Language of document : ECLI:EU:C:2014:323

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 14 maggio 2014 (1)

Causa C‑244/13

Ewaen Fred Ogieriakhi

contro

Minister for Justice and Equality,

Irlanda,

Attorney General,

An Post

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court (Irlanda)]

«Diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato membro – Direttiva 2004/38/CE – Nozione di periodo di soggiorno in via continuativa per cinque anni assieme ad un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante – Diritto di soggiorno permanente»





1.        Il presente rinvio pregiudiziale conduce anzitutto la Corte a precisare la nozione di «soggiorno legale in via continuativa assieme al cittadino dell’Unione», ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE (2), e più in particolare a precisare i termini «assieme al cittadino dell’Unione».

2.        Tale disposizione prevede infatti che i familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme a tale cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante acquisiscano il diritto al soggiorno permanente nel territorio di detto Stato.

3.        Nella controversia principale si pone fondamentalmente la questione se il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di una cittadina dell’Unione europea che ha esercitato il suo diritto alla libera circolazione, possa rivendicare un tale diritto di soggiorno qualora, nel corso del periodo di cinque anni richiesto, i coniugi abbiano vissuto sotto lo stesso tetto solamente per due anni e, nel corso dei tre anni rimanenti, abbiano iniziato a vivere separatamente con partner diversi.

4.        La High Court (Irlanda) chiede inoltre se, nell’ambito di un ricorso di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, il giudice nazionale sia tenuto a prendere in considerazione il fatto che è stato necessario proporre una questione pregiudiziale vertente sul diritto dell’Unione rilevante nella controversia al fine di stabilire il carattere sufficientemente grave della violazione di tale diritto ad opera dello Stato membro.

5.        Nelle presenti conclusioni intendo spiegare le ragioni per le quali ritengo che l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, possa avvalersi, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, di un periodo di soggiorno effettuato sul territorio dello Stato membro ospitante prima della trasposizione della direttiva stessa nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, benché risulti dimostrato che, nel corso di tale periodo, i coniugi hanno iniziato a vivere separatamente con altri partner.

6.        Spiegherò poi le ragioni per le quali, a mio avviso, nell’ambito di un ricorso per risarcimento per violazione del diritto dell’Unione, al fine di stabilire il carattere sufficientemente grave della violazione di tale diritto ad opera dello Stato membro, il giudice nazionale non è tenuto a prendere in considerazione il fatto che è stato necessario proporre una questione pregiudiziale vertente sul diritto dell’Unione rilevante nella controversia.

I –    Contesto normativo

A –    Il regolamento (CEE) n. 1612/68

7.        Ai sensi dell’articolo 10 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (3), vigente all’epoca dei fatti di cui alla controversia principale:

«1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:

a)      il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;

b)      gli ascendenti di tale lavoratore e del suo coniuge che siano a suo carico.

2.      Gli Stati membri favoriscono l’ammissione di ogni membro della famiglia che non goda delle disposizioni del paragrafo 1 se è a carico o vive, nel paese di provenienza, sotto il tetto del lavoratore di cui al paragrafo 1.

3.      Ai fini dell’applicazione dei paragrafi 1 e 2 il lavoratore deve disporre per la propria famiglia di un alloggio che sia considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui è occupato, senza che tale disposizione possa provocare discriminazioni tra i lavoratori nazionali ed i lavoratori provenienti da altri Stati membri».

B –    La direttiva 2004/38

8.        La direttiva 2004/38 riunisce e semplifica la normativa dell’Unione in materia di libera circolazione delle persone e del diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari. Essa ha inoltre l’effetto di modificare il regolamento n. 1612/68 abrogando, segnatamente, il suo articolo 10.

9.        Infatti, la direttiva in parola abolisce l’obbligo per i cittadini dell’Unione di ottenere una carta di soggiorno, introduce un diritto di soggiorno permanente a favore dei suddetti cittadini e dei loro familiari e circoscrive la possibilità per gli Stati membri di limitare il soggiorno dei cittadini degli altri Stati membri sul loro territorio.

10.      L’articolo 7 della direttiva citata, dal titolo «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», prevede ai suoi paragrafi 1 e 2:

«1.      Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)      di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

c)      –       di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale,

–      di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o

d)      di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c).

2.      Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alla condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c)».

11.      L’articolo 16 della direttiva 2004/38, dal titolo «Norma generale per i cittadini dell’Unione e i loro familiari», così recita:

«1.      Il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. Tale diritto non è subordinato alle condizioni di cui al capo III.

2.      Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante.

3.      La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

4.      Una volta acquisito, il diritto di soggiorno permanente si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi».

