Language of document : ECLI:EU:C:2013:248

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 18 aprile 2013 (1)

Causa C‑501/11 P

Schindler Holding Ltd e altri

contro

Commissione europea e altri

«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Articolo 81 CE – Mercato dell’installazione e della manutenzione degli ascensori e delle scale mobili – Responsabilità della società controllante per gli illeciti in materia di intese commessi dalla sua società controllata – Società holding – Programma di messa in conformità interno all’impresa (“compliance program”) – Diritti fondamentali – Principi dello Stato di diritto relativi all’inflizione di ammende – Divisione dei poteri, principio di precisione, principio di irretroattività, tutela del legittimo affidamento e principio di colpevolezza – Validità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 – Legittimità degli orientamenti della Commissione del 1998»






Indice


I – Introduzione

II – Antefatti della causa

III – Procedimento dinanzi alla Corte

IV – Valutazione dell’impugnazione

A – Sui principi della divisione dei poteri, dello Stato di diritto e dell’immediatezza dell’acquisizione della prova (primo e secondo motivo di impugnazione)

1. Sull’inflizione delle ammende in materia di intese da parte della Commissione (primo motivo di impugnazione)

a) Osservazione preliminare

b) L’inflizione di ammende da parte della Commissione non solleva alcuna riserva dal punto di vista dei diritti fondamentali

c) Sulla confutazione di alcuni ulteriori argomenti sostenuti dalle ricorrenti

2. Sui requisiti dell’istruzione probatoria del Tribunale in sede di controllo delle decisioni di inflizione dell’ammenda della Commissione (secondo motivo di impugnazione)

a) Sulla ricevibilità

b) Sul merito

3. Conclusione intermedia

B – Sulla responsabilità di un’impresa per gli illeciti in materia di intese commessi nel suo ambito di responsabilità

1. Sulla corresponsabilità della società holding (settimo motivo di impugnazione)

a) Sulla critica di fondo della Schindler alla presunzione del 100% (prima parte del settimo motivo di impugnazione)

i) Sul principio di diritto societario della separazione delle responsabilità

ii) Sull’asserita invasione delle competenze degli Stati membri

iii) Sull’asserita violazione della riserva degli elementi essenziali

iv) Conclusione intermedia

b) Sulla critica della Schindler alla concreta applicazione della presunzione del 100% (seconda parte del settimo motivo di impugnazione)

i) Sulla rilevanza del «compliance program» della Schindler Holding

ii) Sulla necessità di «chiarire i rapporti di gruppo»

iii) Sulla nozione di «politica commerciale» nell’ambito della presunzione del 100%

2. Sul principio di colpevolezza (sesto motivo di impugnazione e parti del settimo)

a) Sul rimprovero secondo cui la presunzione del 100% condurrebbe ad una responsabilità oggettiva

b) Sul rimprovero secondo cui non sarebbe sufficiente che il divieto di intese sia stato violato da un qualsiasi dipendente

3. Conclusione intermedia

C – Su alcune ulteriori questioni giuridiche relative all’inflizione e alla commisurazione delle ammende per gli illeciti in materia di intese

1. Validità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 in relazione al principio di precisione (terzo motivo di impugnazione)

a) Sull’asserita imprecisione della nozione di impresa (prima parte del terzo motivo di impugnazione)

b) Sull’asserita imprecisione della cornice edittale delle ammende (seconda parte del terzo motivo di impugnazione)

c) Conclusione intermedia

2. Legittimità degli orientamenti del 1998 (quarto e quinto motivo di impugnazione)

a) Competenza della Commissione ad emanare gli orientamenti (quarto motivo di impugnazione)

b) Il principio di irretroattività e la tutela del legittimo affidamento (quinto motivo di impugnazione)

3. L’importo di base dell’ammenda e gli asseriti motivi per una diminuzione dell’ammenda (decimo, undicesimo e dodicesimo motivo di impugnazione)

a) Sulla qualificazione delle infrazioni come «particolarmente gravi» (decimo motivo di impugnazione)

b) Sulle circostanze attenuanti (undicesimo motivo di impugnazione)

c) Sulle riduzioni dell’ammenda per la collaborazione con la Commissione (dodicesimo motivo di impugnazione)

i) Sulla collaborazione nell’ambito della comunicazione del 2002 (prima parte del dodicesimo motivo di impugnazione)

ii) Sulla collaborazione al di fuori della comunicazione del 2002 (seconda parte del dodicesimo motivo di impugnazione)

iii) Sintesi

4. Il limite massimo del 10% per l’importo dell’ammenda (ottavo motivo di impugnazione)

5. Il diritto di proprietà (nono motivo di impugnazione)

a) Osservazione preliminare

b) Sulla lamentata violazione del diritto di proprietà quale diritto fondamentale dell’Unione

6. Il principio di proporzionalità (tredicesimo motivo di impugnazione)

D – Sintesi

V – Sulle spese

VI – Conclusioni

I –    Introduzione

1.        Il presente caso solleva una serie di questioni giuridiche fondamentali concernenti la repressione degli illeciti in materia di intese. La Schindler Holding Ltd e alcune delle sue società controllate (in prosieguo, congiuntamente, anche: la «Schindler») contestano, in via di principio, il regime vigente nell’Unione europea per l’attuazione del diritto in materia di intese, compreso il ruolo istituzionale della Commissione europea quale autorità garante della concorrenza.

2.        In particolare, la Schindler contesta la legittimità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 e degli orientamenti della Commissione del 1998 (2) in quanto basi per l’inflizione di ammende. La Schindler ritiene altresì inaccettabili i principi, riconosciuti dai giudici dell’Unione, della responsabilità comune delle società controllanti e delle società controllate per gli illeciti in materia di intese commessi nel loro ambito di responsabilità.

3.        Dette questioni giuridiche si profilano in relazione all’«intesa concernente gli ascensori», operante in più Stati membri dell’Unione europea, che la Commissione ha scoperto qualche anno fa e che il 21 febbraio 2007 ha fatto oggetto di una decisione di inflizione dell’ammenda (in prosieguo anche: la «decisione controversa») (3). Oltre che a quattro altre imprese, la Commissione ha addebitato ad alcune società del gruppo Schindler, compresa la holding a capo del gruppo, la partecipazione ad un’intesa concernente gli ascensori, infliggendo alle stesse, ammende commisurate al fatturato del gruppo.

4.        In primo grado le censure della Schindler contro la decisione controversa non hanno trovato accoglimento; il suo ricorso di annullamento è stato respinto dal Tribunale con sentenza del 13 luglio 2011 (in prosieguo anche: la «sentenza impugnata» o la «sentenza del Tribunale») (4). Adesso la Schindler porta avanti la sua richiesta di tutela giuridica nel procedimento d’impugnazione dinanzi alla Corte, invocando a tal fine, tra l’altro, alcuni suoi diritti fondamentali, nonché alcuni principi dello Stato di diritto, quali la divisione dei poteri, il principio di precisione, il principio di irretroattività, la tutela del legittimo affidamento e il principio di colpevolezza.

II – Antefatti della causa

5.        La Schindler è uno dei primi gruppi mondiali fornitori di ascensori e scale mobili. La sua società capogruppo è la Schindler Holding Ltd (in prosieguo: la «Schindler Holding»), con sede in Svizzera. La Schindler esercita le sue attività nel settore degli ascensori e delle scale mobili tramite controllate nazionali (5).

6.        Nell’estate del 2003 sono state trasmesse alla Commissione informazioni relative alla possibile esistenza di un’intesa tra i quattro principali produttori europei di ascensori e scale mobili che esercitano attività commerciali nell’Unione, vale a dire la Kone, la Otis, la Schindler e la ThyssenKrupp (6).

7.        All’esito delle ampie indagini condotte dalla Commissione è infine risultato che i predetti produttori di ascensori e scale mobili «avevano partecipato a quattro infrazioni singole, complesse e continuate all’articolo 81, paragrafo 1, CE, in quattro Stati membri, ripartendosi i mercati attraverso accordi o concertazioni per l’attribuzione di appalti e di contratti relativi alla vendita, all’installazione, alla manutenzione e all’ammodernamento di ascensori e scale mobili» (7). Si tratta, in particolare, dell’intesa concernente gli ascensori relativa al mercato belga, a quello tedesco, a quello lussemburghese e a quello olandese. La partecipazione della Schindler a queste intese ha avuto una durata diversa nei quattro Stati membri, ma si è in ogni caso protratta per più anni (8).

8.        Per ciascuno dei quattro illeciti in materia di intese la Commissione con la decisione controversa ha inflitto ammende alle varie imprese partecipanti, commisurandone l’importo sulla base dei propri orientamenti del 1998.

9.        Nel caso della Schindler la Schindler Holding è stata ritenuta responsabile per ciascun illecito in solido con la sua controllata nazionale (9). Complessivamente, le ammende inflitte in tal modo alla Schindler ammontano, per tutte e quattro le infrazioni insieme, a ben EUR 143 milioni.

10.      Contro la decisione controversa alcuni dei suoi destinatari hanno proposto ricorso in primo grado dinanzi al Tribunale, domandandone l’annullamento (10).

11.      Per quanto riguarda il gruppo Schindler, in primo grado la Schindler Holding, la Schindler Management AG, la Schindler SA (Belgio), la Schindler Deutschland Holding GmbH (Germania), la Schindler Sàrl (Lussemburgo) e la Schindler Liften BV (Paesi Bassi) hanno presentato congiuntamente ricorso dinanzi al Tribunale con atto del 4 maggio 2007.

12.      Nella sua sentenza del 13 luglio 2011 il Tribunale ha dichiarato che non vi è luogo a provvedere sul ricorso nei limiti in cui è stato proposto dalla Schindler Management AG (11). Quanto al resto ha respinto il ricorso, condannando le ricorrenti alle spese.

III – Procedimento dinanzi alla Corte

13.      Contro la sentenza del Tribunale la Schindler Holding e tutte le sue litisconsorti nel procedimento di primo grado (in prosieguo anche: le «ricorrenti») hanno proposto congiuntamente la presente impugnazione con atto del 27 settembre 2011. Esse chiedono che la Corte voglia:

1)      annullare la sentenza del Tribunale;

2)      annullare la decisione della Commissione,

      in subordine, annullare o ridurre le ammende inflitte alle ricorrenti da detta decisione;

3)      subordinatamente alle domande esposte sopra, rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché si pronunci conformemente alla valutazione giuridica operata dalla Corte;

4)      in ogni caso, condannare la Commissione alle spese sostenute dalle ricorrenti nei procedimenti dinanzi al Tribunale e alla Corte.

14.      La Commissione chiede a sua volta che la Corte voglia:

1)      respingere in toto l’impugnazione;

2)      condannare le ricorrenti alle spese.

15.      Da ultimo il Consiglio dell’Unione europea, che ha partecipato al procedimento di primo grado quale interveniente a fianco della Commissione, chiede che la Corte voglia:

1)      respingere l’impugnazione nella parte relativa all’eccezione di illegittimità del regolamento n. 1/2003;

2)      pronunciarsi equamente sulle spese.

16.      Dinanzi alla Corte il ricorso è stato discusso con procedimento scritto e, il 17 gennaio 2013, orale. Il Consiglio si è limitato a prendere posizione sulla questione, sollevata dalla Schindler soprattutto nel primo e nel terzo motivo di impugnazione, relativa alla validità del regolamento n. 1/2003.

IV – Valutazione dell’impugnazione

17.      Le ricorrenti propongono complessivamente tredici motivi di impugnazione, con alcuni dei quali sollevano questioni giuridiche di fondo in relazione all’inflizione di ammende per gli illeciti in materia di intese da parte della Commissione europea. Conviene raggruppare i motivi di impugnazione in base ai contenuti e, quindi, analizzarli in un ordine leggermente modificato.

A –    Sui principi della divisione dei poteri, dello Stato di diritto e dell’immediatezza dell’acquisizione della prova (primo e secondo motivo di impugnazione)

18.      Con il primo e il secondo motivo di impugnazione, in sostanza, la Schindler mette in discussione la conformità del sistema esistente a livello di Unione per la repressione degli illeciti in materia di intese con basilari principi dello Stato di diritto.

19.      Da un lato, la Schindler ritiene che le ammende in materia di intese non potrebbero essere inflitte dalla Commissione quale autorità amministrativa, ma dovrebbero essere inflitte da un tribunale indipendente (primo motivo di impugnazione, v. in proposito infra, sezione 1). Dall’altro, la Schindler critica il metodo di accertamento dei fatti seguito dalla Commissione e dal Tribunale, il quale, a suo avviso, viola il principio dell’immediatezza dell’acquisizione della prova (secondo motivo di impugnazione, v. in proposito infra, sezione 2).

1.      Sull’inflizione delle ammende in materia di intese da parte della Commissione (primo motivo di impugnazione)

20.      In primo luogo, ad avviso della Schindler costituisce una violazione dei principi della divisione dei poteri e dello Stato di diritto il fatto che, a livello d’Unione, le ammende in materia di intese siano inflitte dalla Commissione quale autorità garante della concorrenza del mercato interno europeo, anziché da un tribunale indipendente.

a)      Osservazione preliminare

21.      Benché la Schindler si riferisca genericamente ai principi della divisione dei poteri e dello Stato di diritto, le sue argomentazioni scritte e orali svolte nell’ambito del primo motivo di impugnazione mostrano, tuttavia, che in sostanza si contesta la violazione dell’articolo 6 della CEDU (12), vale a dire la violazione del diritto ad un processo equo dinanzi ad un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge.

22.      Occorre in proposito osservare che l’articolo 6 della CEDU – contrariamente a quanto affermato dalla Schindler – almeno per il momento non ha diretta applicazione a livello d’Unione. L’Unione, infatti, non ha ancora aderito alla CEDU, dovendo, invece, l’articolo 6, paragrafo 2, TUE ancora essere trasposto (13).

23.      Ciò nondimeno i diritti fondamentali previsti all’articolo 6 della CEDU hanno già oggi una notevole rilevanza pratica a livello di Unione. Da un lato, in essi trovano espressione principi generali di diritto, riconosciuti anche nel diritto dell’Unione (articolo 6, paragrafo 3, TUE) (14); dall’altro, essi costituiscono il parametro per l’interpretazione di quelle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che corrispondono contenutisticamente ad essi (articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE, in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta) (15).

24.      Ciò considerato, ai fini della soluzione delle questioni sollevate dalla Schindler all’articolo 6 della CEDU e alla giurisprudenza della Corte eur. D.U. (16) su di esso intervenuta spetta un ruolo nient’affatto trascurabile, sicché nel prosieguo mi soffermerò principalmente su di essi. Dal punto di vista formale, tuttavia, non è l’articolo 6 della CEDU in quanto tale, bensì l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, e in particolare il suo secondo comma, nonché i principi generali del diritto dell’Unione richiamati dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, a costituire il parametro per l’esame delle violazioni asserite dalla Schindler contro i principi della divisione dei poteri e dello Stato di diritto (17).

b)      L’inflizione di ammende da parte della Commissione non solleva alcuna riserva dal punto di vista dei diritti fondamentali

25.      È pacifico che il diritto della concorrenza, pur avendo tratti simili al diritto penale (18), tuttavia non rientra nel nucleo essenziale del diritto penale (19).

26.      Al di fuori del «nocciolo duro» del diritto penale le garanzie penalistiche previste all’articolo 6 della CEDU, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., non devono essere necessariamente applicate in tutto il loro rigore (20).

27.      Per il diritto della concorrenza ciò significa che le ammende per la repressione degli illeciti in materia di intese non devono essere necessariamente inflitte da un tribunale indipendente, piuttosto la relativa competenza può essere attribuita in via di principio anche ad un’autorità amministrativa. I requisiti posti dall’articolo 6 della CEDU sono in quest’ambito soddisfatti purché l’impresa interessata possa impugnare qualsiasi decisione di inflizione dell’ammenda in materia di intese, presa nei suoi confronti, dinanzi ad un organo giurisdizionale dotato di una competenza anche di merito (in francese: «pleine juridiction»; in inglese: «full jurisdiction») (21).

28.      Il tribunale adito per controllare le decisioni di inflizione dell’ammenda in materia di intese deve avere, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U. (22), il potere di «riformare» in qualunque punto, in fatto come in diritto, la decisione dell’autorità amministrativa (23). Contrariamente a quanto può apparire di primo acchito, ciò non significa necessariamente che il tribunale debba poter riformare nel merito ogni punto della decisione di inflizione dell’ammenda (in francese: «réformer»). Piuttosto è sufficiente che il tribunale sia competente ad esaminare tutte le questioni rilevanti per la controversia di cui è investito, siano esse di fatto o diritto (24), e ad annullare sotto tutti gli aspetti la decisione impugnata (in inglese: «to quash») (25).

29.      Tali requisiti risultano soddisfatti dal sistema di tutela giuridica istituito a livello di Unione, nel cui ambito le decisioni di inflizione dell’ammenda della Commissione in materia di concorrenza possono essere impugnate dalle imprese interessate. Secondo una consolidata giurisprudenza della nostra Corte, infatti, il giudice dell’Unione dispone, in relazione a siffatte decisioni, di un duplice potere (26):

–        da un lato, il giudice dell’Unione esercita un controllo di legittimità (articolo 263, primo comma, TFUE). Contrariamente alla prima impressione, in quest’ambito il giudice dell’Unione non deve limitarsi a mere questioni di diritto, ma può sindacare anche l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza; egli è altresì chiamato ad accertare se gli elementi di prova addotti dalla Commissione costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che dovevano essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa, se essi siano idonei a corroborare le conclusioni che ne sono state tratte, e se la Commissione abbia adeguatamente motivato la sua decisione a tale riguardo. Da questo punto di vista non esiste un margine di valutazione della Commissione, sottratto al sindacato giurisdizionale (27);

–        dall’altro lato, il giudice dell’Unione dispone, in relazione alle sanzioni pecuniarie, della competenza estesa al merito (articolo 261 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 31 del regolamento n. 1/2003), che, per evitare confusioni, sarebbe meglio indicare come «pleine juridiction» (in francese) o «full jurisdiction» (in inglese) in senso stretto. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (28).

