Language of document : ECLI:EU:C:2012:770

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

6 dicembre 2012 (*)


Indice


Contesto normativo

La direttiva 65/65/CEE

Il regolamento (CEE) n. 1768/92

Fatti e decisione controversa

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

Sull’impugnazione principale

Sulla definizione del mercato dei prodotti controversi

La sentenza impugnata

Sul primo motivo d’impugnazione

– Argomenti delle parti

– Giudizio della Corte

Sul secondo motivo d’impugnazione

– Argomenti delle parti

– Giudizio della Corte

Sul primo abuso di posizione dominante riguardante i CPC

La sentenza impugnata

Sul terzo motivo d’impugnazione

– Argomenti delle parti

– Giudizio della Corte

Sul quarto motivo d’impugnazione

– Argomenti delle parti

– Giudizio della Corte

Sul secondo abuso di posizione dominante

La sentenza impugnata

Sul quinto motivo d’impugnazione

– Argomenti delle parti

– Giudizio della Corte

Sul sesto motivo d’impugnazione

– Argomenti delle parti

– Giudizio della Corte

Sull’ammenda

La sentenza impugnata

Argomenti delle parti

Giudizio della Corte

Sull’impugnazione incidentale proposta dall’EFPIA

Sul primo motivo

Argomenti delle parti

Giudizio della Corte

Sul secondo motivo

Argomenti delle parti

Giudizio della Corte

Sull’impugnazione incidentale proposta dalla Commissione

Argomenti delle parti

Giudizio della Corte

Sulle spese

«Impugnazione – Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Mercato dei medicinali antiulcera – Abuso delle procedure attinenti ai certificati protettivi complementari per i medicinali e delle procedure di autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali – Dichiarazioni ingannevoli – Revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio – Ostacoli all’immissione in commercio dei medicinali generici ed alle importazioni parallele»

Nella causa C‑457/10 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 15 settembre 2010,

AstraZeneca AB, con sede in Södertälje (Svezia),

AstraZeneca plc, con sede in Londra (Regno Unito),

rappresentate da M. Brealey, QC, M. Hoskins, QC, D. Jowell, barrister, e F. Murphy, solicitor,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione europea, rappresentata da F. Castillo de la Torre, É. Gippini Fournier e J. Bourke, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA), con sede in Ginevra (Svizzera), rappresentata da M. Van Kerckhove, advocaat,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič (relatore), E. Levits, J.-J. Kasel e M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig. J. Mazák

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 gennaio 2012,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 maggio 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, l’AstraZeneca AB e l’AstraZeneca plc chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 1° luglio 2010, AstraZeneca/Commissione (T‑321/05, Racc. pag. II‑2805; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha respinto in gran parte il loro ricorso diretto all’annullamento della decisione C (2005) 1757 def. della Commissione, del 15 giugno 2005, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 82 CE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE (Caso COMP/A.37.507/F3 – AstraZeneca; in prosieguo: la «decisione controversa»). Con tale decisione, la Commissione europea aveva irrogato un’ammenda di EUR 60 milioni a dette società per abuso del sistema di brevetti e delle procedure per l’immissione in commercio di prodotti farmaceutici al fine di impedire o ritardare l’ingresso di medicinali generici concorrenti sul mercato e di ostacolare le importazioni parallele.

2        A sostegno della domanda di annullamento della sentenza impugnata e della decisione controversa è intervenuta l’European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (in prosieguo: l’«EFPIA»), che ha proposto a tal fine un’impugnazione incidentale.

3        Un’impugnazione incidentale è stata altresì proposta dalla Commissione, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui quest’ultima ha parzialmente annullato e modificato la decisione controversa.

 Contesto normativo

 La direttiva 65/65/CEE

4        La direttiva 65/65/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1965, per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialità medicinali (GU 1965, n. 22, pag. 369), nella sua versione applicabile ai fatti, stabiliva al suo articolo 3, primo comma, che «[n]essun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza aver ottenuto un’autorizzazione all’immissione in commercio [in prosieguo: l’“AIC”] dalle autorità competenti di detto Stato membro».

5        L’articolo 4, terzo comma, di tale direttiva precisava le informazioni e i documenti che il responsabile dell’immissione in commercio deve fornire per ottenere il rilascio di un’AIC. L’articolo 4, terzo comma, punto 8, di detta direttiva richiedeva l’inoltro dei seguenti documenti:

«Risultati delle prove:

–       chimico-fisiche, biologiche o microbiologiche;

–       farmacologiche e tossicologiche;

–       cliniche.

Nondimeno, senza pregiudizio della normativa relativa alla tutela della proprietà industriale e commerciale:

a)      il richiedente non è tenuto a fornire i risultati delle prove farmacologiche e tossicologiche, o i risultati delle prove cliniche, se può dimostrare:

(...)

oppure:

ii)      riferendosi in modo dettagliato alla letteratura scientifica pubblicata, (...) che il componente o i componenti del medicinale sono di impiego medico ben noto e presentano una riconosciuta efficacia ed un livello accettabile di sicurezza,

iii)      ovvero, che il medicinale è essenzialmente analogo ad un prodotto autorizzato secondo le disposizioni comunitarie in vigore da almeno 6 anni nella Comunità e commercializzato nello Stato membro interessato dalla domanda; questo periodo è portato a 10 anni quando si tratta di un medicinale di alta tecnologia (...); inoltre, uno Stato membro può altresì estendere questo periodo a 10 anni con decisione unica concernente tutti i prodotti immessi in commercio nel suo territorio se ritiene che le esigenze della salute pubblica lo richiedano. Gli Stati membri possono non applicare il periodo di 6 anni di cui sopra oltre la data di scadenza di un brevetto che protegge il prodotto originale.

(...)».

6        L’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 65/65 disponeva, in particolare, che l’autorizzazione era valida per cinque anni e rinnovabile per periodi di cinque anni su domanda presentata dal titolare almeno tre mesi prima della data di scadenza.

7        La direttiva 65/65 è stata sostituita dalla direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU L 311, pag. 67).

 Il regolamento (CEE) n. 1768/92

8        Il regolamento (CEE) n. 1768/92 del Consiglio, del 18 giugno 1992, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali (GU L 182, pag. 1), applicabile ai fatti, ha istituito un certificato protettivo complementare (in prosieguo: il «CPC») per i medicinali sottoposti a un procedimento di AIC. Tale certificato, che può essere ottenuto dal titolare di un brevetto nazionale o europeo, prolunga la protezione conferita dal brevetto per un ulteriore periodo massimo di cinque anni, al fine di far beneficiare il titolare di un periodo massimo di esclusiva di quindici anni a partire dalla prima AIC, nell’Unione europea, del medicinale in parola. L’istituzione di detto certificato è motivata in particolare dalla considerazione che il periodo che trascorre dal deposito di una domanda di brevetto per un nuovo medicinale e il rilascio dell’AIC di quest’ultimo riduce la protezione effettiva conferita dal brevetto a una durata insufficiente ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca.

9        L’articolo 3 di tale regolamento, intitolato «Condizioni di rilascio del certificato», stabiliva quanto segue:

«Il certificato viene rilasciato se, nello Stato membro nel quale è presentata la domanda di cui all’articolo 7, e alla data di tale domanda:

a)      il prodotto è protetto da un brevetto di base in vigore;

b)      per il prodotto in quanto medicinale è stata rilasciata un’[AIC] in vigore (...) a norma – secondo il caso – della direttiva 65/65/CEE (...);

(...)».

10      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento, la domanda di certificato doveva essere depositata entro il termine di sei mesi a decorrere dalla data in cui per il prodotto, in quanto medicinale, è stata rilasciata l’AIC menzionata nell’articolo 3, lettera b), dello stesso regolamento.

11      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), sub iv), del regolamento n. 1768/92, la domanda di certificato doveva contenere una richiesta per il rilascio di un certificato che menzionasse, in particolare, il numero e la data della prima AIC del prodotto di cui all’articolo 3, lettera b), di detto regolamento e, qualora quest’ultima non fosse la prima AIC nella Comunità, il numero e la data di detta autorizzazione.

12      Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 1768/92, il certificato aveva efficacia a decorrere dal termine legale del brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima AIC nella Comunità, ridotto di cinque anni.

13      L’articolo 19, paragrafo 1, di tale regolamento apparteneva alle disposizioni transitorie e prevedeva quanto segue:

«Qualsiasi prodotto che, alla data di entrata in vigore del presente regolamento, sia protetto da un brevetto di base in vigore e per il quale, in quanto medicinale, sia stata rilasciata una prima [AIC] nella Comunità dopo il 1° gennaio 1985 può formare oggetto di un certificato.

Per quanto riguarda i certificati da rilasciare in Danimarca e in Germania, la data del 1° gennaio 1985 è sostituita dalla data del 1° gennaio 1988.

(...)».

14      Il regolamento n. 1768/92 è stato sostituito da una versione codificata, vale a dire il regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali (GU L 152, pag. 1).

 Fatti e decisione controversa

15      L’AstraZeneca AB e l’AstraZeneca plc appartengono a un gruppo farmaceutico (in prosieguo: l’«AZ») operante, su scala mondiale, nel settore dell’ideazione, dello sviluppo e della commercializzazione di prodotti farmaceutici. Le sue attività si concentrano, in tale settore, in particolare sui prodotti per le patologie gastrointestinali. In tale ambito, uno dei prodotti più venduti dall’AZ è conosciuto con il nome di «Losec», un marchio commerciale utilizzato nella maggior parte dei mercati europei. Questo medicinale a base di omeprazolo, utilizzato nel trattamento di patologie gastrointestinali legate all’iperacidità e, in particolare, per inibire in maniera proattiva le secrezioni acide dello stomaco, è stato il primo sul mercato ad agire direttamente sulla pompa protonica, che è l’enzima specifico all’interno delle cellule parietali, lungo le pareti dello stomaco, che pompa acido nello stomaco.

16      Il 12 maggio 1999 la Generics (UK) Ltd e la Scandinavian Pharmaceuticals Generics AB hanno depositato presso la Commissione una denuncia contro i comportamenti dell’AZ volti ad impedire loro di introdurre versioni generiche dell’omeprazolo in un certo numero di mercati dello Spazio economico europeo (SEE).

17      Con la decisione controversa la Commissione ha constatato che l’AstraZeneca AB e l’AstraZeneca plc avevano commesso due abusi di posizione dominante, in violazione degli articoli 82 CE e 54 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (in prosieguo: l’«Accordo SEE»).

18      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, di tale decisione, il primo abuso era consistito in dichiarazioni ingannevoli rese agli uffici dei brevetti in Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Norvegia, nonché dinanzi ai giudici nazionali in Germania e Norvegia. La Commissione ha considerato, al riguardo, che tali dichiarazioni rientravano nell’ambito di una strategia globale volta ad estromettere i fabbricanti di prodotti generici dal mercato ottenendo o mantenendo CPC per l’omeprazolo cui l’AZ non aveva diritto o cui aveva diritto per una durata più limitata. Essa ha distinto due fasi nella commissione di questo primo abuso, la prima riguardante le dichiarazioni rese in occasione della trasmissione di istruzioni ai consulenti in materia di brevetti, in data 7 giugno 1993, con l’intermediazione dei quali sono state presentate domande di CPC in sette Stati membri, e la seconda relativa a dichiarazioni emesse successivamente dinanzi a diversi uffici dei brevetti e giudici nazionali.

19      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, di detta decisione, il secondo abuso è consistito nella presentazione di domande di revoca delle AIC delle capsule di Losec in Danimarca, Svezia e Norvegia, contestualmente al ritiro dal mercato delle capsule di Losec e al lancio delle compresse di Losec MUPS («Multiple Unit Pellet System»; sistema di compresse a microgranuli multipli) in questi tre paesi. Secondo la Commissione, tali operazioni miravano ad assicurare che i produttori di omeprazolo generico non potessero accedere alla procedura di registrazione abbreviata prevista ai sensi dell’articolo 4, terzo comma, punto 8, lettera a), sub iii), della direttiva 65/65, e avevano altresì la conseguenza che gli importatori paralleli perdessero le loro licenze. La Commissione contestava in particolare alle ricorrenti lo sfruttamento strategico del contesto normativo al fine di tutelare artificialmente dalla concorrenza i prodotti che non erano più protetti da un brevetto e per i quali era scaduto il periodo di esclusiva dei dati.

20      Per questi due abusi, la Commissione ha inflitto alle ricorrenti, congiuntamente e in solido, un’ammenda di importo pari a EUR 46 milioni, nonché una distinta ammenda di EUR 14 milioni all’AstraZeneca AB.

 Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

21      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 25 agosto 2005 le ricorrenti hanno proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa. Tale ricorso contestava la legittimità di tale decisione quanto alla definizione del mercato rilevante, alla valutazione della posizione dominante, al primo e al secondo abuso di posizione dominante e all’importo delle ammende inflitte. Nel corso del procedimento l’EFPIA è intervenuta a sostegno delle ricorrenti.

22      Ai sensi della sentenza impugnata, il Tribunale ha parzialmente accolto il ricorso e ha annullato l’articolo 1, paragrafo 2, della decisione controversa, relativo al secondo abuso nella parte in cui constatava che, avendo chiesto la revoca delle AIC delle capsule di Losec in Danimarca e in Norvegia, contemporaneamente al ritiro dal mercato delle capsule di Losec ed al lancio delle compresse di Losec MUPS in tali due paesi, le ricorrenti avevano violato gli articoli 82 CE e 54 dell’Accordo SEE, e ciò in quanto si era considerato che tali atti fossero idonei a limitare le importazioni parallele di capsule di Losec verso detti paesi. Il Tribunale ha pertanto ridotto l’importo dell’ammenda inflitta congiuntamente e in solido alle ricorrenti a EUR 40 250 000 e l’ammenda inflitta separatamente all’AstraZeneca AB a EUR 12 250 000, respingendo il ricorso per il resto.

 Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

23      Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata e la decisione controversa;

–        in subordine, ridurre l’ammenda inflitta alle ricorrenti con l’articolo 2 della decisione controversa, e

–        condannare la Commissione alle spese relative ai due gradi di giudizio.

24      L’EFPIA chiede che la Corte annulli la sentenza impugnata e la decisione controversa e condanni la Commissione alle spese relative ai due gradi di giudizio, comprese quelle relative all’intervento dell’EFPIA.

25      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione;

–        accogliere l’impugnazione incidentale proposta dalla Commissione, e

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 Sull’impugnazione principale

26      A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti propongono quattro gruppi di motivi relativi a errori di diritto che il Tribunale avrebbe commesso con riferimento, rispettivamente, alla definizione del mercato dei prodotti controversi, al primo e al secondo abuso, nonché alle ammende.

 Sulla definizione del mercato dei prodotti controversi

 La sentenza impugnata

27      Ai punti 28‑222 della sentenza impugnata il Tribunale ha trattato e quindi respinto i due motivi di ricorso sollevati dalle ricorrenti rispetto alla definizione del mercato dei prodotti di cui trattasi contenuta nella decisione controversa, secondo la quale tale mercato era composto di una sola categoria di medicinali, denominati «inibitori della pompa protonica» (in prosieguo: gli «IPP»), come il prodotto dell’AZ denominato «Losec», e non includeva altre categorie di medicinali utilizzati per il trattamento delle patologie gastrointestinali connesse all’iperacidità come gli antagonisti dei ricettori dell’istamina (in prosieguo: gli «anti‑H2»), che si limitano a bloccare uno degli stimolanti della pompa protonica e agiscono quindi, a differenza degli IPP, soltanto indirettamente su quest’ultima.

28      Il Tribunale ha considerato, in particolare, in base ad un esame globale degli elementi su cui la Commissione ha basato la sua valutazione – vale a dire la maggiore efficacia degli IPP, l’utilizzo terapeutico differenziato degli IPP e degli anti-H2, il movimento di sostituzione asimmetrica che ha caratterizzato la crescita delle vendite degli IPP e la correlativa diminuzione o ristagno delle vendite degli anti-H2, gli indicatori di prezzo, quali risultanti dal contesto normativo in vigore, nonché le particolarità osservate in Germania e nel Regno Unito – che tali elementi costituivano, nel caso di specie, un insieme di dati pertinenti e sufficienti a fondare la conclusione che gli anti-H2, nel periodo di riferimento compreso tra il 1993 e il 2000, non avevano esercitato un vincolo concorrenziale significativo sugli IPP.