12.      L’articolo 35 della direttiva 2004/38 prevede che gli Stati membri possano adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla direttiva stessa, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio. Qualsiasi misura di questo tipo è proporzionata ed è soggetta alle garanzie procedurali previste agli articoli 30 e 31 della direttiva citata.

13.      Infine, ai sensi dell’articolo 38 della direttiva 2004/38, gli articoli 10 e 11 del regolamento n. 1612/68 sono abrogati con effetto dal 30 aprile 2006.

C –    Il diritto irlandese

14.      Il regolamento relativo alle Comunità europee (Libera circolazione delle persone) del 2006 [European Communities (Free Movement of Persons) Regulations 2006] (in prosieguo: il «regolamento del 2006») dà attuazione, in diritto irlandese, alle disposizioni della direttiva 2004/38.

15.      L’articolo 12 del regolamento del 2006 garantisce la trasposizione dell’articolo 16 della citata direttiva.

II – Fatti del procedimento principale

16.      Il sig. Ogieriakhi, cittadino nigeriano, è arrivato in Irlanda nel maggio 1998, data in cui ha chiesto asilo politico. Nel maggio 1999 ha sposato una cittadina francese, la sig.ra Georges, ed ha quindi ritirato la sua domanda d’asilo. L’11 ottobre 1999 il Minister for Justice and Equality gli ha concesso un titolo di soggiorno.

17.      Nel periodo compreso tra il mese di ottobre 1999 e il mese di ottobre 2004 la sig.ra Georges ha lavorato o percepito prestazioni di previdenza sociale.

18.      È pacifico che tra il 1999 e il 2001 il sig. Ogieriakhi e la sig.ra Georges hanno convissuto presso vari indirizzi a Dublino (Irlanda). Tuttavia, poco dopo il mese di agosto 2001, essendo il matrimonio naufragato nel corso dell’anno, la sig.ra Georges ha abbandonato il domicilio coniugale per andare a convivere con un altro uomo. Anche il sig. Ogieriakhi ha in seguito abbandonato tale domicilio per andare a convivere con una cittadina irlandese, la sig.ra Madden. Il giudice del rinvio precisa a tal proposito che non possono essere stabilite con certezza le date nelle quali si sono verificati tali eventi, sapendosi con certezza solo che essi si sono verificati dopo il mese di agosto 2001 e nel corso del 2002.

19.      La sig.ra Georges e il sig. Ogieriakhi hanno divorziato nel gennaio 2009. Questi ha sposato la sig.ra Madden nel luglio dello stesso anno ed ha ottenuto nel 2012, per naturalizzazione, la cittadinanza irlandese. Nel dicembre 2004 la sig.ra Georges ha definitivamente abbandonato il territorio irlandese.

20.      Nel settembre 2007 il Minister for Justice and Equality ha negato al sig. Ogieriakhi un diritto di soggiorno permanente sulla base del regolamento del 2006, poiché non vi era prova che la sig.ra Georges, all’epoca sua moglie, esercitasse ancora, a quel momento, i diritti ad essa attribuiti dal diritto dell’Unione. Il sig. Ogieriakhi ha impugnato tale decisione, impugnazione che è stata respinta dalla High Court nel gennaio 2008 in quanto il regolamento del 2006 non era applicabile ai soggiorni precedenti alla sua entrata in vigore. Di conseguenza, il 24 ottobre 2007 il sig. Ogieriakhi è stato licenziato dall’An post, società postale dello Stato per la quale aveva iniziato a lavorare l’11 novembre 2001, poiché non disponeva di un valido permesso di lavoro, essendogli stato negato dalle autorità irlandesi un diritto di soggiorno permanente.

21.      Il sig. Ogieriakhi non ha interposto immediatamente appello avverso tale sentenza, ma lo ha fatto solamente dopo la sentenza Lassal (4). La Supreme Court, che ha rifiutato di prorogare il termine di ricorso, ha rilevato che il Minister for Justice and Equality aveva accettato di riesaminare la decisione del mese di settembre 2007 con cui aveva negato al sig. Ogieriakhi un diritto di soggiorno permanente ed ha precisato che questo poteva far sorgere la responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione.

22.      Nel novembre 2011 al sig. Ogieriakhi è stato concesso dal Minister for Justice and Equality un diritto di soggiorno, poiché rispondeva a tutti i requisiti rilevanti di cui al regolamento del 2006. Egli ha quindi introdotto il procedimento principale dinanzi al giudice del rinvio, nel cui ambito chiede all’Irlanda il risarcimento dei danni per violazione del diritto dell’Unione, sulla base della giurisprudenza Francovich e a. (5). Egli ritiene infatti che le disposizioni della direttiva 2004/38 non siano state correttamente trasposte nel diritto irlandese. In ragione di tale trasposizione scorretta, egli sostiene di aver subìto un danno a causa della risoluzione del suo contratto di lavoro da parte dell’An post, risoluzione fondata sull’assenza di un diritto di soggiorno permanente in Irlanda.