30.      I giudici dell’Unione, pertanto, in relazione alle decisioni di inflizione dell’ammenda in materia di intese dispongono, tanto in diritto quanto in fatto, di una «competenza anche di merito» (in francese: «pleine juridiction»; in inglese: «full jurisdiction») in senso ampio, come richiesto dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali, interpretato e applicato alla luce dell’articolo 6 della CEDU e della giurisprudenza della Corte eur. D.U. (29).

31.      La replica della Schindler, secondo cui «in base alla prassi attuale» le decisioni della Commissione nei procedimenti in materia di intese non sarebbero sottoposte ad un sindacato giurisdizionale pieno, non è altro che una mera affermazione che non è stata in alcun modo motivata con riferimento al presente caso (30). In realtà il Tribunale ha affrontato tutte le questioni di fatto sollevate dalla Schindler in primo grado, e le ha sottoposte ad un approfondito esame.

32.      Tutto ciò considerato, la censura, fondata sull’articolo 6 della CEDU, di una violazione dei principi della divisione dei poteri e dello Stato di diritto a causa dell’inflizione delle ammende in materia di intese da parte della Commissione, è quindi priva di fondamento.

c)      Sulla confutazione di alcuni ulteriori argomenti sostenuti dalle ricorrenti

33.      Le ricorrenti sostengono che – considerato l’ammontare in sé delle ammende in materia di intese inflitte a livello di Unione – la Commissione penetra nel «nocciolo duro» del diritto penale, in cui l’inflizione di sanzioni sarebbe riservata, ai sensi dell’articolo 6 della CEDU, a tribunali indipendenti.

34.      Questo argomento non convince. Se una materia rientri nel «nocciolo duro» del diritto penale ai fini dell’articolo 6 della CEDU, non può essere stabilito esclusivamente in base all’ammontare delle sanzioni inflitte, tanto meno se a tal fine non si tiene conto delle dimensioni e della capacità economica delle imprese interessate, e si considerano soltanto gli importi pecuniari nominali.

35.      Decisiva risulta non solo una considerazione quantitativa ma, in via assolutamente determinante, anche una considerazione qualitativa delle sanzioni inflitte. La Schindler trascura altresì il fatto che ad essere colpite dalle sanzioni in materia di intese inflitte a livello di Unione – a prescindere dal loro importo nominale – sono sempre le imprese. Il regolamento n. 1/2003 non conosce sanzioni penali o parapenali contro le persone fisiche, men che meno sanzioni privative della libertà. Tutto ciò costituisce una notevole differenza qualitativa rispetto al «nocciolo duro» del diritto penale, cui la Corte eur. D.U. sembra fare riferimento nella propria giurisprudenza (31).

36.      Le ricorrenti ritengono, inoltre, di poter desumere dalla giurisprudenza della Corte eur. D.U. che, al di fuori del settore dei «delitti minori» e dei «procedimenti di massa», un conferimento della potestà sanzionatoria ad un’autorità amministrativa non sia conforme alle previsioni dell’articolo 6 della CEDU (32).

37.      Sul punto è sufficiente rilevare che, in base alla più recente giurisprudenza della Corte eur. D.U., nell’inflizione di un’ingente ammenda in materia di intese da parte di un’autorità garante della concorrenza non è ravvisabile alcuna violazione dell’articolo 6 della CEDU (33), come hanno dovuto riconoscere, nell’udienza dinanzi alla Corte, anche i rappresentanti processuali della Schindler.

38.      Aggiungo che l’inflizione di ammende per illeciti in materia di intese da parte di autorità garanti della concorrenza è conforme, per lo meno nell’Europa continentale, ad una tradizione ampiamente diffusa.

39.      Le ricorrenti ritengono, infine, che il Trattato di Lisbona imponga una nuova valutazione della questione se le ammende in materia di intese possano essere inflitte dalla Commissione quale autorità garante della concorrenza.

40.      Anche questo argomento, tuttavia, non è condivisibile. Da un lato, la legittimità della decisione controversa, adottata prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, deve essere valutata sulla scorta della situazione normativa all’epoca vigente. Dall’altro, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009 non è cambiato nulla di essenziale nelle previsioni dei diritti fondamentali qui rilevanti. Detto Trattato ha sì elevato ora la Carta dei diritti fondamentali al rango di diritto primario vincolante dell’Unione, e ha disposto che la Carta e i Trattati abbiano lo stesso valore giuridico (articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE). Il contenuto del diritto fondamentale, riconosciuto a livello di Unione, a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale è, tuttavia, ampiamente plasmato dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, nonché dalla giurisprudenza della Corte eur. D.U. e dei giudici dell’Unione su questa tematica. Con il Trattato di Lisbona non è cambiato nulla di essenziale nel contenuto di questo diritto fondamentale (34).

41.      Rimane certo possibile, in base all’articolo 52, paragrafo 3, seconda frase, della Carta dei diritti fondamentali, andare oltre, nel diritto dell’Unione, lo standard fissato dalla CEDU. Il legislatore dei Trattati, tuttavia, ha chiarito che le disposizioni della Carta non modificano in alcun modo le competenze e i compiti definiti nei Trattati (articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 2, della Carta). Date queste premesse, non si possono prendere a fondamento i diritti fondamentali della Carta, e segnatamente il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale ai sensi dell’articolo 47 della Carta, per una modifica radicale della suddivisione di competenze tra la Commissione europea quale autorità garante della concorrenza del mercato interno europeo, e la Corte di giustizia dell’Unione europea quale istanza di controllo giurisdizionale.

2.      Sui requisiti dell’istruzione probatoria del Tribunale in sede di controllo delle decisioni di inflizione dell’ammenda della Commissione (secondo motivo di impugnazione)

42.      Oltre alla critica di fondo relativa al ruolo istituzionale svolto dalla Commissione nell’inflizione delle ammende per gli illeciti in materia di intese, le ricorrenti lamentano una violazione del principio dell’immediatezza dell’acquisizione della prova. Né la Commissione, né il Tribunale avrebbero accertato i fatti del presente caso attraverso un’«immediata acquisizione della prova». In particolare, la Commissione si sarebbe basata solo su prove documentali, non invece su deposizioni testimoniali di persone fisiche. Inoltre, i testimoni che hanno presentato domanda di beneficiare del programma di clemenza [nell’ambito della comunicazione sulla collaborazione del 2002 della Commissione (la cosiddetta «comunicazione sulla clemenza») (35)] sarebbero stati escussi senza imporre loro l’obbligo di testimoniare secondo verità e senza la presenza di tutte le parti del procedimento. Ciò integrerebbe una violazione dell’articolo 6, paragrafi 1 e 3, lettera d), della CEDU (36). Il Tribunale, in casi come quello di specie, avrebbe l’obbligo, proprio di uno Stato di diritto, di effettuare esso stesso indagini sui fatti.

a)      Sulla ricevibilità

43.      La Commissione eccepisce l’irricevibilità del presente motivo di impugnazione. In proposito occorre distinguere.

44.      Nella parte in cui la Schindler rimprovera alla Commissione di aver fondato la propria istruttoria sulle informazioni scritte, non ulteriormente verificate, fornite da testimoni richiedenti la clemenza, la sua censura è irricevibile. Come infatti giustamente rileva la Commissione, si tratta di un motivo nuovo, non sollevato in questa forma dinanzi al Tribunale. In primo grado la Schindler aveva sì affrontato altre questioni di diritto concernenti la prova fornita dai richiedenti la clemenza (37), ma non la mancata verifica delle informazioni da essi provenienti, su cui si appunta ora la sua censura. In questo modo la Schindler estende in termini irricevibili l’oggetto della presente controversia rispetto al procedimento di primo grado (38).

45.      Le cose stanno diversamente rispetto all’ulteriore rimprovero mosso dalla Schindler, secondo cui anche il Tribunale, nel controllare la decisione controversa, avrebbe violato il principio dell’immediatezza dell’acquisizione della prova. Con tale censura la Schindler muove una specifica critica alla sentenza impugnata che, per sua natura, può essere sollevata solo in sede d’impugnazione. Per la parte in cui concerne il modo di procedere del Tribunale in materia di prove, il secondo motivo di impugnazione è, quindi, ricevibile.

b)      Sul merito

46.      Nel merito, tuttavia, la tesi della Schindler non convince.

47.      I procedimenti avviati con ricorsi diretti dinanzi ai giudici dell’Unione sono retti dal principio dispositivo e dal principio dell’allegazione. Di conseguenza, dal ricorrente si può pretendere di identificare gli elementi contestati della decisione impugnata, formulando censure e adducendo prove, o per lo meno, seri indizi della loro fondatezza (39).

48.      Come hanno dovuto ammettere le ricorrenti nell’udienza dinanzi alla Corte, in nessun momento del procedimento di primo grado la Schindler ha contestato la correttezza dei fatti accertati dalla Commissione, né ha richiesto l’escussione di testimoni, pur essendoci stata, com’è del tutto pacifico, ampia possibilità per farlo dinanzi al Tribunale. Per contro la Schindler, in base a quanto riferito dal Tribunale e non fatto oggetto di alcuna contestazione, ha espressamente riconosciuto i fatti risultanti dalla comunicazione degli addebiti (40).

49.      Ciò considerato, è ben difficile che adesso la Schindler, nella fase del procedimento d’impugnazione, possa rimproverare al Tribunale di aver trascurato i propri doveri relativi all’accertamento dei fatti.

50.      In ogni caso, secondo costante giurisprudenza spetta solo al Tribunale decidere se le informazioni di cui dispone necessitino di essere integrate (41). Ciò dipende soprattutto dal fatto che il Tribunale ritenga, o meno, necessario, ai fini della sua decisione, un chiarimento di determinati aspetti dei fatti.

51.      Solo in via del tutto eccezionale si potrà ritenere che l’ampia discrezionalità del Tribunale nel valutare quali mezzi di prova siano idonei e necessari per provare un determinato fatto, assuma la consistenza di un obbligo, in forza del quale il Tribunale debba acquisire di propria iniziativa ulteriori prove anche qualora nessuna delle parti lo abbia richiesto. Ciò vale a fortiori nel caso in cui le parti del procedimento – come nel presente caso – siano grandi imprese con maturata esperienza nelle questioni di concorrenza, e siano rappresentate da avvocati specializzati.

52.      La mera circostanza che la Commissione in una decisione di inflizione dell’ammenda in materia di intese si sia basata in modo determinante sulle dichiarazioni di un testimone richiedente la clemenza non è comunque di per sé idonea a far sorgere, in capo al Tribunale, l’obbligo di assumere ulteriori prove di propria iniziativa.

53.      A ciò aggiungo che nel procedimento in materia di intese alle dichiarazioni scritte delle imprese non può essere a priori attribuito un valore probatorio inferiore rispetto alle deposizioni orali delle persone fisiche. Per contro, in considerazione della complessità di molti procedimenti in materia di intese, è pressoché inevitabile, e in ogni caso estremamente utile per il chiarimento e l’accertamento dei fatti, poter fare riferimento a documenti scritti, compresi quelli forniti spontaneamente da imprese partecipanti all’intesa.

54.      Certamente occorre verificare scrupolosamente in ogni singolo caso se le dichiarazioni di un’impresa, tanto più quelle di un’impresa partecipante all’intesa che ha richiesto la clemenza, siano eventualmente caratterizzate da un’esposizione degli avvenimenti unilaterale, lacunosa o inesatta, o siano affette da un intento accusatorio a carico degli altri partecipanti all’intesa. Non è, tuttavia, ammissibile mettere a priori in dubbio il contenuto di verità e il valore probatorio indistintamente di tutte le dichiarazioni scritte dei testimoni richiedenti la clemenza nei procedimenti in materia di intese, o in genere attribuire ad esse un minor valore rispetto ad altri mezzi di prova.

55.      Ciò vale a maggior ragione in quanto gli altri partecipanti all’intesa già durante il procedimento amministrativo hanno la possibilità di avere accesso alle prove sulle quali la Commissione si fonda, e di esporre alla Commissione la propria, eventualmente diversa, versione dei fatti (articolo 27, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 1/2003), e così, all’occorrenza, contraddire l’accertamento dei fatti basato sulle dichiarazioni di un testimone richiedente la clemenza, o comunque riportarlo in una luce diversa.

56.      Se però nessuna delle parti del procedimento ha contraddetto il contenuto dell’accertamento dei fatti operato dalla Commissione basandosi sulle dichiarazioni di un testimone richiedente la clemenza, né vi sono ulteriori elementi che inducano a sospettarne l’unilateralità, l’inesattezza o la lacunosità, allora per il Tribunale non vi è motivo di effettuare controlli aggiuntivi e di acquisire ulteriori prove di propria iniziativa.

57.      In generale, poi, il Tribunale non può essere obbligato ad acquisire prove su tutte le possibili questioni di dettaglio che si collocano a margine di un fatto accertato dalla Commissione e sostanzialmente non controverso – come, ad esempio, sui dettagli menzionati dalla Schindler nella sua replica nel procedimento d’impugnazione (42) –, qualora tali dettagli, come nella specie, non abbiano rilevanza, o tutt’al più abbiano una minima rilevanza per la decisione della controversia. Un esempio per tutti: se ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione non fa, di diritto, alcuna differenza, se un’intesa abbia avuto notevoli o solo minimi effetti sul mercato, allora non è nemmeno necessario acquisire prove su questi effetti (43).

3.      Conclusione intermedia

58.      Tutto ciò considerato, le censure sollevate dalla Schindler circa la violazione di basilari principi dello Stato di diritto sono infondate. Occorre dunque respingere il primo ed il secondo motivo di impugnazione.

B –    Sulla responsabilità di un’impresa per gli illeciti in materia di intese commessi nel suo ambito di responsabilità

59.      Il sesto e il settimo motivo di impugnazione concernono i principi del diritto dell’Unione, riconosciuti da una costante giurisprudenza, circa la responsabilità di un’impresa per gli illeciti in materia di intese commessi nel suo ambito di responsabilità. Da un lato, le ricorrenti lamentano che il Tribunale avrebbe erroneamente affermato la corresponsabilità della Schindler Holding per gli illeciti in materia di intese delle sue quattro società controllate nazionali (settimo motivo di impugnazione, v. in proposito infra, sezione 1). Dall’altro, denunciano, in generale, una violazione del principio di colpevolezza (sesto e in parte anche settimo motivo di impugnazione, v. in proposito infra, sezione 2).

1.      Sulla corresponsabilità della società holding (settimo motivo di impugnazione)

60.      Oggetto del settimo motivo di impugnazione sono i principi in base ai quali nel diritto dell’Unione le società controllanti sono ritenute corresponsabili per gli illeciti in materia di intese delle loro società controllate al 100%. Le relative censure ruotano intorno alla cosiddetta «presunzione del 100%». In base ad essa, se una società controllante detiene il 100% (o quasi) del capitale della sua controllata, si può presumere iuris tantum che la società controllante esercita un’influenza determinante sul comportamento sul mercato della controllata. Ciò vale anche nel caso in cui la società controllante controlli la propria controllata per il tramite di una società interposta, qualora la controllante detenga il 100% (o quasi) del capitale della società interposta, e questa detenga a sua volta il 100% (o quasi) del capitale della controllata. Il fatto di detenere il 100% o quasi del capitale consente quindi, secondo la giurisprudenza, di considerare la controllante e la controllata come un’unica impresa, con la conseguenza che la controllante è chiamata a rispondere in solido per gli illeciti in materia di intese della sua controllata.

61.      Questa presunzione del 100% è applicata in modo assolutamente pacifico nella costante giurisprudenza dei giudici dell’Unione – la cosiddetta giurisprudenza Akzo Nobel (44) – e solo di recente è stata confermata due volte in sentenze della Grande Sezione della Corte (45).

62.      Ciò nonostante le ricorrenti sostengono che il Tribunale, ricorrendo alla presunzione del 100%, avrebbe erroneamente affermato la corresponsabilità della Schindler Holding quale società controllante del gruppo Schindler per gli illeciti in materia di intese commessi dalle sue quattro controllate nazionali in Germania, in Belgio, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo nell’ambito dell’intesa concernente gli ascensori. Le ricorrenti, per un verso, contestano la legittimità della presunzione del 100% in sé e per sé [v. in proposito subito infra, sezione a)], per altro verso, criticano la specifica applicazione di tale presunzione del 100% fatta dal Tribunale nel presente caso [v. in proposito infra, sezione b)].

a)      Sulla critica di fondo della Schindler alla presunzione del 100% (prima parte del settimo motivo di impugnazione)

63.      Nella prima parte del settimo motivo di impugnazione la Schindler muove una critica di fondo alla presunzione del 100% in sé e per sé. Tale critica si basa sostanzialmente su tre rilievi che nel prosieguo affronterò uno per uno.

i)      Sul principio di diritto societario della separazione delle responsabilità

64.      In primo luogo, la Schindler, come già in primo grado, afferma che la presunzione del 100% violerebbe il principio della separazione vigente nel diritto societario, secondo il quale le persone giuridiche sono in via di principio autonome e rispondono separatamente, mentre non sarebbe consentito rivalersi sui loro azionisti. Un’eventuale deroga a questo «principio della separazione delle responsabilità» sarebbe possibile solo in via eccezionale e in presenza di rigorosi presupposti, e segnatamente qualora la società controllante abbia consapevolmente assunto la responsabilità per i debiti della sua controllata, o qualora le debba essere imputato un proprio errore.