29      Il Tribunale, pertanto, in base a un esame effettuato ai punti 61‑107 della sentenza impugnata, respinge il primo motivo invocato rispetto alla delimitazione del mercato, basato su un errore manifesto di valutazione riguardo alla rilevanza del carattere graduale dell’aumento dell’uso degli IPP a danno degli anti‑H2. In tale contesto esso ha in particolare dichiarato che le vendite di IPP erano aumentate in modo graduale a causa della prudenza dei medici rispetto a un medicinale di cui non conoscevano ancora tutte le proprietà e tutti gli effetti collaterali, il che non consentiva di fondare una presunzione di nesso di causalità tra il carattere graduale dell’aumento delle vendite di IPP e un vincolo concorrenziale esercitato dagli anti‑H2 sugli IPP. Esso ha inoltre considerato che nessun elemento specifico della causa di cui era stato investito permetteva di considerare che nella fattispecie sussistesse un siffatto nesso di causalità.

30      Il secondo motivo invocato rispetto a detta delimitazione, fondato su diverse incoerenze ed errori di valutazione asseritamente riscontrabili nella decisione controversa, vale a dire, in particolare, un’insufficiente considerazione dell’uso terapeutico, un’attenzione eccessiva accordata agli indicatori di prezzo e il peso eccessivo attribuito alle particolarità osservate in Germania e nel Regno Unito, è stato esaminato ai punti 147‑222 della sentenza impugnata. Con riferimento, in particolare, alle censure relative alla valutazione degli indicatori di prezzo effettuata dalla Commissione, il Tribunale ha constatato, ai punti 157‑199 della sentenza impugnata, alcuni errori e lacune nella decisione controversa, pur dichiarando che questi ultimi non inficiavano la validità delle conclusioni della Commissione.

 Sul primo motivo d’impugnazione

–       Argomenti delle parti

31      Con il primo motivo le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto non avendo correttamente esaminato la rilevanza del carattere graduale dell’aumento dell’uso degli IPP a danno degli anti‑H2. Questo motivo si divide in due parti.

32      Con la prima parte, si contesta al Tribunale di non aver tenuto conto dell’evoluzione nel tempo dei fatti portati alla sua conoscenza. La sentenza impugnata e, in particolare, i punti 66‑82 di quest’ultima non riconoscerebbero la necessità di esaminare l’evoluzione dei rapporti concorrenziali tra gli IPP e gli anti‑H2 nei periodi rilevanti per l’infrazione e non terrebbe conto dei cambiamenti intervenuti sui mercati geografici di cui trattasi. Orbene, sarebbe giuridicamente scorretto pronunciarsi sulla situazione, nel 1993, di un mercato di prodotti in un determinato paese basandosi sullo stato della concorrenza in questo stesso mercato nel 2000. Inoltre, il fatto che i rapporti tra gli IPP e gli anti‑H2 si siano evoluti nel tempo risulterebbe chiaramente dalle dichiarazioni dei periti medici su cui il Tribunale si è basato.

33      Nell’ambito della seconda parte, le ricorrenti contestano al Tribunale di non aver riconosciuto la rilevanza dell’inerzia che ha caratterizzato le prassi in materia di prescrizioni, che era la ragione della sostituzione progressiva degli anti‑H2 con gli IPP. Il Tribunale avrebbe erroneamente respinto, ai punti 83‑107 della sentenza impugnata, la tesi delle ricorrenti secondo cui gli anti‑H2 avrebbero necessariamente esercitato un significativo vincolo concorrenziale sugli IPP, dato che le vendite di questi ultimi sarebbero aumentate soltanto gradualmente a danno degli anti‑H2, e dunque meno rapidamente di quanto ci si sarebbe potuto aspettare tenuto conto della superiorità terapeutica degli IPP. Le ricorrenti ritengono in particolare che il Tribunale abbia artificialmente separato i diversi vantaggi e inconvenienti rispettivi degli anti‑H2 e degli IPP, che pure sarebbero strettamente connessi. Infatti, se un medico decide di prescrivere un anti‑H2 a causa di timori relativi agli effetti collaterali degli IPP, nondimeno tale decisione sarebbe altresì fondata su una valutazione della qualità e del profilo terapeutico degli anti‑H2, compresa la circostanza che essi presenterebbero meno rischi per la salute del paziente.

34      L’EFPIA, che sostiene tale primo motivo, afferma che il Tribunale, al punto 92 della sentenza impugnata, ha invertito l’onere della prova imponendo alle ricorrenti di dimostrare che la progressiva sostituzione degli anti‑H2 da parte degli IPP è rilevante per la definizione del mercato.

35      La Commissione considera che questo primo motivo è inoperante in quanto mette in discussione uno soltanto degli elementi del ragionamento seguito dal Tribunale. Infatti, la gradualità dei movimenti di sostituzione costituirebbe soltanto un aspetto della valutazione globale del mercato interessato e un eventuale errore di diritto riguardante tale aspetto non rimetterebbe in discussione tale valutazione. Essa rileva, inoltre, che tale motivo è in gran parte irricevibile, in quanto la Corte è invitata a effettuare una nuova valutazione delle constatazioni di fatto. In ogni caso, detto motivo sarebbe infondato.

–       Giudizio della Corte

36      Occorre preliminarmente constatare che, contrariamente a quanto rileva la Commissione, il primo motivo non è inoperante. Anche se è certamente vero che il Tribunale ha effettuato una valutazione globale degli elementi sui quali la Commissione aveva fondato la sua valutazione, nondimeno, nell’ipotesi in cui il Tribunale avesse trascurato la rilevanza della gradualità dell’aumento dell’uso degli IPP a danno dell’uso degli anti-H2 e l’evoluzione dei rapporti di concorrenza tra questi due prodotti nel periodo rilevante, vale a dire quello compreso tra il 1993 e il 2000, questo errore sarebbe tale da rimettere in discussione detta valutazione nel suo complesso, nonché le conclusioni che il Tribunale ne ha tratto.

37      Infatti, essendo accertato, come rilevato in particolare ai punti 63 e 84 della sentenza impugnata, che le vendite, rispettivamente, degli IPP e degli anti-H2 hanno avuto una crescita significativa tra il 1993 e il 2000, contrassegnata da una graduale sostituzione degli anti-H2 con gli IPP, il Tribunale non avrebbe potuto validamente confermare la definizione del mercato di cui trattasi per questo intero periodo basandosi soltanto sullo stato della concorrenza quale si presentava nel 2000, vale a dire alla fine di detto periodo. Peraltro, come ha sottolineato l’avvocato generale al paragrafo 22 delle sue conclusioni, poiché il primo abuso contestato alle ricorrenti ha avuto inizio, nella maggior parte degli Stati membri interessati, nel 1993 ed è terminato in alcuni di tali Stati a partire dal 1994, è ancor più importante, considerata detta evoluzione, che il mercato dei prodotti rilevante sia correttamente definito per l’intero periodo interessato e, in particolare, per la parte iniziale di quest’ultimo.

38      Si deve tuttavia constatare che questo primo motivo deve essere respinto. Infatti, da un lato, il Tribunale ha proceduto ad un esame dell’interazione concorrenziale tra gli IPP e gli anti-H2 durante tutto il periodo in questione tenendo conto dell’evoluzione delle vendite di questi due prodotti e della gradualità dell’aumento dell’uso degli IPP a danno degli anti-H2 in questo periodo. Dall’altro, gli argomenti sostenuti dalle ricorrenti non rivelano alcun errore di diritto commesso dal Tribunale nell’ambito di tale esame.

39      Al riguardo si deve rilevare che, al fine di verificare se la Commissione avesse commesso un errore manifesto di valutazione respingendo l’argomento delle ricorrenti secondo cui la gradualità dell’aumento delle vendite degli IPP a danno di quelle degli anti-H2 significava che questi ultimi esercitavano un vincolo concorrenziale significativo sugli IPP e, pertanto, che gli anti-H2 dovevano, per questo motivo, essere inclusi nel mercato dei prodotti di cui trattasi, il Tribunale ha in primo luogo esaminato, ai punti 66‑82 della sentenza impugnata, l’uso terapeutico differenziato degli IPP e degli anti-H2 e, in secondo luogo, ai punti 83‑106 di tale sentenza, la rilevanza di detta gradualità su un piano teorico nonché nel caso concreto di specie.

40      Orbene, risulta chiaramente dai punti 66–106 della sentenza impugnata che il Tribunale ha analizzato elementi di prova in relazione non soltanto alla fine del periodo di riferimento, vale a dire l’anno 2000, ma a un lasso temporale situato tra il 1991 e il 2000, includendo addirittura un periodo precedente a quello in cui hanno avuto inizio gli abusi contestati.

41      Infatti, il Tribunale ha osservato, in particolare al punto 69 della sentenza impugnata, che dalle dichiarazioni dei periti medici prodotte nel corso del procedimento amministrativo dalle ricorrenti risultava che, pur se gli IPP e gli anti-H2, nel periodo tra il 1991 e il 2000, venivano somministrati per il trattamento delle stesse patologie, gli IPP erano generalmente prescritti per il trattamento delle forme gravi delle patologie gastrointestinali connesse all’iperacidità, mentre gli anti-H2 venivano prescritti più per il trattamento delle forme meno gravi o lievi di tale patologie. Pertanto, è effettivamente con riferimento a tutto il periodo compreso tra il 1991 e il 2000 che il Tribunale ha concluso, in particolare al punto 72 di tale sentenza, che durante questo periodo gli IPP e gli anti-H2 hanno formato oggetto di un uso differenziato.

42      Inoltre, contrariamente a quanto rilevano le ricorrenti, dal punto 76 della sentenza impugnata non risulta affatto che il Tribunale ha limitato la sua valutazione ai dati relativi al 2000. Infatti, la circostanza che il Tribunale si riferisca in questo punto a dati relativi a tale anno si spiega con il semplice fatto che esso risponde, in questo punto, all’argomento delle ricorrenti, riassunto al punto 37 di questa sentenza, secondo il quale, alla fine del periodo di riferimento, gli anti-H2 venivano ancora prescritti in misura significativa per il trattamento delle maggiori patologie gastrointestinali, comprese le forme gravi di queste ultime.

43      Del resto, il Tribunale ha effettuato un’analisi dettagliata dell’evoluzione del processo di sostituzione osservata tra il 1991 e il 2000 constatando, in particolare al punto 84 della sentenza impugnata, che da diverse tabelle allegate alla decisione controversa risultava che il numero dei trattamenti prescritti a base di IPP era aumentato gradualmente tra il 1991 e il 2000 e aveva superato quello dei trattamenti a base di anti-H2 prescritti in Svezia nel 1994, in Belgio e in Norvegia nel 1996, in Danimarca e in Germania nel 1997, nonché nei Paesi Bassi e nel Regno Unito nel 1998. Nello stesso punto di tale sentenza esso ha rilevato che da altre tabelle dell’allegato della decisione controversa appariva che le vendite di IPP, stimate per il loro valore, erano altresì gradualmente aumentate e avevano superato quelle degli anti-H2 in Svezia nel 1992, in Belgio nel 1994, in Danimarca, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito e in Norvegia nel 1995, e in Germania nel 1996. Al punto 101 di detta sentenza, il Tribunale ha inoltre constatato che da alcune di queste tabelle risultava che il numero dei trattamenti a base di IPP nel 2000 era molto superiore al numero dei trattamenti a base di anti‑H2 nel 1991 nella maggior parte dei paesi considerati.

44      Il Tribunale si è peraltro specificamente pronunciato, al punto 96 della sentenza impugnata, sull’inizio del periodo di infrazione, vale a dire il 1993, confermando la circostanza, invocata dalle ricorrenti, secondo cui le vendite di IPP erano state in tale anno molto inferiori a quelle degli anti-H2.

45      Pertanto, l’affermazione delle ricorrenti, avanzata a sostegno della prima parte del primo motivo, secondo cui il Tribunale non avrebbe intrapreso un’analisi nel tempo del mercato di prodotti controverso è infondata.

46      Con riferimento alla seconda parte di detto motivo, si deve rilevare che dai punti 83‑106 della sentenza impugnata risulta che il Tribunale, pur ammettendo che il carattere graduale o «inerte» dell’aumento delle vendite di un prodotto nuovo che si sostituisce a un prodotto esistente rivesta importanza per la definizione del mercato, dal momento che può eventualmente indicare che il prodotto esistente esercita un vincolo concorrenziale significativo sul nuovo prodotto, ha dichiarato che ciò non era riscontrabile nel caso di specie.

47      Al riguardo il Tribunale ha constatato, ai punti 98‑102 della sentenza impugnata, che dagli elementi del fascicolo risultava che l’«inerzia» nelle prassi in materia di prescrizioni mediche era dovuta più al cumulo e alla diffusione delle informazioni sulle proprietà e sugli eventuali effetti collaterali degli IPP che alla qualità degli anti-H2. Esso ha rilevato in tale contesto che questa constatazione era suffragata dalla circostanza che gli IPP erano considerati come l’unico trattamento efficace delle forme gravi delle patologie gastrointestinali, che gli IPP e gli anti-H2 erano quindi oggetto di usi terapeutici differenziati e che, in percentuale molto elevata, l’aumento delle vendite degli IPP non era avvenuto a danno degli anti-H2.

48      Orbene, contrariamente a quanto sembrano ritenere le ricorrenti, la gradualità dell’aumento delle vendite di un prodotto nuovo che si sostituisce a un prodotto esistente non significa necessariamente che quest’ultimo abbia esercitato sul primo un vincolo concorrenziale significativo. È infatti possibile che, anche in assenza di un prodotto precedente quale rappresentato dagli anti-H2, le vendite degli IPP, come prodotto nuovo, avrebbero avuto nel complesso lo stesso sviluppo graduale a causa dei timori dei medici prescriventi circa i possibili effetti cancerogeni degli IPP. Pertanto il Tribunale ha giustamente dichiarato, ai punti 91‑93 della sentenza impugnata, che non poteva presumersi l’esistenza, in linea di principio, di un nesso causale tra il carattere graduale dell’aumento delle vendite degli IPP e un vincolo concorrenziale esercitato dagli anti-H2 sugli IPP.

49      Quanto all’argomento dell’EFPIA secondo cui il Tribunale, al detto punto 92, avrebbe invertito l’onere della prova, si deve constatare che questo argomento si basa su una lettura errata di tale punto. Infatti, pur se il Tribunale ha ivi constatato che le ricorrenti non avevano prodotto alcun elemento che permettesse di considerare che l’aumento graduale delle vendite degli IPP fosse stato causato da un vincolo concorrenziale significativo esercitato dagli anti-H2, lo ha fatto al fine di motivare la sua conclusione secondo cui le ricorrenti cercavano di stabilire l’esistenza di una siffatta presunzione di nesso causale. Dai punti 66‑106 della sentenza impugnata risulta peraltro che il Tribunale si è basato sulla corretta premessa, vale a dire che l’onere della prova incombeva alla Commissione, nell’esaminare se quest’ultima potesse, senza commettere un errore manifesto di valutazione, concludere, sulla base degli elementi del fascicolo, che gli anti-H2 non esercitavano un vincolo concorrenziale significativo sugli IPP.

50      Del resto, il modo in cui il Tribunale ha valutato l’«inerzia» da parte dei medici prescriventi nel contesto, da un lato, della definizione del mercato e, dall’altro, della posizione dominante non è affatto incoerente, come affermano le ricorrenti. Infatti, pur se tali valutazioni del Tribunale sono giunte a risultati diversi, tali differenze, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 32 delle sue conclusioni, sono del tutto giustificate alla luce delle constatazioni di fatto specifiche effettuate dal Tribunale. Infatti, per quanto riguarda la definizione del mercato, il Tribunale ha concluso, come ricordato al punto 47 della presente sentenza, che gli anti-H2 non esercitavano un vincolo concorrenziale significativo sugli IPP e non facevano quindi parte dello stesso mercato di questi ultimi, in quanto l’inerzia che caratterizzava la prescrizione degli IPP non derivava dalle qualità terapeutiche degli anti‑H2, che erano di gran lunga inferiori a quelle degli IPP, ma dall’incertezza rispetto agli effetti collaterali di questi ultimi. Diversamente, nell’ambito della valutazione della posizione dominante delle ricorrenti sul mercato degli IPP e quindi in relazione a prodotti terapeuticamente simili, il Tribunale ha constatato, al punto 278 della sentenza impugnata, che la posizione dell’AZ quale produttore del primo IPP sul mercato, in possesso di un’immagine di marchio e vantante una solida reputazione, risultava vieppiù confortata dalla circostanza che i medici hanno generalmente bisogno di tempo per conoscere un medicinale nuovo e che quindi esitano a prescrivere IPP di altri produttori facenti ingresso in tale mercato.

