Language of document : ECLI:EU:C:2006:558

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PHILIPPE LÉGER

presentate il 14 settembre 2006 1(1)

Causa C‑321/03

Dyson Ltd

contro

Registrar of Trade Marks

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito)]

«Marchio d’impresa – Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE – Art. 2 – Segno suscettibile di costituire un marchio d’impresa – Art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino – Impedimento assoluto alla registrazione – Caratteristica funzionale di un prodotto – Esclusione»





1.        Una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto è suscettibile di costituire un marchio d’impresa ai sensi della prima direttiva del Consiglio 89/104/CEE (2), e, in caso affermativo, a quali condizioni?

2.        È quanto chiede in sostanza la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), nell’ambito di una controversia tra la società Dyson Ltd (in prosieguo: la «Dyson» o la «richiedente») e il Registrar of Trade Marks in merito alla registrazione quale marchio d’impresa del contenitore di raccolta polveri trasparente inserito nei modelli di aspirapolvere Dyson.

I –    Ambito normativo

A –    La normativa internazionale

3.        L’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«accordo TRIPs»), che costituisce l’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio, sottoscritto il 15 aprile 1994, è stato approvato a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, con la decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE (3).

4.        L’art. 7 dell’accordo TRIPs dispone quanto segue:

«La protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dovrebbero contribuire alla promozione dell’innovazione tecnologica nonché al trasferimento e alla diffusione di tecnologia, a reciproco vantaggio dei produttori e degli utilizzatori di conoscenze tecnologiche e in modo da favorire il benessere sociale ed economico, nonché l’equilibrio tra diritti e obblighi».

B –    La normativa comunitaria

5.        Il Consiglio ha adottato la direttiva 89/104 per eliminare le disparità esistenti tra le legislazioni degli Stati membri che potevano ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune (4). La direttiva limita il ravvicinamento alle disposizioni nazionali che hanno un’incidenza più diretta sul funzionamento del mercato interno (5). In questa categoria rientrano le disposizioni che definiscono le condizioni cui è subordinata la registrazione di un marchio d’impresa (6) e le disposizioni che stabiliscono la tutela dei marchi d’impresa regolarmente registrati (7).

6.        L’art. 2 della direttiva definisce come segue i segni suscettibili di costituire un marchio d’impresa:

«Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese».

7.        L’art. 3 della direttiva elenca gli impedimenti alla registrazione o i motivi di nullità che possono essere opposti alla registrazione di un marchio d’impresa. Tale disposizione prevede, al n. 1, quanto segue:

«Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a)      i segni che non possono costituire un marchio di impresa;

b)      i marchi di impresa privi di carattere distintivo;

c)      i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d)      i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

e)      i segni costituiti esclusivamente:

–        dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto;

–        dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico;

–        dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto;

(…)».

8.        L’art. 3, n. 3, della direttiva prevede che un marchio di impresa non sia escluso dalla registrazione o, se registrato, non possa essere dichiarato nullo ai sensi del n. 1, lett. b), c) o d), della medesima disposizione, se prima della domanda di registrazione o a seguito dell’uso che ne è stato fatto esso ha acquisito un carattere distintivo.

9.        L’art. 5 della direttiva stabilisce, poi, i diritti conferiti al titolare dalla registrazione del marchio d’impresa. Il n. 1 di tale disposizione è formulato come segue:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa».

C –    La legislazione nazionale

10.      La legge in materia di marchi d’impresa (Trade Marks Act) del 1994 (in prosieguo: la «legge del 1994»), che ha trasposto la direttiva nel diritto inglese, definisce alla Section 1, n. 1, la nozione di «marchio di impresa» come «qualsiasi segno suscettibile di essere riprodotto graficamente, idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre imprese». Ai sensi della medesima disposizione, «un marchio di impresa può essere costituito, in particolare, da parole (compresi i nomi di persone), disegni, lettere, cifre o dalla forma del prodotto o dal suo confezionamento».

11.      Gli impedimenti alla registrazione di un marchio d’impresa figurano nella Section 3 della legge del 1994, la cui formulazione è la seguente:

«1.   Sono esclusi dalla registrazione:

a)      i segni che non rispondono ai requisiti di cui alla Section 1, n. 1;

b)      i marchi di impresa privi di carattere distintivo;

c)      i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d)      i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

Un marchio di impresa non è escluso dalla registrazione ai sensi del disposto di cui alle precedenti lettere b), c) o d) se, prima della domanda di registrazione, abbia acquisito carattere distintivo a seguito dell’uso che ne sia stato fatto.

(…)».

II – Fatti e procedimento principale

12.      Dal 1993 la Dyson si occupa della fabbricazione e della commercializzazione dell’aspirapolvere «Dual Cyclone», un aspirapolvere senza sacchetto in cui è integrato un contenitore trasparente per la raccolta di polvere e sporcizia.

13.      Il 10 dicembre 1996 la società Notetry Ltd (8) presentava una domanda di registrazione marchio ai sensi della legge del 1994. Nel modulo di deposito della domanda figuravano le seguenti rappresentazioni e descrizioni:

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«Marchio consistente in una camera o recipiente raccoglitore trasparente costituente parte della superficie esterna di un aspirapolvere come indicato nella rappresentazione grafica».

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«Marchio consistente in una camera o recipiente raccoglitore trasparente costituente parte della superficie esterna di un aspirapolvere come indicato nella rappresentazione grafica».

14.      La domanda di registrazione veniva presentata per prodotti rientranti nella classe 9 dell’accordo di Nizza (9) e corrispondenti alla seguente descrizione:

«Apparecchi per la pulizia, la lucidatura e il lavaggio di tappeti e pavimenti; aspirapolvere; apparecchi per il lavaggio dei tappeti e per la lucidatura di pavimenti; parti e accessori per tutti i suddetti articoli».

15.      Con decisione 23 luglio 2002, l’esaminatore (Registrar of Trade Marks) respingeva la domanda, in quanto il segno in causa era privo di carattere distintivo, ai sensi della Section 3, n. 1, [primo comma], lett. b), della legge del 1994. L’esaminatore rilevava altresì che la camera di raccolta trasparente serviva in definitiva a designare la specie e la destinazione del prodotto in questione, il che costituiva, ai sensi della lett. c), della stessa Section, un impedimento assoluto alla registrazione.

