Language of document : ECLI:EU:C:2011:806

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 6 dicembre 2011 (1)

Causa C‑472/10

Nemzeti Fogyasztóvédelmi Hatóság

contro

Invitel Távközlési Zrt.

[domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dal Pest Megyei Bíróság (Ungheria)]

«Tutela dei consumatori — Direttiva 93/13/CEE — Articolo 3, paragrafo 1, in combinato disposto con il punto 1, lettera j), e il punto 2, lettera d), dell’allegato — Articoli 6 e 7 — Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori — Clausola contrattuale che autorizza il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza valido motivo e senza descrizione esplicita delle modalità di variazione del prezzo — Carattere abusivo della clausola — Effetti giuridici dell’accertamento del carattere abusivo delle clausole nell’ambito di un ricorso collettivo — Actio popularis — Efficacia erga omnes delle sentenze nazionali di accertamento»





I –    Introduzione

1.        L’attuale procedimento prende origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pest Megyei Bíróság ungherese (in prosieguo: il «giudice del rinvio») ai sensi dell’articolo 267 TFUE, con la quale sono state sottoposte alla Corte diverse questioni relative all’interpretazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (2). Il presente procedimento offre alla Corte l’opportunità di chiarire, nell’esercizio delle sue competenze interpretative, talune questioni di diritto inerenti a tale direttiva. Quest’ultima, pur essendo rimasta sostanzialmente invariata a partire dalla data della sua adozione, continua a sollevare una molteplicità di questioni sia sostanziali sia procedurali, come dimostra il numero considerevole di domande di pronuncia pregiudiziale. A tale riguardo occorre osservare che la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori (3), che si basa sull’approccio di una piena armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di tutela dei consumatori, ha apportato solo modifiche puntuali alla direttiva 93/13, le quali, ai fini della risposta da fornire alle questioni pregiudiziali sottoposte nella fattispecie, non rilevano.

2.        La domanda di pronuncia pregiudiziale si fonda su un’azione intentata dalla Nemzeti Fogyasztóvédelmi Hatóság (autorità nazionale per la difesa dei consumatori; in prosieguo: la «ricorrente nel procedimento principale») nei confronti della società Invitel Távközlési Zrt. (in prosieguo: la «convenuta nel procedimento principale»), vertente sull’efficacia di una clausola contrattuale che la convenuta impiega abitualmente nei rapporti con la clientela quale parte delle sue condizioni generali di contratto (in prosieguo: le «CG»). In forza di tale clausola essa può esigere dai clienti il rimborso di determinati costi e spese per singole prestazioni, le cui modalità di calcolo non sono però stabilite negozialmente. La ricorrente, che a fronte di questa circostanza invoca il carattere abusivo della clausola contrattuale in oggetto, ha richiesto al giudice del rinvio l’accertamento dell’inefficacia della clausola controversa e quindi il rimborso delle spese e dei costi relativi.

3.        Con la prima questione pregiudiziale, che, di fatto, consta di due parti, viene chiesto essenzialmente alla Corte come vada strutturato, all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, il sistema creato dal legislatore dell’Unione con la direttiva 93/13 a tutela del consumatore per garantire il conseguimento di tale obiettivo. Si tratta anzitutto di chiarire quali prescrizioni ponga la direttiva 93/13 in relazione alla possibilità per le associazioni a tutela dei consumatori di impugnare giudizialmente, di propria iniziativa, le clausole abusive nell’interesse dei consumatori. Inoltre, viene chiesto quali siano gli effetti giuridici, nell’ambito di un ordinamento nazionale, che possono essere riconosciuti alla decisione di un giudice nazionale in cui si accerta il carattere abusivo di una clausola contrattuale. La seconda questione pregiudiziale si distingue, quanto al tema trattato, dalle succitate domande, avendo ad oggetto l’eventuale qualificazione della clausola controversa come «abusiva» ai sensi della direttiva 93/13.

II – Quadro normativo

A –    Diritto dell’Unione

4.        Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva 93/13 è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

5.        L’articolo 3 di tale direttiva stabilisce quanto segue:

«1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

(…)

3. L’allegato contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive».

6.        Il successivo articolo 4 così recita:

«1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

7.        L’articolo 6, paragrafo 1, della stessa direttiva dispone quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

8.        Il successivo articolo 7 stabilisce quanto segue:

«1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori.

2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole.

3. Nel rispetto della legislazione nazionale, i ricorsi menzionati al paragrafo 2 possono essere diretti, separatamente o in comune, contro più professionisti dello stesso settore economico o associazioni di professionisti che utilizzano o raccomandano l’inserzione delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili».

9.        L’articolo 8 della direttiva 93/13 dispone quanto segue:

«Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il Trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».

10.      L’allegato a detta direttiva contiene un elenco di clausole che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 3, possono essere dichiarate abusive:

 «1. Clausole che hanno per oggetto o per effetto di:

(…)

j) autorizzare il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza valido motivo specificato nel contratto stesso;

(…)

l) stabilire che il prezzo dei beni sia determinato al momento della consegna, oppure permettere al venditore di beni o al fornitore di servizi di aumentare il prezzo senza che, in entrambi i casi, il consumatore abbia il diritto corrispondente di recedere dal contratto se il prezzo finale è troppo elevato rispetto al prezzo concordato al momento della conclusione del contratto;

(…)

2. Portata delle lettere g), j) e l)

(…)

d) la lettera l) non si oppone alle clausole di indicizzazione dei prezzi, se permesse dalla legge, a condizione che le modalità di variazione vi siano esplicitamente descritte».

B –    Diritto nazionale

11.      Ai sensi dell’articolo 209/A, paragrafo 2, del Polgári Törvénykönyv (codice civile ungherese; in prosieguo: il «codice civile»), sono nulle le clausole abusive che figurano quali condizioni generali in contratti stipulati con i consumatori nonché quelle che il professionista abbia stabilito in modo unilaterale, predeterminato e senza negoziato individuale.

12.      L’articolo 209/B, paragrafo 1, del codice civile dispone che la dichiarazione di nullità, conformemente all’articolo 209/A, paragrafo 2, delle clausole abusive che formano parte integrante di contratti stipulati con i consumatori, quali condizioni generali, può essere chiesta dinanzi all’organo giurisdizionale anche da parte di un ente individuato da una norma speciale. La dichiarazione di nullità della clausola abusiva promanante dal giudice produrrà effetti nei riguardi di tutti coloro che abbiano stipulato un contratto con chi utilizza la clausola di cui trattasi.

13.      L’articolo 209/B, paragrafo 2, del codice civile prevede che l’ente individuato da una norma speciale possa anche chiedere che venga dichiarata abusiva una condizione generale redatta al fine di stipulare contratti con i consumatori e che sia stata resa nota al pubblico, pur non essendo stata utilizzata. Ai sensi del paragrafo 3, qualora il giudice accerti, nell’ambito del procedimento indicato al paragrafo 2, che la condizione generale pregiudizievole è abusiva, la dichiarerà invalida nell’ipotesi in cui la si utilizzi (per l’avvenire), con effetto per chiunque stipuli contratti con il professionista che abbia reso nota al pubblico detta clausola. Chiunque si avvalga della clausola contrattuale abusiva deve soddisfare le richieste dei consumatori, formulate sulla base del provvedimento. Del pari, la sentenza del giudice vieta a chi ha reso nota la condizione generale abusiva di avvalersi della medesima.

