Language of document : ECLI:EU:C:2014:287

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 30 aprile 2014 (1)

Causa C‑138/13

Naime Dogan

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgericht Berlino (Germania)]

«Accordo di associazione CEE‑Turchia – Protocollo addizionale – Articolo 41, paragrafo 1 – Normativa nazionale che modifica le condizioni di ingresso nel territorio nazionale ai fini del ricongiungimento familiare del coniuge di un cittadino turco che ha esercitato la libertà di stabilimento – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 7, paragrafo 2 – Normativa nazionale che richiede la prova di conoscenze linguistiche di base per il coniuge che desidera fare ingresso nel territorio nazionale ai fini del ricongiungimento familiare»





1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità dal regolamento (CEE) n. 2760/72 del Consiglio, del 19 dicembre 1972 (2) (in prosieguo: il «Protocollo addizionale»), relativo alle misure da adottare nel corso della fase transitoria dell’associazione creata con l’Accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Turchia, firmato il 12 settembre 1963 ad Ankara dalla Repubblica di Turchia, da una parte, nonché dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, dall’altra, e concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con la decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963 (3) (in prosieguo: l’«Accordo di associazione»), nonché l’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (4). La suddetta domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Naime Dogan e la Repubblica federale di Germania in merito al rigetto, da parte delle autorità tedesche, della sua domanda di rilascio di un visto ai fini del ricongiungimento familiare.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

1.      L’Accordo di associazione e il Protocollo addizionale

2.        Ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 1, l’Accordo di associazione ha lo scopo di promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, tenendo pienamente conto della necessità di assicurare un più rapido sviluppo dell’economia turca ed il miglioramento del livello di occupazione e del tenore di vita del popolo turco. Secondo l’articolo 13 di tale Accordo «[l]e Parti contraenti convengono d’ispirarsi agli articoli da [43 CE] a [46 CE] incluso e all’articolo [48 CE] per eliminare tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento».

3.        Conformemente al suo articolo 62, il Protocollo addizionale costituisce parte integrante dell’Accordo di associazione. L’articolo 41, paragrafo 1, di tale Protocollo dispone che «[l]e parti contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi».

2.      La direttiva 2003/86

4.        Ai sensi del suo articolo 1, lo scopo della direttiva 2003/86 è quello «di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri». Ai sensi del suo articolo 4, paragrafo 1, subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV di tale direttiva nonché al suo articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei membri della famiglia nucleare, tra i quali il coniuge del soggiornante.

5.        L’articolo 7 della suddetta direttiva, inserito nel capo IV, intitolato «Condizioni richieste per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare», è formulato come segue:

«1.      Al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, lo Stato membro interessato può chiedere alla persona che ha presentato la richiesta di dimostrare che il soggiornante dispone:

a)      di un alloggio (…);

b)      di un’assicurazione contro le malattie (…);

c)      di risorse stabili e regolari sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari (…).

2.      Gli Stati membri possono chiedere ai cittadini di paesi terzi di soddisfare le misure di integrazione, conformemente alla legislazione nazionale.

In riferimento ai rifugiati e/o ai loro familiari di cui all’articolo 12, le misure di integrazione di cui al primo comma possono essere applicate soltanto dopo che alle persone interessate sia stato accordato il ricongiungimento familiare».

6.        Ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2003/86, gli Stati membri «[i]n caso di rigetto di una domanda, di ritiro o di mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari, prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».

B –    Il diritto tedesco

7.        Come risulta dalla decisione di rinvio, il rilascio del visto richiesto dalla sig.ra Dogan è disciplinato dalle disposizioni della legge tedesca in materia di soggiorno, di lavoro e di integrazione degli stranieri nel territorio federale (Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet; in prosieguo: la «legge sul soggiorno degli stranieri»), novellata dalla comunicazione del 25 febbraio 2008 (5), da ultimo modificata dall’articolo 2 della legge del 21 gennaio 2013 (6). Sotto la rubrica «Obiettivo della legge; ambito di applicazione», l’articolo 1 della suddetta legge, al suo paragrafo 2, punto 1), dispone quanto segue:

«La presente legge non si applica agli stranieri

1)      il cui status è disciplinato dalla legge relativa alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione [Gesetz über die allgemeine Freizügigkeit von Unionsbürgen], salvo disposizione normativa contraria, (…)».

8.        Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8:

«Una conoscenza elementare della lingua tedesca corrisponde al livello A 1 del (…) quadro europeo comune di riferimento per le lingue (raccomandazione del comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. R (98) 6, del 17 marzo 1998, relativa al quadro comune di riferimento per le lingue)».

9.        L’articolo 4, rubricato «Necessità di un permesso di soggiorno» al paragrafo 1, punto 1), prevede che, «[p]er accedere e soggiornare nel territorio della Repubblica federale, gli stranieri devono possedere un permesso di soggiorno (…) a meno che un diritto di soggiorno non sussista ai sensi dell’Accordo del 12 settembre 1963 che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia (…). Il permesso di soggiorno è rilasciato sotto forma di visto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, punti 1 e 3, della presente legge».

10.      Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, «[p]er i soggiorni di lungo periodo è necessario il possesso di un visto per il territorio federale (visto nazionale) rilasciato prima dell’ingresso. (…)».

11.      L’articolo 27, paragrafo 1, dispone che «[a]l fine della tutela del matrimonio e della famiglia, sancita all’articolo 6 della Costituzione tedesca (Grundgesetz), il permesso di soggiorno a tempo determinato può essere rilasciato e prorogato per stabilire o preservare la comunità di vita familiare nel territorio federale a vantaggio dei membri della famiglia straniera (ricongiungimento familiare)».

12.      Sotto la rubrica «Ricongiungimento dei coniugi», l’articolo 30, paragrafo 1, prima frase, punto 2, prevede che «[d]eve essere rilasciato un permesso di soggiorno a tempo determinato al coniuge di uno straniero qualora (…) il coniuge possa comunicare in modo elementare in tedesco (…)». La seconda frase, punto 1, dello stesso paragrafo dispone che «[p]uò essere rilasciato il permesso di soggiorno a tempo determinato, nonostante quanto disposto dal punto 2 della prima frase, qualora (…) lo straniero possieda un permesso di soggiorno ai sensi degli articoli da 19 a 21 della presente legge [permesso di soggiorno per determinate attività lucrative] e il matrimonio fosse già stato contratto quando lo straniero ha spostato il suo centro d’interesse nel territorio federale (…)». Infine, la terza frase, punto 2, prevede che «[p]uò essere rilasciato il permesso di soggiorno a tempo determinato, nonostante quanto disposto dal punto 2 della prima frase, qualora (…) il coniuge, a causa di una malattia o di un’inabilità fisica, mentale o psicologica, non sia in grado di dimostrare che dispone delle conoscenze elementari del tedesco (…)».

13.      Dall’ordinanza di rinvio risulta che l’articolo 30, paragrafo 1, prima frase, punto 2, della legge sul soggiorno degli stranieri è stato introdotto con la legge del 19 agosto 2007 di trasposizione delle direttive dell’Unione europea in materia di diritto di soggiorno e d’asilo (Gesetz zur Umsetzung aufenhalts- und asylrechtlicher Richtlinien der Europäischen Union) (7).

II – Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14.      La ricorrente, cittadina turca residente in tale paese, chiede un visto ai fini del ricongiungimento familiare con suo marito, anch’esso cittadino turco, che vive in Germania dal 1998, dove gestisce una società a responsabilità limitata di cui è azionista maggioritario e dove dispone, dal 2002, di un permesso di soggiorno a tempo determinato divenuto, in seguito, un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Prima di sposarsi con rito civile nel 2007, la ricorrente e il sig. Dogan avevano già contratto matrimonio religioso dinanzi ad un imam, unione da cui sono nati in totale quattro figli nel corso degli anni dal 1988 al 1993.

