Language of document : ECLI:EU:C:2011:637

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 6 ottobre 2011 (1)

Causa C‑366/10

The Air Transport Association of America e a.

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla High Court of Justice of England and Wales, Queen’s Bench Division, Administrative Court (Regno Unito)]

«Ambiente – Gas a effetto serra – Quote di emissioni – Sistema UE di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra (“sistema UE di scambio di emissioni”) – Inclusione delle attività di trasporto aereo – Trasporto aereo internazionale – Diritto internazionale – Compatibilità di norme di diritto derivato dell’Unione con accordi internazionali e con il diritto internazionale consuetudinario – Direttive 2003/87/CE e 2008/101/CE»





Indice


I – Introduzione

II – Contesto normativo

A – Diritto internazionale

1. La Convenzione di Chicago

2. Il Protocollo di Kyoto

3. L’Accordo «open skies» tra l’UE e gli USA

B – Diritto dell’Unione

C – Diritto nazionale

III – Causa principale

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

V – Analisi

A – Quanto all’utilizzazione di accordi internazionali e di principi di diritto internazionale consuetudinario quali criteri per la verifica della validità della direttiva 2008/101 (prima questione)

1. Accordi internazionali [prima questione, lett. e)‑g)]

a) La Convenzione di Chicago [prima questione, lett. e)]

i) Insussistenza di un vincolo al rispetto della Convenzione di Chicago fondato sull’art. 351 TFUE

ii) Insussistenza di un vincolo al rispetto della Convenzione di Chicago fondato sulla successione di competenze

iii) Conclusione parziale

b) Il Protocollo di Kyoto e l’Accordo «open skies» [prima questione, lett. f) e g)]

i) Osservazione preliminare

ii) Il Protocollo di Kyoto [prima questione, lett. g)]

– Natura e struttura del protocollo di Kyoto

– Art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto

iii) L’Accordo «open skies» [prima questione, lett. f)]

– Natura e struttura dell’Accordo «open skies»

– Carattere incondizionato e sufficientemente preciso, sotto il profilo del loro contenuto, delle disposizioni dell’Accordo «open skies» qui controverse

iv) Conclusione parziale

2. Diritto internazionale consuetudinario [prima questione, lett. a)‑d)]

a) Quanto all’esistenza dei principi di diritto internazionale consuetudinario qui controversi e alla sussistenza in capo all’Unione europea di un vincolo al rispetto dei medesimi

i) La sovranità degli Stati sul loro spazio aereo [prima questione, lett. a)]

ii) Illegittimità delle rivendicazioni di sovranità sull’alto mare [prima questione, lett. b)]

iii) La libertà di volo sull’alto mare [prima questione, lett. c)]

iv) La supposta giurisdizione esclusiva sugli aeromobili sorvolanti l’alto mare [prima questione, lett. d)]

b) Quanto all’idoneità dei principi di diritto internazionale consuetudinario qui in discussione a fungere da criteri per una verifica di validità in una causa instaurata da persone fisiche o giuridiche

3. Conclusione parziale

B – Quanto alla compatibilità della direttiva 2008/101 con gli accordi internazionali e con i principi di diritto internazionale consuetudinario richiamati (seconda, terza e quarta questione pregiudiziale)

1. Compatibilità con determinati principi di diritto internazionale consuetudinario (seconda questione)

a) Quanto alla mancanza di un’efficacia extraterritoriale del sistema UE di scambio di emissioni

b) Quanto all’esistenza di un sufficiente elemento di collegamento territoriale

c) Quanto alla mancanza di un pregiudizio per la sovranità di Stati terzi

d) Conclusione parziale

2. Compatibilità con determinati accordi internazionali (terza e quarta questione)

a) Legittimità dell’inclusione delle parti di volo effettuate al di fuori dello spazio aereo dell’Unione nel sistema UE di scambio di emissioni (terza questione)

i) Compatibilità con gli artt. 1, 11 e 12 della Convenzione di Chicago [terza questione, lett. a)]

ii) Compatibilità con l’art. 7 dell’Accordo «open skies» [terza questione, lett. b)]

b) Legittimità dell’iniziativa autonoma adottata dall’Unione europea al di fuori dell’ICAO [quarta questione, lett. a)]

i) Compatibilità con l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto

ii) Compatibilità con l’art. 15, n. 3, dell’Accordo «open skies»

– Insussistenza di norme ambientali confliggenti adottate dall’ICAO

– Insussistenza di una violazione del divieto di discriminazioni stabilito dall’Accordo «open skies»

– Assenza di un divieto di iniziative autonome al di fuori del quadro dell’ICAO

c) Insussistenza di una violazione del divieto di imposizione di oneri sull’entrata o sull’uscita di aeromobili [quarta questione, lett. b)]

d) Insussistenza di una violazione del divieto di applicazione di imposte e oneri sui carburanti [quarta questione, lett. c)]

i) Quanto al divieto di accise sui carburanti

ii) Quanto al divieto di dazi doganali sul carburante

iii) Conclusione parziale

C – Riepilogo

VI – Conclusione


I –    Introduzione

1.        Il sistema di scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra, deliberato dall’Unione europea nel 2003, costituisce un caposaldo fondamentale della politica europea di protezione del clima (2). Tale sistema, da un lato, è inteso alla realizzazione di importanti obiettivi fissati dalle istituzioni europee in materia di politica ambientale; dall’altro, serve a dare esecuzione ad obblighi assunti dall’Unione e dai suoi Stati membri a partire dagli anni ’90 nell’ambito delle Nazioni Unite, in particolare quelli derivanti dal cosiddetto Protocollo di Kyoto.

2.        La direttiva 2008/101/CE (3) prevede che a partire dal 1° gennaio 2012 anche il trasporto aereo verrà incluso in tale sistema UE di scambio di quote di emissioni.

3.        A ciò si oppongono varie compagnie aeree ed associazioni di compagnie aeree con sede negli Stati Uniti d’America (USA) e in Canada. Davanti alla High Court of Justice of England and Wales esse impugnano le misure adottate dal Regno Unito per la trasposizione della direttiva 2008/101. Al riguardo sostengono che l’Unione europea, includendo il trasporto aereo internazionale – segnatamente quello transatlantico – nel proprio sistema di scambio di quote di emissioni, viola una serie di principi di diritto internazionale consuetudinario nonché vari accordi internazionali.

4.        La Corte viene ora chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità della direttiva 2008/101. La sua decisione potrebbe essere di capitale importanza non soltanto per il futuro atteggiarsi della politica europea di protezione del clima, ma anche più in generale per i rapporti tra il diritto dell’Unione e il diritto internazionale. Occorrerà in particolare stabilire se e in quale misura i singoli possano far valere in sede giurisdizionale determinati accordi internazionali e principi di diritto internazionale consuetudinario per ottenere la caducazione di un atto giuridico dell’Unione europea.

II – Contesto normativo

A –    Diritto internazionale

5.        Nella domanda di pronuncia pregiudiziale si fa riferimento, da un lato, a determinati principi di diritto internazionale consuetudinario e, dall’altro, a vari accordi internazionali, in particolare alla Convenzione di Chicago, al Protocollo di Kyoto e al cosiddetto Accordo «open-skies» tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America.

1.      La Convenzione di Chicago

6.        L’Unione europea non è parte contraente della Convenzione relativa all’aviazione civile internazionale, conclusa a Chicago il 7 dicembre 1944 (4) (in prosieguo: la «Convenzione di Chicago»), ma lo sono tutti i suoi 27 Stati membri. Il capo I della Convenzione («Principi generali e applicazione della Convenzione») contiene, all’art. 1, una norma riguardante la sovranità sullo spazio aereo:

«Gli Stati contraenti riconoscono che ogni Stato ha la sovranità piena ed esclusiva sullo spazio aereo al disopra del suo territorio».

7.        Nell’ambito del capo II della Convenzione di Chicago («Volo al disopra del territorio degli Stati contraenti»), l’art. 11, intitolato «Applicabilità delle norme sulla navigazione aerea», così dispone:

«Ferme restando le disposizioni della presente Convenzione, le leggi e i regolamenti di uno Stato contraente che disciplinano l’entrata e l’uscita dal suo territorio degli aeromobili adibiti alla navigazione aerea internazionale, o che regolano l’esercizio e la navigazione di detti aeromobili all’interno del suo territorio, sono applicabili, senza distinzione di nazionalità, agli aeromobili di tutti gli Stati contraenti; tali aeromobili dovranno conformarsi alle leggi ed ai regolamenti suddetti all’entrata, all’uscita e all’interno del territorio di questo Stato».

8.        Inoltre, all’art. 12 della medesima Convenzione, dal titolo «Norme aeronautiche», si stabilisce quanto segue:

«Ogni Stato contraente si obbliga a prendere provvedimenti per garantire che ogni aeromobile che sorvola il suo territorio o che manovra al disopra di esso, come pure ogni aeromobile munito di contrassegno della sua nazionalità, dovunque esso si trovi, si conformi alle norme e ai regolamenti ivi vigenti relativi al volo e alle manovre degli aeromobili. Ogni Stato contraente si obbliga ad uniformare, per quanto possibile, i propri regolamenti in materia a quelli che potranno essere stabiliti in applicazione della presente Convenzione. Sull’alto mare, le norme vigenti sono quelle stabilite ai sensi della presente Convenzione. Ogni Stato contraente si impegna a procedere contro chiunque contravvenga ai regolamenti applicabili».

9.        Sotto il titolo «Diritti aeroportuali e altre analoghe imposizioni», l’art. 15 della Convenzione di Chicago detta la seguente disciplina:

«Ogni aeroporto situato in uno Stato contraente e aperto per uso pubblico agli aeromobili di questo Stato è aperto anche, a condizioni uniformi (...), agli aeromobili di tutti gli altri Stati contraenti. (...)

I diritti che uno Stato contraente può riscuotere o permettere di riscuotere per l’utilizzazione dei suddetti aeroporti, impianti e servizi di navigazione aerea da parte degli aeromobili di un altro Stato contraente non debbono superare:

a)      per gli aeromobili non impiegati in servizi aerei internazionali regolari, i diritti che verrebbero pagati dai propri aeromobili nazionali della stessa classe adibiti a servizi analoghi;

b)      per gli aeromobili impiegati in servizi aerei internazionali regolari, i diritti che verrebbero pagati dai propri aeromobili nazionali adibiti a servizi aerei internazionali analoghi.

Tutti questi diritti debbono essere pubblicati e comunicati all’Organizzazione internazionale dell’Aviazione civile (...). Nessuno Stato contraente applicherà diritti, tasse o altri oneri per il mero diritto di transito o di entrata nel suo territorio o di uscita dallo stesso di qualsivoglia aeromobile di uno Stato contraente, ovvero di persone o beni a bordo del medesimo».

10.      Nel capo IV della Convenzione di Chicago («Misure di facilitazione della navigazione aerea») si trova l’art. 24, dedicato ai «Dazi doganali», che si riporta qui sotto per estratto:

«a)      Gli aeromobili in volo verso il territorio di un altro Stato contraente oppure provenienti da esso o in transito sullo stesso sono temporaneamente esenti da dazi, con la riserva di quanto dispongono i regolamenti doganali di tale Stato. I carburanti (...) che si trovano in un aeromobile di uno Stato contraente al suo arrivo nel territorio di un altro Stato contraente e che si trovano ancora a bordo al momento della sua partenza da questo territorio, sono esenti da dazi doganali, spese di visita o altri diritti e oneri del genere, sia nazionali che locali. (...)

(...)».

11.      Mediante la Convenzione di Chicago è stata creata l’Organizzazione internazionale dell’Aviazione civile (ICAO), che dal 1947 possiede lo status di organizzazione speciale delle Nazioni Unite (5). Di essa fanno parte tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea, mentre l’Unione di per sé stessa gode all’interno dell’ICAO soltanto di uno status di osservatore. L’ICAO può emanare norme giuridicamente vincolanti, ma può anche emettere raccomandazioni non vincolanti con finalità politico‑normativa.

2.      Il Protocollo di Kyoto

12.      Il Protocollo di Kyoto annesso alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (in prosieguo: il «Protocollo di Kyoto») (6) è stato stipulato l’11 dicembre 1997 ed è entrato in vigore il 16 febbraio 2005. Esso è stato ratificato tanto dalla Comunità europea dell’epoca (7), quanto da tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea.

13.      Nel Protocollo di Kyoto, quelle tra le parti contraenti che sono considerate «paesi sviluppati» (8) hanno assunto degli obblighi per la limitazione o la riduzione delle loro emissioni di gas a effetto serra di origine antropica. Da ciò consegue un obbligo complessivo per l’Unione europea e i suoi Stati membri, per il periodo 2008‑2012, di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra dell’8% al di sotto del livello del 1990 (9).

14.      A norma dell’art. 2, n. 1, lett. a), punto vii), del Protocollo di Kyoto, tra le possibili misure che le parti contraenti del suddetto Protocollo adotteranno per adempiere agli obblighi di limitazione e riduzione delle emissioni ad esse incombenti rientrano anche:

«Adozione di misure volte a limitare e/o ridurre le emissioni di gas ad effetto serra non inclusi nel protocollo di Montreal nel settore dei trasporti».

15.      All’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto si stabilisce inoltre quanto segue:

«Le Parti incluse nell’Allegato I cercheranno di limitare o ridurre le emissioni di gas ad effetto serra non inclusi nel protocollo di Montreal generati da combustibili utilizzati nel trasporto aereo e marittimo, operando con l’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile e l’Organizzazione Internazionale Marittima».

3.      L’Accordo «open skies» tra l’UE e gli USA

16.      L’Accordo sui trasporti aerei tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e gli Stati Uniti d’America, dall’altro (10) (in prosieguo: l’«Accordo “open skies”»), è stato firmato nell’aprile 2007 ed è stato modificato in più punti mediante un Protocollo in data 24 giugno 2010 (in prosieguo: il «Protocollo di modifica del 2010») (11). L’Accordo «open skies» è stato applicato in via provvisoria nel suo testo originario a partire dal 30 marzo 2008 (12), e trova applicazione – sempre in via provvisoria – nella versione di cui al Protocollo di modifica del 2010 a far data dal 24 giugno 2010 (13).

17.      All’art. 2 dell’Accordo «open skies», il principio delle «eque e pari opportunità» viene fissato nei seguenti termini:

«Ciascuna parte accorda alle compagnie aeree di entrambe le parti eque e pari opportunità di competere nella fornitura del trasporto aereo internazionale disciplinato dal presente accordo».

18.      All’art. 3 dell’Accordo «open skies», intitolato «Concessione di diritti», e più precisamente nel n. 4 di tale articolo, si dispone quanto segue:

«Ciascuna parte accorda a ciascuna compagnia aerea la facoltà di determinare la frequenza e la capacità del trasporto aereo internazionale che essa offre in base a considerazioni commerciali di mercato. In virtù di tale diritto, nessuna delle parti limita unilateralmente il volume del traffico, la frequenza o la regolarità del servizio né il tipo o i tipi di aeromobili operati dalle compagnie aeree dell’altra parte, né impone la notificazione ufficiale di orari, programmi di voli charter o piani operativi da parte delle compagnie aeree dell’altra parte, salvo che per motivi doganali, tecnici, operativi o ambientali (in coerenza con quanto disposto dall’articolo 15) a condizioni uniformi in coerenza con l’articolo 15 della convenzione [di Chicago]».

19.      L’art. 7 dell’Accordo «open skies», dedicato all’«Applicazione della legislazione», detta la seguente disciplina:

«1.      Le disposizioni legislative e regolamentari di una parte che disciplinano l’ammissione o la partenza dal proprio territorio di aeromobili impiegati nella navigazione aerea internazionale o l’esercizio e la navigazione di tali aeromobili durante la permanenza all’interno del proprio territorio si applicano agli aeromobili utilizzati dalle compagnie aeree dell’altra parte e devono essere osservate da tali aeromobili all’entrata, all’uscita e durante la permanenza nel territorio della prima parte.

2.      Le disposizioni legislative e regolamentari di una parte che disciplinano sul suo territorio l’ammissione o la partenza di passeggeri, equipaggi o merci degli aeromobili [quali i regolamenti riguardanti l’ingresso, lo sdoganamento, l’immigrazione, i passaporti, la materia doganale e le misure sanitarie (quarantena) o, nel caso della posta, i regolamenti postali] devono essere osservate da, o per conto di, tali passeggeri, equipaggi o merci delle compagnie aeree dell’altra parte all’entrata, all’uscita e durante la permanenza nel territorio della prima parte».

20.      L’art. 11 dell’Accordo «open skies», intitolato «Dazi doganali e altre tasse», reca la seguente norma:

«1.      All’arrivo nel territorio di una parte, gli aeromobili utilizzati per il trasporto aereo internazionale dalle compagnie aeree dell’altra parte (...) sono esenti, su base di reciprocità, da tutte le restrizioni alle importazioni, imposte sulla proprietà e sul capitale, dazi doganali, accise, diritti ed oneri analoghi che sono a) imposti dalle autorità nazionali o dalla Comunità europea e b) non sono basati sul costo dei servizi forniti, purché dette attrezzature e dotazioni rimangano a bordo dell’aeromobile.

2.      Su base di reciprocità, sono parimenti esenti dalle imposte, tasse, dazi, diritti e oneri di cui al paragrafo 1 del presente articolo, ad eccezione degli oneri corrispondenti al costo dei servizi prestati:

(...)

c)      carburante, lubrificanti e materiale tecnico di consumo introdotto o fornito nel territorio di una parte per essere utilizzato nell’aeromobile di una compagnia aerea dell’altra parte utilizzato nel trasporto aereo internazionale, anche quando tali forniture sono destinate ad essere utilizzate in un tratto della rotta sopra il territorio della parte nella quale sono state imbarcate;

(...)».

21.      All’art. 15 dell’Accordo «open skies» viene dettata una norma dal titolo «Ambiente», la quale – nel testo introdotto dal Protocollo di modifica del 2010 – dispone, nella parte qui di interesse, quanto segue (14):

«1.      Le parti riconoscono l’importanza della protezione dell’ambiente in sede di definizione e attuazione della politica dell’aviazione internazionale. Le parti riconoscono che, nel quadro dello sviluppo della politica dell’aviazione internazionale, i costi e i benefici delle misure dirette a proteggere l’ambiente devono essere attentamente valutati, e, ove opportuno, propongono congiuntamente soluzioni globali efficaci. Pertanto, le parti intendono lavorare insieme per limitare o ridurre, in modo economicamente ragionevole, l’impatto dell’aviazione internazionale sull’ambiente.

2.      Quando valuta la possibilità di adottare misure ambientali proposte a livello regionale, nazionale o locale, ciascuna delle parti deve prendere in considerazione il loro possibile impatto negativo sull’esercizio dei diritti contemplati dal presente accordo e, qualora le suddette misure vengano adottate, deve prendere le opportune iniziative per attenuare il loro impatto negativo. Su richiesta di una delle parti, l’altra parte deve fornire una descrizione di tale valutazione e delle fasi di attenuazione dell’impatto negativo.

3.      Quando sono stabilite misure ambientali, sono osservate le norme ambientali applicabili all’aviazione adottate dall’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale negli allegati della convenzione [di Chicago], salvo qualora siano state notificate differenze. Le parti applicano tutte le misure ambientali che incidono sui servizi aerei contemplat[i] dal presente accordo a norma dell’articolo 2 e dell’articolo 3, paragrafo 4, dell’accordo stesso.

4.      Le parti ribadiscono l’impegno degli Stati membri e degli Stati Uniti ad applicare il principio di “approccio equilibrato”.

(...)

7.      Se richiesto dalle parti, il comitato misto, assistito dagli esperti, deve lavorare per sviluppare raccomandazioni concernenti le questioni di una possibile sovrapposizione e dell’uniformità delle misure basate sul mercato riguardanti le emissioni dell’aviazione attuate dalle parti, con l’intenzione di evitare la duplicazione di misure e di costi e di ridurre, per quanto possibile, il carico amministrativo gravante sulle compagnie aeree. L’attuazione di tali raccomandazioni è soggetta all’approvazione interna o alla ratifica che può essere eventualmente richiesta da ciascuna delle parti.

8.      Se ritiene che una questione relativa alla protezione dell’ambiente nel settore dell’aviazione [– comprese eventuali nuove misure proposte –] sollevi preoccupazioni in rapporto all’applicazione o all’attuazione del presente accordo, ciascuna parte contraente può chiedere una riunione del comitato misto di cui all’articolo 18 allo scopo di esaminare la questione e individuare risposte adeguate alle preoccupazioni che risultino fondate».

B –    Diritto dell’Unione

22.      Il sistema vigente nell’Unione europea per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra (in prosieguo: il «sistema UE di scambio di emissioni») serve alla limitazione e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra mediante strumenti orientati al mercato. Tale sistema – talvolta designato anche con l’espressione inglese «cap and trade» – è stato istituito dalla direttiva 2003/87/CE (15) e vale per l’intero Spazio economico europeo (SEE) (16).

23.      A mente del suo quinto ‘considerando’, la direttiva 2003/87 si propone, non ultimo tra i suoi obiettivi, quello dell’adempimento dei seguenti obblighi imposti all’Unione dal Protocollo di Kyoto:

«La Comunità e i suoi Stati membri hanno convenuto di adempiere gli impegni a ridurre le emissioni antropiche dei gas a effetto serra di cui al protocollo di Kyoto, ai sensi della decisione 2002/358/CE. La presente direttiva è intesa a contribuire ad un più efficace adempimento degli impegni da parte della Comunità europea e dei suoi Stati membri mediante un efficiente mercato europeo delle quote di emissione dei gas a effetto serra, con la minor riduzione possibile dello sviluppo economico e dell’occupazione».

24.      In origine le emissioni di gas a effetto serra imputabili al trasporto aereo non rientravano nel sistema UE di scambio di emissioni. Tuttavia, nel 2008 il legislatore dell’Unione ha deciso di includere il trasporto aereo nel sistema, e ciò con effetto dal 1° gennaio 2012. Pertanto, a partire dal 2012 tutte le compagnie aeree – anche quelle di Stati terzi – dovranno acquistare e corrispondere quote di emissioni per i loro voli da e verso aerodromi europei. A tal fine la direttiva 2003/87 è stata modificata e integrata dalla direttiva 2008/101 (17).

25.      La direttiva modificata contiene un nuovo capo II intitolato «Trasporti aerei» e comprendente gli artt. 3 bis‑3 octies. L’ambito di applicazione di tale capo viene definito all’art. 3 bis come segue:

«Le disposizioni del presente capo si applicano all’assegnazione e al rilascio di quote per le attività di trasporto aereo elencate nell’allegato I».

Giusta la definizione contenuta nell’allegato I della direttiva modificata, costituiscono attività di trasporto aereo ai sensi della direttiva i «[v]oli in partenza da o in arrivo a un aerodromo situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del trattato» (18).

Nell’allegato IV, parte B, della direttiva modificata si stabilisce inoltre che il calcolo delle emissioni prodotte dalle attività di trasporto aereo si effettua in base alla formula «consumo di combustibile x fattore di emissione». Dal medesimo allegato risulta inoltre che, per calcolare l’entità dell’attività di trasporto aereo svolta dagli operatori aerei, si ricorre alla formula «tonnellate‑chilometro = distanza x carico pagante», e che in tale contesto per «distanza» si intende la distanza ortodromica tra l’aerodromo di partenza e l’aerodromo di arrivo maggiorata di un fattore fisso aggiuntivo di 95 km.

26.      L’art. 3 quater della direttiva modificata, disciplinante la «Quantità totale di quote assegnate al trasporto aereo», così dispone:

«1.      La quantità totale di quote da assegnare agli operatori aerei per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2012 e il 31 dicembre 2012 è equivalente al 97% delle emissioni storiche del trasporto aereo.