16.      Il 16 agosto 2002 la Dyson ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi alla High Court of Justice.

III – Questioni pregiudiziali

17.      Nella decisione di rinvio (10) la High Court of Justice considera per prima cosa che i marchi di cui si chiede la registrazione sono privi di carattere distintivo ai sensi della Section 3, n. 1, primo comma, lett. b), della legge del 1994 (11).

18.      Il giudice del rinvio osserva parimenti che tali marchi presentano un carattere descrittivo delle specifiche dei prodotti in causa nel senso dell’art. 3, n. 1, primo comma, lett. c), della detta legge (12) e non consentono ai consumatori di individuare l’origine commerciale del prodotto.

19.      La High Court of Justice evidenzia, inoltre, che la domanda di registrazione in causa potrebbe essere respinta a motivo del monopolio che la registrazione del marchio di impresa conferirebbe nell’uso di un materiale che, a suo avviso, dovrebbe restare liberamente disponibile per i produttori di aspirapolvere senza sacchetto.

20.      Il giudice del rinvio (13) si chiede, successivamente, se, al momento della presentazione della domanda di registrazione, vale a dire nel 1996, e a seguito dell’uso che ne è stato fatto, i marchi d’impresa in causa non abbiano acquisito un carattere distintivo ai sensi della Section 3, n. 1, secondo comma, della legge del 1994 (14).

21.      Sulla base delle deposizioni prodotte dinanzi all’esaminatore la High Court of Justice constata, innanzitutto, che nel 1996 e durante tutto il periodo di monopolio de facto della Dyson nel mercato in causa i consumatori hanno associato la camera di raccolta trasparente a un aspirapolvere senza sacchetto. Osserva, poi, che è per mezzo della pubblicità e in considerazione dell’inesistenza di prodotti concorrenti nel mercato che tali consumatori sono stati informati del fatto che si trattasse di un aspirapolvere della Dyson. Per contro, il giudice del rinvio rileva che, a quell’epoca, il contenitore trasparente in causa non era stato attivamente pubblicizzato dall’impresa quale marchio.

22.      Il giudice del rinvio si chiede, dunque, se, alla luce di quanto statuito dalla Corte nella sentenza Philips (15), il fatto di disporre di un monopolio di tale tipo, atto a indurre il consumatore ad associare il segno solo al fabbricante in questione, sia sufficiente a conferire a tale segno il carattere distintivo richiesto dall’art. 3, n. 3, della direttiva. A tale proposito la High Court of Justice si chiede se non sia necessario esigere una presentazione attiva del segno quale marchio d’impresa.

23.      Secondo il giudice del rinvio, tale questione è particolarmente importante, in quanto, accordando il marchio di cui trattasi, verrebbe riservato alla richiedente il diritto esclusivo di utilizzare il contenitore in plastica trasparente quale indicatore dell’origine commerciale del prodotto oltre il periodo in cui tale impresa è stata l’unica produttrice di aspirapolveri senza sacchetto.

24.      Alla luce delle considerazioni che precedono, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«l)      Se, in una fattispecie in cui il richiedente la registrazione di un marchio abbia utilizzato un segno (non costituito da una forma) consistente in una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto esteriore di un nuovo tipo di prodotto commerciale e, sino alla data della domanda di registrazione, abbia disposto, de facto, del monopolio relativo a tali prodotti, sia sufficiente, ai fini dell’acquisizione da parte di tale segno del carattere distintivo di cui all’art. 3, n. 3, della direttiva […], la circostanza che una percentuale significativa del pubblico pertinente associasse, al momento della presentazione della domanda di registrazione, i prodotti contrassegnati da tale segno all’impresa richiedente a esclusione di qualsiasi altro produttore.

2)      Qualora tale circostanza non risulti sufficiente, quali altri requisiti occorrano affinché il segno acquisisca carattere distintivo e, in particolare, se sia necessario che il soggetto che ha utilizzato il segno lo abbia pubblicizzato quale marchio d’impresa».

IV – Analisi

A –    Osservazioni delle parti

25.      In limine la richiedente sottolinea che i segni oggetto della domanda di registrazione di cui trattasi non consistono in una forma, bensì in un contenitore di raccolta trasparente propriamente detto. Essa rileva altresì che tale domanda non riguarda neppure un colore, bensì un’assenza di colore, ossia la trasparenza, la quale consentirebbe al consumatore di vedere tutta la sporcizia e la polvere raccolte nel contenitore e di sapere quando quest’ultimo è pieno. Secondo la Dyson, è possibile ottenere tale risultato con altri accorgimenti tecnici quali la realizzazione di un oblò di livello di riempimento o di una spia luminosa sulla superficie dell’aspirapolvere.

26.      La richiedente ritiene, inoltre, che ai fini dell’acquisizione del carattere distintivo di cui all’art. 3, n. 3, della direttiva non sia necessario che un segno sia stato oggetto di presentazione quale marchio. A suo avviso, è sufficiente che una percentuale significativa del pubblico pertinente sia stata indotta ad associare, al momento della presentazione della domanda di registrazione, il prodotto in questione al richiedente la registrazione a esclusione di qualsiasi altro produttore. Tale conclusione non deriverebbe solo dalla lettera e dagli obiettivi della direttiva, bensì anche dalla sentenza della Corte nella causa Windsurfing Chiemsee (16).

27.      All’uopo la richiedente specifica gli elementi che ritiene siano sufficienti a conferire a un segno un carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva. Sono tre. In primo luogo, il segno dev’essere autonomo rispetto ai prodotti per cui si chiede la registrazione. In secondo luogo, la forza distintiva del segno deve consentire a una percentuale significativa del pubblico pertinente di associare i prodotti in questione a una data impresa. Da ultimo, il legame instaurato con tale impresa non dev’essersi interrotto dopo la fine del monopolio de facto e la comparsa di nuovi operatori nel mercato.

28.      Il governo del Regno Unito e la Commissione delle Comunità europee, intervenienti nel procedimento, ritengono, per contro, che, perché acquisti carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva, il segno deve essere stato usato in quanto marchio d’impresa.