15.      Il 18 gennaio 2011, la ricorrente ha chiesto all’ambasciata tedesca ad Ankara il rilascio di un visto ai fini del ricongiungimento familiare dei coniugi e dei figli, per sé e, in un primo tempo, per due dei suoi figli. A tal fine, ha allegato una certificazione dell’istituto Goethe relativa ad un test di lingua di livello A 1 che essa avrebbe svolto il 28 settembre 2010 e superato con la valutazione «sufficiente» (62 punti su 100). Il risultato nella parte scritta è stato di 14,11 punti su 25.

16.      Considerando che la ricorrente, che è analfabeta, ha superato il test scegliendo a caso le risposte di un questionario a risposta multipla e imparando e ripetendo a memoria tre frasi standard, l’ambasciata tedesca ha respinto la domanda con decisione del 23 marzo 2011, in mancanza di dimostrazione della conoscenza della lingua tedesca. La ricorrente non ha contestato la suddetta decisione, ma il 26 luglio 2011 ha presentato, presso la stessa ambasciata, una nuova domanda di rilascio di un visto ai fini del ricongiungimento familiare solo per se stessa, domanda che, ancora una volta, è stata respinta dall’ambasciata con decisione del 31 ottobre 2011. In seguito alla domanda di riesame presentata il 15 novembre 2011 dalla ricorrente tramite un avvocato, l’ambasciata tedesca ad Ankara ha annullato la decisione iniziale e l’ha sostituita con una decisione del 24 gennaio 2012, che ugualmente respinge la domanda in ragione del fatto che la ricorrente non dispone delle conoscenze linguistiche necessarie poiché è analfabeta.

17.      La ricorrente ha presentato ricorso nei confronti della decisione del 24 gennaio 2012 dinanzi al giudice del rinvio. Quest’ultimo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 41, paragrafo 1, del [Protocollo addizionale] osti a una norma di diritto interno, introdotta solo successivamente alla sua entrata in vigore, in base alla quale il primo ingresso nella Repubblica federale di Germania di un familiare di un cittadino turco che goda del regime di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, è subordinato alla sua previa dimostrazione della capacità di comunicare in modo elementare in tedesco.

2)      Se l’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva [2003/86] osti alla norma di diritto interno indicata nella prima questione».

III – Analisi

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

18.      Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una norma di diritto interno, adottata successivamente all’entrata in vigore del Protocollo addizionale, che subordina l’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato, ai fini del ricongiungimento familiare, del coniuge di un cittadino turco stabilito in tale Stato membro alla dimostrazione che esso disponga di una conoscenza elementare della lingua ufficiale del suddetto Stato membro, costituisca una «nuova restrizione» ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del suddetto Protocollo.

19.      Secondo una giurisprudenza costante, tale disposizione enuncia, in termini chiari, precisi e incondizionati, una clausola non equivoca di «standstill» che «implica un obbligo (…) che si risolve giuridicamente in una semplice astensione» (8) e «[può] essere invocat[a] dinanzi ai giudici nazionali da cittadini turchi ai quali [è] applicabil[e] al fine di escludere l’applicazione della normativa interna in contrasto con ess[a]» (9). Quanto alla sua portata, la Corte ha precisato che, sebbene la suddetta clausola non sia di per sé tale da far sorgere in capo ad un cittadino turco un diritto di stabilimento o un diritto di soggiorno direttamente derivanti della normativa dell’Unione, essa tuttavia è di ostacolo all’adozione, da parte di uno Stato membro, di qualsiasi nuova misura avente per oggetto o per effetto di sottoporre lo stabilimento e, correlativamente, il soggiorno di tale cittadino nel suo territorio a condizioni più restrittive di quelle che erano applicabili al momento dell’entrata in vigore del Protocollo addizionale nei confronti dello Stato membro considerato (10). Nello stesso senso, la Corte ha riconosciuto che, benché non abbia come conseguenza di concedere ai cittadini turchi un diritto d’ingresso sul territorio di uno Stato membro – dal momento che quest’ultimo, allo stato attuale del diritto dell’Unione, rimane disciplinato dal diritto interno – l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale «deve essere applicat[o] anche alla normativa relativa alla prima ammissione dei cittadini turchi in uno Stato membro sul territorio del quale essi intendono avvalersi della libertà di stabilimento ai sensi dell’Accordo di associazione» (11). La clausola in esso contenuta opera, pertanto, «non come norma sostanziale, rendendo inapplicabile il diritto sostanziale pertinente al quale si sostituirebbe, ma come una norma di natura quasi procedurale, che stabilisce, ratione temporis, quali sono le disposizioni della normativa di uno Stato membro alla luce delle quali occorre valutare la situazione di un cittadino turco che intende avvalersi della libertà di stabilimento in [tale] Stato membro» (12). In tal senso, l’articolo 41, paragrafo 1, del suddetto Protocollo si presenta come il «necessario corollario degli artt. 13 e 14 dell’Accordo di associazione, del quale costituisce lo strumento indispensabile per realizzare la progressiva abolizione degli ostacoli nazionali alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi» (13).

20.      Nella fattispecie, sebbene sia pacifico che il sig. Dogan benefici della clausola enunciata dall’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, in quanto esercita sul territorio dell’Unione un’attività autonoma, si pone al contrario la questione se tale clausola si applichi anche alla moglie, che ha chiesto un visto ai fini del ricongiungimento familiare e non intende fare ingresso nel territorio tedesco al fine di esercitarvi un’attività di cui alla suddetta disposizione.

21.      La Commissione europea suggerisce una risposta affermativa, sostenendo che la sig.ra Dogan è legittimata a valersi della suddetta clausola in quanto membro della famiglia del sig. Dogan ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 del consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa allo sviluppo dell’associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»). Secondo la Commissione, ai sensi della norma di convergenza d’interpretazione tra l’articolo 41 del Protocollo addizionale e l’articolo 13 della decisione n. 1/80, che enuncia una clausola di «standstill» analoga (14), l’interpretazione che la Corte dà di tale ultima disposizione si può estendere alla prima. Orbene, essa ricorda che, nella sentenza pronunciata nelle cause Toprak e Oguz (15), la Corte ha precisato che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 si applica non solo ai regimi che trattano delle condizioni di accesso all’impiego dei lavoratori turchi, ma anche a quelli che riguardano il diritto dei coniugi stranieri in materia di ricongiungimento familiare.

22.      Il ragionamento seguito dalla Commissione non mi pare convincente. È vero che, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, l’articolo 13 della decisione n. 1/80 e l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, benché abbiano un ambito di applicazione distinto e non possano trovare applicazione congiuntamente, presentano tuttavia un «significato identico» (16), che perseguono lo stesso obiettivo e che la portata dell’obbligo di «standstill» da essi previsto «va estesa in via analogica ad ogni nuovo ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento, della libera prestazione di servizi o della libera circolazione dei lavoratori, che consista in un aggravamento dei presupposti esistenti a una certa data» (17). D’altronde, è esattamente sulla base di tale convergenza di obiettivi che la Corte ha dichiarato, nonostante le differenze di formulazione tra le due disposizioni, che l’articolo 13 della decisione n. 1/80 si applica non solo alle misure direttamente connesse all’accesso all’impiego ma, come anche l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, anche alle norme che disciplinano la prima ammissione e il soggiorno dei lavoratori turchi (18). È altrettanto vero che, come risulta dalla sua formulazione, l’articolo 13 della decisione n. 1/80 si applica non solo ai lavoratori turchi, ma anche ai loro familiari e che, quanto a questi ultimi, la Corte, nella sentenza Abatay e a., ha affermato che la suddetta decisione «non subordina all’esercizio di un’attività lavorativa il loro accesso al territorio di uno Stato membro a titolo di riunificazione familiare con un lavoratore turco già legittimamente presente nel detto Stato» (19).