51      Infine, con riferimento alla circostanza che le ricorrenti contestano gli accertamenti effettuati dal Tribunale in base agli elementi del fascicolo, vale a dire, in particolare, che gli IPP e gli anti-H2 costituivano nel periodo di riferimento l’oggetto di usi terapeutici differenziati e che la gradualità dell’aumento delle vendite degli IPP non è stata causata da un vincolo concorrenziale significativo degli anti-H2, è sufficiente ricordare che secondo la giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima non è competente ad accertare i fatti né, in linea di principio, ad esaminare le prove sulle quali il Tribunale ha basato il proprio accertamento dei fatti stessi. Infatti, se tali prove sono state acquisite regolarmente e i principi generali del diritto e le norme di procedura applicabili in materia di onere e di produzione della prova sono stati rispettati, spetta unicamente al Tribunale pronunciarsi sul valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti. Salvo il caso dello snaturamento di tali elementi, che tuttavia nel caso di specie non è stato invocato, questa valutazione non costituisce pertanto una questione di diritto soggetta, in quanto tale, al sindacato della Corte (v. sentenze del 3 settembre 2009, Moser Baer India/Consiglio, C‑535/06 P, Racc. pag. I‑7051, punto 32, nonché 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 65).

52      Da tutte le precedenti considerazioni risulta che il primo motivo dev’essere respinto, in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

 Sul secondo motivo d’impugnazione

–       Argomenti delle parti

53      Con il secondo motivo le ricorrenti, sostenute dall’EFPIA, contestano al Tribunale di non aver esaminato il costo generale di un trattamento a base di IPP rispetto a quello di un trattamento a base di anti-H2 nel contesto della sua valutazione dei fattori di prezzo su cui la Commissione ha basato la decisione controversa. Esse sostengono al riguardo che, nonostante il costo di una dose giornaliera di IPP sia più elevato di quello di una dose giornaliera di anti-H2, il costo generale del trattamento risulta quasi identico, in quanto gli IPP curano i pazienti più rapidamente. Pur avendo il Tribunale riconosciuto questa circostanza ai punti 188 e 193 della sentenza impugnata, esso avrebbe dichiarato, ai punti 189 e 190 di tale sentenza, che, poiché una quantificazione del rapporto costo/efficacia potrebbe rivelarsi particolarmente complessa e aleatoria, la Commissione non avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione tenendo conto del prezzo dei medicinali per un periodo di trattamento identico. Orbene, tale approccio del Tribunale sarebbe giuridicamente errato in quanto invertirebbe l’onere della prova. Infatti, laddove la Commissione intenda basarsi su elementi complessi e aleatori quali gli indicatori di prezzo, essa dovrebbe o analizzare tali elementi in maniera sufficiente, o astenersi dall’invocarli qualora non sia in grado di provarne il fondamento a causa della loro complessità.

54      La Commissione ritiene che tale motivo sia inoperante poiché non rimette in discussione la fondatezza delle constatazioni che figurano al punto 191 della sentenza impugnata. Esso sarebbe, inoltre, in parte irricevibile e in parte infondato. Infatti, la circostanza che la decisione controversa sia basata su un trattamento di 28 giorni non può essere considerata integrante un errore manifesto di valutazione, tenuto conto dell’impossibilità di determinare la durata precisa di ogni trattamento. La Commissione sostiene in tale contesto che il punto di vista delle ricorrenti circa la valutazione del rapporto costo/efficacia è troppo semplicistico e non tiene conto della molteplicità di patologie e trattamenti individuali possibili.

–       Giudizio della Corte

55      Come hanno osservato la Commissione e l’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, questo secondo motivo, che è diretto in maniera isolata avverso le constatazioni effettuate ai punti 189 e 190 della sentenza impugnata, è inoperante.

56      Dopo aver rilevato, al punto 188 della sentenza impugnata, la correttezza del rilievo delle ricorrenti in ordine alla circostanza che la differenza tra il maggior costo complessivo di un trattamento a base di IPP e il costo complessivo di un trattamento a base di anti-H2 poteva essere minore di quanto risultasse a prima vista considerando la sola differenza tra i costi per trattamenti di 28 giorni, su cui si è basata la decisione controversa, il Tribunale ha effettivamente dichiarato, ai punti 189 e 190 di questa sentenza, che, poiché una quantificazione del rapporto costo/efficacia poteva rivelarsi particolarmente complessa e aleatoria, dato che la durata di un trattamento dipende per lo più dal tipo di patologia considerata e può variare da un paziente all’altro, non poteva considerarsi che la Commissione avesse commesso un errore manifesto di valutazione tenendo conto del prezzo dei medicinali per un identico periodo di trattamento.

57      Tuttavia il Tribunale ha altresì rilevato, al punto 191 della sentenza impugnata, che dalle osservazioni esposte ai punti 171‑175, 177 e 178 di detta sentenza emerge in ogni caso che gli anti‑H2 non potevano esercitare un vincolo concorrenziale significativo sugli IPP grazie a prezzi inferiori, tenuto conto, da un lato, della sensibilità limitata dei medici e dei pazienti ai diversi prezzi a causa dell’importanza del ruolo rivestito dall’efficacia terapeutica nella scelta prescrittiva e, dall’altro, dei sistemi normativi in vigore negli Stati considerati, i quali non erano concepiti in modo da permettere ai prezzi degli anti‑H2 di esercitare una pressione al ribasso sulle vendite o sui prezzi degli IPP.

58      Orbene, anche supponendo, contrariamente a quanto ha dichiarato il Tribunale, che la Commissione avesse commesso un errore manifesto di valutazione tenendo conto del prezzo dei medicinali per un identico periodo di trattamento e che, inoltre, il costo generale di un trattamento a base di IPP non fosse in realtà superiore a quello di un trattamento a base degli anti-H2, come sostengono le ricorrenti, nondimeno gli anti-H2 non potevano esercitare un vincolo concorrenziale significativo sugli IPP, tenuto conto in particolare dell’importanza conferita dai medici e dai pazienti alla superiorità terapeutica di questi ultimi.

59      Occorre peraltro aggiungere che solo a seguito di una valutazione globale di tutti gli elementi su cui la Commissione ha fondato la sua valutazione, tra cui figurano altri indicatori di prezzo, quali il fatto che il maggior impatto sulla domanda di omeprazolo prodotto dall’AZ sia stato generato dal prezzo delle versioni generiche dell’omeprazolo e, in minor misura, da quello di altri IPP, nonché fattori non relativi ai prezzi, quali la maggiore efficacia degli IPP, l’uso terapeutico differenziato degli IPP e degli anti-H2, il movimento di sostituzione asimmetrica che ha caratterizzato l’aumento delle vendite degli IPP e la correlativa diminuzione o il ristagno delle vendite degli anti-H2 e alcune particolarità osservate in Germania e nel Regno Unito, il Tribunale ha concluso, al punto 220 della sentenza impugnata, che tali elementi costituivano un insieme di dati pertinenti sufficienti a fondare la definizione di mercato adottata dalla Commissione. Orbene, l’errore di diritto che si sostiene il Tribunale abbia commesso ai punti 189 e 190 di tale sentenza, che si riferisce in maniera puntuale alla valutazione di soltanto uno di questi elementi, non potrebbe, in ogni caso, rimettere in discussione il risultato di questa valutazione globale.

60      Di conseguenza, anche il secondo motivo deve essere respinto.

 Sul primo abuso di posizione dominante riguardante i CPC

 La sentenza impugnata

61      Il Tribunale ha trattato, ai punti 295‑613 della sentenza impugnata, i due motivi di ricorso che le ricorrenti avevano invocato avverso la constatazione del primo abuso da parte della Commissione.

62      Il primo di tali motivi, relativo ad errori di diritto commessi dalla Commissione, è stato esaminato ai punti 352‑382 di tale sentenza. Il Tribunale ha in particolare confermato, ai punti 355 e 361 di detta sentenza, l’interpretazione che la Commissione aveva effettuato dell’articolo 82 CE, secondo la quale la comunicazione alle autorità pubbliche di informazioni ingannevoli, idonee a indurle in errore e a permettere di conseguenza il rilascio di un diritto esclusivo come il CPC, cui l’impresa non ha in realtà diritto, o al quale ha diritto soltanto per un periodo più limitato, costituisce una pratica estranea alla concorrenza basata sui meriti e, quindi, un abuso di posizione dominante.

63      Il Tribunale ha precisato, ai punti 356 e 359 della sentenza impugnata, che dal carattere oggettivo della nozione di abuso emergeva che la natura ingannevole delle dichiarazioni comunicate alle autorità pubbliche doveva essere valutata sulla base di elementi oggettivi e che la dimostrazione della natura volontaria del comportamento e della malafede dell’impresa in posizione dominante non era necessaria, ma poteva tuttavia costituire un elemento rilevante.

64      Il Tribunale ha tuttavia accolto tale motivo nella parte in cui si riferiva ad un errore di diritto commesso dalla Commissione nella valutazione della data in cui l’asserito primo abuso di posizione dominante aveva avuto inizio in alcuni paesi, considerando, ai punti 370, 372 e 381 di detta sentenza, che tale abuso ha avuto inizio non con la comunicazione da parte dell’AZ delle sue istruzioni ai consulenti in materia di brevetti, ma con la comunicazione delle domande di CPC agli uffici nazionali dei brevetti.

65      Ai fini della valutazione del secondo motivo invocato rispetto alla constatazione del primo abuso, basato su una carenza probatoria, il Tribunale, ai punti 474–613 della sentenza impugnata, ha in primo luogo ricordato che l’onere della prova incombeva alla Commissione e successivamente ha effettuato un’analisi dettagliata della prima e della seconda fase dell’abuso evocate al punto 18 della presente sentenza. Esso ne ha tratto la conclusione, al punto 598 della sentenza impugnata, che le ricorrenti avevano adottato una condotta costante e lineare, caratterizzata dalla comunicazione agli uffici dei brevetti di dichiarazioni ingannevoli al fine di ottenere il rilascio di CPC ai quali esse non avevano diritto o ai quali avevano diritto soltanto per un periodo più limitato.

66      Il Tribunale ha in particolare osservato, al punto 599 della sentenza impugnata, che i numerosi elementi di prova documentale contenuti nel fascicolo, il protrarsi nel tempo del comportamento in esame, che è perdurato dal mese di giugno del 1993 al mese di giugno del 1999, nonché la sua messa in atto in maniera più o meno coerente e con livelli diversi di successo in nove Stati membri della Comunità e del SEE, permettevano di considerare che giustamente la Commissione aveva ritenuto che l’AZ avesse deliberatamente tentato di indurre in errore gli uffici dei brevetti.

67      Al punto 600 della sentenza impugnata, il Tribunale ha stabilito che, tenuto conto dell’insieme delle prove documentali su cui la Commissione si è basata per emettere la decisione controversa, tali considerazioni non potevano essere messe in discussione dalle dichiarazioni delle ricorrenti a sostegno, in particolare, della loro affermazione secondo la quale l’AZ avrebbe agito in buona fede. Secondo il Tribunale, oltre al fatto che tali dichiarazioni, sotto certi profili, erano volte a corroborare la fondatezza della decisione controversa, esse comunque non permettevano di ignorare la notevole quantità di prove documentali, nonché il complesso dei fatti accertati che, unitamente valutati, rafforzavano in modo risolutivo le conclusioni cui era pervenuta la Commissione.

68      Dopo aver respinto, ai punti 601‑607 della sentenza impugnata, l’argomento delle ricorrenti relativo all’asserita mancata produzione di effetti delle dichiarazioni ingannevoli in alcuni paesi, vale a dire in Belgio, in Danimarca, in Germania, nei Paesi Bassi, nel Regno Unito e in Norvegia, il Tribunale ha concluso, al punto 608 di detta sentenza, che le dichiarazioni ingannevoli rese dall’AZ integravano una prassi basata esclusivamente su motivi estranei alla concorrenza fondata sui meriti e che un comportamento di questo tipo era in grado solo di escludere illegittimamente dal mercato i fabbricanti di prodotti generici, tramite l’acquisizione di CPC in violazione del contesto normativo che li ha istituiti. Esso ha pertanto dichiarato, ai punti 609 e 610 di detta sentenza, che la Commissione non ha commesso errori considerando che le ricorrenti avevano abusato della loro posizione dominante e ha, di conseguenza, respinto il secondo motivo.

 Sul terzo motivo d’impugnazione

–       Argomenti delle parti

69      Con il loro terzo motivo le ricorrenti contestano al Tribunale di aver adottato un approccio giuridicamente errato relativamente alla concorrenza basata sui meriti. Infatti, il Tribunale, per valutare se le dichiarazioni che le ricorrenti avevano effettuato presso gli uffici dei brevetti fossero oggettivamente ingannevoli, erroneamente non avrebbe considerato, in quanto irrilevante, la ragionevolezza della loro interpretazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1768/92 e la loro buona fede al riguardo.

70      Le ricorrenti rilevano che il Tribunale ha interpretato in maniera errata la nozione di «concorrenza basata sui meriti» decidendo che non rientrasse in essa il comportamento delle ricorrenti consistente nel non aver comunicato agli uffici nazionali dei brevetti la loro interpretazione di detto articolo e quindi, in particolare, la circostanza che il riferimento alla prima autorizzazione dalle stesse invocata a sostegno delle loro domande di CPC non fosse all’autorizzazione di cui alla direttiva 65/65, bensì all’autorizzazione successiva connessa alla pubblicazione dei prezzi. Orbene, una «mancanza di trasparenza» non potrebbe bastare ad integrare un abuso. Respingendo in quanto irrilevante l’argomento basato sul fatto che, all’epoca della presentazione di dette domande, considerata l’ambiguità dell’articolo 19 del regolamento n. 1768/92, era ragionevole ritenere che le ricorrenti avessero diritto a un CPC, il Tribunale avrebbe erroneamente qualificato come abuso il semplice fatto che un’impresa in posizione dominante tentasse di ottenere il riconoscimento di un diritto dal quale pensa di trarre benefici, senza divulgare gli elementi sui quali fonda la sua opinione. Il ragionamento del Tribunale sarebbe basato sul presupposto che le ricorrenti non avessero diritto al CPC e pertanto è stato elaborato ex post, tenendo conto dei chiarimenti forniti nella sentenza della Corte dell’11 dicembre 2003, Hässle (C–127/00, Racc. pag. I‑14781).

71      Le ricorrenti sostengono che superiori ragioni di ordine politico e giuridico impongono l’esistenza di una frode o di un inganno perché si possa parlare di abuso in circostanze come quelle del presente caso. Pertanto, un’interpretazione della nozione di abuso così rigida come quella applicata dal Tribunale potrebbe ostacolare e ritardare le richieste di diritti di proprietà intellettuale in Europa, specie se combinata con il rigido approccio nella definizione del mercato adottato dalla Commissione. A sostegno del loro punto di vista le ricorrenti sottolineano, a titolo di confronto, che nel diritto statunitense solo i brevetti ottenuti fraudolentemente possono essere impugnati in forza del diritto della concorrenza, in modo da non sospendere le domande di brevetto.

72      L’EFPIA aggiunge che, se si seguisse l’interpretazione, fornita dal Tribunale, della nozione di «concorrenza basata sui meriti», una dichiarazione «oggettivamente ingannevole» avrebbe in realtà il significato di dichiarazione «oggettivamente errata». Se si applicasse tale criterio, le imprese in posizione dominante dovrebbero essere infallibili nei loro rapporti con le autorità di regolamentazione. Pertanto, anche un errore involontario e subito rettificato potrebbe far insorgere una responsabilità ai sensi dell’articolo 82 CE. In particolare, l’EFPIA sostiene che è giuridicamente insostenibile applicare tale concetto alle domande di brevetti, molte delle quali dovrebbero essere respinte ogni anno a motivo della loro oggettiva mancanza di correttezza, in quanto il loro obiettivo non risponderebbe ai criteri di brevettabilità.

73      La Commissione considera che tale motivo è irricevibile in quanto è volto ad ottenere una nuova valutazione dei fatti all’origine del primo abuso e che, in ogni caso, dev’essere dichiarato infondato.

–       Giudizio della Corte

74      Preliminarmente, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la nozione di «sfruttamento abusivo» è una nozione oggettiva che riguarda il comportamento dell’impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura di un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già indebolito e che ha come effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi, fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente sul mercato o lo sviluppo di detta concorrenza (sentenze del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche/Commissione, 85/76, Racc. pag. 461, punto 91; del 3 luglio 1991, AKZO/Commissione, C‑62/86, Racc. pag. I‑3359, punto 69; dell’11 dicembre 2008, Kanal 5 e TV 4, C‑52/07, Racc. pag. I‑9275, punto 25, nonché del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C‑52/09, Racc. pag. I‑527, punto 27).

