Language of document : ECLI:EU:C:2015:527

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 3 settembre 2015 (1)

Causa C‑333/14

The Scotch Whisky Association e altri

contro

The Lord Advocate

The Advocate General for Scotland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Session (Scozia, Regno Unito)]

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle merci – Restrizioni quantitative – Misure di effetto equivalente – Normativa nazionale che impone un prezzo minimo per la vendita al dettaglio di bevande alcoliche – Giustificazione – Tutela della salute – Proporzionalità»





1.        Al fine di ridurre il consumo di alcool, il parlamento scozzese ha adottato, il 24 maggio 2012, l’Alcohol (Minimum Pricing) (Scotland) Act 2012 (2), che vieta la vendita di alcool ad un prezzo inferiore a un importo minimo calcolato in funzione del contenuto alcolico. A seguito dell’adozione di detta legge, i ministri scozzesi (Scottish Ministers) hanno emanato l’Alcohol (Minimum Price per Unit) (Scotland) Order 2013 (3), che fissa il prezzo minimo per unità di alcool (4) («minimum price per unit») (5) in 0,50 sterline (GBP).

2.        Nell’ambito di una controversia che vede opposte tre associazioni di produttori di bevande alcoliche, ossia la The Scotch Whisky Association, la Confédération européenne des producteurs de spiritueux e il Comité européen des entreprises vins (CEEV) (6), al Lord Advocate e all’Advocate General for Scotland, la Court of session ha adito la Corte, sottoponendole una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a chiarire se la fissazione di un prezzo minimo sia compatibile, da un lato, con il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (7), e, dall’altro, con gli articoli 34 TFUE e 36 TFUE.

3.        Nelle presenti conclusioni, esaminerò anzitutto la compatibilità delle disposizioni controverse con il regolamento «unico OCM». A tal proposito, sosterrò che detto regolamento dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissi un prezzo minimo per la vendita di vini al dettaglio in funzione del contenuto di alcool presente nel prodotto venduto, a condizione che la normativa medesima sia giustificata dagli obiettivi di tutela della salute umana, in particolare da quello della lotta all’abuso di alcool, senza eccedere quanto necessario per conseguire tale obiettivo.

4.        Procederò poi, in un secondo momento, ad analizzare la normativa controversa alla luce degli articoli 34 TFUE e 36 TFUE.

5.        Dopo aver accertato che la normativa in esame costituisce un ostacolo ai sensi dell’articolo 34 TFUE, essendo tale da privare determinati produttori o importatori di bevande alcoliche del vantaggio in termini di concorrenza che può derivare da prezzi di costo inferiori, osserverò che, per valutare se una misura soddisfi il principio di proporzionalità, compete al giudice nazionale:

–        verificare se gli elementi di prova che lo Stato membro è tenuto a sottoporgli consentano di stabilire ragionevolmente che i mezzi scelti sono adeguati a conseguire l’obiettivo perseguito e che, nell’operare tale scelta, lo Stato membro non abbia ecceduto i limiti della propria discrezionalità, e

–        valutare in qual misura il provvedimento in parola incida sulla libera circolazione delle merci rispetto alle misure alternative che permetterebbero di conseguire il medesimo obiettivo e nell’ambito del bilanciamento di tutti gli interessi in gioco.

6.        Sosterrò, inoltre, che il giudice nazionale, laddove venga adito, come nella specie del procedimento principale, con ricorso volto ad ottenere il sindacato di legittimità su una normativa nazionale non ancora entrata in vigore che si trovi, in parte, allo stato di semplice proposta, è tenuto ad esaminare, al fine di valutare la proporzionalità della normativa de qua rispetto all’obiettivo perseguito, non soltanto gli elementi di cui disponevano le autorità nazionali e da queste esaminati all’atto dell’elaborazione della normativa medesima, bensì parimenti il complesso dei fatti esistenti al momento in cui il giudice stesso si pronunci. Preciserò che non esistono limiti particolari al potere del giudice nazionale di esaminare tali elementi oltre a quelli che derivano dall’applicazione del principio del contraddittorio e, fermi restando i principi di equivalenza e di effettività, dalle disposizioni processuali nazionali che disciplinano la produzione delle prove in giudizio.

7.        Osserverò, da ultimo, che uno Stato membro, al fine di perseguire l’obiettivo della lotta all’abuso di alcool, che si colloca in quello della protezione della salute pubblica, può optare per l’adozione di una normativa che imponga un prezzo minimo di vendita al dettaglio per le bevande alcoliche, restrittiva degli scambi all’interno dell’Unione europea e distorsiva della concorrenza, piuttosto che per un inasprimento della tassazione sui prodotti in parola, solo ove dimostri che la misura adottata presenti vantaggi ulteriori o svantaggi minori rispetto alla misura alternativa. Aggiungerò che il fatto che la misura alternativa dell’inasprimento della tassazione possa comportare benefici aggiuntivi contribuendo all’obiettivo generale della lotta all’abuso di alcool non giustifica l’esclusione di tale misura a favore del MPU.

I –    Contesto normativo

A –    Diritto dell’Unione

1.      Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

8.        A norma dell’articolo 39, paragrafo 1, lettere c) ed e), TFUE, la politica agricola comune (PAC) è volta a stabilizzare i mercati e assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori.

9.        L’articolo 40 TFUE stabilisce che, per raggiungere gli obiettivi previsti dall’articolo 39 TFUE, è creata un’organizzazione comune dei mercati agricoli (8) che può comprendere in particolare «regolamentazioni dei prezzi».

10.      L’articolo 43, paragrafo 3, TFUE dispone che il Consiglio dell’Unione europea, su proposta della Commissione, adotta in particolare «le misure relative alla fissazione dei prezzi».

2.      L’OCM

11.      Il regolamento «unico OCM» istituisce un’OCM che copre, in particolare, i vini.

12.      L’articolo 167 del regolamento in parola, recante il titolo «Regole di commercializzazione destinate a migliorare e stabilizzare il funzionamento del mercato comune dei vini», prevede, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«Per migliorare e stabilizzare il funzionamento del mercato comune dei vini, comprese le uve, i mosti e i vini da cui sono ottenuti, gli Stati membri produttori possono stabilire regole di commercializzazione intese a regolare l’offerta, in particolare tramite decisioni adottate dalle organizzazioni interprofessionali riconosciute a norma degli articoli 157 e 158.

Tali regole sono proporzionate all’obiettivo perseguito e:

a)      non riguardano le operazioni che hanno luogo dopo la prima commercializzazione del prodotto;

b)      non permettono la fissazione di prezzi, nemmeno orientativi o raccomandati;

(...)».

B –    Diritto del Regno Unito

13.      A norma dell’articolo 1, paragrafo 2, della legge del 2012, l’alcool non può essere venduto a un prezzo inferiore a quello minimo calcolato secondo la formula «MPU x S x V x 100» (9).

14.      La legge del 2012 rimette all’esecutivo il compito di fissare l’MPU e la data della sua entrata in vigore.

15.      I ministri scozzesi hanno predisposto la proposta di decreto 2013, da sottoporre all’approvazione del Parlamento scozzese, che fissa l’importo dell’MPU in GBP 0,50.

II – Procedimento principale e domanda di pronuncia pregiudiziale

16.      A seguito dell’adozione della legge del 2012, la The Scotch Whisky Association e a. hanno proposto ricorso volto ad ottenere il controllo di legittimità («judicial review») su detta legge e sulla proposta di decreto del 2013.

17.      A seguito del rigetto del ricorso in primo grado da parte della Court of session, Outer House, la The Scotch Whisky Association e a. hanno proposto appello.

18.      Con decisione del 3 luglio 2015, la Court of Session, Extra Division, Inner House, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, sulla base di un’adeguata interpretazione del diritto dell’Unione relativo all’organizzazione comune del mercato del vino, in particolare del regolamento n. 1308/2013, sia legittimo che uno Stato membro promulghi una misura nazionale che prescrive un prezzo minimo di vendita al dettaglio per il vino in funzione della quantità di alcool contenuta nel prodotto venduto e che, pertanto, si discosti dal principio della libera formazione del prezzo secondo le forze di mercato che altrimenti fonderebbe il mercato del vino.

2)      Nel contesto di una giustificazione richiesta ai sensi dell’articolo 36 TFUE, qualora:

–        uno Stato membro abbia ritenuto che sia opportuno, nell’interesse della tutela della salute umana, aumentare il costo del consumo di un prodotto – nella fattispecie bevande alcoliche – per i consumatori, o per una parte di questi ultimi, e

–        rispetto a tale prodotto lo Stato membro sia libero di imporre accise o altre imposte (comprese imposte o diritti basati sulla gradazione alcolica, sul volume, sul valore, o un insieme di tali misure fiscali),

se, e a quali condizioni, a uno Stato membro sia consentito evitare tali misure fiscali che implicano l’aumento del prezzo per i consumatori in favore di misure normative di fissazione di un prezzo minimo di vendita al dettaglio che crea distorsioni al commercio e alla concorrenza all’interno dell’Unione.

3)      Qualora un giudice di uno Stato membro sia chiamato a decidere se una misura normativa che costituisce una restrizione quantitativa al commercio incompatibile con l’articolo 34 TFUE possa, tuttavia, essere giustificata ai sensi dell’articolo 36 TFUE, sulla base della tutela della salute umana, se tale giudice nazionale debba limitarsi a esaminare solo le informazioni, gli elementi di prova o altri documenti a disposizione del legislatore e da esso considerati al momento in cui la normativa è stata promulgata. In caso di risposta negativa, quali altre limitazioni possano applicarsi alla capacità del giudice nazionale di valutare tutti i documenti o gli elementi di prova disponibili e offerti dalle parti al momento della sua decisione.

4)      Qualora a un giudice di uno Stato membro sia richiesto, nella sua interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione, di valutare un’asserzione delle autorità nazionali relativa al fatto che una misura, la quale altrimenti costituirebbe una restrizione quantitativa ai sensi dell’articolo 34 TFUE, sia giustificata in quanto deroga, nell’interesse della tutela della salute umana, ai sensi dell’articolo 36 TFUE, in che termini il giudice debba, o possa, elaborare – sulla base degli elementi a sua disposizione – un’opinione oggettiva sull’efficacia della misura nel raggiungere lo scopo dichiarato, sulla disponibilità di misure alternative, almeno di pari efficacia, che hanno un effetto meno perturbativo per la concorrenza interna all’Unione e sulla generale proporzionalità della misura.

5)      Se, nel considerare (nell’ambito di una controversia relativa alla questione se una misura sia giustificata sulla base della tutela della salute umana ai sensi dell’articolo 36 TFUE) l’esistenza di una misura alternativa, che non abbia un effetto perturbativo per il commercio e la concorrenza interna all’Unione, o almeno non di pari entità, sia un motivo legittimo per escludere tale misura alternativa il fatto che gli effetti di quest’ultima possano non essere precisamente equivalenti a quelli della misura contestata ai sensi dell’articolo 34 TFUE, ma possano comportare benefici aggiuntivi e soddisfare uno scopo più ampio e più generale.

6)      Ai fini della valutazione di una misura nazionale, di cui si sia riconosciuto o accertato il carattere di restrizione quantitativa ai sensi dell’articolo 34 TFUE e in relazione alla quale viene invocata una giustificazione ai sensi dell’articolo 36 TFUE, e in particolare al fine di valutarne la proporzionalità, in che termini un giudice incaricato di tale compito possa prendere in considerazione la propria valutazione della natura e della portata della violazione determinata da tale misura in quanto restrizione quantitativa contraria all’articolo 34 TFUE».