23.      Il giudice del rinvio ritiene che l’accoglimento del ricorso proposto dal sig. Ogieriakhi sulla base di un’erronea trasposizione del diritto dell’Unione dipenda segnatamente dalla questione se quest’ultimo, al momento del suo licenziamento, fosse titolare di un diritto di soggiorno permanente in forza della direttiva 2004/38.

III – Questioni pregiudiziali

24.      Alla luce di tali circostanze la High Court ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se si possa affermare che il coniuge di un cittadino dell’Unione, il quale all’epoca non era a sua volta cittadino di uno Stato membro, abbia “soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante” ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38(…), in una situazione in cui la coppia aveva contratto matrimonio nel maggio del 1999, il diritto di soggiorno era stato concesso nell’ottobre del 1999 e i coniugi avevano concordato, al più tardi all’inizio del 2002, di vivere separati ed entrambi avevano iniziato a vivere con conviventi diversi alla fine del 2002.

2)      In caso di soluzione affermativa alla prima questione, e tenendo presente che il cittadino di un paese terzo che rivendichi un diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, [della direttiva 2004/38], sulla base di un soggiorno continuativo di cinque anni antecedente al 2006, deve altresì dimostrare, tra l’altro, la conformità di tale soggiorno ai requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (…) n. 1612/68, se il fatto che, nel corso di detto asserito periodo di cinque anni, il cittadino dell’Unione abbia lasciato il domicilio coniugale e il cittadino del paese terzo abbia successivamente iniziato la convivenza con un’altra persona, in un nuovo domicilio coniugale che non è stato fornito né messo a disposizione dall’(ex) coniuge cittadino dell’[Unione], significhi che i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68 non sono soddisfatti.

3)      In caso di soluzione affermativa alla prima questione e di soluzione negativa alla seconda questione, se, ai fini della valutazione se uno Stato membro abbia erroneamente trasposto, o non abbia altrimenti adeguatamente applicato, i requisiti di cui all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il fatto che il giudice nazionale chiamato a conoscere di un’azione di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione abbia ritenuto necessario proporre un rinvio pregiudiziale sulla questione sostanziale della titolarità del diritto di soggiorno permanente del ricorrente costituisca, di per sé, un elemento che tale giudice può prendere in considerazione nel determinare se la violazione del diritto dell’Unione fosse evidente».

IV – Analisi

A –    Osservazioni preliminari

25.      A mio avviso, la prima e la seconda questione devono essere trattate congiuntamente. Il ricorrente nel procedimento principale rivendica infatti un diritto di soggiorno permanente sulla base dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, diritto che avrebbe acquisito nel periodo compreso tra il 1999 e il 2004. Tale periodo è precedente al termine ultimo per la trasposizione di tale direttiva nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, vale a dire al 30 aprile 2006.

26.      Si pone quindi, anzitutto, la questione se sia possibile prendere in considerazione, ai fini del calcolo del termine quinquennale richiesto per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente in conformità all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva citata, i periodi di soggiorno compiuti sul territorio dello Stato membro ospitante in conformità al diritto dell’Unione applicabile all’epoca, vale a dire, nel caso specifico, il regolamento n. 1612/68 e, in particolare, il suo articolo 10. Si ricorda che tale disposizione attribuiva al coniuge del lavoratore cittadino di uno Stato membro il diritto di stabilirsi con lui sul territorio dello Stato membro ospitante, a condizione che detto lavoratore disponesse per la propria famiglia di un alloggio che fosse considerato normale per i lavoratori nazionali nella regione in cui era occupato.

27.      La Corte ha già risolto tale questione nell’ambito della sua sentenza Lassal (6), ove ha infatti stabilito che, «ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente di cui all’articolo 16 della direttiva 2004/38, devono essere presi in considerazione periodi di soggiorno ininterrotto di cinque anni conclusi prima della data di trasposizione di tale direttiva, vale a dire il 30 aprile 2006, conformemente a strumenti di diritto dell’Unione antecedenti a tale data» (7).

