Language of document : ECLI:EU:C:2013:232

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate l’11 aprile 2013 (1)

Causa C‑84/12

Rahmanian Koushkaki

contro

Repubblica federale di Germania

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Berlin (Germania)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Procedura di rilascio dei visti – Diritto di un richiedente il visto che soddisfa le condizioni d’ingresso di ottenere il rilascio di un visto – Valutazione del rischio di immigrazione illegale – Margine discrezionale degli Stati membri interessati»





1.        Nel 2011 sono stati rilasciati 12 milioni di visti di breve durata dagli Stati membri che rilasciano visti cosiddetti «Schengen» (2). Questo indica l’importanza che riveste per l’Unione europea, in generale, e per l’area Schengen, in particolare, la normativa che disciplina il rilascio dei suddetti visti Schengen. Il presente rinvio pregiudiziale offre oggi alla Corte l’occasione di precisare la suddetta disciplina come risulta dal regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) (3).

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

1.      Il regolamento (CE) n. 539/2001

2.        A norma dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, del 15 marzo 2001, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (4), «[i] cittadini dei paesi terzi che figurano nell’elenco di cui all’allegato I devono essere in possesso di visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri».

3.        Dall’allegato I del regolamento n. 539/2001 risulta che la Repubblica d’Iran rientra tra i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per attraversare le frontiere esterne di uno Stato membro.

2.      Il codice frontiere Schengen

4.        Il regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (5) stabilisce le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione.

5.        L’articolo 5 del codice frontiere Schengen riguardante le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi ha il seguente tenore:

«1.      Per un soggiorno non superiore a tre mesi nell’arco di sei mesi, le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi sono le seguenti:

a)      essere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi che consentano di attraversare la frontiera;

(…)

c)      giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o per il transito verso un paese terzo nel quale l’ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi;

d)      non essere segnalato nel [sistema d’informazione Schengen (SIS)] ai fini della non ammissione;

e)      non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi.

(...)».

3.      Il codice dei visti

6.        Il considerando 6 del codice dei visti stabilisce che «[i]l trattamento delle domande di visto dovrebbe avvenire in modo professionale e rispettoso ed essere proporzionato agli obiettivi perseguiti».

7.        Il considerando 18 del codice dei visti stabilisce che «[l]a cooperazione locale Schengen è fondamentale per l’applicazione armonizzata della politica comune in materia di visti e per una corretta valutazione dei rischi migratori e/o di sicurezza. Date le differenze nelle situazioni locali, l’applicazione operativa di particolari disposizioni legislative dovrebbe essere valutata [dalle] rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri nei singoli luoghi al fine di assicurare un’applicazione armonizzata delle disposizioni legislative per impedire il “visa shopping” e un trattamento diverso fra i richiedenti il visto».

8.        Il considerando 29 del codice dei visti sancisce che «[i]l presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla convenzione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

9.        L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, del codice dei visti è formulato come segue:

«1.      Il presente regolamento fissa le procedure e le condizioni per il rilascio del visto di transito o per soggiorni previsti di non più di tre mesi su un periodo di sei mesi, nel territorio degli Stati membri.

2.      Le disposizioni del presente regolamento si applicano ai cittadini di paesi terzi che devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri in conformità del regolamento [n. 539/2001] fermi restando:

a)      i diritti di libera circolazione di cui godono i cittadini di paesi terzi che sono familiari di cittadini dell’Unione;

b)      i diritti di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, di cui godono cittadini di paesi terzi e loro familiari in virtù di accordi fra la Comunità e i suoi Stati membri, da un lato, e tali paesi terzi, dall’altro».

10.      L’articolo 21 del codice dei visti, riguardante la verifica delle condizioni d’ingresso e la valutazione del rischio, è così formulato:

«1.      Nell’esaminare una domanda di visto uniforme viene accertato se il richiedente soddisfi le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del codice frontiere Schengen ed è accordata particolare attenzione alla valutazione se il richiedente presenti un rischio di immigrazione illegale o un rischio per la sicurezza degli Stati membri e se il richiedente intenda lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto.

(…)

3.       Nel determinare se il richiedente soddisfi le condizioni d’ingresso, il consolato verifica:

a)      che il documento di viaggio presentato non sia falso, contraffatto o alterato;

b)      la giustificazione presentata dal richiedente riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto e che questi disponga dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata del soggiorno previsto sia per il ritorno nel paese di origine o di residenza oppure per il transito verso un paese terzo nel quale la sua ammissione è garantita, ovvero che sia in grado di ottenere legalmente detti mezzi;

c)      se il richiedente è segnalato ai fini della non ammissione nel [SIS];

d)      che il richiedente non sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna o la salute pubblica, quale definita all’articolo 2, punto 19, del codice frontiere Schengen, o per le relazioni internazionali di uno degli Stati membri e, in particolare, che non sia oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi;

e)      che il richiedente disponga di un’adeguata e valida assicurazione sanitaria di viaggio, ove applicabile.

(...)».

11.      L’articolo 32 del codice dei visti, che precisa le condizioni in presenza delle quali il visto è rifiutato, enuncia quanto segue:

«1.       Ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 25, paragrafo 1, il visto è rifiutato:

a)      quando il richiedente:

i)      presenta un documento di viaggio falso, contraffatto o alterato;

ii)      non fornisce la giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto;

iii)      non dimostra di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o di residenza (...);

iv)      ha già soggiornato per tre mesi, nell’arco del periodo di sei mesi in corso, sul territorio degli Stati membri (...);

v)      è segnalato nel SIS al fine della non ammissione;

vi)      sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna o la salute pubblica, quale definita all’articolo 2, paragrafo 19, del codice frontiere Schengen, o per le relazioni internazionali di uno degli Stati membri e, in particolare, sia segnalato nelle banche dati nazionali degli Stati membri ai fini della non ammissione per gli stessi motivi; oppure

vii)      non dimostra di possedere un’adeguata e valida assicurazione sanitaria di viaggio, ove applicabile;

oppure

b)      qualora vi siano ragionevoli dubbi sull’autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente o sulla veridicità del loro contenuto, sull’affidabilità delle dichiarazioni fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto.

2.      La decisione di rifiuto e i motivi su cui si basa sono notificati al richiedente mediante il modulo uniforme di cui all’allegato VI.

3.      I richiedenti cui sia stato rifiutato il visto hanno il diritto di presentare ricorso. I ricorsi sono proposti nei confronti dello Stato membro che ha adottato la decisione definitiva in merito alla domanda e disciplinati conformemente alla legislazione nazionale di tale Stato membro. Gli Stati membri forniscono ai richiedenti informazioni sulla procedura cui attenersi in caso di ricorso, come precisato nell’allegato VI.