III – Analisi

A –    Sulla competenza della Corte

19.      La presente domanda di pronuncia pregiudiziale presenta la peculiarità di essere stata proposta nell’ambito di un procedimento principale diretto a ottenere il sindacato di legittimità su una legge nazionale non ancora entrata in vigore e su un decreto di applicazione che si trova allo stato di semplice proposta.

20.      Tale particolarità non consente di mettere in discussione la ricevibilità della domanda pregiudiziale che risponde a un’esigenza oggettiva, e non ipotetica, ai fini della definizione della controversia sottoposta al giudice del rinvio.

21.      A questo proposito, occorre ricordare che la Corte ha già avuto modo di riconoscere la ricevibilità di questioni pregiudiziali sollevate nell’ambito di azioni preventive avviate a fini dichiarativi e che, pronunciandosi sulla ricevibilità di domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sulla validità di atti di diritto derivato formulate nell’ambito del ricorso per esame di legittimità previsto dalla normativa del Regno Unito, essa ha ammesso la possibilità per i singoli di far valere dinanzi ai giudici nazionali l’invalidità di un atto dell’Unione avente portata generale ancorché tale atto non abbia già effettivamente costituito l’oggetto di misure di applicazione adottate a norma del diritto nazionale. Secondo la Corte, è sufficiente al tal fine che al giudice nazionale sia sottoposta una controversia effettiva in cui si pone, incidentalmente, la questione della validità di un simile atto (10).

22.      Nella specie, dall’ordinanza di rinvio emerge che la The Scotch Whisky Association e a. hanno proposto dinanzi alla Court of session un ricorso vertente sul controllo di legittimità volto a contestare la compatibilità con il diritto dell’Unione, da un lato, di una misura adottata dal legislatore scozzese la cui effettiva entrata in vigore è subordinata all’adozione di un decreto attuativo da parte del governo, e, dall’altro, della proposta del decreto medesimo.

23.      Ai fini della definizione della controversia di cui al procedimento principale, che non ha carattere meramente ipotetico, il giudice del rinvio deve quindi risolvere una questione di interpretazione del diritto dell’Unione al fine di verificare se la normativa nazionale prevista sia o meno con esso compatibile.

24.      Ne consegue che la Corte è competente a pronunciarsi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of session.

B –    Sulle questioni pregiudiziali

1.      Sulla compatibilità dell’MPU con il regolamento «unico OCM»

25.      Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se le disposizioni del regolamento «unico OCM» debbano essere interpretate nel senso che ostino ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissi un prezzo minimo di vendita al dettaglio per il vino in funzione del contenuto di alcool presente nel prodotto venduto.

26.      A fondamento di tale questione, la Court of session afferma che, prima facie, una misura nazionale che introduca un prezzo minimo per la vendita al dettaglio non è compatibile con il regolamento «unico OCM», quando, come nel caso dell’OCM attuale nel settore vitivinicolo, il mercato è organizzato sulla base della libera determinazione dei prezzi. Essa manifesta, tuttavia, dubbi al riguardo e si chiede, in particolare, quale incidenza abbia l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha inserito la PAC nel settore della competenza concorrente fra l’Unione e i suoi Stati membri.

27.      Osservo, anzitutto, che il fatto che la PAC rientri ormai, in base all’articolo 4, paragrafo 2, lettera d), TFUE, nella competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri non incide, a mio avviso, necessariamente sulla risposta che occorre dare alla questione sollevata. Benché tale evoluzione non sia priva di conseguenze (11), la competenza conferita agli Stati membri può essere esercitata, come precisa l’articolo 2, paragrafo 2, TFUE, solo «nella misura in cui» l’Unione non abbia esercitato o abbia deciso di cessare di esercitare la propria (12). Una competenza che sia, per sua natura, concorrente può quindi trasformarsi, in forza del suo esercizio, in una competenza esclusiva quando l’Unione adotta misure nel settore considerato e priva in tal modo gli Stati membri della loro potestà normativa in ragione della prelazione collegata all’«occupazione di terreno» da parte delle misure assunte a livello di Unione.

28.      Resta da stabilire se l’Unione abbia esercitato la sua competenza e abbia pertanto privato gli Stati membri della loro potestà normativa.

29.      Nel settore della PAC, la Corte ha ritenuto, in termini generali, che le disposizioni che disciplinavano negli anni ‘80 l’OCM del settore vitivinicolo costituissero «una disciplina esauriente», «segnatamente in materia di prezzi e di intervento, di scambi con i paesi terzi, di produzione, e per quanto concerne talune pratiche enologiche, nonché la designazione dei vini e l’etichettatura» (13). Essa ne ha dedotto che gli Stati membri non erano più competenti in materia, salvo specifiche disposizioni specifiche in senso contrario (14).

30.      Inoltre, per quanto attiene più in particolare alle regole in materia di controllo dei prezzi da parte delle OCM, la Corte, muovendo dal presupposto che esse sono basate sul principio del mercato aperto, al quale qualsiasi produttore ha liberamente accesso in condizioni di concorrenza effettive e il cui funzionamento è disciplinato unicamente dagli strumenti contemplati dalle OCM, ha in più occasioni stabilito che, nei settori disciplinati da un’OCM e a maggior ragione allorché questa organizzazione è basata su un regime comune di prezzi, gli Stati membri non possono più intervenire mediante disposizioni nazionali nel meccanismo di formazione dei prezzi quale risulta dall’OCM (15). In base a questa stessa giurisprudenza, le disposizioni di un regolamento agricolo comunitario recanti un regime di prezzi che si applichi nelle fasi della produzione e del commercio all’ingrosso lasciano intatto il potere degli Stati membri di adottare gli opportuni provvedimenti in fatto di formazione dei prezzi nelle fasi del commercio al minuto e del consumo, fatte salve le disposizioni dei trattati (16).

31.      Tuttavia, le OCM si sono profondamente evolute nel corso degli ultimi 20 anni. Inizialmente fondata su una logica consistente nel garantire le entrate degli agricoltori interessati mediante un sistema di prezzi e interventi (17), l’OCM del settore vitivinicolo è stata oggetto di ripetute modifiche che, come sottolinea la Commissione, hanno progressivamente portato all’abbandono delle classiche misure di intervento a favore di una liberalizzazione del mercato vitivinicolo mediante la fissazione del prezzo risultante dal libero incontro tra offerta e domanda.

32.      Così, per quanto attiene alle caratteristiche attuali dell’OCM nel settore vitivinicolo, divenuta una semplice componente dell’OCM unica, occorre osservare che essa non si basa più su un regime comune dei prezzi il cui funzionamento può essere modificato dall’intervento delle misure adottate unilateralmente dagli Stati membri.

33.      Se è pur vero che il regolamento «unico OCM» contiene, all’articolo 167, paragrafo 1, lettera b), una disposizione in materia di fissazione dei prezzi, a norma della quale gli Stati membri non possono consentire la fissazione di prezzi, nemmeno orientativi o raccomandati, occorre però rilevare che, come affermato correttamente dal Lord Advocate, dal governo del Regno Unito, dall’Irlanda e dalla Commissione, la disposizione in parola ‑ che riproduce pedissequamente l’articolo 67, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 479/2008 (18) ‑ ha una rilevanza limitata, poiché essa mira unicamente a precisare la portata dell’autorizzazione concessa agli Stati membri dall’articolo 167, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento «unico OCM» per stabilire regole di commercializzazione intese a regolare l’offerta. In linea con l’obiettivo della libera concorrenza, la suddetta autorizzazione non potrà essere letta come intesa ad autorizzare l’adozione di normative nazionali aventi a oggetto, in particolare, di permettere o favorire l’attuazione di decisioni con le quali le organizzazioni interprofessionali intendono fissare il prezzo del vino. Tale interpretazione trova conferma anche nel considerando 44 del regolamento n. 479/2008, secondo cui, benché per migliorare il funzionamento del mercato dei vini gli Stati membri dovrebbero poter applicare le decisioni adottate dalle organizzazioni interprofessionali, la portata di queste decisioni dovrebbe escludere le pratiche in grado di creare distorsioni della concorrenza.

34.      Giungo quindi alla conclusione che il regolamento «unico OCM» non contempla più un regime di fissazione dei prezzi la cui esistenza osterebbe a una normativa volta a imporre ‑ in diretto con contrasto con esso ‑ un prezzo minimo di vendita al dettaglio per le bevande alcoliche, tra cui il vino.

35.      Esclusa l’ipotesi di un contrasto diretto tra la normativa controversa nel procedimento principale e il regolamento «unico OCM», si tratta di stabilire se la normativa in esame violi il principio sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, laddove metterebbe a rischio gli obiettivi o il funzionamento dell’OCM nel settore vitivinicolo. Da costante giurisprudenza risulta, infatti, che in presenza di un regolamento recante organizzazione comune dei mercati in un determinato settore, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi dall’adottare qualsiasi misura che possa derogarvi o costituirne una violazione (19).

36.      La Commissione afferma che le misure adottate dagli Stati membri in materia di vendita al dettaglio, ad esempio un sistema di prezzi minimi, potrebbero compromettere l’OCM vitivinicolo sotto due distinti profili, vale a dire, sia impedendo agli operatori di beneficiare pienamente dei vantaggi competitivi incoraggiati da un’OCM meno invasiva, sia influenzando l’«insieme finemente articolato dei programmi di sostegno all’agricoltura» (20) che dipendono, in parte, da fattori collegati alla domanda di prodotti del settore vitivinicolo da parte del consumatore finale, la quale sarebbe influenzata direttamente dai prezzi di vendita al dettaglio. Secondo la Commissione, se il sistema dell’MPU venisse convalidato e poi adottato in più Stati membri, il presupposto normativo su cui si fonda l’attuale regolamento «unico OCM», basato su una struttura equilibrata di offerta e domanda e sulla libera fissazione dei prezzi governata dal mercato, sarebbe inoperante.

37.      A questo proposito, occorre sottolineare che, pur ricordando che dall’articolo 39 TFUE deriva il riconoscimento sia della preminenza della politica agricola rispetto agli obiettivi del Trattato nel settore della concorrenza sia del potere del Consiglio di decidere in qual misura le regole della concorrenza trovano applicazione nel settore agricolo, la Corte ha affermato in più occasioni che le OCM «non costituiscono spazi privi di concorrenza» (21) e che «il mantenimento di un’effettiva concorrenza sui mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi della PAC» (22). Così, in mancanza di un meccanismo di fissazione dei prezzi, la libera determinazione del prezzo di vendita costituisce l’espressione, nei settori oggetto di un’OCM, del principio di libera circolazione delle merci in condizioni di concorrenza effettiva.

38.      Orbene, è incontestabile che la fissazione di un prezzo minimo di vendita al dettaglio per un prodotto in uno o più Stati membri è idonea a ledere il vantaggio competitivo che può risultare da costi di produzione inferiori e può condurre così a distorsioni della concorrenza tra i produttori di Stati membri diversi. A tal riguardo, si deve osservare che la Corte ha ripetutamente riconosciuto e preso in considerazione l’effetto anticoncorrenziale prodotto da una normativa che fissa un prezzo minimo (23).