29.      Essi si fondano in particolare sull’analisi adottata dalla Corte nella citata sentenza Philips, secondo cui «l’identificazione, da parte degli ambienti interessati, del prodotto come proveniente da un’impresa determinata dev’essere effettuata grazie all’uso del marchio in quanto marchio e, quindi, grazie alla natura ed all’effetto di quest’ultimo che lo rendono adatto a distinguere il prodotto in questione da quelli di altre imprese» (17).

30.      Tanto il Regno Unito quanto la Commissione sostengono che tale requisito mira a evitare che un fornitore in condizioni di monopolio possa impedire l’introduzione nel mercato di prodotti dotati della medesima caratteristica funzionale per il solo fatto di aver messo in vendita i suoi prodotti in un’epoca in cui era l’unico ad utilizzare la tecnica in questione.

31.      A differenza del governo del Regno Unito, tuttavia, la Commissione ritiene che occorra preliminarmente accertare se i segni in questione possano davvero costituire un marchio ai sensi dell’art. 2 della direttiva (18).

32.      La Commissione si chiede innanzitutto se i segni in causa siano effettivamente «segni» ai sensi di tale disposizione. La domanda di registrazione mirerebbe infatti a registrare il concetto di recipiente di raccolta trasparente di un aspirapolvere, indipendentemente dalla forma. Orbene, secondo la Commissione, un concetto non costituirebbe un segno in quanto non sarebbe percepibile da uno dei cinque sensi e chiamerebbe in causa unicamente l’immaginazione (19).

33.      Nel caso in cui tale impostazione sia dichiarata ammissibile, la Commissione ritiene che la logica sottesa all’art. 3, n. 1, lett. e), della direttiva sarebbe resa vana.

34.      A ogni modo, essa ritiene che la rappresentazione grafica dei segni di cui la Dyson chiede la registrazione nella causa principale non sia «chiara, precisa, di per sé completa, facilmente accessibile, intelligibile, durevole ed oggettiva», come la Corte ha richiesto per una rappresentazione grafica nella citata sentenza Sieckmann (20). Infatti i detti segni non corrisponderebbero a una forma particolare e potrebbero assumerne molteplici. Inoltre la nozione di «trasparenza» sarebbe ambigua. La Commissione si chiede, infine, se rappresentazioni grafiche consistenti in una descrizione verbale e in immagini esemplificative del concetto possano essere considerate sufficientemente chiare e precise.

B –    L’oggetto della controversia

35.      Nella fattispecie il giudice del rinvio sottopone alla Corte due questioni pregiudiziali vertenti sull’art. 3, n. 3, della direttiva per stabilire se, ed eventualmente a quali condizioni, una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto possa acquisire un carattere distintivo a seguito dell’uso che ne è stato fatto.

36.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di rendere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (21).

37.      Tuttavia la Corte considera di avere il compito di interpretare tutte le norme di diritto comunitario che possano essere utili al giudice nazionale al fine di dirimere la controversia per cui è stato adito, anche qualora le dette norme non siano espressamente indicate nella questione pregiudiziale sottopostale (22).

38.      Nella citata sentenza Libertel, vertente sulla registrazione, a titolo di marchio, del colore arancione per prodotti e servizi di telecomunicazioni, la Corte ha dichiarato che ai fini dell’esame delle questioni sollevate dal giudice del rinvio occorreva preliminarmente accertare se un colore specifico possa, di per sé, costituire un marchio ai sensi dell’art. 2 della direttiva (23).

39.      Reputo che tale ragionamento possa essere validamente applicato nel caso di specie. Ritengo, infatti, facendo seguito alla Commissione, che ai fini dell’esame delle questioni sollevate dalla High Court of Justice occorra preliminarmente accertare se una caratteristica funzionale, quale quella controversa nella causa principale, possa costituire un marchio ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

C –    I requisiti prescritti nell’art. 2 della direttiva

40.      Perché costituisca un marchio d’impresa ai sensi dell’art. 2 della direttiva, un’indicazione deve rispondere a tre requisiti. In primo luogo, deve costituire un segno (24). In secondo luogo, tale segno deve poter essere oggetto di rappresentazione grafica. In terzo luogo, il segno medesimo deve essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese (25). Solo le indicazioni rispondenti a tutti e tre i requisiti possono essere registrate come marchi d’impresa.

41.      Come spiega il settimo ‘considerando’, l’art. 2 della direttiva stabilisce un «elenco esemplificativo» di segni suscettibili di costituire un marchio d’impresa, tra cui «in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento» (26). Come si evince dalla lettera dell’articolo, l’elenco non è esaustivo.

42.      Tale disposizione non riporta il caso in cui un marchio d’impresa sia costituito da una caratteristica funzionale di un prodotto, tuttavia non lo esclude espressamente. Occorre quindi accertare se una siffatta caratteristica possa rispondere ai requisiti di cui all’art. 2 della direttiva.

43.      In contrasto con quanto sostengono la richiedente e il governo del Regno Unito, ritengo che una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto non risponda ai requisiti posti dal detto art. 2 per essere un marchio, in quanto essa non costituisce, a mio avviso, un segno suscettibile di rappresentazione grafica idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

1.      L’esistenza di un segno

44.      Ai fini dell’applicazione dell’art. 2 della direttiva, si deve innanzitutto stabilire se, nel contesto nel quale esso è impiegato, il contenitore di raccolta trasparente di cui è richiesta la registrazione si presenti effettivamente come un segno. Come ha rilevato la Corte, lo scopo specifico è impedire che il diritto dei marchi sia usato per uno scopo a esso estraneo, al fine di ottenere un indebito vantaggio concorrenziale (27).

45.      Come ho già detto, la Dyson chiede la registrazione in quanto marchio d’impresa di una «camera o recipiente raccoglitore trasparente costituente parte della superficie esterna di un aspirapolvere» come rappresentato nella sua domanda di registrazione.