14.      L’articolo 39, paragrafo 1, della legge CLV del 1997, sulla tutela del consumatore (fogyasztóvédelemről szóló 1997. évi CLV. törvény) dispone che l’autorità per la difesa dei consumatori, l’ente pubblico incaricato di rappresentare gli interessi dei consumatori o il pubblico ministero possono instaurare un procedimento a tutela dei consumatori o ai fini del risarcimento del danno rilevante, avverso quei soggetti la cui attività illecita leda un numero considerevole di consumatori o determini un danno significativo. Tale procedimento può essere avviato anche qualora non sia possibile accertare l’identità dei consumatori che hanno subìto il pregiudizio.

15.      L’articolo 132, paragrafo 2, lettera c), della legge C del 2003 sulle comunicazioni elettroniche (elektronikus hírközlésről szóló 2003. évi C. törvény; in prosieguo: la «legge sulle comunicazioni elettroniche») consente al prestatore di servizi, ove intervenga un radicale mutamento delle circostanze, di modificare unilateralmente i termini del contratto. L’articolo 132, paragrafo 4, della medesima legge permette al prestatore di servizi di stabilire unilateralmente in quali casi potrà modificare le condizioni generali di contratto dopo aver instaurato il rapporto contrattuale. Il legislatore non determina i limiti legali di tale decisione del prestatore di servizi né le condizioni alle quali la stessa è subordinata.

16.      Ai sensi dell’articolo 132, paragrafo 5, della legge sulle comunicazioni elettroniche, l’abbonato non può recedere dal contratto di abbonamento ove si sia impegnato a beneficiare del servizio per un periodo di tempo determinato, nei limiti in cui abbia stipulato il contratto tenendo conto dei vantaggi dallo stesso derivanti e la modifica non incida sui vantaggi ottenuti. Il giudice del rinvio ritiene che tale disposizione disciplini, in modo unilaterale e ingiustificato, i diritti e gli obblighi contrattuali delle parti a scapito del consumatore, in una forma quasi illimitata sotto il profilo sostanziale, in violazione delle prescrizioni sulla buona fede, sulle pratiche leali in materia industriale o commerciale e di assunzione dei rischi.

III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

17.      Come risulta dagli atti, nel 2008 la convenuta nel procedimento principale, quale impresa di telecomunicazioni che offre servizi di rete fissa, inseriva nelle proprie CG alcune disposizioni aventi ad oggetto i costi afferenti al pagamento a mezzo vaglia. Esse prevedevano che, in caso di ricorso a tale modalità di pagamento, il prestatore del servizio potesse addebitare i maggiori costi che ne conseguono. Le CG non stabilivano tuttavia le modalità di calcolo dei costi relativi a detti pagamenti.

18.      Successivamente la ricorrente nel procedimento principale riceveva numerosi reclami da parte di consumatori da cui, a suo parere, era possibile desumere il carattere abusivo delle regole succitate, e pertanto sollecitava per iscritto la convenuta a modificare le CG. La richiesta veniva respinta in modo risoluto.

19.      Con il ricorso collettivo presentato dinanzi al giudice del rinvio ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, della legge ungherese sulla tutela del consumatore, la ricorrente chiede, da un lato, l’accertamento del carattere abusivo della clausola controversa ai sensi dell’articolo 209/B, paragrafo 1, del codice civile e, dall’altro, la restituzione immediata e retroattiva degli importi incassati dal convenuto in forza dell’addebito illegittimo dei costi dei pagamenti a mezzo vaglia.

20.      Il giudice del rinvio nutre perplessità circa l’interpretazione delle singole disposizioni della direttiva 93/13. Esso ritiene che l’interpretazione della Corte sia necessaria in vista di una decisione sulla controversia di cui al procedimento principale. Per tale motivo ha sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva (…) possa essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale abusiva non produce effetti vincolanti per alcun consumatore ove un ente designato dalla legge e abilitato a tal fine chieda, a nome dei consumatori mediante un ricorso promosso nell’interesse collettivo (actio popularis), che si dichiari la nullità della clausola abusiva de qua, figurante in un contratto stipulato con i consumatori.

Ove si presenti un ricorso promosso nell’interesse collettivo che sfoci in una condanna dalla quale traggano beneficio consumatori che non siano parti del giudizio o in un divieto di utilizzare una condizione generale contrattuale abusiva, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva (…) possa essere interpretato nel senso che tale clausola abusiva, costituente parte integrante di contratti stipulati con consumatori, non vincola alcuno dei consumatori interessati né alcun altro consumatore per l’avvenire, cosicché l’organo giurisdizionale è tenuto ad applicare d’ufficio le conseguenze giuridiche che ne derivano.

2)      Se, tenuto conto dei punti 1, lettera j), e 2, lettera d), dell’allegato della direttiva applicabile ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, di quest’ultima (…), l’articolo 3, paragrafo 1, di questa stessa direttiva possa essere interpretato nel senso che, ove il professionista preveda una modifica unilaterale delle condizioni di contratto senza descrivere esplicitamente le modalità di variazione del prezzo né specificare motivi validi nel contratto, una tale clausola sia abusiva ipso iure».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

21.      L’ordinanza di rinvio del 25 agosto 2010 è pervenuta alla cancelleria della Corte il 29 settembre 2010.

22.      La ricorrente nel procedimento principale, i governi ungherese e spagnolo nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte entro il termine stabilito dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia.

23.      Poiché nessuna delle parti ha chiesto lo svolgimento di un’udienza, in esito alla riunione generale della Corte del 7 settembre 2011, si è potuto procedere alla redazione delle presenti conclusioni.

V –    Principali argomenti delle parti

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

24.      Il governo ungherese osserva, richiamando la giurisprudenza della Corte, come le azioni collettive previste nell’articolo 7 della direttiva 93/13 abbiano natura preventiva in quanto tese a impedire l’impiego di clausole abusive dannose per il consumatore. Lo strumento del ricorso collettivo, in relazione al quale troverebbe applicazione anche la direttiva 2009/22, sarebbe volto a tutelare gli interessi collettivi dei consumatori, indipendentemente dal fatto che questi siano o meno parte del procedimento. Ne consegue che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 andrebbero interpretati nel senso che le clausole dichiarate abusive dal giudice del rinvio non possono essere vincolanti per il consumatore, né essere utilizzate in futuro.

25.      Conformemente alla direttiva 93/13, il giudice nazionale dovrebbe, da un lato, accertare, se necessario d’ufficio, il carattere abusivo di una clausola contrattuale ed eventualmente disapplicarla, salvo che il consumatore vi si opponga. Dall’altro, spetterebbe al giudice nazionale stabilire le conseguenze giuridiche dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione inibitoria.