39.      Contrariamente a quanto sostenuto dall’Irlanda, il giudice del rinvio ha correttamente ritenuto, a mio avviso, che una misura nazionale lesiva del principio della libera determinazione dei prezzi governata dall’offerta e dalla domanda sia, in linea di principio, incompatibile con il regolamento «unico OCM» che, non prevedendo più un meccanismo di fissazione dei prezzi, si basa sul mantenimento di una concorrenza effettiva tra i produttori di uno stesso prodotto.

40.      Tuttavia, la Corte ha in più occasioni sottolineato che l’instaurazione di un’OCM non impedisce agli Stati membri di applicare norme nazionali che perseguano uno scopo d’interesse generale diverso da quelli perseguiti dall’OCM, nemmeno se tali norme possono avere un’incidenza sul funzionamento del mercato comune nel settore interessato (24). Il perseguimento di una finalità legittima come quella relativa alla protezione della salute pubblica può quindi giustificare l’azione delle autorità nazionali, anche se è stata istituita un’OCM.

41.      Orbene, se, da un lato, la Corte ha ripetutamente affermato che il perseguimento delle finalità della PAC non può prescindere da esigenze di interesse generale, come la tutela della salute e della vita degli animali (25), e che la protezione della salute «contribuisce al conseguimento degli obiettivi della [PAC]» (26), oggetto dell’articolo 39, paragrafo 1, TFUE, segnatamente quando la produzione agricola è condizionata in modo diretto dal suo smaltimento da parte dei consumatori sempre più attenti alla loro salute (27) e, dall’altro, il regolamento «unico OCM» contiene numerose disposizioni che tengono conto delle esigenze di tutela della salute umana o animale (28), resta il fatto che il regolamento de quo non mira, segnatamente, a realizzare a livello dell’Unione l’obiettivo della protezione della salute, in generale, e quello della lotta contro il consumo pericoloso o eccessivo di bevande alcoliche, in particolare.

42.      Così, benché costituisca un obiettivo reale della PAC, la protezione della salute presenta comunque carattere accessorio con la conseguenza che il suddetto obiettivo può essere invocato dagli Stati membri per giustificare una normativa nazionale idonea a incidere sul funzionamento dell’OCM nel settore considerato.

43.      Tanto più che l’articolo 168, paragrafo 5, TFUE esclude l’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri dirette a proteggere e a migliorare la salute umana e che non è possibile ricorrere ad altre disposizioni del diritto primario come fondamento giuridico per aggirare detta espressa esclusione (29).

44.      Alla luce delle considerazioni che precedono, ritengo che l’esistenza di un’OCM che copre il settore vitivinicolo non osti all’azione delle autorità nazionali nel quadro dell’esercizio delle loro competenze in vista dell’adozione di misure dirette a proteggere la salute e, in particolare, a contrastare l’abuso di alcool. Tuttavia, quando la misura nazionale lede il principio della libera determinazione di un prezzo di vendita che costituisce una componente del regolamento «unico OCM», il principio di proporzionalità richiede che essa risponda effettivamente all’obiettivo della protezione della salute umana e che non oltrepassi quanto necessario per conseguirlo.

45.      Come suggerisce la Commissione, ritengo che l’esame della proporzionalità della misura debba essere compiuto in seno all’analisi cui occorre procedere nel quadro dell’articolo 36 TFUE.

46.      Di conseguenza, propongo di rispondere alla prima questione dichiarando che il regolamento «unico OCM» dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissi un prezzo minimo di vendita al dettaglio per i vini, a condizione che tale disciplina sia giustificata dagli obiettivi di protezione della salute umana, in particolare da quello della lotta all’abuso di alcool, e che non ecceda quanto necessario per raggiungere l’obiettivo stesso.

2.      Sulla compatibilità dell’MPU con l’articolo 34 TFUE

a)      Osservazioni preliminari

47.      Si deve osservare che il giudice del rinvio muove dal presupposto che la misura controversa debba essere qualificata come «misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione» vietata dall’articolo 34 TFUE. Il fatto che le parti del procedimento principale concordino su detta qualificazione non può esimere la Corte dal verificare la correttezza della premessa di cui trattasi, dal momento che – se erronea – verrebbe meno l’esigenza di valutare l’esistenza di una giustificazione a norma dell’articolo 36 TFUE.

48.      Al fine di rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, occorre quindi stabilire se l’MPU costituisca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione.

b)      Sull’esistenza di una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione

49.      La problematica sollevata dall’esame della normativa controversa alla luce dell’articolo 34 TFUE impone di porre a raffronto l’evoluzione della giurisprudenza generale in materia di misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’importazione con la giurisprudenza specifica sulle discipline dei prezzi.

50.      Non intendo soffermarmi a lungo sulla ben nota evoluzione della giurisprudenza in materia di interpretazione di detta nozione.

51.      Mi limiterò a ricordare, schematicamente, che nella sentenza Dassonville (30), la Corte ha definito la misura di effetto equivalente alle restrizioni qualitative all’importazione ai sensi dell’articolo 34 TFUE, come «ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari» (31).

52.      Successivamente, nella sentenza Keck e Mithouard (32), la Corte ha dichiarato che l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita non può integrare un tale ostacolo, sempreché le disposizioni in parola valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgono la propria attività sul territorio nazionale e sempreché incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri (33).

53.      La Corte ha poi precisato, nella sentenza Commissione/Italia (34), che devono essere considerate come misure d’effetto equivalente alle restrizioni qualitative all’importazione le misure di uno Stato membro che abbiano per oggetto o per effetto di penalizzare i prodotti provenienti da altri Stati membri oltre alle disposizioni che stabiliscono quali requisiti essi debbano possedere, anche quando tali disposizioni siano indistintamente applicabili a tutti i prodotti. Sempre in base alla menzionata sentenza, nella medesima nozione rientra «ogni altra misura che ostacoli l’accesso al mercato di uno Stato membro di prodotti originari di altri Stati membri» (35).

54.      La seconda elaborazione giurisprudenziale alla luce della quale occorre valutare la natura della normativa controversa è quella relativa all’interpretazione delle disposizioni in materia di fissazione dei prezzi, in particolare di quelle che impongono un prezzo minimo. Secondo tale giurisprudenza, che emerge dalla sentenza van Tiggele (36), le disposizioni nazionali che impongono un prezzo minimo integrano una misura di effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’importazione, vietata dall’articolo 34 TFUE, nella misura in cui, pur applicandosi indistintamente alle merci di produzione nazionale e ai prodotti importati, può ostacolare lo smercio di questi ultimi in quanto impedisce che il loro prezzo di costo inferiore si ripercuota sul prezzo di vendita al consumatore (37).

55.      Il raffronto di queste due giurisprudenze solleva due serie di questioni vertenti, l’una, sull’oggetto delle misure di regolamentazione dei prezzi e, l’altra, sui criteri dell’ostacolo. Da una parte, una normativa come quella controversa nel procedimento principale dev’essere qualificata come semplice «modalità di vendita» ai sensi della sentenza Keck e Mithouard (38)? Dall’altra, il criterio relativo all’esistenza di un ostacolo alla realizzazione dell’eventuale vantaggio competitivo risultante da prezzi di costo inferiori dei prodotti importati rispetto ai prodotti nazionali corrisponde a quello della discriminazione o dell’accesso al mercato?

56.      A questo riguardo, la maggior parte degli interessati che hanno presentato osservazioni sostiene, richiamandosi principalmente alla sentenza van Tiggele (39), l’interpretazione secondo cui la normativa controversa nel procedimento principale dovrebbe essere qualificata come ostacolo agli scambi tra gli Stati membri, vietato dall’articolo 34 TFUE. Tuttavia, l’Irlanda ha sostenuto, nelle sue osservazioni scritte, che la normativa in parola costituisce semplicemente una «modalità di vendita», ai sensi della sentenza Keck e Mithouard (40), cosicché essa non rientrerebbe nell’articolo 34 TFUE. Il governo finlandese ritiene, a sua volta, che vi siano dubbi a tal proposito. La Commissione, dal canto suo, afferma che la giurisprudenza relativa alla sentenza van Tiggele (41) è ancora valida posto che i prezzi minimi creano una discriminazione a danno delle importazioni impedendo o ostacolando il loro accesso al mercato.

57.      Non reputo necessario esaminare la misura oggetto del procedimento principale alla luce della distinzione compiuta tra le due categorie di normative, ossia quelle che fissano le condizioni cui i prodotti devono rispondere e quelle che limitano o vietano determinate modalità di vendita.

58.      Sappiamo, infatti, che nella nozione di misura di effetto equivalente rientrano tutte le misure che ostacolano l’accesso dei prodotti provenienti da altri Stati membri al mercato di uno Stato membro. Secondo la formula ormai usuale in giurisprudenza, l’articolo 34 TFUE riflette l’obbligo di rispettare i principi di non discriminazione e di mutuo riconoscimento dei prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri e di assicurare, altresì, ai prodotti dell’Unione libero accesso ai mercati nazionali (42). Da tale formulazione di principio deduco che una misura nazionale può integrare un ostacolo non soltanto quando, trattandosi di una modalità di vendita, sia discriminatoria, in diritto o di fatto, ma anche quando, quale ne sia la natura, ostacoli l’accesso al mercato dello Stato membro interessato. Ne consegue che, ove si accerti l’esistenza di un ostacolo all’accesso al mercato, non è necessario effettuare un confronto tra la situazione dei prodotti nazionali e quella dei prodotti importati al fine di stabilire l’esistenza di una differenza di trattamento tra i due.

59.      A mio avviso, l’annullamento del vantaggio concorrenziale di un’importazione, che costituisce il criterio distintivo delle normative in materia di prezzi, caratterizza di per sé l’ostacolo all’accesso al mercato. Infatti, il divieto di vendita al dettaglio al di sotto di un prezzo minimo priva gli operatori degli altri Stati membri della possibilità di commercializzare i loro prodotti a un prezzo di vendita che riflette il prezzo di costo eventualmente più contenuto e ne ostacola così l’accesso al mercato interessato.

60.      La normativa controversa nel procedimento principale, la cui applicazione indistinta a tutti gli operatori interessati presenti sul territorio nazionale è pacifica, deve quindi essere considerata quale misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione contraria all’articolo 34 TFUE potendo costituire un ostacolo all’accesso al mercato per il solo fatto che essa impedisce che il prezzo di costo inferiore dei prodotti importati possa ripercuotersi sul prezzo di vendita al consumatore.

61.      Affronto pertanto solo ad abundantiam l’esame della natura della misura oggetto del procedimento principale alla luce della distinzione operata nella sentenza Keck e Mithouard (43).

62.      Nella sentenza Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft (44), la Corte ha affermato che, nella misura in cui una normativa nazionale sul prezzo dei libri che vieta in particolare all’importatore di libri di fissare un prezzo inferiore al prezzo di vendita al pubblico fissato o consigliato dall’editore nello Stato di pubblicazione, «non riguarda le caratteristiche di tali prodotti, ma esclusivamente le modalità secondo cui questi ultimi possono essere venduti», si deve ritenere che quest’ultima riguardi modalità di vendita ai sensi della citata sentenza Keck e Mithouard (45) (46).