23.      Tuttavia, come è stato correttamente sottolineato dai governi tedesco e danese nelle loro osservazioni, dalla sentenza Toprak e Oguz risulta che solo qualora la normativa in materia di ricongiungimento familiare oggetto del procedimento principale (20)riguardasse la situazione dei lavoratori turchi, quali i sigg. Toprak e Oguz, sarebbe stato opportuno farla rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 (21). Una siffatta posizione è coerente con l’obiettivo perseguito da tale disposizione, nonché dall’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, di impedire che le autorità nazionali introducano nuovi ostacoli all’esercizio, rispettivamente, della libera circolazione dei lavoratori, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

24.      Orbene, i cittadini turchi, quali la sig.ra Dogan, che chiedono di essere ammessi nel territorio di uno Stato membro unicamente ai fini del ricongiungimento familiare e non per esercitarvi una delle libertà economiche previste dall’Accordo di associazione, non potrebbero invocare la violazione di un tale obiettivo nei loro confronti.

25.      Certamente, l’articolo 7 della decisione n. 1/80, a talune condizioni, conferisce diritti autonomi ai familiari dei lavoratori turchi inseriti nel regolare mercato del lavoro (22) allo scopo di creare condizioni favorevoli al ricongiungimento familiare nello Stato membro ospitante (23). Tuttavia, nell’economia dell’Accordo di associazione, un tale scopo non è che uno strumento che mira ad agevolare la realizzazione degli obiettivi dell’associazione, vale a dire, segnatamente, la progressiva diffusione delle libertà di circolazione dei lavoratori, di stabilimento e della libera prestazione dei servizi ai sensi degli articoli 12, 13 e 14 del suddetto Accordo. Ne consegue che da una lettura in combinato disposto degli articoli 7 e 13 della decisione n. 1/80 non si potrebbe concludere che i familiari di un lavoratore turco che hanno chiesto di fare ingresso nel territorio di uno Stato membro ai fini del ricongiungimento familiare e non al fine di esercitarvi un’attività dipendente possano invocare la clausola di «standstill» per opporsi all’applicazione nei loro confronti di una normativa quale quella oggetto del procedimento principale che è in grado di impedire o, quantomeno, di rendere più difficile l’acquisizione da parte loro dei diritti che potrebbero derivare dall’articolo 7 della decisione n. 1/80.

26.      Precisato ciò, si tratta, in questa fase, di esaminare se la sig.ra Dogan, benché non abbia fruito e non intenda fruire delle libertà economiche di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, possa valersi della clausola di «standstill» prevista da tale articolo per opporsi all’applicazione nei suoi confronti di un provvedimento nazionale in grado di costituire una nuova restrizione all’esercizio delle suddette libertà da parte del proprio coniuge.

27.      Preliminarmente ricordo che, nella causa Abatay e a., la Corte ha già avuto l’occasione di riconoscere il diritto di un cittadino turco di invocare il beneficio dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, benché non fosse direttamente interessato da tale disposizione. Nella fattispecie, si trattava di camionisti turchi dipendenti di un’impresa stabilita in Turchia che prestava legalmente servizi all’interno di uno Stato membro. Essi si opponevano all’applicazione nei loro confronti di condizioni per l’esercizio della loro attività dipendente introdotte dalla Repubblica federale di Germania dopo l’entrata in vigore del Protocollo addizionale. Basandosi su un’applicazione analogica della sentenza Clean Car Autoservice (24), la Corte ha sostanzialmente riconosciuto che, poiché i dipendenti di un prestatore di servizi sono indispensabili per consentire a quest’ultimo di fornire le sue prestazioni, il diritto di un datore di lavoro stabilito in Turchia di effettuare prestazioni di servizi in uno Stato membro alle condizioni previste all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale deve necessariamente essere affiancato dal diritto dei suoi dipendenti di eseguire gli incarichi loro affidati nell’ambito delle suddette prestazioni alle stesse condizioni (25).

28.      È opportuno dunque stabilire se la misura oggetto del procedimento principale, che riguarda le condizioni alle quali è sottoposto il ricongiungimento familiare, comporti una «restrizione» indiretta, come nel caso esaminato dalla Corte nella citata causa Abatay e a., alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale. Al contrario, il suo carattere «nuovo» ai sensi di tale disposizione non è in discussione.

29.      A tal proposito, occorre innanzitutto considerare che dalla formulazione dell’articolo 13 dell’Accordo di associazione, nonché dall’obiettivo dell’associazione CEE‑Turchia, risulta che i principi ammessi nell’ambito degli articoli da 52 a 56 del trattato CE (divenuti gli articoli da 43 CE a 47 CE e poi da 49 TFUE a 53 TFUE) devono essere applicati, nella misura possibile, ai cittadini turchi. Tale principio interpretativo, inizialmente sancito dalla Corte nell’ambito dell’articolo 12 dell’Accordo di associazione, poi confermato nell’ambito del suo articolo 14 (26) è applicabile altresì al suo articolo 13, che contiene una norma analoga alle due summenzionate disposizioni. Come andrò meglio a chiarire in seguito, lungi dall’essere rimesso in discussione dalle sentenze pronunciate dalla Corte nelle cause Ziebell e Demirkan (27), il suddetto principio è stato espressamente confermato dall’ultima di tali decisioni.

30.      È opportuno poi ricordare che, secondo la giurisprudenza, devono essere considerate come restrizioni alla libertà di stabilimento, ai sensi dell’articolo 49 TFUE, tutte le misure che impediscono, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di tale libertà da parte dei cittadini dell’Unione (28). Orbene, conformemente al principio esposto al precedente paragrafo 29, tale stessa definizione deve, a mio avviso, essere tenuta presente qualora si tratti di stabilire il contenuto e la portata della nozione di «restrizione» di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale. Pertanto, tale disposizione, che cristallizza la normativa alla quale è sottoposta, in un dato momento, la situazione di un cittadino turco che intende fare uso della libertà di stabilimento ai sensi dell’Accordo di associazione, si oppone a qualsiasi deterioramento di tale situazione che possa impedire, ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio di tale libertà.

31.      Come sostiene la Commissione nelle sue osservazioni, l’assenza, per un cittadino turco, della prospettiva concreta di un ricongiungimento familiare sul territorio dello Stato membro dove è stabilito o intende stabilirsi al fine di esercitare la sua attività autonoma è in grado di ostacolare o, quantomeno, di rendere meno attraente l’esercizio, da parte sua, della libertà di stabilimento di cui all’Accordo di associazione. In mancanza della suddetta prospettiva, un tale cittadino potrebbe, infatti, tanto essere dissuaso dall’andare a stabilirsi nel territorio dell’Unione, qualora il vincolo familiare sia già presente, quanto essere spinto ad interrompere la sua attività e a lasciare il territorio, qualora tale vincolo si sia creato dopo la sua partenza. Nei due casi sarebbe obbligato a scegliere tra la sua attività e il mantenimento dell’unità familiare.

32.      A tal proposito, ricordo che tanto il legislatore comunitario, a partire dai primi testi di esecuzione delle disposizioni del trattato, quanto la Corte hanno riconosciuto l’esistenza di un legame di principio tra il mantenimento dell’integrità della vita familiare e il pieno godimento delle libertà fondamentali (29) a condizioni che garantiscano il rispetto della libertà e della dignità dei lavoratori migranti (30). In tal senso, una violazione della prima è in grado di costituire un ostacolo al pieno esercizio delle seconde (31).