26.      Secondo l’interpretazione del governo spagnolo, una clausola abusiva non vincola nessun consumatore, neppure in futuro, se un’organizzazione a ciò autorizzata richiede in giudizio che ne venga accertato il carattere non vincolante e il giudice adito accoglie tale domanda. Il giudice nazionale sarebbe inoltre tenuto a trarre d’ufficio le conseguenze giuridiche derivanti da un siffatto accertamento del carattere abusivo e dal divieto di utilizzo delle clausole nei contratti con i consumatori.

27.      La Commissione osserva che l’affermazione contenuta nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, secondo cui le clausole abusive non vincolano il consumatore, impone agli Stati membri di raggiungere un determinato risultato. Le modalità di attuazione dovrebbero rispettare i principi dell’equivalenza e dell’efficienza, come definiti nella giurisprudenza della Corte.

28.      Dato che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non contiene regole specifiche circa le modalità da adottare per far cessare l’inserzione delle clausole abusive, tale direttiva non osta al fatto che le conseguenze giuridiche della dichiarazione di invalidità di una clausola abusiva nell’ambito di un’azione inibitoria non siano circoscritte alle parti del giudizio. La normativa ungherese, la quale prevede che una simile dichiarazione di invalidità operi nei confronti di chiunque concluda un contratto contenente una clausola corrispondente, contribuirebbe al raggiungimento degli obiettivi della suddetta direttiva. La Commissione osserva, inoltre, che la direttiva 93/13 non osta a una norma di diritto nazionale che stabilisce in capo al giudice nazionale l’obbligo di riconoscere d’ufficio le conseguenze giuridiche di una decisione a favore anche di consumatori che non sono parte del procedimento.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

29.      Sia il governo ungherese sia la Commissione sostengono che l’articolo 3 della direttiva 93/13 indica in astratto tutte le caratteristiche che conferiscono a una clausola il suo carattere abusivo. A loro parere, inoltre, l’allegato alla direttiva 93/13 contiene un elenco di clausole che possono essere considerate abusive. Il solo fatto che una determinata clausola figuri in tale elenco non significa necessariamente che debba essere giuridicamente qualificata come abusiva. Spetterebbe invece al giudice nazionale stesso pronunciarsi, tenendo conto dei criteri generali a tal fine stabiliti, la cui interpretazione compete invece alla Corte.

30.      Riferendosi alla fattispecie di cui al procedimento principale, il governo ungherese osserva come la modifica unilaterale delle CG, senza la descrizione delle modalità o del motivo della variazione, si ponga in contrasto con la direttiva 93/13, in quanto comporta uno squilibrio sostanziale dei diritti e dei doveri derivanti dal contratto. Peraltro, spetterebbe al giudice nazionale il compito di giudicare la clausola contrattuale controversa alla luce delle circostanze del singolo caso, tenendo conto dei criteri indicati nella direttiva 93/13.

31.      Il governo spagnolo ritiene che, nel caso in cui il professionista si riservi il diritto di modificare unilateralmente le CG in una clausola contrattuale, senza indicare le modalità o il motivo di detta modifica, la clausola debba essere considerata abusiva.

VI – Analisi giuridica

A –    Sulla prima questione pregiudiziale

32.      La prima questione pregiudiziale, che si compone di due parti, mira essenzialmente ad accertare la compatibilità con la direttiva 93/13 del meccanismo ungherese di tutela giuridica superindividuale, in forma di un ricorso collettivo (actio popularis), che in base al diritto nazionale può essere proposto dalle associazioni a tutela dei consumatori. La disamina della questione offre lo spunto per illustrare in modo più dettagliato i tratti fondamentali del sistema di tutela del consumatore dalle clausole abusive instaurato dalla direttiva 93/13. Gli elementi in tal modo ricavati devono contribuire a dare risposta alle singole questioni del giudice del rinvio.

33.      Dopo una presentazione generale del sistema di tutela in oggetto, mi dedicherò ad analizzare l’istituto dell’azione di classe rappresentativa, così come concepito dagli autori della direttiva, portando l’attenzione sulla questione centrale, ossia sugli effetti giuridici della decisione del giudice nazionale chiamato a decidere in merito a un ricorso collettivo, affinché essa soddisfi l’obiettivo della tutela dei consumatori perseguito dalla direttiva 93/13.

1.      La tutela dei consumatori quale obiettivo della direttiva 93/13

34.      Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 poggia sul presupposto che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter influire sul contenuto delle stesse (4). In considerazione di una siffatta situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che le clausole abusive non siano vincolanti per i consumatori. Come emerge dalla giurisprudenza della Corte, si tratta di una norma imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse (5).

35.      La Corte ha ripetutamente evidenziato come, per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la diseguaglianza tra il consumatore e il professionista possa essere riequilibrata solo con un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (6). Sulla scorta di tali principi, la Corte ha pertanto statuito che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale (7). La facoltà per il giudice di esaminare d’ufficio l’illiceità di una clausola costituisce «un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell’obiettivo fissato dall’articolo 6 della direttiva, che è quello di impedire che il consumatore sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell’obiettivo dell’articolo 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo che contribuisce a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori» (8). Questa facoltà riconosciuta al giudice è stata ritenuta dalla Corte necessaria «per garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli» (9).

2.      L’azione rappresentativa quale mezzo sostanzialmente adeguato ed efficace ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13

36.      È vero che le domande di pronuncia pregiudiziale sinora proposte hanno riguardato principalmente questioni relative alla tutela giuridica individuale e, pertanto, casi in cui il consumatore stesso si opponeva all’impiego di clausole contrattuali abusive, impugnando ad esempio il relativo contratto o opponendosi all’esecuzione forzata. Tuttavia, sarebbe errato trarre da tale circostanza l’immediata conclusione che la regola contenuta nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13, che consente a singole persone o ad organizzazioni di adire le autorità giudiziarie nell’interesse del consumatore contro l’impiego di clausole abusive nei contratti, rivesta nella prassi un ruolo secondario.

37.      In realtà questa regola, che prevede l’introduzione di meccanismi di controllo astratto, completa il sistema di tutela realizzato mediante la direttiva 93/13, rendendo possibile un contrasto efficace alle clausole abusive anche nei casi in cui il consumatore, in via eccezionale – ad esempio a causa dei costi – non si avvalga della tutela giuridica. Ciò è altresì in linea con l’obiettivo perseguito dalla direttiva 93/13, che non intende solo offrire una tutela adeguata ai consumatori nelle controversie individuali che li contrappongono ai professionisti, ma, come emerge dall’articolo 7, paragrafo 1, anche «far cessare» l’inserzione di clausole abusive nei contratti da parte dei professionisti.

38.      In quest’ottica l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 stabilisce a carico degli Stati membri l’obbligo di prevedere «mezzi adeguati ed efficaci» per eliminare in modo effettivo le clausole abusive. In particolare, detto obbligo prevede la possibilità di vietare l’impiego di una clausola abusiva al di là del singolo caso. A tale fine, possono essere presi in considerazione strumenti di diritto processuale civile o di diritto amministrativo nonché di natura penale o regolamentare (10). In definitiva, il compito di valutare quale mezzo sia maggiormente adatto ed efficace alla luce delle condizioni dei rispettivi ordinamenti viene rimesso agli Stati membri. Questi ultimi, dunque, hanno la facoltà di scegliere diversi meccanismi di controllo, a seconda delle rispettive tradizioni giuridiche. Tuttavia, come emerge da un’interpretazione sistematica dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, occorre che il procedimento sia sufficientemente efficace (11). A questo scopo occorre, in particolare, che venga riconosciuto un potere proprio in capo al giudice o alle autorità competenti a decidere in merito al carattere abusivo della clausola e che vengano previsti mezzi adatti ed efficaci atti a far cessare l’impiego della clausola controversa.