75      Da ciò discende che l’articolo 82 CE vieta a un’impresa in posizione dominante di eliminare un concorrente e di rafforzare in tal modo la propria posizione, facendo ricorso a mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti (sentenze AKZO/Commissione, cit., punto 70, e del 2 aprile 2009, France Télécom/Commissione, C‑202/07 P, Racc. pag. I‑2369, punto 106).

76      Tenuto conto degli argomenti avanzati dalle ricorrenti a sostegno del loro terzo motivo, si deve verificare se il Tribunale abbia erroneamente interpretato la nozione di «concorrenza basata sui meriti» dichiarando che il comportamento censurato nell’ambito del primo abuso fosse estraneo a tale definizione di concorrenza.

77      Al riguardo occorre rilevare che il Tribunale ha constatato, ai punti 306, 478‑500 e 591 della sentenza impugnata, che il primo abuso si suddivideva in due fasi, la prima consistente nella comunicazione, agli uffici dei brevetti in Belgio, in Danimarca, in Germania, in Irlanda, in Lussemburgo, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, della data di «marzo 1988» come corrispondente a quella della prima AIC nella Comunità, senza informarli né del fondamento normativo della scelta di tale data, vale a dire l’interpretazione alternativa difesa dall’AZ della nozione di «AIC» ai fini dell’articolo 19 del regolamento n. 1768/92, né dell’esistenza dell’AIC rilasciata in Francia il 15 aprile 1987, che costituiva la prima AIC rilasciata in base alla direttiva 65/65 (in prosieguo: l’«autorizzazione tecnica») nella Comunità.

78      È indubbio che, se il gruppo AZ avesse comunicato a detti uffici dei brevetti la data di tale autorizzazione tecnica rilasciata in Francia, gli sarebbe stato impossibile, a causa della norma transitoria di cui all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento n. 1768/92, ottenere un CPC per l’omeprazolo in particolare in Danimarca e in Germania, dato che la prima AIC nella Comunità era stata ottenuta prima del 1° gennaio 1988.

79      Come il Tribunale ha rilevato ai punti 479‑484, 492 e 509 della sentenza impugnata, da diverse comunicazioni interne dell’AZ risulta che tale gruppo, e in particolare il suo dipartimento dei brevetti, era consapevole di tale circostanza e aveva effettivamente identificato l’autorizzazione tecnica rilasciata in Francia quale prima AIC ai sensi del regolamento n. 1768/92. Tale dipartimento ha tuttavia indicato, prima ancora di aver stabilito la sua interpretazione alternativa della nozione di AIC, che, ai fini delle domande di CPC in Danimarca e in Germania, avrebbe sostenuto dinanzi agli uffici dei brevetti che la prima AIC nella Comunità non aveva avuto luogo prima del 1° gennaio 1988.

80      Secondo detta interpretazione alternativa, la nozione di «AIC» ai fini dell’articolo 19 del regolamento n. 1768/92 riguarderebbe non l’autorizzazione tecnica, ma la pubblicazione dei prezzi, dato che, secondo le ricorrenti, in alcuni Stati membri, come la Francia e il Lussemburgo, quest’ultima è necessaria affinché il medicinale possa essere effettivamente immesso in commercio. Il Tribunale ha osservato, al punto 488 della sentenza impugnata, che la data di pubblicazione del prezzo quale data dell’asserita immissione in commercio effettiva era stata tuttavia utilizzata soltanto per l’omeprazolo e l’omeprazolo sodio, mentre per altri sei prodotti l’AZ aveva comunicato la data dell’autorizzazione tecnica o quella della prima pubblicazione di tale autorizzazione, ciascuna successiva al 1° gennaio 1988.

81      Come il Tribunale ha constatato ai punti 492 e 493 della sentenza impugnata, è pacifico che sia gli uffici dei brevetti sia i consulenti in materia di brevetti intendevano detta nozione come riferita all’autorizzazione tecnica e che, tenuto conto del contesto in cui sono state rese le dichiarazioni ai consulenti in materia di brevetti e agli uffici dei brevetti, l’AZ non poteva ragionevolmente ignorare che, non indicando l’interpretazione del regolamento n. 1768/92 che intendeva sostenere e che sottintendeva la scelta delle date comunicate riguardo alla Repubblica francese e al Granducato di Lussemburgo, gli uffici dei brevetti sarebbero stati indotti a interpretare le suddette dichiarazioni nel senso che indicavano che la prima autorizzazione tecnica nella Comunità era stata rilasciata in Lussemburgo nel mese di «marzo 1988».

82      Risulta dai punti 490‑492 della sentenza impugnata che l’AZ ha tuttavia scelto di non avvertire i consulenti in materia di brevetti e gli uffici dei brevetti nazionali del fatto che, nelle istruzioni del 7 giugno 1993, trasmesse ai consulenti in materia di brevetti per le domande di CPC riguardanti l’omeprazolo, le date indicate per la Repubblica francese e per il Granducato di Lussemburgo non corrispondevano al rilascio dell’autorizzazione tecnica, ma alla data presunta della pubblicazione del prezzo del farmaco.

83      Inoltre, nella presentazione delle informazioni comunicate nell’ambito di dette istruzioni non vi erano elementi che potessero lasciar pensare che le date indicate per questi due Stati membri non fossero riferite alle autorizzazioni tecniche. Al contrario, il fatto, anzitutto, che le date indicate rispetto ad altri sette paesi riguardassero il rilascio dell’autorizzazione tecnica, inoltre, che fossero mantenuti i numeri corrispondenti alle autorizzazioni tecniche francese e lussemburghese e, infine, che, per rispondere ai requisiti dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1768/92, l’AZ avesse menzionato la normativa lussemburghese che non faceva riferimento alla pubblicazione del prezzo, bensì all’autorizzazione tecnica, suggeriva che le date indicate per la Repubblica francese e per il Granducato di Lussemburgo corrispondessero a dette autorizzazioni.

84      Il Tribunale ha peraltro rilevato, al punto 495 della sentenza impugnata, che l’affermazione delle ricorrenti secondo la quale l’AZ aveva l’intenzione di discutere con gli uffici dei brevetti circa la data rilevante ai fini del regolamento n. 1768/92 è smentita dai fatti e che, al contrario, il comportamento adottato dall’AZ nel tempo suggerisce piuttosto che tale gruppo fosse animato dall’intenzione di ingannare gli uffici dei brevetti, come emerge dalla seconda fase del primo abuso.

85      Con riferimento a questa seconda fase, dai punti 307, 478 e 501 della sentenza impugnata risulta che essa comprendeva, in primo luogo, dichiarazioni ingannevoli presentate nel 1993 e nel 1994 dinanzi agli uffici dei brevetti, in risposta alle loro questioni sulle domande di CPC depositate dall’AZ, in secondo luogo, dichiarazioni ingannevoli effettuate nel mese di dicembre del 1994, al momento della seconda serie di domande di CPC in tre Stati membri del SEE, ossia in Austria, in Finlandia e in Norvegia, e, in terzo luogo, dichiarazioni ingannevoli presentate successivamente dinanzi ad altri uffici dei brevetti nonché dinanzi a giurisdizioni nazionali, nell’ambito di procedimenti contenziosi promossi da fabbricanti di prodotti generici concorrenti per ottenere l’annullamento dei CPC in questi Stati.

86      Al riguardo, il Tribunale ha in particolare rilevato, ai punti 495, 505, 506, 514, 515, 523, 574, 592 e 593 della sentenza impugnata che, a seguito dei chiarimenti chiesti dagli uffici dei brevetti in ordine all’indicazione imprecisa «marzo 1988» quale data di AIC in Lussemburgo, e ad eccezione dei suoi scambi con gli uffici dei brevetti irlandese e del Regno Unito, l’AZ ha persistito nel tacere, da un lato, l’esistenza dell’autorizzazione tecnica francese del 15 aprile 1987 e, dall’altro, l’interpretazione del regolamento n. 1768/92 che sottintendeva le date indicate per la Repubblica francese e il Granducato di Lussemburgo.

87      L’omessa comunicazione dell’autorizzazione tecnica francese ha portato gli uffici dei brevetti belga, lussemburghese e olandese a ritenere che la data del 16 novembre 1987, corrispondente al rilascio dell’autorizzazione tecnica in Lussemburgo e che era stata comunicata dall’AZ su espressa richiesta di tali uffici, o inserita, nel caso dell’ufficio dei brevetti lussemburghese, dall’ufficio stesso, dovesse essere considerata come data della prima AIC nella Comunità. Detti uffici hanno quindi rilasciato AIC sul fondamento di quest’ultima data, mentre in Germania è stata rilasciata un’AIC in base alla data 21 marzo 1988, dopo che una precisazione in tal senso era stata fornita dall’AZ.

88      Come il Tribunale ha constatato ai punti 508, 527, 530 e 594 della sentenza impugnata, il gruppo AZ non è nemmeno intervenuto in seguito per rettificare i CPC ad esso rilasciati, anche se, da un lato, i suoi documenti interni indicano che era consapevole del loro errato fondamento e in particolare dell’erroneità della data della prima AIC e, dall’altro, il consulente in materia di brevetti olandese glielo aveva espressamente suggerito. 

89      Il Tribunale ha in particolare rilevato, al punto 539 di tale sentenza, che da uno di tali documenti interni, redatto nel 1994 dal direttore del dipartimento dei brevetti dell’AZ, risultava che, al fine di assicurare la maggior durata possibile ai CPC per il Losec nei diversi paesi europei, i suoi servizi stavano elaborando l’argomento secondo cui la definizione della nozione di AIC non era chiara e stavano tentando di far riconoscere la rilevanza della data del 21 marzo 1988, poiché essa permetteva la maggiore durata dei CPC, nonché la possibilità di ottenere o mantenere un CPC in Danimarca e in Germania.

90      Inoltre, il Tribunale ha osservato, ai punti 508 e 530 di detta sentenza, che da altri documenti interni emergeva che l’AZ fin dal 1993 aveva valutato il rischio legato alla mancata comunicazione dell’autorizzazione tecnica francese del 15 aprile 1987 e aveva ritenuto che, per i paesi diversi dal Regno di Danimarca e dalla Repubblica federale di Germania, tale rischio sarebbe consistito, nel peggiore dei casi, nella perdita di sei mesi di protezione supplementare che gli erano stati concessi in base all’autorizzazione tecnica rilasciata in Lussemburgo il 16 novembre 1987. Infatti, nei paesi per i quali le disposizioni transitorie del regolamento n. 1768/92 non ponevano difficoltà, ma per i quali l’AZ aveva utilizzato l’autorizzazione lussemburghese «a fini di coerenza», sarebbe stato possibile al gruppo, in caso di controversia riguardo ai CPC, tornare alla data dell’autorizzazione tecnica francese.

91      Come il Tribunale ha constatato ai punti 595 e 596 della sentenza impugnata, anche dopo aver rivelato, a seguito delle domande poste dagli uffici dei brevetti irlandese e del Regno Unito, l’esistenza dell’autorizzazione tecnica francese, l’AZ ha mantenuto il suo comportamento consistente nel comunicare dichiarazioni ingannevoli al fine di ottenere CPC sulla base della data del 21 marzo 1988 dinanzi agli uffici dei brevetti dei paesi del SEE, ossia in Austria, in Finlandia e in Norvegia, dichiarazioni che hanno effettivamente indotto tali uffici a rilasciare CPC in base a tale data.

92      Infine, dai punti 576‑590 e 597 della sentenza impugnata risulta che, davanti ai giudici finlandesi, norvegesi e tedeschi, l’AZ ha tentato di difendere la validità dei CPC concessi in tali paesi rendendo dichiarazioni inesatte riguardo alla pertinenza della data del 21 marzo 1988, e ciò nonostante disponesse di informazioni concordanti che indicavano che, anche in base alla propria interpretazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1768/92 e alla sua «teoria dell’immissione in commercio», tale data non era quella di cui tenere conto in quanto, in realtà, essa non corrispondeva alla data della pubblicazione del prezzo in Lussemburgo e la commercializzazione effettiva del Losec in questo paese avrebbe avuto luogo prima di tale data.

93      Orbene, si deve constatare, come ha dichiarato il Tribunale ai punti 493, 495, 507, 598, 599, 608 e 609 della sentenza impugnata, che il comportamento costante e lineare dell’AZ, quale sopra riassunto, caratterizzato dalla comunicazione agli uffici dei brevetti di dichiarazioni fortemente ingannevoli nonché da una manifesta assenza di trasparenza in particolare riguardo all’esistenza dell’autorizzazione tecnica francese, mediante il quale l’AZ ha deliberatamente tentato di indurre gli uffici dei brevetti e le autorità giudiziarie in errore al fine di mantenere il più a lungo possibile il suo monopolio sul mercato degli IPP, non rientrava nel concetto di concorrenza basata sui meriti.

94      Tale constatazione non è rimessa in discussione dall’argomento delle ricorrenti basato sull’asserita ragionevolezza della loro interpretazione alternativa dell’articolo 19 del regolamento n. 1768/92 e sulla loro buona fede al riguardo.

95      Infatti, anche supponendo che il gruppo AZ, pur avendo esso stesso considerato, perlomeno in un primo tempo, che l’autorizzazione tecnica rilasciata in Francia il 15 aprile 1987 costituisse quella indicata dal regolamento n. 1768/92, avesse infine ritenuto che la sua interpretazione alternativa fosse ragionevole e che avesse serie possibilità di essere seguita sia dai giudici nazionali sia dalla Corte in caso di contestazione, da parte di concorrenti, dei CPC rilasciati in base alla data del 21 marzo 1988 o del 16 novembre 1987, spettava a tale gruppo comunicare agli uffici dei brevetti tutte le informazioni rilevanti e, in particolare, l’esistenza di questa autorizzazione tecnica francese al fine di consentire ad essi di decidere, in piena coscienza di causa, di quale di tali autorizzazioni tenere conto per il rilascio di CPC.

96      Pertanto, rilasciando presso tali uffici dei brevetti dichiarazioni ingannevoli, dissimulando l’esistenza di detta autorizzazione tecnica francese e facendo loro deliberatamente credere che la data del 21 marzo 1988 corrispondesse all’autorizzazione tecnica lussemburghese e che quest’ultima costituisse la prima AIC nella Comunità, l’AZ ha scientemente accettato che questi ultimi gli rilasciassero CPC che non avrebbero rilasciato se avessero conosciuto l’esistenza dell’autorizzazione tecnica francese e che si sarebbero rivelati illegittimi nel caso in cui l’interpretazione alternativa proposta dall’AZ non fosse stata condivisa dai giudici nazionali o dalla Corte.

97      È peraltro certo, come osservato al punto 92 della presente sentenza, che anche in base alla sua interpretazione alternativa la data del 21 marzo 1988 comunicata agli uffici dei brevetti non era pertinente ai fini del rilascio di CPC. Tale data si riferiva infatti a una lista del Granducato di Lussemburgo intitolata «Ministero della Sanità – Specialità farmaceutiche – Elenco delle specialità farmaceutiche ammesse alla vendita nel Granducato di Lussemburgo», e non corrispondeva in realtà alla data della pubblicazione del prezzo in Lussemburgo. Il Tribunale ha rilevato al riguardo, ai punti 497, 498 e 580‑582 della sentenza impugnata, che, considerato il suo modo di presentarsi, tale elenco non si prestava ad essere considerato come integrante la pubblicazione del prezzo e che, inoltre, il comportamento dell’AZ nella seconda fase dell’abuso tendeva a screditare le affermazioni riguardo alla sua buona fede quanto alla rilevanza di detta data.

98      Considerato alla luce dei fatti accertati dal Tribunale, che le ricorrenti hanno espressamente dichiarato di non voler contestare, il terzo motivo da esse sollevato torna a sostenere la tesi secondo la quale, dal momento che un’impresa in posizione dominante ritiene, secondo un’interpretazione giuridicamente difendibile, di poter rivendicare un diritto, essa può servirsi di qualsiasi mezzo utile a farlo valere, ricorrendo addirittura a dichiarazioni fortemente ingannevoli volte a indurre in errore le autorità pubbliche. Orbene, una tesi del genere è manifestamente contraria alla nozione di concorrenza basata sui meriti e alla responsabilità particolare che incombe a siffatta impresa di non compromettere, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e non falsata nell’ambito dell’Unione.