46.      Si tratta di una camera composta da un elemento trasparente e non estraibile facente parte della struttura esterna di un aspirapolvere e aderente alle forme, alle linee e ai contorni dello stesso. Tale recipiente, destinato a raccogliere la polvere e la sporcizia aspirate dal pavimento, presenta innanzitutto un carattere funzionale e utilitario. Fa sì che il consumatore non debba acquistare i sacchetti e i filtri per aspirapolvere e gli consente, inoltre, di vedere il livello di riempimento del contenitore di raccolta. Esso può svolgere, poi, una funzione estetica in quanto fa parte dell’aspetto del prodotto in cui si inserisce.

47.      Al pari della Commissione, penso che la richiedente domandi in realtà la protezione di un nuovo concetto di raccolta, immagazzinamento ed eliminazione dei rifiuti (28). Tale concetto, elaborato dall’impresa Dyson, consente in particolare, come si è detto poc’anzi, di evitare l’utilizzo di sacchetti e filtri per aspirapolvere, nonché di segnalare all’utilizzatore quando la camera è piena.

48.      Secondo il dizionario della lingua francese, un concetto è una «représentation mentale générale et abstraite d’un objet» (29) [«rappresentazione mentale generica e astratta di un oggetto»] e chiama in causa l’immaginazione. Di fatto, da un concetto possono essere realizzati molti oggetti diversi.

49.      Nella presente causa rilevo che la domanda di registrazione mira di fatto a conseguire diritti esclusivi su tutti i possibili aspetti che la caratteristica funzionale in questione può presentare.

50.      Ora, nel modulo di deposito della domanda il recipiente è rappresentato sotto due forme diverse, adattate ai due modelli di aspirapolvere in cui è inserito. Nel primo disegno, che raffigura un aspirapolvere della serie delle spazzole aspiranti, il contenitore di raccolta sembra costituire un elemento circolare che avvolge la colonna di aspirazione dell’elettrodomestico. Nel secondo disegno, che rappresenta un aspirapolvere della serie a cilindro, la forma e le dimensioni del recipiente sono diverse ed esso sembra formare unicamente una mezzaluna che avvolge la colonna.

51.      Tuttavia tali rappresentazioni non hanno carattere esclusivo. Infatti la protezione richiesta non è circoscritta a una forma, a una composizione o a una struttura particolare; è necessario solo che la detta caratteristica faccia parte della superficie esterna dell’aspirapolvere e consenta all’utilizzatore di vedere all’interno del recipiente. Orbene, esistono svariate possibilità di forma, dimensioni, presentazione, se non addirittura di composizione del contenitore di raccolta in questione, per quanto concerne il prodotto interessato, in funzione non solo dei modelli di aspiratore elaborati dalla richiedente, ma anche delle innovazioni tecnologiche. Per quanto attiene alla trasparenza, essa permette l’utilizzo di molte tinte. Il titolare di un marchio d’impresa costituito dalla caratteristica funzionale in questione potrebbe utilizzare un recipiente di forma circolare o rettangolare, con o senza impugnatura, che sia, benché trasparente, di colori diversi.

52.      Come ha riconosciuto in definitiva la richiedente nelle sue osservazioni, la sua domanda di registrazione non mira alla protezione di una forma, bensì alla protezione del recipiente di raccolta trasparente propriamente detto. Tale domanda non riguarda neppure un colore, bensì un’assenza di colore, ossia la trasparenza (30).

53.      Nonostante la giurisprudenza consolidata della Corte in materia di segni suscettibili di costituire un marchio d’impresa ai sensi dell’art. 2 della direttiva, penso che un concetto, quale il concetto elaborato dalla richiedente, non sia idoneo a costituire un marchio d’impresa ai sensi della detta disposizione.

54.      Infatti, come fa notare la Commissione nelle sue osservazioni, un concetto fa appello unicamente all’immaginazione (31). A differenza di un odore (32), di un colore (33) o di un suono (34), un concetto nasce dallo spirito e non può essere percepito con uno dei cinque sensi dell’essere umano, vale a dire la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto o il gusto (35). La capacità dell’uomo di pensare e immaginare è infinita e la facoltà dello spirito di rappresentare un oggetto o un’immagine non ha, a mio avviso, limiti. Orbene, se, secondo una giurisprudenza costante, la funzione essenziale di un marchio consiste nel consentire al consumatore di distinguere, in base all’origine e senza confusione possibile, i prodotti e i servizi lui offerti (36), mi pare che tale finalità non possa essere conseguita mediante un segno idoneo a essere percepito dall’essere umano in modo così diverso. Ritengo, pertanto, che un concetto non possa costituire un’indicazione per il consumatore né, di conseguenza, costituire un segno atto a rispondere alla funzione distintiva di un marchio.

55.      Alla luce degli elementi che precedono ritengo, quindi, che una caratteristica funzionale, quale quella in questione nella presente causa, non sia idonea a costituire un segno ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

56.      Sono del parere che una siffatta caratteristica non risponda neanche al secondo requisito di cui all’art. 2 della direttiva, ai cui sensi possono costituire marchi d’impresa unicamente i segni riproducibili graficamente.

2.      L’idoneità alla rappresentazione grafica

57.      Da una giurisprudenza costante emerge che la rappresentazione grafica di cui all’art. 2 della direttiva deve permettere che il segno possa essere rappresentato visivamente, in particolare attraverso immagini, linee o caratteri, in modo da poter essere individuato con esattezza (37). Per svolgere tale funzione, la rappresentazione deve essere chiara, precisa, di per sé completa, facilmente accessibile, intelligibile, durevole e oggettiva (38).

58.      Secondo la Corte, il requisito di una siffatta rappresentazione ha lo scopo specifico di definire il marchio stesso, al fine di individuare l’oggetto esatto della tutela conferita attraverso il marchio registrato al suo titolare (39). Contribuisce, a tale titolo, alla certezza del diritto (40).

59.      Come ho già osservato nelle conclusioni presentate nella causa Heidelberger Bauchemie, citata, tale requisito è inteso alla realizzazione di due obiettivi precisi. Il primo è di permettere alle autorità competenti di conoscere con chiarezza e precisione la natura dei segni che costituiscono un marchio d’impresa, al fine di procedere all’esame preliminare delle domande di registrazione, alla pubblicazione e alla tenuta di un registro dei marchi adeguato e preciso. Il secondo è di permettere agli operatori economici di accertare con chiarezza e precisione le registrazioni effettuate o le domande di registrazione formulate dai loro concorrenti attuali o potenziali e di beneficiare in tal modo di informazioni pertinenti riguardanti i diritti dei terzi (41).