(…)».

B –    Il diritto tedesco

12.      L’articolo 6 della legge in materia di soggiorno, lavoro e integrazione degli stranieri nel territorio federale [Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet (Aufenthaltsgesetz) (6) stabilisce quanto segue:

«(1)      In applicazione del [codice dei visti] possono essere rilasciati a uno straniero i seguenti visti:

1.      un visto di transito o per soggiorni previsti non superiori a tre mesi entro un termine di sei mesi a partire dal giorno del primo ingresso nel territorio degli Stati Schengen (visto Schengen).

(...)

(2)      In applicazione del [codice dei visti], i visti possono essere prolungati fino a una durata complessiva del soggiorno di tre mesi entro un termine di sei mesi a partire dal giorno del primo ingresso. Un visto Schengen può essere prolungato come un visto nazionale per ulteriori tre mesi entro il relativo termine di sei mesi solo per i motivi menzionati dall’articolo 33 del [codice dei visti] a tutela degli interessi politici della Repubblica federale di Germania o per ragioni di diritto internazionale.

(...)».

II – Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13.      Il sig. Koushkaki, ricorrente nel procedimento principale, è un cittadino iraniano. Il 7 novembre 2010 egli ha chiesto all’ambasciata tedesca a Teheran (Iran) il rilascio di un visto Schengen. In tale occasione ha dichiarato di essere coniugato, ha descritto la sua attività professionale come «free job», ha quantificato in 62 giorni la durata del suo soggiorno e ha indicato il nome del suo ospite che aveva rilasciato una dichiarazione di garanzia. All’atto della presentazione della domanda, il sig. Koushkaki era in possesso di un documento di viaggio valido e di un certificato di assicurazione per il suo soggiorno.

14.      Le autorità tedesche hanno respinto la sua richiesta sulla base del fatto che egli non aveva dimostrato di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti sia per la durata prevista del soggiorno sia per il suo ritorno in Iran.

15.      Il ricorrente nel procedimento principale, invocando in particolare il suo desiderio di visitare il fratello, che gode del diritto di asilo in Germania e non può quindi recarsi in Iran, ha presentato un ricorso avverso la suddetta prima decisione il quale ha portato, il 5 gennaio 2011, alla sostituzione di detta decisione con una nuova decisione di rigetto fondata, questa volta, sull’esistenza di un dubbio preponderante circa l’intenzione del richiedente di fare ritorno. Malgrado le dichiarazioni rese dal richiedente e i documenti giustificativi prodotti, l’esame compiuto da detta ambasciata non avrebbe fatto emergere un radicamento economico sufficiente a garantire l’intenzione di rientrare in Iran.

16.      L’8 febbraio 2011 il sig. Koushkaki, che contesta la legittimità della seconda decisione di diniego dell’ambasciata di Germania a Teheran, ha presentato dinanzi al giudice del rinvio un ricorso volto al rilascio del visto richiesto.

17.      Il giudice del rinvio afferma che, a suo avviso, il ricorrente nel procedimento principale soddisferebbe tutte le condizioni d’ingresso poste dall’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti, che rinvia all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del codice frontiere Schengen, disponendo di un documento di viaggio valido, avendo giustificato lo scopo e le condizioni del soggiorno in Germania e non essendo segnalato nel SIS. Secondo il giudice a quo, non sembrano neppure mancare i mezzi necessari per il suo rientro e il richiedente non costituisce una minaccia per la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno Stato membro.

18.      Sempre a detta del giudice del rinvio, l’unico dubbio che sussiste è se il ricorrente nel procedimento principale costituisca una minaccia per l’ordine pubblico in considerazione della forte pressione migratoria in Iran, dedotta dalla Repubblica federale di Germania in propria difesa, e del rischio di immigrazione clandestina che egli rappresenterebbe. Per questo motivo il giudice del rinvio, il quale si ritiene legittimato a statuire sulla domanda di visto del ricorrente nel procedimento principale nel caso in cui decida di annullare la decisione dell’ambasciata tedesca a Teheran, si chiede quale grado di convincimento debba maturare il giudice per valutare se il richiedente il visto lascerà effettivamente il territorio tedesco prima della scadenza del visto.

19.      Il giudice del rinvio si chiede inoltre quali conseguenze giuridiche abbia per il richiedente il fatto che questi soddisfi tutte le condizioni d’ingresso elencate all’articolo 21 del codice dei visti e non possa essergli opposto nessuno dei motivi di rifiuto del visto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice in parola. Il giudice del rinvio si chiede se, in un tal caso, vada riconosciuto al ricorrente nel procedimento principale un diritto al rilascio di un visto Schengen.

20.      Il Verwaltungsgericht Berlin (Germania), trovandosi di fronte a una difficoltà di interpretazione del diritto dell’Unione, ha così deciso di sospendere il procedimento e, con decisione di rinvio pervenuta alla cancelleria della Corte il 17 febbraio 2012, di sottoporre alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, le seguenti tre questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’obbligo imposto dal giudice alla resistente di rilasciare al ricorrente un visto per gli Stati Schengen presupponga che il giudice ritenga accertato, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti, il fatto che il ricorrente intenda lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto oppure sia sufficiente che il giudice, a seguito dell’esame previsto dall’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), di detto codice, non nutra alcun dubbio basato su particolari circostanze circa l’intenzione dichiarata dal ricorrente di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto.

2)      Se il codice dei visti sancisca un diritto, vincolante per l’amministrazione, al rilascio di un visto per gli Stati Schengen, qualora le condizioni d’ingresso, in particolare quelle previste dall’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti, siano soddisfatte e non ricorra alcun motivo per il rifiuto del visto ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 1, di detto codice.

3)      Se il codice dei visti osti a una normativa nazionale secondo cui a uno straniero possa essere rilasciato, in applicazione del regolamento (...) n. 810/2009, un visto di transito o per soggiorni previsti non superiori a tre mesi entro un termine di sei mesi a partire dal giorno del primo ingresso nel territorio degli Stati Schengen (visto per gli Stati Schengen)».

III – Procedimento dinanzi alla Corte

21.      I governi tedesco, belga, ceco, danese, estone e greco, la Confederazione svizzera (7) e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte.

22.      All’udienza svoltasi il 29 gennaio 2013, hanno formulato osservazioni orali il sig. Koushkaki, i governi tedesco, belga, ceco, danese, estone e polacco e la Commissione.