2.      Per il periodo (...) che ha inizio il 1° gennaio 2013 e, in mancanza di modifiche (...), per ogni periodo successivo, la quantità totale di quote da assegnare agli operatori aerei corrisponde al 95% delle emissioni storiche del trasporto aereo moltiplicato per il numero di anni che costituiscono il periodo.

(...)» (19).

27.      L’art. 3 quinquies della direttiva modificata, dal titolo «Metodo di assegnazione delle quote al trasporto aereo mediante vendita all’asta», reca la norma seguente:

«1.      Nel periodo indicato all’articolo 3 quater, paragrafo 1, è messo all’asta il 15% delle quote.

2.      A decorrere dal 1° gennaio 2013 è messo all’asta il 15% delle quote. Tale percentuale può essere aumentata nel quadro del riesame generale della presente direttiva.

(...)

4.      Spetta agli Stati membri stabilire l’uso che deve essere fatto dei proventi derivanti dalla vendita all’asta di quote. Tali proventi dovrebbero essere utilizzati per lottare contro i cambiamenti climatici nell’Unione europea e nei paesi terzi (...).

(...)».

28.      Nel capo IV della direttiva modificata («Disposizioni applicabili al trasporto aereo e agli impianti fissi»), l’art. 12, n. 2 bis, riferendosi al trasferimento, alla restituzione e alla cancellazione di quote, stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri di riferimento si accertano [che], entro il 30 aprile di ogni anno, (...) ciascun operatore aereo restituisca un numero di quote corrispondente alle emissioni complessive prodotte nell’anno civile precedente dalle attività di trasporto aereo elencate nell’allegato I per le quali l’operatore in questione è l’operatore aereo, come verificate a norma dell’articolo 15. Gli Stati membri garantiscono che le quote restituite conformemente al presente paragrafo siano successivamente cancellate».

29.      Ai sensi dell’art. 16 della direttiva modificata, gli Stati membri debbono dare attuazione effettiva al previsto sistema di scambio di quote di emissioni di gas ad effetto serra e prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive a fronte di eventuali violazioni. Tali sanzioni possono spingersi fino al divieto di esercizio dell’attività, il quale può eventualmente essere disposto dalla Commissione su istanza di uno Stato membro. I nomi degli operatori aerei che hanno violato gli obblighi ad essi incombenti in forza del sistema di diritti di emissione devono essere pubblicati.

30.      L’art. 25 bis della direttiva modificata, intitolato «Provvedimenti adottati da paesi terzi per ridurre l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici», recita:

«1.      Qualora un paese terzo adotti provvedimenti finalizzati a ridurre l’impatto, in termini di cambiamenti climatici, dei voli in partenza dal proprio territorio e diretti verso la Comunità, la Commissione, dopo essersi consultata con tale paese terzo e con gli Stati membri (...), valuta le opzioni disponibili al fine di garantire un’interazione ottimale tra il sistema comunitario e i provvedimenti adottati da tale paese.

Se necessario, la Commissione può adottare modifiche per garantire che i voli in arrivo dal paese terzo in questione siano esclusi dalle attività di trasporto aereo elencate nell’allegato I o per garantire eventuali altre modifiche delle attività di trasporto aereo elencate nell’allegato I (...). (...)

(...)

2.      La Comunità e i suoi Stati membri proseguono la ricerca di un accordo su misure globali per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra provenienti dal trasporto aereo. Alla luce di qualsiasi accordo in tal senso, la Commissione valuta se sia necessario modificare la presente direttiva per quanto attiene agli operatori aerei».

31.      Per completezza va richiamato il preambolo della direttiva 2008/101, i cui ‘considerando’ ottavo, nono, decimo, undicesimo e diciassettesimo enunciano quanto segue:

«(8)      Il protocollo di Kyoto (...) impone ai paesi sviluppati di limitare o ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra non inclusi nel protocollo di Montreal generati dal trasporto aereo, operando con l’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO).

(9)      Anche se la Comunità non è parte contraente della [Convenzione di Chicago], tutti gli Stati membri lo sono e sono membri dell’ICAO. Gli Stati membri continuano a sostenere, con altri Stati all’interno dell’ICAO, le iniziative volte a mettere a punto misure, strumenti di mercato compresi, per affrontare l’impatto del trasporto aereo sui cambiamenti climatici. Alla sesta riunione del comitato ICAO sulla protezione dell’ambiente nel settore aereo, tenutasi nel 2004, si è giunti alla conclusione che un sistema di scambio delle emissioni concepito appositamente per il settore aereo e fondato su un nuovo strumento giuridico predisposto sotto la responsabilità dell’ICAO non fosse sufficientemente interessante e che fosse dunque preferibile non proseguire in tale direzione. Per questo motivo la risoluzione A35‑5 della 35ª assemblea dell’ICAO, svoltasi nel settembre del 2004, non ha proposto un nuovo strumento giuridico, bensì ha sostenuto uno scambio aperto delle quote di emissione e la possibilità che gli Stati tengano conto delle emissioni prodotte dai trasporti aerei internazionali nel contesto dei rispettivi sistemi di scambio delle emissioni. Nell’appendice L della risoluzione A36‑22 della 36ª assemblea dell’ICAO, svoltasi nel settembre del 2007, si esortano gli Stati contraenti a non applicare sistemi per lo scambio di emissioni nei confronti degli operatori aerei di altri Stati contraenti, salvo accordo reciproco di questi Stati. Ricordando che la convenzione di Chicago riconosce espressamente il diritto di ciascuna parte contraente di applicare senza discriminazioni le proprie leggi e i propri regolamenti agli aeromobili di tutti gli Stati, gli Stati membri della Comunità europea e altri 15 Stati europei hanno espresso una riserva sulla risoluzione e si sono riservati il diritto, ai sensi della convenzione di Chicago, di [adottare] e applicare, senza discriminazioni, misure di mercato a tutti gli operatori aerei di tutti gli Stati che forniscono servizi verso, a partire da o nel loro territorio.

(10)      Il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, istituito dalla decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (...), stabiliva che la Comunità individuasse e intraprendesse azioni specifiche per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nel settore dell’aviazione se, entro il 2002, non fossero state approvate azioni analoghe in seno all’ICAO. Nelle conclusioni dell’ottobre 2002, del dicembre 2003 e dell’ottobre 2004, il Consiglio ha ripetutamente invitato la Commissione a proporre azioni per ridurre l’impatto del trasporto aereo internazionale sui cambiamenti climatici.

(11)      È opportuno che a livello di Comunità e di Stati membri siano attuate politiche e misure in tutti i settori dell’economia comunitaria, così da generare le significative riduzioni necessarie. Se l’impatto del settore aereo in termini di cambiamenti climatici continua ad aumentare al ritmo attuale, le riduzioni ottenute in altri settori per combattere i cambiamenti climatici saranno seriamente compromesse.

(...)

(17)      La Comunità e i suoi Stati membri dovrebbero proseguire i loro sforzi al fine di pervenire ad un accordo sulle misure globali per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra provenienti dal settore dell’aviazione. Il sistema comunitario potrebbe servire come modello da applicare su scala mondiale per lo scambio di quote di emissioni. La Comunità e i suoi Stati membri dovrebbero restare in contatto con le parti terze nel corso dell’applicazione della presente direttiva e stimolare i paesi terzi ad adottare misure equivalenti. Se un paese terzo adotta misure con effetti ambientali almeno equivalenti a quelli della presente direttiva in termini di riduzione dell’impatto climatico dei voli verso la Comunità, la Commissione dovrebbe valutare le opzioni disponibili per provvedere ad un’interazione ottimale tra il sistema comunitario e le misure del paese in questione, dopo averlo consultato. I sistemi di scambio di quote di emissioni sviluppati in paesi terzi sono intesi a prefigurare un’interazione ottimale con il sistema comunitario per quanto riguarda la loro copertura dell’aviazione. Gli accordi bilaterali per collegare il sistema comunitario ad altri sistemi di scambio di quote di emissioni onde costituire un sistema comune o tenere in conto le misure equivalenti per evitare una doppia regolamentazione possono rappresentare un passo verso accordi globali. In caso di conclusione di siffatti accordi bilaterali, la Commissione può rettificare i tipi di attività aviatorie comprese nel sistema comunitario, con inclusione degli adeguamenti risultanti della quantità complessiva di quote da assegnare agli operatori aerei».

C –    Diritto nazionale

32.      Nell’ordinamento del Regno Unito la normativa rilevante in materia è costituita dalle Aviation Greenhouse Gas Emissions Trading Scheme Regulations 2009 (20) (in prosieguo: le «Regulations del 2009»), le quali contengono una parte delle misure nazionali di trasposizione della direttiva 2008/101 (21).

III – Causa principale

33.      Dinanzi alla High Court of Justice of England and Wales (Queen’s Bench Division, Administrative Court), odierno giudice del rinvio, è pendente un ricorso volto a contestare le Regulations del 2009.

34.      Tale ricorso è stato proposto il 16 dicembre 2009 da quattro ricorrenti con sede negli USA, ossia la Air Transport Association of America (ATAA), la American Airlines (AA), la Continental Airlines (Continental) e la United Air Lines (UAL). La ATAA è un’associazione commerciale e di servizi composta da compagnie aeree degli Stati Uniti, la quale non persegue scopi di lucro. La AA, la Continental e la UAL sono tre compagnie aeree con sede negli USA e operanti a livello mondiale, che effettuano voli anche a destinazione dell’Unione europea. Lo Stato membro di riferimento competente per dette ricorrenti ai sensi del sistema UE di scambio di emissioni è il Regno Unito (22).

35.      Parte resistente in giudizio è il Ministro per l’Energia e i Cambiamenti climatici (23) del Regno Unito, in quanto organo nazionale competente in via principale per la trasposizione della direttiva 2008/101.

36.      Altri soggetti sono intervenuti nella causa principale a sostegno delle ricorrenti oppure del resistente. Hanno proposto intervento a favore delle ricorrenti altre due associazioni (24): da un lato, la International Air Transport Association (IATA), un’associazione internazionale di compagnie aeree, e, dall’altro, il National Airlines Council of Canada (NACC), un’associazione di compagnie aeree canadesi. A favore del resistente sono intervenute complessivamente cinque associazioni ambientaliste (25), e precisamente la Aviation Environment Federation (AEF), la Sezione britannica del World Wide Fund For Nature (WWF‑UK), la European Federation for Transport and Environment (EFTE), l’Environmental Defense Fund (EDF) ed Earthjustice.

37.      In sostanza le ricorrenti, sostenute dalle associazioni intervenute in loro favore, lamentano che la direttiva 2008/101 – alla cui trasposizione sono intese le Regulations del 2009 – sarebbe incompatibile con il diritto internazionale e dunque invalida. Il resistente e i soggetti intervenuti a suo sostegno sostengono invece una tesi diametralmente opposta.

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

38.      Con ordinanza in data 8 luglio 2010, pervenuta in cancelleria il 22 luglio successivo, la High Court of Justice of England and Wales (Queen’s Bench Division, Administrative Court) ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, nel caso di specie, alcune delle seguenti norme di diritto internazionale, o la totalità di esse, possano essere invocate per contestare la validità della direttiva 2003/87/CE, così come modificata dalla direttiva 2008/101/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema UE di scambio di quote di emissioni (...):

a)      il principio di diritto internazionale consuetudinario secondo cui ciascuno Stato ha sovranità piena ed esclusiva sul proprio spazio aereo;

b)      il principio di diritto internazionale consuetudinario secondo cui nessuno Stato può validamente pretendere di assoggettare alla propria sovranità una parte qualsivoglia dell’alto mare;

c)      il principio di diritto internazionale consuetudinario della libertà di sorvolo dell’alto mare;

d)      il principio di diritto internazione consuetudinario (la cui esistenza viene contestata dal resistente) secondo cui gli aeromobili che sorvolano l’alto mare sono assoggettati alla giurisdizione esclusiva dello Stato in cui sono immatricolati, salvo diversa previsione espressa contenuta in un trattato internazionale;

e)      la Convenzione di Chicago (in particolare gli artt. 1, 11, 12, 15 e 24);

f)      l’Accordo “open skies” [in particolare gli artt. 7, 11, n. 2, lett. c), e 15, n. 3];

g)      il Protocollo di Kyoto (in particolare, l’art. 2, n. 2).

In caso di soluzione affermativa della questione sub 1):

2)      Se la direttiva modificata, qualora e nella misura in cui applichi il sistema per lo scambio di quote di emissioni a quelle parti di volo (sia in generale, sia limitatamente ad aeromobili immatricolati in Stati terzi) che si svolgono al di fuori dello spazio aereo degli Stati membri dell’UE, sia invalida per violazione di uno, o più d’uno, dei principi di diritto internazionale consuetudinario sopra menzionati.

3)      Se la direttiva modificata, qualora e nella misura in cui applichi il sistema per lo scambio di quote di emissioni a quelle parti di volo (sia in generale, sia limitatamente ad aeromobili immatricolati in Stati terzi) che si svolgono al di fuori dello spazio aereo degli Stati membri dell’UE, sia invalida:

a)      per violazione degli artt. 1, 11 e/o 12 della Convenzione di Chicago;

b)      per violazione dell’art. 7 dell’Accordo “open skies”.

4)      Se la direttiva modificata, nella misura in cui applica il sistema per lo scambio di quote di emissioni alle attività di trasporto aereo, sia invalida:

a)      per violazione dell’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto e dell’art. 15, n. 3, dell’Accordo “open skies”;

b)      per violazione dell’art. 15 della Convenzione di Chicago, letto da solo o in combinato disposto con gli artt. 3, n. 4, e 15, n. 3, dell’Accordo “open skies”;

c)      per violazione dell’art. 24 della Convenzione di Chicago, letto da solo o in combinato disposto con l’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo “open skies”».

39.      Alla fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte hanno preso parte i seguenti soggetti: le ricorrenti nella causa principale, le parti intervenute a sostegno delle ricorrenti medesime e del resistente nella causa principale, i governi di Belgio, Germania, Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Svezia, Regno Unito, Islanda e Norvegia, nonché il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea.

40.      Il 5 luglio 2011 si è svolta dinanzi alla Corte un’udienza alla quale hanno preso parte i rappresentanti di tutti i soggetti intervenuti nella fase scritta del procedimento – fatta eccezione per i governi di Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi, Austria e Islanda – nonché quelli del governo danese.

V –    Analisi

41.      Le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno affermano che l’inclusione del trasporto aereo internazionale nel sistema di scambio di emissioni dell’Unione europea è incompatibile con una serie di principi di diritto internazionale consuetudinario, nonché con vari accordi internazionali. Per tale motivo la direttiva 2008/101, mediante la quale il sistema UE di scambio di emissioni è stato esteso al trasporto aereo, sarebbe invalida.

42.      In sostanza, per contestare la direttiva 2008/101 i citati soggetti fanno valere tre ordini di argomenti: in primo luogo, essi sostengono che l’Unione europea estende le proprie competenze in modo eccessivo alla luce del diritto internazionale, allorché essa non limita il proprio sistema di scambio di emissioni ai voli strettamente intraeuropei, bensì include nel sistema suddetto anche quelle parti dei voli internazionali che si svolgono sopra l’alto mare o sopra il territorio di Stati terzi (26). In secondo luogo, le parti suddette ritengono che un sistema di scambio di emissioni riguardante il trasporto aereo internazionale dovrebbe essere negoziato e deciso nell’ambito dell’ICAO e non potrebbe essere introdotto in maniera unilaterale (27). In terzo e ultimo luogo, esse sono dell’avviso che il sistema suddetto si traduca in un’imposta o in un onere vietati da accordi internazionali (28).

43.      È pacifico che l’Unione europea è vincolata al diritto internazionale. Da un lato, l’Unione gode della personalità giuridica (art. 47 TUE) e può dunque essere titolare di diritti e di doveri a livello internazionale. Dall’altro, essa dichiara espressamente il proprio intento di contribuire alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale (art. 3, n. 5, seconda frase, TUE), nonché quello di promuovere nel resto del mondo il rispetto dei principi del diritto internazionale (art. 21, n. 1, primo comma, TUE).

44.      In conformità di ciò l’Unione è tenuta, secondo una giurisprudenza consolidata, ad esercitare le proprie competenze nel rispetto del diritto internazionale (29). Nel quadro delle sue competenze nell’ambito del procedimento di pronuncia pregiudiziale [art. 19, n. 3, lett. b), TUE e art. 267, primo comma, lett. b), TFUE], spetta alla Corte verificare se la validità di atti degli organi dell’Unione sia inficiata dalla loro contrarietà ad una norma di diritto internazionale (30).

45.      Ciò tuttavia non significa che i singoli (vale a dire le persone fisiche o giuridiche) possano invocare a piacimento, nei procedimenti giurisdizionali, disposizioni o principi di diritto internazionale al fine di ottenere la caducazione di atti giuridici degli organi dell’Unione. Piuttosto, è sempre necessario accertare in modo separato, in riferimento ad ogni norma e ad ogni principio di diritto internazionale che viene concretamente in questione, se e in quale misura tale norma e/o tale principio possano essere utilizzati quale criterio per la verifica della legittimità di atti giuridici dell’Unione nell’ambito di una causa instaurata da persone fisiche o giuridiche (31). Questa problematica, cui è dedicata la prima questione pregiudiziale, precede da un punto di vista logico l’esame vero e proprio della validità della direttiva 2008/101 (ovvero l’esame della validità della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101); essa va pertanto dibattuta per prima.

46.      Nel valutare le questioni giuridiche sollevate, mi occuperò peraltro soltanto dei principi e delle norme di diritto internazionale che il giudice del rinvio ha concretamente posto al centro dei propri quesiti. Non mi sembra opportuno accedere ad una disamina degli altri accordi internazionali che sono stati richiamati, in particolare, dalle parti intervenute a sostegno delle ricorrenti nella causa principale (32). Certo, è in teoria possibile che la Corte, nel procedimento pregiudiziale, si pronunci di propria iniziativa su eventuali ragioni di invalidità non prospettate dal giudice del rinvio (33). Tuttavia, nel caso dei rinvii pregiudiziali per esame di validità essa dovrebbe far uso di tale facoltà soltanto con parsimonia. Qualora dagli atti risulti che il giudice nazionale rifiuta tacitamente di interrogare la Corte in merito ad una determinata disposizione, anche la Corte dovrebbe astenersi dall’esaminarla (34). Ciò è quanto si verifica nel caso di specie: l’ordinanza di rinvio della High Court menziona infatti più volte gli altri accordi internazionali richiamati dalle parti intervenienti, ma non ne ha fatto l’oggetto di questioni di validità rivolte alla Corte.

A –    Quanto all’utilizzazione di accordi internazionali e di principi di diritto internazionale consuetudinario quali criteri per la verifica della validità della direttiva 2008/101 (prima questione)

47.      Nell’ambito della prima questione occorre affrontare il fondamentale problema di stabilire se e in quale misura gli accordi internazionali e i principi di diritto internazionale consuetudinario richiamati dal giudice del rinvio possano davvero essere utilizzati quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101, e ciò in riferimento a cause pendenti dinanzi ai giudici nazionali che siano state instaurate da persone fisiche o giuridiche – nel presente caso, da imprese e associazioni di imprese.

48.      Di tale tematica mi occuperò anzitutto con riguardo ai tre accordi internazionali che vengono qui in questione, ossia la Convenzione di Chicago, il Protocollo di Kyoto e l’Accordo «open skies» (in proposito, v. infra, sezione 1), e successivamente in rapporto ai vari principi di diritto internazionale consuetudinario evocati dal giudice del rinvio (in proposito, v. infra, sezione 2).

1.      Accordi internazionali [prima questione, lett. e)‑g)]

49.      Secondo una giurisprudenza consolidata, gli accordi internazionali possono essere utilizzati quale criterio per la verifica della validità di atti degli organi dell’Unione qualora siano soddisfatti due presupposti (35):

–        in primo luogo, l’Unione europea deve essere vincolata al rispetto dell’accordo di cui trattasi;

–        in secondo luogo, è necessario che la natura e la struttura dell’accordo in questione non ostino all’esame di validità sopra indicato, e che le disposizioni di tale accordo appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise.

50.      A questo proposito, nell’ambito del secondo criterio occorrerà tener conto del fatto che, nel caso di specie, la questione della validità della direttiva 2008/101 si pone nel quadro di una controversia che è stata instaurata da privati – più precisamente, da varie compagnie aeree e da un’associazione di compagnie aeree (36).

a)      La Convenzione di Chicago [prima questione, lett. e)]

51.      Per quanto riguarda anzitutto la Convenzione di Chicago, risulta già non soddisfatto il primo dei criteri enunciati supra al paragrafo 49.

52.      Infatti, l’Unione europea non è parte contraente di tale convenzione, la quale è dunque inidonea a far formalmente sorgere diritti e obblighi in capo all’Unione medesima.

53.      Tuttavia, le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno asseriscono che l’Unione sarebbe vincolata sotto il profilo sostanziale al rispetto della Convenzione di Chicago. A questo scopo esse, da un lato, fanno leva sull’art. 351 TFUE e, dall’altro, si richiamano alla teoria della successione di competenze.

54.      Entrambi gli argomenti non possono però essere accolti.

i)      Insussistenza di un vincolo al rispetto della Convenzione di Chicago fondato sull’art. 351 TFUE

55.      Dall’art. 351, primo comma, TFUE (già art. 307 CE e, prima ancora, art. 234 del Trattato CEE) risulta che i diritti e gli obblighi degli Stati membri nei confronti di paesi terzi non vengono pregiudicati dai Trattati (cioè dal Trattato UE e dal Trattato FUE (37)), se e in quanto si tratti di diritti ed obblighi derivanti da accordi internazionali stipulati da detti Stati prima della loro adesione all’Unione europea.

56.      Riconoscendo valore, a norma dell’art. 351, primo comma, TFUE, a tali trattati pregressi stipulati dagli Stati membri con paesi terzi, il diritto dell’Unione dà attuazione al principio di diritto internazionale pacta sunt servanda (38). In altri termini, la qualità di membro dell’Unione europea non obbliga gli Stati membri a violare gli impegni assunti con precedenti accordi internazionali nei confronti di Stati terzi (39).

57.      Tuttavia, gli organi dell’Unione sono per parte loro tenuti unicamente a non ostacolare l’adempimento degli impegni degli Stati membri derivanti da siffatti accordi pregressi; eventuali accordi precedenti stipulati dagli Stati membri non valgono a far sorgere obblighi internazionali in capo all’Unione stessa nei confronti degli Stati terzi interessati (40). In proposito vale il principio, riconosciuto anche nel diritto internazionale, dell’efficacia inter partes degli accordi stipulati, in virtù del quale questi ultimi non possono far sorgere diritti od obblighi in capo a soggetti terzi (pacta tertiis nec nocent nec prosunt) (41).

58.      Del resto, l’assenza di effetti vincolanti per l’Unione derivanti da accordi precedenti stipulati dagli Stati membri diviene evidente qualora le regole dettate per tali accordi dall’art. 351 TFUE vengano messe a confronto con quelle valevoli, a norma dell’art. 216 TFUE, per gli accordi conclusi dall’Unione stessa. Infatti, mentre l’art. 216, n. 2, TFUE dispone che gli accordi conclusi dall’Unione stessa vincolano le istituzioni di quest’ultima e gli Stati membri, nell’art. 351 TFUE manca una disposizione analoga riguardante gli accordi pregressi stipulati dagli Stati membri. Dall’art. 351 TFUE non scaturisce alcun obbligo per le istituzioni dell’Unione di adeguare l’ordinamento giuridico di quest’ultima agli accordi conclusi in passato dai suoi Stati membri. Per contro, gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’art. 351, secondo comma, TFUE, a ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare eventuali incompatibilità tra i precedenti accordi da essi conclusi e i Trattati istitutivi dell’Unione (Trattato UE e Trattato FUE). Ove necessario, gli Stati membri devono rivedere o denunciare tali accordi pregressi stipulati con Stati terzi (42).