65.      Occorre riconoscere che il principio della separazione è un principio ampiamente diffuso nel diritto societario degli Stati membri, che riveste un’importanza pratica non trascurabile soprattutto in questioni di responsabilità civile concernenti le società commerciali, come ad esempio le società a responsabilità limitata o le società per azioni.

66.      Nel valutare la responsabilità in materia di intese di un’impresa, tuttavia, non può essere decisiva l’eventuale esistenza, tra la controllante e la controllata, di un «corporate veil». Piuttosto risultano determinanti le realtà economiche, in quanto il diritto della concorrenza non è improntato su formalità, bensì sull’effettivo comportamento delle imprese (46) sul mercato. Per valutare, ai fini del diritto in materia di intese, gli effetti sulla concorrenza del comportamento sul mercato di un’impresa non assume alcun rilievo la costruzione giuridica che le persone fisiche o giuridiche, che si trovano dietro tale impresa, abbiano di volta in volta prescelto per regolare i loro rapporti giuridici.

67.      Non si può, quindi, stabilire sulla scorta di meri parametri giuridico-formali se una società controllante e la sua controllata (o le sue controllate) si comportino sul mercato come un’unica impresa. Parimenti non si può stabilire esclusivamente secondo il metro del diritto societario se una società controllata possa determinare autonomamente il suo comportamento sul mercato o se, invece, sia esposta all’influenza determinante della sua controllante. In caso contrario le società controllanti interessate avrebbero gioco facile nel sottrarsi alla responsabilità per gli illeciti in materia di intese commessi dalle loro controllate al 100% invocando mere circostanze di diritto societario (47).

68.      Ciò considerato, il Tribunale ha correttamente respinto la critica della Schindler, fondata esclusivamente su argomenti di diritto societario, contro la presunzione del 100% e – più in generale – contro i principi del diritto dell’Unione della corresponsabilità delle società controllanti per gli illeciti in materia di intese commessi dalle loro controllate (48).

ii)    Sull’asserita invasione delle competenze degli Stati membri

69.      La Schindler sostiene, altresì, che la giurisprudenza dei giudici dell’Unione sulla corresponsabilità delle società controllanti per gli illeciti in materia di intese delle loro controllate costituisce un’invasione delle competenze degli Stati membri. Secondo la Schindler, infatti, rientra esclusivamente nella competenza degli Stati membri stabilire quando può essere rimossa la separazione delle responsabilità, in via di principio esistente tra una società controllante e la sua controllata.

70.      Come la Commissione giustamente rileva, la presente censura costituisce un motivo nuovo, sollevato per la prima volta nella fase del procedimento d’impugnazione. Di conseguenza, questa parte del settimo motivo di impugnazione è irricevibile (49).

71.      Anche nel merito la tesi della Schindler non convince.

72.      Ovviamente, in virtù del principio di attribuzione delle competenze, l’Unione agisce solo nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei Trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti (articolo 5, paragrafo 2, prima frase, in combinato disposto con il paragrafo 1, prima frase, TUE – in precedenza, articolo 5, paragrafo 1, CE). Ciascuna istituzione dell’Unione, inoltre, agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai Trattati (articolo 13, paragrafo 2, prima frase, TUE), e qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri (articolo 4, paragrafo 1, TUE, e articolo 5, paragrafo 2, seconda frase, TUE).

73.      Tuttavia, l’affermazione secondo cui l’Unione non disporrebbe della competenza di chiamare a rispondere insieme le società controllanti e le loro controllate al 100% per la commissione di illeciti in materia di intese, è priva di qualsiasi fondamento.

74.      Infatti, in base all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, la competenza sanzionatoria della Commissione non è limitata a misure contro specifiche persone giuridiche – ad esempio, le società di un gruppo direttamente coinvolte in un’intesa – ma consente alla Commissione di infliggere ammende nei confronti dell’impresa che ha commesso un illecito in materia di intese. Questa competenza sanzionatoria trova un espresso fondamento di diritto primario nell’articolo 83, paragrafo 1, in combinato disposto con il paragrafo 2, lettera a), CE [divenuto articolo 103, paragrafo 1, in combinato disposto con il paragrafo 2, lettera a), TFUE].

75.      Anche la nozione di impresa in quanto tale trova fondamento nel diritto primario dell’Unione e gode, quindi, di rango costituzionale all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in particolare, articoli 81 CE, 82 CE, 86 CE e 87 CE, divenuti articoli 101 TFUE, 102 TFUE, 106 TFUE e 107 TFUE). La determinazione in via interpretativa del suo contenuto e della sua portata rientra tra le prerogative più autenticamente proprie della Corte di giustizia dell’Unione europea, cui spetta assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati (articolo 19, paragrafo 1, seconda frase, TUE).

76.      Quale elemento chiave delle regole sulla concorrenza, necessarie per il funzionamento del mercato interno, la nozione di impresa deve essere interpretata ed applicata in modo uniforme in tutta l’Unione, e non può dipendere dalle particolarità del diritto societario nazionale degli Stati membri. In caso contrario non potrebbe essere assicurato alle imprese attive sul mercato interno un contesto giuridico uniforme («level playing field»).

77.      Anche se, allo stato attuale, la competenza a disciplinare il diritto societario è ampiamente rimasta in capo agli Stati membri, questi, nell’esercizio di tale competenza (50) – come pure in altri settori giuridici (51) – devono tuttavia a loro volta osservare il pertinente diritto dell’Unione e rispettare le competenze dell’Unione.

78.      Nel complesso, quindi, la tesi delle ricorrenti fondata sull’incompetenza dell’Unione deve essere respinta in quanto irricevibile e, in ogni caso, in quanto infondata.

iii) Sull’asserita violazione della riserva degli elementi essenziali

79.      La Schindler eccepisce, infine, che la determinazione dei principi della corresponsabilità di una società controllante per gli illeciti in materia di intese commessi dalla sua controllata non potrebbe essere rimessa alla prassi della Commissione e dei giudici dell’Unione, essendo invece riservata al legislatore dell’Unione. Ciò discenderebbe dalla riserva degli elementi essenziali, così come stabilita a partire dal Trattato di Lisbona nell’articolo 290, paragrafo 1, TFUE.

80.      Anche questa censura costituisce, rispetto al procedimento di primo grado, un nuovo motivo ed è, pertanto, irricevibile per la stessa ragione della censura, sopra illustrata, dell’invasione delle competenze degli Stati membri (52).

81.      Nel merito, occorre rilevare che l’articolo 290, paragrafo 1, TFUE di per sé non è affatto pertinente per la questione qui discussa, in quanto esso concerne solo l’ipotesi della normazione delegata esercitata dalla Commissione ad integrazione o modifica di atti legislativi delle istituzioni dell’Unione. Per contro, la repressione degli illeciti in materia di intese a livello d’Unione rientra nella competenza originaria della Commissione quale autorità garante della concorrenza, che non le è stata attribuita dal Parlamento europeo o dal Consiglio dell’Unione europea, ma che le spetta, anche a prescindere dal regolamento n. 1/2003, in forza del diritto primario (articolo 105 TFUE, già articolo 85 CE).

82.      Tuttavia, anche supponendo che la Schindler richiami l’articolo 290, paragrafo 1, TFUE solo per la parte in cui in esso trova espressione un generale principio costituzionale secondo cui le regole essenziali di una materia devono essere emanate dal potere legislativo senza poter essere delegate all’esecutivo, la sua argomentazione risulta inconferente.

83.      Come sopra esposto, la corresponsabilità di una società controllante per gli illeciti in materia di intese commessi dalle sue controllate al 100% (o quasi), si ricollega alla nozione di impresa rilevante nel diritto della concorrenza, la quale si differenzia da quella di persona giuridica. L’impresa è il soggetto partecipante all’intesa, e l’impresa è la destinataria dell’ammenda, a prescindere dal fatto che tale impresa sia costituita da una o più persone giuridiche.

84.      Contrariamente a quanto affermato dalla Schindler, l’autonomia della nozione di impresa non si fonda su una mera prassi della Commissione quale organo esecutivo, o della Corte quale organo giurisdizionale, ma trova ancoramento nei Trattati stessi. Già il diritto primario dell’Unione, infatti, distingue accuratamente tra la nozione di persona giuridica (v., ad esempio, articoli 15, paragrafo 3, TFUE, 54, secondo comma, TFUE, 75, primo comma, TFUE, 263, quarto comma, TFUE, e 265, terzo comma, TFUE), la nozione di società [v. articoli 50, paragrafo 2, lettera g), TFUE, e 54, secondo comma, TFUE], e la nozione, ricorrente soprattutto nel diritto della concorrenza, di impresa (v., ad esempio, articoli 101 TFUE, 102 TFUE, 106 TFUE e 107 TFUE).

85.      In altre parole, risale ad una originaria previsione del legislatore dei Trattati il fatto che per un illecito in materia di intese possa essere chiamata a rispondere non necessariamente soltanto una singola persona giuridica o società commerciale, bensì un’entità economica sui generis, vale a dire l’impresa partecipante all’intesa.

86.      Ne consegue che la tesi della Schindler fondata sulla riserva degli elementi essenziali è infondata.

87.      Le cose non cambiano nemmeno per il fatto che il legislatore dell’Unione, all’articolo 23, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003, ha adottato una specifica disciplina in base alla quale le ammende irrogate ad associazioni di imprese possono essere eseguite, a determinate condizioni, anche contro i suoi membri. Detta disposizione, infatti, non si occupa affatto della responsabilità delle imprese per gli illeciti in materia di intese da esse stesse commessi, bensì della responsabilità delle imprese per gli illeciti in materia di intese commessi da un’entità più grande, che di per sé non ha lo status di impresa, ma è solo formata da più imprese. L’unica conclusione, quindi, che al limite si potrebbe trarre dall’articolo 23, paragrafo 4, del regolamento n. 1/2003 in combinato disposto con la riserva degli elementi essenziali, è quella che una previsione legislativa ad hoc è necessaria solo per le ipotesi in cui la cerchia dei responsabili di un illecito in materia di intese travalichi i confini della nozione di impresa.

88.      Nel complesso, l’argomentazione della Schindler relativa alla riserva degli elementi essenziali deve essere respinta in quanto irricevibile, e in ogni caso in quanto infondata.

iv)    Conclusione intermedia

89.      In considerazione di quanto precede, la prima parte del settimo motivo di impugnazione deve essere respinta.

b)      Sulla critica della Schindler alla concreta applicazione della presunzione del 100% (seconda parte del settimo motivo di impugnazione)

90.      Nella seconda parte del settimo motivo di impugnazione la Schindler critica la concreta applicazione della presunzione del 100% fatta dal Tribunale, in particolare per quanto riguarda i requisiti per superare tale presunzione. Secondo le ricorrenti il Tribunale nel presente caso sarebbe erroneamente partito dal presupposto della corresponsabilità della Schindler Holding quale società controllante (53) per gli illeciti in materia di intese commessi dalle sue quattro controllate nazionali in Germania, in Belgio, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo.

91.      Ad un esame superficiale si potrebbe pensare che con questa censura si metta in discussione soltanto la valutazione dei fatti e delle prove compiuta dal Tribunale e si chieda alla Corte di sostituire il proprio apprezzamento alla valutazione del Tribunale. Tale richiesta sarebbe irricevibile in sede di impugnazione (54). In realtà, nel caso in esame, si tratta invece di verificare se il Tribunale, nel valutare gli elementi di fatto e di prova, si sia attenuto a criteri e parametri corretti. Si tratta, pertanto, di una questione di diritto che può essere esaminata dalla Corte quale giudice dell’impugnazione (55).

92.      Occorre in particolare chiarire se la mera esistenza di un «compliance program» (in italiano anche: «programma di messa in conformità») (56) sia sufficiente ad esonerare la società controllante dalla sua corresponsabilità. Risulta altresì controverso tra le parti fino a che punto i «rapporti di gruppo» tra la società controllante e le sue controllate debbano essere chiariti per poter superare la presunzione del 100%.

i)      Sulla rilevanza del «compliance program» della Schindler Holding

93.      In primo luogo, la Schindler ritiene che una società controllante debba sempre essere esonerata dalla corresponsabilità per gli illeciti in materia di intese commessi dalle sue controllate al 100%, qualora abbia assolto i suoi doveri di diligenza e, in particolare, abbia messo in opera un «compliance program». Secondo la Schindler da una società controllante non si potrebbe pretendere nulla più che la prova di un compliance program «funzionante».

94.      Tale argomento è troppo debole. Esso poggia evidentemente sull’erronea convinzione che la corresponsabilità di una società controllante per gli illeciti in materia di intese della sua controllata (o delle sue controllate) al 100% si fondi sul rimprovero di una qualche colpa di organizzazione, quindi sulla violazione di determinati doveri di diligenza gravanti sulla società controllante. Le cose non stanno, tuttavia, così.

95.      Il presupposto della responsabilità della società controllante non consiste in un difetto di organizzazione o di vigilanza sui processi lavorativi all’interno del gruppo, bensì solo nel fatto che all’epoca della commissione dell’illecito in materia di intese la società controllante esercitava un’influenza determinante sulla politica commerciale della sua controllata. È questa influenza determinante – e non, ad esempio, una qualche colpa di organizzazione – ad essere presunta quando la società controllata appartiene al 100% (o quasi) alla società controllante (presunzione del 100%).

96.      Di conseguenza, ai fini del superamento della presunzione del 100% è irrilevante il fatto che la società controllante disponga di un compliance program. Un siffatto programma può senz’altro consentire di dimostrare determinati sforzi messi in atto all’interno dell’impresa per impedire gli illeciti in materia di intese (e, più in generale, la violazione di norme) – sforzi, la cui utilità è fuori discussione. Un compliance program, tuttavia, non è in alcun modo idoneo a provare l’assenza di un’influenza determinante della società controllante sulla politica commerciale della controllata, o anche solo a fornire un indizio del fatto che controllante e controllata al 100% – contrariamente alle apparenze – non costituiscono un’impresa unica ai sensi del diritto della concorrenza.

97.      Quand’anche si volesse ritenere – contrariamente a quanto detto sopra – che la corresponsabilità della società controllante per gli illeciti in materia di intese delle sue controllate al 100% si fondi sul rimprovero di una colpa di organizzazione, tale rimprovero non potrebbe essere rimosso con il laconico rinvio all’esistenza di un «compliance program funzionante», come cerca di fare la Schindler nel presente caso.

98.      Non è infatti a priori possibile affermare l’esistenza di un compliance program «funzionante» quando una o più delle società controllate al 100% si sono rese colpevoli, durante un periodo di più anni, di violazioni di tale gravità contro le regole della concorrenza del mercato interno europeo, come è stato accertato nel caso della partecipazione della Schindler all’intesa concernente gli ascensori in Germania, in Belgio, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo.

99.      Può essere che un compliance program non riesca ragionevolmente ad impedire ogni sia pur minimo illecito. Ma un compliance program che «funzioni» deve essere in grado di impedire efficacemente gravi e perduranti illeciti in materia di intese, come pure di portare alla luce le illegalità commesse e di porre immediatamente fine alle stesse. Pur volendo giudicare con la massima indulgenza, non può ritenersi che ciò sia avvenuto, considerati gli accertamenti effettuati dal Tribunale – nella sostanza, non controversi – circa la durata e la gravità della partecipazione della Schindler all’intesa concernente gli ascensori. Non può pertanto assolutamente ritenersi che la Schindler «abbia fatto tutto il possibile» per evitare gli illeciti in materia di intese, qui controversi, né il Tribunale ha affermato qualcosa del genere in alcun punto della sentenza impugnata, per quanto la Schindler si ostini a sostenere il contrario (57).

100. Ne consegue che l’argomento della Schindler fondato su un «compliance program funzionante» deve essere respinto.

ii)    Sulla necessità di «chiarire i rapporti di gruppo»

101. Le ricorrenti criticano altresì il passaggio della sentenza (58) in cui il Tribunale ha ritenuto insufficienti le ulteriori deduzioni della Schindler rivolte a superare la presunzione del 100%.

102. La critica delle ricorrenti si appunta in particolare sul punto 90 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale si sofferma sulla qualità delle deduzioni della Schindler concernenti la sua struttura amministrativa interna e gli obblighi di relazione («reporting lines» e «reporting obligations») di singoli dipendenti nelle controllate nazionali. Il Tribunale ivi afferma che le deduzioni della Schindler non sono sufficienti a superare la presunzione del 100%, in quanto i rapporti di gruppo tra la Schindler Holding e le sue controllate attive nei paesi interessati non sono stati maggiormente chiariti (59).

103. La Schindler replica che per dimostrare l’assenza di un’influenza determinante della società controllante sulle sue controllate al 100% «in nessun modo» si potrebbe «pretendere che siano chiariti i rapporti di gruppo».

104. Quest’opinione è sbagliata. È ovvio che da una società controllante che intenda superare la presunzione del 100% si debba pretendere che fornisca un’informazione completa sui suoi rapporti con le società controllate, tanto più che le informazioni sul punto provengono tutte dalla sfera imprenditoriale interna della società controllante e della società controllata.