28.      La portata di tale sentenza è stata recentemente precisata nell’ambito della sentenza Alarape e Tijani (8). In quest’ultima sentenza la Corte ha infatti dichiarato che, ai fini dell’acquisizione da parte dei familiari di un cittadino dell’Unione, non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, del diritto di soggiorno permanente ai sensi della direttiva 2004/38, possono essere presi in considerazione soltanto i soggiorni che soddisfano le condizioni stabilite da tale direttiva (9). Essa ha inoltre rammentato che la direttiva 2004/38, da un lato, ha lo scopo di superare un approccio settoriale e frammentario del diritto di circolare e soggiornare liberamente al fine di agevolare l’esercizio di tale diritto mediante l’elaborazione di un atto legislativo unico che codifichi e riveda gli strumenti del diritto dell’Unione anteriori a tale direttiva e, dall’altro, ha previsto un sistema graduale per quanto riguarda il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, il quale, riprendendo sostanzialmente le fasi e le condizioni previste nei diversi strumenti del diritto dell’Unione e nella giurisprudenza anteriori a tale direttiva, sfocia nel diritto di soggiorno permanente (10). La Corte ha quindi precisato che i termini «strumenti di diritto dell’Unione antecedenti» alla direttiva 2004/38, di cui al punto 40 della sentenza Lassal (EU:C:2010:592), devono essere intesi nel senso che essi fanno riferimento agli strumenti che tale direttiva ha codificato, rivisto e abrogato, e non già a quelli che, come l’articolo 12 del regolamento n. 1612/68, essa ha mantenuto inalterati (11).

29.      Da tale giurisprudenza può desumersi quanto segue. Quando viene fatto riferimento agli strumenti antecedenti da prendere in considerazione ai fini del computo del soggiorno, potrà trattarsi solamente degli strumenti codificati, rivisti e/o abrogati dalla direttiva 2004/38, e non invece di quelli che essa ha mantenuto inalterati. Poiché l’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 rientra nel novero delle disposizioni che sono state abrogate a seguito dell’entrata in vigore di tale direttiva, solo i periodi di soggiorno compiuti prima del termine ultimo per la trasposizione della direttiva in parola sulla base dell’articolo 10 del regolamento citato, a condizioni conformi a quelle previste dalla direttiva 2004/38, possono essere presi in considerazione ai fini del calcolo del termine quinquennale richiesto dall’articolo 16, paragrafo 2, della stessa.

30.      Di conseguenza, la prima e la seconda questione del giudice del rinvio devono essere intese nei seguenti termini: se l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, possa avvalersi, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, di un periodo di soggiorno compiuto sul territorio dello Stato membro ospitante prima della trasposizione di tale direttiva nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, qualora risulti dimostrato che, nel corso di tale periodo, i coniugi hanno iniziato a vivere separatamente con altri partner.

B –    Sulla prima e seconda questione

31.      Si pone anzitutto la questione se il sig. Ogieriakhi abbia mantenuto, nel corso del periodo controverso, la sua qualità di «familiare», ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera a), della direttiva 2004/38. Rammento infatti come l’articolo 3 della direttiva stessa, dal titolo «Aventi diritto», disponga, al suo paragrafo 1, che essa si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva stessa, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo.

32.      Orbene, se è vero che la sig.ra Georges e il sig. Ogieriakhi sono stati effettivamente sposati fino al 2009, è altresì vero che essi hanno smesso di convivere dopo due anni di matrimonio e hanno iniziato a coabitare con altri partner. Per dissipare ogni eventuale dubbio, è rilevante precisare a tal proposito che mai, nella domanda di pronuncia pregiudiziale o negli altri atti processuali, è stato insinuato che il matrimonio della sig.ra Georges e del sig. Ogieriakhi fosse un matrimonio fittizio.

33.      Si pone quindi la questione se il sig. Ogieriakhi, il quale invoca i diritti della direttiva 2004/38, fosse ancora un familiare della sig.ra Georges nel corso del periodo controverso.

34.      Alla luce della giurisprudenza non vi è, a mio avviso, alcun dubbio che il sig. Ogieriakhi possa essere considerato familiare della sig.ra Georges nel corso di tale periodo. Emerge infatti dalla sentenza Iida (12) che, fintantoché il vincolo coniugale non sia stato sciolto dalla competente autorità, il cittadino di uno Stato terzo coniugato con il cittadino dell’Unione può essere considerato familiare di quest’ultimo ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera a), della direttiva 2004/38 (13).