IV – Analisi giuridica

A –    Osservazioni preliminari

23.      Occorre anzitutto formulare due serie di osservazioni, una in merito alla rettifica del presupposto da cui prende le mosse il giudice del rinvio, l’altra sulla necessità di riformulare e riorganizzare le questioni sottoposte alla Corte.

24.      Così, da un lato, il giudice del rinvio ritiene che sussista un solo aspetto controverso, vale a dire se il ricorrente nel procedimento principale presenti un rischio di immigrazione illegale idoneo a integrare una minaccia per l’ordine pubblico ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3, lettera d), e dell’articolo 32, paragrafo 1, lettera a), punto vi), del codice dei visti. In altre parole, secondo detto giudice, nell’ambito della procedura di rilascio dei visti, come disciplinata dal codice dei visti, deve essere preso in considerazione soltanto il rischio di immigrazione illegale integrante una minaccia per l’ordine pubblico.

25.      Dal tenore dell’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti risulta tuttavia chiaramente che l’esame compiuto in linea di principio dalle autorità consolari (8) verte, da un lato, sul rispetto da parte del richiedente delle condizioni d’ingresso, tra cui l’assenza di una minaccia per l’ordine pubblico, e, dall’altro, sulla valutazione del rischio di immigrazione illegale, del rischio per la sicurezza interna degli Stati membri e dell’intenzione del richiedente di lasciare effettivamente il territorio dello Stato membro interessato prima della scadenza del visto richiesto. Come osservato da alcune delle parti intervenute nel corso del presente procedimento pregiudiziale, il rischio di immigrazione illegale e il dubbio circa l’intenzione di lasciare il territorio costituiscono due criteri autonomi rispetto a quello della minaccia per l’ordine pubblico che le autorità consolari devono tenere in considerazione nel loro esame.

26.      Ciò precisato, occorre dall’altro lato osservare che la prima questione pregiudiziale è chiaramente formulata nel senso che il giudice del rinvio potrebbe legittimamente sostituire, nel caso specifico del ricorrente, la sua valutazione a quella compiuta dall’ambasciata tedesca a Teheran. Nelle sue osservazioni il governo tedesco fa menzione dell’esistenza di una controversia interna volta a stabilire proprio se i giudici tedeschi possano, nell’ambito di un ricorso quale quello di cui al procedimento principale, esercitare un controllo esteso al merito e ordinare alle autorità consolari il rilascio del visto.

27.      Non compete alla Corte inserirsi in un simile dibattito, dal momento che le modalità per la presentazione dei ricorsi giurisdizionali avverso una decisione di rifiuto di un visto Schengen rientrano nell’autonomia procedurale degli Stati membri. Ciò detto, occorre riformulare la prima questione pregiudiziale e presumere che essa sia volta a sapere se, ai fini di giudicare l’intenzione di lasciare il territorio, le autorità incaricate di compiere tale valutazione debbano accertare in concreto l’intenzione del richiedente di far ritorno o se la mancanza di un dubbio ragionevole quanto all’esistenza di tale intenzione possa essere sufficiente per ritenere soddisfatta la condizione d’ingresso relativa all’intenzione di lasciare il territorio dello Stato membro interessato prima della scadenza del visto richiesto. La prima questione pregiudiziale mira pertanto a che la Corte precisi le condizioni di attuazione del criterio legato all’intenzione del richiedente di ritornare nel suo paese d’origine.

28.      La seconda e la terza questione sono dirette a stabilire se, in termini più generali, nel caso in cui un richiedente soddisfi tutte le condizioni d’ingresso a norma dell’articolo 21 del codice dei visti e non possa vedersi opporre nessuno dei motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, di detto codice, le autorità incaricate di esaminare la sua domanda siano tenute – debbano – rilasciare il visto, nonostante lo stato attuale della normativa nazionale preveda soltanto che le autorità in parola «possano» procedere a tale rilascio. Queste due questioni pregiudiziali verranno pertanto trattate congiuntamente.

B –    Sulla prima questione pregiudiziale, come riformulata

29.      Il codice dei visti persegue espressamente l’obiettivo di istituire le procedure e le condizioni per il rilascio dei visti di durata non superiore ai tre mesi (9). L’articolo 14 del suddetto codice pone altresì chiaramente a carico del richiedente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni d’ingresso nel territorio di uno Stato membro indicando i documenti che quest’ultimo deve produrre all’atto della presentazione della domanda. Egli deve pertanto presentare «informazioni che consentano di valutare l’intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto» (10).

30.      Dopo che la domanda di visto è stata presentata, le autorità incaricate di esaminarla devono verificare, a norma delle disposizioni dell’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti, non soltanto che le condizioni d’ingresso indicate all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del codice frontiere Schengen siano soddisfatte, ma anche l’intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto. Il suddetto articolo 21 non contiene altri orientamenti che le autorità devono seguire quando sono chiamate a valutare se sussista l’intenzione di rientrare nel paese d’origine. Solo l’allegato II del codice dei visti contiene un elenco non esaustivo dei documenti giustificativi che possono essere utilmente prodotti dal richiedente e che permettono di valutare la sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri (11).

31.      L’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti vertente sulla verifica delle condizioni d’ingresso e sulla valutazione del rischio deve necessariamente essere letto in combinato disposto con l’articolo 32 del medesimo codice, vertente sui motivi di rifiuto di una domanda di visto. Così, a norma dell’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del suddetto codice, il visto è rifiutato «qualora vi siano ragionevoli dubbi (...) sull[‘] (...) intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto» (12).

32.      Dal tenore dell’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), del codice dei visti emerge così che, per respingere una domanda di visto a motivo della mancata intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri, le autorità competenti a esaminare la suddetta domanda devono nutrire un ragionevole dubbio circa la reale intenzione del richiedente di fare ritorno. Il ragionevole dubbio non opera quindi pro richiedente. Il semplice dubbio non è peraltro sufficiente (13): esso deve essere ragionevole.

33.      Il ragionevole dubbio è, di certo, una nozione particolarmente delicata da definire. Si può tuttavia già affermare che il ragionevole dubbio è ciò che si colloca a metà strada tra la convinzione, la certezza, da un lato, e il dubbio lieve o solamente ipotetico, dall’altro.