60.      La Corte considera pertanto che un segno deve anzitutto poter essere riprodotto in modo certo e costante, così da garantire, da un lato, la funzione d’origine del marchio e da determinare, dall’altro, senza possibilità di dubbio l’oggetto dell’esclusiva. Peraltro, considerata la durata della registrazione di un marchio d’impresa e il fatto che quest’ultima può essere rinnovata per periodi più o meno lunghi, anche la rappresentazione dev’essere durevole (42).

61.      Orbene, ritengo che una caratteristica funzionale, quale quella controversa nella presente causa, non soddisfi tali condizioni.

62.      Come ho già detto al paragrafo 52 delle presenti conclusioni, la funzionalità di cui la Dyson chiede la registrazione può, evidentemente, assumere molte forme e molti aspetti diversi non solo secondo i modelli di aspirapolvere elaborati dalla richiedente, ma anche secondo l’evoluzione tecnologica. Poiché la tutela conferita dal diritto dei marchi d’impresa può avere durata illimitata (a condizione di uso serio e di pagamento delle tasse di rinnovo della registrazione), trovo molto probabile che l’aspetto del contenitore di raccolta trasparente e la modalità con cui esso si applicherà all’aspirapolvere subiranno negli anni un’evoluzione.

63.      Pertanto, non mi pare possibile stabilire con certezza in che modo la caratteristica funzionale rivendicata si integrerà nei prodotti per cui si chiede la registrazione. La rappresentazione grafica in questione non consente né alle autorità competenti, né agli operatori economici di stabilire con precisione l’oggetto della tutela conferita al titolare del marchio d’impresa registrato. Ritengo che siffatta indeterminazione contrasti con il principio della certezza del diritto che è alla base del requisito dell’idoneità alla rappresentazione grafica.

64.      È pertanto giocoforza rilevare che la caratteristica funzionale su cui verte il procedimento principale non presenta i requisiti di precisione e di costanza di cui all’art. 2 della direttiva.

65.      Alla luce di tutti gli elementi che precedono, ritengo che una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto e idonea ad assumere molteplici aspetti non possa essere considerata un segno idoneo a essere riprodotto graficamente ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

66.      A mio parere, una siffatta caratteristica non soddisfa neppure il terzo requisito previsto dall’art. 2 della direttiva, secondo cui possono costituire marchi d’impresa unicamente i segni adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

3.      L’esistenza di un carattere distintivo

67.      Il carattere distintivo di un marchio significa che il segno è atto a identificare il prodotto come proveniente da una determinata impresa e quindi a distinguerlo da quelli di altre imprese (43).

68.      L’esame del carattere distintivo intrinseco di un marchio d’impresa è in linea di principio indipendente dall’uso del segno. Esso attiene esclusivamente al fatto se il segno possieda, in sé considerato, carattere distintivo.

69.      Nella presente causa, occorre quindi stabilire se una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto sia atta, di per sé, a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese. È dunque necessario esaminare se la caratteristica funzionale in questione sia atta o meno a trasmettere informazioni precise sull’origine del prodotto. Ritengo che ciò non sia possibile per due motivi.

70.      Da un lato, come ho appena detto, la domanda di registrazione della Dyson non consente di stabilire con certezza in che modo la funzionalità di cui trattasi si inserirà nei prodotti per cui è chiesta la registrazione. Come ho già osservato nelle conclusioni presentate nella causa Libertel, citata, per valutare l’idoneità di un segno a presentare un carattere distintivo si deve sapere con precisione di quale segno si tratti (44).

71.      Dall’altro lato, penso che una funzionalità quale quella controversa nella presente causa non possa garantire la funzione essenziale del marchio d’impresa. Occorre rammentare che la Corte ha definito tale funzione come consistente nel «garantire al consumatore o all’utilizzatore finale la provenienza del prodotto contrassegnato, consentendo di distinguere senza alcuna possibilità di confusione tale prodotto da quelli di diversa provenienza» (45). Per il consumatore il marchio d’impresa deve quindi costituire la garanzia di provenienza del prodotto contrassegnato.

72.      Orbene, come ho già esaminato ai paragrafi 51-55 delle presenti conclusioni, anche se una caratteristica funzionale può, laddove integrata nel prodotto interessato, assumere una forma precisa, la domanda di registrazione controversa mira di fatto a conseguire diritti esclusivi su un concetto o, perlomeno, su tutti i possibili aspetti che tale funzionalità può assumere. A mio avviso, un concetto non può costituire un’indicazione sufficientemente precisa per il consumatore.

73.      Penso, pertanto, che non si possa riconoscere a una caratteristica funzionale quale quella controversa nel procedimento principale un significato tanto preciso da indicare, senza rischio di confusione, l’origine del prodotto.

74.      Alla luce di tutti gli elementi che precedono, ritengo che una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto e atta ad assumere molteplici aspetti non soddisfi le condizioni necessarie per costituire un marchio d’impresa ai sensi dell’art. 2 della direttiva, poiché non costituisce un segno suscettibile di essere riprodotto graficamente e idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre imprese.

75.      Se, a ogni modo, la Corte dovesse considerare che una caratteristica funzionale quale quella controversa nella presente causa soddisfi tutti i requisiti necessari per costituire un marchio d’impresa ai sensi della detta disposizione, ritengo che l’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva osti alla registrazione di un marchio siffatto.

D –    Sull’esistenza di un impedimento assoluto alla registrazione

76.      Ritengo che esista un impedimento assoluto alla registrazione del marchio in questione fondato sull’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva. Infatti, a mio avviso, una funzionalità quale quella controversa nel procedimento principale non può essere attribuita all’uso esclusivo di un unico operatore economico e deve restare liberamente disponibile a tutti, e ciò in conformità alla finalità del diritto di marchio d’impresa.