105. Solo frammentarie informazioni sull’estensione degli obblighi di relazione di singoli dipendenti non possono comporre un quadro completo ed esauriente di questi rapporti interni all’impresa. Sarebbe necessario che l’impresa interessata facesse luce su tutti gli elementi pertinenti relativi ai vincoli economici, organizzativi e giuridici che legano nel caso concreto la controllata alla controllante (60). In particolare, occorre spiegare, con riferimento ad elementi concreti della quotidianità dell’impresa, se e in che misura la controllata ha determinato da sé la sua politica commerciale e il suo comportamento sul mercato e, pertanto, si è comportata autonomamente, ossia indipendentemente dalla propria controllante. Il mero richiamo all’estensione degli obblighi di relazione di alcuni dipendenti è evidentemente inidoneo a dimostrare in modo convincente l’assenza di un’influenza determinante sulla politica commerciale delle società controllate.

106. La critica della Schindler al punto 90 della sentenza impugnata è, quindi, priva di fondamento.

iii) Sulla nozione di «politica commerciale» nell’ambito della presunzione del 100%

107. Le ricorrenti lamentano, infine, soprattutto con riferimento al punto 86 della sentenza impugnata, che il Tribunale si baserebbe su una nozione troppo ampia di «politica commerciale» delle società controllate, su cui si presume che la società controllante eserciti un’influenza decisiva in caso di proprietà al 100% delle azioni.

108. Anche questo argomento deve essere respinto.

109. La questione se il comportamento sul mercato di una società controllata sia soggetto all’influenza determinante della sua controllante non dipende soltanto da chi decide la sua politica commerciale in senso stretto, quindi la politica dei prezzi, le attività di produzione e di distribuzione, gli obiettivi di vendita, i margini lordi, le spese di vendita, la liquidità, le scorte e il marketing. A ben vedere, infatti, il comportamento sul mercato di una società controllata può essere influenzato da tutti gli elementi pertinenti relativi ai vincoli economici, organizzativi e giuridici che la legano alla controllante. La Corte ha, pertanto, riconosciuto che per superare la presunzione del 100% occorre prendere in esame tutti questi elementi, sicché risulta decisiva la prova dell’assenza di influenza sulla politica commerciale in senso lato (61). Il Tribunale ha correttamente applicato questa giurisprudenza al presente caso.

110. A prescindere dalla controversia sull’ampiezza della nozione di politica commerciale, occorre segnalare che il Tribunale ai punti da 84 a 90 della sentenza impugnata si è soffermato dettagliatamente sulle complessive deduzioni della Schindler rivolte al superamento della presunzione del 100%, criticando il fatto che tali deduzioni poggiano sostanzialmente su affermazioni non ulteriormente comprovate (62). Del tutto correttamente il Tribunale ha ritenuto che mere affermazioni di tal tipo non bastino per superare la presunzione del 100% (63).

2.      Sul principio di colpevolezza (sesto motivo di impugnazione e parti del settimo)

111. Con il sesto motivo di impugnazione e singole parti del settimo motivo di impugnazione le ricorrenti sostengono, inoltre, che i principi del diritto dell’Unione della responsabilità di un’impresa per gli illeciti in materia di intese commessi nel suo ambito di responsabilità violano il principio di colpevolezza.

112. Il rimprovero di una violazione del principio di colpevolezza poggia, a ben vedere, su due distinte censure: da un lato, la Schindler eccepisce che il Tribunale avrebbe applicato la presunzione del 100% a carico della Schindler Holding in un modo tale da condurre ad una responsabilità oggettiva (64) [v. in proposito subito infra, sezione a)]. Dall’altro, la Schindler lamenta che il Tribunale nella sentenza impugnata «non rispetterebbe basilari principi di imputazione», in quanto riterrebbe sufficiente, ai fini dell’accollo della responsabilità in materia di intese, che «in seno alle società controllate abbia agito in violazione del diritto in materia di intese un qualsivoglia dipendente» (65) [v. in proposito infra, sezione b)].

a)      Sul rimprovero secondo cui la presunzione del 100% condurrebbe ad una responsabilità oggettiva

113. Il fatto che il Tribunale abbia negato efficacia discolpante al compliance program della Schindler induce le ricorrenti a muovere il rimprovero secondo cui la presunzione del 100% condurrebbe ad una responsabilità oggettiva della Schindler Holding quale società controllante.

114. Indubbiamente tra i principi generali di diritto, che devono essere osservati nel procedimento in materia di intese a livello di Unione, rientra il principio nulla poena sine culpa (nessuna pena senza colpevolezza), che può ricondursi al principio dello Stato di diritto e al principio di colpevolezza. Come ho recentemente esposto in altra sede, si tratta di un principio avente carattere di diritto fondamentale, che risale alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (66).

115. Invero, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nella CEDU detto principio non viene espressamente menzionato, tuttavia esso costituisce un necessario presupposto della presunzione di innocenza. Pertanto, si può ritenere che il principio nulla poena sine culpa sia implicitamente contenuto tanto nell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, quanto nell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, norme di cui si tiene pacificamente conto nell’ambito dei procedimenti in materia di intese (67). In definitiva, entrambe le disposizioni sopra citate della Carta e della CEDU possono essere considerate quali concretizzazioni di ordine procedurale del principio nulla poena sine culpa (68).

116. Per quanto riguarda le sanzioni che la Commissione può infliggere in materia di intese, il principio nulla poena sine culpa trova riconoscimento nell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003: in base a tale disposizione, le ammende in materia di intese possono essere inflitte soltanto a fronte di infrazioni dolose o colpose.

117. Del tutto correttamente, quindi, nel presente caso le ricorrenti si sono richiamate alla vigenza del principio nulla poena sine culpa, cui esse fanno riferimento chiamandolo «principio di colpevolezza». È invece errata la loro opinione secondo cui la presunzione del 100% condurrebbe ad una responsabilità oggettiva della società controllante e sarebbe in conflitto con il principio nulla poena sine culpa solo perché alla società controllante non è consentito di discolparsi richiamando il proprio compliance program interno.

118. A me sembra che le ricorrenti fraintendano il contenuto della presunzione del 100%. Tale presunzione non riguarda la questione se un’impresa abbia commesso un illecito in materia di intese colpevolmente (vale a dire, con dolo o per colpa). Non si tratta di una presunzione di colpevolezza. Piuttosto la presunzione del 100% si limita a fornire indicazioni per stabilire di quali elementi si compone l’impresa che – con comprovato dolo o per comprovata colpa – ha partecipato ad un’intesa. L’accertamento relativo alla composizione di un’impresa di per sé non implica ancora alcun rimprovero di colpevolezza in ordine alle manovre illecite dell’intesa.

119. In forza della presunzione del 100% si può partire dal presupposto che una società controllante e la sua controllata (o le sue controllate) al 100% di regola facciano parte di una medesima impresa. In presenza, infatti, di rapporti di partecipazione di tal tipo la prima impressione è quella che la società controllante eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale della sua controllata (o delle sue controllate).

120. La società controllante ha facoltà di superare tale presunzione fornendo consistenti prove del fatto che la controllata in questione, contrariamente alla prima impressione, determina la propria politica commerciale in modo autonomo, sicché la sua situazione si differenzia dall’ipotesi normale di una società controllata al 100% (o quasi). Tuttavia, come sopra esposto (69), una siffatta controprova non può essere fornita col mero rinvio ad un compliance program. Un tale compliance program, infatti, non è idoneo a dimostrare l’assenza di un’influenza determinante della società controllante sulla politica commerciale della società controllata.

121. Se la società controllante – come nel presente caso – non riesce a confutare il fatto di aver esercitato un’influenza determinante sulla politica commerciale della sua società controllata (o delle sue società controllate), allora essa è uno dei soggetti giuridici costituenti l’impresa che ha partecipato all’intesa controversa. Essa è – insieme alla o alle società controllate – l’incarnazione giuridica dell’impresa, cui viene imputato l’illecito in materia di intese (70).

122. Se questa impresa, tramite i suoi dipendenti, abbia commesso colpevolmente il controverso illecito in materia di intese, è tutt’altra questione. È assolutamente pacifico che in caso di dubbio la colpevolezza dell’impresa in relazione alla sua partecipazione alle manovre anticoncorrenziali dell’intesa deve essere separatamente accertata nel rispetto del principio nulla poena sine culpa (71). Ma la presunzione del 100% non ha nulla a che fare con siffatta questione della colpevolezza.

123. Il rimprovero secondo cui la presunzione del 100% violerebbe il principio di colpevolezza deve quindi essere respinto.

124. Se l’intento delle ricorrenti era quello di contestare la colpevole partecipazione dell’impresa da esse gestita alle manovre dell’intesa concernente gli ascensori, allora esse avrebbero dovuto formulare censure a tale riguardo. La censura qui sollevata contro la presunzione del 100% non è idonea a tal fine.

b)      Sul rimprovero secondo cui non sarebbe sufficiente che il divieto di intese sia stato violato da un qualsiasi dipendente

125. Le ricorrenti lamentano altresì la mancanza, nella sentenza impugnata, di specifici accertamenti relativi all’individuazione di quali dei suoi dipendenti abbiano preso parte alle infrazioni commesse dall’intesa concernente gli ascensori. In tal modo il Tribunale, secondo la Schindler, «non rispetterebbe basilari principi di imputazione».

126. Come giustamente rileva la Commissione, in primo grado la Schindler non ha sollevato un’analoga censura. Si tratta, quindi, di un motivo nuovo, la cui deduzione per la prima volta nella fase del procedimento d’impugnazione è irricevibile (72).

127. Anche nel merito questa censura è tutt’altro che fondata.

128. In nessuna fase del procedimento le ricorrenti hanno contestato il fatto che le persone che, sul versante della Schindler, avevano partecipato alle manovre anticoncorrenziali dell’intesa concernente gli ascensori, erano dipendenti della Schindler. Pertanto, nella sentenza impugnata non vi era a priori la necessità di fornire indicazioni più specifiche su chi precisamente fossero queste persone (73) e se la loro condotta debba essere imputata alla Schindler.

129. Se poi le ricorrenti con la loro censura vogliono oltre a questo intendere che alla Schindler Holding e alle quattro società controllate nazionali possa essere imputata solo la condotta illecita dei loro rispettivi rappresentanti legali o di dipendenti forniti di particolari deleghe, la loro tesi non può essere parimenti accolta. Secondo una costante giurisprudenza, infatti, l’applicazione del divieto di intese, posto dal diritto dell’Unione, non presuppone l’azione o quanto meno la consapevolezza dei soci o dei dirigenti principali dell’impresa interessata. Piuttosto, è sufficiente l’azione di una persona che sia autorizzata ad agire per conto dell’impresa (74).

130. Se nei procedimenti in materia di intese si volesse imputare alle imprese soltanto la condotta di quei loro dipendenti le cui manovre anticoncorrenziali si sono basate, in modo comprovabile, su una specifica disposizione o delega da parte della direzione dell’impresa o sono state da questa per lo meno consapevolmente tollerate, allora il divieto di intese, posto dal diritto dell’Unione, verrebbe privato di qualsivoglia effetto utile. Le imprese avrebbero infatti gioco facile nel sottrarsi alla loro responsabilità per gli illeciti in materia di intese invocando mere ragioni formali.

131. Di regola, devono correttamente potersi imputare ad un’impresa tutte le manovre illecite – anche quelle alle quali si è pervenuti senza la conoscenza o senza l’espressa autorizzazione della direzione dell’impresa – purché tali manovre siano state commesse nell’ambito di responsabilità dell’impresa. Tale ipotesi di regola ricorre quando le azioni controverse sono state commesse dai suoi dipendenti in connessione con la loro attività per l’impresa.

132. Il solo fatto che i dipendenti di un’impresa siano di regola ammoniti, nell’ambito di un compliance program, ad agire lecitamente, non può bastare per esonerare l’impresa dalla sua responsabilità in materia di intese. Se, infatti, nonostante un tale compliance program, sono stati per più anni commessi gravi illeciti in materia di intese, allora può ritenersi che gli sforzi interni all’impresa in materia di messa in conformità non siano stati sufficienti (75) e, in particolare, che non siano stati forniti stimoli adeguati ai dipendenti dell’impresa ad astenersi da manovre illecite.

3.      Conclusione intermedia

133. Alla luce di quanto sopra esposto, le deduzioni della Schindler circa la corresponsabilità della Schindler Holding quale società controllante, e circa il principio di colpevolezza non convincono. Il sesto e il settimo motivo d’impugnazione devono conseguentemente essere respinti.

C –    Su alcune ulteriori questioni giuridiche relative all’inflizione e alla commisurazione delle ammende per gli illeciti in materia di intese

134. Con gli altri motivi di impugnazione la Schindler solleva una serie di questioni giuridiche relative all’inflizione e alla commisurazione delle ammende per gli illeciti in materia di intese.

1.      Validità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 in relazione al principio di precisione (terzo motivo di impugnazione)

135. Nell’ambito del terzo motivo di impugnazione la Schindler contesta la validità dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 quale base normativa per l’inflizione di ammende in materia di intese da parte della Commissione. Secondo la Schindler tale disposizione viola il principio penalistico di precisione.

136. Il principio penalistico di precisione, di cui la Corte ha riconosciuto la vigenza anche in relazione alle sanzioni in materia di intese (76), è un corollario del principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Quest’ultimo principio fa parte dei principi generali del diritto alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (77), ed ha acquisito, grazie all’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali, rango di diritto fondamentale dell’Unione. In virtù del principio di omogeneità (articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta), nell’interpretare l’articolo 49 della Carta occorre in particolare rispettare l’articolo 7 della CEDU e la giurisprudenza della Corte eur. D.U. su di esso intervenuta.

137. Il principio penalistico di precisione implica che la legge definisca chiaramente i reati e le pene per essi comminate (78) (nullum crimen, nulla poena sine lege certa).

138. La Schindler sostiene che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 è formulato in termini troppo imprecisi, e segnatamente per un verso in relazione alla nozione di impresa ivi utilizzata [v. in proposito subito infra, sezione a)], e per altro verso in relazione alla cornice edittale delle ammende ivi prevista [v. in proposito infra, sezione b)].

a)      Sull’asserita imprecisione della nozione di impresa (prima parte del terzo motivo di impugnazione)

139. Per quanto riguarda l’asserita imprecisione della nozione di impresa all’interno dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, occorre rilevare che in primo grado la Schindler non ha dedotto alcuna censura in proposito. Si tratta, quindi, di un motivo nuovo, che non può più essere fatto valere in fase di impugnazione, in quanto estenderebbe in termini irricevibili l’oggetto della controversia (79).

140. Anche nel merito tale censura è infondata.

141. Vero è che la nozione di impresa non è definita con precisione né nel diritto primario, né nel diritto derivato. L’utilizzo di nozioni giuridiche imprecise nelle norme giuridiche – anche quale fondamento per la punibilità in norme che rientrano nel diritto penale classico – non è, tuttavia, inusuale (80).

142. Il principio nullum crimen, nulla poena sine lege certa è soddisfatto quando il soggetto di diritto può conoscere, in base al testo della disposizione rilevante e, se del caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici, le azioni e le omissioni che chiamano in causa la sua responsabilità penale (81).

143. Ciò è quanto avviene con riguardo alla nozione di impresa rilevante per il diritto della concorrenza, per come utilizzata nell’ambito del divieto di intese, posto dal diritto dell’Unione (articolo 101 TFUE, già articolo 81 CE), e della relativa disposizione sanzionatoria [articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003]. Da decenni tale nozione è interpretata dai giudici dell’Unione sempre allo stesso modo («qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento») (82).

144. Inoltre, come sopra esposto (83), già a livello di diritto primario si distingue chiaramente tra le nozioni di persona giuridica, società e impresa. Risale, quindi, ad un’originaria previsione del legislatore dei Trattati il fatto che per un illecito in materia di intese possa essere chiamata a rispondere non necessariamente soltanto una singola persona giuridica o società commerciale, bensì un’entità economica sui generis, vale a dire l’impresa partecipante all’intesa. La distinzione tra la nozione di persona giuridica e la nozione di impresa è ripresa anche a livello di diritto derivato, come non da ultimo dimostra un confronto tra l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, e il suo articolo 23.

145. I giudici dell’Unione, inoltre, hanno riconosciuto con giurisprudenza costante che un’impresa partecipante ad un’intesa può essere costituita da più persone giuridiche, in particolare da una società controllante e dalla sua controllata (o dalle sue controllate) (84). La giurisprudenza ha, peraltro, elaborato chiari criteri, compresa la presunzione del 100% (85), in base ai quali queste società possono eventualmente essere chiamate a rispondere in solido.

146. Alla luce di tali premesse, nessun soggetto di diritto può seriamente ritenere che la nozione di impresa, quale base per l’inflizione di sanzioni in materia di intese, sia troppo vaga, o che per impresa ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 debba essere sempre considerata soltanto la persona giuridica che ha direttamente partecipato alle manovre dell’intesa.

147. Di conseguenza, la prima parte del terzo motivo di impugnazione deve essere respinta.

b)      Sull’asserita imprecisione della cornice edittale delle ammende (seconda parte del terzo motivo di impugnazione)

148. Le ricorrenti lamentano altresì che l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 autorizzerebbe la Commissione ad infliggere ammende senza prescrivere a tal fine una cornice edittale sufficientemente precisa.