39.      Quale strumento importante e obbligatorio di un controllo efficace, la direttiva prevede l’azione rappresentativa che, in alcuni Stati membri, era già nota prima dell’entrata in vigore della direttiva 93/13 (12). In base all’articolo 7, paragrafo 2, della suddetta direttiva, gli Stati membri devono prevedere che «persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori (…), [possano adire] le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti», affinché questi possano decidere del carattere abusivo ed eventualmente «applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole». La circostanza che il legislatore dell’Unione abbia previsto espressamente l’azione rappresentativa, mostra come questi l’abbia considerata un mezzo adeguato ed efficace in conformità dell’articolo 7, paragrafo 1, per impedire a lungo termine l’impiego di clausole abusive negli scambi commerciali.

40.      A tal riguardo è opportuno osservare che le azioni volte a ottenere l’accertamento dell’inefficacia di singole clausole contrattuali o l’inibizione del loro utilizzo negli scambi commerciali, proposte da persone o da organizzazioni che rappresentano gli interessi dei consumatori, da un punto di vista qualitativo non vanno valutate in modo diverso rispetto alle azioni proposte da singoli consumatori. In linea di principio, in relazione alle prime valgono le medesime considerazioni che giustificano la forte tutela accordata al consumatore e in base alle quali la Corte ha fondato la propria giurisprudenza sull’articolo 6 della direttiva 93/13 nell’ambito dei procedimenti individuali. Si tratta, infatti, di agire a tutela del consumatore, che generalmente si trova in una posizione più debole, in modo tale da scoraggiare il professionista che ricorre alle clausole abusive. Come dichiarato dalla Corte nella sentenza del 24 gennaio 2002, Commissione/Italia (13), dal punto di vista processuale, oltre all’accertamento della nullità della clausola controversa vanno presi in considerazione come mezzi di dissuasione anche mezzi di prevenzione, quali le azioni volte a inibire un suo ulteriore impiego (14).

41.      L’azione rappresentativa, quale mezzo di affermazione collettiva del diritto, non permette solo di avvalersi di questi rimedi, ma presenta anche alcune caratteristiche che la rendono un efficace strumento deterrente (15). Come si evince dalla sentenza succitata, questa opinione è condivisa anche dalla Corte (16). In effetti, rispetto a quella individuale, l’azione collettiva offre numerosi vantaggi. Riunendo gli interessi comuni dei consumatori, essa permette di affermare in sede giurisdizionale le loro esigenze. Mediante l’azione rappresentativa, infatti, le associazioni a tutela dei consumatori s’impegnano a dare voce e peso ai consumatori con modalità che spesso non sarebbero possibili agendo singolarmente, a causa della posizione di debolezza in cui spesso si trova il consumatore. L’azione rappresentativa contribuisce, da ultimo, a valorizzare la posizione del consumatore a livello processuale e lo sottrae al rischio di dover sostenere i costi nel processo civile in caso di soccombenza, aspetto questo che può far desistere un consumatore dall’esercitare individualmente i propri diritti tanto quanto un valore troppo modesto della controversia che non giustifichi un impegno personale (17). Un’effettiva affermazione dei diritti nell’ambito di un’azione rappresentativa porta a un corretto riequilibrio degli interessi di consumatori e professionisti, favorisce la correttezza nella concorrenza e mostra come detta azione sia almeno altrettanto necessaria dell’azione individuale per tutelare il consumatore.

42.      Alla luce dei motivi esposti, le persone e le organizzazioni legittimate ad agire, laddove non siano previste regole speciali per questo tipo di azione – quale la norma interpretativa di cui all’articolo 5 della direttiva 93/13 (18) –, possono richiamarsi alla giurisprudenza della Corte sull’articolo 6, paragrafo 1, per ottenere l’inibizione dell’impiego di clausole abusive.

43.      Da quanto osservato emerge che il sistema della tutela collettiva come prevista nell’ordinamento ungherese, il quale ricorre allo strumento dell’azione rappresentativa, soddisfa in via di principio gli obblighi posti dalla direttiva 93/13. Tuttavia, ciò non chiarisce ancora se detto sistema come concretamente strutturato soddisfi gli obblighi suddetti. Tale aspetto verrà esaminato di seguito.

3.      Sulla struttura dell’azione rappresentativa nel dettaglio

44.      Come emerge dal suo dodicesimo considerando, la direttiva 93/13 opera solo un’armonizzazione parziale e minima delle disposizioni di legge nazionali in materia di clausole abusive (19). Muovendo da questa premessa non si può ritenere che la direttiva miri a unificare gli aspetti processuali dell’azione rappresentativa a tutela dei consumatori. Questa constatazione, però, non impedisce di vedere nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 un’armonizzazione parziale dell’azione di cui trattasi (20).

45.      In tal senso, depone la previsione di precise prescrizioni riguardanti la struttura del procedimento. A prescindere da questo aspetto, la possibilità accordata agli Stati membri con l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 di includere nei loro ordinamenti lo strumento dell’azione rappresentativa nell’interesse pubblico fornisce indicazioni dirette sul modo in cui tale procedimento debba essere strutturato e, in particolare, sugli effetti giuridici da riconoscere alle decisioni dei giudici nazionali, in quanto solo il soddisfacimento di determinate esigenze consente a un simile sistema di contribuire in modo efficace e adeguato al perseguimento dell’obiettivo della tutela del consumatore.

46.      Sotto il profilo processuale, l’esistenza di un simile meccanismo di tutela collettiva implica innanzitutto che le persone o le organizzazioni che rappresentano gli interessi dei consumatori dovrebbero avere il diritto di invocare l’accertamento giudiziale dell’inefficacia delle clausole abusive impugnate nonché il divieto di un loro ulteriore utilizzo negli scambi commerciali. L’articolo 7, paragrafo 2, prevede la necessità di emanare disposizioni nazionali che permettano a detti soggetti di adire le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi. Questa norma deve essere letta nel senso che va accordato agli stessi il diritto di presentare istanze e proporre azioni (21). In tal modo viene riconosciuta una posizione processuale tale da permettergli di tutelare gli interessi dei terzi in modo effettivo e adeguato.

a)      Effetti giuridici di una sentenza di accertamento nei confronti di terzi

i)      Aspetti fondamentali del procedimento di controllo astratto ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2

47.      Nell’analizzare quali siano gli effetti giuridici che le decisioni nazionali devono dispiegare per tenere adeguatamente conto dell’obiettivo della tutela del consumatore, occorre richiamare, in primo luogo, la disposizione centrale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in base alla quale la clausola controversa «non vincola il consumatore». In questo modo, tale direttiva indica agli Stati membri in maniera cogente le conseguenze giuridiche del carattere abusivo. Ai sensi della stessa direttiva, la non vincolatività della clausola nei confronti del consumatore significa che quest’ultimo non può essere tenuto ex lege al rispetto della clausola abusiva. Fin dall’inizio, gli oneri stabiliti a carico del consumatore in una siffatta clausola non spiegano alcun effetto giuridico vincolante. In altri termini, la non vincolatività opera ipso iure, indipendentemente da una decisione giudiziale. Il giudice si limita ad accertare che le disposizioni corrispondenti non possano vincolare il consumatore (22).