99      Infine, contrariamente a quanto rileva l’EFPIA, Il Tribunale non ha affatto dichiarato che le imprese in posizione dominante dovessero essere infallibili nelle loro transazioni con le autorità regolamentari e che ciascuna dichiarazione oggettivamente inesatta resa da una siffatta impresa costituisse un abuso di detta posizione, anche quando l’errore fosse stato commesso involontariamente e immediatamente rettificato. È sufficiente constatare al riguardo che, da un lato, tale caso illustrativo si differenzia radicalmente dal comportamento di cui l’AZ ha dato prova nel caso di specie e che, dall’altro, il Tribunale ha sottolineato, ai punti 357 e 361 della sentenza impugnata, che la valutazione della natura ingannevole di dichiarazioni fornite alle autorità pubbliche per ottenere in modo indebito diritti esclusivi dev’essere effettuata in concreto e può variare a seconda delle circostanze specifiche di ciascun caso. Non si può quindi dedurre da tale sentenza che ogni domanda di brevetto fatta da una siffatta impresa, respinta in quanto non rispondente ai criteri di brevettabilità, determini automaticamente l’insorgere di una responsabilità ai sensi dell’articolo 82 CE.

100    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il terzo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul quarto motivo d’impugnazione

–       Argomenti delle parti

101    Con il quarto motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel dichiarare che il semplice fatto di chiedere un CPC bastasse a integrare un abuso. In tal modo esso avrebbe creato un «abuso in sé», senza esaminare se la concorrenza fosse stata compromessa o se il comportamento contestato tendesse a ridurre la concorrenza. Esse ritengono che la concorrenza possa essere compromessa solo a partire dal momento in cui il diritto esclusivo richiesto sia stato concesso, i concorrenti dell’AZ ne abbiano conosciuto l’esistenza e tale diritto sia idoneo a incidere sul comportamento di questi ultimi. Tale approccio avrebbe il merito di essere coerente con quello seguito nel diritto statunitense. 

102    Esse rilevano al riguardo che i CPC sono stati richiesti tra i cinque e i sei anni prima della loro entrata in vigore e che, fino a quel momento, i diritti dell’AZ erano protetti da brevetti su sostanze e, in alcuni casi, anche da brevetti su formule. Inoltre, in Danimarca la domanda di CCP sarebbe stata ritirata, mentre, nel Regno Unito, il CPC sarebbe stato concesso in base alla data «corretta». In Germania il CPC sarebbe stato revocato prima della scadenza del brevetto che lo sottendeva e, in Norvegia, qualche mese dopo tale scadenza. Infine, anche se i CPC rilasciati in Belgio e nei Paesi Bassi avessero effettivamente conferito all’AZ una protezione indebita per, rispettivamente, cinque e sei mesi, non ci sarebbero elementi per provare che tale protezione abbia avuto l’effetto di limitare la concorrenza. Peraltro, l’AZ a questo punto non avrebbe più avuto una posizione dominante. Orbene, per integrare un abuso, occorrerebbe che l’effetto del comportamento potesse essere percepito nel momento in cui l’impresa occupa siffatta posizione.

103    L’EFPIA contesta altresì al Tribunale di aver dichiarato che una dichiarazione ingannevole può costituire un abuso anche se non abbia prodotto effetti esterni in quanto l’errore sia stato corretto dall’ufficio brevetti o da terzi utilizzando sistemi di rettifica, quali procedure di opposizione o procedimenti di dichiarazione di invalidità.

104    La Commissione ritiene che tale motivo sia privo di fondamento.

–       Giudizio della Corte

105    Come risulta, in particolare, dal punto 357 della sentenza impugnata, il Tribunale, nel caso di specie, ha esaminato se, alla luce del contesto in cui è stata messa in atto la prassi considerata fosse tale da indurre le autorità pubbliche a creare indebiti ostacoli normativi alla concorrenza, per esempio attraverso la concessione irregolare di diritti esclusivi a suo vantaggio. Esso ha considerato, a questo riguardo, che il margine di valutazione limitato delle autorità pubbliche o l’assenza di un obbligo ad esse incombente di verificare l’esattezza o la veridicità delle informazioni comunicate potevano costituire elementi rilevanti che dovevano essere presi in considerazione per stabilire se la prassi considerata potesse sfociare nella creazione di ostacoli normativi alla concorrenza.

106    Contrariamente a quanto fanno valere le ricorrenti, detto esame del Tribunale non si basa affatto sul concetto secondo il quale la pratica di cui trattasi costituirebbe un «abuso in sé», indipendentemente dal suo effetto anticoncorrenziale. Al contrario, il Tribunale ha espressamente sottolineato, al punto 377 della sentenza impugnata, che dichiarazioni volte ad ottenere irregolarmente diritti esclusivi costituiscono un abuso solo quando sia dimostrato che, alla luce del contesto oggettivo nel quale vengono rese, tali dichiarazioni sono realmente idonee a spingere le autorità pubbliche ad accordare il diritto esclusivo richiesto.

107    Orbene, come il Tribunale ha constatato, in particolare, ai punti 591‑598 della sentenza impugnata, ciò si è verificato nel caso di specie, il che è peraltro confermato dal fatto che le dichiarazioni ingannevoli dell’AZ gli hanno effettivamente permesso di ottenere CPC cui tale gruppo o non aveva diritto, come in Germania, in Finlandia e in Norvegia, o aveva diritto soltanto per un periodo più limitato, come in Belgio, in Lussemburgo, nei Paesi Bassi e in Austria.

108    Con riferimento in particolare a questi paesi in cui le dichiarazioni ingannevoli dell’AZ gli hanno consentito di ottenere CPC irregolari, le ricorrenti non possono negare l’effetto anticoncorrenziale di dette dichiarazioni per il motivo che i CPC erano stati chiesti tra cinque e sei anni prima della loro entrata in vigore e che, fino a quel momento, i diritti dell’AZ erano protetti da brevetti regolari. Infatti, non solo siffatti CPC irregolari comportano, come il Tribunale ha rilevato ai punti 362, 375 e 380 della sentenza impugnata, un effetto di esclusione rilevante dopo la scadenza dei brevetti di base, ma possono anche alterare la struttura del mercato compromettendo la potenziale concorrenza anche prima di detta scadenza.

109    Tenuto conto di questi effetti anticoncorrenziali il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 605 della sentenza impugnata, come priva di rilevanza la circostanza che in Germania, a seguito di un’azione giudiziaria proposta da un fabbricante di prodotti generici, il CPC è stato annullato prima della scadenza del brevetto di base.

110    Contrariamente a quanto considerano le ricorrenti, non era inoltre affatto necessario che l’AZ si trovasse ancora in posizione dominante dopo la scadenza dei brevetti di base, poiché la natura anticoncorrenziale dei suoi atti deve essere valutata nel momento in cui questi sono stati commessi. Pertanto, il Tribunale ha giustamente respinto, ai punti 379 e 606 della sentenza impugnata, l’argomento basato sul fatto che il vantaggio della protezione supplementare ottenuto in Belgio e nei Paesi Bassi in base alle dichiarazioni ingannevoli si riferiva a un periodo nel corso del quale l’AZ non occupava più una posizione dominante in tali Stati membri.

111    Riguardo alla circostanza che le dichiarazioni ingannevoli dell’AZ non le abbiano permesso di ottenere CPC in Danimarca, e che in Irlanda e nel Regno Unito i CPC siano stati in fin dei conti rilasciati in base alla data corretta, si deve constatare che il Tribunale non ha commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti 602‑604 della sentenza impugnata, che tale circostanza non toglie al comportamento dell’AZ in questi paesi il suo carattere abusivo, dal momento che è accertato che tali dichiarazioni avevano un’elevata probabilità di condurre al rilascio di CPC irregolari. Inoltre, come ha sottolineato la Commissione, dal momento che il comportamento censurato risiede nell’aver posto in essere una strategia d’insieme volta a mantenere illegittimamente i fabbricanti di prodotti generici al di fuori del mercato ottenendo il rilascio di CPC in violazione della normativa che li ha istituiti, sull’esistenza di un abuso non incide il fatto che tale strategia sia stata infruttuosa in alcuni paesi.

112    Infine, quanto alle condizioni che, secondo le ricorrenti, devono essere soddisfatte per poter constatare che le dichiarazioni ingannevoli erano idonee a limitare la concorrenza, è sufficiente constatare che esse tornano in realtà ad esigere la dimostrazione della sopravvenienza attuale e certa di effetti anticoncorrenziali. Orbene, risulta dalla giurisprudenza della Corte che, pur se la prassi di un’impresa in posizione dominante non può essere qualificata abusiva in assenza di un minimo effetto anticoncorrenziale sul mercato, tale effetto non deve essere necessariamente concreto, in quanto è sufficiente la dimostrazione di un effetto anticoncorrenziale potenziale (v., in tal senso, sentenza TeliaSonera Sverige, cit., punto 64).

113    Il quarto motivo deve essere pertanto respinto in quanto infondato.

 Sul secondo abuso di posizione dominante

 La sentenza impugnata

114    I due motivi invocati riguardo alla constatazione del secondo abuso sono stati trattati ai punti 614‑864 nella sentenza impugnata.

115    Nella valutazione del primo di questi motivi, basati su errori di diritto, il Tribunale ha anzitutto rilevato, ai punti 666‑669 di detta sentenza che, dopo lo scadere di un periodo di esclusiva di sei o dieci anni a partire dal rilascio della prima AIC, la direttiva 65/65 non riconosce più al titolare di un medicinale originale il diritto esclusivo di sfruttare i risultati delle prove farmacologiche, tossicologiche e cliniche versate agli atti. Al contrario, essa permette che tali informazioni vengano prese in considerazione dalle autorità nazionali ai fini della concessione di AIC per prodotti essenzialmente simili, nell’ambito della procedura abbreviata prevista all’articolo 4, terzo comma, punto 8, lettera a), sub iii), di tale direttiva. Questa scelta del legislatore risulta dalla ponderazione, da un lato, degli interessi delle imprese innovatrici e, dall’altro, di quelli dei fabbricanti di prodotti essenzialmente simili, nonché dell’interesse di evitare ripetute sperimentazioni sull’uomo o sugli animali senza necessità.

116    Il Tribunale ha ricordato che la Corte, nella sua sentenza del 16 ottobre 2003, AstraZeneca (C‑223/01, Racc. pag. I‑11809, punti 49–54), ha tuttavia considerato che l’interesse connesso alla tutela della sanità pubblica esigeva, affinché una domanda di AIC di un farmaco generico potesse essere trattata nell’ambito della procedura abbreviata prevista indetta disposizione, che l’AIC di riferimento fosse ancora in vigore nello Stato membro interessato alla data del deposito di tale domanda e ostava, di conseguenza, a che il ricorso a tale procedura abbreviata fosse ancora possibile dopo il ritiro dell’AIC di riferimento.

117    Il Tribunale ne ha dedotto, al punto 670 della sentenza impugnata, che la revoca dell’AIC del medicinale originale aveva l’effetto di impedire che il richiedente di un’AIC di un farmaco essenzialmente simile fosse esentato, in forza dell’articolo 4, terzo comma, punto 8, lettera a), sub iii), della direttiva 65/65, dal procedere a prove farmacologiche, tossicologiche e cliniche al fine di dimostrarne l’innocuità e l’efficacia. Pertanto, nel caso di specie, benché la normativa non riconoscesse più all’AZ il diritto esclusivo di sfruttare i risultati di tali prove, le esigenze rigorose legate alla salvaguardia della sanità pubblica, che hanno guidato l’interpretazione della direttiva 65/65 da parte della Corte, hanno permesso al gruppo di impedire o di rendere più difficile, tramite la revoca delle sue AIC, ottenere AIC, in forza di detta procedura abbreviata, per medicinali essenzialmente simili, cui tuttavia i produttori di farmaci generici avevano diritto.

118    Il Tribunale ha constatato, ai punti 675 e 676 della sentenza impugnata, che un tale comportamento diretto ad impedire ai fabbricanti di prodotti generici di far valere il loro diritto di beneficiare dei risultati di dette prove non trovava alcun fondamento nella protezione legittima di un investimento nell’ambito di una concorrenza basata sui meriti. Esso ha in particolare rilevato che la domanda di revoca delle AIC proposta dall’AZ appariva unicamente atta ad impedire ai richiedenti di AIC di farmaci essenzialmente simili il ricorso alla procedura abbreviata e, di conseguenza, a ostacolare o ritardare l’ingresso sul mercato di prodotti generici. Il Tribunale ha precisato che una simile domanda di revoca poteva altresì essere idonea ad impedire le importazioni parallele. Esso ha aggiunto, al punto 677 di detta sentenza, che la circostanza che l’AZ avesse il diritto di chiedere la revoca di tali autorizzazioni non poteva assolutamente sottrarre tale comportamento al divieto previsto dall’articolo 82 CE.

119    Ai punti 678‑684 della sentenza impugnata, il Tribunale ha in seguito respinto l’argomento secondo il quale la compatibilità con l’articolo 82 CE del comportamento censurato doveva essere valutata in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza relativa alle «infrastrutture essenziali». Infine, ai punti 685‑694 di tale sentenza, esso ha respinto l’argomento delle ricorrenti, avanzato per la prima volta nella fase del procedimento dinanzi al Tribunale, secondo il quale, nel caso di specie, gli obblighi di farmacovigilanza cui l’AZ era soggetto in Danimarca, in Norvegia e in Svezia costituivano una causa di giustificazione oggettiva delle domande di revoca delle AIC nei suddetti paesi.

120    Il secondo motivo, relativo al secondo abuso, con il quale le ricorrenti contestavano la valutazione effettuata dalla Commissione dei fatti integranti il comportamento censurato e le conclusioni che quest’ultima ne ha tratto, è stato esaminato ai punti 757‑865 della sentenza impugnata.

121    Ai punti 806‑812 di tale sentenza, il Tribunale ha dichiarato che la domanda di revoca delle AIC delle capsule di Losec non costituiva un comportamento rientrante nelle concorrenza basata sui meriti. Esso ha considerato, per contro, che non si poteva censurare l’AZ per aver lanciato il Losec MUPS né per aver ritirato dal mercato le capsule di Losec, dato che tali atti, contrariamente alla domanda di revoca delle AIC, non erano idonei a ritardare o a impedire l’introduzione dei prodotti generici e le importazioni parallele.

122    Ai punti 824‑863 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato se la Commissione avesse dimostrato in maniera sufficiente che, tenuto conto del contesto oggettivo nel quale il comportamento censurato è stato posto in atto, quest’ultimo era idoneo a limitare la concorrenza impedendo o ritardando l’introduzione di prodotti generici e le importazioni parallele.

123    Con riferimento, in primo luogo, all’introduzione dei prodotti generici, esso ha constatato, al punto 828 di tale sentenza, che la revoca delle AIC aveva reso impossibile il ricorso alla procedura abbreviata ed era dunque idonea a ritardare il rilascio di autorizzazioni per la commercializzazione dei prodotti generici in Danimarca, in Svezia e in Norvegia. Al riguardo, esso ha considerato, ai punti 829‑835 di detta sentenza, che la circostanza invocata dalle ricorrenti secondo cui i concorrenti dell’AZ avrebbero potuto ottenere AIC attraverso procedure alternative, più lunghe e onerose, non era sufficiente per far venir meno il carattere abusivo della domanda di revoca di dette autorizzazioni, essendo tale comportamento unicamente volto ad escludere dal mercato, almeno temporaneamente, i concorrenti costituiti dai fabbricanti di prodotti generici.

124    Con riferimento, in secondo luogo, alle importazioni parallele, il Tribunale ha dichiarato, ai punti 838‑863 della sentenza impugnata, che, anche se la Commissione ha dimostrato che, in Svezia, la revoca dell’AIC delle capsule di Losec era idonea ad escludere le importazioni parallele di tali prodotti, una dimostrazione analoga non era stata tuttavia fornita rispetto al Regno di Danimarca e al Regno di Norvegia. Esso ha pertanto accolto parzialmente tale motivo nei limiti in cui si riferiva a una limitazione delle importazioni parallele in questi due paesi, respingendolo per il resto.