77.      Come ho già osservato, l’art. 3, n. 1, della direttiva elenca diversi impedimenti alla registrazione di un marchio d’impresa. Tali impedimenti sono indipendenti l’uno dall’altro ed esigono, secondo la Corte, un esame separato. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, essi vanno interpretati alla luce dell’interesse generale sotteso ad ognuno. L’interesse generale preso in considerazione in sede di esame dei vari motivi può, anzi deve, rispecchiare considerazioni differenti (46).

78.      In particolare, l’art. 3, n. 1, lett. e), della direttiva prende in considerazione tre casi in cui i segni sono costituiti esclusivamente dalla forma del prodotto (47). Tra questi figura, al secondo trattino della disposizione, l’ipotesi in cui un segno è costituito esclusivamente dalla forma del prodotto (o da una riproduzione grafica di tale forma (48)) necessaria per ottenere un risultato tecnico.

79.      Nella sentenza Philips, citata, la Corte ha espresso l’interesse generale sotteso a tale disposizione.

80.      In quella causa si domandava alla Corte se un segno costituito dalla forma di un prodotto potesse acquisire carattere distintivo. Si trattava della rappresentazione grafica della forma e della configurazione della parte superiore di un rasoio elettrico, composta di tre testine circolari a lame rotanti, disposte a forma di triangolo equilatero. La società Philips, per molto tempo l’unica a offrire rasoi elettrici di tale forma, riteneva che la rappresentazione depositata quale marchio avesse acquisito un carattere distintivo a seguito di tale commercializzazione esclusiva per un lungo periodo.

81.      Nella sentenza la Corte ha dichiarato in particolare che un segno costituito esclusivamente dalla forma di un prodotto non può essere registrato ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva qualora risulti che le caratteristiche funzionali essenziali di tale forma sono attribuibili esclusivamente al risultato tecnico (49).

82.      La Corte è giunta a tale conclusione dopo aver, sulla base di una giurisprudenza costante, interpretato l’impedimento alla registrazione elencato nella detta disposizione alla luce dell’interesse generale a esso sottostante (50).

83.      Essa ha innanzitutto riconosciuto che gli impedimenti di cui all’art. 3, n. 1, lett. e), della direttiva sono volti a evitare che la tutela conferita dal diritto di marchio sfoci nel conferimento al suo titolare di un monopolio su soluzioni tecniche o caratteristiche utilitarie di un prodotto, che possono essere ricercate dall’utilizzatore nei prodotti dei concorrenti. Secondo la Corte, tale disposizione intenderebbe evitare che la tutela conferita dal diritto di marchio si estenda oltre i segni che permettono di distinguere un prodotto o servizio da quelli offerti dai concorrenti, ergendosi a ostacolo a che questi ultimi possano offrire liberamente prodotti che incorporano dette soluzioni tecniche o dette caratteristiche utilitarie in concorrenza con il titolare del marchio (51).

84.      Per quanto riguarda più in particolare l’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva, la Corte ha considerato che l’interesse generale perseguito da tale disposizione impone che una forma le cui caratteristiche essenziali svolgono una funzione tecnica non sia riservata a una sola impresa e possa essere liberamente utilizzata da tutti. Infatti, secondo la Corte, l’esclusività inerente al diritto di marchio impedirebbe alle imprese concorrenti di offrire un prodotto incorporante quella stessa funzionalità (52). La Corte considera quindi che, rifiutando la registrazione dei detti segni, l’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva riflette l’obiettivo legittimo «di non permettere ai singoli di utilizzare la registrazione di un marchio per ottenere o perpetuare diritti esclusivi aventi ad oggetto soluzioni tecniche» (53).

85.      La Corte ha altresì precisato che un segno che è escluso dalla registrazione sulla base dell’art. 3, n. 1, lett. e), della direttiva non può mai acquisire un carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 3, della detta direttiva per l’uso che ne è stato fatto (54).

86.      Occorre ricordare, infatti, quest’ultima disposizione prevede che soltanto i marchi esclusi dalla registrazione ai sensi del n. 1, lett. b), c) o d), della direttiva possano acquisire, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, un carattere distintivo che inizialmente non avevano ed essere quindi registrati in quanto marchi (55). Un segno escluso dalla registrazione ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. e), della direttiva non può quindi avvalersi di tale beneficio.

87.      Da ultimo la Corte ha rilevato nella medesima causa che la dimostrazione dell’esistenza di altre forme che permettono di ottenere lo stesso risultato tecnico non autorizza a disattendere l’impedimento alla registrazione o il motivo di nullità di cui all’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva (56).

88.      A mio avviso, è chiaro che tale ragionamento si può validamente applicare a una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto. Infatti, nonostante il detto articolo prenda in considerazione unicamente i segni costituiti esclusivamente dalla forma di un prodotto, ritengo che l’interesse generale sotteso alla disposizione di cui trattasi imponga di impedire anche la registrazione di una funzionalità quale quella controversa nel procedimento principale.

89.      In primo luogo, la registrazione della funzionalità in questione sfocerebbe, in applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva, nel conferimento dell’uso esclusivo di una soluzione tecnica a un unico operatore economico senza limiti temporali.

90.      Tale esclusività conferirebbe alla richiedente un monopolio su una caratteristica tecnica e utilitaria che può essere ricercata dai consumatori negli aspirapolvere senza sacchetto fabbricati dalle imprese concorrenti.

91.      Peraltro, poiché tale uso esclusivo non riguarderebbe soltanto la caratteristica funzionale riprodotta nella domanda di registrazione, ma potrebbe estendersi alle molte e diverse forme che essa può assumere, le imprese concorrenti rischierebbero di trovarsi nell’impossibilità di stabilire, con precisione, se e come possano ancora avvalersi di tale caratteristica.

92.      La concessione e la detenzione di diritti esclusivi su tale tipo di funzionalità potrebbero, così, privare gli operatori economici concorrenti della possibilità di incorporare una siffatta funzionalità, indipendentemente dalla forma o dall’aspetto che essa assuma. La concessione di un siffatto monopolio potrebbe quindi limitare eccessivamente la libertà degli operatori in un settore in cui il progresso tecnico si fonda, invece, sul continuo processo di miglioramento delle innovazioni precedenti. È perfino legittimo pensare che tale monopolio possa ostacolare l’arrivo di nuovi operatori sul mercato degli aspirapolvere senza sacchetto, bloccando così la concorrenza nel mercato dell’innovazione. Da ciò deriverebbero quindi conseguenze dannose per la libera concorrenza, che pure costituisce una delle finalità della direttiva.