33.      Orbene, benché né l’Accordo di associazione né il Protocollo addizionale o gli atti adottati dal consiglio di associazione prevedano un diritto al ricongiungimento familiare, il legame esistente tra l’esercizio delle libertà economiche di cui al suddetto Accordo e l’integrazione familiare impone, a mio avviso, che una misura di uno Stato membro che introduce una nuova condizione all’ingresso nel territorio nazionale del coniuge di un cittadino turco che ha fruito o intende fruire della libertà di stabilimento ai sensi del suddetto Accordo con riferimento a quelle esistenti al momento dell’entrata in vigore del Protocollo addizionale per tale Stato membro ricada nell’ambito di applicazione della clausola di «standstill» prevista dall’articolo 41, paragrafo 1, del suddetto Protocollo.

34.      Una siffatta conclusione trova conferma nell’obiettivo della suddetta clausola, più volte ricordato dalla Corte, che è quello di creare condizioni favorevoli alla realizzazione progressiva della libertà di stabilimento tra gli Stati membri e la Repubblica di Turchia (32) attraverso il divieto di qualsiasi nuova misura che avrebbe «lo scopo o l’effetto» di sottoporre lo stabilimento dei cittadini turchi in uno Stato membro a condizioni più restrittive di quelle che derivavano dalle norme ad essi applicabili alla data di entrata in vigore del Protocollo addizionale nei confronti dello Stato membro considerato (33). Peraltro, tenuto conto della potenzialità dissuasiva delle misure che riguardano le condizioni alle quali è sottoposto il ricongiungimento familiare, non merita accoglimento l’argomento dei governi tedesco e olandese, secondo il quale l’impatto di una norma quale quella oggetto del procedimento principale sull’esercizio della libertà di stabilimento ai sensi dell’Accordo di associazione è troppo distante ed ipotetico per poter rilevare ai fini dell’applicazione della clausola di «standstill» prevista all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale.

35.      Non si oppongono all’interpretazione proposta le recenti sentenze pronunciate dalla Corte nelle citate cause Ziebell e Demirkan.

36.      Nella prima di tali sentenze, la Corte ha escluso dall’ambito dell’Accordo di associazione la direttiva 2004/38 (34), respingendo, di conseguenza, l’argomento avanzato dal sig. Ziebell, secondo il quale l’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, che regola la tutela contro l’allontanamento di cui beneficiano i cittadini dell’UE, doveva servire da riferimento per determinare il senso e la portata dell’eccezione al diritto di soggiorno fondata su ragioni di ordine pubblico enunciate all’articolo 14, paragrafo 1, della decisione n. 1/80. La conclusione alla quale è pervenuta la Corte era sostanzialmente fondata sulla constatazione che, contrariamente alla direttiva, che mira ad «agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri che il Trattato conferisce direttamente ai cittadini dell’Unione», l’Accordo di associazione «persegue una finalità esclusivamente economica» (35).

37.      Il caso di specie si distingue nettamente da quello della causa Ziebell. Nella fattispecie non si tratta di riconoscere all’associazione con la Repubblica di Turchia un oggetto e una finalità che le sono estranei, bensì di garantire la piena realizzazione di quelli che le sono propri, vale a dire, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’Accordo di associazione, «promuovere un rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le Parti, tenendo pienamente conto della necessità di assicurare un più rapido sviluppo dell’economia turca ed il miglioramento del livello dell’occupazione e del tenore di vita del popolo turco». La trasposizione nell’ambito di applicazione dell’Accordo, tramite l’articolo 13 dello stesso, della nozione di ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento, come interpretata e applicata dalla Corte, rientra in tale logica.

38.      Nella citata sentenza Demirkan la Corte ha escluso che la nozione di libera prestazione dei servizi di cui all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale possa essere interpretata nel senso che essa include anche la libertà per i cittadini turchi, destinatari di servizi, di recarsi in uno Stato membro per fruire ivi di una prestazione di servizi. Per giungere ad una siffatta conclusione, la Corte, sulla base della sentenza Ziebell, ha constatato che «tra l’Accordo di associazione nonché il suo Protocollo addizionale, da un lato, e il Trattato, dall’altro, sussistono differenze dovute, in particolare, al nesso esistente tra la libera prestazione dei servizi e la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione» e che «[l]o sviluppo delle libertà economiche per consentire una libera circolazione delle persone di ordine generale, che sia paragonabile a quella applicabile, ai sensi dell’articolo 21 TFUE, ai cittadini dell’Unione, non è oggetto dell’Accordo di associazione» (36). Secondo la Corte, la libera prestazione passiva dei servizi, derivante dal processo di creazione di un mercato interno concepito come uno spazio senza frontiere al proprio interno, è intimamente connessa al principio generale di libera circolazione delle persone che sottende alla creazione di un siffatto spazio. Al contrario, «indipendentemente dal fatto che il tramite sia la libertà di stabilimento oppure la libera prestazione dei servizi, è solo in quanto costituente il corollario dell’esercizio di un’attività economica che la clausola di “standstill” [prevista all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale] può riguardare le condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini turchi nel territorio degli Stati membri» (37).

39.      Nella fattispecie non si tratta di trasporre nell’ambito dell’Accordo di associazione un concetto, quale la prestazione passiva di servizi, che racchiude in sé il riconoscimento di un principio generale di libera circolazione delle persone, bensì una nozione, quella di ostacolo all’esercizio della libertà di stabilimento, che consente di definire i contorni di tale libertà e di favorire, imponendo obblighi di astensione alle autorità competenti delle parti contraenti, la sua piena realizzazione conformemente agli obiettivi dell’associazione. Una siffatta operazione si colloca nel solco di una linea giurisprudenziale ben consolidata della Corte che, come ho già rilevato in precedenza, non è smentita ma, al contrario, confermata dalla sentenza Demirkan (38).

40.      Il governo tedesco sostiene che, anche supponendo che la misura oggetto del procedimento principale possa essere qualificata come restrizione ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, essa sarebbe tuttavia giustificata dall’obiettivo di contrastare i matrimoni forzati. Secondo tale governo, l’acquisizione delle conoscenze linguistiche di base anteriormente all’ingresso nel territorio dello Stato membro ospitante favorirebbe l’integrazione del coniuge nella società di tale Stato, aumenterebbe le sue possibilità di sviluppare una vita sociale autonoma, riducendo allo stesso tempo l’influenza della famiglia acquisita, e gli consentirebbe, all’occorrenza, di rivolgersi alle autorità competenti al fine di ottenere tutela. È necessario osservare che, in generale, l’istruzione è un fattore dissuasivo, poiché rende meno facilmente manipolabili potenziali vittime dei matrimoni forzati.

41.      Nella sentenza Demir (39), la Corte ha precisato che una restrizione ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80 è vietata «a meno che essa rientri nelle limitazioni di cui all’articolo 14 di tale decisione [(40)] o sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, sia idonea a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vada al di là di quanto necessario per ottenerlo». In virtù della convergenza di interpretazioni delle clausole di «standstill» previste all’articolo 13 della decisione n. 1/80 e all’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, ricordata al precedente paragrafo 22, la stessa eccezione è applicabile nell’ambito di tale ultima disposizione.