59.      Pertanto, dall’art. 351 TFUE non scaturisce alcun vincolo per l’Unione all’osservanza della Convenzione di Chicago.

ii)    Insussistenza di un vincolo al rispetto della Convenzione di Chicago fondato sulla successione di competenze

60.      Neppure fondandosi sulla teoria della successione di competenze è possibile ricavare l’esistenza di un vincolo per l’Unione al rispetto della Convenzione di Chicago.

61.      La teoria della successione di competenze risale alla sentenza pronunciata dalla Corte nella causa International Fruit Company. In tale decisione la Corte ha statuito che la Comunità europea dell’epoca, pur non rivestendo formalmente la qualità di parte del GATT 1947, era vincolata al rispetto delle disposizioni di tale accordo nella misura in cui essa, in virtù del Trattato CEE, aveva assunto nel settore in questione poteri in precedenza esercitati dagli Stati membri (43).

62.      Tuttavia, tale giurisprudenza in merito al GATT non può essere senz’altro trasposta ad altri accordi internazionali (44). In particolare essa non si adatta al settore del trasporto aereo qui in questione.

63.      Infatti, da un lato, nel settore dei trasporti aerei – contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti nella causa principale e dalle associazioni intervenute al loro fianco – numerose competenze degli Stati membri sono effettivamente passate in capo all’Unione, ma non ancora tutte (45). Di conseguenza, anche in tempi recenti accade ad esempio che vengano stipulati accordi sui trasporti aerei in forma di «accordi misti», nei quali figurano quali parti contraenti, accanto all’Unione, anche gli Stati membri di quest’ultima (46).

64.      Dall’altro lato, non esistono elementi per sostenere che l’Unione europea – e, prima di essa, la Comunità europea – interverrebbe nell’ambito dell’ICAO in veste di successore dei propri Stati membri e che tale subentro godrebbe dell’approvazione delle altre parti contraenti della Convenzione di Chicago, così come era avvenuto nel caso del GATT 1947 (47). Come risulta anche dagli atti, in seno all’ICAO l’Unione gode unicamente di uno status di osservatore e coordina le posizioni dei propri Stati membri in previsione delle sedute degli organi di tale organizzazione internazionale, senza però intervenire in tali consessi – quantomeno allo stato attuale – al posto dei propri Stati membri (48). Tale circostanza è stata riconosciuta dalle ricorrenti nella causa principale e dalle associazioni intervenute a loro sostegno, a seguito di un quesito rivolto in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte.

65.      Alla luce di tali fatti, non può ritenersi realizzata alcuna successione di competenze in base alla quale l’Unione avrebbe assunto nell’ambito dell’ICAO il ruolo rivestito dai propri Stati membri, con conseguente insorgere in capo ad essa di un vincolo – sostanziale – al rispetto della Convenzione di Chicago. La semplice circostanza che tutti gli Stati membri dell’Unione europea siano parti contraenti della Convenzione di Chicago non è di per sé sufficiente per far sorgere un vincolo dell’Unione all’osservanza di tale accordo (49).

iii) Conclusione parziale

66.      Poiché dunque l’Unione europea non è vincolata al rispetto della Convenzione di Chicago, tale accordo non può essere utilizzato quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101. La circostanza che tutti gli Stati membri dell’Unione siano parti contraenti della Convenzione di Chicago può tuttavia influire sull’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione (50); ciò consegue dal principio generale di buona fede, il quale ha valore anche nel diritto internazionale ed ha inoltre trovato un particolare riconoscimento nel diritto dell’Unione, all’art. 4, n. 3, TUE (51).

b)      Il Protocollo di Kyoto e l’Accordo «open skies» [prima questione, lett. f) e g)]

67.      L’Unione europea – già Comunità europea – è senza dubbio vincolata al Protocollo di Kyoto e all’Accordo «open skies» in quanto parte contraente di tali accordi (v. anche l’art. 216, n. 2, TFUE, letto in combinato disposto con l’art. 1, terzo comma, terza frase, TUE). Pertanto, per entrambi risulta soddisfatto il primo dei criteri enunciati supra al paragrafo 49. Resta però da verificare se anche il secondo di detti criteri risulti rispettato, e più precisamente se il Protocollo di Kyoto e l’Accordo «open skies» siano idonei, per la loro natura e la loro struttura, a fungere da criterio per la verifica della validità di un atto giuridico dell’Unione, e se le disposizioni di tali accordi qui in discussione appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise.

i)      Osservazione preliminare

68.      Qualsiasi accordo internazionale stipulato dall’Unione europea vincola quest’ultima sotto il profilo giuridico internazionale nei confronti delle altre parti contraenti. Tuttavia, la questione della vigenza di tali accordi a livello interno all’Unione non ricade nella sfera del diritto internazionale, bensì in quella del diritto dell’Unione. Tale questione viene risolta dalla Corte in una giurisprudenza costante nel senso che gli accordi internazionali conclusi dall’Unione costituiscono, a partire dalla loro entrata in vigore, una parte fondamentale («integrante») dell’ordinamento giuridico dell’Unione stessa (52). Dall’art. 216, n. 2, TFUE consegue inoltre che tali accordi vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri. Tuttavia, la semplice questione della vigenza di un accordo internazionale va tenuta distinta da quella degli effetti delle sue disposizioni in una causa concreta. Infatti, dalla natura e dalla struttura dell’accordo di cui trattasi può risultare che, nell’ambito interno all’Unione, le sue disposizioni non sono affatto utilizzabili ai fini del controllo giurisdizionale della validità di atti delle istituzioni dell’Unione stessa, oppure lo sono soltanto in misura limitata.

69.      Allorché si tratta di decidere quali siano gli effetti prodotti all’interno dell’Unione dalle disposizioni di un accordo tra l’Unione stessa e Stati terzi non può trascurarsi l’origine internazionale delle disposizioni controverse. Qualora un accordo – come di norma accade – non contenga disposizioni espresse in merito agli effetti che le sue disposizioni devono produrre nell’ordinamento giuridico interno delle parti contraenti, incombe ai giudici competenti risolvere tale punto in via di interpretazione (53), fondandosi in particolare sul senso, sull’economia sistematica o sul tenore letterale dell’accordo (54). In ogni caso, spetta alla Corte stabilire, sulla base dei citati criteri, se i soggetti ricadenti nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione siano legittimati a contestare in sede giudiziale la validità di un atto giuridico dell’Unione facendo valere un accordo internazionale (55).

70.      Così la Corte, riferendosi ad esempio alle norme dell’OMC e alle deliberazioni degli organi di tale organizzazione, è solita affermare nella propria giurisprudenza che esse, in considerazione della loro natura e della loro struttura, non possono in alcun modo essere utilizzate quale criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione. In sostanza, la Corte motiva tale affermazione ricordando la grande «flessibilità» (in francese: «souplesse») del GATT (e oggi della normativa dell’OMC), il quale si fonda su soluzioni negoziate ed è improntato all’idea di reciprocità (56).

71.      In via del tutto generale vale inoltre il principio secondo cui, nell’ambito di controversie instaurate da singoli (ossia da persone fisiche o giuridiche), un accordo internazionale può di norma costituire un criterio per esaminare la validità di atti giuridici degli organi dell’Unione soltanto qualora esso sia idoneo, per la sua natura e la sua struttura, a conferire diritti che i singoli possono far valere in giudizio (57). Dunque, in altre parole, l’accordo internazionale in discussione deve incidere sulla situazione giuridica dei singoli (58).

72.      In particolare si verifica un’incidenza sulla situazione giuridica del singolo allorché a questi vengono conferiti, nell’ambito di un accordo internazionale, diritti e libertà autonome (59), così come accade, ad esempio, in numerosi accordi di associazione, di cooperazione o di partenariato conclusi dall’Unione europea (60). Anche gli accordi in materia di tutela dell’ambiente possono contenere disposizioni che qualsiasi interessato è legittimato a far valere in giudizio (61).

73.      La possibilità soltanto limitata dei singoli di far valere in giudizio accordi internazionali quale criterio di valutazione della validità di atti si spiega con la finalità della tutela giurisdizionale accordata ai singoli individui: nell’ordinamento dell’Unione – così come nella maggior parte degli ordinamenti giuridici nazionali – i singoli di norma beneficiano di tutela giurisdizionale se e nella misura in cui ciò sia necessario per attuare i diritti e le libertà ad essi garantiti (v. anche l’art. 47, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

74.      Ciò premesso, anche nella presente causa occorre, anzitutto, sottoporre l’Accordo «open skies» ed il Protocollo di Kyoto ad un esame volto a stabilire se essi, per la loro natura e la loro struttura, siano idonei a conferire diritti che possono essere fatti valere in giudizio da un singolo; poi, in un secondo momento, occorre verificare in concreto se le disposizioni di tali accordi che vengono di volta in volta in discussione appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise perché il singolo possa farle valere in giudizio.

75.      Nel caso di specie può soprassedersi alla questione se i presupposti applicabili al riguardo dovrebbero essere più favorevoli qualora taluno dei ricorrenti privilegiati di cui all’art. 263, secondo comma, TFUE facesse valere, tramite azione di annullamento, che un atto giuridico dell’Unione viola obblighi imposti a quest’ultima in forza del diritto internazionale (62). Per una soluzione in senso affermativo deporrebbe la circostanza che il diritto internazionale costituisce parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione, e che nel sistema dei Trattati istitutivi dell’Unione europea i ricorrenti privilegiati non sono soltanto legittimati a far valere diritti loro propri, bensì contribuiscono, nell’interesse generale, al controllo di legittimità degli atti degli organi dell’Unione. Ai sensi dell’art. 3, n. 5, seconda frase, TUE, tale controllo riguarda anche la garanzia di una rigorosa osservanza del diritto internazionale.

ii)    Il Protocollo di Kyoto [prima questione, lett. g)]

76.      Per quanto riguarda anzitutto il Protocollo di Kyoto, soltanto le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno ritengono che esso sia direttamente applicabile. Le istituzioni e i governi intervenuti nel procedimento pregiudiziale, nonché le associazioni ambientaliste, sostengono la tesi diametralmente opposta, assumendo che il Protocollo di Kyoto non possa essere utilizzato quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101.

77.      Quest’ultima tesi merita di essere condivisa. Non sussiste alcun elemento a favore dell’applicabilità diretta del Protocollo di Kyoto che sia desumibile, in generale, dalla natura e dalla struttura del Protocollo stesso e, in particolare, dalla norma di quest’ultimo su cui si controverte in concreto (ossia l’art. 2, n. 2).

–       Natura e struttura del protocollo di Kyoto

78.      Il Protocollo di Kyoto è un accordo in materia di ambiente e di protezione del clima, e costituisce un protocollo aggiuntivo alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (63).

79.      La finalità ultima della Convenzione quadro e di tutti gli strumenti giuridici ad essa correlati è quella di stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera a un livello tale che escluda qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico (64). Il preambolo della Convenzione quadro sottolinea, tra l’altro, la preoccupazione del genere umano per gli effetti negativi dei cambiamenti climatici del pianeta (65), esorta tutti i paesi alla cooperazione più estesa possibile (66) e sottolinea la sovranità degli Stati nella cooperazione internazionale per far fronte ai cambiamenti climatici (67).

80.      Già tale enunciazione di obiettivi e il contesto generale in cui il Protocollo di Kyoto si colloca inducono a ritenere che si tratti di uno strumento giuridico destinato a disciplinare unicamente i rapporti tra Stati (68) ed i loro rispettivi obblighi nell’ambito degli sforzi compiuti a livello mondiale per far fronte ai cambiamenti climatici.

81.       Tale impressione si rafforza se ci si volge ad esaminare le più importanti disposizioni del Protocollo di Kyoto stesso: in esse, al dichiarato scopo di promuovere lo sviluppo sostenibile, viene dettato un elenco non esaustivo di politiche e misure che determinate parti contraenti (in sostanza, i paesi sviluppati) devono attuare nell’adempimento dei loro rispettivi obblighi di limitazione e riduzione delle emissioni (69).

82.      Si può senz’altro dare per assodato che le misure per la protezione del clima adottate dalle parti contraenti nell’ambito del Protocollo di Kyoto produrranno sul medio e lungo periodo effetti a beneficio dei singoli, in quanto esse servono alla conservazione dell’ambiente. È del pari probabile che alcune delle misure adottate comporteranno oneri per singoli soggetti. Tali conseguenze sono però di natura indiretta. Né la Convenzione quadro né il Protocollo di Kyoto contengono concrete disposizioni che possano incidere direttamente sulla situazione giuridica del singolo. Nei suddetti strumenti giuridici non si rinviene niente di più che qualche generico riferimento al «genere umano» (70).

83.      Tutto ciò depone contro la tesi secondo cui i singoli potrebbero far valere il Protocollo di Kyoto in sede giurisdizionale; a maggior ragione nel caso in cui essi abbiano la nazionalità di Stati che non hanno ratificato tale Protocollo (71).

84.      A ciò si aggiunge il fatto che gli obblighi stipulati nel Protocollo di Kyoto ai fini della limitazione e della riduzione delle emissioni, pur essendo quantificati, lasciano alle parti contraenti un ampio margine di discrezionalità quanto alle politiche da realizzare in concreto e alle specifiche misure da adottare, conformemente alle loro rispettive situazioni nazionali (72). Gli obblighi imposti dal Protocollo di Kyoto necessitano tutti di trasposizione a livello nazionale e non sono del resto neppure sufficientemente precisi per produrre effetti direttamente a favore o in danno di singoli (73).

–       Art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto

85.      La norma di cui all’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto, specificamente richiamata dal giudice del rinvio, si inserisce armonicamente nel quadro generale sopra delineato. Essa stabilisce (nella parte che qui interessa) che le parti contraenti proseguiranno i loro sforzi per limitare o ridurre le emissioni di determinati gas a effetto serra originati dal trasporto aereo, operando a tal fine nell’ambito dell’ICAO.

86.      La norma in esame si limita dunque a disciplinare determinate relazioni giuridiche tra le parti contraenti del Protocollo di Kyoto. Essa descrive il quadro organizzativo nel quale le parti contraenti desiderano cooperare ai fini della limitazione o della riduzione delle emissioni di determinati gas a effetto serra generati da combustibili utilizzati nei trasporti aerei. Tuttavia, la norma suddetta non produce effetti sulla situazione giuridica dei singoli. In particolare, la modalità operativa designata nell’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto – ossia la cooperazione delle parti contraenti nell’ambito dell’ICAO – non ha le caratteristiche di una garanzia procedurale destinata, o anche solo idonea, a tutelare diritti o interessi di un qualche tipo spettanti ai singoli.

87.      Conformemente a ciò, i singoli non possono far valere in sede giurisdizionale l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto, sicché tale disposizione non può essere utilizzata nel presente caso quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101.

iii) L’Accordo «open skies» [prima questione, lett. f)]

88.      Per quanto riguarda poi l’Accordo «open skies», la maggior parte delle istituzioni e dei governi intervenuti nel presente procedimento di rinvio pregiudiziale nega anche a tale accordo, in via generale, l’idoneità ad incidere sulla situazione giuridica dei singoli. Tuttavia, la Commissione ed il governo francese riconoscono, in via di principio, che le persone fisiche e giuridiche possono far valere in sede giurisdizionale l’Accordo «open skies» (74).

89.      Ritengo di dover aderire a quest’ultima tesi. Essa corrisponde meglio sia alla natura e alla struttura dell’Accordo «open skies», sia alle varie disposizioni di tale accordo che vengono qui in discussione.

–       Natura e struttura dell’Accordo «open skies»

90.      Sicuramente, alcune singole disposizioni contenute nell’Accordo «open skies» fanno ritenere, per il modo in cui sono formulate, che tale convenzione sui trasporti aerei disciplini i rapporti tra le parti contraenti, e cioè tra l’Unione europea – già Comunità europea – ed i suoi Stati membri, da un lato, e gli USA, dall’altro (75).

91.      Vi è tuttavia una serie di ulteriori passaggi contenuti nelle norme dell’Accordo «open skies» che fa deliberato riferimento ai diritti e agli obblighi di singoli; in particolare, l’accordo si rivolge direttamente alle compagnie aeree e ad altri fornitori di servizi (76). Talvolta esso prevede addirittura diritti spettanti a «chiunque» (77). Simili formulazioni portano a concludere che l’Accordo «open skies» incide, quanto meno, anche sulla situazione giuridica dei singoli, e in particolare su quella delle imprese.

92.      Tale impressione esce rafforzata ove la disamina venga estesa al preambolo dell’Accordo «open skies». Ivi viene fatta menzione della «concorrenza tra compagnie aeree nel mercato», la quale, mediante «un minimo di regolamentazioni e interventi governativi» deve essere promossa (78), potenziata (79) e tutelata dinanzi al rischio di distorsioni derivanti dalla concessione di aiuti pubblici (80). Viene enunciata l’intenzione di «aprire l’accesso ai mercati» (81) e viene formulato il desiderio di «dar modo alle compagnie aeree di offrire ai passeggeri e ai trasportatori prezzi e servizi competitivi in mercati aperti» (82); inoltre, deve essere garantito alle compagnie aeree un maggiore accesso ai mercati mondiali dei capitali (83). Si tratta dunque della concreta attuazione di classiche libertà economiche. Simili finalità sono tipiche degli accordi internazionali, il cui contenuto non si esaurisce nella regolamentazione di rapporti tra le parti contraenti, bensì prende in considerazione anche la sfera giuridica di singoli operatori economici. Inoltre, il ruolo spettante ai soggetti individuali balza all’occhio con particolare evidenza all’interno dell’Accordo «open skies» ogni volta che viene fatta menzione di imprese (di trasporto aereo), di passeggeri, di viaggiatori, di speditori, di consumatori o anche di dipendenti e lavoratori (84).

93.      La sentenza Intertanko (85), alla quale varie istituzioni e vari governi hanno fatto riferimento nelle osservazioni da essi presentate dinanzi alla Corte, non contiene elementi contrari alla tesi dell’incidenza dell’Accordo «open skies» sulla situazione giuridica dei singoli.

94.      È innegabile che nella sentenza Intertanko la Corte ha desunto dalla natura e dalla struttura della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (86) che quest’ultima disciplina soltanto i rapporti tra le parti contraenti e non conferisce ai singoli diritti o libertà autonome, sebbene alcune delle sue disposizioni si riferiscano alle navi e ai diritti a queste spettanti (87). Nella sentenza Intertanko, i diritti e gli obblighi di coloro che viaggiano con navi su acque di mare vengono considerati unicamente quale derivazione dei diritti e degli obblighi dei rispettivi Stati di bandiera delle navi (88).

95.      Tuttavia, il semplice fatto che l’esercizio di determinati diritti derivanti da un accordo internazionale sia correlato alla cittadinanza della persona interessata o alla nazionalità di una nave o di un aeromobile non costituisce un elemento che escluda la diretta applicabilità della norma dell’accordo di cui trattasi (89). Anche il principio generalmente riconosciuto secondo cui ciascuno Stato stabilisce le condizioni alle quali concede la propria cittadinanza o la propria nazionalità (90) non vale di per sé stesso ad escludere che le norme contenute in accordi internazionali, nelle quali viene fatto riferimento alla cittadinanza o alla nazionalità, producano effetti sulla sfera giuridica dei singoli.

96.      La grande maggioranza delle convenzioni internazionali prevede diritti ed obblighi soltanto per i soggetti aventi la nazionalità degli Stati contraenti. Se si volesse escludere l’applicabilità diretta già solo per effetto di tale collegamento alla nazionalità, i singoli sarebbero quasi sempre impossibilitati a far valere le disposizioni che li riguardano contenute in accordi internazionali.

97.      Ma anche indipendentemente da tali considerazioni, la soluzione elaborata nella sentenza Intertanko per la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare non è trasponibile sic et simpliciter all’Accordo «open skies» qui in discussione.

98.      Infatti, la Convenzione di Montego Bay pone l’accento in modo molto più incisivo sulla disciplina delle relazioni tra Stati ed attribuisce alla sfera giuridica dei singoli un valore assai minore di quanto avvenga nell’Accordo «open skies». Scopo principale della Convenzione di Montego Bay è infatti quello di codificare, precisare e sviluppare norme di diritto internazionale generale relative alla pacifica cooperazione della comunità internazionale nell’ambito dell’attività di esplorazione, di utilizzo e di sfruttamento degli spazi marittimi (91), nonche quello di creare una «Costituzione dei mari» (92). La Convenzione mira a stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi degli Stati nella loro qualità di Stati rivieraschi e gli interessi degli Stati nella loro qualità di Stati di bandiera, interessi che possono essere contrapposti; a tal fine, le parti contraenti intendono fissare i limiti sostanziali e territoriali dei loro rispettivi diritti sovrani (93).

99.      Nell’Accordo «open skies» i riferimenti ai singoli e alle imprese si presentano con caratteri notevolmente più marcati che nella Convenzione di Montego Bay (94) e, come già evidenziato (95), il preambolo del primo esalta l’importanza dell’individuo e delle imprese con una chiarezza che non trova riscontri nella seconda.

100. Peraltro, neppure l’esistenza di un comitato misto e di una procedura arbitrale per le controversie tra le parti contraenti in ordine all’applicazione o all’interpretazione dell’Accordo «open skies» (96) esclude necessariamente che quest’ultimo possa produrre effetti sulla situazione giuridica dei singoli e che alcune delle sue norme possano trovare applicazione diretta nei confronti di persone fisiche o giuridiche (97). Infatti, diversamente dalla normativa dell’OMC, l’Accordo «open skies» si basa in misura molto minore sui negoziati tra le parti contraenti e sulla reciprocità (98).

101. Ritengo quindi nel complesso che l’Accordo «open skies», considerata la sua natura e la sua struttura, possa incidere sulla situazione giuridica dei singoli. Pertanto, in linea di principio, nelle controversie instaurate da singoli l’accordo suddetto può essere utilizzato quale criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione.

–       Carattere incondizionato e sufficientemente preciso, sotto il profilo del loro contenuto, delle disposizioni dell’Accordo «open skies» qui controverse

102. Più in particolare, il giudice del rinvio fa riferimento a tre disposizioni dell’Accordo «open skies», ossia gli artt. 7, 11, n. 2, lett. c), e 15, n. 3. Ciascuna di tali disposizioni deve essere esaminata separatamente al fine di stabilire se essa sia, sotto il profilo del suo contenuto, incondizionata e sufficientemente precisa per poter fungere da criterio ai fini della verifica della validità della direttiva 2008/101.

103. L’art. 7 dell’Accordo «open skies» prevede – in buona sostanza – che le disposizioni legislative e regolamentari di una parte contraente si applicano nel suo territorio anche agli aeromobili dell’altra parte contraente, nonché ai passeggeri, agli equipaggi e alle merci trasportati su questi ultimi, e debbono essere rispettate da tali aeromobili, passeggeri, equipaggi e merci. La norma suddetta è, dal punto di vista del suo contenuto, incondizionata; in particolare, essa non impone necessariamente l’adozione di una qualche misura interna di attuazione ad opera delle parti contraenti dell’accordo in questione. Inoltre, la norma è sufficientemente precisa perché da essa scaturiscano concreti effetti giuridici per i singoli; infatti, essa descrive in modo dettagliato di quale tipo di disposizioni legislative e regolamentari si tratti (99), e dispone categoricamente che tali disposizioni «si applicano» e «devono essere osservate». Per di più, la disposizione in questione si rivolge concretamente ai singoli in qualità di destinatari; infatti, le compagnie aeree (ovvero i loro aeromobili con i relativi carichi) nonché i passeggeri e gli equipaggi sono i soggetti specificamente designati ai quali si applicano le disposizioni legislative e regolamentari in questione e che devono rispettare tali disposizioni. Pertanto, l’art. 7 dell’Accordo «open skies» soddisfa tutti i presupposti richiesti per la sua applicabilità diretta.