 Sul quinto motivo d’impugnazione

–       Argomenti delle parti

125    Con il loro quinto motivo, le ricorrenti rilevano che il Tribunale ha interpretato in maniera erronea la nozione di «concorrenza basata sui meriti» nel considerare che il semplice esercizio di un diritto conferito dalla normativa dell’Unione era incompatibile con una tale concorrenza. Il diritto di chiedere la revoca di un’AIC non può, secondo ogni logica, essere allo stesso tempo negato e concesso dall’Unione. Esse sostengono in tale contesto che la normativa dell’Unione in materia farmaceutica conferisce al detentore di un’AIC il diritto di chiederne la revoca, come quello di non procedere al suo rinnovo al momento della scadenza. La stessa Commissione, nonché gli avvocati generali La Pergola e Geelhoed, nell’ambito delle loro rispettive conclusioni precedenti le sentenze del 16 dicembre 1999, Rhône Poulenc Rorer e May & Baker (C‑94/98, Racc. pag. I‑8789), e del 10 settembre 2002, Ferring (C‑172/00, Racc. pag.I‑6891), avrebbero espressamente riconosciuto che il titolare può esercitare tale diritto in ogni momento senza dover fornire la minima motivazione e senza dover tener conto degli interessi dei fabbricanti di prodotti generici e degli importatori paralleli. Tali principi risulterebbero altresì della sentenza Ferring, citata.

126    Le ricorrenti sottolineano che l’esistenza di un’AIC fa gravare sul suo titolare gravi oneri in materia di farmacovigilanza, che comportano costi permanenti, che è legittimo evitare se il prodotto autorizzato non è più commercializzato. Privare le società in posizione dominante del loro diritto di chiedere la revoca e obbligarle a mantenere in vigore un’autorizzazione di cui non hanno più bisogno, e quindi a sostenere sforzi, costi e ad assumersi la responsabilità sul piano della sanità pubblica dell’esattezza delle informazioni fornite, senza alcun onere compensativo a carico dei loro concorrenti, amplierebbe eccessivamente l’ambito di responsabilità particolare di tali società.

127    Le ricorrenti imputano inoltre al Tribunale di non aver sufficientemente motivato, al punto 677 della sentenza impugnata, la sua conclusione secondo la quale l’illegittimità di un comportamento abusivo rispetto all’articolo 82 CE non ha alcuna relazione con la sua conformità ad altre norme giuridiche. Infatti, esso avrebbe dovuto spiegare perché l’esercizio da parte dell’AZ di un diritto legittimo costituisse nel caso di specie un abuso. Inoltre, la normativa dell’Unione in materia farmaceutica sarebbe essa stessa volta a conciliare la spinta all’innovazione con la tutela della concorrenza. Esse ritengono, peraltro, che il Tribunale abbia qualificato come abusi una serie di comportamenti diversi da quelli identificati dalla Commissione, il che eccederebbe le sue competenze.

128    La Commissione ritiene questo motivo infondato.

–       Giudizio della Corte

129    Preliminarmente si deve constatare che, come ha osservato il Tribunale al punto 804 della sentenza impugnata, l’elaborazione da parte di un’impresa, anche in posizione dominante, di una strategia finalizzata a minimizzare l’erosione delle proprie vendite e a porsi in condizione di far fronte alla concorrenza dei prodotti generici è legittima e rientra nel gioco normale della concorrenza, a condizione che il comportamento pianificato non si discosti dalle pratiche proprie di una concorrenza basata sui meriti, tale da andare a vantaggio dei consumatori.

130    Tuttavia, contrariamente a quanto fanno valere le ricorrenti, non rientra in tale concorrenza un comportamento come quello censurato nel contesto del secondo abuso, consistente nella domanda di revoca, senza giustificazione oggettiva e successiva alla scadenza del diritto esclusivo di sfruttamento dei risultati delle prove farmacologiche, tossicologiche e cliniche riconosciuto dalla direttiva 65/65, delle AIC per le capsule di Losec in Danimarca, in Svezia e in Norvegia, con cui l’AZ, come il Tribunale ha dichiarato al punto 814 della sentenza impugnata, intendeva ostacolare l’introduzione dei prodotti generici e le importazioni parallele.

131    Al riguardo si deve constatare in particolare che, come il Tribunale ha rilevato al punto 675 di detta sentenza, una volta scaduto il periodo di esclusiva sopra indicato, il comportamento tendente, tra l’altro, ad impedire ai fabbricanti di prodotti generici di fare uso del loro diritto di beneficiare di detti risultati non trova alcun fondamento nella protezione legittima di un investimento che rientra nella concorrenza basata sui meriti, dal momento che, per l’appunto, l’AZ non disponeva più, in forza della direttiva 65/65, del diritto esclusivo di sfruttare tali risultati.

132    Inoltre il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 677 di detta sentenza, che la circostanza, invocata dalle ricorrenti, secondo cui l’AZ, in forza della direttiva 65/65, aveva il diritto di chiedere la revoca delle AIC per le capsule di Losec non può assolutamente sottrarre tale comportamento al divieto previsto dall’articolo 82 CE. Infatti, come il Tribunale ha sottolineato, l’illegittimità di un comportamento abusivo alla luce dell’articolo 82 CE non ha alcuna relazione con la sua conformità o meno ad altre norme giuridiche, e gli abusi di posizione dominante consistono, nella maggioranza dei casi, in comportamenti peraltro legittimi alla luce di branche del diritto diverse dal diritto della concorrenza.

133    Del resto, come osserva l’avvocato generale al punto 78 della sue conclusioni, la direttiva 65/65 mira essenzialmente alla salvaguardia della sanità pubblica e all’eliminazione delle disparità esistenti tra alcune disposizioni nazionali che ostacolano il commercio dei prodotti medicinali all’interno dell’Unione e, pertanto, non persegue, come asserito dalle ricorrenti, gli stessi obiettivi dell’articolo 82 CE, di modo che l’applicazione di quest’ultimo non sarebbe più necessaria per garantire una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno.

134    Si deve ricordare, in tale contesto, che all’impresa che detiene una posizione dominante incombe al riguardo una particolare responsabilità (v. sentenza France Télécom/Commissione, cit., punto 105) e che essa non può, pertanto, come ha dichiarato il Tribunale ai punti 672 e 817 della sentenza impugnata, utilizzare procedure normative in modo da impedire o rendere più difficile l’ingresso di concorrenti sul mercato, in assenza di motivi attinenti alla difesa dei legittimi interessi di un’impresa impegnata in una concorrenza basata sui meriti o in mancanza di giustificazioni oggettive.

135    Quanto all’argomento delle ricorrenti secondo il quale il mantenimento di un’AIC imporrebbe loro gravi obblighi in materia di farmacovigilanza, si deve constatare che siffatti obblighi possono effettivamente costituire una giustificazione oggettiva per chiedere la revoca di un’AIC.

136    Tuttavia, come ha rilevato il Tribunale ai punti 686 e 688 della sentenza impugnata, tale argomento è stato sollevato per la prima volta nella fase del procedimento contenzioso e la questione dell’onere legato a detti obblighi non è mai stata evocata nei documenti interni dell’AZ relativi alla sua strategia commerciale, il che permette di dubitare del fatto che la revoca delle AIC trovi la sua causa, nel caso di specie, in tali obblighi.

137    Il Tribunale ha peraltro considerato, al punto 689 di tale sentenza, che, dal momento che l’AZ non aveva chiesto la revoca delle sue AIC in Germania, in Spagna, in Francia, in Italia, nei Paesi Bassi e in Austria, le ricorrenti non avevano dimostrato che l’onere supplementare che sarebbe gravato sull’AZ, se quest’ultimo gruppo non avesse chiesto la revoca delle sue AIC in Danimarca, in Svezia e in Norvegia, sarebbe stato a tal punto significativo da costituire una causa di giustificazione oggettiva.

138    Alla luce di tale constatazione del Tribunale, che si basa su un’analisi dettagliata, effettuata ai punti 690‑693 di detta sentenza, degli obblighi in materia di farmacovigilanza che incombevano all’AZ rispetto alle sue AIC in questi ultimi paesi, analisi che non è stata contestata dalle ricorrenti, si deve concludere che l’argomento basato su tali obblighi non è suffragato dai fatti.

139    Con riferimento agli argomenti che le ricorrenti cercano di trarre dalle conclusioni presentate nelle cause che hanno dato luogo alle citate sentenze Rhône‑Poulenc Rorer e May & Baker, nonché Ferring, o ancora da quest’ultima sentenza, è sufficiente constatare che tali cause non riguardavano affatto la questione se la domanda di revoca di un’AIC, da parte di un’impresa in posizione dominante, tale da impedire o ritardare l’introduzione dei prodotti generici e le importazioni parallele costituisca una violazione dell’articolo 82 CE e non consentono alcuna deduzione al riguardo.

140    Infine, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il Tribunale non ha in nessun caso ecceduto le proprie competenze nel dichiarare, ai punti 806‑811 della sentenza impugnata, che, pur avendo la Commissione definito il secondo abuso come risultante dalla combinazione delle revoche delle AIC della capsule di Losec con la conversione delle vendite di dette capsule verso il Losec MUPS, l’elemento centrale di tale abuso consisteva in tali revoche, come aveva peraltro confermato la Commissione nell’ambito del procedimento, costituendo detta conversione il contesto in cui queste ultime sono state effettuate, e che soltanto dette revoche erano idonee a produrre gli effetti anticoncorrenziali contestati dalla Commissione e potevano quindi essere qualificate abusi.

141    Da tutte le precedenti considerazioni risulta che il quinto motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sul sesto motivo d’impugnazione

–       Argomenti delle parti

142    Con il sesto motivo, le ricorrenti sostengono che il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nel considerare che il comportamento censurato nell’ambito del secondo abuso era volto a limitare la concorrenza. Esse rilevano che il semplice esercizio di un diritto riconosciuto dal diritto dell’Unione potrebbe tutt’al più essere qualificato «abusivo» soltanto in circostanze eccezionali, vale a dire quando viene esclusa ogni concorrenza effettiva, non essendo a tal fine sufficiente una semplice propensione a falsare la concorrenza. Al riguardo s’imporrebbe un’analogia con i casi di licenza obbligatoria, come quello di cui alla sentenza del 29 aprile 2004, IMS Health (C‑418/01, Racc. pag. I‑5039). Tale analogia si giustificherebbe a causa dell’«espropriazione effettiva» del diritto di chiedere la revoca dell’AIC e per il fatto che il divieto di revoca integrerebbe una forma di licenza obbligatoria. Le ricorrenti affermano peraltro che, contrariamente a quanto il Tribunale ha dichiarato al punto 830 della sentenza impugnata, l’AZ deteneva ancora, dopo la scadenza del periodo di esclusività concesso dalla direttiva 65/65, diritti esclusivi sui dati clinici che sono rimasti riservati, in quanto tale direttiva non prevede l’obbligo, da parte delle società che forniscono tali informazioni riservate, di condividerle con le loro concorrenti.

143    Le ricorrenti considerano di conseguenza che, contrariamente a quanto il Tribunale ha dichiarato in particolare ai punti 824‑827 e 829 della sentenza impugnata, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare nel caso di specie non solo che la revoca dell’AIC ha reso la concorrenza «più difficile», ma che quest’ultima ha avuto un effetto sproporzionato sulla concorrenza. Applicando tale criterio asseritamente corretto, la revoca delle AIC non potrebbe essere qualificata come un abuso, dal momento che, nella fattispecie, la concorrenza non sarebbe stata eliminata né rispetto ai prodotti generici né al livello delle importazioni parallele.

144    Con riferimento ai prodotti generici, le ricorrenti rilevano che, da un lato, la revoca delle AIC non avrebbe privato i fabbricanti di tali prodotti già presenti sul mercato del diritto di continuare a commercializzare i loro prodotti. Dall’altro, i fabbricanti che non erano ancora attivi sul mercato avrebbero goduto di altre possibilità rispetto a quella della procedura abbreviata prevista all’articolo 4, terzo comma, punto 8, lettera a), sub iii), della direttiva, anche se queste ultime erano «meno vantaggiose».

145    Quanto alle importazioni parallele, le ricorrenti ritengono che la decisione della Commissione avrebbe dovuto essere annullata anche nella parte riguardante il Regno di Svezia, non solo poiché la concorrenza era soltanto ostacolata e non eliminata, ma anche in quanto tale ostacolo, nel caso di specie, era causato dall’applicazione errata del diritto dell’Unione da parte dell’autorità svedese, avendo la Corte constatato che gli articoli 28 CE e 30 CE ostano a che la revoca dell’AIC di un prodotto farmaceutico implichi, di per sé sola, la revoca dell’autorizzazione all’importazione parallela in assenza di rischio per la salute (sentenze dell’8 maggio 2003, Paranova Läkemedel e a., C‑15/01, Racc. pag. I‑4175, punti 25‑28 e 33, nonché Paranova, C‑113/01, Racc. pag. I‑4243, punti 26‑29 e 34).

146    La Commissione sostiene che tale motivo è irricevibile in quanto, con il loro argomento basato sulle «licenze obbligatorie», le ricorrenti si limitano a ripetere quanto già esposto in primo grado, senza spiegare perché l’esame di tali argomenti da parte del Tribunale sia errato. In ogni caso, tale motivo sarebbe infondato.

–       Giudizio della Corte

147    Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, tale motivo non è irricevibile. Al riguardo è sufficiente constatare che, qualora un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto dell’Unione effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere di nuovo discussi nel corso dell’impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse basare in tal modo l’impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento di impugnazione sarebbe privato di una parte di significato (v. sentenze del 23 aprile 2009, AEPI/Commissione, C‑425/07 P, Racc. pag. I‑3205, punto 24, e del 29 luglio 2010, Grecia/Commissione, C‑54/09 P, Racc. pag. I‑7537, punto 43).

148    Si deve tuttavia constatare che tale motivo è infondato. Infatti, la situazione che caratterizza il secondo abuso non è affatto comparabile a quella di una licenza obbligatoria o al caso di specie all’origine della sentenza IMS Health, citata, invocata dalle ricorrenti, che riguardava il diniego, da parte di un’impresa in posizione dominante titolare di un diritto di proprietà intellettuale su una struttura modulare, di concedere alle sue concorrenti una licenza d’uso di tale struttura.

149    Infatti, la possibilità fornita dalla direttiva 65/65 di chiedere la revoca dell’AIC non equivale a un diritto di proprietà. Pertanto, il fatto che, tenuto conto della sua responsabilità particolare, un’impresa in posizione dominante non possa ricorrere a tale possibilità in modo da impedire o ostacolare l’accesso di concorrenti al mercato, a meno che essa possa far valere, quale impresa che opera nell’ambito di una concorrenza basata sui meriti, motivi attinenti alla difesa dei propri interessi legittimi o giustificazioni oggettive, non costituisce né un’«espropriazione effettiva» di un tale diritto né un obbligo di concedere una licenza, ma una semplice limitazione delle opzioni offerte dal diritto dell’Unione. 

150    Orbene, la circostanza che l’esercizio di tali opzioni da parte di un’impresa in posizione dominante sia limitato o condizionato al fine di assicurare che non sia ulteriormente compromessa una concorrenza già indebolita dalla presenza di una siffatta impresa, non è affatto eccezionale e non giustifica, contrariamente alla limitazione del libero esercizio di un diritto esclusivo che sancisce la realizzazione di un investimento o di una creazione, una deroga all’applicazione dell’articolo 82 CE.

151    Quanto all’argomento delle ricorrenti secondo cui l’AZ era ancora titolare di diritti esclusivi sui dati clinici versati agli atti, rimasti riservati, esso trascura, come rilevato dal Tribunale al punto 681 della sentenza impugnata, che la direttiva 65/65 ha in ogni caso stabilito una limitazione a tali asseriti diritti prevedendo, all’articolo 4, terzo comma, punto 8, lettera a), sub iii), una procedura abbreviata che permette alle autorità nazionali, alla scadenza del periodo di esclusiva di sei o dieci anni, di basarsi su tali dati, e ai fabbricanti di medicinali essenzialmente simili di beneficiare dell’esistenza di questi ultimi per ottenere il rilascio di un’AIC. Il Tribunale ha pertanto giustamente constatato, ai punti 670, 674, 680 e 830 della sentenza impugnata, che la direttiva 65/65 non riconosceva più all’AZ il diritto di sfruttamento esclusivo dei risultati delle prove farmacologiche, tossicologiche e cliniche versate agli atti.

152    Peraltro, dal momento che le autorità nazionali non rivelano tali dati ai richiedenti nell’ambito della procedura abbreviata, la constatazione del secondo abuso, come sottolinea la Commissione, non ha come conseguenza che ai concorrenti venga consentito l’accesso ai dati clinici e non compromette la riservatezza di questi ultimi.

153    Pertanto il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto né respingendo, ai punti 678‑684 della sentenza impugnata, l’argomento delle ricorrenti secondo cui la compatibilità con l’articolo 82 CE del comportamento censurato nell’ambito del secondo abuso doveva essere valutata secondo i criteri applicati, tra l’altro, nella citata sentenza IMS Health, né dichiarando, ai punti 824 e 826 della sentenza impugnata, che, ai fini della qualificazione di tale comportamento come abuso di posizione dominante, era sufficiente dimostrare che quest’ultimo fosse idoneo a limitare la concorrenza e, in particolare, a costituire un ostacolo all’ingresso sul mercato dei prodotti generici e alle importazioni parallele.