42.      Orbene, anche supponendo, come sostiene il governo tedesco, che l’obiettivo della lotta contro i matrimoni forzati possa essere invocato da quest’ultimo quale motivo imperativo di interesse generale che giustifica restrizioni ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale e che la misura oggetto del procedimento principale sia adeguata per il perseguimento di un siffatto obiettivo, nutro tuttavia dubbi relativamente al suo carattere proporzionato. Una misura in grado di ritardare in modo indefinito il ricongiungimento familiare nel territorio dello Stato membro interessato e che, salvo un numero ridotto di eccezioni definite in maniera esaustiva, si applica indipendentemente da una valutazione dell’insieme delle circostanze pertinenti di ciascuna fattispecie, non presenta, a mio avviso, un tale carattere. Peraltro, non condivido l’opinione del governo tedesco, secondo il quale misure alternative, per esempio l’obbligo di partecipare a corsi d’integrazione e di lingua successivamente all’ingresso nel territorio tedesco, non sarebbero altrettanto efficaci quanto la preventiva acquisizione di conoscenze linguistiche al fine di evitare l’esclusione sociale delle vittime dei matrimoni forzati. Al contrario, un siffatto obbligo indurrebbe tali persone ad uscire dal loro contesto familiare, favorendo così il loro contatto con la società tedesca. I loro familiari che esercitano una costrizione su di esse sarebbero, per quanto li riguarda, costretti a consentire un tale contatto che, in assenza di un simile obbligo, potrebbe essere concretamente ostacolato, e ciò nonostante il fatto che la persona in questione disponga di una conoscenza elementare del tedesco. Inoltre, il fatto di intrattenere relazioni regolari con gli organismi e le persone responsabili dell’organizzazione dei suddetti corsi potrebbe contribuire a creare le condizioni favorevoli a una richiesta d’aiuto spontanea da parte delle vittime, nonché agevolare l’identificazione e la denuncia alle autorità competenti delle situazioni che richiedono il loro intervento.

43.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale posta dal Verwaltungsgericht Berlino dichiarando che l’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale deve essere interpretato nel senso che il divieto che ne consegue, per gli Stati membri, di introdurre nuove restrizioni alla libertà di stabilimento ricomprende altresì misure, quali quelle oggetto del procedimento principale, che siano state introdotte successivamente all’entrata in vigore, nello Stato membro interessato, del suddetto Protocollo e che hanno per oggetto o per effetto di rendere più difficile l’ingresso nel territorio di tale Stato membro, ai fini del ricongiungimento familiare, del coniuge di un cittadino turco che abbia fruito della libertà di stabilimento ai sensi dell’Accordo di associazione.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

44.      Dal momento che la seconda questione è rilevante solo in caso di risposta negativa alla prima, la esaminerò brevemente nei seguenti paragrafi, solo in via subordinata e nell’ipotesi che la Corte non aderisca alla soluzione da me prospettata in relazione alla prima questione.

45.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio in sostanza mira a sapere se l’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che osta alla normativa oggetto del procedimento principale, che subordina il diritto di accesso in Germania del coniuge di un cittadino di un paese terzo soggiornante regolarmente in tale Stato membro alla dimostrazione di una conoscenza di base della lingua tedesca.

46.      L’articolo 7, paragrafo, 2, primo comma, della direttiva 2003/86 prevede che gli Stati membri hanno il diritto di chiedere ai potenziali beneficiari del ricongiungimento familiare di soddisfare le misure di integrazione. Secondo il governo tedesco, la condizione relativa alla conoscenza elementare della lingua tedesca, che persegue il doppio obiettivo di agevolare l’integrazione dei nuovi arrivati in Germania e di contrastare i matrimoni forzati, costituisce una misura di integrazione ammissibile sulla base di tale disposizione.

47.      In via preliminare, ricordo che il diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») rientra tra i diritti fondamentali che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, sono tutelati nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Tale diritto, che è altresì sancito all’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta»), ricomprende anche il diritto al ricongiungimento familiare (41) e «implica per gli Stati membri obblighi che possono essere di carattere negativo, qualora uno di essi sia tenuto a non espellere un soggetto, ovvero di carattere positivo, quando l’obbligo sia quello di consentire ad un soggetto di fare ingresso e di risiedere sul proprio territorio» (42). Pertanto, benché né la CEDU né la Carta garantiscano, quale diritto fondamentale a favore di uno straniero, alcun diritto di entrare o risiedere nel territorio di un paese determinato, l’esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare come tutelato da tali atti (43).

48.      Precisato ciò, è opportuno innanzitutto rilevare che, da una lettura a contrario dell’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86, deriva che, nel caso di persone che non hanno lo status di rifugiato o che non sono familiari di un rifugiato (44), possono essere imposte misure di integrazione anche prima dell’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato. Nella fattispecie, dal momento che nessuno dei coniugi Dogan ha lo status di rifugiato, le autorità tedesche erano legittimate ad imporre alla sig.ra Dogan che essa si conformasse, nel rispetto del diritto nazionale, a misure di integrazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86 prima del suo ingresso nel territorio tedesco.

49.      È opportuno chiarire di seguito l’esatta portata della nozione di «misure di integrazione».

50.      A tal proposito, ricordo, in via preliminare, che, nella sentenza Chakroun, la Corte, da una parte, ha affermato che, nel sistema della direttiva 2003/86, l’autorizzazione al ricongiungimento è la «regola generale» e le disposizioni che consentono di apportarvi limiti devono essere interpretate restrittivamente e, dall’altra, ha precisato che la discrezionalità riconosciuta agli Stati membri da tali disposizioni non deve essere impiegata dagli stessi in modo da pregiudicare l’obiettivo della direttiva, che è quello di agevolare il ricongiungimento familiare, e il suo effetto utile (45). Tali criteri interpretativi, affermati nei confronti dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86, che prevede che gli Stati membri possono sottoporre il ricongiungimento alla prova che il soggiornante dispone di risorse «stabili e regolari sufficienti», devono guidare anche l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, della stessa direttiva e, in generale, di ogni restrizione al diritto al ricongiungimento familiare.

51.      Precisato ciò, la nozione di «misure di integrazione» deve essere considerata parallelamente a quella di «condizioni di integrazione», che non si trova nella direttiva 2003/86, ma che era senza dubbio presente nell’intenzione del legislatore. Infatti, nella direttiva 2003/109/CE (46), contemporanea e relativa ad un ambito assai prossimo a quello della direttiva 2003/86, il Consiglio dell’Unione europea ha introdotto una clausola (l’attuale articolo 15, paragrafo 3), secondo la quale gli Stati membri possono richiedere a cittadini di paesi terzi di soddisfare le «misure di integrazione» per poter esercitare il diritto di soggiornare in uno Stato dell’Unione diverso dallo Stato nel quale hanno acquisito lo status di soggiornanti di lungo periodo. Orbene, dall’esame dei lavori preparatori della direttiva 2003/109 risulta che, all’interno del Consiglio, alcune delegazioni nazionali avevano proposto di sostituire, all’articolo 15, il termine «misure» con il termine «condizioni»: tuttavia, dal momento che la maggioranza degli Stati era contraria, il testo definitivo ha mantenuto l’espressione «misure di integrazione», vale a dire la stessa formulazione che si ritrova nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 (47). Al contrario, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/19 consente agli Stati membri di subordinare l’acquisizione dello statuto di soggiornante di lungo periodo a «condizioni di integrazione», la cui soddisfazione esclude la possibilità di imporre, successivamente, le «misure di integrazione» previste dall’articolo 15 (48).

52.      Le due nozioni di «misure» e di «condizioni» di integrazione devono dunque essere considerate come ben distinte, e certamente non come sinonimi. Tale constatazione non è tuttavia sufficiente per stabilire quale sia, concretamente, la differenza tra le due. Sebbene né la direttiva 2003/86 né la direttiva 2003/109 diano indicazioni esplicite a tal proposito, è tuttavia chiaro che le «misure di integrazione» devono essere considerate meno gravose rispetto alle «condizioni di integrazione». Ciò deriva tanto dall’analisi linguistica delle due espressioni quanto dal fatto che, secondo la direttiva 2003/109, come ho già detto, il fatto di aver dovuto soddisfare «condizioni di integrazione», ai sensi dell’articolo 5, dispensa automaticamente il soggiornante di lungo periodo da un eventuale obbligo di sottoporsi a «misure di integrazione» sulla base dell’articolo 15.