34.      Occorre sottolineare che, in materia di visti, una serie di elementi circostanziali ha impedito al legislatore di codificare ulteriormente il contenuto dei criteri idonei a fondare una decisione di rifiuto e quindi di definire più precisamente gli elementi che possono risultare utili al fine di determinare la suddetta intenzione di lasciare il territorio. Così, fin dalla presentazione della proposta di regolamento che istituisce un codice comunitario dei visti, la Commissione ha osservato che «[p]ur riconoscendo che le disposizioni essenziali della legislazione sono direttamente applicabili dagli Stati membri, la Commissione è anche consapevole del fatto che la diversità dei casi individuali e delle condizioni locali rende molto difficile l’elaborazione di norme dettagliate, valide in ogni circostanza e che contemplino tutte le situazioni» (14). Può essere pertanto utile indicare al giudice del rinvio, per quanto possibile, in che modo le autorità incaricate di esaminare una domanda di visto possano ritenere di essere in presenza di un dubbio ragionevole circa l’intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri.

35.      Per far ciò, occorre richiamare il manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati redatto dalla Commissione (15), che contiene le istruzioni per l’applicazione pratica delle disposizioni del codice dei visti (16), le quali, benché non vincolanti, risultano illuminanti. Al punto 7.12 del suddetto manuale, viene indicato alle autorità incaricate di esaminare una domanda di visto un certo numero di elementi che possono essere presi in considerazione per valutare l’intenzione del richiedente di lasciare il territorio. Se ne evince che meritano di essere esaminate due serie di criteri, ossia criteri relativi alla situazione «oggettiva» dello Stato d’origine del richiedente e criteri che qualificherò come più «soggettivi» in quanto si riferiscono alla situazione individuale del richiedente. È espressamente riconosciuto che questi ultimi criteri «possono variare a seconda del paese di residenza del richiedente» (17), circostanza questa che lascia un ampio margine di discrezionalità alle autorità chiamate a decidere. Tuttavia, il dubbio ragionevole può nascere solo dopo che «[p]er garantire una valutazione obiettiva [siano stati presi] in considerazione tutti gli elementi» (18) e «ogni singola domanda deve essere valutata in funzione delle proprie caratteristiche» (19). Un dubbio ragionevole non può così fondarsi esclusivamente su una semplice presunzione o sul solo esame dei criteri cosiddetti «oggettivi» relativi alla situazione nel paese d’origine.

36.      Per tutte queste ragioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale, come da me riformulata, nel senso che, a norma dell’articolo 21, paragrafo 1, del codice dei visti, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), di detto codice, le autorità incaricate di esaminare la domanda, per poter rifiutare una domanda di visto perché manca l’intenzione del ricorrente di ritornare, devono aver maturato un ragionevole dubbio circa la reale intenzione del richiedente di far ritorno dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi necessari per garantire una valutazione oggettiva, tra i quali rientrano sia gli elementi legati alla situazione specifica del paese d’origine sia gli elementi relativi alla situazione individuale del richiedente e ai documenti giustificativi da lui prodotti.

C –    Sulla seconda e sulla terza questione

37.      Con la sua seconda e la sua terza questione, il giudice del rinvio desidera sapere, in sostanza, se il codice dei visti riconosca in capo ai cittadini dei paesi terzi una sorta di diritto soggettivo che obbliga le autorità incaricate dell’esame di una domanda a rilasciare un visto di breve durata al richiedente se questi soddisfa le condizioni d’ingresso enunciate all’articolo 21 del codice dei visti e non può vedersi opposto nessuno dei motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del suddetto codice. Di conseguenza, il giudice del rinvio si chiede altresì se sia compatibile con il codice dei visti una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che prevede soltanto la possibilità di concedere un visto quando le condizioni sopra descritte sono soddisfatte.

38.      All’udienza dinanzi alla Corte, il governo tedesco ha precisato che il rifiuto opposto al sig. Koushkaki non era fondato altro che sul motivo previsto all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti e ha ribadito che sono proprio i dubbi circa il fatto che il ricorrente del procedimento principale intenda lasciare la Germania prima della scadenza del visto richiesto che hanno portato le autorità consolari tedesche ad adottare una decisione di rifiuto. Il giudice del rinvio, da parte sua, ritiene che il sig. Koushkaki soddisfi le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 21 del codice dei visti e non possa vedersi opposto nessuno dei motivi di rifiuto elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del suddetto codice. Ho tuttavia osservato poco sopra (20) che la valutazione del giudice del rinvio non è priva di errori. Non è quindi escluso che, una volta corretto l’errore di interpretazione del giudice a quo, questi concluda che le autorità consolari tedesche potevano, a buon diritto, opporre al ricorrente del procedimento principale la loro decisione di rifiuto basata sul fatto che egli non intendeva lasciare il territorio. Occorre quindi precisare che una risposta alla seconda e alla terza questione pregiudiziale risulterà utile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio, dopo aver riconosciuto che il fatto che il richiedente non intende lasciare il territorio integra, ai sensi del codice dei visti, un motivo di rifiuto autonomo rispetto alla minaccia all’ordine pubblico, confermi che il richiedente soddisfa le condizioni d’ingresso previste all’articolo 21 del detto codice e non può vedersi opposto nessuno dei motivi di rifiuto fra quelli previsti all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti.

39.      Le questioni in parola sollevano, tra le righe, il problema di sapere se il codice dei visti abbia compiuto un’armonizzazione completa nel settore della concessione dei visti di breve durata ai cittadini di paesi terzi così che, da un lato, uno Stato membro non potrebbe prevedere unilateralmente un motivo di rifiuto ulteriore rispetto a quelli già elencati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, e, dall’altro, gli Stati membri sarebbero soprattutto tenuti, laddove siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 21 e all’articolo 32, paragrafo 1, del suddetto codice, a rilasciare al richiedente il visto di breve durata a cui quest’ultimo avrebbe diritto e di cui potrebbe avvalersi direttamente nei confronti dello Stato membro presso il quale ha presentato la propria domanda.

40.      Per rispondere, procederò anzitutto a esaminare il testo del codice dei visti, rispetto al quale intendo evidenziare come esso si limiti a prendere in considerazione la condotta che ciascuno Stato membro deve adottare nei confronti del richiedente. Valuterò pertanto il meccanismo da esso attuato a tal riguardo. Completerò poi la mia valutazione verificando la conformità dei risultati conseguiti sulla base delle analisi precedentemente compiute agli obiettivi perseguiti dal suddetto codice. Svolgerò infine qualche considerazione conclusiva sul suo valore aggiunto.