35.      Ricordo poi che la Corte ha stabilito, al punto 34 della sentenza Alarape e Tijani (EU:C:2013:290), che, per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, occorre rilevare che l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dipende in ogni caso dal fatto che, da un lato, il cittadino stesso risponda alle condizioni stabilite all’articolo 16, paragrafo 1, di detta direttiva e che, dall’altro, i familiari di cui trattasi abbiano soggiornato con il suddetto cittadino durante il periodo in questione. Inoltre, conformemente alla giurisprudenza, la nozione di soggiorno legale sottesa ai termini «che abbia soggiornato legalmente», di cui alla suddetta disposizione, deve intendersi come corrispondente ad un soggiorno conforme alle condizioni previste da detta direttiva, segnatamente a quelle previste all’articolo 7, paragrafo 1, della stessa (14).

36.      Va quindi chiarito se la sig.ra Georges, cittadina dell’Unione e coniuge del sig. Ogieriakhi, rispondesse a tali condizioni nel corso del periodo controverso. A tal proposito, emerge dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che così è stato. È infatti pacifico che, nel corso di tale periodo, la sig.ra Georges ha avuto la qualità di «lavoratore», ai sensi del diritto dell’Unione vigente all’epoca dei fatti di cui alla controversia principale. Essa rispondeva pertanto al requisito di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/38. Inoltre, poiché il giudice del rinvio precisa che la sig.ra Georges ha soggiornato legalmente sul territorio dello Stato membro ospitante in via continuativa per cinque anni, essa ha acquisito un diritto al soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, di tale direttiva.

37.      Dal momento che la sig.ra Georges era effettivamente titolare di un diritto di soggiorno permanente, il sig. Ogieriakhi ritiene, in qualità di familiare di quest’ultima e avendo soggiornato legalmente con la medesima nel corso del periodo controverso, di poter anch’egli beneficiare di un diritto di soggiorno permanente sulla base dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva in parola. Le autorità competenti ritengono tuttavia che i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68 non fossero soddisfatti all’epoca dei fatti di cui alla controversia principale, dal momento che la sig.ra Georges non aveva fornito al sig. Ogieriakhi o messo a sua disposizione un alloggio considerato «normale» ai sensi di tale disposizione. A parere di tali autorità, se, non essendo stato messo a disposizione un alloggio considerato normale, il diritto di soggiorno del sig. Ogieriakhi nel periodo controverso non è venuto in essere, non può ritenersi che questi abbia soggiornato legalmente sul territorio dello Stato membro ospitante ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, di modo che egli non può beneficiare di un diritto di soggiorno permanente.

38.      Non condivido questa analisi.

39.      Ricordo infatti che nella sentenza Diatta (15) la Corte ha stabilito che l’articolo 10 del regolamento n. 1612/68, disponendo che il familiare del lavoratore emigrante ha il diritto di stabilirsi col lavoratore, non esige che il familiare di cui trattasi vi abiti in permanenza, ma, come è detto al paragrafo 3 del suddetto articolo, unicamente che l’alloggio di cui il lavoratore dispone possa considerarsi normale per ospitare la sua famiglia. L’obbligo dell’unicità dell’alloggio familiare permanente non può quindi ammettersi implicitamente (16). La Corte ha inoltre affermato che il vincolo coniugale non puo considerarsi sciolto fintantoché non vi sia stato posto fine dalla competente autorità. Ciò non avviene nel caso dei coniugi che vivono semplicemente separati, nemmeno quando hanno intenzione di divorziare in seguito (17).

40.      Peraltro, nella sentenza Commissione/Germania (18), la Corte ha stabilito che la condizione di disporre di un alloggio considerato normale si impone unicamente come condizione per accogliere ogni familiare presso il lavoratore e che, una volta conseguita la riunione della famiglia, la situazione del lavoratore emigrante non può differire da quella dei lavoratori nazionali rispetto alle condizioni di alloggio (19). Così, ha proseguito la Corte, se l’alloggio considerato normale in occasione dell’arrivo dei familiari del lavoratore emigrante non corrisponde più a questa condizione a seguito di un nuovo avvenimento, quale la nascita o il raggiungimento della maggiore età di un bambino, i provvedimenti eventualmente da prendere nei confronti dei familiari del lavoratore non possono essere diversi da quelli richiesti nei confronti dei cittadini nazionali e non possono condurre a discriminazioni tra i cittadini nazionali e quelli dell’Unione (20).

41.      A mio parere, dalle due sentenze citate emerge quanto segue. La condizione imposta al lavoratore relativa alla necessità di mettere a disposizione dei suoi familiari un alloggio normale, di cui all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68, rappresenta un elemento preliminare ai fini dell’accoglienza della famiglia dello stesso. Tale elemento preliminare mira a garantire che il lavoratore in questione auspichi anzitutto la ricostituzione della cellula familiare, e ciò allo scopo di non essere dissuaso dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione. Tuttavia, una volta ricostituita tale cellula, non può pretendersi una coabitazione permanente tra tali membri della stessa famiglia per l’intera durata del soggiorno legale sul territorio dello Stato membro ospitante. Le variabili che possono intervenire nella vita di ciascuno, che possono condurre taluni coniugi a vivere separatamente, non possono avere la conseguenza di privare tali persone dei diritti che essi traggono dai testi dell’Unione.