149. I giudici dell’Unione si sono occupati già più volte di analoghe censure alla cornice edittale stabilita dal diritto dell’Unione per l’inflizione di ammende per gli illeciti in materia di intese, sempre respingendole (86). Benché finora la giurisprudenza si sia per lo più pronunciata ancora sull’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 17 (87), essa può, tuttavia, senz’altro essere trasposta anche alla disposizione che lo ha sostituito, conservandone in sostanza il medesimo contenuto, di cui all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

150. Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha correttamente e ampiamente riportato ed applicato questa consolidata giurisprudenza (88), sicché nel prosieguo non occorrerà esporla. Dopo aver esaminato gli argomenti sostenuti dalla Schindler per iscritto e in udienza, non vedo alcun motivo per proporre alla Corte di discostarsi da tale giurisprudenza.

151. In particolare, la sopravvenuta entrata in vigore del Trattato di Lisbona non fornisce alcun motivo per una sostanziale rivalutazione della questione. Il contenuto del principio penalistico di precisione, riconosciuto a livello d’Unione, è, infatti, ampiamente plasmato dall’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, nonché dalla giurisprudenza della Corte eur. D.U. e dei giudici dell’Unione su questa tematica. Con il Trattato di Lisbona non è cambiato nulla di essenziale nel contenuto di questo diritto fondamentale (89). Non pare peraltro necessario, proprio in un settore come quello del diritto in materia di intese, che non rientra nel nucleo essenziale del diritto penale (90), andare oltre, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, seconda frase, della Carta dei diritti fondamentali, lo standard garantito dalla CEDU. Ciò vale a maggior ragione in quanto nello stesso diritto penale classico le cornici legali della pena sono di regola formulate in termini molto ampi, e rimettono agli organi giudiziari penali un notevole margine di discrezionalità in relazione alla determinazione della concreta misura della sanzione nel singolo caso.

152. Il solo fatto che le ammende inflitte dalla Commissione per illeciti in materia di intese nel corso degli anni siano consistentemente aumentate quanto a valore nominale non consente, contrariamente all’opinione della Schindler, di trarre alcuna conclusione in ordine ad un’eccessiva imprecisione della cornice edittale. Corrisponde ad una consolidata giurisprudenza che la Commissione può, entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 1/2003 (in passato, regolamento n. 17), aumentare l’entità delle ammende in materia di intese, se ciò sia necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza dell’Unione (91).

153. Il principio nulla poena sine lege certa nemmeno impedisce che l’applicazione di una norma penale vigente sia adeguata alle mutate circostanze, in particolare alla frequenza, alla complessità e alla gravità delle infrazioni (92). A fortiori ciò deve valere per norme parapenali, come l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (93), rispetto alle quali le garanzie dei diritti fondamentali valide per il nucleo essenziale del diritto penale, come già rilevato, non devono essere necessariamente applicate in tutto il loro rigore (94).

154. Parimenti infondata è la critica della Schindler al limite massimo dell’ammenda, previsto all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, pari al 10% del fatturato totale di un’impresa. Vero è che tale limite massimo costituisce una grandezza variabile, in quanto non si ricollega ad un importo nominale massimo espresso in termini assoluti, bensì ad una quota del fatturato. Ciò, tuttavia, non significa che la normativa difetti di precisione. Ogni impresa conosce il proprio fatturato e può quindi calcolare senza difficoltà a quale importo massimo ammonti un’eventuale ammenda per un illecito in materia di intese. Una siffatta prevedibilità della sanzione attesa soddisfa i requisiti del principio nulla poena sine lege certa (95).

155. In ogni caso, come ho di recente esposto in altra sede (96), la commisurazione delle ammende in materia di intese non è un’operazione meccanica in cui per ogni intesa possa determinarsi, per così dire a priori, in maniera matematicamente esatta a quale importo ammonterà la sanzione da infliggere. Una siffatta prevedibilità della sanzione fino all’ultimo decimale non sarebbe del resto neppure opportuna, in quanto renderebbe eccessivamente facile per i partecipanti all’intesa il calcolo a priori del «prezzo» della loro condotta illecita e la valutazione della convenienza di una pratica lecita o illecita. In tal modo verrebbe seriamente pregiudicata una delle funzioni fondamentali del sistema sanzionatorio in materia di intese, cioè l’effetto dissuasivo.

156. Per tutti i motivi sopra esposti deve essere respinta la censura delle ricorrenti secondo cui la cornice edittale delle ammende prevista all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 non sarebbe conforme alla normativa di rango superiore.

157. Una diversa conclusione non emerge, infine, nemmeno dalla riserva degli elementi essenziali, richiamata dalla Schindler in via integrativa. Come già esposto ad altro riguardo (97), il principio costituzionale in parola richiede che le regole essenziali di una materia siano emanate dal potere legislativo e non possano essere delegate all’esecutivo. Nel caso dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 tali requisiti risultano soddisfatti in quanto, come appena esposto, è lo stesso legislatore dell’Unione ad aver stabilito con sufficiente precisione la cornice edittale per le ammende da infliggere per gli illeciti in materia di intese.

c)      Conclusione intermedia

158. Per le ragioni sopra esposte, il terzo motivo di impugnazione deve essere integralmente respinto.

2.      Legittimità degli orientamenti del 1998 (quarto e quinto motivo di impugnazione)

159. Le ricorrenti contestano altresì gli orientamenti del 1998, mettendone in dubbio la legittimità in quanto la Commissione non sarebbe stata competente ad emanarli [v. infra, sezione a)], e in quanto tali orientamenti avrebbero ricevuto applicazione retroattiva nel caso di specie [(v. infra, sezione b)].

a)      Competenza della Commissione ad emanare gli orientamenti (quarto motivo di impugnazione)

160. Con il quarto motivo di impugnazione la Schindler lamenta l’«inefficacia degli orientamenti del 1998 in materia di ammende per difetto di competenza legislativa della Commissione».

161. Ho seri dubbi sulla ricevibilità di tale censura in quanto essa non specifica in nessun punto contro quali elementi della sentenza impugnata si rivolge (98).

162. Anche supponendo che la Schindler si rivolga contro il punto 133 della sentenza impugnata, nel merito la sua tesi si fonda evidentemente sull’erronea convinzione che gli orientamenti del 1998 costituiscano un atto legislativo o per lo meno una norma giuridica vincolante con cui vengono stabilite la «punibilità» degli illeciti in materia di intese o le relative sanzioni.

163. Ma le cose non stanno così (99). La base normativa per l’inflizione di ammende in materia di intese da parte della Commissione è costituita soltanto dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, il quale, come sopra esposto (100), soddisfa appieno i requisiti della riserva degli elementi essenziali e del principio nullum crimen, nulla poena sine lege certa. Ne consegue che agli orientamenti emanati dalla Commissione per il calcolo delle ammende, cioè agli orientamenti del 1998, fin dall’inizio non spetta il compito di colmare eventuali lacune normative dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003.

164. Piuttosto negli orientamenti del 1998 è, da un lato, contenuta una spiegazione della Commissione della propria prassi amministrativa (101). Dall’altro, la Commissione per mezzo di questi orientamenti esprime, nella sua qualità di autorità garante della concorrenza dell’Unione europea, un parere generale sulla politica della concorrenza nel quadro della responsabilità ad essa attribuita ai fini del mantenimento e dello sviluppo di un sistema di concorrenza non falsato nel mercato unico europeo (102). Essa ne ha facoltà ai sensi dell’articolo 85 CE in combinato disposto con l’articolo 211, secondo trattino, CE (divenuto articolo 105 TFUE in combinato disposto con l’articolo 292, quarta frase, TFUE).

165. Ne consegue che il quarto motivo di impugnazione dev’essere respinto.

b)      Il principio di irretroattività e la tutela del legittimo affidamento (quinto motivo di impugnazione)

166. Con il quinto motivo di impugnazione, che si rivolge contro i punti da 117 a 130 della sentenza impugnata, la Schindler sostiene che l’applicazione degli orientamenti del 1998 al presente caso viola il principio di irretroattività previsto all’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, nonché il principio della tutela del legittimo affidamento. Tale censura si fonda sul fatto che l’intesa concernente gli ascensori, cui la Schindler ha preso parte, ha iniziato la sua attività già prima del 1998.

167. Come già esposto ad altro proposito (103), la presente censura non va valutata direttamente alla luce della CEDU, bensì della Carta dei diritti fondamentali – nella specie, dell’articolo 49 della Carta –, la quale, tuttavia, deve essere interpretata ed applicata in sintonia con l’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU (articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE, in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta).

168. Nel merito i rilievi della Schindler non sono fondati.

169. I giudici dell’Unione si sono occupati già più volte di analoghe censure alla prassi seguita dalla Commissione nell’inflizione di ammende per illeciti in materia di intese, sempre respingendole. Essi hanno negato tanto una violazione del principio di irretroattività quanto una violazione del principio della tutela del legittimo affidamento (104) nei casi in cui la Commissione ha operato una modifica del metodo da essa seguito per la commisurazione delle ammende e ne ha fatto applicazione a illeciti in materia di intese iniziati anteriormente.

170. Il Tribunale, nella sentenza impugnata, ha correttamente e ampiamente riportato ed applicato questa consolidata giurisprudenza (105), sicché nel prosieguo non occorrerà esporla. Dopo aver esaminato gli argomenti sostenuti dalla Schindler, non vedo alcun motivo per proporre alla Corte di discostarsi da tale giurisprudenza.

171. Da quando è entrato in vigore nel 1962 il regolamento n. 17, la Commissione ha il potere di infliggere per gli illeciti in materia di intese ammende nella misura massima del 10% del fatturato totale di un’impresa.

172. La Schindler non poteva riporre affidamento sul fatto che, durante il tempo in cui era in vita l’intesa concernente gli ascensori, non si modificassero in alcun modo né il metodo originariamente utilizzato dalla Commissione per la commisurazione delle ammende, né l’ordine di grandezza originariamente noto delle ammende inflitte dalla Commissione. Già allora, infatti, era ben risaputo che la Commissione, entro i limiti stabiliti dal regolamento n. 1/2003 (in passato, regolamento n. 17), può aumentare l’entità delle ammende in materia di intese, se ciò sia necessario per garantire l’attuazione della politica della concorrenza dell’Unione (106).

173. Anche nel normale diritto penale, del resto, nessuno può fare affidamento sul fatto che una norma incriminatrice vigente sia sempre applicata allo stesso modo e, soprattutto, sempre con la stessa indulgenza o severità. In particolare, nessun soggetto di diritto può ragionevolmente supporre che la prassi seguita dagli organi giudiziari penali per la determinazione della misura delle sanzioni per uno specifico illecito non si evolva mai entro il margine di discrezionalità ad essi spettante per legge. Piuttosto sono ammessi adeguamenti di tale prassi alle mutate circostanze, come la frequenza, la complessità e la gravità delle infrazioni (107).

174. Nel presente caso tanto meno può ravvisarsi un affidamento della Schindler meritevole di tutela in quanto le infrazioni ad essa imputate in relazione all’intesa concernente gli ascensori sono state in gran parte commesse dopo la pubblicazione degli orientamenti del 1998, come giustamente rilevato dalla Commissione.

175. Tutto ciò considerato, anche il quinto motivo di impugnazione deve quindi essere respinto.

3.      L’importo di base dell’ammenda e gli asseriti motivi per una diminuzione dell’ammenda (decimo, undicesimo e dodicesimo motivo di impugnazione)

176. Oggetto del decimo, dell’undicesimo e del dodicesimo motivo di impugnazione sono i dettagli della commisurazione delle ammende inflitte alla Schindler.

a)      Sulla qualificazione delle infrazioni come «particolarmente gravi» (decimo motivo di impugnazione)

177. Con il decimo motivo di impugnazione la Schindler contesta la qualificazione come «particolarmente gravi» delle infrazioni da essa commesse nell’ambito dell’intesa concernente gli ascensori. Secondo la Schindler l’effetto sul mercato di tali infrazioni sarebbe stato molto modesto e il Tribunale non ne avrebbe adeguatamente tenuto conto ai fini della determinazione degli importi di base delle ammende da commisurare.

178. A tal proposito è sufficiente ricordare che, in base ad una consolidata giurisprudenza, l’effetto di una pratica anticoncorrenziale non è un criterio decisivo ai fini della commisurazione dell’importo adeguato dell’ammenda. Elementi attinenti all’intenzionalità della condotta possono essere più rilevanti di quelli relativi agli effetti della stessa, soprattutto quando si tratti, come nella specie, di infrazioni intrinsecamente gravi, come la ripartizione dei mercati (108).

179. L’intesa concernente gli ascensori aveva per oggetto proprio siffatte gravi restrizioni, che mirano a limitare la concorrenza. I partecipanti all’intesa puntavano ad una ripartizione tra loro degli appalti e dei mercati nei quattro Stati membri interessati. In sede di determinazione degli importi di base delle ammende è giusto qualificare siffatte infrazioni, senza riguardo al loro concreto effetto sull’andamento del mercato, come particolarmente gravi.

180. Pertanto il decimo motivo di impugnazione deve essere rigettato.

181. Per la parte del decimo motivo di impugnazione in cui la Schindler rimprovera al Tribunale di non aver effettuato una propria istruzione probatoria, vale per il resto quanto detto sopra in relazione al secondo motivo di impugnazione (109). Ad ogni modo, il Tribunale di regola non è tenuto a verificare d’ufficio la ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla Commissione per determinare l’importo dell’ammenda (110).

b)      Sulle circostanze attenuanti (undicesimo motivo di impugnazione)

182. Con l’undicesimo motivo di impugnazione le ricorrenti sostengono che il Tribunale avrebbe dovuto prendere in considerazione, ai fini di un’attenuazione dell’ammenda, da un lato la cessazione volontaria da parte della Schindler dell’infrazione in Germania nel 2000 e, dall’altro, il compliance program valido per tutto il gruppo della Schindler.

183. Un siffatto diritto alla diminuzione dell’ammenda non può, tuttavia, essere riconosciuto in considerazione né dell’uno, né dell’altro degli elementi richiamati dalla Schindler.

184. Per quanto riguarda, in primo luogo, la «cessazione volontaria dell’infrazione» in Germania, il Tribunale giustamente non ha concesso per essa alcuna diminuzione dell’ammenda. La cessazione volontaria di un’infrazione non può automaticamente comportare la diminuzione dell’ammenda per l’illecito in materia di intese, dovendosi, invece, avere riguardo alle circostanze del caso concreto. Nel presente caso il Tribunale ha, tra l’altro, constatato come «la Schindler abbia abbandonato l’intesa, secondo quanto emerge dagli atti, unicamente a motivo di un disaccordo con gli altri partecipanti» (111). Date tali circostanze il Tribunale ben poteva partire dal presupposto – senza incorrere in alcun errore di diritto – che non si trattasse affatto del «ritorno alla legalità» proclamato dalla Schindler, per il quale l’impresa avrebbe eventualmente potuto meritare una diminuzione dell’ammenda.

185. Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli eventuali compliance program delle imprese, ho già esposto che questi, nei procedimenti in materia di intese, possono meritare considerazione tutt’al più quando sono in grado di impedire efficacemente gravi e perduranti illeciti in materia di intese, nonché di portare alla luce le illegalità commesse e di porre immediatamente fine alle stesse (112). Nel presente caso il compliance program della Schindler non ha evidentemente avuto questo effetto positivo, piuttosto, in base a quanto riferito dalla stessa Schindler, ha perfino reso più difficile la scoperta delle infrazioni (113). Sarebbe assurdo premiare un’impresa per un siffatto compliance program manifestamente inidoneo concedendole anche una riduzione dell’ammenda.

186. Anche l’undicesimo motivo di impugnazione deve, pertanto, essere respinto.

c)      Sulle riduzioni dell’ammenda per la collaborazione con la Commissione (dodicesimo motivo di impugnazione)

187. Il dodicesimo motivo di impugnazione ha per oggetto la riduzione delle ammende inflitte alla Schindler per la sua partecipazione all’intesa in Belgio, Germania e Lussemburgo in considerazione della collaborazione dell’impresa con la Commissione nel procedimento amministrativo. Secondo la Schindler il Tribunale nel presente caso non avrebbe attribuito abbastanza peso al suo contributo collaborativo.

i)      Sulla collaborazione nell’ambito della comunicazione del 2002 (prima parte del dodicesimo motivo di impugnazione)

188. Nella prima parte del dodicesimo motivo di impugnazione la Schindler sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente riconosciuto alla Commissione, nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione del 2002(114), un notevole margine di valutazione, limitando il proprio ruolo al controllo di errori manifesti.

189. In effetti il Tribunale ha affermato che la Commissione dispone di un «ampio margine di valutazione» quando stabilisce se gli elementi di prova forniti da un’impresa nell’ambito della comunicazione del 2002 «costituiscano un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 di detta comunicazione», e che «solo il manifesto superamento di tale margine può essere censurato dal Tribunale» (115).

190. Questa opinione giuridica del Tribunale è sbagliata. La valutazione del valore degli elementi di prova che le imprese forniscono nell’ambito della comunicazione del 2002 nel procedimento amministrativo per collaborare con la Commissione, si svolge in correlazione con la commisurazione dell’importo dell’ammenda. Essa rientra pertanto nell’ambito di applicazione della competenza estesa al merito del Tribunale (articolo 261 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 31 del regolamento n. 1/2003), in cui al Tribunale è consentito, al di là del mero controllo di legittimità, di sostituire la sua valutazione a quella della Commissione (116). Se ciò nonostante il Tribunale fa a tal proposito riferimento ad un «ampio margine di valutazione» della Commissione, allora esso fornisce un quadro dell’estensione delle proprie competenze viziato da un errore di diritto.