63.      Ritengo che lo stesso ragionamento valga per la normativa oggetto del procedimento principale. A fondamento della tesi citata occorre osservare che la stessa sentenza Keck e Mithouard (47) verteva su un divieto di vendita sottocosto, mentre la sentenza Belgapom (48), nel solco di tale giurisprudenza, ha qualificato come «modalità di vendita» una normativa che vietava la vendita idonea a procurare soltanto un margine di profitto estremamente ridotto. Orbene, una normativa nazionale che vieta la vendita di un prodotto a un prezzo inferiore a quello calcolato in funzione del contenuto di alcool mi sembra avere lo stesso effetto limitativo della libertà di fissazione dei prezzi, imponendo al venditore un margine di profitto minimo. Sulla scorta delle normative succitate o della normativa nazionale controversa nella causa che ha portato alla sentenza Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft (49), tale normativa può dunque essere classificata nella categoria delle modalità di vendita.

64.      Tuttavia, la qualificazione come «modalità di vendita» non esclude per ciò stesso che la misura controversa nel procedimento principale possa integrare un ostacolo ai sensi dell’articolo 34 TFUE. Se è pacifico che essa si applica a tutti gli operatori considerati, resta da dimostrare, secondo la terminologia impiegata nella sentenza Keck e Mithouard (50), che essa incide «in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri» (51). In presenza di una discriminazione, la disposizione non sfugge all’applicazione dell’articolo 34 TFUE.

65.      Si pone quindi la questione se il criterio fissato dalla sentenza van Tiggele (52), attinente all’annullamento del vantaggio concorrenziale risultante da un’importazione, che caratterizza di certo l’ostacolo all’accesso al mercato, possa fondare anche l’esistenza di una discriminazione. La portata di tale criterio ha sollevato, a livello di dottrina, dubbi che attestano le difficoltà nell’inquadrarlo sotto il profilo della discriminazione (53). Pur considerando che sia più coerente e logico ritenere che l’obiettivo del criterio in parola sia quello di individuare direttamente un ostacolo all’accesso al mercato, a prescindere da ogni considerazione relativa a un trattamento penalizzante dei prodotti importati rispetto a quelli nazionali, ritengo tuttavia che esso permetta anche di dimostrare l’esistenza di una discriminazione. La formulazione della sentenza van Tiggele (54) può, infatti, essere interpretata dal punto di vista della discriminazione, posto che la Corte ha ivi dichiarato che «un ostacolo all’importazione potrebbe risultare, in particolare, dal fatto che un’autorità nazionale fissi prezzi o margini di utile a un livello tale da svantaggiare i prodotti importati rispetto ai prodotti nazionali corrispondenti (…) perché il vantaggio concorrenziale risultante da costi di produzione inferiori ne risulta neutralizzato» (55). Il ragionamento sembra quindi fondato su un confronto tra due prodotti identici, uno nazionale e l’altro importato, che beneficia di un vantaggio concorrenziale neutralizzato dalla misura considerata.

66.      Orbene, l’ordinanza di rinvio contiene gli elementi di un’analisi comparativa che mette in evidenza, in ogni caso, il carattere discriminatorio della normativa controversa. Dagli accertamenti compiuti dalla Court of session si evince, infatti, che, in base alle statistiche sulla percentuale di bevande alcoliche vendute al di fuori dei locali di ristorazione rapida a un prezzo inferiore all’MPU, viene venduta al di sotto di tale prezzo una percentuale maggiore di vini importati dagli Stati membri rispetto a vini del Regno Unito. Inoltre, pur dando atto di non disporre di statistiche sulle altre bevande alcoliche, il giudice del rinvio riconosce tuttavia che è del tutto pacifico che grandi quantitativi di birre e bevande spiritose provenienti da Stati membri diversi dal Regno Unito sono venduti a prezzi unitari inferiori a GBP 0,50.

67.      Privando gli operatori degli altri Stati membri che commercializzano prodotti importati venduti sino ad oggi a un prezzo inferiore all’MPU della possibilità di vendere i prodotti de quibus ad un prezzo che riflette il loro costo di produzione eventualmente più contenuto, il divieto di vendita al dettaglio al di sotto di un prezzo minimo penalizza i prodotti suddetti rispetto a quelli nazionali identici.

68.      La normativa controversa nel procedimento principale, la cui applicazione indistinta a tutti gli operatori interessati presenti sul territorio nazionale è pacifica, deve quindi essere considerata come una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione.

69.      In definitiva, quale che sia la prospettiva da cui è analizzata, la normativa controversa nel procedimento principale risulta contraria all’articolo 34 TFUE.

70.      Occorre ora verificare se tale ostacolo risulti oggettivamente giustificato.

c)      Sulla giustificazione dell’ostacolo alla libera circolazione delle merci

71.      Un ostacolo alla libera circolazione delle merci può essere giustificato dalle ragioni di interesse generale enumerate nell’articolo 36 TFUE o da esigenze imperative. Nell’uno o nell’altro caso, le restrizioni imposte dagli Stati membri devono, tuttavia, soddisfare le condizioni tratte dalla giurisprudenza della Corte in materia di proporzionalità.

72.      A tal proposito, affinché una normativa nazionale sia conforme al principio di proporzionalità occorre verificare non soltanto se i mezzi che essa mette in opera siano adeguati a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, ma anche se essi oltrepassino quanto necessario per raggiungerlo (56).

73.      Benché i termini impiegati in genere dalla Corte sembrino il più delle volte portare a distinguere solo due fasi separate del controllo di proporzionalità, l’iter logico seguito per stabilire se la misura nazionale sia proporzionata è di norma suddiviso in tre passaggi successivi.

74.      Il primo passaggio, che corrisponde alla verifica dell’idoneità o dell’adeguatezza, consiste nel verificare se l’atto sia adatto a raggiungere l’obiettivo perseguito.

75.      Il secondo passaggio, relativo alla verifica della necessità, talvolta denominato anche «test dell’ostacolo minimo», comporta il compimento di un paragone tra la misura nazionale controversa e le soluzioni alternative che permetterebbero di raggiungere il medesimo obiettivo da essa perseguito arrecando restrizioni minori agli scambi.

76.      Il terzo passaggio, che corrisponde alla verifica della proporzionalità in senso stretto, impone un bilanciamento degli interessi presenti. Più precisamente, esso consiste nel confrontare, da una parte, la portata della lesione che la misura nazionale arreca alla libertà considerata e, dall’altra, il contributo che essa può offrire alla protezione dell’obiettivo perseguito.

77.      Prima di sottoporre la normativa controversa nel procedimento principale a tale triplice verifica, rispondendo così alla seconda e alla quinta delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, si rendono necessarie alcune precisazioni preliminari sulle modalità di esercizio del controllo di proporzionalità al fine di rispondere alla terza, quarta e sesta questione.

i)      Sulle modalità di esercizio del controllo di proporzionalità

78.      La quarta e quinta questione, che riguardano in termini generali la funzione del giudice nazionale nell’esercizio del controllo di proporzionalità, sono esaminate prima della terza questione, che verte, in modo più specifico, sugli elementi di prova su cui esso può fondarsi.

–       Sulla quarta questione

79.      Con la quarta questione pregiudiziale, la Court of session chiede in che misura il giudice nazionale, chiamato a valutare se una normativa nazionale sia giustificata da un obiettivo previsto all’articolo 36 TFUE, debba farsi un’opinione oggettiva sull’idoneità della misura a realizzare gli obiettivi menzionati, sulla possibilità di conseguirli con misure diverse e meno vincolanti e, in termini generali, sulla proporzionalità della misura.

80.      A fondamento della questione in esame, il giudice del rinvio osserva che le parti del procedimento principale, pur non contestando che uno Stato membro dispone di un certo margine di discrezionalità nello stabilire il livello di protezione della salute che esso intende raggiungere, assumono posizioni divergenti laddove si tratta di stabilire se il giudice nazionale possa procedere a una valutazione in proprio o se debba invece riconoscere al potere legislativo o esecutivo interessato ampi poteri nello stabilire, da un lato, se sia possibile adottare una misura almeno altrettanto efficace ma meno invasiva e, dall’altro, se la misura considerata soddisfi in termini generali il criterio di proporzionalità. Esso aggiunge che i giudici d’appello del Regno Unito sono pervenuti a interpretazioni divergenti della giurisprudenza della Corte, taluni applicando un criterio relativo all’assenza di carattere manifestamente inappropriato della decisione delle autorità nazionali, altri limitandosi a stabilire se, in termini oggettivi, esistano elementi idonei a giustificare la misura rispetto all’obiettivo perseguito.

81.      Nell’ambito della ripartizione delle competenze tra la Corte, chiamata a pronunciarsi su una domanda di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, e i giudici nazionali, la valutazione finale della proporzionalità è rimessa al giudice del rinvio, il solo competente a valutare i fatti della causa dinanzi ad esso pendente e a interpretare la normativa nazionale applicabile. Compete, quindi, al giudice medesimo, in definitiva, stabilire se la misura nazionale oggetto del procedimento principale sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e se essa ecceda quanto necessario per raggiungerlo. Spetta, tuttavia, alla Corte fornire al giudice del rinvio indicazioni volte a guidarlo nella sua interpretazione, in particolare, per quanto attiene ai criteri che esso deve prendere in considerazione nell’effettuare la propria valutazione.

82.      Tre ragioni mi sembrano giustificare una certa moderatezza nell’assoggettare la proporzionalità della misura al controllo giurisdizionale .

83.      In primo luogo, occorre ricordare che compete agli Stati membri decidere il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui detto livello deve essere raggiunto. Poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità a tal riguardo (57). Tale margine di discrezionalità si traduce necessariamente in un certo allentamento del controllo che esprime la preoccupazione del giudice nazionale di non sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali.

84.      In secondo luogo, è necessario tener conto della complessità delle valutazioni da compiere e del margine di incertezza che esiste quanto agli effetti di misure come quelle oggetto del procedimento principale.

85.      In terzo luogo, il Lord Advocate ha indicato, nelle sue osservazioni scritte, che la legge del 2012 richiede ai ministri scozzesi di valutare l’effetto della fissazione di un MPU e di presentare una relazione entro cinque anni dall’entrata in vigore della normativa controversa nel procedimento principale, la quale cesserà di trovare applicazione, in ogni caso, dopo sei anni salvo che il parlamento scozzese non decida di mantenerla. Mi sembra che il carattere in un certo qual modo sperimentale, o a termine, della regolamentazione in parola costituisca un elemento che il giudice nazionale deve prendere in considerazione dal momento che esso sembra ammettere, preventivamente, che la disciplina in parola sarà soggetta a revisione ove risulti che le ragioni che ne hanno giustificato l’adozione sono mutate.

86.      Tuttavia, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri non può permettere loro di svuotare di significato il principio della libera circolazione delle merci. Posto che l’articolo 36 TFUE costituisce un’eccezione al suddetto principio, spetta alle autorità nazionali, anche se dispongono di un margine di discrezionalità, dimostrare che la misura soddisfa il principio di proporzionalità. Benché il suddetto margine di discrezionalità possa essere più o meno ampio a seconda degli interessi legittimi considerati, con l’effetto che è difficile effettuare generalizzazioni quanto all’intensità del controllo che il giudice nazionale è chiamato a effettuare, non ci si può, a mio parere, accontentare della semplice dimostrazione del carattere manifestamente sproporzionato della misura, il che sfocerebbe, in definitiva, in un’inversione dell’onere della prova.

87.      Inoltre, a prescindere dalla portata del margine di discrezionalità in parola, resta il fatto che le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere corredate da prove adeguate o da un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura restrittiva adottata da tale Stato, nonché da elementi circostanziati che consentano di suffragare la sua argomentazione (58).