42.      Esigere dagli interessati una coabitazione permanente sotto lo stesso tetto rappresenta, a mio modo di vedere, un’ingerenza nella loro vita privata e familiare, contraria all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Le autorità statali non hanno il compito di imporre una concezione della vita di coppia o una particolare modalità di vita ai cittadini degli altri Stati membri e ai loro familiari, e ciò è tanto più vero se si considera che un siffatto requisito non sussiste per i loro cittadini.

43.      Ritengo pertanto che le relazioni personali tra i coniugi e le condizioni di alloggio successive all’accoglimento del coniuge cittadino di uno Stato terzo sul territorio dello Stato membro ospitante siano irrilevanti ai fini della concessione di un diritto di soggiorno al coniuge stesso.

44.      Di conseguenza, l’osservanza dei requisiti introdotti dall’articolo 10 del regolamento n. 1612/68 non viene meno qualora il lavoratore cittadino di uno Stato membro e il suo coniuge, cittadino di uno Stato terzo, abbiano deciso, come nella controversia principale, di vivere separatamente. Ne consegue, a mio modo di vedere, che il soggiorno del sig. Ogieriakhi era effettivamente conforme al diritto dell’Unione vigente all’epoca dei fatti della controversia principale.

45.      Rimane tuttavia da chiarire se tali periodi di soggiorno compiuti in conformità all’articolo 10, paragrafo 3, del regolamento n. 1612/68 rispondano ai requisiti di cui all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, poiché quest’ultima disposizione richiede che il familiare di un cittadino dell’Unione abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni «assieme» a quest’ultimo.

46.      A mio avviso, ciò ricorre nel caso di specie. Infatti, nella sentenza Onuekwere (21), la Corte ha stabilito che il termine «assieme» di cui all’articolo 16, paragrafo 2, della citata direttiva rafforza la condizione secondo la quale i familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro devono accompagnare o raggiungere il cittadino medesimo (22). Come ho affermato ai paragrafi da 38 a 41 delle mie conclusioni nella causa Onuekwere (23), tale espressione non deve quindi essere interpretata letteralmente e non richiede una vita comune dei coniugi sotto lo stesso tetto. Essa valorizza semplicemente il fatto che, per essere qualificato come «avente diritto» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva stessa, il familiare deve accompagnare o raggiungere il cittadino dell’Unione sul territorio dello Stato membro ospitante (24). Così, il cittadino di uno Stato terzo familiare di un cittadino dell’Unione che, pur essendo sposato con tale cittadino, risieda sul territorio di uno Stato membro diverso da quello dello Stato membro ospitante nel quale risiede detto cittadino, non risponderebbe al requisito dettato dall’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 di vivere «assieme» al cittadino dell’Unione in quanto non sarebbe considerato come soggetto che ha accompagnato o raggiunto il medesimo. Per contro, una volta soddisfatta la condizione iniziale di accompagnare o raggiungere il cittadino dell’Unione sul territorio dello Stato membro ospitante, poco importa sapere se i coniugi coabitino o meno.

47.      Un’interpretazione siffatta non è, a mio modo di vedere, contraria allo spirito e alla finalità dell’articolo 16 della direttiva in parola. Il diritto di soggiorno permanente mira infatti a promuovere la coesione sociale e a rafforzare il sentimento di appartenenza alla cittadinanza dell’Unione. L’elemento essenziale ai fini dell’acquisizione di tale diritto di soggiorno è pertanto l’integrazione del cittadino dell’Unione e del suo familiare nello Stato membro ospitante (25), e la continuità del soggiorno legale risponde all’obbligo d’integrazione sotteso all’acquisizione del diritto di soggiorno permanente (26). Orbene, i rapporti personali di una coppia e la relativa scelta di vita non sono, a mio modo di vedere, indicativi del grado di integrazione delle persone di cui trattasi. Il caso del sig. Ogieriakhi ne costituisce del resto un perfetto esempio. Il suo percorso dimostra infatti che ha saputo integrarsi nella società dello Stato membro ospitante sin dal suo arrivo. Fino alla data del suo licenziamento per assenza di diritto di soggiorno permanente, egli ha lavorato alle dipendenze di un’impresa pubblica dal novembre 2001 all’ottobre 2007 ed ha effettuato con successo studi giuridici.