191. Un siffatto errore di diritto, tuttavia, non deve necessariamente condurre all’annullamento della sentenza impugnata (117). Rileva, piuttosto, quale sia stato il parametro in concreto impiegato dal Tribunale nel procedere al controllo del valore aggiunto della collaborazione dell’impresa interessata con la Commissione.

192. Nel presente caso il Tribunale non si è affatto astenuto da una propria valutazione sul punto, ma si è diffusamente confrontato con gli argomenti sostenuti dalla Schindler sul valore aggiunto della sua collaborazione con la Commissione nel procedimento amministrativo (118). Pertanto – nonostante l’errore di diritto contenuto nelle sue osservazioni introduttive – il risultato finale cui è giunto il Tribunale è conforme al diritto.

193. Deve in particolare essere respinto a questo proposito l’argomento secondo cui le prove fornite nel procedimento amministrativo dai partecipanti all’intesa apporterebbero sempre un valore aggiunto per l’istruzione probatoria della Commissione e dovrebbero comportare una diminuzione dell’ammenda. Il valore delle prove non si misura in base al loro numero («iudex non calculat»), né in base a quante volte la Commissione abbia fatto ad esse riferimento nella decisione controversa (119).

194. Non è peraltro compito della Corte nel procedimento d’impugnazione sostituire a sua volta con la propria valutazione del valore aggiunto delle informazioni fornite dalla Schindler le valutazioni della Commissione e del Tribunale (120). Conseguentemente, risulta in questa sede superfluo verificare ancora una volta se le informazioni fornite dalla Schindler abbiano avuto per la Commissione lo stesso valore di quelle della ThyssenKrupp, della Otis e della Kone, o se comunque abbiano apportato un valore aggiunto significativo per l’istruzione probatoria della Commissione.

ii)    Sulla collaborazione al di fuori della comunicazione del 2002 (seconda parte del dodicesimo motivo di impugnazione)

195. Nella seconda parte del dodicesimo motivo di impugnazione la Schindler si rivolge contro i punti da 350 a 361 della sentenza impugnata e si lamenta del fatto che, per la sua collaborazione al di fuori della comunicazione del 2002, le sarebbe stata concessa una riduzione troppo contenuta dell’ammenda, vale a dire solo l’1% per la mancata contestazione dei fatti. Rifacendosi al punto 3, sesto trattino, degli orientamenti del 1998, la Schindler ritiene di aver diritto ad una maggiore riduzione delle sue ammende.

196. Questo argomento è infondato.

197. Come giustamente rileva la Commissione, la disciplina di cui al punto 3, sesto trattino, degli orientamenti del 1998 non serve a «premiare comunque le domande di clemenza insufficienti». Per una collaborazione come quella della Schindler, che pur rientrando nell’ambito di applicazione del «trattamento di clemenza» (cioè della comunicazione del 2002), non ne soddisfa tutti i requisiti, in particolare non soddisfa il requisito di un «significativo valore aggiunto», non vi è alcun diritto ad una riduzione dell’ammenda, nemmeno, in particolare, per la via traversa del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti del 1998.

iii) Sintesi

198. Occorre pertanto respingere il dodicesimo motivo di impugnazione nella sua interezza.

4.      Il limite massimo del 10% per l’importo dell’ammenda (ottavo motivo di impugnazione)

199. Con l’ottavo motivo di impugnazione la Schindler sostiene che, ai fini dell’applicazione del limite massimo del 10% per le ammende di cui all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, rilevano soltanto i fatturati di ciascuna delle società controllate nazionali della Schindler, ma non il fatturato di gruppo della Schindler Holding.

200. Quest’argomentazione è sbagliata. La nozione di impresa nell’articolo 81 CE (divenuto articolo 101 TFUE), da un lato, e nell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003, dall’altro, è sempre la stessa. Le due norme devono essere applicate coerentemente. Per il limite massimo del 10% si deve quindi fare riferimento al fatturato dell’impresa, di cui sono soggetti giuridici costituenti tanto la società controllante – nella specie, la Schindler Holding – quanto le sue società controllate al 100% – nella specie, le società controllate nazionali in Germania, in Belgio, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo –.

201. L’ottavo motivo di impugnazione potrebbe avere esito positivo solo qualora – contrariamente a quanto detto sopra (121) – trovassero accoglimento le censure della Schindler relative all’applicazione della presunzione del 100% nel presente caso. Poiché tale ipotesi è esclusa, il presente motivo di impugnazione deve essere respinto.

5.      Il diritto di proprietà (nono motivo di impugnazione)

202. Oggetto del nono motivo di impugnazione è il diritto di proprietà. Secondo la Schindler, l’inflizione delle ammende contro la Schindler Holding e contro le sue controllate in Belgio, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo (122) viola, «a causa del loro esorbitante importo», «elementari garanzie dell’Unione europea a tutela degli investimenti e della proprietà, previste dal diritto internazionale, nei confronti della Schindler quale impresa svizzera». A questo proposito la Schindler rimprovera in particolare al Tribunale di non aver rispettato la pertinente giurisprudenza della Corte eur. D.U. sul diritto di proprietà.

a)      Osservazione preliminare

203. Il diritto di proprietà è un diritto fondamentale che, a livello di Unione, gode di tutela ai sensi dell’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali come pure nell’ambito dei principi giuridici generali del diritto dell’Unione (123) (articolo 6, paragrafo 3, TUE). Anche soggetti privati, che non sono cittadini di uno Stato membro dell’Unione, possono invocare tale tutela (124).

204. Poiché l’Unione non ha ancora aderito alla CEDU, l’articolo 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU (125) – contrariamente all’opinione della Schindler – non può essere direttamente invocato come fondamento del diritto di proprietà (126); tale disposizione, insieme alla relativa giurisprudenza della Corte eur. D.U., viene tuttavia in rilievo quale parametro per l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali (articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE, in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta)(127).

205. Nella parte della sua impugnazione in cui la Schindler richiama, oltre a quanto sopra, garanzie di diritto internazionale non meglio definite, le sue deduzioni risultano nel presente procedimento d’impugnazione non sufficientemente specifiche per poter essere esaminate dalla Corte e sono, quindi, irricevibili (128).

b)      Sulla lamentata violazione del diritto di proprietà quale diritto fondamentale dell’Unione

206. Quanto alla violazione di un diritto fondamentale lamentata dalla Schindler, occorre segnalare che, a dire il vero, non pare obbligatorio considerare l’inflizione di un’ammenda per un illecito in materia di intese senz’altro come lesione del diritto di proprietà. All’impresa interessata, infatti, non viene sottratta dalle istituzioni dell’Unione alcuna specifica posizione di proprietà, ma le viene semplicemente imposto in generale l’obbligo di pagare dal suo patrimonio una somma di denaro. In tal senso anche il Tribunale nella sentenza impugnata ha sottolineato che la decisione controversa non pregiudica la struttura della proprietà in seno alla Schindler (129).

207. In base, tuttavia, alla giurisprudenza della Corte eur. D.U. sull’articolo 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, le ammende devono essere considerate quali lesioni del diritto di proprietà, giacché privano l’interessato di una parte della sua proprietà, vale a dire della somma di denaro che questi deve pagare (130). Il principio di omogeneità impone di interpretare l’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali in modo che a livello di Unione il diritto di proprietà abbia significato e portata uguali a quelli conferitigli dalla CEDU (articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta).

208. D’altra parte, in base ad una consolidata giurisprudenza il diritto di proprietà comunque non viene garantito in termini assoluti o illimitati, ma deve essere considerato in relazione alla sua funzione sociale (131).

209. L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali riconosce, inoltre, che possano essere apportate limitazioni all’esercizio dei diritti sanciti dalla Carta, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (132).

210. L’inflizione di ammende in materia di intese si fonda, grazie all’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, su base legislativa (133). Con essa viene perseguito un obiettivo di interesse pubblico: tali ammende servono a preservare una concorrenza effettiva sul mercato interno europeo (134), in particolare dissuadendo dalla commissione di illeciti in materia di intese e rafforzando l’affidamento di tutti gli operatori del mercato nella forza vincolante delle regole di concorrenza del mercato interno europeo (135).

211. Che l’inflizione di sanzioni pecuniarie sia in via di principio legittima, risulta peraltro riconosciuto espressamente anche all’articolo 1, secondo comma, del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU. In base ad esso rimane impregiudicato il diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie, tra l’altro, per assicurare il pagamento delle ammende, ambito rispetto al quale essi dispongono, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., di un margine di apprezzamento (136).

212. Una violazione del diritto di proprietà per effetto delle ammende può, in definitiva, verificarsi solo se esse impongono all’interessato un peso eccessivo o se pregiudicano radicalmente la sua situazione economica; in altre parole, le ammende non devono essere sproporzionate (137). Difetta la proporzionalità delle ammende, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., quando si tratta di somme estremamente elevate, che comportano un peso a tal punto esorbitante da trasformarsi in una confisca di fatto della proprietà (138).

213. Nel presente caso il Tribunale si è pienamente conformato a tali indicazioni, verificando se le ammende inflitte costituiscano un intervento eccessivo ed intollerabile che arreca pregiudizio alla sostanza stessa del diritto fondamentale al rispetto della proprietà (139).

214. Se un’ammenda comporti un siffatto peso sproporzionato, non può essere valutato solo sulla base del suo importo nominale, ma dipende in modo decisivo dalla capacità economica del destinatario. Che la Corte eur. D.U. abbia considerato quale violazione del diritto di proprietà l’inflizione ad una persona fisica di ammende per vari illeciti doganali per un ammontare complessivo di quasi EUR otto milioni (140) non consente, di per sé, di trarre alcuna conclusione in ordine al presente caso, in cui si tratta di gravi e a lungo perduranti illeciti in materia di intese commessi da una grande impresa operante a livello internazionale con società controllate in più Stati membri.

215. Indubbiamente le ammende inflitte dalla Commissione ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 possono essere dolorose anche per grandi imprese come la Schindler. Ciò corrisponde, tuttavia, alla loro funzione e non risulta affatto iniquo, specie nel caso di gravi e a lungo perduranti illeciti in materia di intese come quelli qui controversi. Peraltro, atteso il limite massimo di legge del 10% del fatturato totale realizzato nell’anno precedente, di regola non può pervenirsi ad un peso sproporzionato per le imprese, equivalente ad una confisca di fatto della proprietà (141).

216. La censura della confisca formulata dalle ricorrenti, infatti, non poggia tanto sul peso imposto alla Schindler quale impresa o alla Schindler Holding quale persona giuridica, quanto piuttosto su una considerazione individualizzata dei pesi che le ammende inflitte imporrebbero alle tre società controllate nazionali della Schindler in Belgio, nei Paesi Bassi e in Lussemburgo. Ma una siffatta considerazione individualizzata della situazione di singole persone giuridiche è a priori inammissibile quando si tratta dell’inflizione di ammende contro imprese che rappresentano un’unità economica e che solo formalmente sono costituite da più persone giuridiche insieme (142).

217. Anche la perdita di valore degli investimenti nelle sue tre società controllate nazionali, lamentata dalla Schindler Holding, non costituisce, nel presente contesto, un argomento convincente. Nei rapporti interni la Schindler Holding può decidere se vuole far pagare le ammende inflitte all’impresa dal patrimonio delle singole società controllate, o se vuole a tal fine attingere al proprio patrimonio di società controllante. Come ha giustamente osservato il Tribunale, la determinazione del rispettivo contributo delle società appartenenti ad un medesimo gruppo, tenute in solido al pagamento di una medesima ammenda, spetta a queste ultime (143).

218. Occorre, infine, ricordare che la società controllante di un gruppo, che esercita un’influenza determinante sulla politica commerciale delle sue controllate e che quindi «tiene le fila» all’interno di tale gruppo, non può sottrarsi alla sua personale responsabilità per gli illeciti in materia di intese, anche se solo le controllate siano apparse all’esterno come partecipanti all’intesa (144). Nel commisurare le ammende e nel valutare la solvibilità dell’impresa si deve, pertanto, tenere conto della capacità economica della società controllante.

219. L’efficacia delle ammende in materia di intese contro le imprese sarebbe notevolmente pregiudicata se, in fase di commisurazione di ciascuna sanzione, si tenesse conto dell’organizzazione interna dei gruppi e si consentisse che la società controllante, finanziariamente solida, nella sua qualità di società holding lamentasse la perdita di valore dei suoi investimenti, ma per il resto «se ne lavasse le mani» e tentasse di scaricare la responsabilità per eventuali illeciti in materia di intese sulle sue controllate, finanziariamente meno solide, pur avendo esercitato un’influenza determinante sulla loro politica commerciale.

220. Tutto ciò considerato, il Tribunale, nel condurre l’esame relativo al diritto di proprietà, si è, quindi, basato su corretti criteri giuridici e, su tale fondamento, ha negato in modo ineccepibile la sussistenza di una violazione della proprietà della Schindler (145). Il nono motivo di impugnazione deve pertanto essere respinto.

6.      Il principio di proporzionalità (tredicesimo motivo di impugnazione)

221. La Schindler si sofferma infine, nel tredicesimo motivo di impugnazione, sul principio di proporzionalità. Secondo la Schindler ai punti da 365 a 372 della sentenza impugnata il Tribunale non ha rivolto la necessaria attenzione a tale principio.

222. Secondo una costante giurisprudenza, il principio di proporzionalità deve essere rispettato in occasione dell’inflizione di ammende per illeciti in materia di intese (146). In base all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali, a questo principio, in virtù del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato, spetta ora il rango di diritto fondamentale.

223. Nel procedimento d’impugnazione, tuttavia, rispetto alla questione della proporzionalità di un’ammenda la Corte non sostituisce, per motivi di equità, la propria valutazione a quella del Tribunale, ma si limita a verificare se il Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sia incorso in errori manifesti, ad esempio perché non ha tenuto conto di tutti gli elementi rilevanti (147). Un errore di diritto commesso dal Tribunale a causa del carattere incongruo dell’importo di un’ammenda potrebbe essere constatato nel procedimento d’impugnazione solo in via eccezionale, e precisamente quando «il livello della sanzione sia non soltanto incongruo ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato» (148).

224. Nel presente caso non risultano errori di diritto di tal tipo.

225. Non trova riscontro, in primo luogo, il rimprovero della Schindler secondo cui il Tribunale si sarebbe accontentato, senza procedere ad un esame in concreto, della mera affermazione che il limite massimo del 10% per le ammende di cui all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, non sarebbe superato. In realtà il Tribunale si è soffermato in modo assolutamente accurato sulla proporzionalità delle ammende inflitte dalla Commissione alla Schindler, prendendo in considerazione, tra l’altro, fattori quali la particolare gravità delle infrazioni, la necessità di un effetto dissuasivo delle sanzioni, nonché le dimensioni e la potenza economica dell’unità economica rappresentata dalla Schindler quale impresa (149).

226. Altrettanto infondata è, in secondo luogo, la tesi della Schindler secondo cui nel prendere in esame le dimensioni e la potenza economica dell’impresa non si sarebbe dovuta considerare la Schindler Holding. È vero l’esatto contrario: la considerazione della capacità economica dell’intera impresa Schindler, compresa la Schindler Holding quale società controllante, era, come sopra esposto (150), doverosa in punto di diritto.

227. Gli argomenti coi quali la Schindler cerca, infine, di mettere in dubbio la proporzionalità delle ammende con riferimento al loro mero importo nominale, richiamando a tal proposito la giurisprudenza della Corte eur. D.U. (151), devono essere respinti per gli stessi motivi che ho esposto già sopra in relazione al diritto di proprietà (152).

228. Nel complesso deve essere quindi respinto anche il tredicesimo motivo di impugnazione.

D –    Sintesi

229. Poiché nessuno dei motivi presentati dalle ricorrenti ha trovato accoglimento, l’impugnazione deve essere respinta in toto.

V –    Sulle spese

230. Quando un’impugnazione è respinta, come propongo nel caso di specie, la Corte statuisce sulle spese ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, in conformità a quanto specificato dagli articoli da 137 a 146 in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura (153).

231. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafi 1 e 2, in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda; quando vi siano più parti soccombenti, la Corte decide sulla ripartizione delle spese. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda e le ricorrenti sono risultate soccombenti, esse devono essere condannate al pagamento delle spese in solido tra loro, avendo presentato il ricorso congiuntamente (154).

232. In applicazione dell’articolo 184, paragrafo 4, seconda frase, del regolamento di procedura, sarebbe in teoria possibile condannare il Consiglio, quale interveniente in primo grado a fianco della Commissione, che ha partecipato anche al procedimento d’impugnazione, a sopportare le proprie spese (155). Ciò, tuttavia, non è obbligatorio, come risulta dalla stessa lettera della disposizione citata («può»). Nel presente caso a mio avviso non sussistono validi motivi per far sopportare al Consiglio le proprie spese. Anche supponendo, infatti, che il Consiglio abbia un notevole interesse istituzionale a difendere la validità del regolamento n. 1/2003, occorre tuttavia rilevare che le ricorrenti con le loro censure contro detto regolamento non hanno formulato alcuna questione di diritto davvero nuova, finora non chiarita (156). Piuttosto a tale riguardo le ricorrenti hanno semplicemente cercato di indurre la Corte a modificare la sua attuale giurisprudenza. È giusto che esse sopportino il rischio delle relative spese. La Corte dovrebbe quindi condannarle a sopportare – oltre che le proprie spese – le spese del Consiglio, così come essa anche in altri casi ha condannato il ricorrente soccombente a sopportare le spese dell’interveniente in primo grado a fianco della controparte, qualora le domande da questo formulate – come nel presente caso quelle del Consiglio – siano state accolte nel procedimento d’impugnazione (157).