104. L’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies» prevede – in buona sostanza – un’esenzione da imposte, tasse, dazi, diritti e oneri su carburanti, lubrificanti e materiale tecnico di consumo a favore degli aeromobili delle parti contraenti. Tale norma è invero sufficientemente precisa per essere direttamente applicata, stabilendo essa concretamente quali oggetti possono beneficiare dell’esenzione e da quali imposizioni questi sono esentati. Tuttavia, la norma non è incondizionata, poiché concede l’esenzione soltanto «su base di reciprocità» (100). Pertanto, la questione se una compagnia aerea possa a una certa data far valere l’esenzione nei confronti di una determinata parte contraente dell’Accordo «open skies» dipende dal comportamento dell’altra parte contraente considerato a questa stessa data. Una compagnia aerea statunitense può far valere nei confronti delle autorità europee l’esenzione prevista dall’Accordo «open skies» soltanto se e nella misura in cui a questa data anche le autorità del suo Stato di stabilimento concedano analoghe esenzioni alle compagnie aeree europee. Considerata l’esistenza di tale condizione, non risultano soddisfatti i presupposti per un’applicabilità diretta dell’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies».

105. L’art. 15, n. 3, prima frase, dell’Accordo «open skies» impone che, quando si stabiliscono misure ambientali, vengano rispettate le norme ambientali fissate dall’ICAO per il trasporto aereo, «salvo qualora siano state notificate differenze». Tale disposizione non sembra né incondizionata né sufficientemente precisa per poter essere direttamente applicata; essa rinvia infatti nella sua ultima parte [«salvo qualora (...)»] alla normativa dell’ICAO, senza stabilire essa stessa quali siano i presupposti in presenza dei quali è possibile introdurre differenze rispetto alle norme ambientali dettate dall’ICAO. Non consta inoltre che la disposizione suddetta possa effettivamente incidere sulla situazione giuridica dei singoli: infatti, viene in considerazione l’atto consistente nello «stabilire» – nell’interesse generale – misure ambientali, e non l’applicazione di tali misure nei confronti delle compagnie aeree.

106. All’art. 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo «open skies», le parti contraenti si impegnano ad applicare tutte le misure ambientali che incidano sui servizi aerei in conformità agli artt. 2 e 3, n. 4, del medesimo accordo. Al contrario della norma contenuta nella prima frase del citato art. 15, n. 3, quella enunciata nella seconda frase del medesimo art. 15, n. 3, si occupa in modo specifico dell’applicazione di misure ambientali nei confronti di compagnie aeree e può dunque produrre effetti concreti sulla situazione giuridica di queste ultime. Dal punto di vista del contenuto, l’art. 15, n. 3, seconda frase, dichiara che eventuali misure ambientali devono essere applicate in conformità al principio delle eque e pari opportunità per le compagnie aeree (art. 2 dell’Accordo «open skies»). Oltre a ciò, deve essere garantito, in particolare, il diritto delle compagnie aeree di determinare la frequenza e la capacità dei servizi di trasporto aereo internazionale da esse offerti in base a considerazioni commerciali di mercato (art. 3, n. 4, prima frase, dell’Accordo «open skies»). Inoltre devono essere applicate condizioni uniformi in coerenza con l’art. 15 della Convenzione di Chicago (art. 3, n. 4, seconda frase, dell’Accordo «open skies»). Il tratto distintivo comune a tutte queste prescrizioni è dato in ultima analisi dal fatto che le misure ambientali devono essere applicate nei confronti delle compagnie aeree in modo non discriminatorio e che non è consentito pregiudicare le opportunità di tali imprese nell’ambito della reciproca concorrenza. Simili prescrizioni hanno carattere incondizionato e sono sufficientemente precise. Esse – similmente a quanto si verifica per i divieti di discriminazione contenuti in vari accordi di associazione, di cooperazione e di partenariato, nonché per i principi in materia di concorrenza vigenti nel mercato interno europeo (101) – sono suscettibili di applicazione diretta.

iv)    Conclusione parziale

107. Alla luce di quanto sopra esposto, soltanto gli artt. 7 e 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo «open skies» possono nel presente caso essere utilizzati quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101.

2.      Diritto internazionale consuetudinario [prima questione, lett. a)‑d)]

108. Per unanime riconoscimento, l’Unione europea è obbligata a rispettare, oltre agli accordi internazionali per essa vigenti, anche il diritto internazionale consuetudinario (102), e tale circostanza trova conferma nell’art. 3, n. 5, seconda frase, TUE («alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale»). I pertinenti principi di diritto internazionale consuetudinario formano parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione (103).

109. Tuttavia, la giurisprudenza dei giudici dell’Unione non ha fino ad oggi fatto emergere chiari criteri che consentano di stabilire se e in quale misura un principio di diritto internazionale consuetudinario possa costituire un criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione. Infatti, a quanto consta, i giudici dell’Unione non hanno in passato mai avuto occasione di effettuare una simile verifica di validità; il diritto internazionale consuetudinario è stato fino ad oggi utilizzato nella giurisprudenza unicamente ai fini dell’interpretazione di norme e principi del diritto dell’Unione (104).

110. Come giustamente sostenuto da molte delle istituzioni e dei governi intervenuti nel presente procedimento, i criteri suddetti non dovrebbero essere diversi da quelli che vengono applicati allorché occorre stabilire se e in quale misura la validità di atti giuridici dell’Unione possa essere valutata alla luce di accordi internazionali.

111. Infatti, da un lato, non si vedono validi motivi per cui le condizioni imposte ai singoli per poter far valere principi di diritto internazionale consuetudinario dovrebbero essere meno rigorose di quelle che essi debbono soddisfare per poter invocare accordi internazionali. Neppure le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute al loro fianco hanno addotto nel procedimento dinanzi alla Corte un valido motivo in tal senso.

112. Dall’altro lato, numerosi principi del diritto internazionale consuetudinario sono stati nel frattempo codificati in accordi internazionali (105). Non sarebbe logico se, per quanto riguarda la possibilità dei singoli di invocare un unico e medesimo principio di diritto internazionale, valessero presupposti differenti a seconda che tale principio venga invocato in quanto parte del diritto internazionale consuetudinario oppure del diritto internazionale pattizio.

113. Pertanto, in aderenza alla giurisprudenza già illustrata in merito agli accordi internazionali (106) suggerisco alla Corte di dichiarare che i principi del diritto internazionale consuetudinario possono essere utilizzati quale criterio ai fini della verifica della validità di atti giuridici dell’Unione soltanto qualora siano soddisfatti due presupposti:

–        in primo luogo, deve esistere un principio di diritto internazionale consuetudinario al quale l’Unione europea sia vincolata;

–        in secondo luogo, la natura e la struttura del principio di diritto internazionale consuetudinario in questione non devono ostare alla verifica di validità suddetta, tenendo presente che il principio in parola deve altresì apparire, dal punto di vista del suo contenuto, incondizionato e sufficientemente preciso.

114. Nell’ambito del secondo criterio, occorrerà anche in questo caso tener conto del fatto che, nella specie, la questione della validità della direttiva 2008/101 si pone nel quadro di una controversia instaurata da singoli – più precisamente, da varie compagnie aeree e da un’associazione di compagnie aeree (107).

a)      Quanto all’esistenza dei principi di diritto internazionale consuetudinario qui controversi e alla sussistenza in capo all’Unione europea di un vincolo al rispetto dei medesimi

115. Come si ricava, tra l’altro, dall’art. 38, n. 1, lett. b), dello Statuto della Corte internazionale di giustizia (108), il diritto internazionale consuetudinario costituisce una delle fonti del diritto internazionale generalmente riconosciute. Per la sua genesi è necessaria una prassi generalizzata seguita dai soggetti di diritto internazionale interessati (consuetudo; elemento oggettivo), alla quale viene riconosciuto il valore di norma giuridica (opinio iuris sive necessitatis; elemento soggettivo) (109).

116. Negli accordi multilaterali cui ha aderito un numero molto elevato e rappresentativo di soggetti di diritto internazionale si trovano talvolta codificati determinati principi di diritto internazionale consuetudinario. Ciò è quanto si verifica in particolare per alcune norme della Convenzione di Chicago (110), per la Convenzione di Ginevra sull’alto mare (111) e per alcune parti della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare (112).

117. Le parti intervenute nel presente procedimento di rinvio pregiudiziale concordano in linea di principio sul fatto che la Convenzione di Chicago e la Convenzione di Montego Bay possono fornire indicazioni non trascurabili riguardo all’esistenza o meno dei principi di diritto internazionale consuetudinario di cui si discute, nonché riguardo al loro valore vincolante per l’Unione europea.

i)      La sovranità degli Stati sul loro spazio aereo [prima questione, lett. a)]

118. Il principio della sovranità degli Stati sul loro spazio aereo (talvolta designato anche come «sovranità dell’aria») è espressione della sovranità degli Stati sul loro rispettivo territorio (113). Già nel 1919 esso è stato consacrato all’art. 1 della Convenzione di Parigi sulla navigazione aerea (114); detto principio è attualmente codificato nell’art. 1 della Convenzione di Chicago, alla quale aderiscono a tutt’oggi come parti contraenti 190 Stati, ivi compresi tutti gli Stati membri dell’Unione europea. In tale contesto, come riconosciuto anche dalla Corte internazionale di giustizia, la disciplina pattizia contenuta nella Convenzione di Chicago altro non fa che enunciare un principio di diritto internazionale consuetudinario consolidato da lungo tempo (115).

119. Il fatto che l’Unione europea non sia di per sé parte contraente della Convenzione di Chicago non impedisce che il principio di diritto internazionale consuetudinario della sovranità degli Stati sul loro spazio aereo, codificato in detta convenzione, abbia valore vincolante per l’Unione medesima (116). Infatti, un principio di diritto internazionale consuetudinario permane in vita in modo autonomo accanto agli accordi internazionali nei quali esso è codificato (117).

ii)    Illegittimità delle rivendicazioni di sovranità sull’alto mare [prima questione, lett. b)]

120. Il principio secondo cui nessuno Stato può legittimamente pretendere di assoggettare alla propria sovranità una parte qualsivoglia dell’alto mare costituisce un’espressione della libertà dell’alto mare, le cui origini concettuali risalgono almeno all’anno 1609 (118). Al più tardi a partire dai primi decenni del ventesimo secolo, la libertà dell’alto mare trova riconoscimento a livello internazionale (119).

121. Nell’anno 1958, il principio secondo cui nessuno Stato può pretendere di assoggettare alla propria sovranità una parte qualsivoglia dell’alto mare è stato codificato nell’art. 2, prima frase, della Convenzione di Ginevra sull’alto mare, per poi trovare accoglimento nell’art. 89 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, sotto il titolo «Illegittimità delle rivendicazioni di sovranità sull’alto mare». Alla Convenzione di Montego Bay aderiscono attualmente 162 parti contraenti, tra le quali l’Unione europea – all’epoca Comunità europea (120) – nonché tutti gli Stati membri di quest’ultima.

122.  Tenuto conto dell’esistenza di una prassi osservata dagli Stati da almeno un secolo – o anche più – e dell’ampio riconoscimento ad essa accordato con la partecipazione dell’Unione europea e di tutti gli Stati membri di quest’ultima, è lecito ritenere che l’art. 89 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare costituisca la codificazione di un principio di diritto internazionale consuetudinario (121) al cui rispetto l’Unione è vincolata. Ciò non è stato contestato da alcuna delle parti intervenute nel presente procedimento.

123. Nel corso del presente procedimento pregiudiziale è stato talvolta messo in dubbio il fatto che il principio dell’illegittimità delle rivendicazioni di sovranità sull’alto mare possa presentare rilievo ai fini della verifica della validità della direttiva 2008/101. A questo proposito, però, è sufficiente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, le questioni sollevate dal giudice del rinvio sono assistite da una presunzione di rilevanza (122). Poiché non consta manifestamente che la prima questione, lett. b), sia priva di rilevanza ai fini della decisione della causa principale, occorre che la Corte proceda al suo esame.

iii) La libertà di volo sull’alto mare [prima questione, lett. c)]

124. Anche la libertà di volo sull’alto mare («libertà di sorvolo») ha trovato riconoscimento già nell’anno 1958 nell’art. 2, terza frase, punto 4, della Convenzione di Ginevra sull’alto mare e risulta oggi codificata nell’art. 87, n. 1, terza frase, lett. b), della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare.

125. Per gli stessi motivi appena illustrati in riferimento all’illegittimità delle rivendicazioni di sovranità sull’alto mare (123), anche la libertà di volo sull’alto mare deve essere considerata quale principio di diritto internazionale consuetudinario che l’Unione è tenuta a rispettare.

iv)    La supposta giurisdizione esclusiva sugli aeromobili sorvolanti l’alto mare [prima questione, lett. d)]

126. Diversamente dagli altri principi di diritto internazionale consuetudinario finora esaminati, l’esistenza del quarto principio richiamato dal giudice del rinvio è contestata.

127. Secondo le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno, dal diritto internazionale consuetudinario discende che gli aeromobili sorvolanti l’alto mare sono assoggettati esclusivamente al potere d’imperio dello Stato nel quale sono immatricolati, salvo diversa previsione espressa contenuta in un accordo internazionale. Mentre alcuni governi e istituzioni si sono astenuti dall’approfondire ulteriormente la questione, altre parti intervenute nel procedimento – più precisamente, i governi di Germania, Francia, Regno Unito e Norvegia, ma anche la Commissione e le associazioni ambientaliste – sono decisamente del parere che un simile principio di diritto internazionale consuetudinario non esista.

128. In realtà, un principio secondo cui – semplificando i termini – i mezzi di trasporto che viaggiano sull’alto mare sono assoggettati esclusivamente al potere d’imperio del loro Stato di bandiera risulta codificato soltanto per le navi, ma non per gli aeromobili. Ciò emerge dall’esame dell’art. 92, n. 1, prima frase, della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, ma anche da una lettura della norma costituente l’antecedente normativo di tale disposizione, vale a dire l’art. 6, n. 1, prima frase, della Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare.

129. Le norme di cui all’art. 6, n. 1, della Convenzione di Ginevra sull’alto mare e all’art. 92 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare non possono essere senz’altro trasposte in via analogica agli aeromobili. Infatti, come risulta da un esame globale di questi due accordi multilaterali, i redattori degli stessi hanno chiaramente operato una distinzione tra navi e aeromobili e, all’interno di numerose norme destinate a valere per entrambi i tipi di mezzi di trasporto oppure in modo specifico per gli aeromobili, hanno fatto espressa menzione di questi ultimi (124).

130. Alla luce di ciò, l’art. 6 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare e l’art. 92 della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare non possono essere considerati – con riguardo agli aeromobili, non menzionati negli articoli suddetti – quale prova affidabile dell’esistenza di un presunto principio di diritto internazionale consuetudinario. Ciò vale a maggior ragione per il fatto che neppure la Convenzione di Chicago, riguardante in modo specifico la navigazione aerea, enuncia un principio di giurisdizione esclusiva degli Stati di immatricolazione sui loro aeromobili sorvolanti l’alto mare. Per di più, la Convenzione di Tokio (125), che similmente alla Convenzione di Chicago ha validità pressoché universale, contiene all’art. 4 una norma che consente ad ogni Stato contraente, entro determinati limiti, ai fini dell’esercizio delle sue competenze penali, di ostacolare il volo di aeromobili anche se questi non sono stati immatricolati in tale Stato.

131. La giurisprudenza pertinente, formatasi sino ad oggi in merito al principio qui in discussione, riguardava soltanto – a quanto consta – le navi, ma non gli aeromobili (126).

132. Alla luce di tali premesse, suggerisco alla Corte di dichiarare che, allo stato attuale, non esistono sufficienti elementi a favore dell’esistenza di un principio di diritto internazionale consuetudinario secondo cui «gli aeromobili sorvolanti l’alto mare sono assoggettati esclusivamente al potere d’imperio dello Stato in cui sono immatricolati, salvo diversa previsione espressa contenuta in un accordo internazionale».

133. Di conseguenza, un simile principio neppure può essere assunto a criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione come la direttiva 2008/101.

b)      Quanto all’idoneità dei principi di diritto internazionale consuetudinario qui in discussione a fungere da criteri per una verifica di validità in una causa instaurata da persone fisiche o giuridiche

134. Sebbene ogni principio di diritto internazionale consuetudinario al cui rispetto l’Unione europea è tenuta abbia valore vincolante per quest’ultima sotto il profilo giuridico internazionale, dalla natura e dalla struttura del principio di cui trattasi può risultare che esso, nell’ambito interno all’Unione, non è affatto utilizzabile ai fini della verifica giurisdizionale della validità di atti delle istituzioni di quest’ultima, oppure lo è soltanto in misura limitata (127), segnatamente in controversie instaurate da persone fisiche o giuridiche.

135. Il tratto comune ai tre principi di diritto internazionale consuetudinario sui quali la High Court ha incentrato la sua prima questione pregiudiziale, lett. a)‑c), è costituito dal fatto che detti principi determinano la portata dei diritti di sovranità degli Stati e delimitano le loro rispettive aree di esercizio del potere d’imperio.

136. Simili principi non sono in alcun modo idonei, per la loro natura e la loro struttura, a incidere sulla situazione giuridica dei singoli (128). Tale circostanza è stata giustamente evidenziata dalle istituzioni nonché dalla maggior parte dei governi intervenuti nel procedimento.

137. Pertanto, simili principi non possono essere assunti a criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione nell’ambito di cause instaurate da persone fisiche o giuridiche (129).

3.      Conclusione parziale

138. Pertanto, in definitiva, delle disposizioni e dei principi di diritto internazionale menzionati nella prima questione pregiudiziale, soltanto gli artt. 7 e 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo «open skies» possono essere utilizzati quale criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione nell’ambito di una causa instaurata da persone fisiche o giuridiche.

B –    Quanto alla compatibilità della direttiva 2008/101 con gli accordi internazionali e con i principi di diritto internazionale consuetudinario richiamati (seconda, terza e quarta questione pregiudiziale)

139. La seconda, la terza e la quarta questione sono dedicate alla compatibilità della direttiva 2008/101 con gli accordi internazionali e con i principi di diritto internazionale consuetudinario richiamati dal giudice del rinvio. Esse vengono sollevate soltanto per il caso in cui la prima questione dovesse essere risolta in senso affermativo. Sulla scorta delle considerazioni da me sopra svolte, tale risposta affermativa dovrebbe essere data soltanto in riferimento agli artt. 7 e 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo «open skies». Ad ogni modo, a titolo subordinato e per completezza procederò ad esaminare la compatibilità della direttiva 2008/101 anche con le altre disposizioni ed i principi di diritto internazionale richiamati dal giudice del rinvio.

140. Nel procedimento dinanzi alla Corte sono state sostenute, riguardo a tale tematica, tesi assolutamente contrarie. Infatti, mentre le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute al loro fianco ritengono che sussista una violazione di tutti gli accordi di diritto internazionale e di tutti i principi di diritto internazionale consuetudinario qui in discussione, le istituzioni e i governi intervenuti nel procedimento nonché le associazioni ambientaliste sostengono all’unisono la posizione diametralmente opposta.

1.      Compatibilità con determinati principi di diritto internazionale consuetudinario (seconda questione)

141. Con la sua seconda questione il giudice del rinvio desidera sapere se i principi di diritto internazionale consuetudinario fatti valere dalle ricorrenti nella causa principale determinino l’invalidità della direttiva 2008/101, nella misura in cui quest’ultima estende il sistema UE di scambio di emissioni alle parti di volo che si svolgono al di fuori dello spazio aereo degli Stati membri dell’Unione Europea.

142. È pacifico che l’Unione europea deve esercitare i propri poteri nel rispetto del diritto internazionale consuetudinario (130).

143. Nel presente caso, le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno imputano in sostanza al legislatore dell’Unione il fatto di essersi posto in conflitto con i principi di diritto internazionale consuetudinario riguardanti la delimitazione delle competenze degli Stati. Infatti, per effetto dell’inclusione delle parti di volo che si svolgono nello spazio aereo al di fuori dell’Unione europea sarebbe stata emanata una disciplina con efficacia extraterritoriale, la quale violerebbe, da un lato, i diritti di sovranità di Stati terzi e, dall’altro, la libertà dell’alto mare.

144. Tale censura non merita accoglimento. Essa si basa su una lettura erronea ed estremamente superficiale delle norme dettate dalla direttiva 2008/101.

a)      Quanto alla mancanza di un’efficacia extraterritoriale del sistema UE di scambio di emissioni

145. Come giustamente evidenziato da un gran numero di istituzioni e di governi intervenuti nel procedimento, la direttiva 2008/101 non contiene alcuna norma con efficacia extraterritoriale. Mediante tale direttiva, l’attività delle compagnie aeree non viene assoggettata ad alcuna disposizione cogente del diritto dell’Unione là dove si svolge nello spazio aereo di Stati terzi o sopra l’alto mare. In particolare, la direttiva 2008/101 non determina a carico delle compagnie aeree alcun obbligo, sotto qualunque forma, di percorrere con i loro aeromobili determinate rotte, di osservare determinate velocità massime ovvero di rispettare determinati valori limite per il consumo di carburante e per le emissioni di gas di scarico.

146. Oggetto della disciplina dettata dalla direttiva 2008/101 sono soltanto e unicamente le partenze e gli arrivi di aeromobili in aerodromi dell’Unione europea, e soltanto in riferimento a tali partenze e a tali arrivi si verifica altresì un esercizio di poteri autoritativi nei confronti delle compagnie aeree: a seconda del volo, tali compagnie devono restituire un numero variabile di quote di emissioni (131), tenendo presente che in caso di inosservanza vengono loro comminate sanzioni che possono andare fino al divieto di esercizio dell’attività (132).

147. Il fatto che ai fini del calcolo delle quote di emissioni da restituire si tenga conto dell’intera tratta percorsa in occasione del singolo volo non è idoneo a conferire alle disposizioni della direttiva 2008/101 alcun carattere extraterritoriale. Invero, non vi è dubbio che in tal modo vengono parzialmente presi in considerazione eventi che si svolgono sopra l’alto mare o sul territorio di Stati terzi. È possibile che ciò costituisca indirettamente uno stimolo per le compagnie aeree a comportarsi in un certo modo nei voli sopra l’alto mare o sul territorio di Stati terzi, e in particolare a consumare la minor quantità possibile di carburante e a emettere la minor quantità possibile di gas a effetto serra. Tuttavia, ciò non configura un atto concreto di regolamentazione del loro comportamento nello spazio aereo al di fuori dell’Unione europea.

148. Non è affatto inusuale che uno Stato o un’organizzazione internazionale prenda in considerazione, nell’esercizio di poteri autoritativi, circostanze che si svolgono o che si sono svolte al di fuori della sua area di competenza territoriale. Ad esempio, nella normativa di molti Stati membri in materia di imposte sul reddito vale il principio del reddito mondiale. Anche in materia di concorrenza e di controllo sulle fusioni costituisce prassi diffusa a livello mondiale il fatto che le autorità preposte alla vigilanza si attivino in presenza di accordi tra imprese sebbene questi siano stati conclusi al di fuori dell’area territoriale di competenza delle autorità suddette ed eventualmente producano effetti in misura addirittura rilevante al di fuori di tale area di competenza (133). In una causa in materia di pesca, la Corte ha addirittura affermato che il pesce catturato in alto mare poteva essere confiscato non appena la nave in questione, battente bandiera di uno Stato terzo, fosse entrata in un porto all’interno dell’Unione europea (134).