93.      Mi pare pertanto che la registrazione in quanto marchio di una caratteristica funzionale quale quella controversa nella presente causa vanificherebbe il sistema di concorrenza non falsata che il Trattato CE intende stabilire e conservare e che discende in particolare dall’art. 3, n. 1, lett. g) e m), CE (57).

94.      Una siffatta registrazione contrasterebbe altresì con l’obiettivo posto dall’art. 7 dell’accordo TRIPs, secondo cui la protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale devono non solo contribuire alla promozione dell’innovazione tecnologica nonché al trasferimento e alla diffusione di tecnologia, ma anche favorire l’equilibrio tra diritti e obblighi tra i diversi operatori economici presenti nel mercato. Poiché sia gli Stati membri sia la Comunità, per quanto compete loro (58), hanno aderito all’accordo in questione, l’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva deve essere interpretato, per quanto possibile, alla luce di tale testo e della finalità dell’accordo.

95.      In secondo luogo, la registrazione di una siffatta caratteristica rischierebbe di sfociare nell’ottenimento o nella perpetuazione, attraverso il diritto dei marchi, di diritti esclusivi su invenzioni di fatto brevettabili, in contrasto con l’obiettivo legittimo perseguito dall’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva.

96.      Orbene, è fondamentale impedire che il diritto dei marchi sia usato per uno scopo a esso estraneo, al fine di ottenere un indebito vantaggio concorrenziale. Come ha affermato giustamente il giudice del rinvio, «il marchio non deve servire ad istituire un monopolio in nuovi sviluppi della tecnologia» (59).

97.      A tale proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il diritto di marchio costituisce un «elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato desidera stabilire e conservare» (60). Con i suoi interventi in materia il legislatore comunitario è riuscito a salvaguardare tale sistema, controllando che i marchi svolgano la loro funzione essenziale. Rammento che tale funzione è garantire ai consumatori la provenienza del prodotto contrassegnato dal marchio, consentendo di distinguere tale prodotto da quelli di diversa provenienza.

98.      Al fine di garantire la detta funzione, l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva riserva al titolare del marchio l’uso esclusivo del segno distintivo e lo tutela contro i concorrenti che intendessero sfruttare la posizione dell’impresa e la reputazione del marchio, vendendo prodotti indebitamente contraddistinti suo tramite (61).

99.      Tuttavia, a differenza della tutela conferita dagli altri titoli di proprietà intellettuale e industriale, la tutela conferita dal diritto di marchio può avere durata illimitata, a condizione di uso serio e di pagamento delle tasse di rinnovo della registrazione.

100. Si teme, quindi, che taluni tendano, mediante il diritto di marchio, alla tutela non di un segno distintivo, bensì di una creazione o di un’innovazione industriale, attinenti ad altri diritti di proprietà intellettuale la cui protezione è, in linea di principio, limitata nel tempo.

101. Così, nella presente causa, se la Dyson può legittimamente vedere ricompensati i suoi sforzi nel settore della ricerca e dell’innovazione e rivendicare, a tale titolo, il beneficio di diritti esclusivi per l’utilizzo della sua invenzione, sono del parere che tale tutela possa essere concessa, trattandosi di un’innovazione tecnologica, unicamente mediante la concessione di un brevetto e non mediante la concessione di un marchio d’impresa.

102. Di conseguenza, e considerati gli elementi che precedono, ritengo che l’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della direttiva osti alla registrazione in quanto marchio di una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto.

103. Considero, pertanto, che il segno controverso nella presente causa non possa acquisire un carattere distintivo a seguito dell’uso che ne è stato fatto ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva.

104. Come ho già fatto presente ai paragrafi 85 e 86 delle presenti conclusioni, dalla lettera di tale disposizione, nonché da una giurisprudenza costante si evince, infatti, che solo i marchi esclusi dalla registrazione ai sensi del suo n. 1, lett. b), c) o d), possono acquisire, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, un carattere distintivo che inizialmente non avevano ed essere quindi registrati in quanto marchi (62).

105. Alla luce di tale soluzione ritengo superfluo esaminare i requisiti che una caratteristica funzionale, quale quella controversa nella presente causa, deve soddisfare per poter acquisire un carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva.

V –    Conclusione

106. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni sollevate dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division:

«1)      Una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto, atta ad assumere molteplici aspetti, non soddisfa le condizioni necessarie per costituire un marchio d’impresa ai sensi dell’art. 2 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, in quanto essa non costituisce un segno suscettibile di essere riprodotto graficamente, idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre imprese.

2)      A ogni modo, l’art. 3, n. 1, lett. e), secondo trattino, della prima direttiva 89/104/CEE osta alla registrazione in quanto marchio di una caratteristica funzionale facente parte dell’aspetto di un prodotto».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Prima direttiva 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).


3 – GU L 336, pagg. 1 e 214.


4 – Primo ‘considerando’.


5 – Terzo ‘considerando’.


6 – Settimo ‘considerando’.


7 – Nono ‘considerando’.


8 – Questa società è detenuta dal sig. James Dyson, nel contempo presidente della Dyson.


9 – Accordo di Nizza 15 giugno 1957, sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come rivisto e modificato.


10 – Punti 38-42.


11 – Questa disposizione traspone l’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva.


12 – Questa disposizione traspone l’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva.


13 – Decisione di rinvio, punti 43-45.


14 – Questa disposizione traspone l’art. 3, n. 3, della direttiva.


15 – Sentenza 18 giugno 2002, causa C‑299/99, Philips (Racc. pag. I‑5475).


16 – Sentenza 4 maggio 1999, cause riunite C‑108/97 e C‑109/97, Windsurfing Chiemsee (Racc. pag. I‑2779). Nelle osservazioni presentate la richiedente fa particolare riferimento ai punti 51 e 52 della detta sentenza.


17 – Punto 64.


18 – La Commissione si fonda in particolare sull’analisi adottata dalla Corte nella sentenza 6 maggio 2003, causa C-104/01, Libertel (Racc. pag. I‑3793, punti 22 e 23).