VI – Conclusioni

233. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di statuire quanto segue:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      Le ricorrenti sono condannate in solido a tutte le spese.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – Comunicazione della Commissione – Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3); in prosieguo: gli «orientamenti del 1998».


3 – Decisione della Commissione del 21 febbraio 2007, relativa a un procedimento ai sensi dell’articolo 81 del trattato che istituisce la Comunità europea (Caso COMP/E-1/38.823 – Ascensori e scale mobili), notificata con il numero C(2007) 512 def., rettificata con decisione del 4 settembre 2007, e pubblicata in sintesi in GU 2008, C 75, pag. 19.


4 –      Sentenza del Tribunale del 13 luglio 2011, Schindler Holding e a./Commissione (T‑138/07, Racc. pag. II‑4819).


5 – Considerando da 27 a 32 della decisione controversa, e punto 3 della sentenza impugnata.


6 – Considerando 3 e 91 della decisione controversa, e punto 4 della sentenza impugnata.


7 – Considerando 3 e 91 della decisione controversa, e punto 22 della sentenza impugnata.


8 – Articolo 1 della decisione controversa, e punto 31 della sentenza impugnata.


9 – Articolo 2 della decisione controversa, e punto 31 della sentenza impugnata.


10 –      V. in proposito, oltre alla sentenza impugnata, tre ulteriori sentenze del Tribunale del 13 luglio 2011, nelle cause General Technic-Otis e a./Commissione (T‑141/07, T‑142/07, T‑145/07 e T‑146/07, Racc. pag. II‑4977), ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione (T‑144/07, T‑147/07‑T‑150/07 e T‑154/07, Racc. pag. II‑5129), nonché Kone e a./Commissione (T‑151/07, Racc. pag. II‑5313). La sentenza ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione è divenuta definitiva dopo che sei impugnazioni proposte dinanzi alla Corte da varie società del gruppo ThyssenKrupp sono state ritirate (cause C‑503/11 P, C‑504/11 P, C‑505/11 P, C‑506/11 P, C‑516/11 P e C‑519/11 P). Contro la sentenza Kone e a./Commissione al momento pende ancora un’impugnazione dinanzi alla Corte (causa C‑510/11 P, Kone e a./Commissione). Due ulteriori impugnazioni contro la sentenza General Technic-Otis e a./Commissione sono state respinte dalla Corte con ordinanze del 15 giugno 2012, United Technologies/Commissione (C‑493/11 P), e Otis Luxembourg (già General Technic‑Otis)/Commissione (C‑494/11 P).


11 –      Il Tribunale ha dichiarato che non occorre più statuire su questa parte del ricorso in quanto la Commissione, il 4 settembre 2007, aveva rettificato la decisione controversa precisando che tra i destinatari della stessa non rientrava più la Schindler Management AG (v. punti da 40 a 44 della sentenza impugnata).


12 – Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («CEDU», siglata a Roma il 4 novembre 1950).


13 –      Nello stesso senso anche sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, punto 44, prima frase).


14 –      Sentenze del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione (C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 21); del 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (C‑50/00 P, Racc. pag. I‑6677, punto 39), nonché sentenza del 13 marzo 2007, Unibet (C‑432/05, Racc. pag. I‑2271, punto 37).


15 –      Nello stesso senso, sentenza Åkerberg Fransson, cit. alla nota 13 (punto 44, prima frase).


16 – Corte europea dei diritti dell’uomo.


17 –      Nello stesso senso, sentenze del 22 dicembre 2010, DEB (C‑279/09, Racc. pag. I‑13849, punti da 30 a 33); dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione (C‑386/10 P, Racc. pag. I‑13085, punto 51); del 6 novembre 2012, Otis e a. (C‑199/11, punto 47), nonché sentenza del 29 gennaio 2013, Radu (C‑396/11, punto 32).


18 –      V. in proposito le mie conclusioni presentate il 3 luglio 2007 nella causa ETI e a. (C‑280/06, Racc. pag. I‑10893, paragrafo 71), e l’8 settembre 2011 nella causa Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, paragrafo 48), ciascuna con ulteriori rinvii. Dal suo canto, la Corte eur. D.U. nella sentenza del 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics/Italia (ricorso n. 43509/08, §§ da 38 a 45) ha riconosciuto ad una ammenda in materia di intese, inflitta dall’autorità garante della concorrenza italiana, carattere penale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Allo stesso modo ha statuito la Corte EFTA nella sua sentenza del 18 aprile 2012, Posten Norge/Autorità di vigilanza EFTA («Posten Norge», E‑15/10, punti 87 e 88), in relazione ad una ammenda in materia di intese inflitta dall’Autorità di vigilanza EFTA.


19 –      Corte eur. D.U., sentenza del 23 novembre 2006, Jussila/Finlandia (ricorso n. 73053/01, Recueil des arrêts et décisions 2006-XIV, § 43).


20 –      Corte eur. D.U., sentenza Jussila/Finlandia, cit. alla nota 19 (§ 43); nello stesso senso, Corte eur. D.U., sentenza Menarini Diagnostics/Italia, cit. alla nota 18 (§ 62); v. anche Corte EFTA, sentenza Posten Norge, cit. alla nota 18 (punto 89).


21 –      Corte eur. D.U., sentenza Menarini Diagnostics/Italia, cit. alla nota 18 (§ 59).


22 – Ibidem.


23 –      In francese: «le pouvoir de réformer en tous points, en fait comme en droit, la décision entreprise, rendue par l’organe inférieur» (Corte eur. D.U., sentenza Menarini Diagnostics/Italia, cit. alla nota 18, § 59).


24 –      In francese: «compétence pour se pencher sur toutes les questions de fait et de droit pertinentes pour le litige» (Corte eur. D.U., sentenza Menarini Diagnostics/Italia, cit. alla nota 18, § 59); in inglese: «jurisdiction to examine all questions of fact and law relevant to the dispute» (Corte eur. D.U., ordinanza del 21 marzo 2006, Valico/Italia, ricorso n. 70074/01, Recueil des arrêts et décisions 2006-III, pag. 20, con ulteriori rinvii).


25 –      In inglese: «the power to quash in all respects, on questions of fact and law, the challenged decision» (Corte eur. D.U., sentenza del 23 luglio 2002, Janosevic/Svezia, ricorso n. 34619/97, Recueil des arrêts et décisions 2002-VII, § 81, e ordinanza Valico/Italia, cit. alla nota 24, pag. 20).


26 – Sentenza Chalkor/Commissione, cit. alla nota 17 (punto 53), nonché sentenze dell’8 dicembre 2011, KME e a./Commissione (C‑272/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 93), e KME Germany e a./Commissione (C‑389/10 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 120).


27 –      Sentenze del 15 febbraio 2005, Commissione/Tetra Laval (C‑12/03 P, Racc. pag. I‑987, punto 39); Chalkor/Commissione, cit. alla nota 17 (punti 54, 61 e 62), nonché sentenza Otis e a., cit. alla nota 17 (punti da 59 a 61).


28 –      Sentenze Chalkor/Commissione (punto 63), e Otis e a. (punto 62), entrambe cit. alla nota 17.


29 –      Nello stesso senso anche sentenze Chalkor/Commissione (punto 67), e Otis e a. (punto 63), entrambe cit. alla nota 17.


30 –      La censura della Schindler secondo cui il Tribunale non condurrebbe in proprio alcuna indagine sui fatti, si interseca con il secondo motivo di impugnazione e dovrà essere affrontata in quella sede (v. infra, paragrafi da 42 a 57 delle presenti conclusioni).


31 –      Corte eur. D.U., sentenza Jussila/Finlandia, cit. alla nota 19 (§ 43); nello stesso senso, Corte eur. D.U., sentenza Menarini Diagnostics/Italia, cit. alla nota 18 (§ 62).


32 –      Le ricorrenti richiamano le sentenze della Corte eur. D.U del 21 febbraio 1984, Öztürk/Germania (ricorso n. 8544/79, Serie A, n. 73, § 56), e del 24 febbraio 1994, Bendenoun/Francia (ricorso n. 12547/86, Serie A, n. 284, § 46).


33 –      Corte eur. D.U., sentenza Menarini Diagnostics/Italia, cit. alla nota 18; in quel caso si trattava di un’ammenda in materia di intese inflitta dall’autorità garante della concorrenza italiana dell’importo di EUR sei milioni (v. §§ 41 e 42 della sentenza cit.).


34 –      La stretta parentela tra l’articolo 47 della Carta, da una parte, e gli articoli 6 e 13 della CEDU, dall’altra, emerge chiaramente nelle spiegazioni relative alla Carta (GU 2007, C 303, pag. 17, in particolare pagg. 29 e seg.). Anche la giurisprudenza della Corte, con cui è stato riconosciuto il diritto a un ricorso effettivo quale generale principio di diritto, si basa fondamentalmente sulle due disposizioni della CEDU (v. sul punto sentenze cit. supra, alla nota 14).


35 – [Comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3); in prosieguo anche: la «comunicazione del 2002»].


36 –      Analoghe censure sollevate incidentalmente già nell’ambito del primo motivo di impugnazione saranno affrontate qui di seguito.


37 –      In primo grado la Schindler ha solo lamentato l’incompatibilità della testimonianza dei richiedenti la clemenza con i principi nemo tenetur se ipsum accusare, nemo tenetur se ipsum prodere e in dubio pro reo, con il principio di proporzionalità e con i limiti della discrezionalità riconosciuta alla Commissione (v. in proposito il quarto motivo di ricorso in primo grado, punti 68‑89 del ricorso).


38–      Sentenze del 1° giugno 1994, Commissione/Brazzelli Lualdi e a. (C‑136/92 P, Racc. pag. I‑1981, punto 59); del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, Racc. pag. I‑8237, punto 38), nonché sentenza del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione («AOI», C‑628/10 P e C‑14/11 P, punto 111).


39 –      Sentenze Chalkor/Commissione (punti 64 e 65), e Otis e a. (punto 61, prima frase), entrambe cit. alla nota 17.


40 – Sentenza impugnata, punto 57, in fine.


41 –      Sentenze del 10 luglio 2001, Ismeri Europa/Corte dei conti (C‑315/99 P, Racc. pag. I‑5281, punto 19); del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione (C‑385/07 P, Racc. pag. I‑6155, punto 163), nonché sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, punto 115).


42 –      V. in proposito punto 17 della replica della Schindler nel procedimento d’impugnazione.


43 – V. in proposito anche le mie considerazioni sul decimo motivo di impugnazione (infra, paragrafi da 177 a 180 delle presenti conclusioni).


44 –      Sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. alla nota 37 (punti da 58 a 61); v. pure sentenze del 16 novembre 2000, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (C‑286/98 P, Racc. pag. I‑9925, punto 29); del 20 gennaio 2011, General Química e a./Commissione (C‑90/09 P, Racc. pag. I‑1, punti 39 e 40, e da 85 a 90), nonché sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, Racc. pag. I-8947, punti da 54 a 60).


45 –      Sentenze del 29 marzo 2011, ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione e a. (C‑201/09 P e C‑216/09 P, Racc. pag. I‑2239, punti da 96 a 98), e AOI, cit. alla nota 37 (punti 46 e 47).


46 –      V. le mie conclusioni presentate il 29 novembre 2012 nella causa Commissione/Stichting Administratiekantoor Portielje («Portielje», C‑440/11 P, paragrafo 72).


47 –      V. in proposito ancora una volta le mie conclusioni Portielje, cit. alla nota 45 (paragrafo 71).


48 – Punti da 81 a 83 della sentenza impugnata.


49 – V. in proposito la giurisprudenza cit. supra, alla nota 37.


50 –      Sulle competenze dell’Unione in questo settore, v. in particolare articolo 50, paragrafo 2, lettera g), TFUE.


51 –      V., tra le molte, sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, Racc. pag. I‑225, punto 21, sulle imposte dirette); del 23 ottobre 2007, Morgan e Bucher (C‑11/06 e C‑12/06, Racc. pag. I‑9161, punto 24, sull’organizzazione dei sistemi di insegnamento e la determinazione dei loro contenuti), nonché sentenza del 10 marzo 2009, Hartlauer (C‑169/07, Racc. pag. I‑1721, punto 29, sull’organizzazione dei regimi di sicurezza sociale).


52 – V. supra, paragrafo 70 delle presenti conclusioni, e la giurisprudenza cit. alla nota 37.


53 –      La Schindler indica la società controllante anche come «società capo-gruppo». Nel prosieguo, tuttavia, mi attengo, per semplicità, alla denominazione «società controllante» ai sensi della giurisprudenza Akzo Nobel.


54 – Sentenza del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione (C‑95/04 P, Racc. pag. I‑2331, punto 137); v. inoltre sentenze del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala (C‑413/06 P, Racc. pag. I‑951, punto 29); del 29 marzo 2011, ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, Racc. pag. I‑2359, punto 180), nonché sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit. alla nota 43 (punto 68).


55 –      Sentenze del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione (C‑109/10 P, Racc. pag. I-10329, punto 51), e Solvay/Commissione (C‑110/10 P, Racc. pag. I-10439, punto 46).


56 –      Con l’espressione «compliance» si indicano comunemente gli sforzi, intrapresi all’interno dell’impresa, per assicurare il rispetto della legalità nella quotidianità dell’impresa. Le ricorrenti, nei loro atti prodotti nel procedimento d’impugnazione come anche in primo grado, fanno riferimento al codice di condotta («Code of conduct»), vigente dal 1996 all’interno del gruppo Schindler, e alle relative linee‑guida («Guidelines»), in cui ai dipendenti dell’impresa si impone, tra l’altro, di osservare tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili («comply with all applicable laws and regulations»), e di denunciare tutte le violazioni alle stesse. Le ricorrenti sottolineano la regolare informazione e formazione del personale, e rimarcano che il rispetto di dette regole interne all’impresa costituisce oggetto di una costante vigilanza, con puntuale repressione delle relative infrazioni. Le ricorrenti ritengono che il «compliance program» della Schindler costituisca un «modello».


57 –      Al punto 88 della sentenza impugnata, più volte richiamato dalla Schindler, il Tribunale non ha assolutamente compiuto un accertamento di fatto, ma ha solo esposto l’ipotesi «che la Schindler possa aver fatto tutto il possibile», evidentemente, tuttavia, senza far propria tale affermazione.


58 – Punti da 84 a 90 della sentenza impugnata.


59 – Sentenza impugnata, punto 90, in fine.


60 –      Sentenze Akzo Nobel e a./Commissione, cit. alla nota 37 (punti 65 e 74), e General Química e a./Commissione, cit. alla nota 43 (punto 51); nello stesso senso, sentenze Elf Aquitaine/Commissione, cit. alla nota 43 (punto 54), e AOI, cit. alla nota 37 (punto 43).


61 – Ibidem.


62 – Punti 86, 87 e 90 della sentenza impugnata.


63 –      Sentenza Elf Aquitaine/Commissione, cit. alla nota 43 (punti 57 e 61), e ordinanza del 13 settembre 2012, Total e a./Commissione (C‑495/11 P, punto 57).


64 –      Questa censura viene in particolare formulata nell’ambito della seconda parte del settimo motivo di impugnazione.


65 –      Questa censura costituisce oggetto del sesto motivo di impugnazione.


66 –      V. le mie conclusioni presentate il 28 febbraio 2013 nella causa Schenker e a. (C‑681/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafi 40 e 41).


67 –      Sentenze dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione (C‑199/92 P, Racc. pag. I‑4287, punti 149 e 150, in relazione all’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU), e E.ON Energie/Commissione, cit. alla nota 40 (punti 72 e 73, con riferimento all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali); nello stesso senso, già sentenza del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione (27/76, Racc. pag. 207, punto 265).


68–      V. ancora una volta le mie conclusioni nella causa Schenker e a., cit. alla nota 65 (paragrafo 41).


69 – V. supra, paragrafi da 93 a100 delle presenti conclusioni.


70 –      V. in proposito le mie conclusioni presentate il 23 aprile 2009 nella causa Akzo Nobel e a./Commissione, cit. alla nota 37 (paragrafo 98).


71 –      Ad esempio, nelle mie conclusioni presentate nella causa Schenker e a., cit. alla nota 65 (in particolare, paragrafi da 38 a 48), ho illustrato che un’impresa non può essere sanzionata con un’ammenda a causa di una violazione da essa commessa contro il divieto di intese, posto dal diritto dell’Unione, se l’impresa è caduta in errore circa la legittimità del suo comportamento (errore sul divieto) e questo errore non le è rimproverabile.


72 – V. in proposito la giurisprudenza cit. supra, alla nota 37.


73 –      La Commissione giustamente segnala che nella decisione controversa sono contenute tutte le indicazioni in proposito necessarie (v. i considerando 157, 224, 311, 347 e 387 di detta decisione).


74 –      Sentenze del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punto 97), e del 7 febbraio 2013, Slovenská sporiteľňa (C‑68/12, punto 25).


75 – V. in proposito già supra, paragrafi da 97 a 99 delle presenti conclusioni.


76 –      Sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punti da 215 a 223); del 22 maggio 2008, Evonik Degussa/Commissione (C‑266/06 P, non pubblicata nella Raccolta, in particolare punti da 38 a 40), nonché sentenza del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione (C‑413/08 P, Racc. pag. I‑5361, punti 94 e 95).