1.      Analisi testuale

41.      Risulta anzitutto che il codice dei visti non contiene alcuna norma che stabilisce in capo agli Stati membri un qualche obbligo di rilasciare un visto di breve durata ai cittadini di paesi terzi che ne facciano domanda e che soddisfino le condizioni poste all’articolo 21 e all’articolo 32, paragrafo 1, del suddetto codice. Infatti, sebbene il capo IV del codice dei visti abbia effettivamente il titolo «Rilascio del visto», le disposizioni ivi contenute non disciplinano in alcun modo la questione dell’esistenza di un diritto al rilascio, ma riguardano piuttosto le modalità di determinazione del periodo di validità o della durata del soggiorno (21), le condizioni alle quali gli Stati membri possono rilasciare un visto con validità territoriale limitata (22), le condizioni di validità e di durata di un visto di transito aeroportuale (23) e i dettagli relativi al visto adesivo (24). Il suddetto capo IV contiene peraltro l’articolo 30 dedicato ai «diritti derivati dal rilascio di un visto» il quale, lungi dal consacrare un diritto soggettivo, precisa che «[i]l possesso di un visto uniforme o di un visto con validità territoriale limitata non conferisce un diritto automatico di ingresso».

42.      In secondo luogo, occorre osservare che nel codice dei visti non viene mai affermato di voler procedere a un’armonizzazione completa. Il considerando 3 enuncia infatti che «la costituzione di un “corpus normativo comune”, soprattutto tramite il consolidamento e lo sviluppo dell’acquis [le disposizioni pertinenti della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (GU 2000, L 239, pag. 19) e l’istruzione consolare comune (…)], è uno degli elementi fondamentali per “sviluppare ulteriormente la politica comune in materia di visti quale parte di un sistema multistrato inteso a facilitare i viaggi legittimi e a combattere l’immigrazione clandestina tramite un’ulteriore armonizzazione delle legislazioni nazionali e delle prassi per il trattamento delle domande di visto presso le rappresentanze consolari locali”» (25). L’applicazione armonizzata del codice dei visti è presentata inoltre come un obiettivo da conseguire (26) e non come un dato di fatto derivante già dal meccanismo stesso introdotto dal suddetto codice.

43.      In terzo luogo, occorre ricordare infine che i motivi di rifiuto menzionati all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti sono formulati in maniera particolarmente ampia, in considerazione proprio delle «differenze delle situazioni locali» (27), cosicché il legislatore dell’Unione ha, con cognizione di causa, rimesso l’applicazione concreta di determinate disposizioni legislative alla valutazione delle autorità consolari degli Stati membri nei singoli luoghi «al fine di assicurare un’applicazione armonizzata delle disposizioni legislative per impedire il “visa shopping” e un trattamento diverso fra i richiedenti il visto» (28). Non posso fare a meno di rilevare a tal proposito una curiosa contraddizione tra il riconoscimento di realtà locali molto diverse e la dichiarata ambizione di un’applicazione armonizzata, rimessa, in definitiva, alla discrezionalità delle autorità consolari.

44.      Così, per quanto attiene al testo letterale del codice dei visti, nessun elemento permette di concludere che l’intenzione del legislatore dell’Unione al momento della redazione di detto codice fosse esplicitamente quella di riconoscere, in capo ai richiedenti di paesi terzi un diritto soggettivo al rilascio di un visto di breve durata. Orbene, in una materia tanto delicata come quella in esame, non ci si può accontentare della tesi secondo cui il suddetto legislatore si sarebbe limitato a un riconoscimento meramente implicito.

45.      Resta ancora da verificare se tale conclusione sia corroborata dall’analisi sistematica del codice dei visti.

2.      Analisi sistematica

46.      L’adozione del codice dei visti s’inserisce nel processo di realizzazione progressiva di una politica dei visti stabilita a livello di Unione, avviata da taluni Stati membri e tra gli Stati membri nel quadro dell’accordo di Schengen, della convenzione di applicazione di tale accordo e dell’istruzione consolare comune. Di pari passo con l’evoluzione dei Trattati, la materia dei visti è stata progressivamente comunitarizzata.

47.      Non si deve però dimenticare che la questione del rilascio dei visti ai cittadini di paesi terzi rappresenta per gli Stati membri una questione altamente delicata. Infatti, se esiste un principio di diritto internazionale considerato come una delle espressioni caratteristiche della sovranità statale, è proprio quello secondo cui gli Stati hanno diritto di controllare l’ingresso dei non cittadini nel loro territorio (29). Orbene, se è vero che gli Stati membri hanno, evidentemente, acconsentito a rinunciare all’applicazione di un principio siffatto in relazione ai cittadini europei la cui libertà di circolazione è garantita dalla «carta costituzionale di base» dell’Unione (30), la questione risulta molto meno semplice per quanto attiene all’ingresso nei territori degli Stati membri da parte di cittadini dei paesi terzi, a maggior ragione quando non viene invocato alcun legame familiare stretto con un cittadino dell’Unione (31).

48.      La collaborazione avviata nel quadro dell’accordo di Schengen e oggi codificata dal codice dei visti non deve, infatti, celare gli interessi internazionali in gioco. A questo proposito è opportuno ricordare che nel quadro del programma di Stoccolma redatto nel 2010 (32) – vale a dire dopo l’adozione del codice dei visti – il Consiglio europeo invitava la Commissione a «intensificare gli sforzi per garantire il rispetto del principio della reciprocità dei visti ed evitare che sia (re)introdotto l’obbligo del visto da parte dei paesi terzi nei confronti degli Stati membri, nonché a reperire le misure che potrebbero essere applicate prima di imporre il meccanismo della reciprocità dei visti nei confronti di tali paesi terzi» (33). Il Consiglio europeo ha proseguito indicando che «[n]ella prospettiva di creare le condizioni per poter passare a una nuova fase di sviluppo della politica comune in materia di visti, nel rispetto pur sempre delle competenze degli Stati membri in questa materia, il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare uno studio che vagli la possibilità di istituire un meccanismo comune europeo di rilascio dei visti di breve durata» (34).

49.      L’automaticità del rilascio di un visto, conseguente al riconoscimento di un diritto soggettivo, mal si concilierebbe con le suddette preoccupazioni quanto alla reciprocità, nel caso, ad esempio, di un inasprimento significativo, da parte di uno dei paesi terzi elencati nell’allegato I del regolamento n. 539/2001, della sua politica di rilascio dei visti nei confronti dei cittadini dell’Unione.