88.      Suggerisco, quindi, di rispondere alla quarta questione nel senso che, per valutare se una misura soddisfi il principio di proporzionalità, spetta al giudice nazionale verificare se gli elementi di prova che lo Stato membro è chiamato a produrre consentano ragionevolmente di stabilire che i mezzi adottati siano adatti alla realizzazione dell’obiettivo perseguito e che, compiendo tale scelta, lo Stato membro non abbia oltrepassato il proprio margine di discrezionalità.

–       Sulla sesta questione

89.      Con la sesta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se, nel valutare la proporzionalità di una misura nazionale, occorra tener conto in qual misura essa vada a ledere la libera circolazione delle merci.

90.      Il giudice del rinvio giustifica la questione sulla base della posizione del Lord Advocate, secondo cui, laddove sia riconosciuto che una misura costituisca una restrizione agli scambi, ogni valutazione sulla natura e sugli effetti della distorsione della concorrenza resterebbe esclusa dall’esame di proporzionalità.

91.      Pur restando estranea alla verifica dell’adeguatezza, che richiede di stabilire se la misura, a prescindere dal suo effetto restrittivo, sia idonea a contribuire effettivamente alla realizzazione dell’obiettivo perseguito, la portata della lesione della libera circolazione delle merci da parte del provvedimento nazionale dev’essere presa in considerazione nei due passaggi successivi del controllo di proporzionalità.

92.      La ponderazione richiesta dal principio di proporzionalità impone di valutare il carattere più o meno restrittivo della misura di cui trattasi in sede di confronto con le potenziali misure alternative. Si tratta, quindi, di verificare se non esista un’altra misura, meno lesiva della libera circolazione delle merci, idonea a conseguire il medesimo risultato.

93.      Anche la portata dell’ostacolo arrecato deve però essere presa in considerazione nell’ambito dell’esame della proporzionalità stricto sensu della misura nazionale, che impone un bilanciamento dei suoi vantaggi e svantaggi valutando, in particolare, se la portata della restrizione agli scambi in seno all’Unione risulti proporzionata all’importanza degli obiettivi perseguiti e dei benefici attesi.

94.      Occorre quindi rispondere alla sesta questione nel senso che, nel porre a raffronto la misura nazionale con i provvedimenti alternativi che consentirebbero di conseguire il medesimo obiettivo e nel bilanciare il complesso degli interessi presenti, occorre tener conto della portata della restrizione arrecata dalla misura medesima alla libera circolazione delle merci.

–       Sulla terza questione

95.      Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se la proporzionalità di una misura nazionale debba essere valutata sulla base esclusivamente degli elementi di fatto di cui disponevano le autorità dello Stato membro interessato alla data della sua adozione e se esistano altre restrizioni al potere del giudice nazionale.

96.      Il giudice del rinvio osserva che le parti del procedimento principale non concordano quanto all’individuazione del momento rispetto al quale dev’essere valutata la misura controversa e, quindi, gli elementi di prova che il giudice nazionale può esaminare nell’ambito del controllo di proporzionalità. Il giudice medesimo osserva che tale questione ssume un’importanza decisiva nel caso di specie, poiché dispone di nuovi studi che il legislatore nazionale non ha potuto esaminare e, con riferimento ad alcuni di essi, neppure il giudice di primo grado.

97.      Diversamente da quanto affermato dal Lord Advocate, a detta del quale il giudice nazionale deve valutare la legittimità della misura all’atto della sua adozione senza, quindi, prendere in considerazione elementi che non sono stati esaminati dal legislatore nazionale, ritengo, in linea con The Scotch Whisky Association e a., l’Irlanda, il governo norvegese, la Commissione e l’Associazione europea di libero scambio (in prosieguo: l’«AELS»), che il giudice nazionale, in un caso come quello oggetto del procedimento principale, debba tener conto di tutti gli elementi di cui egli è in possesso all’atto della pronuncia, che si tratti di dati disponibili al momento dell’adozione della misura che non erano stati portati a conoscenza del potere legislativo o esecutivo nazionali o non erano stati da essi utilizzati, o di dati successivi a tale data.

98.      Un argomento a favore della tesi sostenuta dal Lord Advocate può trarsi, per analogia, dalla giurisprudenza costante in base alla quale, nell’ambito di un ricorso per annullamento, la legittimità di un atto dell’Unione deve, in linea di principio, essere valutata in funzione degli elementi di fatto e di diritto sussistenti alla data della sua adozione (59). In base a tale giurisprudenza, la legittimità «non può dipendere da valutazioni retrospettive riguardanti i suoi risultati» (60) e, nei casi in cui il legislatore dell’Unione debba valutare, nell’emanare una normativa, i suoi effetti futuri e questi non possano essere previsti con certezza, la sua valutazione può essere censurata solo qualora appaia manifestamente erronea alla luce degli elementi di cui disponeva al momento dell’adozione della normativa stessa (61).

99.      Tuttavia, due argomenti convergenti mi inducono a propendere per la soluzione opposta.

100. Il primo argomento trae origine dai principi del primato e dell’effettività del diritto dell’Unione.

101. Come osservato dalla Corte nella sentenza Seymour‑Smith e Perez (62), le prescrizioni del diritto dell’Unione vanno rispettate «in qualsiasi momento rilevante, sia esso quello dell’adozione di un provvedimento, della sua attuazione o della sua applicazione al caso concreto» (63).

102. Dalla giurisprudenza richiamata si evince che il controllo di legittimità delle misure adottate dalle autorità nazionali in ragione degli interessi generali elencati nell’articolo 36 TFUE deve rivestire un carattere non statico, ma dinamico quando implica, come nel caso di cui al procedimento principale, la presa in considerazione di dati che possono mutare nel tempo in funzione di molti parametri sociali, quali le abitudini di consumo di alcool, le disponibilità degli acquirenti o lo stato delle conoscenze scientifiche sul fenomeno studiato.

103. La Corte ha peraltro dichiarato che uno Stato membro, quando adotta una normativa nazionale che si inserisce nell’ambito di una politica di protezione della salute umana ed animale, è tenuto a modificare tale normativa ove accerti che i motivi che hanno portato alla sua adozione sono stati modificati, ad esempio, in seguito all’ampliamento dei dati disponibili dovuti alla ricerca scientifica (64).

104. Tale giurisprudenza si riflette nella giurisprudenza relativa all’applicazione del principio di precauzione da parte delle istituzioni dell’Unione. Pur ammettendo che, qualora sussistano incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni, in applicazione del principio di precauzione e di azione preventiva, possono adottare misure di tutela senza dovere attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi, la Corte ha stabilito, di contro, che, ove vi siano nuovi elementi che modificano la percezione di un rischio o mostrano che tale rischio può essere circoscritto da misure meno severe di quelle esistenti, spetta alle istituzioni, in particolare alla Commissione, che dispone del potere di iniziativa, vigilare sull’adeguamento della normativa ai nuovi dati (65).

105. È pur vero che l’obbligo imposto agli Stati membri di adattare o aggiornare la normativa in funzione dell’evoluzione dei dati scientifici non significa necessariamente che una disposizione divenuta inadeguata debba essere dichiarata illegittima e quindi annullata con effetto retroattivo.

106. Tuttavia, va osservato, e si tratta del secondo argomento, che il ricorso per il controllo di legittimità che The Scotch Whisky Association e a. hanno proposto presenta, come ho già osservato, la particolarità di essere diretto contro una legge che non è ancora entrata in vigore e di un decreto che si trova allo stato di semplice proposta.

107. In tali circostanze particolari, è logico ritenere come momento rilevante ai fini della valutazione della conformità al diritto dell’Unione quello in cui il giudice del rinvio si pronuncia. Fare riferimento alla data di adozione del regolamento non avrebbe molto senso, posto che il decreto, che tuttavia fa parte integrante della normativa di cui è contestata la conformità al diritto dell’Unione, non è stato ancora adottato. Non è neppure possibile fare riferimento alla data di applicazione della normativa in parola nel caso di specie, dal momento che essa non è ancora in vigore.

108. Ne concludo che il giudice nazionale deve esaminare tutti gli elementi rilevanti disponibili nel momento in cui si pronuncia. Non esistono peraltro limiti particolari al potere del giudice nazionale di esaminare tali elementi oltre a quelli che derivano dall’applicazione del principio del contraddittorio e, fermi restando i principi di equivalenza e di effettività, dalle diposizioni processuali nazionali che disciplinano la produzione delle prove in giudizio.

109. Propongo quindi di rispondere alla terza questione nel senso che il giudice nazionale, dinanzi al quale sia proposta, come nel caso della controversia principale, azione volta ad accertare la legittimità di una normativa nazionale non ancora entrata in vigore e, in parte, allo stato di semplice proposta, deve esaminare, al fine di poter valutare la proporzionalità della normativa medesima rispetto all’obiettivo perseguito, non soltanto gli elementi di cui le autorità nazionali disponevano e da queste considerate nella sua elaborazione, bensì parimenti il complesso degli elementi di fatto sussistenti al momento della pronuncia della decisione. Non esistono limiti particolari al potere del giudice nazionale di esaminare tali elementi oltre a quelli che derivano dall’applicazione del principio del contraddittorio e, fermi restando i principi di equivalenza e di effettività, dalle diposizioni processuali nazionali che disciplinano la deduzione delle prove in giudizio.

110. Veniamo ora all’effettivo svolgimento del controllo di proporzionalità.

ii)    Sullo svolgimento del controllo di proporzionalità

111. La seconda e la quinta questione sollevate dal giudice del rinvio devono essere esaminate insieme in quanto tra loro connesse.

112. Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede essenzialmente se e, in caso affermativo, a quali condizioni uno Stato membro possa, al fine di perseguire l’obiettivo della lotta all’abuso di alcool che s’inserisce in quello della protezione della salute pubblica, scegliere di adottare una normativa che impone un prezzo minimo di vendita al dettaglio per le bevande alcoliche, idonea a restringere gli scambi all’interno dell’Unione europea e a distorcere la concorrenza, in luogo di un inasprimento della tassazione sui prodotti in parola.

113. Con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se una misura alternativa che permette di conseguire il medesimo obiettivo della normativa controversa nel procedimento principale con minori effetti perturbativi della libera circolazione delle merci possa essere esclusa in ragione del fatto che essa può comportare benefici aggiuntivi e soddisfare uno scopo più ampio e più generale.

114. Osservo che le questioni succitate vertono esclusivamente sulla seconda verifica di proporzionalità, consistente nel valutare se la misura nazionale possa essere sostituita da una misura alternativa altrettanto utile, ma meno lesiva della libera circolazione delle merci. Dalla decisione di rinvio emerge tuttavia che il giudice nazionale si interroga, più precisamente, sull’esatto obiettivo della disciplina di cui trattasi e sulla sua adeguatezza a conseguire l’obiettivo voluto. Al fine di dare una risposta utile, mi sembra necessario fornire qualche precisazione sulle questioni suddette.

–       Sull’individuazione dell’obiettivo della normativa controversa nel procedimento principale

115. È necessario individuare l’obiettivo perseguito dalla misura controversa nel procedimento principale al fine di stabilire se essa sia proporzionata a tale obiettivo.