154    Inoltre il Tribunale, verificando se la Commissione avesse effettivamente fornito tale prova per i prodotti generici, ha giustamente dichiarato, ai punti 829‑835 della sentenza impugnata, che la circostanza che il quadro normativo offra vie alternative, più onerose e lunghe, per ottenere un’AIC non esclude il carattere abusivo del comportamento di un’impresa in posizione dominante, dal momento che tale comportamento, considerato obiettivamente, ha l’unico scopo di rendere indisponibile la procedura abbreviata prevista dal legislatore all’articolo 4, terzo comma, punto 8, lettera a), sub iii), della direttiva 65/65 e, dunque, di escludere dal mercato il più a lungo possibile i fabbricanti di prodotti generici e aumentare i loro costi per il superamento delle barriere di ingresso nel mercato, ritardando così la forte pressione concorrenziale esercitata da tali prodotti.

155    Peraltro, con riferimento alle importazioni parallele in Svezia, è assodato, come il Tribunale ha rilevato ai punti 862 e 863 della sentenza impugnata, che la revoca dell’AIC delle capsule di Losec ha avuto effettivamente l’effetto di ostacolare le importazioni parallele, dato che l’agenzia dei prodotti farmaceutici svedese ha revocato le autorizzazioni alle importazioni parallele con efficacia, rispettivamente, al 1° gennaio 1999 e al 30 giugno 1999, considerando che tali autorizzazioni potevano essere rilasciate solo in presenza di AIC valide. Risulta peraltro, in particolare, dal punto 814 della sentenza impugnata e dai documenti ivi indicati che tale conseguenza era prevista, e persino voluta, dall’AZ. Orbene, la sola circostanza che la Corte, nelle citate sentenze Paranova Läkemedel e a. e Paranova, abbia deciso, diversi anni dopo, che la revoca delle AIC per motivi diversi dalla sanità pubblica non giustifica la cessazione automatica dell’autorizzazione all’importazione parallela, qualora la tutela della sanità pubblica possa essere assicurata con mezzi alternativi, quali una collaborazione con le autorità nazionali degli altri Stati membri, non modifica minimamente il fatto che la revoca delle AIC, nel momento in cui è stata chiesta, era idonea ad ostacolare le importazioni parallele.

156    Risulta da quanto precede che il sesto motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sull’ammenda

 La sentenza impugnata

157    Il Tribunale, ai punti 884‑914 della sentenza impugnata, ha esaminato e respinto le quattro censure invocate dalle ricorrenti per contestare la regolarità dell’ammenda loro inflitta dalla Commissione. Tali censure riguardano, rispettivamente, la prescrizione di alcuni degli atti censurati, la gravità delle infrazioni, la loro durata e l’esistenza di circostanze attenuanti. Il Tribunale ha tuttavia ridotto l’importo dell’ammenda tenuto conto dell’errore commesso dalla Commissione riguardo al secondo abuso, ricordato al punto 124 della presente sentenza.

 Argomenti delle parti

158     Con il settimo motivo, suddiviso in due parti, le ricorrenti sostengono che l’importo dell’ammenda loro inflitta è eccessivo.

159    Nell’ambito della prima parte, esse sostengono che il Tribunale avrebbe dovuto ridurre tale importo in quanto gli abusi presentavano un carattere di novità. Nel caso specifico, le regole di concorrenza che si riferiscono a tali abusi non sarebbero mai state stabilite prima, il che, conformemente a quanto sarebbe stato dichiarato al punto 163 della citata sentenza AKZO/Commissione, giustificherebbe l’irrogazione di un’ammenda simbolica. Le ricorrenti contestano, per le ragioni esposte nell’ambito del terzo motivo, l’analisi del Tribunale secondo la quale le pratiche integranti il primo abuso erano manifestamente contrarie alla concorrenza basata sui meriti, così che una riduzione dell’ammenda per il loro carattere inedito era esclusa. La giurisprudenza sulla quale il Tribunale ha basato tale analisi sarebbe inapplicabile, in quanto riguarderebbe una fattispecie del tutto diversa. Con riferimento al secondo abuso, le ricorrenti rilevano che il fatto che la domanda di revoca, da parte dell’AZ, delle sue AIC fosse consentita in base al diritto dell’Unione dovrebbe essere considerato una circostanza attenuante che giustifica una riduzione dell’ammenda.

160    Nell’ambito della seconda parte del settimo motivo, le ricorrenti sostengono che l’assenza di effetti anticoncorrenziali è un fattore di cui il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto in sede di riesame dell’importo dell’ammenda. Esse invocano, al riguardo, le sentenze della Corte del 4 giugno 2009, T‑Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, Racc. pag. I‑4529), e del Tribunale dell’11 marzo 1999, ARBED/Commissione (T‑137/94, Racc. pag. II‑303). Infatti, riguardo al primo abuso, non si sarebbero prodotti effetti anticoncorrenziali in Danimarca e nel Regno Unito in quanto in tali paesi non sarebbero state mai rilasciate AIC. In Germania, anche se un’AIC era stata rilasciata, essa sarebbe stata annullata molto prima della sua entrata in vigore e non avrebbe quindi potuto incidere sulla concorrenza. Inoltre non vi sarebbe prova del fatto che la concorrenza sarebbe stata effettivamente limitata in Belgio, nei Paesi Bassi e in Norvegia. Con riferimento al secondo abuso, le ricorrenti ritengono che l’applicazione errata del diritto dell’Unione da parte dell’autorità svedese competente costituisca un fattore che giustifica una riduzione dell’ammenda.

161    La Commissione considera tale motivo irricevibile in quanto ha ad oggetto un riesame generale dell’ammenda e, in ogni caso, lo considera infondato.

 Giudizio della Corte

162    Preliminarmente si deve ricordare che non spetta alla Corte, quando si pronuncia su questioni di diritto nell’ambito di un’impugnazione, sostituire, per motivi di equità, la sua valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, sull’importo delle ammende inflitte a imprese a seguito della violazione, da parte di queste ultime, del diritto dell’Unione (sentenze del 17 luglio 1997, Ferriere Nord/Commissione, C‑219/95 P, Racc. pag. I‑4411, punto 31, e del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 129).

163    Tuttavia, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 105 delle sue conclusioni, le ricorrenti, con il presente motivo, non intendono semplicemente ottenere un riesame generale delle ammende inflitte, ma sostengono che, nel calcolare le ammende, il Tribunale non ha correttamente valutato il carattere di novità delle infrazioni di cui trattasi e l’effetto di queste ultime. Tale motivo è di conseguenza ricevibile.

164    Con riferimento alla prima parte di detto motivo, relativo al carattere di novità dei due abusi di posizione dominante, si deve constatare che tali abusi, come il Tribunale ha sottolineato al punto 900 della sentenza impugnata, hanno lo scopo deliberato di escludere i concorrenti dal mercato. È quindi assodato che, anche se la Commissione e i giudici dell’Unione non avevano ancora avuto l’occasione di pronunciarsi specificamente su un comportamento come quello che ha caratterizzato tali abusi, l’AZ era consapevole della natura fortemente anticoncorrenziale del suo comportamento e avrebbe dovuto attendersi che quest’ultimo fosse incompatibile con le norme in materia di concorrenza del diritto dell’Unione. Inoltre, come già esposto nell’ambito della valutazione del terzo e del quinto motivo, il Tribunale ha giustamente constatato che tale comportamento era manifestamente contrario a una concorrenza basata sui meriti.

165    Rispetto alla seconda parte di questo motivo, riguardante in particolare l’assenza di effetti anticoncorrenziali concreti del primo abuso in Danimarca, in Germania e nel Regno Unito, è sufficiente constatare che le ricorrenti non possono trarre vantaggio, nell’ambito del calcolo dell’ammenda, dal fatto che, grazie all’intervento di terzi, il loro comportamento fortemente anticoncorrenziale, che avrebbe potuto compromettere in modo rilevante la concorrenza, non ha sempre prodotto gli effetti attesi. Del pari, le ricorrenti non possono trarre vantaggio dal fatto che il comportamento censurato nell’ambito del secondo abuso abbia effettivamente condotto le autorità svedesi, come l’AZ aveva previsto, a revocare le autorizzazioni alle importazioni parallele in violazione degli articoli 28 CE e 30 CE, generando esattamente gli effetti anticoncorrenziali perseguiti dall’AZ. Inoltre, il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 902 della sentenza impugnata, che elementi relativi allo scopo di un comportamento possono avere maggiore rilevanza, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, di quelli relativi ai suoi effetti.

166    Il Tribunale, di conseguenza, non ha commesso nessun errore di diritto concludendo, ai punti 901‑903 e 914 della sentenza impugnata, che il carattere di novità degli abusi e il fatto che questi ultimi non abbiano sempre prodotto gli effetti attesi dall’AZ non giustificavano né una modifica della qualifica di tali abusi come infrazioni gravi, né la constatazione dell’esistenza di circostanze attenuanti e quindi una riduzione dell’ammenda per tali ragioni.

167    Pertanto, il settimo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

168    Poiché nessuno dei motivi d’impugnazione è stato accolto, l’impugnazione deve essere respinta nel suo complesso.

 Sull’impugnazione incidentale proposta dall’EFPIA

169    Gli argomenti avanzati dall’EFPIA a sostegno della sua impugnazione incidentale sono diretti ad ottenere, per quanto non siano già stati presentati nell’ambito dell’impugnazione principale, l’accertamento da parte del Tribunale dell’esistenza di una posizione dominante. Rispetto a quest’ultima il Tribunale ha considerato, in base a una valutazione effettuata ai punti 239‑294 della sentenza impugnata, che la Commissione non ha commesso un errore manifesto concludendo che l’AZ ha detenuto, per alcuni periodi determinati, una siffatta posizione su diversi mercati nazionali durante il periodo di riferimento.

 Sul primo motivo

 Argomenti delle parti

170    Con il suo primo motivo, l’EFPIA contesta al Tribunale di aver commesso un errore di diritto non avendo correttamente tenuto conto del ruolo dello Stato. Il Tribunale non avrebbe in particolare esaminato se l’elevata quota di mercato del gruppo AZ gli permettesse di comportarsi in maniera indipendente dai suoi concorrenti e dai suoi clienti o se, al contrario, il ruolo svolto dallo Stato, che agisce al tempo stesso in veste di acquirente con potere di monopsonio per l’acquisto di medicinali consegnati dietro prescrizione e quanto ente regolatore dei prezzi, escludesse o perlomeno attenuasse l’asserito potere di mercato dell’AZ.

171    Il Tribunale si sarebbe limitato, al punto 257 della sentenza impugnata, a confermare semplicemente le conclusioni della Commissione, che tuttavia non sarebbero sufficienti a fondare la conclusione secondo cui l’AZ era in grado di agire in maniera indipendente nella sua evoluzione nell’ambito di un mercato in cui la fissazione dei prezzi era fortemente regolamentata e su cui esisteva una forte concorrenza in termini di innovazione. Inoltre, il Tribunale non avrebbe esaminato in che misura il potere di negoziazione delle imprese farmaceutiche attribuisse loro un vantaggio rispetto al potere di negoziazione dello Stato.

172    Inoltre, dalla conclusione del Tribunale, ai punti 191 e 262 della sentenza impugnata, secondo cui, da un lato, la sensibilità dei medici e dei pazienti ai diversi prezzi era limitata a causa dell’importanza del ruolo rivestito dall’efficacia terapeutica e, dall’altro, il costo dei farmaci era del tutto o in larga parte coperto dai sistemi previdenziali, risulterebbe che il prezzo ha avuto un impatto limitato sul numero di prescrizioni di Losec e quindi sulla quota di mercato dell’AZ. Di conseguenza, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale al punto 261 di detta sentenza, non si può desumere alcuna conclusione significativa, riguardo al potere di mercato, dal fatto che l’AZ fosse in grado di mantenere quote di mercato superiori a quelle dei suoi concorrenti, pur praticando prezzi più elevati.

173    La Commissione sostiene che il presente motivo è irricevibile, poiché l’EFPIA si limita a chiedere alla Corte di valutare nuovamente gli accertamenti di fatto effettuati dal Tribunale. Detto motivo sarebbe comunque infondato.

 Giudizio della Corte

174    Contrariamente a quanto rileva la Commissione, questo motivo è ricevibile, dal momento che l’EFPIA non contesta i fatti accertati dal Tribunale, ma rimprovera a quest’ultimo, da un lato, di aver omesso di esaminare l’incidenza del ruolo dello Stato per determinare se l’AZ avesse, nel periodo di riferimento, una posizione dominante, e, dall’altro, di aver confermato le conclusioni della Commissione in base ad accertamenti insufficienti.

175    Per valutare la fondatezza di tale motivo va ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di posizione dominante di cui all’articolo 82 CE concerne una posizione di potenza economica detenuta da un’impresa, che le consente di ostacolare il mantenimento di una concorrenza effettiva sul mercato in esame, fornendo alla stessa la possibilità di comportamenti significativamente indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e, in ultima analisi, dei consumatori. L’esistenza di una posizione dominante deriva in generale dalla concomitanza di più fattori che, presi isolatamente, non sarebbero necessariamente decisivi (sentenze della Corte del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione, 27/76, Racc. pag. 207, punti 65 e 66, nonché Hoffmann-La Roche/Commissione, cit., punti 38 e 39).

176    La Corte ha inoltre già avuto l’occasione di precisare che, pur se il significato di quote di mercato può essere diverso da un mercato all’altro, il possesso nel tempo di una quota di mercato estremamente elevata costituisce, salvo circostanze eccezionali, la prova dell’esistenza di una posizione dominante (sentenza Hoffmann-La Roche/Commissione, cit., punto 41) e che quote di mercato superiori al 50% costituiscono quote di mercato estremamente elevate (sentenza AKZO/Commissione, cit., punto 60).

177    Orbene, come il Tribunale ha rilevato ai punti 245‑253, 279, 288 e 290 della sentenza impugnata, è assodato che l’AZ deteneva, nel periodo di riferimento e su tutti i mercati geografici di cui trattasi, quote di mercato estremamente elevate e molto superiori a quelle dei suoi concorrenti, e che la sua posizione su questi mercati era a volte persino schiacciante. Il Tribunale ha pertanto giustamente considerato, ai punti 244, 245, 253 e 278 di tale sentenza, che, nell’analisi approfondita delle condizioni della concorrenza effettuata dalla Commissione, tenendo conto di diversi fattori, quest’ultima poteva basarsi in particolare sull’indicatore del potere di mercato dell’AZ costituito dal possesso, da parte di quest’ultimo gruppo, di quote di mercato generalmente molto elevate, non paragonabili a quelle degli altri attori presenti sul mercato.

178    Inoltre, contrariamente a quanto sostiene l’EFPIA, il Tribunale non ha affatto omesso di esaminare se l’elevata quota di mercato dell’AZ gli permettesse di comportarsi in maniera indipendente dai suoi concorrenti e dai suoi clienti e se il potere di mercato dell’AZ fosse escluso o attenuato a causa del ruolo svolto dallo Stato quale regolatore dei prezzi e acquirente con potere di monopsonio per i medicinali consegnati dietro prescrizione. Al contrario, ai punti 256‑268 della sentenza impugnata, il Tribunale ha condotto, al riguardo, un’analisi particolarmente dettagliata.

179    In tale contesto, il Tribunale ha in particolare considerato, ai punti 256‑260 di tale sentenza, che, anche se il prezzo o il livello di rimborso risultano da una decisione adottata dalle autorità pubbliche, la capacità di un’impresa farmaceutica di ottenere un prezzo o un livello di rimborso superiore varia in funzione del valore aggiunto e innovativo del prodotto, ciò che ha consentito all’AZ, quale primo produttore a proporre un IPP, il cui valore terapeutico era di molto superiore a quello degli anti‑H2, di ottenere dalle autorità pubbliche un prezzo superiore rispetto ai prodotti esistenti e ai prodotti «successivi».