53.      Nello stesso senso depone una lettura sistematica dell’articolo 7 della direttiva 2003/86. Il paragrafo 1 di tale articolo elenca una serie di condizioni relative alla situazione del soggiornante, delle quali la persona che ha presentato la domanda di ricongiungimento familiare può essere tenuta a fornire la prova. Al contrario, una siffatta prova non è richiesta quanto alle misure adottate ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo. Orbene, se il legislatore avesse avuto l’intenzione di sottoporre tali misure allo stesso regime previsto al paragrafo 1, non avrebbe avuto alcun bisogno di inserire un nuovo paragrafo, ma avrebbe potuto semplicemente aggiungere un punto al paragrafo precedente. In altri termini, le misure di integrazione di cui al paragrafo 2 non possono perseguire il fine di selezionare le persone che potranno esercitare il loro diritto al ricongiungimento, poiché la selezione è il fine dei criteri e delle condizioni previste al paragrafo 1. Al contrario, le misure di integrazione del paragrafo 2 devono avere essenzialmente il fine di agevolare l’integrazione negli Stati membri.

54.      La nozione di «misure di integrazione» deve altresì essere distinta da, e non può coincidere con, il «criterio di integrazione» che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2003/86, può essere imposto, a talune condizioni, se il ricongiungimento è richiesto per un minore che abbia superato i 12 anni. Benché la direttiva non precisi la portata di tale «criterio», appare chiaro che, ancora una volta, ci si trova in presenza di una nozione che evoca un’idea di condizione preliminare che deve essere dimostrata dall’interessato, benché di tipo diverso rispetto a quelle indicate nell’articolo 7, paragrafo 1 (49).

55.      Nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte, il Regno dei Paesi Bassi sostiene che la versione olandese della direttiva 2003/86, all’articolo 7, paragrafo 2, impiega un termine («integratievoorwaarden») caratterizzato da una sfumatura differente rispetto alle altre versioni linguistiche, che implica un’idea di «condizione» che non si ritrova, per esempio, nelle versioni francese, italiana («misure di integrazione»), tedesca («Integrationsmaßnahmen») e inglese («integration measures»). Si ritrova la stessa terminologia all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/109: tuttavia, e tale elemento mi sembra decisivo, nelle altre versioni linguistiche di tale ultima disposizione non si parla di «misure» («maatrelegen») ma di «condizioni» (50). In altre parole, la versione olandese dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 non coincide perfettamente con le altre, che sembrano deporre a favore dell’idea che gli Stati possono «prendere iniziative» per l’integrazione, piuttosto che imporre delle condizioni, e, in una certa misura, sembra rappresentare un caso isolato. In ogni caso, anche se si dovesse considerare la versione olandese della direttiva compatibile con l’idea dell’imposizione di «condizioni» agli aventi diritto al ricongiungimento preliminarmente al loro ingresso, da una giurisprudenza costante deriva che il carattere difforme di una specifica versione linguistica di una disposizione di diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di questa disposizione, e che nemmeno si può attribuire alla versione linguistica in questione un carattere prioritario rispetto alle altre. Inoltre, la disposizione di cui trattasi deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui fa parte (51).

56.      Dalle considerazioni che precedono deriva che le «misure di integrazione» ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, primo comma della direttiva 2003/86 non possono erigersi a «condizioni» per il ricongiungimento familiare. Tale conclusione non comporta tuttavia che tali misure, qualora siano destinate a trovare applicazione prima dell’ingresso delle persone interessate nel territorio dello Stato membro interessato, debbano limitarsi ad imporre delle semplici «obbligazioni di mezzi». Infatti, l’espressione «misure di integrazione» è sufficientemente ampia da ricomprendere anche «obbligazioni di risultato», a condizione tuttavia che esse siano proporzionate all’obiettivo di integrazione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 (52) e che l’effetto utile della stessa non sia compromesso.

57.      Secondo la Corte, l’articolo 17 della direttiva 2003/86, che prevede che in caso di rigetto di una domanda di ricongiungimento «gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine», impone un’«individualizzazione dell’esame delle domande di ricongiungimento» (53). L’obiettivo essenziale di un siffatto esame individuale è quello di preservare al massimo l’effetto utile della direttiva e di evitare di pregiudicare il suo obiettivo principale, che è quello di consentire la realizzazione del ricongiungimento familiare. Pertanto, la direttiva 2003/86 osta, in via di principio, a qualsiasi normativa nazionale che consenta di rifiutare l’esercizio del diritto al ricongiungimento sulla base di una serie di condizioni predeterminate, senza la possibilità di una valutazione caso per caso sulla base delle circostanze concrete della fattispecie.

58.      Così stando le cose, è necessario constatare che la direttiva 2003/86 non regola in maniera esaustiva il contenuto della valutazione che deve essere effettuata all’atto dell’esame di una domanda di ricongiungimento. Benché taluni principi e taluni elementi risultino senza dubbio dal suo testo e dai suoi obiettivi, per esempio l’esigenza di prendere in dovuta considerazione l’«interesse superiore del minore», enunciata all’articolo 5, paragrafo 5, l’obbligo di tenere conto dei fattori elencati all’articolo 17 e, più in generale, l’indicazione in favore della tutela della vita familiare, in definitiva spetta al giudice nazionale valutare, sulla base del diritto interno, la legittimità delle decisioni delle autorità competenti, alla luce delle norme e dei principi di diritto dell’Unione (54).

59.      Sebbene, in via di principio, spetti al legislatore nazionale stabilire le modalità concrete che consentono di valutare le eventuali difficoltà di ordine materiale o personale che la persona interessata potrebbe incontrare al fine di ottemperare alle misure di integrazione imposte (55), quest’ultimo deve tuttavia fare attenzione a non pregiudicare l’obiettivo e l’effetto utile della direttiva 2003/86. Non sarebbe conforme a questa una normativa nazionale che escludesse di prendere in considerazione in alcun modo tali difficoltà o che non consentisse di valutarle caso per caso alla luce dell’insieme degli elementi rilevanti. Pertanto, ammettere la possibilità di subordinare l’ingresso nello Stato membro interessato al superamento di un esame per il quale non vi siano possibilità concrete di prepararsi, per esempio, per la mancanza di qualsivoglia forma di supporto o di insegnamento organizzati da tale Stato nello Stato di residenza dell’interessato, o in caso di indisponibilità o di inaccessibilità del materiale, segnatamente in termini di prezzo, equivarrebbe in pratica a rendere impossibile l’esercizio del diritto al ricongiungimento previsto dalla direttiva. Allo stesso modo, non rispetterebbe l’effetto utile di questa una normativa che non consentisse di tenere conto delle difficoltà, anche di carattere temporaneo, legate allo stato di salute del familiare interessato o alle sue condizioni individuali, quali l’età, l’analfabetismo, l’handicap e il livello di istruzione.