116. Il giudice del rinvio osserva che le misure controverse sono state descritte nelle note esplicative che accompagnano la proposta di legge presentata al parlamento scozzese come dirette ad applicare strategie e interventi sia rivolti all’intera popolazione che diretti a gruppi specifici, quali ‑ in particolare ‑ i bevitori dediti a un consumo «nocivo», ossia un consumo superiore a 50 unità di alcool alla settimana, per gli uomini, e a 35 unità per le donne. Esso aggiunge tuttavia che uno studio più recente presentato al parlamento scozzese, dal titolo «Business and Regulatory Impact Assessment» (Studio di impatto della disciplina sulle imprese), indica tra gli obiettivi delle misure in parola la lotta contro il consumo «pericoloso» definito come il consumo superiore, alla settimana, a 21 unità di alcool per un uomo e a 14 per una donna. Lo studio in parola conclude affermando che la fissazione di un prezzo minimo permette di ottenere una riduzione del consumo delle bevande alcoliche più economiche rispetto alla loro gradazione, fermo restando che i soggetti dediti a consumo pericolo o nocivo sono maggiormente toccati rispetto ai bevitori moderati, in termini di quantità consumate, importi spesi e riduzione del danno di cui beneficiano. La Court of session osserva però che, in sede di notifica alla Commissione a norma della direttiva 98/34/CE (66), le misure sono state presentate come dirette soltanto ai bevitori dediti, rispettivamente, a un consumo nocivo e a un consumo pericoloso.

117. L’ambiguità che deriva da tale evoluzione nella presentazione degli obiettivi della misura da parte delle autorità nazionali non è superata neppure dalle osservazioni scritte del Lord Advocate poiché questi, pur ricordando che l’introduzione di una misura volta a fissare un MPU è diretta a perseguire il duplice obiettivo, da una parte, di toccare la parte della popolazione la cui salute è maggiormente esposta a rischi e, dall’altra, di incidere positivamente sulla salute di tutta la popolazione, riconosce che la giustificazione di una tale misura si fonda soltanto sul primo dei suddetti obiettivi.

118. Tale persistente ambiguità suscita l’ingannevole impressione che l’obiettivo della riduzione del consumo di alcool, in termini generali, venga volontariamente trascurato al fine di consentire che la misura controversa superi più agevolmente la verifica della sua necessità in sede di raffronto con una misura fiscale che implichi un incremento generalizzato dei prezzi delle bevande alcoliche.

119. Ricordo che, in definitiva, è compito del giudice nazionale, l’unico competente a valutare i fatti della causa che è chiamato a dirimere e a interpretare la normativa nazionale, identificare l’obiettivo da essa perseguito (67).

120. Nel caso di specie, spetterà al giudice nazionale valutare se la misura persegua un doppio obiettivo, generale e circoscritto, o soltanto quest’ultimo, fermo restando peraltro che detti obiettivi, lungi dall’essere contraddittori, possono essere perfettamente complementari. Al fine di fornire al giudice del rinvio una risposta utile che gli permetta di definire la controversia principale, provvederò – nelle considerazioni che seguono ‑ ad esaminare le due suddette ipotesi.

–       Sull’idoneità della misura a conseguire l’obiettivo perseguito

121. Le restrizioni imposte dagli Stati membri devono anzitutto superare la verifica di adeguatezza, in quanto idonee a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito.

122. In tale contesto, da una consolidata giurisprudenza risulta che una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato solo se essa soddisfa effettivamente l’esigenza di conseguirlo «in modo coerente e sistematico» (68).

123. Dalla giurisprudenza della Corte risulta inoltre che è lo Stato membro intenzionato a far valere un obiettivo idoneo a legittimare l’ostacolo ad essere tenuto a fornire al giudice chiamato a pronunciarsi al riguardo tutti gli elementi atti a consentirgli di accertarsi che la misura soddisfi effettivamente le condizioni imposte dal principio di proporzionalità (69).

124. Il Lord Advocate afferma che l’MPU produrrebbe un effetto diretto soltanto sui prodotti venduti al dettaglio al di sotto di tale importo e che si tratterebbe di un impatto progressivo dal momento che i prodotti con il più basso costo per unità di alcool sarebbero soggetti ad aumenti maggiori.

125. Il governo polacco ritiene che non esistano elementi oggettivi e scientificamente provati idonei a confermare che le persone dedite a un consumo pericoloso o nocivo di alcool consumerebbero prevalentemente bevande alcoliche più economiche in relazione alla loro gradazione. Secondo detto governo, la normativa scozzese danneggerà soltanto le persone a basso reddito senza peraltro aver alcun impatto sul consumo da parte di coloro che dispongono di entrate consistenti, benché questi ultimi siano dediti ad un consumo pericoloso o nocivo di alcool ancor più di frequente rispetto a chi dispone di entrate limitate. Il governo medesimo ne deduce che l’obiettivo perseguito dalle autorità scozzesi non sarebbe efficacemente conseguito.

126. La Commissione ritiene che, alla luce dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri a tal proposito, l’MPU non costituisce una misura manifestamente irragionevole nel quadro di una compagnia diretta a ridurre il consumo di alcool, in generale, o quello dei soggetti dediti a un consumo pericoloso, o nocivo, in particolare.

127. Tenuto conto, da una parte, del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri non soltanto nella scelta di perseguire un obiettivo determinato in materia di politica sanitaria ma anche nella definizione delle misure idonee a raggiungerlo e, dall’altra, delle controversie a livello scientifico, evidenziate dal giudice del rinvio (70), sul grado di collegamento della domanda con il prezzo o l’imposizione fiscale e, quindi, delle incertezze quanto all’efficacia delle politiche pubbliche fondate sul controllo dei prezzi o su un inasprimento della tassazione sulle bevande alcoliche al fine di ridurne il consumo, non ritengo irragionevole che tali Stati possano considerare una misura come la fissazione di un MPU adeguata a raggiungere gli obiettivi precedentemente ricordati.

128. Di contro, mi sembra più discutibile il carattere coerente e sistematico della misura in esame.

129. A questo proposito, dall’ordinanza di rinvio si evince che, in base ai risultati di studi compiuti sui redditi e sul patrimonio delle persone dediti ad un consumo pericoloso o nocivo, risulta che tale tipologia di consumo, come il consumo di bevande alcoliche in generale, aumenta con l’aumentare del reddito e, in particolare, che, mentre nella parte di popolazione che appartiene al quintile di reddito più basso il 4,8% dei bevitori è classificato come dedito a consumo nocivo e il 10,9% a consumo pericoloso, tali cifre aumentano rispettivamente al 7,7% e al 25,7% per la parte di popolazione appartenente al quintile di reddito più elevato.

130. Inoltre, in base ai dati fondati sull’acquisto di bevande alcoliche in Inghilterra e in Galles a un prezzo inferiore a GBP 0,45, e non a GBP 0,50 come indicato alla fine nella normativa controversa, la quantità di bevande alcoliche meno costose acquistate settimanalmente diminuisce parallelamente all’aumento dei redditi dei consumatori che si dedicano a un consumo pericoloso o nocivo.

131. Il giudice del rinvio aggiunge che, in base ai risultati di detto medesimo studio, il consumo annuale di alcool potrebbe essere ridotto di 300 unità di alcool l’anno per la categoria di consumatori dediti a un consumo nocivo rientranti nel quintile del reddito più basso, mentre si ridurrebbe soltanto di 34 unità per i consumatori rientranti nel quintile corrispondente ai redditi più elevati. Tale riduzione sarebbe di 42 unità di alcool per la categoria di consumatori dediti a un consumo pericoloso appartenenti alla quintile corrispondente ai redditi più ridotti, mentre il consumo aumenterebbe ‑ curiosamente ‑ di 5 unità per i consumatori del quintile corrispondente ai redditi più elevati.

132. Così, in base ai dati analizzati dal giudice del rinvio, benché la fissazione di un prezzo minimo sembri poter ridurre il consumo di alcool da parte dei bevitori dediti a un consumo pericoloso o nocivo, l’effetto sarebbe tuttavia nettamente maggiore per il gruppo di bevitori a basso reddito rispetto ai bevitori che dispongono di entrate maggiori.

133. In risposta ai quesiti scritti posti dalla Corte, il Lord Advocate ha spiegato che uno studio integrativo compiuto sul consumo di bevande alcoliche in Scozia a un prezzo per unità di alcool inferiore a GBP 0,50 ha dimostrato che il consumo di bevande alcoliche acquistate a un prezzo per unità di alcool inferiore a tale importo sarebbe molto maggiore tra i bevitori dediti a un consumo pericoloso o nocivo che vivono in povertà rispetto a quanto accade tra i bevitori non indigenti dediti a tale tipologia di consumo (71).

134. Richiamandosi, peraltro, a numerosi studi realizzati a livello della Scozia, del Regno Unito e a livello internazionale, il Lord Advocate ha sostenuto che esistono prove secondo cui i bevitori giovani, i bevitori occasionali e i bevitori dediti a un consumo nocivo tendono a scegliere le bevande meno costose. Esso ha parallelamente sottolineato che, nel Regno Unito, l’alcool è divenuto ad oggi molto più accessibile rispetto al 1980 e che il consumo di birra, di vino e di bevande spiritose è aumentato dal 1994 del 45% al di fuori dei locali di ristorazione rapida, mentre nel settore della ristorazione rapida le vendite sono diminuite quasi del 40%. A suo avviso, la spiegazione andrebbe ravvisata nel fatto che i grandi bevitori che ricercano la quantità maggiore di tali bevande economiche rispetto alla loro gradazione, hanno modificato il proprio comportamento al fine di poter consumare il più possibile con il denaro a loro disposizione. La fissazione di un MPU presenterebbe quindi il vantaggio di impedire ai grandi bevitori di cercare alternative meno onerose per mantenere i loro livelli attuali di consumo.

135. Sono, alla fine, persuaso dalle spiegazioni dettagliate fornite dal Lord Advocate in risposta alla domanda posta dalla Corte e in occasione dell’udienza e ritengo che esso comprovi che la misura risponde all’obiettivo della lotta contro l’abuso di alcool in modo coerente e sistematico facendo valere, in particolare, che essa s’inserisce in una strategia più generale diretta ad affrontare i danni cagionati dall’alcool, in cui rientrano altre misure, quali il divieto di offerte promozionali specifiche, e che l’attenzione posta sulle bevande alcoliche economiche può essere giustificata in ragione del fatto che i bevitori dediti a un consumo pericoloso o dannoso, tra i quali rientrano in particolare i giovani, che è legittimo voler proteggere per primi, fanno largo uso di tali bevande.

–       Sulla necessità della misura

136. Si tratta di accertare se l’obiettivo della protezione della salute pubblica perseguito dalle autorità scozzesi possa essere raggiunto in modo meno invasivo e altrettanto efficace mediante una misura di carattere fiscale. In altre parole, un inasprimento della tassazione sulle bevande alcoliche permetterebbe di raggiungere il medesimo obiettivo di una disciplina che impone un prezzo minimo comportando una minore restrizione agli scambi? Al fine di rispondere alla totalità delle questioni sollevate dal giudice del rinvio, occorre peraltro stabilire, in caso affermativo, se tale alternativa meno restrittiva possa essere esclusa per il fatto che essa può comportare vantaggi ulteriori contribuendo alla realizzazione di un obiettivo più ampio e generale.

137. La tesi secondo cui l’aumento delle accise sulle bevande alcoliche costituirebbe una misura più adeguata, sostenuta da The Scotch Whisky Association e a. e dai governi bulgaro, polacco e portoghese, può apparentemente trovare conforto nella giurisprudenza della Corte in materia di prezzi di vendita al dettaglio dei prodotti di tabacco lavorato, posto che, in più sentenze, la Corte ha stabilito che l’obiettivo della protezione della salute pubblica poteva essere adeguatamente perseguito mediante un inasprimento della tassazione sui prodotti in parola nel rispetto del principio della libera determinazione dei prezzi.