180    Il Tribunale ha peraltro osservato, ai punti 262 e 264 di detta sentenza, che i sistemi sanitari tipici dei mercati di prodotti farmaceutici tendono a sostenere in particolare il potere di mercato delle società farmaceutiche che propongono un prodotto nuovo con un valore aggiunto, in quanto il costo dei farmaci è del tutto o in gran parte coperto dai sistemi previdenziali, il che rende la domanda in larga misura anelastica. Esso ha esposto al riguardo che, nei confronti delle imprese che beneficiano della posizione di primo entrante, i rimborsi assicurati dai sistemi previdenziali, da un lato, sono fissati a livelli relativamente elevati rispetto a quelli per i prodotti «successivi», malgrado gli sforzi di riduzione delle spese sanitarie intrapresi dalle autorità pubbliche allo scopo di compensare la limitata sensibilità dei medici prescriventi e dei pazienti rispetto ai prezzi elevati dei farmaci, e, dall’altro, permettono all’impresa farmaceutica che ne beneficia di fissare il proprio prezzo ad un livello elevato senza temere che i pazienti e i medici si orientino verso altri prodotti meno costosi.

181    Pertanto, il Tribunale ha giustamente considerato, ai punti 261 e 266 della sentenza impugnata, che il fatto che il gruppo AZ sia stato in grado di conservare quote di mercato di gran lunga superiori a quelle dei suoi concorrenti, pur praticando prezzi più elevati rispetto a quelli degli altri IPP, costituiva un elemento importante che indicava come il comportamento dell’AZ non fosse significativamente soggetto ai vincoli esercitati dai suoi concorrenti, dai suoi clienti e, in ultima analisi, dai consumatori.

182    Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che tale motivo dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

183    Con il secondo motivo, L’EFPIA sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel considerare che i diritti di proprietà intellettuale, la posizione di primo entrante e la potenza finanziaria dell’AZ costituivano una prova della sua posizione dominante. Queste tre caratteristiche sarebbero tipicamente condivise da numerose società innovatrici che si impegnano con successo nella ricerca di nuovi prodotti e non consentirebbero di effettuare una distinzione significativa tra le imprese in posizione dominante e le imprese che non godono di tale posizione. Il Tribunale avrebbe pertanto trascurato la giurisprudenza della Corte e, in particolare, le sentenze del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione, detta «Magill» (C‑241/91 P e C‑242/91 P, Racc. pag. I‑743), nonché IMS Health, citata, in cui sarebbe stato confermato che il semplice possesso di diritti di proprietà intellettuale non basta per dimostrare l’esistenza di una posizione dominante.

184    La Commissione ritiene tale motivo irricevibile, poiché si fonda sulla semplice affermazione secondo cui la situazione finanziaria e le risorse umane dell’AZ sarebbero irrilevanti nella valutazione dell’esistenza di una posizione dominante. Per il resto, detto motivo sarebbe infondato.

 Giudizio della Corte

185    Si deve constatare, in primo luogo, che nei limiti in cui tale motivo è diretto avverso le considerazioni che figurano ai punti 283 e 286 della sentenza impugnata, secondo cui la Commissione non ha commesso errori manifesti di valutazione tenendo conto, tra diversi fattori, della posizione dell’AZ di primo entrante sul mercato degli IPP e della sua potenza finanziaria per valutare la sua posizione concorrenziale sul mercato, esso è irricevibile, dal momento che, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 130 nelle sue conclusioni, l’EFPIA non indica perché tale constatazione sarebbe inficiata da un errore di diritto.

186    Per quanto riguarda, inoltre, gli argomenti avanzati dall’EFPIA nel criticare la decisione del Tribunale, al punto 275 della sentenza impugnata, secondo la quale la Commissione non ha commesso un siffatto errore prendendo in considerazione in detta valutazione anche l’esistenza e l’uso dei diritti di proprietà intellettuale dell’AZ, si deve constatare che il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 270 di tale sentenza, che, pur se il semplice fatto di essere titolare di diritti di proprietà intellettuale non può essere considerato sufficiente a costituire siffatta posizione, tuttavia in taluni casi esso può dar luogo a una posizione dominante, in particolare attribuendo all’impresa il potere di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato (v., in tal senso, sentenza Magill, cit., punti 46 e 47).

187    Orbene, come il Tribunale ha rilevato al riguardo al punto 271 della sentenza impugnata, il Losec, in quanto primo IPP introdotto sul mercato, godeva di una tutela tramite brevetto particolarmente forte, sulla base della quale l’AZ ha condotto una campagna di azioni giudiziarie che le ha permesso di esercitare vincoli considerevoli sui suoi concorrenti e di condizionare in larga misura il loro accesso al mercato. Peraltro, l’esistenza e l’uso dei diritti di proprietà intellettuale hanno rappresentato soltanto uno dei diversi elementi su cui la Commissione aveva, nel caso di specie, basato la sua valutazione secondo cui l’AZ ha mantenuto una posizione dominante su diversi mercati nazionali nel periodo di riferimento.

188    Infine, contrariamente a quanto rileva l’EFPIA, la considerazione dei diritti di proprietà intellettuale per stabilire l’esistenza di una posizione dominante non ha affatto la conseguenza che le società che introducono sul mercato prodotti innovativi debbano guardarsi dall’acquisire un portafoglio esteso di diritti di proprietà intellettuale o di far valere tali diritti. È sufficiente ricordare, al riguardo, che non è vietata una siffatta posizione, ma solo il suo sfruttamento abusivo, e che la sua constatazione non comporta di per sé nessun addebito nei confronti dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenze del 16 marzo 2000, Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, C‑395/96 P e C‑396/96 P, Racc. pag. I‑1365, punto 37, nonché TeliaSonera Sverige, cit., punto 24).

189    Di conseguenza, tale motivo deve essere respinto in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.

190    Poiché nessuno dei due motivi dell’impugnazione incidentale proposta dall’EFPIA è stato accolto, quest’ultima deve essere respinta nel suo complesso.

 Sull’impugnazione incidentale proposta dalla Commissione

191    L’impugnazione incidentale della Commissione è diretta avverso le considerazioni del Tribunale enunciate ai punti 840‑861 della sentenza impugnata, nei quali esso ha dichiarato che la Commissione ha dimostrato per il Regno di Svezia, ma non per il Regno di Danimarca né per il Regno di Norvegia, che la revoca dell’AIC delle capsule di Losec poteva escludere le importazioni parallele di tali prodotti.

 Argomenti delle parti

192    La Commissione ritiene che il Tribunale abbia effettuato un’applicazione errata delle norme relative all’onere e al grado della prova esigendo che la Commissione dimostrasse che le autorità nazionali potevano revocare, o revocavano abitualmente, le autorizzazioni alle importazioni parallele a seguito della revoca dell’AIC. Il Tribunale si sarebbe, in realtà, concentrato sugli effetti concreti della pratica invece di applicare il criterio giuridico che si era prefissato. La motivazione del Tribunale sarebbe contraddittoria e comporterebbe conseguenze paradossali. Infatti, il Regno di Danimarca sarebbe stato proprio il solo paese in cui la strategia di revoca elaborata dall’AZ si sarebbe rivelata pienamente efficace. Orbene, il Tribunale avrebbe constatato l’assenza di un abuso in questo paese, il che rivelerebbe l’applicazione di un criterio di causalità troppo rigoroso. Il semplice fatto che altri elementi abbiano potuto contribuire a escludere ogni commercio parallelo non giustificherebbe la considerazione che la revoca non era idonea a generare altresì tale effetto. Peraltro, data la completa identità del contesto normativo che caratterizzava i tre paesi, sarebbe contraddittorio giungere a risultati diversi. Per di più, il Tribunale avrebbe omesso, al punto 850 della sentenza impugnata, di valutare elementi di prova determinanti e, ai punti 839 e 846 di tale sentenza, avrebbe applicato in maniera manifestamente errata la presunzione d’innocenza.

193    Inoltre, la constatazione del Tribunale, ai punti 848 e 849 della sentenza impugnata, che i documenti dell’AZ invocati dalla Commissione riflettevano soltanto l’opinione personale, o le aspettative, dei membri dei servizi dell’AZ e potevano tutt’al più indicare che quest’ultimo gruppo intendeva escludere le importazioni parallele facendo annullare l’AIC delle capsule di Losec, rivelerebbe uno snaturamento manifesto degli elementi di prova. Tali documenti dimostrerebbero che l’AZ aveva effettuato le proprie ricerche sulla prassi delle autorità nazionali e aveva concluso che la sua strategia aveva probabilità di successo dei tre paesi interessati. Pertanto, il Tribunale avrebbe erroneamente preteso, in tali condizioni, che la Commissione indagasse a posteriori, anni dopo il verificarsi dei fatti, sul comportamento che un’autorità avrebbe potuto tenere, laddove le ricerche dell’AZ sul comportamento delle autorità erano particolarmente affidabili. Peraltro, la Commissione sostiene che non le si può contestare di non aver accertato una prassi ancora inesistente, dato che l’operazione di sostituzione e di annullamento era senza precedenti. Inoltre, al punto 849 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe respinto la pertinenza delle prove dell’intento dell’AZ di limitare la concorrenza con mezzi estranei alla concorrenza basata sui meriti in violazione del criterio dallo stesso stabilito e della giurisprudenza della Corte.

 Giudizio della Corte

194    Al fine di valutare la fondatezza dell’argomentazione della Commissione, si devono esaminare i motivi per i quali il Tribunale, nel caso di specie, ha dichiarato che, alla luce dell’argomento delle ricorrenti secondo cui la diminuzione delle importazioni parallele era dovuta al successo del Losec MUPS, tale istituzione non ha sufficientemente dimostrato che la revoca, in Danimarca e in Norvegia, dell’AIC delle capsule di Losec potesse escludere le importazioni parallele di tali prodotti.

195    Con riferimento anzitutto al Regno di Danimarca, il Tribunale ha rilevato, ai punti 840, 843 e 847 della sentenza impugnata, da un lato, che la decisione controversa non conteneva alcun elemento che indicasse che, prima della pronuncia delle citate sentenze Paranova Läkemedel e a. e Paranova, il cui contenuto è stato ricordato al punto 155 della presente sentenza, la prassi delle autorità danesi consisteva nel revocare automaticamente le autorizzazioni alle importazioni parallele a seguito della revoca delle AIC del prodotto interessato per motivi estranei alla sanità pubblica e, dall’altro, che in tale decisione non era nemmeno dimostrato che tali autorità avessero revocato le autorizzazioni alle importazioni parallele delle capsule di Losec.

196    Orbene, il Tribunale ha giustamente considerato, al punto 846 della sentenza impugnata, che spettava alla Commissione fornire elementi di prova per dimostrare che, nel caso di specie, tenuto conto del contesto normativo in questione, le autorità nazionali potevano revocare, o che normalmente revocavano, le autorizzazioni alle importazioni parallele in seguito alla revoca, su domanda del loro titolare, delle AIC del prodotto di cui trattasi. Infatti, anche se le citate sentenze Paranova Läkemedel e a. e Paranova sono state pronunciate soltanto diversi anni dopo la domanda di revoca da parte dell’AZ dell’AIC delle capsule di Losec in Danimarca, non si può presumere, in assenza di tali prove, che le autorità danesi potessero reagire a tale revoca nel modo auspicato dall’AZ, in violazione degli articoli 28 CE e 30 CE, e che detta revoca fosse quindi idonea a limitare la concorrenza.

197    Il Tribunale, peraltro, ai punti 847 e 848 della sentenza impugnata, non ha snaturato il memorandum dell’AZ del 22 ottobre 1997, nel quale alcuni consulenti interni di tale gruppo hanno espresso l’opinione secondo cui «varie autorità scandinave adotterebbero generalmente» la posizione secondo cui le autorizzazioni alle importazioni parallele non potrebbero essere mantenute dopo la revoca delle AIC, considerando che tale documento rifletteva soltanto le aspettative dei membri dei servizi dell’AZ riguardo alla reazione di «varie autorità scandinave», senza però dimostrare che le autorità danesi fossero effettivamente inclini a ritirare le autorizzazioni alle importazioni parallele nel caso di specie, e che detto documento lasciava tutt’al più trasparire l’intento dell’AZ di escludere le importazioni parallele attraverso la revoca dell’AIC delle capsule di Losec. Inoltre, contrariamente a quanto sembra ritenere la Commissione, le aspettative dell’AZ non possono essere sufficienti a stabilire che la revoca dell’AIC in Danimarca fosse oggettivamente idonea a causare la revoca delle autorizzazioni alle importazioni parallele in questo paese.

198    Quanto all’argomento della Commissione secondo cui il Tribunale, ai punti 850 e 851 della sentenza impugnata in cui esamina un documento del consiglio di amministrazione dell’AZ in Danimarca, menzionato al punto 311 della decisione controversa, avrebbe omesso di prendere in considerazione altri elementi di prova, in particolare il documento norvegese sulla strategia post brevetto menzionato al punto 302 di questa decisione, si deve constatare che non solo il punto 311 della decisione controversa fa riferimento al punto 302 della stessa, ma che il documento norvegese sulla strategia post brevetto non esclude affatto che la cessazione delle importazioni parallele di capsule di Losec in Danimarca fosse dovuta, come facevano valere le ricorrenti, allo spostamento dei consumatori verso il Losec MUPS e non a una revoca delle autorizzazioni alle importazioni parallele. Infatti, come il Tribunale ha rilevato al punto 788 di tale sentenza, questo documento precisava semplicemente che, a seguito della revoca delle AIC delle capsule di Losec il 1° novembre 1998, la conversione «avrebbe riprodotto la situazione esistente al momento dell’introduzione del MUPS® da parte dell’Astra Danimarca» e che «il commercio parallelo delle capsule di Losec® sarebbe cessato gradualmente per diventare quasi inesistente dal 1° febbraio 1999».

199    Di conseguenza, il Tribunale ha giustamente concluso, al punto 852 della sentenza impugnata, che, in assenza di qualsiasi indicazione al riguardo nella decisione controversa e tenuto conto del fatto che non era neppure dimostrato che le autorità danesi avessero revocato le autorizzazioni alle importazioni parallele delle capsule di Losec, l’ammissione di una presunzione di esistenza di un nesso di causalità tra la revoca dell’AIC delle capsule di Losec in Danimarca e la cessazione delle importazioni parallele di tale prodotto in questo paese sarebbe incompatibile con il principio secondo cui il dubbio deve risolversi a vantaggio del destinatario della decisione che constata l’infrazione.

200    Riguardo inoltre al Regno di Norvegia, il Tribunale ha rilevato, ai punti 856‑858 della sentenza impugnata, che l’autorità norvegese aveva autorizzato la prosecuzione delle importazioni parallele di capsule di Losec con riferimento all’AIC detenuta dall’AZ per il Losec MUPS, che era a sua volta fondata sull’AIC delle capsule di Losec, e che il comportamento di tale autorità rientrava nella prassi regolamentare ammessa dalla Corte nella sua sentenza Rhône-Poulenc Rorer e May & Baker, citata.

201    Orbene, il fatto che le importazioni parallele di Losec in Norvegia avessero registrato una diminuzione importante a partire dal 1998 nonostante il fatto che l’autorità norvegese avesse mantenuto le autorizzazioni alle importazioni parallele delle capsule di Losec tende ad escludere che la riduzione di tali importazioni trovi la sua causa nella revoca delle AIC e potrebbe, al contrario, indicare che tale riduzione è stata provocata da una riduzione della domanda per le capsule di Losec a seguito dell’introduzione del Losec MUPS.

202    Inoltre, per i motivi esposti al punto 196 della presente sentenza, e come il Tribunale ha constatato ai punti 859 e 860 della sentenza impugnata, la Commissione non poteva, in assenza di elementi di prova, presumere che, nonostante le autorizzazioni alle importazioni parallele fossero state, nel caso di specie, mantenute, la revoca dell’AIC delle capsule di Losec in Norvegia potesse quantomeno indurre le autorità norvegesi a revocare le autorizzazioni alle importazioni parallele.

203    Risulta da quanto precede che l’impugnazione incidentale proposta dalla Commissione dev’essere respinta in quanto infondata.

 Sulle spese

204    A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento medesimo, che si applica al procedimento di impugnazione ai sensi del successivo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

205    Poiché la Commissione ha chiesto la condanna delle ricorrenti e dell’EFPIA, queste ultime, rimaste soccombenti, devono essere rispettivamente condannate, le prime, alle spese dell’impugnazione principale e, la seconda, a quelle della sua impugnazione incidentale; l’EFPIA sopporterà inoltre le proprie spese relative al suo intervento a sostegno dell’impugnazione principale.

206    La Commissione sopporterà le proprie spese relative alla sua impugnazione incidentale.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Le impugnazioni principale e incidentali sono respinte.

2)      L’AstraZeneca AB e l’AstraZeneca plc sono condannate alle spese relative all’impugnazione principale.

3)      L’European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations (EFPIA) è condannata alle spese della sua impugnazione incidentale e sopporterà le proprie spese relative all’impugnazione principale.

4)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese relative alla sua impugnazione incidentale.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.