48.      Da quanto sopra esposto emerge quindi che, fintantoché il vincolo coniugale non è stato sciolto da un’autorità competente, il coniuge di un cittadino dell’Unione, cittadino di uno Stato terzo, che abbia accompagnato o raggiunto detto cittadino sul territorio dello Stato membro ospitante e che abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme a lui, deve poter beneficiare di un diritto di soggiorno permanente, e ciò anche qualora i coniugi abbiano iniziato a vivere separatamente.

49.      Un ulteriore elemento milita, a mio avviso, a favore di un’interpretazione siffatta. L’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38 prevede infatti che il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento di un’unione registrata non comportino la perdita del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se il matrimonio o l’unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata. L’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva precisa inoltre che, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno degli interessati rimane subordinato al requisito che essi dimostrino, segnatamente, di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Peraltro, secondo l’articolo 18 della direttiva in parola, i familiari del cittadino dell’Unione di cui, in particolare, all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, che soddisfino le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante.

50.      In sintesi, il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, che è stato sposato con quest’ultimo per almeno tre anni, di cui un anno trascorso sul territorio dello Stato membro ospitante, conserva il proprio diritto di soggiorno e può acquisire un diritto di soggiorno permanente se soddisfa le condizioni prima enunciate, e ciò ancorché il vincolo coniugale sia stato sciolto da un’autorità competente.

51.      È giocoforza quindi rilevare che, se si ammettesse, per il cittadino di uno Stato terzo che si trovi nella situazione del sig. Ogieriakhi, l’esclusione dal beneficio di un diritto di soggiorno permanente, questi, per il quale risulta dimostrato il mantenimento dello status di familiare di un cittadino dell’Unione, poiché il vincolo coniugale non è stato sciolto da un’autorità competente, risulterebbe nettamente svantaggiato rispetto al cittadino di uno Stato terzo che, dal canto suo, abbia cessato di essere considerato familiare di un cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 2, punto 2, lettera a), della direttiva 2004/38, ma che soddisfi le condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva.

52.      Il cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, beneficerebbe in tal modo di minori diritti e di una minore tutela da parte del diritto dell’Unione rispetto al cittadino di uno Stato terzo che non abbia più alcun vincolo con il cittadino dell’Unione. Una siffatta interpretazione contrasterebbe con lo spirito e la finalità della direttiva stessa, intesi a concedere a ciascun cittadino dell’Unione il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri in oggettive condizioni di libertà e dignità, concedendo un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza (27).

53.      Alla luce di quanto sopra, ritengo che l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, può avvalersi, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, di un periodo di soggiorno compiuto sul territorio dello Stato membro ospitante prima della trasposizione di tale direttiva nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, anche qualora risulti dimostrato che, nel corso di tale periodo, i coniugi hanno iniziato a vivere separatamente con altri partner.

C –    Sulla terza questione

54.      Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, nell’ambito di un ricorso di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, il giudice nazionale sia tenuto a prendere in considerazione il fatto che è stato necessario proporre una questione pregiudiziale, vertente sul diritto dell’Unione rilevante nella controversia, per stabilire il carattere sufficientemente grave della violazione di tale diritto ad opera dello Stato membro.

55.      Rammento che il diritto dell’Unione conferisce ai soggetti dell’ordinamento, a determinate condizioni, un diritto al risarcimento per danni causati da violazioni del diritto dell’Unione. Secondo una costante giurisprudenza della Corte, il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai soggetti dell’ordinamento da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili è inerente al sistema dei Trattati sui quali quest’ultima è fondata (28).

56.      A tale proposito la Corte ha reiteratamente dichiarato che ai soggetti lesi è riconosciuto un diritto al risarcimento purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subìto dai soggetti (29).

57.      Quanto alla seconda condizione, cui si riferisce la terza questione, va ricordato che criterio decisivo per considerare sufficientemente qualificata una violazione del diritto dell’Unione è quello della violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro o di un’ istituzione dell’Unione, dei limiti posti al suo potere discrezionale (30).

58.      Al fine di stabilire se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve, a tal riguardo, tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato e, in particolare, del grado di chiarezza e di precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, della posizione adottata eventualmente da un’istituzione dell’Unione nonché dell’inosservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE (31).

59.      Ci si chiede se il fatto di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale al fine di ottenere l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione significhi, pertanto, che non sussiste alcuna violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione. Si potrebbe infatti ritenere che la proposizione di una questione siffatta vada a significare che la disposizione in oggetto era imprecisa e dava adito a diverse interpretazioni, il che rappresenterebbe un elemento determinante nella valutazione del giudice nazionale.