50.      Comunque, dal diritto derivato si evince che il visto non è concepito come un diritto, bensì come un obbligo imposto al soggetto che desidera soggiornare per un breve periodo nel territorio di uno Stato membro, vale a dire come un prerequisito al suo ingresso nel territorio dell’Unione. Il regolamento n. 539/2001 definisce infatti il visto come «ogni autorizzazione rilasciata o decisione presa da uno Stato membro, necessaria ai fini (…) dell’ingresso per un soggiorno previsto in tale Stato membro (...) per un periodo la cui durata globale non sia superiore a tre mesi» (35). Il codice frontiere Schengen non considera i visti in modo diverso (36). Quanto al codice dei visti, come ho già sottolineato in precedenza, esso non fa mai riferimento all’esistenza di un diritto al rilascio, ma ricorda invece più volte che si tratta di un obbligo cui sono soggetti i cittadini degli Stati terzi interessati (37) e definisce altresì il visto come «un’autorizzazione rilasciata da uno Stato membro» (38).

51.      Il fatto che il visto sia considerato un obbligo imposto ai cittadini dei paesi terzi interessati e non come un diritto si spiega in particolare alla luce della funzione precipua del visto. Quest’ultimo, considerato come un’autorizzazione preliminare all’ingresso in un territorio, è uno strumento di controllo degli ingressi e quindi dei flussi migratori, così come può anche rivelarsi essere uno strumento di politica estera e di sicurezza. Orbene, l’azione avviata a livello di Unione in materia di visti persegue chiaramente un obiettivo di carattere tendenzialmente difensivo, ossia quello di contrastare l’immigrazione clandestina (39) e di evitare il «visa shopping» (40), vale a dire che uno Stato membro adotti una politica in materia di visti notoriamente più favorevole per i richiedenti, dal momento che una politica siffatta rappresenta così potenzialmente, mancando un controllo alla frontiera interna, un rischio di destabilizzazione dell’area Schengen.

52.      È proprio per questo motivo che il codice dei visti prevede un obbligo di rifiuto del visto quando il richiedente non soddisfa le condizioni richieste. La Corte aveva peraltro già statuito che il rifiuto automatico imposto agli Stati parti della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen in caso di non osservanza delle condizioni d’ingresso da parte del richiedente era «l’espressione del principio di cooperazione tra gli Stati contraenti, che è alla base dell’acquis di Schengen ed è indispensabile al funzionamento di un sistema di gestione integrata diretto a garantire un livello elevato e uniforme di controllo e di sorveglianza alle frontiere esterne in corollario con il libero attraversamento delle frontiere all’interno dello spazio Schengen» (41).

53.      Le esigenze connesse al controllo alle frontiere esterne si rinvengono nel fondamento giuridico del codice dei visti. Infatti, se il codice dei visti è in effetti fondato sull’articolo 62, paragrafo 2, lettera b), punto ii), CE, che prevede l’intervento di una normativa dell’Unione in materia «di visti relativi a soggiorni previsti di durata non superiore a tre mesi, che comprendono (...) le procedure e condizioni per il rilascio dei visti da parte degli Stati membri», l’articolo 62, paragrafo 2, lettera a), CE, anch’esso menzionato come base giuridica del regolamento considerato, prevede l’adozione di «misure relative all’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri, che definiscono (...) norme e procedure cui gli Stati membri devono attenersi per l’effettuazione di controlli sulle persone alle suddette frontiere».

54.      Dubito quindi fortemente che, con l’adozione del codice dei visti sotto forma di regolamento, gli Stati membri abbiano di fatto acconsentito a un salto qualitativo di tale importanza quale il passaggio da un obbligo gravante sugli Stati membri di rifiutare il visto, come previsto in vigenza dell’acquis di Schengen, alla previsione di un diritto soggettivo al rilascio di cui i cittadini di paesi terzi potrebbero avvalersi, quando nessun elemento di carattere testuale o sistematico sembra corroborare una siffatta tesi.

55.      Aggiungerei infine un ultimo elemento che attesta, a mio avviso, come il legislatore dell’Unione non abbia concepito il codice dei visti quale strumento volto a riconoscere un diritto soggettivo al rilascio di un visto. Tra le grandi innovazioni introdotte dal codice in parola – innovazioni su cui tornerò più avanti – figura l’introduzione di un diritto di ricorso contro le decisioni di rifiuto del rilascio di un visto (42). Il legislatore non ha tuttavia previsto esplicitamente un diritto di ricorso di tipo giurisdizionale (43) e, rinviando alle normative nazionali, ha rimesso la definizione delle modalità di esercizio di tale ricorso al potere discrezionale degli Stati membri. È stato peraltro accordato agli Stati membri un termine ulteriore per adeguare i loro sistemi nazionali e la data di applicazione della disposizione che introduce il suddetto diritto di ricorso è stata rinviata al 5 aprile 2011 (44). Dalla relazione annuale dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali per l’anno 2011 (45) emerge che i ricorsi contro le decisioni di rifiuto dei visti Schengen sono presentati, a seconda dallo Stato membro considerato, o a un’autorità amministrativa, o a un organo quasi giurisdizionale, o, ancora, a un’autorità giurisdizionale. Queste differenze, imputabili sia alle resistenze mostrate dagli Stati membri a impegnarsi maggiormente a sostegno delle garanzie procedurali offerte ai richiedenti il visto sia alle difficoltà concrete che presenterebbe l’attuazione di una protezione giurisdizionale effettiva per persone che non hanno accesso al territorio nazionale, risultano ancora una volta difficilmente compatibili con la tesi del riconoscimento di un diritto fondamentale.

3.      Verifica della conformità dei risultati ottenuti agli obiettivi perseguiti con il codice dei visti

56.      Nel verificare la conformità dei risultati della sopra illustrata analisi testuale e sistematica agli obiettivi del codice dei visti, occorre tener conto del fatto che quest’ultimo non persegue soltanto l’obiettivo di stabilire una determinata condotta degli Stati membri dell’area Schengen nei confronti dei richiedenti il visto tale da rendere la procedura che essi sono tenuti a seguire e le condizioni che essi devono applicare più evidenti e comprensibili per il richiedente al fine di assicurargli un trattamento dignitoso e rispettoso della sua persona.

57.      Il codice dei visti persegue anche un altro obiettivo connesso al fatto che esso s’inserisce nel contesto della cooperazione e collaborazione tra gli Stati dell’area Schengen i quali hanno deciso di attuare una solidarietà reale facendo sì che gli effetti della decisione adottata da uno Stato membro non si limitino al territorio di detto Stato membro (46), ma, al contrario, riguardino tutta l’area.