60.      Sebbene la normativa tedesca oggetto del procedimento principale preveda che possa essere esonerato dall’obbligo di dimostrare di disporre di una conoscenza elementare del tedesco il coniuge che non è in grado di fornire una siffatta prova in ragione di una malattia o di un’inabilità fisica, mentale o psicologica, al contrario tale normativa non prevede la possibilità, al fine di decidere in relazione ad una siffatta esenzione, di prendere in considerazione altre condizioni individuali del coniuge nell’ambito di una valutazione effettuata alla luce dell’insieme delle circostanze di ciascuna fattispecie, né di tenere conto dei fattori elencati all’articolo 17 della direttiva. Nella fattispecie, la possibilità concreta per la ricorrente nel procedimento principale di soddisfare le condizioni imposte dalla legge tedesca, almeno entro un termine ragionevole (56), appare molto debole. Infatti, dal fascicolo risulta che la dimostrazione del livello richiesto di conoscenza della lingua tedesca rende obbligatoriamente necessaria la previa alfabetizzazione della sig.ra Dogan. Orbene, una situazione di riconosciuto analfabetismo, tenuto conto in particolare dell’età della persona interessata, delle sue condizioni economiche e della condizione sociale cui appartiene, può costituire un ostacolo difficilmente superabile. Pertanto, subordinare l’autorizzazione al ricongiungimento familiare del coniuge alla sua previa alfabetizzazione può, a seconda delle circostanze, risultare sproporzionato rispetto all’obiettivo di integrazione perseguito dalle misure adottate ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/86 e vanificare il suo effetto utile.

61.      In conclusione, suggerisco alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86 osta alla normativa di uno Stato membro, quale quella oggetto del procedimento principale, che subordina il rilascio di un visto ai fini del ricongiungimento familiare al coniuge di un cittadino straniero che soddisfa le condizioni previste dall’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva alla dimostrazione che il suddetto coniuge dispone di conoscenze elementari della lingua di tale Stato membro, senza prevedere la possibilità di concedere esenzioni sulla base di un esame individuale della domanda di ricongiungimento condotto ai sensi dell’articolo 17 della suddetta direttiva ed effettuato tenendo conto degli interessi dei minori e dell’insieme delle circostanze rilevanti della fattispecie. Tra tali circostanze figurano, segnatamente, da una parte, la disponibilità, nello Stato di residenza del suddetto coniuge, dell’insegnamento e del materiale necessario ad acquisire il livello di conoscenze linguistiche richiesto nonché la loro accessibilità, in particolare in termini di costo, e, dall’altra parte, le eventuali difficoltà, anche di carattere temporaneo, connesse al suo stato di salute o alla sua situazione personale, quali l’età, l’analfabetismo, l’handicap e il livello di istruzione.

IV – Conclusione

62.      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere nei seguenti termini le questioni proposte dal Verwaltungsgericht Berlino:

«L’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità dal regolamento (CEE) n. 2760/72 del Consiglio, del 19 dicembre 1972, relativo alle misure da adottare nel corso della fase transitoria dell’associazione creata con l’Accordo tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Turchia, firmato il 12 settembre 1963 ad Ankara dalla Repubblica di Turchia, da una parte, nonché dagli Stati membri della CEE e della Comunità, dall’altra, e concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con la decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963, deve essere interpretato nel senso che il divieto che ne consegue, per gli Stati membri, di introdurre nuove restrizioni alla libertà di stabilimento ricomprende altresì misure, quali quelle oggetto del procedimento principale, che siano state introdotte successivamente all’entrata in vigore, nello Stato membro interessato, del suddetto Protocollo e che hanno per oggetto o per effetto di rendere più difficile l’ingresso nel territorio di tale Stato membro ai fini del ricongiungimento familiare del coniuge di un cittadino turco che abbia fruito della libertà di stabilimento ai sensi dell’Accordo di associazione.

L’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, osta alla normativa di uno Stato membro, quale quella oggetto del procedimento principale, che subordina il rilascio di un visto ai fini del ricongiungimento familiare al coniuge di un cittadino straniero che soddisfa le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva alla dimostrazione che il suddetto coniuge dispone di conoscenze elementari della lingua di tale Stato membro, senza prevedere la possibilità di concedere esenzioni sulla base di un esame individuale della domanda di ricongiungimento condotto ai sensi dell’articolo 17 della suddetta direttiva ed effettuato tenendo conto degli interessi dei minori e dell’insieme delle circostanze rilevanti della fattispecie. Tra tali circostanze figurano, segnatamente, da una parte, la disponibilità, nello Stato di residenza del suddetto coniuge, dell’insegnamento e del materiale necessario ad acquisire il livello di conoscenze linguistiche richiesto nonché la loro accessibilità, in particolare in termini di costo, e, dall’altra parte, le eventuali difficoltà, anche di carattere temporaneo, connesse al suo stato di salute o alla sua situazione personale, quali l’età, l’analfabetismo, l’handicap e il livello di istruzione».


1 –      Lingua originale: il francese.


2 –      GU L 293, pag. 1.


3 –      GU L 1964, 217, pag. 3685.


4 –      GU L 251, pag. 12.


5 –      BGBl. 2008 I, pag. 162.


6 –      BGBl. 2013 I, pag. 86.


7 –      BGBl. 2007 I, pag. 1970.


8 –      V. sentenze Savas (C‑37/98, EU:C:2000:224, punti 46, 47, 54 e 71); Abatay e a. (C‑317/01 e C‑369/01, EU:C:2003:572, punto 58); Tum e Dari (C‑16/05, EU:C:2007:530, punto 46) e Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punto 87).


9 –      V. sentenza Abatay e a. (EU:C:2003:572, punto 59).


10 –      V. sentenze Savas (EU:C:2000:224, punti 64, 65 e 69); Abatay e a. (EU:C:2003:572, punti 62, 65 e 66); Soysal e Savatli (C‑228/06, EU:C:2009:101, punto 47), e Dereci e a. (EU:C:2011:734, punto 88).


11 –      V. sentenza Tum e Dari (EU:C:2007:530, punti da 54 a 63).


12 –      V. sentenze Tum e Dari (EU:C:2007:530, punto 55); Oguz (C‑186/10, EU:C:2011:509, punto 28), e Dereci e a. (EU:C:2011:734, punto 89).


13 –      V. sentenze Abatay e a. (EU:C:2003:572, punto 68), e Tum e Dari (EU:C:2007:530, punto 61).


14 –      Ai sensi dell’articolo 13 della decisione n. 1/80: «[g]li Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».


15 –      Sentenza Toprak e Oguz (C‑300/09 e C‑301/09, EU:C:2010:756).


16 –      V. sentenze Abatay e a. (EU:C:2003:572, punto 86), e Dereci e a. (EU:C:2011:734, punto 81).


17 –      V. sentenze Toprak e Oguz (EU:C:2010:756, punto 54), e Dereci e a. (EU:C:2011:734, punto 94).


18 –      Sentenze Sahin (C‑242/06, EU:C:2009:554, punti da 63 a 65) e Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2010:228, punti da 47 a 49).


19 –      EU:C:2003:572, punto 82.


20 –      Si trattava, più nello specifico, del regime al quale era sottoposto, nei Paesi Bassi, il rilascio di permessi di soggiorno autonomi ai cittadini stranieri entrati nel territorio di tale Stato membro ai fini del ricongiungimento familiare. Il Regno dei Paesi Bassi aveva reintrodotto la condizione della residenza del cittadino straniero presso il proprio coniuge che disponeva di un permesso di soggiorno non temporaneo per un periodo di tre anni, che era stato ridotto a un anno nel 1983.


21 –      V. in particolare i punti 41, 44, 62 e il dispositivo.


22 –      Tale articolo prevede che «[i] familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro (...) hanno il diritto di rispondere, fatta salva la precedenza ai lavoratori degli Stati membri della Comunità, a qualsiasi offerta di impiego, se vi risiedono regolarmente da almeno tre anni [e] beneficiano del libero accesso a qualsiasi attività dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni. (...)».


23 –      V. sentenze Kadiman (C‑351/95, EU:C:1997:205, punto 36), e Ayaz (C‑275/02, EU:C:2004:570, punto 41).