149. Dal punto di vista del diritto internazionale, è decisivo il fatto che la situazione in questione presenti un sufficiente collegamento con lo Stato o con l’organizzazione internazionale interessati. Il relativo criterio di collegamento può basarsi sul principio di territorialità (135), sul principio di personalità (136) o, più raramente, sul principio di universalità.

b)      Quanto all’esistenza di un sufficiente elemento di collegamento territoriale

150. Nel presente caso l’Unione europea può fondarsi sul principio di territorialità.

151. In generale, l’Unione può pretendere da tutte le imprese che vogliono fornire prestazioni di servizi nel suo territorio che esse rispettino determinati standard stabiliti dalla normativa dell’Unione. Pertanto, essa può esigere che le compagnie aeree, ad ogni decollo e ad ogni atterraggio in un aerodromo nel territorio dell’Unione europea, partecipino alle misure per la protezione dell’ambiente e del clima imposte dal diritto dell’Unione (137) – nella fattispecie, al sistema UE di scambio di emissioni.

152. Infatti, decollo e atterraggio sono elementi essenziali e particolarmente caratteristici di ogni volo. Qualora il luogo di partenza o quello di arrivo sia un aerodromo nel territorio dell’Unione europea, sussiste un elemento di collegamento territoriale sufficiente per includere il volo in questione nel sistema UE di scambio di emissioni.

153. In applicazione di tale sistema, è lecito pretendere che le compagnie aeree, in occasione del decollo e dell’atterraggio in un aerodromo europeo, corrispondano un numero tanto più elevato di quote di emissioni, quanto maggiore è la distanza tra il luogo di partenza e quello di arrivo del volo di cui trattasi. Tale presa in considerazione della tratta di volo complessivamente percorsa costituisce in ultima analisi un’espressione del principio di proporzionalità e corrisponde al principio di diritto ambientale «chi inquina paga».

154. Il principio di territorialità non vieta che, in sede di applicazione del sistema UE di scambio di emissioni, vengano prese in considerazione anche parti di volo effettuate al di fuori del territorio dell’Unione europea. Un simile modo di procedere corrisponde, piuttosto, alla ratio e allo scopo di misure intese alla tutela dell’ambiente e del clima. È noto che l’inquinamento dell’aria non conosce confini, e i gas a effetto serra contribuiscono in tutto il mondo, indipendentemente dal luogo in cui vengono emessi, al cambiamento climatico; essi possono avere ripercussioni sull’ambiente e sul clima in ogni Stato o in ogni associazione di Stati, anche nell’Unione europea.

155. In tale contesto risulta utile anche un confronto con il già citato caso della pesca. Se in base al principio di territorialità è consentito confiscare, in un porto all’interno dell’Unione europea, pesce catturato al di fuori di quest’ultima mentre viene trasportato su una nave battente bandiera di uno Stato terzo (138), non può essere vietato che i gas di scarico di un aeromobile emessi al di fuori dello spazio aereo dell’Unione europea vengano presi in in considerazione, in occasione del decollo o dell’atterraggio del velivolo in un aerodromo dell’Unione, ai fini del calcolo delle quote di emissioni da corrispondere.

c)      Quanto alla mancanza di un pregiudizio per la sovranità di Stati terzi

156. Contrariamente alla tesi sostenuta dalle ricorrenti nella causa principale e dalle associazioni intervenute al loro fianco, la direttiva 2008/101 non costituisce per gli Stati terzi, né sotto il profilo di fatto né sotto quello di diritto, un ostacolo a che essi, se del caso, adottino e applichino al trasporto aereo sistemi loro propri di scambio di emissioni.

157. Bisogna certo riconoscere che, in caso di inclusione nel conteggio delle parti di volo effettuate sopra l’alto mare o sul territorio di Stati terzi, esiste il rischio di una «doppia disciplina», vale a dire di una duplice presa in considerazione di un’unica e medesima tratta di volo nei sistemi di scambio di emissioni di due Stati. Ciò può verificarsi in particolare nel caso in cui tanto nel luogo di partenza quanto in quello di arrivo di un volo internazionale esista un sistema di scambio di emissioni che – come la direttiva 2008/101 – include nel conteggio l’intera tratta effettuata.

158. Tuttavia, tale duplice presa in considerazione, per quanto gravosa possa essere per le compagnie aeree interessate, non è vietata sulla base dei principi di diritto internazionale consuetudinario qui in discussione. Piuttosto, essa è ammessa da tale diritto, così come è ammesso, nel settore delle imposte dirette, il diffuso fenomeno della doppia imposizione (139).

159. Soltanto attraverso misure unilaterali oppure accordi pattizi tra gli Stati e/o le organizzazioni internazionali interessate è possibile evitare la duplice presa in considerazione di un unico e medesimo volo in due diversi sistemi di scambio di emissioni. Il legislatore dell’Unione – sebbene il diritto internazionale consuetudinario non gli imponesse alcun obbligo al riguardo – ha dichiarato espressamente nella direttiva 2008/101 la propria disponibilità in questo senso, prevedendo anche una concreta clausola di adattamento (140).

d)      Conclusione parziale

160. Pertanto, in definitiva, l’inclusione nel sistema UE di scambio di emissioni delle parti di volo effettuate al di fuori del territorio dell’Unione europea non offre motivi per dubitare della compatibilità della direttiva 2008/101 con i principi di diritto internazionale consuetudinario evocati nella fattispecie.

2.      Compatibilità con determinati accordi internazionali (terza e quarta questione)

161. Con la sua terza e la sua quarta questione il giudice del rinvio vorrebbe sapere, in sostanza, se la direttiva 2008/101 sia compatibile con varie disposizioni contenute in accordi internazionali. In tale contesto viene chiesto alla Corte di verificare la legittimità dell’inclusione del trasporto aereo internazionale nel sistema UE di scambio di emissioni – quale realizzata dalla direttiva 2008/101 – in relazione a quattro distinti aspetti, riguardanti: in primo luogo, la presa in considerazione di parti di volo effettuate al di fuori dello spazio aereo dell’Unione (terza questione); in secondo luogo, l’iniziativa autonoma assunta dall’Unione europea al di fuori dell’ICAO [quarta questione, lett. a)]; in terzo luogo, il divieto di imposizione di diritti sulle entrate o sulle uscite [quarta questione, lett. b)]; infine, in quarto luogo, il divieto di imposte e dazi sul carburante nel trasporto aereo internazionale [quarta questione, lett. c)].

a)      Legittimità dell’inclusione delle parti di volo effettuate al di fuori dello spazio aereo dell’Unione nel sistema UE di scambio di emissioni (terza questione)

162. Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede chiarimenti sul punto se varie disposizioni della Convenzione di Chicago e dell’Accordo «open skies» comportino l’invalidità della direttiva 2008/101, nella misura in cui quest’ultima include nel sistema UE di scambio di emissioni parti di volo che si svolgono al di fuori dello spazio aereo degli Stati membri dell’Unione europea.

i)      Compatibilità con gli artt. 1, 11 e 12 della Convenzione di Chicago [terza questione, lett. a)]

163. Come già indicato nell’ambito della prima questione, l’Unione europea non è vincolata alla Convenzione di Chicago; pertanto, tale convenzione non può fungere da criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione (141). Tuttavia, poiché tutti gli Stati membri dell’Unione sono parti contraenti della Convenzione di Chicago, quest’ultima deve comunque essere tenuta in considerazione nell’interpretare disposizioni di diritto derivato dell’Unione (142). Di conseguenza, la direttiva 2008/101 (ovvero la direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101) deve essere interpretata, per quanto possibile, in modo tale che essa risulti in armonia con la Convenzione di Chicago.

164. Tuttavia, un esame delle norme della Convenzione di Chicago richiamate dal giudice del rinvio mostra come esse comunque non ostino alla direttiva 2008/101.

165. Per quanto riguarda anzitutto l’art. 1 della Convenzione di Chicago, esso sancisce unicamente il principio della sovranità degli Stati, e precisamente quello della loro sovranità sul proprio spazio aereo (143). Come già evidenziato sopra (144) in ordine al diritto internazionale consuetudinario, la direttiva 2008/101 non contiene norme con efficacia extraterritoriale e non viola i diritti di sovranità di Stati terzi. Tali considerazioni possono senz’altro essere considerate valide anche in riferimento all’art. 1 della Convenzione di Chicago.

166. Riguardo all’art. 11 di tale convenzione, occorre osservare che le norme in esso contenute disciplinano, come già risulta dal loro tenore letterale, unicamente l’entrata nel e l’uscita dal territorio degli Stati contraenti degli aeromobili utilizzati nel trasporto aereo internazionale, nonché l’esercizio e la navigazione di tali aeromobili nel territorio degli Stati contraenti medesimi. Ciò è confermato anche dal contesto complessivo nel quale il citato art. 11 si colloca: infatti, tale norma è compresa nel capo II della Convenzione di Chicago, il quale è dedicato ai voli al disopra del territorio degli Stati contraenti. Detto articolo non offre elementi per stabilire se un sistema di scambio di emissioni applicato da uno Stato contraente possa legittimamente includere parti di volo effettuate al di fuori del territorio di tale Stato.

167. L’unica prescrizione a carattere sostanziale alla quale, in forza dell’art. 11 della Convenzione di Chicago, le leggi e i regolamenti degli Stati contraenti in materia di entrata o di uscita nonché di esercizio degli aeromobili devono conformarsi, è rappresentata dal divieto di discriminazioni nei riguardi degli aeromobili a motivo della loro nazionalità; più precisamente, le leggi e i regolamenti in materia «sono applicabili, senza distinzione di nazionalità, agli aeromobili di tutti gli Stati contraenti». Nessuna delle parti intervenute nel presente procedimento ha messo in dubbio il rispetto di tale prescrizione da parte del sistema UE di scambio di emissioni.

168. Neppure dalla seconda frase dell’art. 11 della Convenzione di Chicago scaturisce un divieto di prendere in considerazione, nell’ambito del sistema di scambio di emissioni di uno Stato contraente, le parti di volo effettuate al di fuori del territorio di quest’ultimo. In tale frase si afferma soltanto che le leggi e i regolamenti di uno Stato contraente dovranno essere rispettati «all’entrata, all’uscita e all’interno del territorio di questo Stato». Proprio questo e soltanto questo – ossia il rispetto di norme al momento dell’entrata e dell’uscita – è ciò che l’Unione europea richiede alle compagnie aeree nell’ambito del suo sistema di scambio di emissioni. Tale sistema non contiene norme che debbano essere rispettate per le parti di volo che si svolgono al di fuori del territorio dell’Unione europea.

169. Per quanto riguarda infine l’art. 12 della Convenzione di Chicago, esso si occupa delle norme aeronautiche. Tuttavia, la direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101, non detta norme di questo tipo, né per quanto concerne il territorio dell’Unione europea, né per quanto riguarda lo spazio aereo al disopra di Stati terzi, ovvero quello sovrastante l’alto mare, specificamente menzionato nell’art. 12, terza frase, della convenzione sopra citata. In particolare, come già accennato, il sistema UE di scambio di emissioni non impone alle compagnie aeree ed agli aeromobili da esse gestiti né una determinata rotta di volo, né determinate velocità massime o determinati valori limite per i consumi di carburante o i gas di scarico.

170. Anche il richiamo delle ricorrenti nella causa principale all’allegato 2 della Convenzione di Chicago (145), nel quale sono riportate determinate norme aeronautiche, non è idoneo a supportare la tesi da esse sostenuta. In effetti, nella sezione 3.1.4 del citato allegato è contenuta una norma in materia di «getto o dispersione» (146) effettuati da aeromobili durante il volo. Tuttavia, il sistema UE di scambio di emissioni non è in alcun modo paragonabile a una disciplina sul getto o sulla dispersione di sostanze, dato che esso non stabilisce affatto norme o valori limite applicabili all’emissione di gas a effetto serra dai reattori dei singoli aeromobili durante il volo da e verso aerodromi nell’Unione europea.

171. Poiché dunque non bisogna temere alcun conflitto con gli artt. 1, 11 e 12 della Convenzione di Chicago, non vi è neppure alcun motivo per interpretare ed applicare restrittivamente la direttiva 2008/101 alla luce della citata convenzione. In particolare, non è necessario, in ossequio a quest’ultima, limitare l’ambito di applicazione del sistema UE di scambio di emissioni alle parti di volo che si svolgono sul territorio dell’Unione europea.

ii)    Compatibilità con l’art. 7 dell’Accordo «open skies» [terza questione, lett. b)]

172. Al contrario delle disposizioni della Convenzione di Chicago sopra prese in esame, l’art. 7 dell’Accordo «open skies» può essere utilizzato direttamente quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101 (147).

173. Tuttavia, nella sostanza non vi sono perplessità riguardo alla compatibilità del sistema UE di scambio di emissioni con tale norma internazionale. Infatti, l’art. 7 dell’Accordo «open skies» prescrive essenzialmente che nel territorio di una parte contraente si applicano e devono essere osservate le disposizioni legislative e regolamentari di quest’ultima che disciplinano l’ammissione, la partenza e l’esercizio di aeromobili impiegati nella navigazione aerea internazionale. Pertanto, il citato art. 7 dell’Accordo «open skies», nella parte qui di interesse, detta una norma in larga misura identica per contenuto all’art. 11 della Convenzione di Chicago. Le considerazioni svolte in ordine a quest’ultimo articolo (148) possono dunque essere senz’altro trasposte all’art. 7 dell’Accordo «open skies».

b)      Legittimità dell’iniziativa autonoma adottata dall’Unione europea al di fuori dell’ICAO [quarta questione, lett. a)]

174. La prima parte della quarta questione [questione sub 4), lett. a)] mira a stabilire se l’Unione europea fosse legittimata ad estendere, con autonoma iniziativa, il proprio sistema di scambio di emissioni al trasporto aereo internazionale, senza prima attendere l’elaborazione di una soluzione multilaterale nell’ambito dell’ICAO. A tal fine, il giudice del rinvio chiede alla Corte di valutare la validità della direttiva 2008/101 sotto due aspetti, e cioè, da un lato, sotto il profilo della sua compatibilità con l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto e, dall’altro, nell’ottica di una possibile violazione dell’art. 15, n. 3, dell’Accordo «open skies».

i)      Compatibilità con l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto

175. Nella lettura che ne fanno le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute al loro fianco, l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto vieta all’Unione europea di adoperarsi per realizzare, al di fuori della cornice dell’ICAO, una limitazione o una riduzione dei gas a effetto serra originati dalle attività di trasporto aereo.

176. Tale tesi non è convincente. Infatti, come giustamente evidenziato da un gran numero di istituzioni e governi intervenuti nel presente procedimento, l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto non riserva la limitazione e la riduzione dei gas a effetto serra originati dal trasporto aereo alla competenza esclusiva dell’ICAO. Questa obiezione appare condivisibile alla luce tanto del tenore letterale della disposizione sopra citata, quanto della sua economia sistematica e delle sue finalità.

177. Già nel testo dell’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto manca qualsivoglia riferimento ad un’esclusiva di qualunque tipo. Non è infatti prescritto che gli sforzi per ottenere una limitazione o una riduzione dei gas a effetto serra originati dal trasporto aereo debbano essere messi in atto «esclusivamente» o «soltanto» nell’ambito dell’ICAO. Qualora le parti contraenti del Protocollo di Kyoto avessero voluto fondare una competenza esclusiva in capo all’ICAO, sarebbe stato lecito attendersi che ciò venisse espresso con la necessaria chiarezza nel testo della norma.

178. Oltre a ciò, il Protocollo di Kyoto si inserisce nella cornice complessiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, per la cui attuazione esso è stato concluso (149) ed alla luce della quale esso deve dunque essere interpretato. La succitata Convenzione quadro consente politiche e misure intese alla limitazione o alla riduzione dei gas a effetto serra, le quali non devono essere necessariamente e solo a carattere multilaterale, ma possono essere anche adottate a livello nazionale e regionale.

179. Ad esempio, l’art. 4, n. 1, lett. b), della Convenzione quadro stabilisce espressamente che le parti contraenti «formulano, attuano, pubblicano e aggiornano regolarmente programmi nazionali e, se del caso, regionali, che stabiliscono misure intese a mitigare i cambiamenti climatici, tenendo conto delle emissioni, causate dall’uomo, (...) di tutti i gas ad effetto serra non inclusi nel protocollo di Montreal (...)». Nello stesso senso, l’art. 4, n. 2, lett. a), della Convenzione quadro stabilisce che ciascuna parte contraente compresa tra i paesi sviluppati adotta «politiche nazionali» e prende «provvedimenti per mitigare i cambiamenti climatici», tenendo presente che in una nota a fondo pagina si chiarisce espressamente che ciò include anche le politiche e le misure adottate da organizzazioni regionali d’integrazione economica.

180. Contrariamente alla tesi sostenuta dalle ricorrenti nella causa principale all’udienza dinanzi alla Corte, non vi è alcun elemento che indichi che l’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto fosse inteso a introdurre una deroga ai citati principi enunciati all’art. 4 della Convenzione quadro.

181. Più precisamente, qualora eventuali misure per la limitazione o la riduzione dei gas a effetto serra originati dai trasporti aerei fossero adottate unicamente a livello multilaterale nell’ambito dell’ICAO, ciò contrasterebbe, in generale, con le finalità della Convenzione quadro e, in particolare, con quelle del Protocollo di Kyoto. Infatti, la cerchia dei soggetti firmatari della Convenzione quadro e del Protocollo di Kyoto non coincide con quella delle parti aderenti alla Convenzione di Chicago e all’ICAO, organizzazione fondata su quest’ultima convenzione. Se l’ICAO fosse competente in via esclusiva, i membri dell’ICAO che non aderiscono al Protocollo di Kyoto potrebbero ostacolare la realizzazione delle finalità di quest’ultimo. Al contrario, per le parti contraenti del Protocollo di Kyoto sarebbe più difficile contribuire attivamente alla realizzazione delle finalità di quest’ultimo qualora esse non fossero membri dell’ICAO – situazione questa in cui si trova l’Unione europea.

182. Alla luce di tali circostanze, occorre partire dal presupposto che le parti contraenti del Protocollo di Kyoto non si sono obbligate, all’art. 2, n. 2, di quest’ultimo, a cercare di limitare o ridurre i gas a effetto serra originati dal trasporto aereo esclusivamente nell’ambito dell’ICAO.

183. Indubbiamente, nell’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto trova espressione il favore delle parti contraenti per una soluzione multilaterale del problema della limitazione o riduzione dei gas a effetto serra originati dal trasporto aereo, da ricercarsi nell’ambito dell’ICAO. Anche l’Unione europea non può non tener conto di tale preferenza nel momento in cui elabora e attua le proprie politiche in materia di ambiente e di clima, sebbene parti contraenti dell’ICAO siano soltanto i suoi Stati membri, e non l’Unione stessa (150).

184. Tuttavia, il favore delle parti contraenti per una soluzione multilaterale nell’ambito dell’ICAO, quale espresso all’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto, si traduce semplicemente nell’enunciazione, in termini assai generali, di un’obbligazione di mezzi (in francese: «obligation de moyen»; in inglese: «obligation of conduct»). Qualora non venga raggiunto in tempi ragionevoli un accordo nell’ambito dell’ICAO, deve restare salva la possibilità per le parti contraenti del Protocollo di Kyoto di adottare, a livello nazionale o regionale, le necessarie misure per la realizzazione degli obiettivi fissati da detto Protocollo (151). In caso contrario, il raggiungimento di tali obiettivi sarebbe messo in serio pericolo.

185. Se e quando adottare unilateralmente, al di fuori della cornice dell’ICAO, misure per la limitazione o la riduzione dei gas a effetto serra originati dal trasporto aereo, costituisce in definitiva per l’Unione europea una questione di opportunità, la cui valutazione spetta ai suoi organi politici. Ciò di certo non significa che gli organi dell’Unione interessati possano agire in tale materia al di fuori di un controllo giurisdizionale. Occorre però tener conto del fatto che tali organi, in caso di decisioni che richiedono la valutazione di complesse circostanze economiche e sociali, come pure nel caso di decisioni complesse in materia di commercio estero, dispongono di un ampio potere discrezionale (152). Ai competenti organi dell’Unione va riconosciuto un potere discrezionale proprio nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi di un’iniziativa unilaterale a livello regionale per la limitazione o la riduzione dei gas a effetto serra originati dal trasporto aereo, nonché nella scelta del momento di tale iniziativa unilaterale.

186. Nel presente caso consta – senza che ciò sia contestato da alcuno – che gli Stati membri dell’Unione europea per vari anni hanno preso parte a negoziati multilaterali nell’ambito dell’ICAO riguardanti eventuali misure per la limitazione e la riduzione dei gas a effetto serra originati dal trasporto aereo (153). Non poteva ragionevolmente pretendersi dagli organi dell’Unione che essi accordassero agli organi collegiali dell’ICAO tempi di lunghezza illimitata per l’elaborazione di una soluzione multilaterale. Occorre infatti tener conto dei vincoli temporali che il Protocollo di Kyoto impone all’Unione europea, così come a numerose altre parti contraenti, ai fini del raggiungimento dei suoi obiettivi quantificati di limitazione e riduzione delle emissioni; detto Protocollo stabilisce un periodo di adempimento degli obblighi molto preciso, il quale si estende sul quinquennio 2008‑2012.

187. Date tali circostanze, non può assolutamente considerarsi prematura la decisione adottata dal legislatore dell’Unione nel 2008 di includere il trasporto aereo nel sistema UE di scambio di emissioni a partire dal 2012.  Ciò vale a maggior ragione in considerazione del fatto che con la direttiva 2008/101 non è stata per nulla sbarrata la strada ad una futura soluzione multilaterale nell’ambito dell’ICAO. Vero è piuttosto che – come si dichiara espressamente – l’Unione e gli Stati membri proseguono «i loro sforzi al fine di pervenire ad un accordo sulle misure globali per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra provenienti dal settore dell’aviazione» (154). Inoltre, mediante una clausola di adattamento introdotta dalla direttiva modificata (155), viene consentita l’adozione a breve termine di misure volte ad evitare una duplicità di regolamentazioni.

188. Pertanto, tutto considerato, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea, emanando la direttiva 2008/101, non hanno ecceduto i limiti del potere discrezionale ad essi spettante alla luce dell’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto.  La direttiva non integra alcuna violazione di tale art. 2, n. 2, del Protocollo.

ii)    Compatibilità con l’art. 15, n. 3, dell’Accordo «open skies»

189. Nell’Accordo «open skies» si prevede che, quando vengono stabilite misure ambientali, devono essere osservate le norme ambientali applicabili all’aviazione adottate dall’ICAO negli allegati alla Convenzione di Chicago (156), salvo qualora siano state notificate differenze (art. 15, n. 3, prima frase, dell’Accordo «open skies»). Inoltre, le misure ambientali devono essere applicate in conformità agli artt. 2 e 3, n. 4, dell’Accordo «open skies» (art. 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo citato).

–       Insussistenza di norme ambientali confliggenti adottate dall’ICAO

190. Per quanto riguarda anzitutto l’art. 15, n. 3, prima frase, dell’Accordo «open skies», basti ricordare che attualmente – quantomeno secondo le informazioni fornite alla Corte nell’ambito del presente procedimento pregiudiziale – non esistono norme ambientali adottate dall’ICAO per il trasporto aereo, le quali ostino all’inclusione di tale settore in un sistema di scambio di emissioni come quello dell’Unione europea; questo vale anche per l’allegato 16 della Convenzione di Chicago.