58.      Il codice dei visti ha quindi sancito non soltanto una serie di obblighi in capo agli Stati membri nei confronti del richiedente il visto Schengen, ma altresì l’obiettivo di prevedere un obbligo per ciascuno Stato membro nei confronti degli altri Stati membri dell’area Schengen di rifiutare tale visto ove non ricorrano le condizioni previste dal suddetto codice in considerazione degli effetti che tale visto è destinato a produrre in tutti tali Stati. A questo proposito, si può ritenere che l’impiego del verbo «può» all’articolo 24, paragrafo 1, del codice dei visti abbia un significato ulteriore rispetto a quanto risulta da un’interpretazione testuale e sistematica del suddetto codice. È possibile pensare che lo stesso legislatore dell’Unione abbia attribuito un significato connesso all’obiettivo sopra indicato, ossia quello della possibilità (risultante dall’impiego del verbo potere) per ciascuno Stato dell’area Schengen di concedere un visto avente effetti erga omnes soltanto in presenza delle condizioni previste da detto codice.

59.      Questa lettura teleologica del codice dei visti può certamente confermare il mancato riconoscimento di un diritto soggettivo al rilascio di un visto Schengen.

4.      Il valore aggiunto del codice dei visti

60.      A mio avviso, quindi, allo stato attuale del diritto dell’Unione e in particolare del codice dei visti, non può essere riconosciuto in capo ai richiedenti un diritto al rilascio di un visto Schengen. Gli Stati membri non possono tuttavia gestire a proprio piacimento le domande di visto che vengono loro presentate e, anche se la consacrazione di un diritto soggettivo in capo al richiedente non rientra tra gli apporti del codice dei visti, quest’ultimo ha comunque contribuito in modo significativo al miglioramento delle garanzie che gli sono offerte.

61.      Esso ha compiuto un’armonizzazione della procedura di domanda di visto in particolare fissando l’importo dei diritti di visto (47), proponendo un modulo armonizzato per la domanda di visto Schengen (48), chiarendo le condizioni di ricevibilità di tale domanda (49) e istituendo a carico degli Stati membri l’obbligo di decidere sulla domanda in tempi brevi (50), di motivare le decisioni di rifiuto (51) e di prevedere una possibilità di ricorso in caso di decisione negativa (52).

62.      Oltre ad aver riunito le disposizioni vincolanti relative alle condizioni che disciplinano la procedura di rilascio dei visti in un unico testo, il codice dei visti ha altresì concretamente fatto progredire la politica in tale materia rendendola più comprensibile, intellegibile e coerente (53).

63.      Come si è visto, l’armonizzazione sostanziale risulta più lacunosa e tende a frenare i progressi conseguiti sul piano dell’armonizzazione procedurale tanto è vero che, mancando a livello di Unione una definizione precisa delle condizioni d’ingresso, della valutazione dei rischi e dei motivi di rifiuto previsti all’articolo 21 e all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, l’arbitrarietà potrebbe riemergere nel corso della procedura di rilascio del visto.

64.      Risulta quindi essenziale sottolineare che il legislatore dell’Unione ha tentato di contenere questi inconvenienti collocando il codice dei visti sotto l’ombrello dei diritti fondamentali (54) e in particolare della dignità umana. Così, nel solco delle previsioni contenute nei considerando 6 e 7 del codice dei visti, l’articolo 39 del medesimo impone agli Stati membri di accogliere i richiedenti «cortesemente» (55) e invita il personale consolare a «rispetta[re] pienamente la dignità umana» e ad adottare tutti i provvedimenti secondo modalità «proporzionat[e] agli obiettivi da essi perseguiti» (56) e nel rispetto del principio di non discriminazione (57).

65.      Così, quale che sia lo spazio concesso agli Stati membri nel quadro della valutazione sostanziale delle condizioni e dei motivi previsti all’articolo 21 e all’articolo 32, paragrafo 1, del codice dei visti, tale situazione è rigorosamente delimitata dal rispetto dei diritti fondamentali del richiedente, prima tra tutti la sua dignità, e dai principi di proporzionalità e di non discriminazione.

66.      In definitiva, piuttosto che un diritto soggettivo al rilascio di un visto, il codice dei visti impone agli Stati membri di vigilare, oltre che sul rispetto delle condizioni necessarie affinché un visto produca effetti nei confronti di tutti gli Stati membri appartenenti all’area Schengen, sul fatto che lo svolgimento della procedura sia rispettoso dei diritti fondamentali del richiedente, il che implica, come ho già osservato, la necessità di esaminare ogni domanda di visto, non sulla base di semplici presunzioni, ma al contrario compiendo una valutazione globale della situazione tenendo debitamente conto del contesto personale e umano della situazione individuale alla base di ogni singola domanda.

67.      Per l’insieme di tali ragioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda e alla terza questione pregiudiziale considerate congiuntamente nel senso che il codice dei visti non può essere interpretato come idoneo a fondare in capo ai richiedenti un diritto soggettivo al rilascio di un visto Schengen. Il suddetto codice impone tuttavia agli Stati membri di decidere delle domande di visto Schengen al termine di una valutazione complessiva della situazione, tenendo debitamente conto, oltre che delle condizioni necessarie affinché il visto spieghi i suoi effetti nei confronti di tutti gli Stati membri dell’area Schengen, del contesto personale e umano della situazione individuale alla base di ciascuna domanda, e al termine di una procedura pienamente rispettosa dei diritti fondamentali, primo fra tutti la dignità umana, condotta in conformità dei principi di proporzionalità e di non discriminazione.

V –    Conclusione

68.      Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dal Verwaltungsgericht Berlin come segue:

1)      A norma dell’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 810/2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti, letto in combinato disposto con l’articolo 32, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento, le autorità incaricate di esaminare la domanda, per poter rifiutare una domanda di visto perché manca l’intenzione del ricorrente di ritornare, devono aver maturato un ragionevole dubbio circa la reale intenzione del richiedente di far ritorno dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi necessari per garantire una valutazione oggettiva, tra i quali rientrano sia gli elementi legati alla situazione specifica del paese d’origine sia gli elementi relativi alla situazione individuale del richiedente e ai documenti giustificativi da lui prodotti.

2)      Il regolamento n. 810/2009 non può essere interpretato come idoneo a fondare in capo ai richiedenti un diritto soggettivo al rilascio di un visto Schengen. Il suddetto regolamento impone tuttavia agli Stati membri di decidere delle domande di visto Schengen al termine di una valutazione complessiva della situazione, tenendo debitamente conto, oltre che delle condizioni necessarie affinché il visto spieghi i suoi effetti nei confronti di tutti gli Stati membri dell’area Schengen, del contesto personale e umano della situazione individuale alla base di ciascuna domanda, e al termine di una procedura pienamente rispettosa dei diritti fondamentali, primo fra tutti la dignità umana, condotta in conformità dei principi di proporzionalità e di non discriminazione.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – V. relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul funzionamento della cooperazione locale Schengen nei primi due anni di applicazione del codice dei visti [COM(2012) 648 def.].