138. Tuttavia, il Lord Advocate e l’AELS, sostenitori della tesi opposta, affermano che la giurisprudenza in materia di tabacco non potrebbe essere trasposta alle bevande alcoliche, dal momento che essa si baserebbe sulla presa in considerazione delle disposizioni specifiche contenute nella direttiva 95/59/CE (72) e in ragione del fatto che, mentre l’obiettivo della riduzione del consumo di tabacco avrebbe carattere universale e si rivolgerebbe alla totalità della popolazione, l’obiettivo della fissazione di un MPU sarebbe diverso, in quanto non si tratterebbe di ridurre il consumo globale, ma di conseguire l’obiettivo circoscritto della riduzione del consumo di alcool da parte dei bevitori dediti a un consumo pericoloso o nocivo.

139. Il governo finlandese e la Commissione ritengono che la scelta tra la fissazione di un prezzo minimo ed un inasprimento della tassazione rientri nella discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nel decidere il livello al quale intendono garantire la protezione della salute pubblica e le modalità con cui tale livello deve essere raggiunto.

140. Richiamando l’approccio adottato dalla Corte nella propria giurisprudenza in materia di prodotti del tabacco, il giudice del rinvio ritiene che l’obiettivo della protezione della salute perseguito dal regolamento oggetto del procedimento principale potrebbe essere raggiunto mediante l’adozione di una misura fiscale avente effetti meno restrittivi sugli scambi tra gli Stati membri e meno distorsivi della concorrenza e presenterebbe, per di più, il vantaggio di portare a un incremento generalizzato dei prezzi delle bevande alcoliche, il che potrebbe comportare una contrazione dei consumi e dei costi sociali ad essi collegati.

141. Lo Stato membro è tenuto a ricorrere alla misura che comporta gli ostacoli minori agli scambi in seno all’Unione solo quando può scegliere tra misure diverse idonee a conseguire il medesimo obiettivo.

142. Prima di esaminare se una misura fiscale risulti altrettanto idonea a realizzare l’obiettivo della protezione della salute perseguito dal regolamento controverso nel procedimento principale e se essa produca effetti meno restrittivi sulla libera circolazione delle merci, occorre verificare se il diritto dell’Unione consenta ad uno Stato membro di ricorrervi.

143. A tal proposito, è sufficiente osservare che le direttive 92/83/CEE (73) e 92/84/CEE (74) si limitano a imporre agli Stati membri l’applicazione di un’accisa minima. Essi conservano pertanto un margine di discrezionalità sufficiente per procedere a un aumento generalizzato delle accise al fine, in particolare, di conseguire obiettivi specifici di salute pubblica, a condizione che il sistema di tassazione da essi attuato a tal fine possa essere considerato compatibile con l’articolo 110 TFUE, il che presuppone che esso sia strutturato in modo tale da escludere, in ogni caso, che i prodotti importati siano tassati in modo maggiore rispetto a quelli nazionali e da non comportare alcun effetto discriminatorio.

144. Resta da stabilire se un inasprimento della tassazione sulle bevande alcoliche costituisca una misura meno restrittiva.

145. Per quanto attiene ai prodotti del tabacco, la Corte ha stabilito in più occasioni che la disciplina fiscale costituisce uno strumento importante ed efficace di lotta al consumo di tali prodotti e, pertanto, di tutela della sanità pubblica e che l’obiettivo di garantire che i prezzi di tali prodotti siano fissati a livelli elevati può essere adeguatamente perseguito mediante l’inasprimento della tassazione fiscale su tali prodotti, dal momento che gli aumenti dei diritti di accisa devono prima o poi tradursi in un aumento dei prezzi di vendita al dettaglio, senza con ciò compromettere la libertà di determinazione del prezzo (75).

146. Ci si chiede se la giurisprudenza richiamata supra possa essere trasposta alla disciplina controversa nel procedimento principale in materia di bevande alcoliche.

147. I due argomenti dedotti dal Lord Advocate e dall’AELS per opporsi a tale trasposizione, vertenti, da una parte, sulle disposizioni specifiche contenute nella direttiva 95/59 e, dall’altra, sul carattere mirato dell’obiettivo di riduzione del consumo di alcool perseguito dal regolamento controverso nel procedimento principale, diretto soltanto ai bevitori dediti al consumo pericoloso o dannoso, non convincono.

148. In primo luogo, occorre osservare che nella sua sentenza Commissione/Grecia (76), vertente su un ricorso per inadempimento, la Corte, dopo aver costatato che le misure nazionali violavano la direttiva 95/59, le ha comunque esaminate anche rispetto a un’eventuale giustificazione a norma dell’articolo 36 TFUE per concludere che l’obiettivo della protezione della salute pubblica poteva essere adeguatamente perseguito mediante un inasprimento della tassazione fiscale sui prodotti di tabacco lavorato che avrebbe rispettato il principio della libera determinazione dei prezzi. Così, anche in un settore non disciplinato da una disposizione di diritto derivato che preveda espressamente il principio della libera determinazione dei prezzi, un inasprimento della tassazione che implichi una minore restrizione degli scambi pur permettendo di raggiungere l’obiettivo perseguito, dev’essere preferito rispetto a una misura di fissazione di un prezzo minimo, la quale costituisce un ostacolo maggiore.

149. In secondo luogo, anche ammesso che l’obiettivo della normativa controversa nel procedimento principale sia realmente circoscritto alla lotta al consumo pericoloso e dannoso di bevande alcoliche, aspetto questo che compete al giudice del rinvio verificare, ritengo che gravi sugli autori della normativa de qua dimostrare che un inasprimento della tassazione non sia idoneo a raggiungerlo. Orbene, essi non forniscono elementi di prova attendibili idonei a dimostrare, come da loro sostenuto, che un inasprimento della tassazione avrebbe un impatto «sproporzionato» rispetto all’obiettivo perseguito. Si deve necessariamente rilevare che essi affermano anzitutto che una misura di tal genere andrebbe ad incidere «inutilmente» sui bevitori moderati che non raggiungono livelli di rischio. In linea con il giudice del rinvio, non vedo come un effetto collaterale siffatto di un aumento generalizzato della tassazione potrebbe essere percepito come negativo nell’ambito della lotta al consumo pericoloso o nocivo di alcool, quando gli studi sembrano per giunta dimostrare che il consumo pericoloso o dannoso aumenta con l’aumentare dei redditi dei consumatori mentre, parallelamente, la quantità di bevande alcoliche più economiche acquistate settimanalmente si riduce con l’aumento dei redditi dei consumatori dediti a un consumo pericoloso o nocivo.

150. Ove la normativa controversa nel procedimento principale persegua sia un obiettivo circoscritto al consumo pericoloso o nocivo di alcool, sia quello più generale del contrasto all’abuso di alcool, il fatto che la misura alternativa dell’inasprimento della tassazione possa procurare vantaggi ulteriori contribuendo alla realizzazione del suddetto obiettivo generale costituirebbe, esso stesso, un elemento determinante atto a giustificare la scelta di tale misura in luogo dell’MPU.

151. Benché, in definitiva, spetti al giudice nazionale individuare gli obiettivi esatti della misura considerata, esaminare i vantaggi e gli inconvenienti di un inasprimento della tassazione e ricercare se tale alternativa presenti un rapporto costi/benefici migliore rispetto alla fissazione di un prezzo minimo, ho la sensazione che sia difficile giustificare, sotto il profilo del principio di proporzionalità, la normativa controversa che mi sembra meno coerente ed efficace di un incremento dell’imposizione e che può essere percepita come discriminatoria.

152. Propongo quindi di rispondere alla seconda e alla quinta questione nel senso che uno Stato membro, al fine di perseguire l’obiettivo della lotta all’abuso di alcool, obiettivo che si colloca in quello della protezione della salute pubblica, può optare per l’adozione di una normativa che imponga un prezzo minimo di vendita al dettaglio per le bevande alcoliche, idonea a restringere gli scambi all’interno dell’Unione europea e a distorcere la concorrenza, in luogo di un inasprimento della tassazione sui prodotti medesimi solo ove dimostri che la misura adottata presenti vantaggi ulteriori o svantaggi minori rispetto alla misura alternativa. Il fatto che la misura alternativa dell’inasprimento della tassazione possa comportare benefici aggiuntivi contribuendo all’obiettivo generale della lotta all’abuso di alcool non giustifica l’esclusione di tale misura a favore dell’MPU.

IV – Conclusione

153. Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni sollevate della Court of session nei seguenti termini:

1)      Il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, dev’essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissi un prezzo minimo di vendita al dettaglio per i vini, a condizione che tale disciplina sia giustificata dagli obiettivi di protezione della salute umana, in particolare da quello della lotta all’abuso di alcool, e che non ecceda quanto necessario per raggiungere l’obiettivo stesso.

2)      Per valutare se una misura soddisfi il principio di proporzionalità, spetta al giudice nazionale:

–        verificare se gli elementi di prova che lo Stato membro è chiamato a produrre consentano ragionevolmente di stabilire che i mezzi adottati siano adatti alla realizzazione dell’obiettivo perseguito e che, compiendo tale scelta, lo Stato membro non abbi oltrepassato il proprio margine di discrezionalità, e

–        tener conto, nel porre a raffronto la misura nazionale con i provvedimenti alternativi che consentirebbero di conseguire il medesimo obiettivo e nel bilanciare il complesso degli interessi presenti, della portata della restrizione arrecata dalla misura medesima alla libera circolazione delle merci.

3)      Il giudice nazionale, dinanzi al quale sia proposta, come nel caso della controversia principale, azione volta ad accertare la legittimità di una normativa nazionale non ancora entrata in vigore e, in parte, allo stato di semplice proposta, deve esaminare, al fine di poter valutare la proporzionalità della normativa medesima rispetto all’obiettivo perseguito, non soltanto gli elementi di cui le autorità nazionali disponevano e da queste considerate nella sua elaborazione, bensì parimenti il complesso degli elementi di fatto sussistenti al momento della pronuncia della decisione. Non esistono limiti particolari al potere del giudice nazionale di esaminare tali elementi oltre a quelli che derivano dall’applicazione del principio del contraddittorio e, fermi restando i principi di equivalenza e di effettività, dalle diposizioni processuali nazionali che disciplinano la deduzione delle prove in giudizio.

4)      Gli articoli 34 TFUE e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro, al fine di perseguire l’obiettivo della lotta all’abuso di alcool, obiettivo che si colloca in quello della protezione della salute pubblica, opti per l’adozione di una normativa che imponga un prezzo minimo di vendita al dettaglio per le bevande alcoliche, idonea a restringere gli scambi all’interno dell’Unione europea e a distorcere la concorrenza, in luogo di un inasprimento della tassazione dei prodotti medesimi, salvo dimostrare che la misura adottata presenta vantaggi ulteriori o svantaggi minori rispetto alla misura alternativa. Il fatto che la misura alternativa dell’inasprimento della tassazione possa comportare benefici aggiuntivi, contribuendo all’obiettivo generale della lotta all’abuso di alcool, non giustifica l’esclusione di tale misura a favore di quella che impone un prezzo minimo.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – In prosieguo: la «legge del 2012».


3 – In prosieguo: la «proposta di decreto 2013».


4 – L’unità di alcool corrisponde a 10 millilitri di alcool puro.


5 – In prosieguo: l’«MPU».