19 – La Commissione fa riferimento alle conclusioni presentate dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella sentenza 12 dicembre 2002, causa C‑273/00, Sieckmann (Racc. pag. I‑11737).


20 – V., in particolare, i punti 54 e 55 di tale sentenza.


21 – V., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I‑4921, punto 59), e 22 giugno 2006, causa C-419/04, Conseil général de la Vienne (Racc. pag. I-0000, punto 19).


22 – V. sentenza 18 marzo 1993, causa C-280/91, Viessmann (Racc. pag. I‑971, punto 17), e, per esempio, sentenza 25 febbraio 1999, causa C-90/97, Swaddling (Racc. pag. I‑1075, punto 21).


23 – Punto 22.


24 – È nella citata sentenza Libertel che la Corte ha fatto, per la prima volta, dell’essere segno una condizione autonoma dell’idoneità a costituire un marchio ai sensi dell’art. 2 della direttiva.


25 – V., in particolare, citate sentenze Philips, punto 37, e Libertel, punto 23, nonché sentenza 24 giugno 2004, causa C-49/02, Heidelberger Bauchemie (Racc. pag. I‑6129, punto 22).


26 – Il corsivo è mio.


27 – V., in particolare, sentenza Heidelberger Bauchemie, cit., punto 24.


28 – Punto 6 delle osservazioni della Commissione.


29 – Le Petit Robert, Dictionnaire de la langue française, Parigi, Éditions Dictionnaires Le Robert, 2004.


30 – Punti 5 e 6.


31 – Punto 6.


32 – Nella citata sentenza Sieckmann la Corte si è pronunciata sulla possibilità di registrare segni olfattivi e, in particolare, ha dichiarato che l’art. 2 della direttiva non esclude espressamente i segni che di per sé non possono essere percepiti visivamente, in quel caso un odore, a condizione che possano essere oggetto di una rappresentazione grafica.


33 – Nella citata sentenza Libertel la Corte ha dichiarato che un colore, in quel caso l’arancione, pur rappresentando unicamente una semplice proprietà delle cose, può tuttavia costituire un segno in relazione a un prodotto o servizio (punto 27). La Corte ha confermato tale giurisprudenza nella sentenza Heidelberger Bauchemie, cit., vertente su una combinazione cromatica (punto 23).


34 – Nella sentenza 27 novembre 2003, causa C-283/01, Shield Mark (Racc. pag. I‑14313), la Corte è stata investita dalla questione della validità di quattordici marchi sonori, di cui undici avevano per motivo le prime battute dello studio per pianoforte «Für Elise» [«Per Elisa»] di L. van Beethoven e gli altri tre «il canto del gallo». Essa ha dichiarato che il testo dell’art. 2 della direttiva non esclude neppure che un suono possa costituire un segno registrabile.


35 – Per quanto riguarda i segni idonei a essere percepiti con i sensi fisici dell’essere umano, rinvio, per esempio, alle conclusioni presentate dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nella sentenza Sieckmann, cit., paragrafi 22 e segg.


36 – Il marchio deve quindi costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi da esso designati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità. V., in particolare, sentenze 23 maggio 1978, causa C-102/77, Hoffmann‑La Roche (Racc. pag. 1139, punto 7, secondo paragrafo), e 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon (Racc. pag. I‑5507, punto 28), nonché sentenza Philips, cit., punto 30.


37 – V. citate sentenze Sieckmann, punto 46, Libertel, punto 28, Shield Mark, punto 55, e Heidelberger Bauchemie, punto 25.


38 – Sentenza Sieckmann, cit., punti 46-55.


39 – Ibidem, punto 48.


40 – Ibidem, punto 37.


41 – Paragrafo 52 delle conclusioni citate dalla Corte ai punti 28-30 della sentenza.


42 – Sentenza Heidelberger Bauchemie, cit., punto 31.


43 – V., in particolare, sentenze Windsurfing Chiemsee, cit., punto 46, e 8 aprile 2003, cause riunite da C-53/01 a C-55/01, Linde e a. (Racc. pag. I‑3161, punti 40 e 47).


44 – Paragrafo 88 delle conclusioni.


45 – V. giurisprudenza cit. alla nota 36 delle presenti conclusioni.


46 – V., in particolare, sentenze 16 settembre 2004, causa C-329/02 P, SAT.1/UAMI (Racc. pag. I‑8317, punto 25), e 29 aprile 2004, cause riunite C-456/01 P e C‑457/01 P, Henkel/UAMI (Racc. pag. I‑5089, punti 45 e 46).


47 – Si tratta dei segni costituiti o dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto (primo trattino), o dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico (secondo trattino) o dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto (terzo trattino).


48 – V. sentenza Philips, cit., punto 76.


49 – Ibidem, punto 84.


50 – V., in tal senso, cit. sentenze Windsurfing Chiemsee, punti 25-27, Philips, punto 77, Linde e a., punto 71, e Libertel, punto 51.


51 – V. sentenza Philips, cit., punto 78.


52 – Ibidem, punti 79 e 80.


53 – Ibidem, punto 82.


54 – Ibidem, punto 75.


55 – Ibidem, punti 57 e 58.


56 – Ibidem, punto 81.


57 – Ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g) e m), CE, «l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente Trattato: (…) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno; (…) il rafforzamento della competitività dell’industria comunitaria».


58 – Sentenze 16 giugno 1998, causa C-53/96, Hermès (Racc. pag. I‑3603, punto 28), e Heidelberger Bauchemie, cit., punto 20.


59 – Decisione di rinvio, punto 26.


60 – V. sentenze 17 ottobre 1990, causa C-10/89, HAG GF (Racc. pag. I‑3711, punto 13), e 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW (Racc. pag. I‑905, punto 62).


61 – Si tratta di ciò che la giurisprudenza della Corte definisce l’«oggetto specifico» del diritto di marchio. L’oggetto specifico designa, in sostanza, il diritto di proprietà industriale e commerciale. V., in tal senso, sentenza 31 ottobre 1974, causa 16/74, Centrafarm BV e a./Winthrop BV (Racc. pag. 1183).


62 – V. nota 55 delle presenti conclusioni.