sensi delle disposizioni degli articoli da 5 a 9 della direttiva.

57      Infine, occorre rilevare che le offerte congiunte non figurano tra le pratiche elencate da detto allegato I.

58      Pertanto, è alla luce del contenuto e dell’economia generale delle disposizioni della direttiva - ricordate ai punti che precedono - che vanno esaminate le questioni sollevate dal giudice del rinvio.

59      Orbene, al riguardo è giocoforza rilevare che, nel fissare una presunzione di illegittimità delle offerte congiunte, una normativa nazionale come quella oggetto della causa principale non soddisfa i requisiti posti dalla direttiva.

60      Infatti, anzitutto l’art. 54 della legge del 1991 stabilisce il principio del divieto di offerte congiunte, mentre tali pratiche non sono previste dall’allegato I della direttiva.

61      Orbene, come si è già ricordato al precedente punto 56, tale allegato elenca esaustivamente le sole pratiche commerciali vietate in ogni caso, che non devono, pertanto, costituire l’oggetto di un esame caso per caso.

62      In tal modo, la direttiva osta al regime istituito dall’art. 54 della legge del 1991 in quanto tale articolo vieta, in termini generali e preventivi, le offerte congiunte indipendentemente da qualsivoglia verifica del loro carattere sleale alla luce dei criteri posti dagli artt. 5-9 della direttiva.

63      Inoltre, così operando, una norma del tipo di quella oggetto della causa principale si pone in contrasto con il contenuto dell’art. 4 della direttiva che vieta espressamente agli Stati membri di mantenere o di adottare misure nazionali più restrittive, anche se tali misure sono volte a garantire un livello di tutela più elevato dei consumatori.

64      Infine, occorre aggiungere che una siffatta interpretazione non può essere messa in discussione dalla circostanza che la legge del 1991 prevede, ai suoi artt. 55 - 57, un certo numero di eccezioni a tale divieto di offerte congiunte.

65      Infatti, anche se tali eccezioni possono limitare la portata del divieto di offerte congiunte, ciò nondimeno esse non possono, in ragione della loro natura limitata e predefinita, sostituirsi all’analisi, che deve essere necessariamente effettuata in considerazione del contesto di ogni caso di specie, del carattere «sleale» di una pratica commerciale alla luce dei criteri previsti dagli artt. 5 - 9 della direttiva, qualora si tratti, come nelle cause principali, di una pratica non prevista dal suo allegato I.

66      Tale rilievo trova peraltro conferma nel contenuto stesso di alcune delle deroghe in oggetto. In tal senso, ad esempio, l’art. 55 della legge del 1991 autorizza le offerte congiunte ad un prezzo globale solo in quanto esse riguardino prodotti o servizi che costituiscano un insieme, o siano identiche. Orbene, come correttamente rilevato dalla Commissione nella sua risposta al quesito scritto posto dalla Corte, non può escludersi che, mediante, in particolare, un’informazione corretta del consumatore, un’offerta congiunta di diversi prodotti o servizi che non costituiscano un insieme né siano identici soddisfi le esigenze di lealtà poste dalla direttiva.

67      Ciò premesso, si deve rilevare che la direttiva osta a un divieto di offerte congiunte come quello previsto dalla legge del 1991. Pertanto, non è necessario interrogarsi in ordine ad un’eventuale violazione dell’art. 49 CE, evocata nella questione pregiudiziale sollevata nel contesto della causa C‑299/07.

68      Alla luce delle suesposte considerazioni, le questioni sollevate vanno risolte affermando che la direttiva va interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto delle cause principali, che, salvo talune eccezioni e senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, vieta qualsiasi offerta congiunta del venditore al consumatore.

 Sulle spese

69      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») va interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto delle cause principali, che, salvo talune eccezioni e senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, vieta qualsiasi offerta congiunta del venditore al consumatore.

Firme


* Lingua processuale: l’olandese.