191. Invero, la 36ª assemblea dell’ICAO svoltasi nel settembre 2007 ha esortato con forza gli Stati contraenti della Convenzione di Chicago ad applicare eventuali sistemi per lo scambio di emissioni nei confronti degli operatori aerei di altri Stati contraenti soltanto ove sussista un accordo reciproco con gli Stati interessati (157). Tuttavia, in tal modo non è stata fissata una norma giuridicamente vincolante per il trasporto aereo, e ancor meno una norma ambientale nel senso di cui all’art. 15, n. 3, prima frase, dell’Accordo «open skies». Si tratta piuttosto di una mera dichiarazione politica di valore non vincolante formulata dagli Stati contraenti rappresentati in seno all’assemblea dell’ICAO.

192. Nondimeno, quand’anche si volessero attribuire effetti giuridici alla menzionata risoluzione della 36ª assemblea dell’ICAO, questa sarebbe comunque priva di rilevanza per l’Unione europea, dal momento che tutti gli Stati membri di quest’ultima hanno formulato, nella loro veste di Stati contraenti della Convenzione di Chicago, una riserva contro detta risoluzione; essi si sono espressamente riservati il diritto di adottare e di applicare, senza discriminazioni, misure fondate sul mercato a tutti gli operatori aerei di qualsiasi Stato che forniscono servizi da, verso e nel loro territorio (158).

193. Inoltre, sulla citata risoluzione della 36ª assemblea dell’ICAO dell’anno 2007 è venuta a sovrapporsi nel frattempo una più recente risoluzione della 37ª assemblea dell’ICAO dell’anno 2010 (159). Quest’ultima risoluzione – che in linea di principio è stata sostenuta anche dagli Stati membri europei aderenti all’ICAO – riconosce l’importante ruolo di misure fondate sul mercato come i sistemi di scambio di emissioni, e raccomanda, nel suo allegato, linee guida per l’introduzione di tali sistemi da parte degli Stati contraenti della Convenzione di Chicago. Indipendentemente dal fatto che neppure la risoluzione della 37ª assemblea dell’ICAO ha carattere giuridicamente vincolante, nessuna delle parti intervenute nel presente procedimento pregiudiziale ha sostenuto che la direttiva 2008/101 sia incompatibile con tale risoluzione. Inoltre, quest’ultima risoluzione indica come all’interno dell’ICAO inizi ormai ad imporsi un atteggiamento di fondo maggiormente positivo nei confronti dell’inclusione del trasporto aereo in sistemi nazionali e regionali di scambio di emissioni.

194. Pertanto, dal rinvio alle norme ambientali dell’ICAO contenuto nell’art. 15, n. 3, prima frase, dell’Accordo «open skies» non scaturiscono elementi che possano inficiare la validità della direttiva 2008/101.

–       Insussistenza di una violazione del divieto di discriminazioni stabilito dall’Accordo «open skies»

195. Per quanto riguarda poi l’art. 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo «open skies», in tale norma l’applicazione di misure ambientali per il settore del trasporto aereo viene subordinata al rispetto del principio delle eque e pari opportunità nella concorrenza tra gli operatori aerei (art. 2 dell’Accordo «open skies»), nonché del diritto delle compagnie aeree di determinare la frequenza e la capacità dei servizi di trasporto aereo internazionale da esse offerti (art. 3, n. 4, dell’Accordo «open skies»). Come già indicato (160), il tratto che accomuna tutte queste prescrizioni consiste in definitiva nel fatto che le misure ambientali devono essere applicate nei confronti delle compagnie aeree in modo non discriminatorio (161) e non debbono pregiudicare le opportunità delle compagnie aeree nell’ambito della reciproca concorrenza.

196. Il divieto di discriminazioni stabilito dagli artt. 2 e 3, n. 4, dell’Accordo «open skies» costituisce l’espressione di un principio giuridico generale, quale riconosciuto anche nel diritto dell’Unione e sancito dagli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali (162). Non sussistono elementi per ritenere che tale principio debba intendersi, nell’ambito dell’Accordo «open skies», in modo diverso da come viene altrimenti inteso nell’ambito del diritto dell’Unione. Nel diritto dell’Unione, il principio di non discriminazione impone, secondo una giurisprudenza consolidata, che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (163).

197. La direttiva 2008/101 include nel sistema UE di scambio di emissioni i voli effettuati da tutte le compagnie aeree in partenza da o a destinazione di aerodromi europei, senza distinguere in tale contesto a seconda della nazionalità di dette compagnie ovvero a seconda del luogo di partenza o di arrivo di ciascun volo. Pertanto, la direttiva potrebbe dar vita ad una discriminazione vietata ai sensi degli artt. 2 e 3, n. 4, dell’Accordo «open skies» soltanto nel caso in cui le situazioni in gioco non fossero paragonabili.

198. Il carattere paragonabile delle situazioni a confronto deve essere valutato alla luce della ratio e dello scopo del provvedimento dell’Unione che introduce la distinzione controversa (164). In quanto misura intesa ad attenuare l’impatto del trasporto aereo internazionale sul clima, la direttiva 2008/101 mira a ridurre le emissioni di gas a effetto serra causate dalle attività in questo settore (165). Essa serve a dare attuazione alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e al Protocollo di Kyoto (166). In rapporto a tali obiettivi, poco importa quale sia la nazionalità delle compagnie aeree interessate. E, rispetto ai medesimi obiettivi, altrettanto poco importa quale sia il luogo di partenza di un volo diretto ad un aerodromo europeo e quale sia il luogo di destinazione di un volo proveniente da un aerodromo europeo. Le rispettive situazioni sono paragonabili. Di conseguenza, ai sensi degli artt. 2 e 3, n. 4, dell’Accordo «open skies» le situazioni in gioco dovevano essere trattate in modo identico, così come del resto è avvenuto mediante le norme dettate dalla direttiva 2008/101.

199. Se il legislatore dell’Unione avesse esonerato dal sistema UE di scambio di emissioni le compagnie aeree aventi la nazionalità di uno Stato terzo, queste ultime avrebbero conseguito rispetto ai loro concorrenti europei un vantaggio concorrenziale non giustificato. Un simile modo di procedere non sarebbe stato conforme al principio delle eque e pari opportunità, quale sancito dall’art. 2 dell’Accordo «open skies» e sul quale del resto la stessa direttiva 2008/101 si fonda (167).

200. Qualora il legislatore dell’Unione avesse esonerato dal sistema UE di scambio di emissioni i voli in partenza da o a destinazione di un aerodromo situato in uno Stato terzo, sarebbe sorto il rischio – ad esempio per quanto riguarda i voli transatlantici – di un miglior trattamento a favore dei voli sulle lunghe distanze rispetto ai voli sulle brevi distanze. Anche tale trattamento di favore non sarebbe stato giustificato alla luce della finalità della direttiva 2008/101: al legislatore dell’Unione interessava includere nella misura più ampia possibile il trasporto aereo nel sistema UE di scambio di emissioni, allo scopo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra dovute alle attività di trasporto aereo.

201. Pertanto, non è dato constatare nel complesso alcuna violazione del principio di non discriminazione sancito dagli artt. 2 e 3, n. 4, dell’Accordo «open skies».

–       Assenza di un divieto di iniziative autonome al di fuori del quadro dell’ICAO

202. Le ricorrenti nella causa principale invocano l’art. 15, n. 3, dell’Accordo «open skies» anche per il fatto che tale norma – attraverso il rinvio all’art. 3, n. 4, del medesimo accordo – fa indiretto riferimento all’art. 15 della Convenzione di Chicago. Fondandosi su tale catena di rinvii esse sostengono – similmente a quanto da esse già sostenuto in riferimento all’art. 2, n. 2, del Protocollo di Kyoto – che l’Unione europea non era legittimata ad assoggettare, con autonoma iniziativa, il trasporto aereo ad un sistema di scambio di emissioni, bensì avrebbe dovuto attendere una soluzione multilaterale nell’ambito dell’ICAO.

203. In proposito occorre rilevare che l’art. 15 della Convenzione di Chicago, il quale disciplina i diritti aeroportuali e analoghi oneri nonché in generale l’accesso agli aeroporti, non contiene alcuna concreta disciplina in ordine all’ammissibilità o meno di un’iniziativa unilaterale per l’istituzione di un sistema di scambio di emissioni per il trasporto aereo. È pertanto poco plausibile che le parti dell’Accordo «open skies», mediante il semplice riferimento all’art. 15 della Convenzione di Chicago, volessero introdurre una simile disciplina «per la porta di servizio», tanto più che tra esse non esisteva comunque concordia di vedute in ordine a tale punto (168).

204. Piuttosto, uno sguardo al nuovo art. 15, n. 7, dell’Accordo «open skies», nella versione introdotta dal Protocollo di modifica del 2010, mostra che le parti contraenti non intendevano assolutamente escludere l’applicazione di «misure basate sul mercato riguardanti le emissioni dell’aviazione», anche qualora tali misure fossero state introdotte unilateralmente. Infatti, in questo nuovo paragrafo si parla esplicitamente di sovrapposizioni e di raccomandazioni del comitato misto dirette ad evitare «la duplicazione di misure e di costi».

205. Pertanto, in ultima analisi, l’art. 15 della Convenzione di Chicago può giocare un ruolo nell’ambito degli artt. 3, n. 4, e, in combinato disposto, 15, n. 3, dell’Accordo «open skies» soltanto nella misura in cui una parte contraente limiti unilateralmente, per ragioni di tutela dell’ambiente, il volume del traffico, la frequenza o la regolarità dei servizi di trasporto aereo, ovvero il tipo o i tipi di aeromobili utilizzati, ovvero esiga la notificazione di orari, programmi di voli charter o piani operativi da parte delle compagnie aeree. In simili casi, l’art. 3, n. 4, dell’Accordo «open skies» esige «condizioni uniformi in coerenza con l’articolo 15 della convenzione [di Chicago]», ossia enuncia soltanto il divieto di discriminazioni, il quale – come sopra illustrato (169) – non viene violato dalla direttiva 2008/101.

206. Per quanto riguarda infine la questione se il sistema UE di scambio di emissioni debba essere considerato come diritto aeroportuale o come un’imposizione di altro tipo nel senso di cui all’art. 15 della Convenzione di Chicago, mi permetto di rinviare alle considerazioni che svolgo qui di seguito in ordine alla seconda parte della quarta questione pregiudiziale [questione sub 4, lett. b)] (170).

c)      Insussistenza di una violazione del divieto di imposizione di oneri sull’entrata o sull’uscita di aeromobili [quarta questione, lett. b)]

207. La seconda parte della quarta questione verte intorno al problema se l’estensione del sistema UE di scambio di emissioni al trasporto aereo internazionale violi il divieto sancito dal diritto internazionale di imporre il pagamento di diritti sull’entrata o sull’uscita di aeromobili, quale risultante dall’art. 15 della Convenzione di Chicago, precisandosi al riguardo che quest’ultimo articolo viene preso in considerazione «da solo o in combinato disposto con» gli artt. 3, n. 4, e 15, n. 3, dell’Accordo «open skies».

208. Come già indicato, la Convenzione di Chicago non costituisce, di per sé stessa, un criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione (171). L’art. 15 di detta Convenzione diviene però applicabile per effetto del rinvio contenuto nell’art. 3, n. 4, dell’Accordo «open skies», letto in combinato disposto con l’art. 15, n. 3, del medesimo accordo.

209. Nel presente contesto, particolare rilievo riveste l’ultima frase dell’art. 15, terzo comma, della Convenzione di Chicago, ai sensi della quale nessuno Stato contraente applicherà diritti, tasse o altri oneri per il mero diritto di transito o di entrata nel suo territorio o di uscita dallo stesso di qualsivoglia aeromobile di uno Stato contraente, ovvero di persone o beni a bordo del medesimo.

210. Le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno ritengono che, mediante il sistema UE di scambio di emissioni, venga appunto imposto il pagamento di un diritto siffatto sull’entrata o sull’uscita di aeromobili, ciò che costituirebbe una violazione dell’ultima frase dell’art. 15, terzo comma, della Convenzione di Chicago.

211. Al riguardo occorre rilevare che l’ultima frase dell’art. 15, terzo comma, della Convenzione di Chicago non può essere considerata in modo avulso dal contesto complessivo di tale norma. Infatti, come risulta dal primo comma di detto art. 15, tale disposizione è complessivamente intesa a garantire a tutti gli aeromobili, indipendentemente dalla loro nazionalità e «a condizioni uniformi», l’accesso agli aeroporti degli Stati contraenti aperti al pubblico uso. Allacciandosi a tale norma, il secondo comma del medesimo art. 15 stabilisce che i diritti che uno Stato contraente può riscuotere o permettere di riscuotere per l’utilizzazione di aeroporti e impianti aeroportuali da parte degli aeromobili di un altro Stato contraente non possono essere superiori a quelli applicati agli aeromobili nazionali. Pertanto, in ultima analisi, nell’art. 15 viene sancito, in relazione all’accesso agli aeroporti degli Stati contraenti, un divieto di discriminazione degli aeromobili sulla base della loro nazionalità. A tale affermazione si ricollega senza soluzione di continuità il terzo comma dell’art. 15, che esordisce con i termini «Tutti questi diritti (...)».

212. Se l’art. 15 viene complessivamente inteso quale mera espressione di un divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità, non sorge alcuna perplessità riguardo alla compatibilità del sistema UE di scambio di emissioni con tale norma, dato che il sistema in questione si applica in ugual maniera a tutti gli aeromobili indipendentemente dalla loro nazionalità.

213. Tuttavia, anche nel caso in cui l’ultima frase dell’art. 15, terzo comma, della Convenzione di Chicago fosse qualcosa di più della semplice enunciazione del divieto di discriminazioni e da essa fosse desumibile un più ampio divieto di imporre il pagamento di determinati diritti e oneri, la norma suddetta non osterebbe al sistema UE di scambio di emissioni. Infatti, nell’ambito di tale sistema, non viene richiesto alle compagnie aeree il pagamento di diritti od oneri di alcun tipo, tanto meno «per il mero diritto di transito o di entrata (...) o di uscita».

214. Il pagamento di diritti viene imposto a titolo di controprestazione per un servizio pubblico ricevuto (172). Il loro ammontare viene stabilito unilateralmente dalle autorità pubbliche e può essere preventivamente conosciuto. Anche altri oneri – e tra questi, in particolare, le imposte – vengono fissati unilateralmente dalle autorità pubbliche e il loro ammontare si determina in base a criteri preventivamente stabiliti, quali ad esempio l’aliquota d’imposta e la base imponibile.

215. Al contrario, un sistema di scambio di emissioni come quello dell’Unione europea costituisce una misura fondata sul mercato. Per l’acquisto di quote di emissioni non è previsto il pagamento di alcun diritto od onere. Più precisamente, prima di tutto viene distribuito in modo completamente gratuito l’85% delle quote, e solo il restante 15% viene messo all’asta (art. 3 quinquies, nn. 1 e 2, della direttiva 2003/87). Anche per queste ultime quote il corrispettivo non è preventivamente fissato, bensì si stabilisce unicamente sulla base della domanda e dell’offerta. Qualora delle quote di emissioni vengano negoziate sul mercato successivamente, dopo la loro assegnazione da parte delle autorità competenti, il prezzo si determina anche in tal caso in base alla domanda e all’offerta e non viene preventivamente fissato.

216. Sarebbe – per usare un eufemismo – inusuale voler definire come diritto o imposta il prezzo d’acquisto versato per una quota di emissioni, formatosi per effetto del libero gioco delle forze di mercato sulla base della domanda e dell’offerta, anche se ben può sussistere una certa discrezionalità degli Stati membri quanto all’utilizzo dei ricavi (art. 3 quinquies, n. 4, della direttiva 2003/87).

217. Inoltre, il corrispettivo per le quote di emissioni non è dovuto «per il mero diritto di transito o di entrata (...) o di uscita», così come sarebbe richiesto ai fini dell’applicazione dell’art. 15, terzo comma, ultima frase, della Convenzione di Chicago. Vero è che ogni decollo e ogni atterraggio di un aeromobile in aerodromi situati nell’Unione europea obbliga l’operatore di tale aeromobile a consegnare entro un determinato termine le quote di emissioni a tal fine necessarie (art. 12, n. 2 bis, della direttiva 2003/87). Tuttavia, non si tratta qui di un «pagamento» corrisposto a fronte dei decolli o degli atterraggi in quanto tali, bensì viene tenuto conto delle emissioni di gas a effetto serra causate dai relativi voli, e ciò indipendentemente dal fatto che questi si svolgano all’interno dell’Unione oppure ne oltrepassino i confini.

218. Anche negli organi collegiali dell’ICAO viene effettuata una distinzione tra, da un lato, gli oneri imposti per motivi ambientali e, dall’altro, i sistemi di scambio di emissioni (173). Tale circostanza è stata evidenziata da molte delle istituzioni e dei governi intervenuti nel presente procedimento pregiudiziale.

219. Nel caso in cui l’ICAO facesse ricadere i sistemi di scambio di emissioni sotto il divieto di imposizione di diritti o altri oneri nel senso di cui all’art. 15 della Convenzione di Chicago, ben difficilmente essa potrebbe emanare, nell’ambito dei suoi organi collegiali, linee guida per l’eventuale adozione di questi stessi sistemi da parte dei suoi Stati contraenti (174).

220. Anche le parti contraenti dell’Accordo «open skies» muovono dal presupposto di una sostanziale ammissibilità delle misure fondate sul mercato, così come dimostra il nuovo art. 15, n. 7, di detto Accordo, introdotto dal Protocollo di modifica del 2010. Tale nuova disposizione non avrebbe senso qualora le parti contraenti considerassero tali misure come una violazione dell’art. 15 della Convenzione di Chicago, al quale, com’è noto, l’Accordo «open skies» rinvia.

221. Date tali circostanze, non si può ritenere che il sistema UE di scambio di emissioni violi l’art. 15 della Convenzione di Chicago, letto in combinato disposto con gli artt. 3, n. 4, e 15, n. 3, dell’Accordo «open skies».

d)      Insussistenza di una violazione del divieto di applicazione di imposte e oneri sui carburanti [quarta questione, lett. c)]

222. La terza parte della quarta questione mira infine a chiarire se il legislatore dell’Unione, attraverso l’inclusione del trasporto aereo internazionale nel sistema UE di scambio di emissioni, abbia violato il divieto di diritto internazionale di applicare imposte e dazi sui carburanti nel trasporto aereo internazionale, quale risultante dall’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago e dall’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies».

223. Dal momento che, come già indicato, la Convenzione di Chicago non costituisce un criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione (175), quest’ultima questione sollevata dal giudice del rinvio può essere esaminata soltanto in riferimento all’Accordo «open skies» (176). Nondimeno, l’art. 11, n. 2, lett. c), di quest’ultimo va interpretato alla luce dell’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago, tra le cui parti contraenti rientrano tanto gli USA quanto la totalità degli Stati membri dell’Unione europea (177).

224. Ai sensi dell’art. 11, nn. 2, lett. c), e, in combinato disposto, 1, dell’Accordo «open skies», il carburante che viene introdotto o fornito per essere utilizzato in un aeromobile impiegato nel trasporto aereo internazionale è esentato, su base di reciprocità, da determinati oneri, in particolare da dazi e accise. Dal canto suo, l’art. 24, lett. a), seconda frase, della Convenzione di Chicago stabilisce che i carburanti a bordo di un aeromobile sono esenti da dazi doganali, spese di visita o altri diritti e oneri del genere, sia nazionali che locali. Pertanto, in sostanza, entrambe le disposizioni sopra citate vietano, tra l’altro, di gravare con dazi e accise il carburante degli aeromobili impiegati nel trasporto aereo internazionale.

i)      Quanto al divieto di accise sui carburanti

225. Le ricorrenti nella causa principale e le associazioni intervenute a loro sostegno ritengono che, attraverso il sistema UE di scambio di emissioni, venga introdotta un’accisa sui carburanti vietata ai sensi dell’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies» e dell’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago.

226. Tale interpretazione non mi convince.

227. È già del tutto escluso che il sistema UE di scambio di emissioni possa essere considerato come un’imposta, e ciò per gli stessi motivi per i quali esso non può essere qualificato neanche come diritto od onere (178).

228. Ma vi sono altri elementi che differenziano la ratio legis e l’oggetto normativo dell’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies» e dell’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago da quelli del sistema UE di scambio di emissioni.

229. Per quanto riguarda anzitutto la ratio legis, l’art. 11 dell’Accordo «open skies» e l’art. 24 della Convenzione di Chicago tutelano le compagnie aeree di uno Stato contraente contro il rischio che i loro aeromobili e le loro dotazioni vengano trattati come beni «importati» per effetto del loro semplice arrivo in altri Stati contraenti; essi devono dunque essere esentati da determinati oneri cui normalmente soggiacciono le merci importate. Invece il sistema UE di scambio di emissioni persegue una finalità completamente diversa, in quanto serve alla tutela dell’ambiente e del clima e nulla ha a che fare con l’importazione o l’esportazione di beni. Conformemente a ciò, le quote di emissioni che debbono essere corrisposte per i voli con partenza o arrivo in aerodromi all’interno dell’Unione europea vengono richieste a motivo dell’emissione di gas a effetto serra, e non in ragione del semplice consumo di carburante.

230. Quanto all’oggetto normativo, occorre rilevare che l’art. 11 dell’Accordo «open skies» e l’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago riguardano i quantitativi di carburante che si trovano a bordo dell’aeromobile o che vengono forniti per quest’ultimo, vale a dire le scorte di carburante dell’aeromobile stesso. Per contro, il sistema UE di scambio di emissioni è incentrato sul quantitativo di carburante effettivamente consumato da un aeromobile in uno specifico volo. Le scorte di carburante dell’aeromobile, oggetto della disciplina dettata dall’Accordo «open skies» e dalla Convenzione di Chicago, non consentono di per sé stesse di ricavare in via diretta alcuna conclusione riguardo all’effettiva quantità di gas a effetto serra emessi da tale aeromobile in uno specifico volo (179). Le quote di emissioni debbono essere corrisposte non per il fatto che un aeromobile ha a bordo del carburante oppure se ne rifornisce, bensì perché mediante la combustione di questo carburante nel corso di un volo vengono causate emissioni di gas a effetto serra.

231. La tesi secondo cui, mediante il sistema UE di scambio di emissioni, il carburante degli aeromobili verrebbe in quanto tale assoggettato ad accisa non trova conforto neppure nella sentenza Braathens (180), che viene invocata dalle ricorrenti nella causa principale e dalle associazioni intervenute a loro sostegno. In effetti in quella pronuncia la Corte ha statuito, riguardo ad una tassa svedese applicata per motivi ambientali sul traffico aereo nazionale, che questa doveva essere considerata quale accisa in quanto commisurata, almeno in parte, al consumo di carburante degli aeromobili. Tuttavia, la sentenza Braathens non può essere trasposta al presente caso per due motivi.

232. In primo luogo, la sentenza Braathens riguardava due direttive per la creazione del mercato interno europeo, mediante le quali sono state armonizzate a livello dell’Unione le caratteristiche strutturali delle accise sugli oli minerali (181). Alla luce di tale finalità di politica del mercato interno, ben si comprende l’interpretazione relativamente ampia della nozione di accisa che la Corte ha fornito in quella pronuncia. Una simile necessità non sussiste nel presente caso. Infatti, né l’Accordo «open skies» né la Convenzione di Chicago effettuano un’armonizzazione delle caratteristiche strutturali delle discipline nazionali sulle accise paragonabile a quella compiuta dalle direttive sul mercato interno dell’Unione.