60.      Ritengo tuttavia che così non possa essere, e ciò per una ragione che mi sembra fondamentale.

61.      Il procedimento pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE instaura un vero dialogo, una reale cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte. Tale cooperazione è essenziale al fine di garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione negli ordinamenti giuridici nazionali. Come rilevato dall’avvocato generale Léger, «la Corte conferisce al giudice nazionale un ruolo importante nell’attuazione del diritto comunitario e nella tutela dei diritti che ne derivano per i singoli. Si suole poi qualificare il giudice nazionale, secondo un’espressione comunemente utilizzata, come “giudice comunitario di diritto comune”» (32).

62.      A mio modo di vedere, questo fondamentale ruolo del «giudice comunitario di diritto comune» potrebbe risultare compromesso qualora si ammettesse che il semplice fatto che il giudice nazionale proponga una questione pregiudiziale per ottenere l’interpretazione di una disposizione di legge dell’Unione basti a concludere che non sussiste alcuna violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione, implicante la responsabilità dello Stato membro. Una simile conseguenza, che sarebbe, in fin dei conti, obbligatoria per il giudice nazionale, potrebbe condurre alla chiusura del dialogo tra questi e il giudice dell’Unione. In tale ipotesi, infatti, il giudice nazionale che intendesse proporre una questione pregiudiziale per essere certo della sua interpretazione del diritto dell’Unione, prima di condannare lo Stato membro al risarcimento dei danni, potrebbe essere spinto ad astenersene. Più in generale, il semplice fatto di porre una questione non può limitare la libertà del giudice del merito. Non è nella questione sottoposta alla Corte, bensì nella soluzione fornita da quest’ultima che egli troverà spunto per nutrire la sua libera riflessione.

63.      Pertanto, al fine di preservare il meccanismo posto in essere dall’articolo 267 TFUE nonché il ruolo fondamentale dei giudici nazionali nell’attuazione del diritto dell’Unione, sono del parere che, nell’ambito di un ricorso di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, il giudice nazionale non sia tenuto a prendere in considerazione il fatto che è stato necessario porre una questione pregiudiziale vertente sul diritto dell’Unione rilevante nella controversia al fine di stabilire il carattere sufficientemente grave della violazione di tale diritto ad opera dello Stato membro.

V –    Conclusione

64.      Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali poste dalla High Court nei termini seguenti:

1)      L’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretato nel senso che il cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, può avvalersi, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, di un periodo di soggiorno compiuto sul territorio dello Stato membro ospitante prima della trasposizione di tale direttiva nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, anche qualora risulti dimostrato che, nel corso di tale periodo, i coniugi hanno iniziato a vivere separatamente con altri partner.

2)      Nell’ambito di un ricorso di risarcimento danni per violazione del diritto dell’Unione, il giudice nazionale non è tenuto a prendere in considerazione il fatto che è stato necessario proporre una questione pregiudiziale vertente sul diritto dell’Unione rilevante nella controversia al fine di stabilire il carattere sufficientemente grave della violazione di tale diritto ad opera dello Stato membro.


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).


3 – GU L 257, pag. 2.


4 – C‑162/09, EU:C:2010:592.


5 – C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428.


6 – EU:C:2010:592.


7 – Punto 40. Il corsivo è mio.


8 –      C‑529/11, EU:C:2013:290.


9 – Punto 42.


10 – Punto 46.


11 – Punto 47.


12 – C‑40/11, EU:C:2012:691.


13 –      V. punti da 57 a 60.


14 –      Punto 35 di tale sentenza.


15 – 267/83, EU:C:1985:67.


16 – Punto 18.


17 – Punto 20.


18 – 249/86, EU:C:1989:204.


19 – Punto 12.


20 – Punto 13.


21 – C‑378/12, EU:C:2014:13.


22 – Punto 23.


23 – C‑378/12, EU:C:2013:640.


24 –      V., in tal senso, sentenza Iida (EU:C:2012:691, punto 61).


25 –      V. sentenza Onuekwere (EU:C:2014:13, punti 24 e 25).


26 –      Ibidem (punto 30).


27 –      V. considerando 5 della direttiva 2004/38.


28 –      V. sentenza Leth (C‑420/11, EU:C:2013:166, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).


29 –      Ibidem (punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


30 –      V. sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame (C‑46/93 e C‑48/93, EU:C:1996:79, punto 55).


31 –      V. sentenza Traghetti del Mediterraneo (C‑173/03, EU:C:2006:391, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


32 –      V. paragrafo 66 delle sue conclusioni nella causa Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:207).