3 –      GU L 243, pag. 1.


4 –      GU L 81, pag. 1.


5 –      GU L 105, pag. 1.


6 –             BGBl. I del 25 febbraio 2008, pag. 162.


7 – A norma dell’articolo 8, paragrafo 2, dell’accordo tra l’Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera, riguardante l’associazione di quest’ultima all’attuazione, all’applicazione e allo sviluppo dell’acquis di Schengen (GU 2008, L 53, pag. 52).


8 – Per praticità e per coerenza con il codice dei visti, nelle presenti conclusioni si farà riferimento a tali autorità consolari come comprendenti le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati membri.


9 – V. considerando 28 e articolo 1, paragrafo 1, del codice dei visti.


10 –      V. articolo 14, paragrafo 1, lettera d), del codice dei visti.


11 – Allegato II, punto B, del codice dei visti. Si può trattare in particolare della produzione di un biglietto d’aereo di ritorno o di prove attinenti alla proprietà di beni o all’integrazione nel paese di residenza.


12 –      Il corsivo è mio.


13 – Mentre la proposta di regolamento della Commissione si accontentava di un semplice riferimento al «dubbio» (v. articolo 18, paragrafo 7, della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un Codice comunitario dei visti [COM(2006) 403 def.]), nel testo definitivo si è preferito far riferimento a un dubbio qualificato, vale a dire al ragionevole dubbio.


14 – Proposta di regolamento succitata (punto 3.3).


15 – Decisione della Commissione del 19 marzo 2010 che istituisce il manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati [C(2010) 1620 def.], come modificata dalla decisione della Commissione del 4 agosto 2011 [C(2011) 5501 def.].


16 –      V. articolo 51 del codice dei visti.


17 – Summenzionato manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati (punto 7.12).


18 –      Idem.


19 –      Idem.


20 –      V. paragrafi 24 e segg. delle presenti conclusioni.


21 –      V. articolo 24 del codice dei visti. Si osserverà in particolare che la norma in parola è formulata nel senso che «un visto può essere rilasciato per uno, due o molteplici ingressi» (il corsivo è mio).


22 –      V. articolo 25 del codice dei visti.


23 –      V. articolo 26 del codice dei visti.


24 – V. articoli da 27 a 29 del codice dei visti.


25 –      Il corsivo è mio.


26 – V. in particolare considerando 18 e 22 del codice dei visti. V. anche sentenza del 10 aprile 2012, Vo (C‑83/12 PPU, punto 36).


27 –      Considerando 18.


28 –      Idem.


29 – Questo principio è stato riconosciuto anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (v., in particolare, Corte eur. D.U., sentenza N/Finlandia del 30 novembre 2005, ricorso n. 38885/02, § 158 e giurisprudenza ivi citata).


30 –      Sentenza del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento (294/83, Racc. pag. 1339, punto 23).


31 – In una tale ipotesi, v. articolo 1, paragrafo 2, lettera a), del codice dei visti.


32 –      Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (GU 2010, C 115, pag. 1).


33 –      V. punto 5.2 di detto programma.


34 –      Idem. Il corsivo è mio.


35 –      Articolo 2 del regolamento n. 539/2001.


36 – V., in particolare, articolo 5, paragrafo 1, lettera b), e articolo 7, paragrafo 3, lettera a), punto i), del codice frontiere Schengen.


37 – V. considerando 4 e 5, articolo 1, paragrafo 2, e articolo 3 del codice dei visti.


38 – Articolo 2, punto 2, del codice dei visti.


39 – V. considerando 5 del regolamento n. 539/2001 nonché considerando 3, 5 e 6 del codice dei visti. Benché l’obiettivo di facilitare i viaggi legittimi sia anch’esso ricordato al considerando 3 del codice dei visti, si deve riconoscere che l’obiettivo di contrastare l’immigrazione clandestina è ben più pregnante, sia nell’acquis di Schengen, sia nel suddetto codice [v., in particolare, punto V dell’istruzione consolare comune diretta alle rappresentanze diplomatiche e consolari di prima categoria (GU 2005, C 326, pag. 1)].


40 – Considerando 14 e 18 del codice dei visti.


41–      Sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna (C‑503/03, Racc. pag. I‑1097, punto 37). Quanto all’obbligo di rifiuto del visto, v. anche il Catalogo delle raccomandazioni per la corretta applicazione dell’acquis di Schengen e migliori pratiche aggiornato: parte sul rilascio dei visti, dal gruppo di redazione incaricato dell’aggiornamento del catalogo Schengen in relazione al rilascio dei visti (doc. 12099/09 del 10 luglio 2009, pag. 10).


42 –      V. articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti.


43 – Occorre qui osservare che né la Commissione nella sua summenzionata proposta di regolamento né il Parlamento europeo nella sua relazione su detta proposta di regolamento (relazione Lax del 18 aprile 2008, A6-0161/2008) si sono detti preoccupati della mancata precisazione del carattere giurisdizionale o meno del ricorso.


44 –      V. articolo 58, paragrafo 5, del codice dei visti.


45 – Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, «Fundamental rights: challenges and achievements in 2011. Annual report 2011», pagg. da 89 a 91.


46 – Ad eccezione dei visti rilasciati in base all’articolo 25 del codice dei visti.


47 – Articolo 16 del codice dei visti.


48 – Allegato I del codice dei visti.


49 –      Articoli 18 e segg. del codice dei visti.


50 – Articolo 23 del codice dei visti.


51 –      Articolo 32, paragrafo 2, del codice dei visti. L’allegato VI di tale codice propone un modulo uniforme per la notificazione e la motivazione del rifiuto, dell’annullamento o della revoca di un visto. A norma del suddetto codice, tuttavia, la motivazione è piuttosto succinta poiché si tratta soltanto di indicare uno degli undici motivi di rifiuto, di annullamento o di revoca previsti.


52 –      Articolo 32, paragrafo 3, del codice dei visti.


53 – V. altresì esposizione dei motivi della succitata proposta di regolamento.


54 – V. considerando 29 del codice dei visti.


55 –      Articolo 39, paragrafo 1, del codice dei visti.


56 –      Articolo 39, paragrafo 2, del codice dei visti.


57 –      Articolo 39, paragrafo 3, del codice dei visti.