24 –      C‑350/96, EU:C:1998:205. In tale sentenza, la Corte ha affermato il diritto dei datori di lavoro di invocare l’articolo 48 CE, sottolineando che, per essere efficace ed utile, il diritto dei lavoratori riconosciuto da tale disposizione di essere assunti e occupati senza discriminazioni deve necessariamente essere affiancato dal diritto dei datori di lavoro di assumerli nel rispetto delle norme in materia di libera circolazione dei lavoratori.


25 –      Punto 106 e dispositivo. V. anche conclusioni dell’avvocato generale Mischo (EU:C:2003:274, paragrafi da 201 a 204), e sentenza Soysal e Savatli (EU:C:2009:101, punti 45 e 46). La soluzione sostenuta dalla Corte era giustificata dall’esigenza di mantenere l’effetto utile dell’articolo 41, paragrafo 1, del Protocollo addizionale e di evitare che restrizioni imposte non direttamente ai prestatori di servizi turchi ma ai dipendenti di questi, aventi la stessa nazionalità, ai quali veniva affidato l’incarico di effettuare la prestazione sul territorio dell’Unione, potessero vanificare tale disposizione, consentendo di aggirare la clausola di «standstill» in essa enunciata.


26 –      V., in tal senso, per quanto riguarda l’articolo 12 dell’Accordo di associazione, sentenze Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168, punti 19 e 20); Nazli (C‑340/97, EU:C:2000:77, punto 55), e Kurz (C‑188/00, EU:C:2002:694, punto 30) e, per l’articolo 14, sentenza Abatay e a. (EU:C:2003:572, punto 112).


27 –      Sentenze Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809), e Demirkan (C‑221/11, EU:C:2013:583). V. più in dettaglio, infra paragrafi da 35 a 39.


28 –      V., tra altre, sentenze CaixaBank France (C‑442/02, EU:C:2004:586, punto 11 e giurisprudenza citata), e Commissione/Francia (C‑389/05, EU:C:2008:411, punti 55 e 56).


29 –      V. l’articolo 1, paragrafo 1, lettere c) e d), delle direttive del Consiglio 64/220/CEE, del 25 febbraio 1964 (GU 56, pag. 845) e 73/148/CEE, del 21 maggio 1973 (GU L 172, pag. 14), relative alla soppressione delle restrizioni al trasferimento ed al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione dei servizi, quest’ultima abrogata dalla direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77). Per quanto riguarda i lavoratori, v. regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), sostituito dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU L 141, pag. 1) che procede alla sua codificazione.


30 –      V. sentenze di Leo (C‑308/89, EU:C:1990:400, punto 13), e Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 50), nelle quali la Corte ha affermato che «lo scopo del regolamento n. 1612/68, vale a dire la libera circolazione dei lavoratori, richiede, affinché questa venga garantita nel rispetto della libertà e della dignità, condizioni ottimali d’integrazione della famiglia del lavoratore comunitario nell’ambiente dello Stato membro ospitante».


31 –      Nella sua sentenza Carpenter (C‑60/00, EU:C:2002:243), la Corte ha ricordato l’importanza che il legislatore dell’Unione ha riconosciuto all’obiettivo di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato e ha qualificato come ostacolo all’esercizio della libera prestazione dei servizi da parte del sig. Carpenter la misura di espulsione di sua moglie, cittadina di un paese terzo, misura adottata dalle autorità del suo Stato membro di origine, precisando che «la separazione dei coniugi Carpenter nuocerebbe alla loro vita familiare e, conseguentemente, alle condizioni di esercizio di una libertà fondamentale da parte del sig. Carpenter», poiché «tale libertà non potrebbe esplicare pienamente i suoi effetti se il sig. Carpenter fosse dissuaso dall’esercitarla a causa degli ostacoli frapposti, nel suo paese di origine, all’ingresso e al soggiorno di sua moglie» (punto 39; il corsivo è mio). Sebbene, nella sua recente sentenza S e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel (C‑457/12, EU:C:2014:136), la Corte abbia dato un’interpretazione restrittiva alle condizioni di applicazione della sentenza Carpenter (punti da 41 a 44), il principio secondo il quale l’effettivo esercizio delle libertà previste dal Trattato potrebbe essere ostacolato da misure che riguardano l’integrità della vita familiare del lavoratore migrante resta confermato (punto 40).


32 –      Sentenza Tum e Dari (EU:C:2007:530, punti 53 e 61).


33 –      V., tra altre, sentenza Tum e Dari (EU:C:2007:530, punti 53 e 61).


34 –      Cit. alla nota 29.


35 –      V. punti 64 e 69.


36 –      V. punti 48, 49 e 53. Il corsivo e mio.


37 –      V. punto 55. Il corsivo è mio.


38 –      V. punto 43.


39 –      C‑225/12, EU:C:2013:275, punto 40 e dispositivo.


40 –      Tale articolo prevede, al suo paragrafo 1, che le disposizioni del titolo II, sezione I, della decisione 1/80 siano applicate nel rispetto delle limitazioni giustificate da ragioni di ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubblica.


41 –      Sentenze Carpenter (EU:C:2002:434, punto 42), e Akrich (C‑109/01, EU:C:2003:491, punto 59).


42 –      Sentenza Parlamento/Consiglio (C‑540/03, EU:C:2006:429, punto 52).


43 –      Sentenze Carpenter (EU:C:2002:434, punto 42); Akrich (EU:C:2003:491, punto 59), e Parlamento/Consiglio (EU:C:2006:429, punto 53).


44 –      Per i rifugiati e i loro familiari, l’articolo 7, paragrafo 2, secondo comma prevede che le misure di integrazione di cui al primo comma possono essere applicate soltanto dopo che alle persone interessate sia stato accordato il ricongiungimento familiare.


45 –      C‑578/08 (EU:C:2010:117, punto 43); v. anche sentenza O e a. (C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 74).


46 –      Direttiva del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU L 16, pag. 44).


47 –      V., in particolare, nota del presidente del Consiglio del 14 marzo 2003, 7393/1/03 REV 1, pag. 5. Gli Stati che avevano proposto di utilizzare l’espressione «condizioni di integrazione» erano la Repubblica federale di Germania, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d’Austria.


48 –      V. articolo 15, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2003/109.


49 –      In tal senso, v. sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:2006:429, punti da 66 a 76).


50 –      Per esempio, le versioni francese, tedesca («Integrationsanforderungen»), inglese («integration conditions») e italiana («condizioni di integrazione»).


51 – V. sentenze Cricket St Thomas (C‑372/88, EU:C:1990:140, punto 18); Velvet & Steel immobilien (C‑455/05, EU:C:2007:232, punto 19), e Helmut Müller (C‑451/08, EU:C:2010:168, punto 38).


52 –      V. Relazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio sull’applicazione della direttiva 2003/86 [COM(2008) 610 definitivo, punto 4.3.4] e Libro verde sul diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini di paesi terzi che vivono nell’Unione europea (direttiva 2003/86/CE) (direttiva 2003/86) [COM(2011) 735 definitivo, punto 2.1].


53 –      Sentenza Chakroun (EU:C:2010:117, punto 48), nella quale la Corte ha ritenuto non conforme alla direttiva 2003/86 una legislazione che prevede un importo minimo di reddito al di sotto del quale qualsiasi ricongiungimento familiare viene rifiutato, indipendentemente da un esame concreto della situazione del richiedente.


54 –      V., in tal senso, sentenza O e a. (EU:C:2012:776, punto 80).


55 –      Nel suo Libro verde del 2011 la Commissione descrive in termini problematici la discrezionalità che la direttiva lascia agli Stati membri per quanto riguarda l’applicazione di talune delle sue disposizioni facoltative, in particolare per quanto riguarda le eventuali misure di integrazione (parte I).


56 –      Secondo le informazioni comunicate dal giudice del rinvio, sono quattro anni che la sig.ra Dogan tenta di raggiungere il marito in Germania.