48.      Il concetto stesso di «carattere non vincolante» non è univoco e tiene conto del fatto che, in definitiva, le ulteriori conseguenze dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola siano stabilite dal diritto nazionale e possano divergere da un ordinamento all’altro. Non da ultimo, per tale motivo l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 ricorre a un concetto neutro (23). Questa disposizione si limita a prescrivere un risultato, che gli Stati membri sono tenuti a raggiungere in sede di recepimento di tale direttiva, senza però stabilire nel dettaglio se la relativa clausola debba essere dichiarata invalida o inefficace. Questo aspetto è invece rimesso al diritto nazionale, chiamato a disciplinare le specifiche conseguenze giuridiche (24). L’impiego di espressioni neutrali da parte del legislatore dell’Unione si fonda sul riconoscimento della varietà degli ordinamenti e delle tradizioni giuscivilistiche presenti all’interno dell’Unione (25).

49.      Non è chiaro però in che misura la conseguenza giuridica della non vincolatività prevista in detta norma della direttiva possa operare a favore del consumatore interessato nel caso di un’azione rappresentativa. Si presenta qui il problema fondamentale per cui, in base al diritto processuale degli Stati membri, le decisioni giudiziali, emanate nell’ambito di una controversia di natura contrattuale, in linea di principio hanno effetti giuridici solo tra le parti (26). Un’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, come quella presa in considerazione dal giudice del rinvio nella prima parte della questione, nel senso che la clausola contrattuale abusiva non produce effetti vincolanti per nessun consumatore qualora un giudice nazionale dichiari nulla una siffatta clausola abusiva, figurante in un contratto stipulato con i consumatori, a seguito dell’azione proposta da un ente legalmente designato e legittimato a nome dei consumatori, equivarrebbe a che gli effetti di una decisione giudiziale si estendano ai terzi. Un esame della questione sul versante degli effetti giuridici di detta sentenza di accertamento rispetto al rapporto contrattuale in essere tra il professionista convenuto e un terzo estraneo al procedimento appare pertanto necessario alla luce del fatto che la normativa ungherese prevede tale possibilità nell’articolo 209/B, paragrafo 1, del codice civile.

50.      Occorre certamente rilevare che, sino ad oggi, la Corte si è espressa sul significato dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 solo nell’ambito di azioni individuali. Non è possibile desumere, peraltro, che l’accertamento giudiziale del carattere abusivo non possa determinare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti diversi dalle parti del procedimento. Come già osservato (27), con riferimento alla sua applicabilità, detta disposizione centrale non è limitata alle sole azioni individuali, ma in quanto norma generale è valida anche in relazione ai meccanismi di tutela giuridica collettiva previsti nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva.

51.      Per rispettare l’obiettivo di un’efficace tutela del consumatore nell’ambito di un procedimento collettivo, la conseguenza giuridica del carattere non vincolante della clausola stabilita a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve operare anche quando siano le persone o le associazioni indicate nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 a promuovere l’azione nell’interesse del consumatore colpito. Diversamente, l’azione rappresentativa sarebbe di ben poca utilità per il consumatore. Non si può infatti dimenticare che il controllo astratto, quale strumento di tutela giuridica collettiva, è stato inteso per eliminare le clausole abusive «redatte per un impiego generalizzato». Clausole siffatte sono concepite per essere impiegate negli scambi commerciali in una molteplicità di contratti con i consumatori e possono essere contrastate efficacemente solo riconoscendo una certa portata alla decisione del giudice nazionale, con cui si accerta il carattere abusivo di una determinata clausola (28).

52.      Nondimeno la direttiva 93/13 tace riguardo alle modalità con cui l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola dovrebbe spiegare effetti giuridici al di là del caso singolo. In mancanza di una precisa regolamentazione a livello di diritto dell’Unione, si può ritenere che le competenze normative restino in capo agli Stati membri. Questa conclusione appare coerente anche se si considera che le disposizioni contenute nell’articolo 7 della direttiva 93/13 devono valere allo stesso modo per i procedimenti giudiziali e amministrativi, che nei vari Stati membri possono presentare differenze anche profonde nella loro concreta configurazione. Un simile approccio si pone altresì in linea con il principio di autonomia organizzativa e procedurale degli Stati membri riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte, secondo il quale, in sede di applicazione indiretta del diritto dell’Unione, gli Stati membri restano responsabili dell’introduzione e dell’organizzazione istituzionale delle autorità competenti e, in linea di massima, applicano il proprio diritto processuale e il proprio diritto di organizzazione dello Stato (29).

53.      In considerazione del fatto che, nella fattispecie in esame, si discute unicamente dello strumento dell’azione rappresentativa, limiterò le mie osservazioni a possibili approcci di natura processual-civilistica. Per fare solo un esempio, un possibile mezzo efficace potrebbe essere costituito dall’estensione dell’efficacia giuridica di una sentenza di accertamento del carattere abusivo pronunciata in un caso specifico, ipotesi questa che, in via di principio, sarebbe compatibile con la direttiva 93/13 (30). Per un verso, come da ultimo osservato dalla Corte nella sentenza Asturcom Telecomunicaciones (31), in assenza di una normativa in materia a livello di diritto dell’Unione, le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi (32). L’estensione a terzi degli effetti giuridici sarebbe inoltre adatta a garantire la non vincolatività della clausola nell’ambito del rapporto contrattuale considerato. In definitiva, spetta agli Stati membri valutare quale mezzo sia il più adatto ed efficace alla luce delle condizioni dello specifico ordinamento giuridico nazionale. Pertanto, gli Stati membri godono di una prerogativa di valutazione in ordine all’efficacia del mezzo da scegliere.

54.      Lo Stato membro non è però esonerato dall’obbligo di adottare altre misure nel caso in cui uno strumento si sia dimostrato definitivamente inefficace nell’ordinamento nazionale (33). Occorre poi osservare che la discrezionalità accordata agli Stati membri non è assolutamente illimitata. Lo Stato membro può far uso della discrezionalità riconosciutagli solo nei limiti generali posti dal diritto dell’Unione, il che in definitiva significa che interventi eccessivi contrastano sia con la tutela dei diritti fondamentali, sia con il principio di proporzionalità sancito dal diritto dell’Unione (34). L’espresso riferimento al criterio dell’«adeguatezza» contenuto nell’articolo 7 della direttiva 93/13 con riferimento al mezzo scelto attesta che il principio di proporzionalità costituisce un ulteriore importante criterio giuridico, sulla base del quale occorre valutare la compatibilità di ogni strumento con il diritto dell’Unione.

ii)    Compatibilità di un’efficacia erga omnes delle sentenze di accertamento nazionali

55.      Dopo aver illustrato gli aspetti fondamentali della disciplina del procedimento di controllo formale contenuta nell’articolo 7, paragrafo 2, occorre ora verificare se la direttiva 93/13 osti a una disciplina nazionale come quella in esame, che riconosce efficacia giuridica alle sentenze di accertamento dei giudici nazionali, non solo nei confronti delle parti del procedimento giudiziale, bensì anche nei confronti di chiunque (erga omnes) abbia stipulato un contratto con il professionista.