233. In secondo luogo, nella causa Braathens sussisteva un nesso diretto e inscindibile tra il consumo di carburante e le sostanze inquinanti emesse dagli aeromobili, costituenti appunto la ragione per la quale la tassa svedese per la tutela dell’ambiente veniva applicata (182). Per contro, nel sistema UE di scambio di emissioni non sussiste tale nesso diretto e inscindibile. Infatti, il consumo di carburante considerato di per sé solo non consente di ricavare alcuna conclusione immediata riguardo ai gas a effetto serra emessi durante il relativo volo, dovendosi in aggiunta applicare un fattore di emissione correlato al tipo di carburante utilizzato. Tale fattore di emissione può essere pari a zero nel caso di carburanti che vengano considerati dal legislatore dell’Unione come particolarmente rispettosi dell’ambiente, come si verifica per le biomasse (183).

234. Pertanto, in definitiva, il sistema UE di scambio di emissioni non può essere considerato quale accisa sui carburanti vietata ai sensi dell’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies» o dell’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago.

ii)    Quanto al divieto di dazi doganali sul carburante

235. Solo per completezza, desidero aggiungere che mediante il sistema UE di scambio di emissioni non si determina neppure l’applicazione di dazi sul carburante. Infatti, i dazi sono tributi cui una merce è assoggettata in ragione del suo attraversamento di una frontiera, vale a dire a motivo della sua importazione o esportazione. Per contro, le quote di emissioni debbono essere corrisposte non a motivo del trasferimento di carburante attraverso confini doganali, bensì per il fatto che durante un determinato volo vengono emessi gas a effetto serra. Le quote di emissioni debbono essere corrisposte persino per i voli interni all’Unione, nei quali non si verifica affatto un attraversamento di confini doganali.

iii) Conclusione parziale

236. La direttiva 2008/101 non viola l’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies», interpretato alla luce dell’art. 24, lett. a), della Convenzione di Chicago.

C –    Riepilogo

237. Alla luce di tutte le argomentazioni sopra svolte, la direttiva 2008/101 (ovvero la direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101) è compatibile con tutte le disposizioni e tutti i principi di diritto internazionale richiamati nella domanda di pronuncia pregiudiziale.

238. Conformemente a ciò, le questioni discusse nel presente procedimento non offrono neppure elementi per interpretare o applicare la direttiva in modo restrittivo alla luce di taluna delle citate disposizioni o di taluno dei citati principi.

239. Nel complesso, occorre rispondere al giudice del rinvio dichiarando che la disamina delle questioni sollevate non ha rivelato elementi che ostino alla validità della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101.

VI – Conclusione

240. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dalla High Court of Justice come segue:

1)      Delle disposizioni e dei principi di diritto internazionale richiamati nella prima questione pregiudiziale, soltanto gli artt. 7 e 15, n. 3, seconda frase, dell’Accordo sui trasporti aerei sottoscritto nell’aprile 2007 tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e gli Stati Uniti d’America, dall’altro, possono essere utilizzati quale criterio per la verifica della validità di atti giuridici dell’Unione nell’ambito di una causa instaurata da persone fisiche o giuridiche.

2)      La disamina delle questioni sollevate non ha rivelato elementi che ostino alla validità della direttiva 2003/87/CE, come modificata dalla direttiva 2008/101/CE.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Nel Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente si afferma ad esempio che «[lo sforzo inteso alla] creazione di un quadro comunitario per lo sviluppo di un’efficace commercializzazione dei diritti di emissioni di CO2, con l’eventuale estensione ad altri gas ad effetto serra», costituisce un’«azione prioritaria» dell’Unione europea nella lotta contro i mutamenti climatici [art. 5, n. 2, punto i), lett. b), della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 22 luglio 2002, n. 1600/2002/CE, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (GU L 242, pag. 1)]; v. inoltre la comunicazione della Commissione 9 febbraio 2005 – Strategia per una lotta efficace contro il cambiamento climatico globale [COM(2005) 35 def.], nella quale, nella sezione 7, punto 4, si afferma che «l’ulteriore utilizzo di strumenti flessibili e rispettosi delle esigenze del mercato», compreso lo scambio di quote di emissioni, deve costituire un «elemento della futura strategia di protezione del clima da parte dell’Unione europea».


3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 19 novembre 2008, 2008/101/CE, che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di includere le attività di trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra (GU 2009, L 8, pag. 3).


4 – Recueil des Traités des Nations Unies (RTNU) vol. 15, pag. 295.


5 – Al riguardo, v. il Protocollo firmato a New York il 1° ottobre 1947 (RTNU vol. 8, pag. 315).


6 – GU 2002, L 130, pag. 4 (RTNU vol. 2303, pag. 148).


7 – Decisione del Consiglio 25 aprile 2002, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, del protocollo di Kyoto allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni (GU L 130, pag. 1).


8 – Un elenco delle parti contraenti che sono considerate quali paesi sviluppati e di alcuni Stati che si trovano in una fase di transizione verso un’economia di mercato è contenuto nell’allegato I della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (approvata a New York il 9 settembre 1992) (GU 1994, L 33, pag. 13; RTNU vol. 1771, pag. 107); tra tali parti rientrano in particolare la Comunità europea dell’epoca e tutti i suoi Stati membri.


9 – Art. 3, n. 1, del Protocollo di Kyoto, in combinato disposto con l’allegato I B e l’allegato II del medesimo.


10 – GU 2007, L 134, pag. 4.


11 – Protocollo di modifica dell’Accordo sui trasporti aerei tra gli Stati Uniti d’America e la Comunità europea e i suoi Stati membri firmato il 25 e 30 aprile 2007 (GU 2010, L 223, pag. 3); il Protocollo è stato sottoscritto a Lussemburgo il 24 giugno 2010.


12 – Art. 25, punto 1, dell’Accordo «open skies», in combinato disposto con l’art. 1, n. 3, della decisione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, del 25 aprile 2007, 2007/339/CE, concernente la firma e l’applicazione provvisoria dell’accordo sui trasporti aerei tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e gli Stati Uniti d’America, dall’altro (GU L 134, pag. 1).


13 – Art. 9, n. 1, del Protocollo di modifica del 2010, in combinato disposto con l’art. 1, n. 3, della decisione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea, riuniti in sede di Consiglio, del 24 giugno 2010, 2010/465/UE, concernente la firma e l’applicazione provvisoria del protocollo di modifica dell’accordo sui trasporti aerei tra gli Stati Uniti d’America, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro (GU L 223, pag. 1).


14 – Il testo dell’art. 15, n. 3, dell’Accordo «open skies», cui il giudice del rinvio fa espresso riferimento nelle sue questioni, non è cambiato rispetto alla versione originaria dell’accordo stesso. La leggera variazione intervenuta nella versione tedesca dell’art. 15, n. 3, prima frase (ivi si parla ora di «Umweltschutzstandards», e non più di «Umweltschutznormen»), non trova riscontro in altre versioni linguistiche; nella versione inglese si continua a parlare di «aviation environmental standards» ed in quella francese di «normes sur la protection de l’environnement».


15 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 2003, 2003/87/CE, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio (GU L 275, pag. 32).


16 – L’estensione all’intero SEE è intervenuta in virtù della decisione del Comitato misto SEE 26 ottobre 2007, n. 146/2007, che modifica l’allegato XX (Ambiente) dell’Accordo SEE (GU 2008, L 100, pag. 92), e, per quanto riguarda i trasporti aerei, per effetto della decisione del Comitato misto SEE 1° aprile 2011, n. 6/2011, che modifica l’allegato XX (Ambiente) dell’Accordo SEE (GU L 93, pag. 35).


17 – In prosieguo, la direttiva 2003/87 così come modificata dalla direttiva 2008/101 verrà designata anche come la «direttiva modificata».


18 –      Ai sensi dell’allegato I della direttiva modificata, alcune poche categorie di voli sono escluse dal sistema UE di scambio di emissioni; è il caso, ad esempio, dei voli militari con aeromobili militari.


19 –      Ai sensi dell’art. 3, lett. s), della direttiva modificata, le emissioni storiche del trasporto aereo vengono calcolate in base alla media delle emissioni annue prodotte da aeromobili negli anni civili 2004, 2005 e 2006. Esse sono state di recente fissate dalla decisione della Commissione 7 marzo 2011, 2011/149/UE (GU L 61, pag. 42).


20 – SI 2009/2301.


21 – Ulteriori misure nazionali di attuazione sono contenute nelle Aviation Greenhouse Gas Emissions Trading Scheme Regulations 2010 (in prosieguo: le «Regulations del 2010», SI 2010/1996). Secondo indicazioni del governo del Regno Unito, le Regulations del 2010 hanno parzialmente sostituito e integrato le Regulations del 2009 e possono dunque considerarsi ora quale nuovo oggetto della lite nel giudizio a quo.


22 – Riguardo allo Stato membro di riferimento, v. gli artt. 3, lett. q), e 18 bis della direttiva modificata, nonché, da ultimo, il regolamento (CE) della Commissione 2 febbraio 2011, n. 115, recante modifica del regolamento (CE) n. 748/2009 relativo all’elenco degli operatori aerei che hanno svolto una delle attività di trasporto aereo che figurano nell’allegato I della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio al 1° gennaio 2006 o successivamente a tale data, che specifica lo Stato membro di riferimento di ciascun operatore aereo (GU L 39, pag. 1).


23 – The Secretary of State for Energy and Climate Change.


24 – Entrambe figurano quale «litisconsorte unitario» («single intervener»).


25 – Anch’esse compaiono in giudizio quale «litisconsorte unitario» («single intervener»).


26 – Tale argomento costituisce l’oggetto della seconda e della terza questione pregiudiziale.


27 – Questo è il tema della quarta questione, lett. a).


28 – Tale argomento è al centro della quarta questione, lett. b) e c).


29 – Sentenze 24 novembre 1992, causa C‑286/90, Poulsen e Diva Navigation (Racc. pag. I‑6019, punto 9); 16 giugno 1998, causa C‑162/96, Racke (Racc. pag. I‑3655, punto 45); 3 giugno 2008, causa C‑308/06, Intertanko e a., cosiddetta sentenza «Intertanko» (Racc. pag. I‑4057, punto 51), e 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, cosiddetta sentenza «Kadi» (Racc. pag. I‑6351, punto 291).


30 – Sentenze 12 dicembre 1972, cause riunite da 21/72 a 24/72, International Fruit Company e a., cosiddetta sentenza «International Fruit Company» (Racc. pag. 1219, punto 6), e Racke, cit. alla nota 29 (punto 27).


31 – Sentenza International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punto 8); nello stesso senso sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (in particolare punti 43 e 45).


32 – Si tratta in particolare dell’Accordo euromediterraneo nel settore del trasporto aereo fra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da un lato, e il Regno del Marocco, dall’altro lato (firmato a Bruxelles il 12 dicembre 2006) (GU 2006, L 386, pag. 57), nonché dell’Accordo sui trasporti aerei tra il Canada e la Comunità europea e i suoi Stati membri (firmato a Bruxelles il 17 dicembre 2009) (GU 2010, L 207, pag. 32). Oltre a ciò, le intervenienti fanno riferimento ad alcuni accordi bilaterali sui trasporti aerei conclusi da singoli Stati membri.


33 – Sentenza 7 settembre 1999, causa C‑61/98, De Haan (Racc. pag. I‑5003, punto 47).


34 – V., in tal senso, sentenze 5 ottobre 1988, causa 247/86, Alsatel (Racc. pag. 5987, punti 7 e 8), e 11 novembre 1997, causa C‑408/95, Eurotunnel e a. (Racc. pag. I‑6315, punto 34 in connessione al punto 33).


35 – Sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punti 43‑45); v. inoltre sentenze International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punti 7 e 8); 9 ottobre 2001, causa C‑377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑7079, punto 52), nonché – per quel che riguarda specialmente il secondo criterio – sentenze 10 gennaio 2006, causa C‑344/04, IATA e ELFAA (Racc. pag. I‑403, punto 39), e 9 settembre 2008, cause riunite C‑120/06 P e C‑121/06 P, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, cosiddetta sentenza «FIAMM» (Racc. pag. I‑6513, punto 110).


36 – In tal senso anche la sentenza International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punto 8).


37 – V. art. 1, terzo comma, prima frase, TUE e art. 1, n. 2, seconda frase, TFUE.


38 – Riguardo al principio pacta sunt servanda, v. l’art. 26 e, a complemento, l’art. 30, n. 4, lett. b), della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati (RTNU vol. 1155, pag. 331).


39 – In tal senso, sentenze 14 ottobre 1980, causa 812/79, Burgoa (Racc. pag. 2787, punto 8); 14 gennaio 1997, causa C‑124/95, Centro‑Com (Racc. pag. I‑81, punto 56); 4 luglio 2000, causa C‑62/98, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I‑5171, punto 44); 18 novembre 2003, causa C‑216/01, Budejovický Budvar (Racc. pag. I‑13617, punti 144 e 145), e 19 novembre 2009, causa C‑118/07, Commissione/Finlandia (Racc. pag. I‑10889, punto 27).


40 – Sentenza Burgoa, cit. alla nota 39 (punto 9).


41 – Sentenza 25 febbraio 2010, causa C‑386/08, Brita ( Racc. pag. I‑1289, punto 44).


42 – Sentenze Commissione/Portogallo (punti 49 e 52) e Budejovický Budvar (punto 170), entrambe cit. alla nota 39.


43 – Sentenza International Fruit Company, cit. alla nota 30 (in particolare, punto 18); in merito alla teoria della successione di competenze v. inoltre sentenze 22 ottobre 2009, causa C‑301/08, Bogiatzi (Racc. pag. I‑10185, punto 25), e 4 maggio 2010, causa C‑533/08, TNT Express Nederland (Racc. pag. I‑4107, punto 62).


44 – Sentenze 14 luglio 1994, causa C‑379/92, Peralta (Racc. pag. I‑3453, punto 16); 24 giugno 2008, causa C‑188/07, Commune de Mesquer (Racc. pag. I‑4501, punto 85), e Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 48).


45 – Nello stesso senso v., in riferimento alla Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale, la sentenza Bogiatzi, cit. alla nota 43 (punti 32 e 33).


46 – In proposito v., ad esempio, gli accordi nel settore del trasporto aereo conclusi con il Marocco ed il Canada, citati alla nota 32.


47 – V., nel medesimo senso, le conclusioni da me presentate il 20 novembre 2007 nella causa Intertanko (sentenza cit. alla nota 29, paragrafo 44).


48 – V. anche i chiarimenti della Commissione sul suo sito Internet, consultabili in inglese all’indirizzo < http://ec.europa.eu/transport/air/international_aviation/european_community_icao/european_community_icao_en.htm > (visitato da ultimo il 30 giugno 2011).


49 – Nello stesso senso le sentenze Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 49), e Bogiatzi, cit. alla nota 43 (punto 33).


50 – In proposito, v. infra le considerazioni da me svolte in ordine alla terza e alla quarta questione pregiudiziale (paragrafi 161‑236 delle presenti conclusioni).


51 – Sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 52, ultima frase).


52 – Sentenze 30 aprile 1974, causa 181/73, Haegeman (Racc. pag. 449, punto 5); IATA e ELFAA, cit. alla nota 35 (punto 36); Brita, cit. alla nota 41 (punto 39), e 8 marzo 2011, causa C‑240/09, Lesoochranárske zoskupenie (Racc. pag. I‑1255, punto 30).


53 – Sentenze 26 ottobre 1982, causa 104/81, Kupferberg (Racc. pag. 3641, punto 17); 23 novembre 1999, causa C‑149/96, Portogallo/Consiglio (Racc. pag. I‑8395, punto 34), e FIAMM, cit. alla nota 35 (punto 108).


54 – Sentenze International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punto 20); 5 ottobre 1994, causa C‑280/93, Germania/Consiglio (Racc. pag. I‑4973, punto 110), e FIAMM, cit. alla nota 35 (punto 108, in fine); in termini analoghi la sentenza Kupferberg, cit. alla nota 53 (punto 18).


55 – Sentenza FIAMM, cit. alla nota 35 (punto 109).


56 – V., ex plurimis, sentenze International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punti 19‑27, in particolare punto 21); Germania/Consiglio, cit. alla nota 54 (punti106‑109); 12 dicembre 1995, causa C‑469/93, Chiquita Italia (Racc. pag. I‑4533, punti 26‑29); Portogallo/Consiglio, cit. alla nota 53 (in particolare punto 47); 30 settembre 2003, causa C‑93/02 P, Biret International/Consiglio (Racc. pag. I‑10497, in particolare punto 52), nonché causa C‑94/02, Biret et Cie/Consiglio (Racc. pag. I‑10565, in particolare punto 55); 1° marzo 2005, causa C‑377/02, Van Parys (Racc. pag. I‑1465, in particolare punto 39), e FIAMM, cit. alla nota 35 (in particolare punto 111).


57 – Sentenza International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punti 8 e 19). La Corte si esprime in termini simili anche quando si tratta di verificare se i singoli possano far valere, nei confronti di organi o provvedimenti nazionali, disposizioni contenute in accordi internazionali conclusi dall’Unione europea: v., da ultimo, sentenza 20 maggio 2010, causa C‑160/09, Ioannis Katsivardas – Nikolaos Tsitsikas ( Racc. pag. I‑4591, punto 45).


58 – A seconda del caso di specie, tale aspetto richiede una disamina più o meno approfondita. Nella sentenza IATA e ELFAA, cit. alla nota 35 (punto 39), poteva darsi, ad esempio, quale ovvio presupposto il fatto che la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (Convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale; GU 2001, L 194, pag. 39; RTNU vol. 2242, pag. 369) fosse idonea a incidere sulla situazione giuridica dei singoli. Infatti, le disposizioni controverse di tale convenzione riguardavano i diritti di natura civilistica al risarcimento del danno spettanti ai singoli nei confronti delle compagnie aeree, nonché la limitazione della responsabilità civile di tali imprese.


59 – Così la sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 59).


60 – V., ex plurimis, sentenze 31 gennaio 1991, causa C‑18/90, Kziber (Racc. pag. I‑199, punti 15‑23); 29 gennaio 2002, causa C‑162/00, Pokrzeptowicz‑Meyer (Racc. pag. I‑1049, punti 19‑30), e 12 aprile 2005, causa C‑265/03, Simutenkov (Racc. pag. I‑2579, punti 22‑29); nel medesimo senso la sentenza 9 dicembre 2010, cause riunite C‑300/09 e C‑301/09, Toprak (Racc. pag. I‑12845); già nella sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719, punto 14), la Corte ha riconosciuto che simili accordi sono in linea di principio suscettibili di applicazione diretta.


61 – Sentenza 15 luglio 2004, causa C‑213/03, Pêcheurs de l’étang de Berre (Racc. pag. I‑7357, in particolare punto 47).


62 – Nella sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, cit. alla nota 35 (in particolare punti 53 e 54), la Corte ha ritenuto ammissibile che uno Stato membro impugnasse una direttiva adottata dal Parlamento e dal Consiglio adducendo che questa contravveniva ad obblighi di carattere internazionale incombenti alla Comunità europea (ora Unione europea) in forza della Convenzione di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992 sulla diversità biologica (GU 1993, L 309, pag. 3; RTNU vol. 1760, pag. 79). La Corte ha ritenuto espressamente che tale verifica fosse possibile anche nel caso in cui le disposizioni di quella convenzione non avessero alcuna efficacia diretta, ossia non conferissero diritti invocabili in giudizio dai singoli (punto 54 della sentenza sopra citata).


63 – V., ad esempio, il titolo del Protocollo di Kyoto e il primo ‘considerando’ del suo preambolo.


64 – V. art. 2 della Convenzione quadro, cui viene fatto riferimento nel preambolo del Protocollo di Kyoto.


65 – Primo ‘considerando’ della Convenzione quadro.


66 – Sesto ‘considerando’ della Convenzione quadro.


67 – Nono ‘considerando’ della Convenzione quadro.


68 – Oltre agli Stati, possono essere parti contraenti del Protocollo di Kyoto le organizzazioni regionali di integrazione economica. Tale previsione si adatta in particolare al caso dell’Unione europea (un tempo Comunità europea).


69 – Art. 2, nn. 1 e 3, e, in combinato disposto, art. 3 del Protocollo di Kyoto.


70 – V., ad esempio, il primo, il secondo e il settimo ‘considerando’ della Convenzione quadro.


71 – Le ricorrenti nella causa principale hanno la loro sede negli USA, uno Stato che non ha ratificato il Protocollo di Kyoto.


72 – V., in particolare, la formulazione contenuta nell’art. 2, n. 1, lett. a), del Protocollo di Kyoto, secondo cui ciascuna delle parti contraenti indicate nell’allegato I della Convenzione quadro «[a]pplicherà e/o elaborerà politiche e misure, in conformità con la sua situazione nazionale, come [quelle qui sotto indicate (...)]».


73 – In tal senso v., ad esempio, sentenze Demirel, cit. alla nota 60 (punto 14); Pêcheurs de l’étang de Berre, cit. alla nota 61 (punto 39), e Lesoochranárske zoskupenie, cit. alla nota 52 (punto 44); in base a tale giurisprudenza, una disposizione di un accordo internazionale concluso dall’Unione con Stati terzi deve ritenersi direttamente applicabile qualora essa preveda un obbligo chiaro e inequivoco, la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati all’adozione di alcun atto ulteriore.


74 – Più precisamente, la Commissione ritiene che tutte le norme dell’Accordo «open skies» richiamate dal giudice del rinvio possano essere utilizzate quale criterio per la verifica della validità della direttiva 2008/101, mentre invece il governo francese riconosce tale possibilità soltanto relativamente agli artt. 7 e 11, n. 2, dell’accordo sopra citato, ma non all’art. 15, n. 3, del medesimo.


75 – V. ad esempio, nell’ambito dell’Accordo «open skies», l’art. 3, n. 1 [«Ciascuna parte concede all’altra parte i seguenti diritti per l’effettuazione di servizi di trasporto aereo internazionale da parte delle compagnie aeree dell’altra parte: (...)»], l’art. 3, n. 4 [«Ciascuna parte accorda a ciascuna compagnia aerea la facoltà di determinare la frequenza e la capacità del trasporto aereo internazionale che essa offre (...)»], oppure l’art. 11, n. 7 [«Una parte può richiedere l’assistenza dell’altra parte, per conto delle proprie compagnie aeree (...)»].


76 – V., ad esempio, l’art. 3, n. 2 [«Ciascuna compagnia aerea può, su uno o su tutti i collegamenti, a sua scelta (...)»], l’art. 3, n. 5 [«Tutte le compagnie aeree possono effettuare trasporti aerei internazionali senza alcun limite in relazione al (...)»], l’art. 10, n. 1 («Le compagnie aeree di ciascuna parte hanno il diritto di stabilire uffici nel territorio dell’altra parte ai fini della promozione e della vendita di trasporto aereo e di attività connesse»), l’art. 10, n. 4, seconda frase [«Ciascuna compagnia aerea ha il diritto di vendere (...) servizi di trasporto (...)»], l’art. 10, n. 5 [«Ciascuna compagnia aerea ha diritto di convertire e trasferire (...) al proprio territorio nazionale (...) redditi (...)»], nonché l’art. 17, n. 1 [«I venditori di sistemi telematici di prenotazione (...) sono autorizzati (...)»].


77 – Art. 10, n. 4, seconda frase, dell’Accordo «open skies»: «(...) chiunque è libero di (...)».


78 – Primo ‘considerando’ dell’Accordo.


79 – Undicesimo ‘considerando’ dell’Accordo.


80 – Settimo ‘considerando’ dell’Accordo.


81 – Decimo ‘considerando’ dell’Accordo.