6 – In prosieguo: «The Scotch Whisky Association e a.».


7 – GU L 347, pag. 671, in prosieguo: il «regolamento “unico OCM”».


8 – In prosieguo: l’«OCM».


9 – «S» indica la gradazione alcolica e «V» il volume di alcool espresso in litri.


10 – V., in tal senso, sentenze British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, EU:C:2002:741, punti 36 e 40); Intertanko e a. (C‑308/06, EU:C:2008:312, punti 33 e 34), e Gauweiler e a. (C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 29).


11 – V., su tali conseguenze, Politique agricole commune e politique commune de la pêche, Commentaire J. Mégret, 3a ed., Éd. de l’Université de Bruxelles, punto 68, pag. 59.


12 – V., in tal senso, sentenza Panellinios Syndesmos Viomichanion Metapoiisis Kapnou (C‑373/11, EU:C:2013:567, punto 26).


13 – V. sentenze Prantl (16/83, EU:C:1984:101, punti 13 e 14) e Ramel e a. (89/84, EU:C:1985:193, punto 25).


14 – Idem.


15 – V., in particolare, sentenze Antonini (216/86, EU:C:1987:322, punto 6); Commissione/Grecia (C‑110/89, EU:C:1991:227, punto 21); Commissione/Grecia (C‑61/90, EU:C:1992:162, punto 22 e giurisprudenza citata), e Kuipers (C‑283/03, EU:C:2005:314, punto 42 e giurisprudenza citata).


16 – V., in particolare, sentenze Antonini (216/86, EU:C:1987:322, punto 6) e Lefèvre (188/86, EU:C:1987:327, punto 11).


17 – V., in particolare, titolo I del regolamento (CEE) n. 816/70, del Consiglio, del 28 aprile 1970, relativo a disposizioni complementari in materia di organizzazione comune del mercato vitivinicolo (GU L 99, pag. 1).


18 – Regolamento del Consiglio del 29 aprile 2008 relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, che modifica i regolamenti (CE) n. 1493/1999, (CE) n. 1782/2003, (CE) n. 1290/2005 e (CE) n. 3/2008 e abroga i regolamenti (CEE) n. 2392/86 e (CE) n. 1493/1999 (GU L 148, pag. 1).


19 – V., in particolare, sentenze Industrias de Deshidratación Agrícola (C‑118/02, EU:C:2004:182, punto 20 e giurisprudenza citata) e Kuipers (C‑283/03, EU:C:2005:314, punto 37 e giurisprudenza citata) e ordinanza Babanov (C‑207/08, EU:C:2008:407, punto 24 e giurisprudenza citata).


20 – Punto 34 delle osservazioni della Commissione.


21 – V., in particolare, ordinanza SPM/Consiglio e Commissione (C‑39/09 P, EU:C:2010:157, punto 47 e giurisprudenza citata).


22 – V. sentenza Panellinios Syndesmos Viomichanion Metapoiisis Kapnou (C‑373/11, EU:C:2013:567, punto 37).


23 – V., con riferimento a un prezzo minimo di vendita delle bevande a base di ginepro, la sentenza van Tiggele (82/77, EU:C:1978:10); per quanto attiene ad un prezzo minimo di vendita al dettaglio dei prodotti di tabacco lavorato, sentenze Commissione/Belgio (C‑287/89, EU:C:1991:188); Commissione/Francia (C‑197/08, EU:C:2010:111); Commissione/Austria (C‑198/08, EU:C:2010:112); Commissione/Irlanda (C‑221/08, EU:C:2010:113), e Commissione/Italia (C‑571/08, EU:C:2010:367), per un prezzo minimo di vendita al dettaglio dei carburanti, sentenza Cullet e Chambre syndicale des réparateurs automobiles e détaillants de produits pétroliers (231/83, EU:C:1985:29), e, quanto al prezzo minimo di vendita del pane, sentenza Edah (80/85 e 159/85, EU:C:1986:426).


24 – V. sentenze Hammarsten (C‑462/01, EU:C:2003:33, punto 29 e giurisprudenza citata) e Kuipers (C‑283/03, EU:C:2005:314, punto 38 e giurisprudenza citata) e ordinanza Babanov (C‑207/08, EU:C:2008:407, punto 25).


25 – V. sentenza Viamex Agrar Handel e ZVK (C‑37/06 e C‑58/06, EU:C:2008:18, punto 23 e giurisprudenza citata).


26 – V. sentenza Commissione/Consiglio (C‑269/97, EU:C:2000:183, punto 49 e giurisprudenza citata).


27 – Idem.


28 – V., in particolare, articoli 23, paragrafo 3, 80, paragrafo 3, lettera b), e 220.


29 – V. ordinanza Commissione/Germania [C‑426/13 P(R), EU:C:2013:848, punto 75 e giurisprudenza citata].


30 – 8/74, EU:C:1974:82.


31 – Punto 5.


32 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


33 – Punto 16.


34 – C‑110/05, EU:C:2009:66.


35 – Punti 35 e 37.


36 – 82/77, EU:C:1978:10.


37 – Punto 18.


38 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


39 – 82/77, EU:C:1978:10.


40 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


41 – 82/77, EU:C:1978:10.


42 – V. sentenza ANETT (C‑456/10, EU:C:2012:241, punto 33 e giurisprudenza citata).


43 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


44 – C‑531/07, EU:C:2009:276.


45 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


46 – Punto 20 della sentenza Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft (C‑531/07, EU:C:2009:276).


47 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


48 – C‑63/94, EU:C:1995:270.


49 – C‑531/07, EU:C:2009:276.


50 – C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905.


51 – Punto 16.


52 – 82/77, EU:C:1978:10.


53 – V. F. Picod, «La nouvelle approche de la Cour de justice en matière d’entraves aux échanges», Revue trimestrielle de droit européen, 1998, pag. 169, a detta del quale la giurisprudenza derivata dalla sentenza van Tiggele (82/77, EU:C:1978:10) «non imponeva alcun obbligo di distinguere tra prodotti nazionali e prodotti importati, ma si applicava, in ragione dell’annullamento del vantaggio competitivo ottenuto mediante l’importazione, anche rispetto ad altre modalità di importazione». Detto autore aggiunge che «[s]arebbe inopportuno che la Corte applicasse le condizioni fissate nella sua sentenza Mithouard [(C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905)] alla tipologia di regolamenti in parola, salvo vanificare una giurisprudenza ben consolidata». V., in senso contrario, P. Oliver, «Dossier Keck– Forces e faiblesses de l’arrêt Keck», Revue trimestrielle de droit européen, 2014, pag. 870, il quale osserva che, «prima della sentenza Keck [e Mithouard (C‑267/91 e C‑268/91, EU:C:1993:905)], erano presi in considerazione come misure di effetto equivalente solo i controlli sui prezzi che discriminavano le importazioni» (nota 11). V., infine, per un’analisi puntuale, M. Candela Soriano, «Le traité CE e la fixation des prix dans le secteur du livre», Revue du droit de l’Union européenne, n. 2, 2000, pag. 361, secondo cui, affinché una misura nazionale che vieta la vendita al dettaglio di libri al di sotto del prezzo imposto sia compatibile con il diritto dell’Unione «occorre [...] che la suddetta tipologia di normativa non sia discriminatoria in diritto o in fatto, in altre parole che essa non possa rendere l’accesso al mercato più difficile per gli operatori economici interessati o per i prodotti considerati» (pag. 382).


54 – 82/77, EU:C:1978:10.


55 – Punto 14. Il corsivo è mio. V., in tal senso, sentenze Cullet e Chambre syndicale des réparateurs automobiles e détaillants de produits pétroliers (231/83, EU:C:1985:29, punto 25) e Leclerc (34/84, EU:C:1985:362, punti 7 e 8).


56 – V. sentenza Berlington Hungary e a. (C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 64).


57 – V., in tal senso, sentenze Blanco Pérez e Chao Gómez (C‑570/07 e C‑571/07, EU:C:2010:300, punto 44 e giurisprudenza citata); Commissione/Francia (C‑89/09, EU:C:2010:772, punto 42); Susisalo e a. (C‑84/11, EU:C:2012:374, punto 28); Ottica New Line di Accardi Vincenzo (C‑539/11, EU:C:2013:591, punto 44); Venturini e a. (da C‑159/12 a C‑161/12, EU:C:2013:791, punto 59), e Sokoll-Seebacher (C‑367/12, EU:C:2014:68, punto 26).


58 – V. sentenza Commissione/Belgio (C‑227/06, EU:C:2008:160, punto 63 e giurisprudenza citata).


59 – V., in tal senso, in particolare, sentenza Parlamento/Consiglio (C‑540/13, EU:C:2015:224, punto 35).


60 – V., in particolare, sentenza Billerud Karlsborg e Billerud Skärblacka (C‑203/12, EU:C:2013:664, punto 37).


61 – Idem.


62 – C‑167/97, EU:C:1999:60.


63 – Punto 45.


64 – V., in tal senso, sentenza Mirepoix (54/85, EU:C:1986:123, punto 16), in base alla quale le autorità dello Stato membro importatore sono tenute a modificare il divieto di uso di un antiparassitario o il contenuto massimo prescritto qualora accertino che i motivi che hanno portato all’adozione di provvedimenti del genere sono stati modificati. V. altresì, in questo senso, sentenza Heijn (94/83, EU:C:1984:285, punto 18).


65 – V. sentenza Agrarproduktion Staebelow (C‑504/04, EU:C:2006:30, punto 40).


66 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU L 204, pag. 37).


67 – V., in tal senso, sentenze Petersen (C‑341/08, EU:C:2010:4, punto 42 e giurisprudenza citata) e Vital Pérez (C‑416/13, EU:C:2014:2371), nell’ambito della quale la Corte ha stabilito che, quando la normativa nazionale risulta imprecisa quanto all’obiettivo perseguito, è importante che altri elementi, attinenti al contesto generale della misura interessata, consentano l’identificazione dell’obiettivo cui tende quest’ultima, al fine di esercitare un controllo giurisdizionale quanto alla sua legittimità e al carattere appropriato e necessario dei mezzi adottati per realizzare detto obiettivo (punto 62 e giurisprudenza citata).


68 – V., per analogia, sentenza Berlington Hungary e a. (C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 64 e giurisprudenza citata).


69 – Ibidem (punto 65).


70 – V. punto 20 dell’ordinanza di rinvio.


71 – Il 59% dei bevitori dediti a un consumo pericoloso e il 63% di quelli dediti a un consumo nocivo consumano bevande alcoliche a un prezzo per un’unità di alcool inferiore a GBP 0,50 se vivono in stato di povertà, mentre tali valori scendono a rispettivamente al 45% e al 42% per chi non vive in povertà.


72 – Direttiva del Consiglio del 27 novembre 1995, relativa alle imposte diverse dall’imposta sul volume d’affari che gravano sul consumo dei tabacchi lavorati (GU L 291, pag. 40).


73 – Direttiva del Consiglio del 19 ottobre 1992, relativa all’armonizzazione delle strutture delle accise sull’alcole e sulle bevande alcoliche (GU L 316, pag. 21).


74 – Direttiva del Consiglio del 19 ottobre 1992, relativa al ravvicinamento delle aliquote di accisa sull’alcole e sulle bevande alcoliche (GU L 316, pag. 29).


75 – V., da ultimo, sentenza Commissione/Francia (C‑197/08, EU:C:2010:111, punto 52).


76 – C‑216/98, EU:C:2000:571.