56.      A tal fine è necessario anzitutto valutare la questione della compatibilità di tale disciplina nazionale con il criterio dell’«efficacia», riconoscendo al legislatore nazionale, in conformità delle considerazioni precedenti, un potere discrezionale sufficientemente ampio nell’elaborare proprie norme interne di diritto processuale civile.

57.      L’accertamento giudiziale della nullità di una clausola qualificata come abusiva, con efficacia nei confronti di tutti i contratti con i consumatori stipulati dal professionista convenuto, contribuisce oggettivamente alla cessazione dell’impiego di detta clausola negli scambi commerciali. L’efficacia erga omnes derivante da una simile decisione elimina infatti in un sol colpo la clausola controversa da tutti i contratti in cui essa è stata inserita, senza che sia il singolo consumatore a doverla impugnare giudizialmente. Con l’accertamento della nullità della clausola viene contemporaneamente comminata una delle conseguenze giuridiche più incisive che un ordinamento civilistico possa prevedere. In tal modo viene garantita l’attuazione della previsione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, vale a dire l’obbligo di assicurare la non vincolatività della clausola controversa per il consumatore. Non da ultimo, in considerazione della notevole portata di una simile decisione, si può ritenere che essa avrà un effetto deterrente anche nei confronti di altri professionisti che intendano utilizzare clausole simili negli scambi commerciali. Pertanto, la normativa nazionale controversa è idonea a contribuire alla tutela dei consumatori anche a lungo termine.

58.      Ne consegue che la normativa nazionale in esame soddisfa il requisito dell’«efficacia» in conformità dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

59.      La normativa nazionale costituisce pertanto anche un mezzo adeguato per far cessare l’inserimento di clausole abusive «nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori» (articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13). In ogni caso non vi sono elementi che lascino ritenere che questa normativa nazionale possa incidere in modo eccessivo sui diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione, e possa così rivelarsi un mezzo inadeguato di tutela dei consumatori. In particolare, nell’ambito del procedimento che conduce alla sentenza di accertamento, gli effetti dell’autorità di cosa giudicata di detta sentenza non gravano in modo sproporzionato sui professionisti che non ne sono parte né pregiudica il loro diritto a essere sentiti. Dalle disposizioni di legge nazionali riportate nei paragrafi 11 e seguenti delle presenti conclusioni e, in particolare, dall’articolo 209/B, paragrafo 2, del codice civile si deve dedurre che l’assenza di carattere vincolante riguarda soltanto lo specifico professionista convenuto. L’efficacia erga omnes della decisione adottata nei suoi confronti non gode quindi di applicazione indiscriminata nei riguardi di qualsiasi altro professionista che utilizzi una clausola dal significato analogo, ma non abbia preso parte al procedimento che ha portato all’accertamento del carattere non vincolante della clausola.

60.      Se così fosse, infatti, potrebbero sorgere considerevoli dubbi dal punto di vista del diritto processuale e dei diritti fondamentali. Difatti, un’efficacia erga omnes a carico di soggetti che non erano parte del procedimento sarebbe difficilmente compatibile con il principio dell’equo processo, tanto più che questi terzi sono stati privati della possibilità di prendere posizione in merito alla censura relativa all’utilizzo di clausole abusive negli scambi commerciali prima dell’emanazione di una pronuncia che li riguarda. Il diritto ad essere sentito, considerato espressione del principio dell’azione conforme in uno Stato di diritto e appartenente ai principi generali di diritto dell’Unione riconosciuti dalla giurisprudenza (35), non sarebbe sufficientemente garantito nel caso di un’efficacia erga omnes indiscriminata nei confronti di soggetti estranei al procedimento e, di conseguenza, la normativa nazionale controversa non sarebbe adeguata ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 93/13. A questo riguardo occorre osservare nondimeno che la questione della compatibilità con i diritti fondamentali garantiti dal diritto dell’Unione si pone soltanto in considerazione del fatto che l’efficacia erga omnes delle decisioni nazionali rientra tra i mezzi che ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13. Non emergono invece perplessità in merito a un’efficacia erga omnes a favore di terzi che non abbiano preso parte al procedimento. Dato che, comunque, in base alle informazioni trasmesse alla Corte non vi è motivo di riscontrare una violazione dei principi fondamentali di difesa, in prosieguo è da ritenere che sia soddisfatto anche il criterio dell’«adeguatezza».

61.      Ne consegue che il combinato disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13 non osta a una normativa nazionale in forza della quale una clausola contrattuale abusiva di un determinato professionista non produce effetti vincolanti per il consumatore, laddove un giudice nazionale dichiari l’invalidità di una siffatta clausola abusiva, figurante in un contratto stipulato coi consumatori, a seguito dell’azione proposta da un ente legalmente designato e legittimato.

iii) Compatibilità delle azioni inibitorie

62.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se la direttiva 93/13 osti a una disciplina nazionale che riconosce a un determinato ente legalmente designato e legittimato il diritto di agire per inibire l’impiego di clausole di cui in precedenza è stato giudizialmente accertato il carattere abusivo.

63.      Innanzitutto occorre osservare che la direttiva 93/13 – a prescindere dalla facoltà di controllo preventivo delle condizioni generali adottate in un particolare settore economico di cui al ventiquattresimo considerando – non impedisce agli Stati membri di prevedere nel proprio diritto processuale anche la possibilità di disporre misure preventive volte a impedire l’utilizzo di clausole abusive negli scambi commerciali. Come si evince dall’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13, è piuttosto vero il contrario.

64.      Per un verso, detta disposizione della direttiva stabilisce che persone o organizzazioni debbono poter adire le autorità giudiziarie non soltanto perché queste ultime accertino l’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, ma anche affinché «applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole». In considerazione dello specifico contesto normativo, la nozione giuridica indeterminata di «mezzo» dev’essere interpretata, nel senso di detta norma, come atta a includere qualsiasi decisione giudiziale o provvedimento amministrativo previsto a livello di diritto processuale dal corrispondente ordinamento giuridico e che può essere emesso su istanza di una parte o d’ufficio a tutela del consumatore. Già dal tenore letterale di detta disposizione della direttiva 93/13 emerge come il legislatore dell’Unione distingua tra due diverse categorie di tutela giuridica collettiva che si completano tra loro. Nella prima categoria rientra il procedimento volto ad accertare il carattere abusivo di una clausola, mentre nella seconda ricadono tutti gli altri «mezzi adeguati ed efficaci» che devono essere individuati dagli Stati membri.