82 – Terzo ‘considerando’ dell’Accordo.


83 – Undicesimo ‘considerando’ dell’Accordo.


84 – V. al riguardo il secondo, il terzo, il quarto e il decimo ‘considerando’ dell’Accordo «open skies».


85 – Cit. alla nota 29.


86 – La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (GU 1998, L 179, pag. 3; RTNU vol. 1833, pag. 397) è stata firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 ed è entrata in vigore il 16 novembre 1994. Essa è stata approvata a nome della Comunità europea dell’epoca mediante la decisione del Consiglio 23 marzo 1998, 98/392/CE (GU L 179, pag. 1).


87 – Sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (in particolare punti 58, 59, 61 e 64).


88 – Sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (in particolare punti 60‑62).


89 – V. in tal senso, ad esempio, la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 27 giugno 2001 nella causa «LaGrand» (Germania/Stati Uniti d’America) (C.I.J. Recueil 2001, pag. 466, punto 77, in fine, letto in combinato disposto con il punto 76, in fine), nella quale si afferma che l’art. 36, n. 1, della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari (RTNU vol. 596, pag. 261) conferisce al singolo diritti individuali inviolabili, in opposizione ai diritti individuali derivati dai diritti degli Stati (testo francese: «des droits intransgressibles de l’individu par opposition à des droits individuels dérivés des droits des États»; testo inglese: «immutable individual rights, as opposed to individual rights derivative of the rights of States»).


90 – Tale principio trova espressione, ad esempio, nell’art. 19 della Convenzione di Chicago e nell’art. 91, n. 1, della Convenzione di Montego Bay.


91 – Sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 55); v. anche il quarto ‘considerando’ della Convenzione di Montego Bay.


92 – V., al riguardo, le conclusioni da me presentate nella causa Intertanko (sentenza cit. alla nota 29, paragrafo 55).


93 – Sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 58).


94 – Al riguardo, v. supra, paragrafo 91 delle presenti conclusioni.


95 – Al riguardo, v. supra, paragrafo 92 delle presenti conclusioni.


96 – Artt. 18 e 19 dell’Accordo «open skies».


97 – Anche in numerosi accordi di associazione, di cooperazione o di partenariato conclusi dall’Unione europea con Stati terzi si rinvengono disposizioni di tal fatta riguardanti comitati misti e procedure arbitrali, senza che ciò venga considerato dalla Corte quale argomento contrario alla diretta applicabilità di quegli accordi. V., ex plurimis, artt. 22‑25 dell’Accordo del 12 settembre 1963 che crea un’Associazione tra la Comunità Economica Europea e la Turchia (GU 1964, n. 217, pag. 3687), nonché gli artt. 105 e 111 dell’Accordo del 2 maggio 1992 sullo Spazio economico europeo (GU 1994, L 1, pag. 3).


98 – Coerentemente con ciò, nessuna delle parti intervenute nel presente procedimento di rinvio pregiudiziale si è fondata sulle disposizioni relative al comitato misto o alla procedura arbitrale per negare la diretta applicabilità dell’Accordo «open skies».


99 – Si tratta delle disposizioni legislative e regolamentari riguardanti l’ammissione e la partenza di aeromobili, nonché l’esercizio e la navigazione degli stessi (art. 7, nn. 1 e 2, dell’Accordo «open skies»); a ciò si aggiungono, riguardo alle persone e alle merci a bordo degli aeromobili, le norme disciplinanti l’ingresso, lo sdoganamento, l’immigrazione, i passaporti, la materia doganale e sanitaria e le spedizioni postali (art. 7, n. 2, dell’Accordo).


100 – Nella sentenza International Fruit Company, cit. alla nota 30 (punto 21), la Corte ha considerato il principio di reciprocità enunciato nel preambolo del GATT 1947 («su una base di reciprocità e di mutui vantaggi») come uno tra vari indizi che deponevano in senso contrario alla diretta applicabilità di tale accordo.


101 – Riguardo ai divieti di discriminazione, v. la giurisprudenza citata alla nota 60. Per quanto riguarda i principi in materia di concorrenza, viene pacificamente riconosciuta la diretta applicabilità degli artt. 101 TFUE e 102 TFUE (v. sentenza 30 gennaio 1974, causa 127/73, BRT e Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs, Racc. pag. 51, punti 15‑17).


102 – V. sentenze della Corte Poulsen e Diva Navigation (punti 9 e 10), Racke (punti 45 e 46) e Intertanko (punto 51), tutte citate alla nota 29, nonché sentenza Brita, cit. alla nota 41 (punti 40‑42); v., per completezza, sentenza del Tribunale 22 gennaio 1997, causa T‑115/94, Opel Austria/Consiglio (Racc. pag. II‑39, in particolare punto 90).


103 – Sentenza Racke, cit. alla nota 29 (punto 46).


104 – Nelle sentenze 24 novembre 1993, causa C‑405/92, Mondiet (Racc. pag. I‑6133, punti 11‑16), Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punto 11, ultima frase), e Brita, cit. alla nota 41 (in particolare, punto 45), il diritto internazionale consuetudinario viene utilizzato unicamente per interpretare atti delle istituzioni dell’Unione. Nella sentenza Racke, cit. alla nota 29 (punto 47), si sottolinea che la questione della validità di un regolamento veniva sollevata soltanto in via incidentale, mentre i diritti veri e propri che la ricorrente faceva valere traevano origine direttamente da un accordo tra la Comunità e uno Stato terzo. Nella sentenza Opel Austria/Consiglio, cit. alla nota 102 (punti 93 e 94), il Tribunale ha applicato il principio generale della tutela del legittimo affidamento, riconosciuto nell’ordinamento giuridico dell’Unione, il quale a suo giudizio corrispondeva al principio di buona fede esistente nel diritto internazionale consuetudinario; tuttavia, la validità dell’atto giuridico dell’Unione controverso in quella fattispecie è stata alla fine esaminata alla luce di un accordo internazionale (l’Accordo SEE), e non di un principio generale del diritto dell’Unione o del diritto internazionale consuetudinario (sentenza Opel Austria/Consiglio, punto 95).


105 – In proposito v., ad esempio, sentenze Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punto 10), Mondiet, cit. alla nota 104 (punto 13), e Brita, cit. alla nota 41 (punto 40).


106 – Cit. supra alla nota 35; in termini simili le conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs il 4 dicembre 1997 nella causa Racke (sentenza citata alla nota 29, in particolare paragrafi 84 e 85).


107 – In proposito, v. le considerazioni già svolte supra al paragrafo 50 delle presenti conclusioni; nello stesso senso le conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs nella causa Racke (sentenza citata alla nota 29, in particolare paragrafi 71 e 84).


108 – Lo Statuto della Corte internazionale di giustizia del 26 giugno 1945 forma parte integrante della Carta delle Nazioni Unite (RTNU vol. 1, pag. XVI).


109 – Al riguardo v., in particolare, le sentenze della Corte internazionale di giustizia del 20 febbraio 1969 nelle cause riunite «Piattaforma continentale del Mare del Nord» (Germania/Paesi Bassi e Germania/Danimarca) (C.I.J. Recueil 1969, pag. 4, punto 77), e del 27 giugno 1986 nella causa «Attività militari e paramilitari nel e contro il Nicaragua» (Nicaragua/Stati Uniti d’America), cd. sentenza «Nicaragua» (C.I.J. Recueil 1986, pag. 14, punti 183 e 184).


110 – L’art. 1 della Convenzione di Chicago qui di interesse contiene l’espressione «Gli Stati contraenti riconoscono (...)», ciò che fa pensare alla codificazione di un principio di diritto internazionale già esistente.


111 – La Convenzione internazionale sull’alto mare, sottoposta alla firma a Ginevra il 29 aprile 1958 ed entrata in vigore il 30 settembre 1962 (RTNU vol. 450, pag. 11 [82]), enuncia già nel primo ‘considerando’ del suo preambolo il desiderio delle parti contraenti di «codificare le norme di diritto internazionale relative all’alto mare»; ciò viene riconosciuto anche dalla Corte di giustizia nella sentenza Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punto 10).


112 – Nel settimo ‘considerando’ del preambolo della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare si parla di «codificazione e sviluppo progressivo del diritto del mare realizzati nella presente Convenzione». Ciò viene confermato anche nella giurisprudenza: v., ad esempio, la sentenza della Corte internazionale di giustizia nella causa «Nicaragua», cit. alla nota 109 (punto 212), e le sentenze della Corte di giustizia europea Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punto 10), Mondiet, cit. alla nota 104 (punto 13), e Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 55).


113 – Corte internazionale di giustizia, sentenza «Nicaragua», cit. alla nota 109 (punto 212).


114 – Convention portant réglementation de la navigation aérienne (conclusa a Parigi il 13 ottobre 1919 ed entrata in vigore nel 1922; Recueil des Traités de la Société des Nations, Serie XI [1922], pagg. 173 e segg.). Tale convenzione venne a suo tempo ratificata da 33 Stati complessivamente. Il suo art. 1 e l’art. 1 della Convenzione di Chicago hanno in sostanza una formulazione equivalente.


115 – Testo francese: «Il est hors de doute pour la Cour que ces prescriptions du droit conventionnel ne font que correspondre à des convictions qui, depuis longtemps, sont bien établies en droit international coutumier»; testo inglese: «The Court has no doubt that these prescriptions of treaty-law merely respond to firmly established and longstanding tenets of customary international law» (Corte internazionale di giustizia, sentenza «Nicaragua», cit. alla nota 109, punto 212, in fine).


116 – Nello stesso senso, in riferimento alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, v. sentenze Racke, cit. alla nota 29 (punti 24, 45 e 46), e Brita, cit. alla nota 41 (punto 42); in termini analoghi, in riferimento al diritto del mare, v. sentenza Mondiet, cit. alla nota 104 (punto 13).


117 – Nello stesso senso v. Corte internazionale di giustizia, sentenza «Nicaragua», cit. alla nota 109 (punti 174‑179).


118 – In proposito, v. l’opera a tutt’oggi imprescindibile di Hugo Grotius Mare liberum (1609).


119 – In proposito, v. ad esempio la sentenza della Corte permanente di Giustizia internazionale del 7 settembre 1927 nella causa «Lotus» (Francia/Turchia) (C.P.J.I. Recueil 1927, Serie A, n. 10, pag. 25).


120 – In proposito, v. la decisione di approvazione del Consiglio citata alla nota 86.


121 – V. in tal senso anche la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 25 luglio 1974 nella causa «Competenza in materia di zone di pesca» (Regno Unito/Islanda) (C.I.J. Recueil 1974, pag. 3, punto 50).


122 – Sentenze 22 dicembre 2008, causa C‑333/07, Régie Networks (Racc. pag. I‑10807, punti 46 e 47); 12 ottobre 2010, causa C‑45/09, Rosenbladt (Racc. pag. I‑9391, punto 33), e 5 aprile 2011, causa C‑119/09, Société fiduciaire nationale d’expertise comptable (Racc. pag. I‑2551, punto 21).


123 – Paragrafi 120‑122 delle presenti conclusioni.


124 – V., ad esempio, gli artt. 15, 17, 19‑21, 23, nn. 4 e 5, lett. b), della Convenzione di Ginevra sull’alto mare, nonché gli artt. 1, n. 1, punto 5, 18, n. 2, 19, n. 2, lett. e), 38, 39, 42, n. 4, 53, nn. 1, 5 e 12, 54, 58, n. 1, 87, n. 1, lett. b), 101‑107, 110, nn. 4 e 5, 111, 212, n. 1, 216, n. 1, lett. b), 222, 224, 236, 262 e 298, n. 1, lett. b), della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare.


125 – La Convenzione relativa ai reati e a talune altre azioni commesse a bordo degli aeromobili («Convenzione di Tokio») (RTNU vol. 704, pag. 219) è stata conclusa a Tokio il 14 settembre 1963 ed è entrata in vigore il 4 dicembre 1969. Ad essa aderiscono attualmente 185 Stati.


126 – V. in particolare la sentenza della Corte permanente di Giustizia internazionale nel caso «Lotus», cit. alla nota 119, e la sentenza della Corte di giustizia europea Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29. Per quanto riguarda il tentativo delle ricorrenti nella causa principale di attribuire rilievo ai fini della presente controversia alla sentenza della Corte di appello neozelandese (New Zealand Court of Appeal) del 5 novembre 1998 nel caso «Sellers/Maritime Safety Inspector» ([1999] 2 NZLR 44), basterà ricordare che – a quanto risulta – anche in tale pronuncia non venivano in questione degli aeromobili.


127 – Al riguardo v. – in riferimento agli accordi internazionali – i paragrafi 68 e 69 delle presenti conclusioni.


128 – Diverso può essere l’approccio, ad esempio, con determinate norme del diritto internazionale consuetudinario in materia umanitaria; in proposito, v. le conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs nella causa Racke (sentenza citata alla nota 29, paragrafo 84, ultima frase).


129 – La questione potrebbe porsi diversamente in relazione alle controversie instaurate da ricorrenti privilegiati nel senso di cui all’art. 263, secondo comma, TFUE (in proposito, v. supra, paragrafo 75 delle presenti conclusioni).


130 – V. sentenze Poulsen e Diva Navigation (punto 9) e Racke (punto 45), entrambe citate alla nota 29, e 27 settembre 1988, cause riunite 89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, cosiddetta sentenza «Pasta di legno» (Racc. pag. 5193, punti 15‑18).


131 – V. art. 12, n. 2 bis, in combinato disposto con l’allegato IV, parte B, della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101.


132 – Art. 16 della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101.


133 – Due noti esempi, attinenti a situazioni verificatesi nel settore del controllo europeo sulle fusioni, si possono rinvenire nelle sentenze del Tribunale 25 marzo 1999, causa T‑102/96, Gencor/Commissione (Racc. pag. II‑753, punti 88 e 90), e 14 dicembre 2005, causa T‑210/01, General Electric/Commissione (Racc. pag. II‑5575).


134 – Sentenza Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punti 3, 4 e 30‑34); in termini simili anche la sentenza Commune de Mesquer, cit. alla nota 44 (punti 60 e 61), in riferimento al petrolio fuoriuscito in occasione di un incidente navale nella zona economica esclusiva di uno Stato membro e sparsosi sulle coste di quest’ultimo.


135 – Sentenza «Pasta di legno», cit. alla nota 130 (punto 18); anche nella sentenza Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punti 30‑34), il potere di confisca del carico della nave è riconducibile in definitiva al principio di territorialità.


136 – In tal senso la sentenza Mondiet, cit. alla nota 104 (punto 15), nella quale la competenza della Comunità europea dell’epoca a mettere in atto misure per la conservazione degli stock ittici nell’alto mare viene ricavata sulla base della competenza dello Stato della bandiera.


137 – Se tale facoltà soggiaccia nel caso concreto a restrizioni in virtù di accordi internazionali, è un punto che dovrà essere dibattuto separatamente nell’ambito della terza e della quarta questione pregiudiziale; in proposito, v. infra, paragrafi 161‑236 delle presenti conclusioni.


138 – Sentenza Poulsen e Diva Navigation, cit. alla nota 29 (punti 3, 4 e 30‑34).


139 – Neppure all’interno dell’Unione europea esiste allo stato attuale, nel settore delle imposte dirette, un divieto generale di doppie imposizioni (sentenze 14 novembre 2006, causa C‑513/04, Kerckhaert e Morres, Racc. pag. I‑10967, punti 20‑24, e 12 febbraio 2009, causa C‑67/08, Block, Racc. pag. I‑883, punti 28‑31).


140 – V. il diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 2008/101 e l’art. 25 bis della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101.


141 – V. supra, paragrafi 51‑66 delle presenti conclusioni.


142 – V., in tal senso, sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 52, in fine).


143 – V. supra, paragrafo 118 delle presenti conclusioni.


144 – V. le considerazioni da me svolte in ordine alla seconda questione pregiudiziale (paragrafi 145‑160 delle presenti conclusioni).


145 – Pubblicato dall’ICAO in «Rules of the Air», 10ª ed., luglio 2005.


146 – In inglese: «dropping or spraying».


147 – V. supra, in particolare, paragrafo 103 delle presenti conclusioni.


148 – V. supra, in particolare, paragrafi 166‑168 delle presenti conclusioni.


149 – V., ad esempio, il titolo del Protocollo di Kyoto ed il primo ‘considerando’ del suo preambolo.


150 – V., in tal senso, sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 52, in fine).


151 – In tal senso può essere inteso anche l’art. 4, n. 2, lett. e), punto i), della Convenzione quadro, ai sensi del quale ciascuna parte contraente «coordina nel modo opportuno» i pertinenti strumenti economici ed amministrativi con le altre parti contraenti.


152 – Riguardo al potere discrezionale e/o al margine di valutazione spettante agli organi dell’Unione nell’esame di circostanze economiche e sociali a carattere complesso, v. sentenze IATA e ELFAA, cit. alla nota 35 (punto 80); 10 luglio 2008, causa C‑413/06 P, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala (Racc. pag. I‑4951, punti 69 e 144), e 8 giugno 2010, causa C‑58/08, Vodafone e a. (Racc. pag. I‑4999, punto 52); riguardo al potere discrezionale spettante agli organi dell’Unione nel settore del commercio estero, v. sentenze Racke, cit. alla nota 29 (punto 52), e 27 settembre 2007, causa C‑351/04, Ikea Wholesale (Racc. pag. I‑7723, punto 40).


153 – V. anche il nono ‘considerando’ della direttiva 2008/101.


154 – Diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva 2008/101.


155 – Art. 25 bis della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101.


156 – [Nota riguardante esclusivamente la versione tedesca delle presenti conclusioni].


157 – Risoluzione A36‑22 della 36ª assemblea dell’ICAO, allegato L, punto 1, lett. b), sub 1 (richiamata nel nono ‘considerando’ della direttiva 2008/101).


158 – V., in proposito, il nono ‘considerando’ della direttiva 2008/101.


159 – Risoluzione A37‑19 della 37ª assemblea dell’ICAO dell’ottobre 2010.


160 – V. supra, paragrafo 106 delle presenti conclusioni.


161 – In proposito, vedi anche l’inciso relativo alle «condizioni uniformi» contenuto alla fine dell’art. 3, n. 4, seconda frase, dell’Accordo «open skies».


162 – Sentenza 14 settembre 2010, causa C‑550/07 P, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a., cosiddetta sentenza «Akzo» (Racc. pag. I‑8301, punto 54).


163 – Sentenze IATA e ELFAA, cit. alla nota 35 (punto 95); 16 dicembre 2008, causa C‑127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., cosiddetta sentenza «Arcelor» (Racc. pag. I‑9895, punto 23); Akzo, cit. alla nota 162 (punto 55), e 1° marzo 2011, causa C‑236/09, Association Belge des Consommateurs Test-Achats e a., cosiddetta sentenza «Test-Achats» (Racc. pag. I‑773, punto 28).


164 – Sentenze Arcelor, cit. alla nota 163 (punto 26); Test-Achats, cit. alla nota 163 (punto 29); 17 marzo 2011, causa C‑221/09, AJD Tuna (Racc. pag. I‑1655, punto 93), e 12 maggio 2011, causa C‑176/09, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑3727, punto 32).


165 – Terzo, quarto, decimo e undicesimo ‘considerando’ della direttiva 2008/101.


166 – Secondo, settimo ed ottavo ‘considerando’ della direttiva 2008/101, da leggersi in combinato disposto con il quinto ‘considerando’ della direttiva 2003/87.


167 – Sedicesimo ‘considerando’ della direttiva 2008/101.


168 – Al punto 54 del Memorandum di consultazioni relativo all’Accordo «open skies» (GU 2007, L 134, pag. 33) e al punto 11 del Memorandum di consultazioni relativo al Protocollo di modifica del 2010 (GU 2010, L 223, pag. 16), entrambe le delegazioni riconoscono che nessuna delle disposizioni dell’Accordo «open skies» «pregiudica le rispettive posizioni politiche e giuridiche su diverse questioni ambientali legate al trasporto aereo». Vero è che al punto 35 del Memorandum del 2007 viene ricordata, in riferimento all’art. 15 del citato Accordo, l’importanza del consenso internazionale per quanto riguarda le questioni ambientali legate al trasporto aereo nell’ambito dell’ICAO, e si esorta al rispetto della risoluzione A35‑5 della 35ª assemblea dell’ICAO del settembre 2004. Tuttavia, né da tale memorandum né dalla risoluzione A35‑5 si desume un divieto espresso e giuridicamente vincolante di misure unilaterali riguardo allo scambio di emissioni. Al contrario, la risoluzione A35‑5 si esprime, nel suo allegato H, punto 2, lett. c), a favore di uno scambio di emissioni aperto e non esclude che gli Stati includano nei propri sistemi di scambio di emissioni le emissioni originate dal trasporto aereo internazionale (al riguardo, v. anche il nono ‘considerando’ della direttiva 2008/101).


169 – Al riguardo, v. supra, paragrafi 195‑201 delle presenti conclusioni.


170 – V. infra, paragrafi 207‑221 delle presenti conclusioni.


171 – V. supra, paragrafi 51‑66 delle presenti conclusioni.


172 – In tal senso, la nozione di diritto sembra essere così intesa anche in seno all’ICAO: «a charge is a levy that is designed and applied specifically to recover the costs of providing facilites and services for civil aviation»; v. la pubblicazione, a cura del Consiglio dell’ICAO, dal titolo «ICAO’s Policies on Charges for Airports and Air Navigation Services», 7ª ed., 2004 (doc. n. 9082/7), Introduzione, punto 3; v. inoltre il quinto ‘considerando’ della risoluzione del Consiglio dell’ICAO del 9 dicembre 1996 riguardante gli oneri e le imposte con finalità ambientali (ICAO Council Resolution on environmental charges and taxes).


173 – Una simile distinzione si ritrova ad esempio nella risoluzione A36‑22 della 36ª assemblea dell’ICAO del settembre 2007, allegato L, punto 1, dove si parla, alla lett. a), di diritti e imposte correlati alle emissioni («Emissions‑related charges and taxes») e, alla lett. b), di scambio di emissioni («Emissions trading»).


174 – Tali linee guida si trovano nell’allegato della risoluzione A37‑19 della 37ª assemblea dell’ICAO dell’ottobre 2010.


175 – V. supra, paragrafi 51‑66 delle presenti conclusioni.


176 – Però, come già illustrato sopra (v. paragrafo 104 delle presenti conclusioni), i singoli non possono far valere direttamente l’art. 11, n. 2, lett. c), dell’Accordo «open skies».


177 – V., in tal senso, sentenza Intertanko, cit. alla nota 29 (punto 52, in fine).


178 – In proposito, v. le considerazioni da me svolte riguardo alla quarta questione, lett. b) (paragrafi 213‑221 delle presenti conclusioni).


179 – Il consumo effettivo di carburante viene calcolato in questo modo: dal quantitativo di combustibile contenuto nei serbatoi dell’aeromobile al termine del rifornimento per il volo in questione viene detratto il quantitativo di combustibile contenuto nei serbatoi dell’aeromobile al termine del rifornimento per il volo successivo, e si aggiunge poi il quantitativo di combustibile imbarcato per tale volo successivo (allegato IV, parte B, terzo comma, ultima frase, della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101).


180 – Sentenza 10 giugno 1999, causa C‑346/97, Braathens (Racc. pag. I‑3419).


181 – Direttiva del Consiglio 19 ottobre 1992, 92/81/CE, relativa all’armonizzazione delle strutture delle accise sugli oli minerali (GU L 316, pag. 12), e direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, 92/12/CE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (GU L 76, pag. 1).


182 – Sentenza Braathens, cit. alla nota 180 (punto 23).


183 – Allegato IV, parte B, quinto comma, ultima frase, della direttiva 2003/87, come modificata dalla direttiva 2008/101.