77 – Sentenze del 3 maggio 2007, Advocaten voor de Wereld (C‑303/05, Racc. pag. I‑3633, punto 49), e del 3 giugno 2008, Intertanko e a. (C‑308/06, Racc. pag. I‑4057, punto 70).


78 –      Sentenze Advocaten voor de Wereld, cit. alla nota 76 (punto 50); Evonik Degussa/Commissione, cit. alla nota 75 (punto 39); Intertanko e a., cit. alla nota 76 (punto 71), nonché sentenza Lafarge/Commissione, cit. alla nota 75 (punto 94); nello stesso senso, anche sentenze del 12 dicembre 1996, X (C‑74/95 e C‑129/95, Racc. pag. I‑6609, punto 25), e ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, cit. alla nota 53 (punto 80).


79 – V. in proposito la giurisprudenza cit. alla nota 37.


80 –      Così avviene, ad esempio, nel codice penale tedesco (StGB) con le espressioni «induzione o mantenimento in errore» nell’ambito della truffa (articolo 263 StGB), «rapporto di fiducia» nell’ambito dell’infedeltà patrimoniale (articolo 266, seconda ipotesi, StGB), «abuso della notevole debolezza di volontà altrui» e «manifesta sproporzione tra prestazione e controprestazione» nell’ambito dell’usura (articolo 291 StGB), o con la fattispecie di «violenza privata» (articolo 240 StGB).


81 –      Sentenze Advocaten voor de Wereld, cit. alla nota 76 (punto 50); Evonik Degussa/Commissione, cit. alla nota 75 (punto 40); Intertanko e a., cit. alla nota 76 (punto 71), nonché sentenza Lafarge/Commissione, cit. alla nota 75 (punto 94). Nello stesso senso, sull’articolo 7 della CEDU v. Corte eur. D.U., sentenze del 27 settembre 1995, G/Francia (ricorso n. 15312/89, Serie A, n. 325-B, § 25), e del 22 giugno 2000, Coëme e a./Belgio (ricorsi nn. 32492/96 e a., Recueil des arrêts et décisions 2000‑VII, § 145).


82 –      Sentenze del 23 aprile 1991, Höfner e Elser (C‑41/90, Racc. pag. I‑1979, punto 21); Akzo Nobel e a./Commissione, cit. alla nota 37 (punto 54); General Química e a./Commissione, cit. alla nota 43 (punto 34); ArcelorMittal Luxembourg e a./Commissione e a., cit. alla nota 44 (punto 95), nonché sentenza AOI, cit. alla nota 37 (punto 42); in senso analogo, già sentenza del 12 luglio 1984, Hydrotherm Gerätebau (170/83, Racc. pag. 2999, punto 11).


83 – V. supra, paragrafi 84 e 85 delle presenti conclusioni.


84 –      Sentenze Hydrotherm Gerätebau, cit. alla nota 81 (punto 11); Akzo Nobel e a./Commissione, cit. alla nota 37 (punto 55), nonché sentenza AOI, cit. alla nota 37 (punto 42).


85 – V. supra, paragrafo 60 delle presenti conclusioni.


86 –      Sentenze Evonik Degussa/Commissione (punti da 36 a 63), e Lafarge/Commissione (punti 94 e 95), entrambe cit. alla nota 75; sentenze del Tribunale del 19 maggio 2010, Wieland-Werke e a./Commissione (T‑11/05, non pubblicata nella Raccolta, punti da 58 a 73), e del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione (T‑446/05, Racc. pag. II‑1255, punti da 123 a 152).


87 – Regolamento (CEE) n. 17/1962 del Consiglio, del 6 febbraio 1962: Primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204).


88 – V. in particolare punti da 97 a 109 della sentenza impugnata.


89 –      La stretta parentela tra l’articolo 49 della Carta, da una parte, e l’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, dall’altra, emerge chiaramente nelle spiegazioni relative alla Carta (GU 2007, C 303, pag. 17, in particolare pagg. 30 e seg.). Anche la giurisprudenza della Corte (cit. supra, alle note 75 e 76), in cui il principio nullum crimen, nulla poena sine lege è stato riconosciuto quale generale principio di diritto, si basa fondamentalmente sull’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU.


90 – V. supra, paragrafo 25 delle presenti conclusioni.


91 –      Sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. alla nota 73 (punto 109); Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. alla nota 75 (punto 169), nonché sentenza del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione (C‑280/08 P, Racc. pag. I‑9555, punto 294).


92 –      Corte eur. D.U., sentenza del 22 novembre 1995, SW/Regno Unito (ricorso n. 20166/92, Serie A, n. 335-B, § 36), concernente l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU in relazione ad una pena – non espressamente prevista dalla legge – per la violenza sessuale intraconiugale.


93 – Nello stesso senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, AC‑Treuhand/Commissione (T‑99/04, Racc. pag. II‑1501, punto 113).


94 – V. supra, paragrafo 26 delle presenti conclusioni.


95 –      Sentenze Evonik Degussa/Commissione (punti 44 e 50), e Lafarge/Commissione (punto 95), entrambe cit. alla nota 75; sul requisito della prevedibilità delle conseguenze penali di una determinata condotta nell’ambito dell’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, v. Corte eur. D.U., sentenza del 17 dicembre 2009, M/Germania (ricorso n. 19359/04, § 90).


96 –      V. le mie conclusioni presentate il 13 dicembre 2012 nella causa Ziegler/Commissione (C‑439/11 P, paragrafo 120).


97 – V. supra, paragrafo 82 delle presenti conclusioni.


98 – Sentenza del 24 marzo 2011, ISD Polska e a./Commissione (C‑369/09 P, Racc. pag. I‑2011, punto 66); v. anche ordinanza del 14 dicembre 1995, Hogan/Corte di giustizia (C‑173/95 P, Racc. pag. I‑4905, punto 20), nonché sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. alla nota 14 (punto 113).


99 –      V. in proposito le mie conclusioni presentate il 6 settembre 2012 nella causa Expedia (C‑226/11, paragrafi 26 e 30); nello stesso senso, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. alla nota 75 (punti 209 e 210); del 14 giugno 2011, Pfleiderer (C‑360/09, Racc. pag. I-5161, punti 21 e 23), nonché sentenza del 29 settembre 2011, Arkema/Commissione (C‑520/09 P, Racc. pag. I‑8901, punto 88).


100 – V. in proposito le mie considerazioni svolte sopra in relazione al terzo motivo di impugnazione, in particolare paragrafi da 148 a 157 delle presenti conclusioni.


101 –      Sentenza Arkema/Commissione, cit. alla nota 98 (punto 88); v. anche sentenza Chalkor/Commissione, cit. alla nota 17 (punto 60).


102 – V. in proposito le mie conclusioni nella causa Expedia, cit. alla nota 98 (paragrafo 29). Sul ruolo della Commissione nella determinazione della politica in materia di concorrenza dell’Unione europea, v. altresì sentenza del 14 dicembre 2000, Masterfoods (C‑344/98, Racc. pag. I‑11369, punto 46, prima frase).


103 – V. supra, in particolare paragrafi da 22 a 24 e 136 delle presenti conclusioni.


104 –      Sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. alla nota 75 (punti 217, 218 e da 227 a 231), e dell’8 febbraio 2007, Groupe Danone/Commissione (C‑3/06 P, Racc. pag. I‑1331, punti da 87 a 94).


105 – V., in particolare, punti da 118 a 128 della sentenza impugnata.


106 – V. in proposito la giurisprudenza cit. alla nota 90.


107 – V. anche supra, paragrafo 153 delle presenti conclusioni.


108 –      Sentenze del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione (C‑194/99 P, Racc. pag. I‑10821, punto 118); del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione (C‑534/07 P, Racc. pag. I‑7415, punto 96), nonché sentenza del 12 novembre 2009, Carbone‑Lorraine/Commissione (C‑554/08 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 84).


109 – V. supra, in particolare paragrafi da 47 a 50 e 57 delle presenti conclusioni.


110 – Sentenza KME e a./Commissione, cit. alla nota 26 (punto 56).


111 – Punto 276 della sentenza impugnata.


112 – V. supra, paragrafi 99 e 132 delle presenti conclusioni.


113 –      Nell’atto di impugnazione si afferma che «il compliance program della Schindler comporta, come effetto collaterale, una maggiore difficoltà nell’individuazione interna degli illeciti nonostante tutto commessi, dal momento che ai dipendenti autori di tali illeciti sono minacciate gravi sanzioni» (sic!).


114 –      Vedi supra, nota 35.


115 – Punti da 295 a 300 della sentenza impugnata, in particolare punti 298 e 300.


116 –      Sentenze Chalkor/Commissione (punto 63), e Otis e a. (punto 62), entrambe cit. alla nota 17.


117 –      Sentenze KME e a./Commissione, cit. alla nota 26 (punto 109); KME Germany e a./Commissione, cit. alla nota 26 (punto 136), nonché sentenza Chalkor/Commissione, cit. alla nota 17 (punto 82).


118 – Punti da 301 a 349 della sentenza impugnata.


119 – Così, giustamente, anche il Tribunale al punto 346 della sentenza impugnata.


120 –      Sentenze del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione (C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punto 256), e KME e a./Commissione, cit. alla nota 26 (punto 79).


121 –      V. le mie considerazioni svolte in relazione al settimo motivo di impugnazione.


122 –      L’ammenda inflitta alla società controllata tedesca della Schindler non rientra nell’oggetto del presente motivo di impugnazione.


123 –      V., tra le tante, sentenze del 14 maggio 1974, Nold/Commissione (4/73, Racc. pag. 491, punto 14); del 13 dicembre 1979, Hauer (44/79, Racc. pag. 3727, punto 17), nonché sentenza del 3settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione («Kadi», C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc. pag. I‑6351, punto 355).


124 –      La Corte ha così ammesso, ad esempio nella sentenza Kadi, cit. alla nota 122 (punti da 354 a 371), che soggetti privati provenienti da paesi terzi possano invocare il diritto di proprietà tutelato nel diritto dell’Unione quale diritto fondamentale.


125 – Protocollo del 20 marzo 1952 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (STE n. 9).


126 – V. supra, paragrafo 22 delle presenti conclusioni.


127 –      La stretta parentela tra l’articolo 17 della Carta, da una parte, e l’articolo 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, dall’altra, emerge chiaramente nelle spiegazioni relative alla Carta (GU 2007, C 303, pag. 17, in particolare pag. 23). Anche la giurisprudenza della Corte, con cui il diritto di proprietà è stato riconosciuto quale principio generale di diritto, si basa fondamentalmente su detto protocollo addizionale (v. ad esempio sentenza Kadi, cit. alla nota 122, punto 356).


128 – Sentenze dell’8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione (C‑51/92 P, Racc. pag. I‑4235, punto 113), e del 11 settembre 2007, Lindorfer/Consiglio (C‑227/04 P, Racc. pag. I‑6767, punto 83).


129 – Punto 192 della sentenza impugnata.


130 –      Corte eur. D.U., sentenza dell’11 gennaio 2007, Mamidakis/Grecia (ricorso n. 35533/04, § 44); nello stesso senso, in riferimento alle imposte, Corte eur. D.U., sentenza del 3 luglio 2003, Buffalo/Italia (ricorso n. 38746/97, § 32).


131 – V., di recente, sentenze del 6 settembre 2012, Deutsches Weintor (C‑544/10, punto 54); del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, punto 113), nonché sentenza del 31 gennaio 2013, McDonagh (C‑12/11, punto 60).


132 –      V. anche sentenza McDonagh, cit. alla nota 130 (punto 61).


133 –      Che un regolamento possa essere considerato una base legislativa, lo ha riconosciuto la Corte nella sentenza del 9 novembre 2010, Schecke e Eifert (C‑92/09 e C‑93/09, Racc. pag. I‑11063, punto 66).


134 –      Sulla previsione a livello di diritto primario di tale obiettivo all’epoca dell’emanazione della decisione controversa, v. articolo 3, paragrafo 1, lettera g), CE. Lo stesso può oggi desumersi dal protocollo n. 27 sul mercato interno e sulla concorrenza, allegato ai Trattati (GU 2008, C 115, pag. 309; GU 2010, C 83, pag. 309), come ha confermato la Corte in relazione all’articolo 102 TFUE (sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C‑52/09, Racc. pag. I‑527, punti da 20 a 22). V. pure articolo 119, paragrafo 1, TFUE (già articolo 4 CE), secondo cui gli Stati membri e l’Unione sono vincolati al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.


135 – V. in proposito le mie conclusioni nella causa Schenker e a., cit. alla nota 65 (paragrafo 114).


136 –      Corte eur. D.U., sentenza Mamidakis/Grecia, cit. alla nota 129 (§ 48).


137 –      Corte eur. D.U., sentenza Mamidakis/Grecia, cit. alla nota 129 (§§ 44, in fine, 45 e 47); v. anche sentenza del 5 luglio 2001, Phillips/Regno Unito (ricorso n. 41087/98, Recueil des arrêts et décisions 2001-VII, § 51), e ordinanza del 13 gennaio 2004, Orion Břeclav/Repubblica ceca (ricorso n. 43783/98).


138 –      Corte eur. D.U., sentenze Mamidakis/Grecia, cit. alla nota 129 (§§ 47 e 48), e Buffalo/Italia, cit. alla nota 129 (§ 32), nonché ordinanza Orion Břeclav/Repubblica ceca, cit. alla nota 136.


139 – V., in particolare, punti 190 e 191 della sentenza impugnata.


140 –      Corte eur. D.U., sentenza Mamidakis/Grecia, cit. alla nota 129 (§§ 47 e 48).


141 –      Le cose potrebbero stare diversamente in presenza di circostanze eccezionali che compromettono gravemente la capacità economica dell’impresa al momento dell’inflizione dell’ammenda. Nel presente caso, tuttavia, non vi sono elementi per sospettare una situazione del genere, né la Schindler ha fatto riferimento a circostanze eccezionali di tal tipo.


142 – V. in proposito le considerazioni da me svolte sul sesto e sul settimo motivo di impugnazione (supra, paragrafi da 60 a 133 delle presenti conclusioni).


143 – Punto 194 della sentenza impugnata.


144 –      V. le mie conclusioni nella causa Akzo Nobel e a./Commissione, cit. alla nota 37 (paragrafo 99).


145 – Punti da 185 a 196 della sentenza impugnata.


146 – Nello stesso senso, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. alla nota 75 (punto 319), e del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 365).


147 – Nello stesso senso, sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit. alla nota 145 (punto 365); Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. alla nota 75 (punti 244 e 303), nonché sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. alla nota 14 (punto 128).


148 –      Sentenza E.ON Energie/Commissione, cit. alla nota 40 (punti 125 e 126).


149 – V. in proposito punti da 367 a 370 della sentenza impugnata.


150 – V. supra, paragrafi da 199 a 201, 218 e 219 delle presenti conclusioni.


151 –      Schindler richiama Corte eur. D.U., sentenza Mamidakis/Grecia, cit. supra, alla nota 129 (§ 44).


152 – V. supra, in particolare paragrafi da 214 a 219 delle presenti conclusioni.


153 –      In base al principio generale secondo cui le nuove norme di procedura si applicano a tutte le controversie pendenti all’atto della loro entrata in vigore (giurisprudenza costante: v., tra le altre, sentenza del 12 novembre 1981, Meridionale Industria Salumi e a., da 212/80 a 217/80, Racc. pag. 2735, punto 9), nel presente caso la decisione sulle spese è disciplinata dal regolamento di procedura della Corte del 25 settembre 2012, entrato in vigore il 1° novembre 2012 (nello stesso senso, sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens, C‑441/11 P, punti 83-85). Sotto il profilo del contenuto, tuttavia, non vi è differenza con l’articolo 69, paragrafo 2, in combinato disposto con gli articoli 118 e 122, primo comma, del regolamento di procedura della Corte del 19 giugno 1991.


154 – Sentenza del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (C‑550/07 P, Racc. pag. I‑8301, punto 123); nello stesso senso, sentenza del 31 maggio 2001, D e Svezia/Consiglio (C‑122/99 P e C‑125/99 P, Racc. pag. I‑4319, punto 65): in quest’ultimo caso D e il Regno di Svezia avevano addirittura presentato due ricorsi separati, ma sono stati nondimeno condannati in solido alle spese.


155 –      Così è avvenuto nella sentenza Evonik Degussa/Commissione, cit. alla nota 75 (punto 3 del dispositivo).


156 –      Questa è la fondamentale differenza del presente caso rispetto alla causa Evonik Degussa/Commissione, cit. alla nota 75, in cui la validità del regolamento n. 17 poteva ancora essere considerata una nuova questione di diritto con carattere di principio. Anche nella causa Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P) deve essere chiarita una questione di diritto ancora irrisolta, avente rilevanza di principio, motivo per cui ho proposto alla Corte di applicare in tal caso l’articolo 184, paragrafo 4, seconda frase, del regolamento di procedura e di condannare la Commissione, quale interveniente in primo grado, a sopportare le proprie spese (v. in proposito paragrafi 151 e 152 delle mie conclusioni presentate il 17 gennaio 2013 in tale causa).


157 –      In tal senso v., ad esempio, sentenza del 19 luglio 2012, Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group (C‑337/09 P, punto 112); in tale caso il Consiglio è stato condannato, quale ricorrente soccombente, a sopportare tra l’altro le spese della Audace quale interveniente in primo grado a fianco della controparte, le cui domande sono state accolte nel procedimento d’impugnazione.