65.      Per altro verso, la disposizione in oggetto stabilisce che le misure da adottare debbono essere dirette contro le clausole contrattuali «redatte per un impiego generalizzato». Di conseguenza, ciò che conta è unicamente che l’autore abbia predisposto le clausole in previsione di un loro possibile impiego. Viceversa, non rileva che un impiego generalizzato sia stato già previsto concretamente o con certezza (36). Questa disposizione della direttiva 93/13 mira a offrire ai potenziali interessati una possibilità di tutela giuridica in caso di future violazioni. La formulazione di questa disposizione nelle diverse versioni linguistiche («per») (37) conferma questa interpretazione. Essa, infatti, implica che dovrebbero essere adottate misure preventive per evitare che il professionista, in futuro, impieghi una determinata clausola abusiva.

66.      Detti elementi consentono di confermare che l’introduzione di azioni inibitorie appare non soltanto compatibile con il diritto dell’Unione, ma addirittura necessaria dal punto di vista processuale per poter raggiungere l’obiettivo della direttiva 93/13 (38). Tenuto conto della ratio di questa disciplina, la tutela giuridica collettiva imposta dall’articolo 7 della direttiva 93/13 agli Stati membri sarebbe incompleta se si limitasse a consentire l’eliminazione di una clausola esistente in un determinato momento, senza tuttavia prevedere la possibilità di disporre un divieto generale di impiego di detta clausola e, nel caso di riutilizzo, di emanare misure volte a garantire l’applicazione del divieto di cui trattasi.

67.      Nella consapevolezza di tale necessità, il legislatore dell’Unione ha adottato la direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (39). Questa direttiva che, con effetto dal 29 dicembre 2009, ha abrogato la direttiva precedente 98/27/CE (40), già oggetto di ripetute modifiche, mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative ai provvedimenti inibitori volti a tutelare gli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle direttive elencate nell’allegato I. In tal modo dovrebbe essere garantito il corretto funzionamento del mercato interno. Al riguardo occorre evidenziare che tra quelle indicate nell’allegato I della direttiva rientra anche la direttiva 93/13, rilevante ai fini del presente procedimento. La direttiva 2009/22 integra la tutela giuridica processuale di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (41).

68.      Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2009/22 è legittimato a proporre ricorso «qualsiasi organismo o organizzazione, debitamente costituito secondo la legislazione di uno Stato membro, che ha un legittimo interesse a far rispettare le disposizioni a tutela dei consumatori». Dato che tale norma coincide in larga misura con l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13, essa dev’essere interpretata nel senso che, al pari della ricorrente nel procedimento principale, anche le associazioni a tutela dei consumatori sono legittimate, in linea di principio, a proporre l’azione inibitoria a condizione che soddisfino i requisiti stabiliti a tal fine dai singoli Stati.

69.      Se si esamina la disposizione nazionale controversa, così come riportata nella seconda parte della questione, alla luce delle considerazioni suesposte, emerge che in ogni caso essa soddisfa oggettivamente il requisito dell’«efficacia», nella misura in cui ammette che persone o organizzazioni aventi un interesse legittimo a tutelare i consumatori possano richiedere l’accertamento giudiziale della nullità di una clausola e impedirne l’utilizzo da parte dello specifico professionista, ancora prima che la clausola qualificata come abusiva venga utilizzata negli scambi commerciali. Con l’intervento tempestivo del giudice nazionale competente per l’esercizio del controllo astratto, si garantisce che la clausola controversa non sia inserita nei contratti con i consumatori. Inoltre, la possibilità accordata dal legislatore di accertare la nullità e di estendere per il futuro questa conseguenza giuridica a tutti i rapporti contrattuali del professionista presenta il vantaggio di evitare che una clausola già qualificata come abusiva venga nuovamente utilizzata. Qualora, come spesso accade nel diritto processuale, nel caso di violazione del provvedimento inibitorio giudiziale sussistesse la minaccia di una sanzione di una certa gravità, l’azione inibitoria costituirebbe un’arma ancora più efficace contro le clausole abusive.

70.      Per completezza, è bene osservare che la disciplina nazionale controversa non prevede alcun procedimento equiparabile a quello dell’autorizzazione preventiva contemplato nel ventiquattresimo considerando, in quanto l’utilizzo di una determinata clausola non è subordinato a un’autorizzazione giudiziaria o amministrativa. La decisione in merito all’introduzione del procedimento di controllo astratto spetta invece unicamente alle persone e alle organizzazioni legittimate ad agire indicate nell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

71.      Non sussistono inoltre elementi idonei a indicare che detta normativa nazionale incida in modo sproporzionato sui diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione e che, così facendo, contrasti con il requisito dell’«adeguatezza». Pertanto, in questa sede, è possibile richiamare le riserve espresse in precedenza ai paragrafi 59 e seguenti delle presenti conclusioni contro un’efficacia erga omnes nei confronti dei professionisti che non hanno preso parte al procedimento. Poiché anche tale criterio risulta soddisfatto, la normativa nazionale deve essere considerata compatibile con la direttiva 93/13.

72.      Occorre quindi rispondere alla seconda parte della questione nel senso che il combinato disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13 non osta a una normativa nazionale in base alla quale, se viene presentato un ricorso collettivo, in caso di una condanna da cui traggono beneficio consumatori che non sono parte del giudizio o in caso di divieto di applicare una condizione generale contrattuale abusiva, quest’ultima, quale parte integrante di contratti stipulati coi consumatori, non risulta vincolante neppure per l’avvenire per nessuno dei consumatori interessati nei confronti del professionista convenuto.

iv)    Rimborsi dei costi e delle spese riscossi

73.      Un altro aspetto non figurante nelle questioni pregiudiziali, ma su cui, come emerge dalle considerazioni effettuate nell’ordinanza di rinvio, il giudice intende evidentemente ricevere una risposta, riguarda la compatibilità con la direttiva 93/13 di una normativa nazionale in virtù della quale i consumatori che non sono parte del procedimento possano richiedere al prestatore del servizio il rimborso dei costi e delle spese che questi ha riscosso da loro in forza di clausole abusive. Il giudice del rinvio ha sottoposto tale questione per sapere se i consumatori che non sono parte del procedimento possano richiamarsi alle disposizioni della direttiva 93/13 per far valere una siffatta domanda di rimborso.

74.      Ritengo che detta questione, così come formulata, debba trovare risposta negativa, dato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 si limita a disporre che una clausola abusiva «non vincola» il consumatore, lasciando che siano gli ordinamenti nazionali a stabilirne le «condizioni». In altri termini, il compito di concretizzare, dal punto di vista giuridico, il carattere non vincolante all’interno dei singoli Stati è rimesso agli Stati membri. La direttiva 93/13 non disciplina invece eventuali pretese del consumatore dirette a ottenere la restituzione di prestazioni che il professionista, alla luce della nullità parziale dell’accordo contrattuale intercorso con il consumatore, abbia ricevuto indebitamente. Il diritto al rimborso mira a far revocare spostamenti patrimoniali avvenuti validamente, ma privi di causa. In tal modo, s’intende riportare i rapporti patrimoniali a una situazione di diritto conforme alla legge. Pertanto, il diritto al rimborso va oltre quello che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 intende in realtà garantire. L’obiettivo di questa norma consiste, infatti, unicamente nel garantire che la clausola abusiva non comporti alcun obbligo a carico del consumatore.

75.      Non si può rispondere diversamente a questa domanda neppure muovendo dalla prospettiva delle esigenze di tutela collettiva, cui questa disposizione trova del pari applicazione grazie alla sua validità generale. L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 impone senz’altro il ricorso a mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive, senza tuttavia esigere l’adeguamento dei rapporti patrimoniali a una situazione giuridica conforme alla legge. La disciplina di tale aspetto viene rimessa al diritto nazionale.

76.      Muovendo dalla premessa che la normativa nazionale riconosce al consumatore maggiori diritti rispetto a quelli previsti nella direttiva 93/13, resta da verificare l’applicabilità dell’articolo 8 della direttiva in questione. Detta disposizione permette agli Stati membri di adottare o mantenere nel settore disciplinato dalla presente direttiva disposizioni più severe compatibili con il Trattato, al fine di garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore. Il riconoscimento per legge di un diritto al rimborso dei costi e delle spese riscosse dal prestatore di servizi, in forza di clausole abusive, contribuisce indubbiamente alla tutela del consumatore. Si tratta inoltre di una normativa nazionale che interessa il settore delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, previsto dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13. Infine, dato che non sussiste alcun dubbio circa la compatibilità con il diritto primario, questa norma nazionale soddisfa le condizioni imposte a un esercizio conforme al diritto dell’Unione della facoltà accordata dall’articolo 8 della direttiva. Pertanto, la direttiva 93/13 non osta a una simile normativa nazionale.

B –    Sulla seconda questione pregiudiziale

77.      La seconda questione pregiudiziale, se è correttamente interpretata, può essere suddivisa in due diversi argomenti. In primo luogo, il giudice del rinvio chiede se, ai sensi della direttiva 93/13, possa essere considerata abusiva una clausola contrattuale con cui il professionista preveda una modifica unilaterale dei termini del contratto senza descrivere esplicitamente le modalità di variazione dei prezzi, né specificare motivi validi nel contratto. In caso affermativo, inoltre, egli vorrebbe sapere se il diritto nazionale possa prevedere che tale clausola contrattuale sia nulla ipso iure. Per motivi di chiarezza, è bene trattare separatamente e per ordine questi due argomenti.

1.      Valutazione del carattere abusivo della clausola controversa

a)      Oggetto del controllo sostanziale

78.      Prima di valutare il carattere abusivo della clausola, il giudice nazionale deve sincerarsi che sia possibile sottoporla a un controllo sostanziale ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. A tale riguardo si rimanda alla sentenza Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (42), in cui la Corte ha chiarito che questa disposizione non mira tanto a disciplinare l’ambito di applicazione della direttiva 93/13, quanto piuttosto a «stabilire le modalità e la portata del controllo sostanziale delle clausole contrattuali, che non siano state oggetto di trattativa individuale, le quali descrivono le prestazioni essenziali dei contratti stipulati tra un professionista ed un consumatore» (43). In base all’articolo 4, paragrafo 2, la valutazione del carattere abusivo delle clausole «non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

79.      A prima vista, il fatto che la convenuta nel procedimento principale addebiti ai propri clienti i costi del pagamento a mezzo vaglia potrebbe indurre a ritenere che la prassi controversa riguardi solo il prezzo, inteso come una delle prestazioni principali del contratto, il quale, in conformità dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, può essere sottoposto al controllo sostanziale soltanto quando la clausola controversa non è formulata in modo chiaro e comprensibile. Così facendo si dimenticherebbe però che il centro della controversia non è tanto l’entità dei costi stessi, quanto piuttosto il potere della convenuta nel procedimento principale di modificare unilateralmente le condizioni del contratto per determinati servizi. La questione sollevata risulta pertanto più complessa di quanto possa sembrare a un esame iniziale. Alla luce della direttiva 93/13, in realtà si tratta di esaminare una specifica modalità di modifica del contratto, potenzialmente idonea a danneggiare il consumatore in maniera rilevante. Il fatto che il combinato disposto dell’articolo 3, paragrafo 1, e del punto 1, lettera j), dell’allegato rimandi a una fattispecie analoga deve essere considerato un indizio dell’intenzione del legislatore di sottoporre le modalità di modifica unilaterale del contratto a un controllo più rigoroso ai sensi della direttiva 93/13. La portata della disciplina e le sue conseguenze per il consumatore indicano come un controllo sostanziale sia imprescindibile. Alla luce di tali circostanze, i requisiti di chiarezza e comprensibilità della clausola di cui trattasi quali presupposti per un controllo sostanziale, la cui sussistenza in base alla giurisprudenza deve essere valutata dal competente giudice nazionale (44), non dovrebbero essere eccessivamente ridotti.

b)      Carattere indicativo dell’elenco e ripartizione delle competenze

80.      Per quanto attiene alla questione centrale della qualificazione della clausola controversa stessa come abusiva, occorre considerare che l’articolo 3 della direttiva 93/13, facendo riferimento alle nozioni di buona fede e di significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, definisce soltanto in modo astratto i fattori che attribuiscono carattere abusivo a una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale (45). In tale contesto, l’allegato cui rinvia l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 93/13 contiene solo un elenco indicativo e non esauriente di clausole (46) che possono essere dichiarate abusive (47). Una clausola che vi figuri non deve essere necessariamente considerata abusiva e, viceversa, una clausola che non vi figuri può comunque essere dichiarata abusiva (48). Per questo motivo non è possibile desumere il carattere abusivo di una clausola dal solo inserimento nell’elenco.

81.      Malgrado il carattere indicativo riconosciuto a tale circostanza dalla giurisprudenza, si rende necessaria una valutazione autonoma e dettagliata della specifica clausola contrattuale con riguardo al suo eventuale carattere abusivo. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, tale valutazione deve avvenire tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

82.      A tale riguardo occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza ormai consolidata della Corte, spetta al giudice nazionale determinare se una clausola contrattuale soddisfi i criteri per essere qualificata abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (49). Ai fini della domanda di pronuncia pregiudiziale qui in esame, questo significa che – come concordemente osservato da tutte le parti del procedimento nelle loro osservazioni scritte – è rimesso al giudice nazionale e non alla Corte giudicare il carattere abusivo della clausola controversa.

83.      Dalla giurisprudenza, però, emerge anche che la Corte, nell’ambito dell’esercizio della competenza interpretativa del diritto dell’Unione a essa conferita all’articolo 267 TFUE, può interpretare i criteri generali utilizzati dal legislatore dell’Unione per definire la nozione di clausola abusiva. Da ultimo, come chiarito nella sentenza Pénzügyi Lízing (50), il potere interpretativo della Corte si estende in particolare anche alle fattispecie di clausole contenute nell’allegato della direttiva 93/13. Essa non può invece pronunciarsi sull’applicazione di tali criteri generali a una clausola particolare che deve essere esaminata in relazione alle circostanze proprie al caso di specie (51).

84.      Dalla questione pregiudiziale si può implicitamente desumere che il giudice del rinvio ritiene senz’altro che la clausola controversa corrisponda ampiamente alla fattispecie di cui al punto 1, lettera j), dell’allegato. In base alle informazioni sulle circostanze di fatto possedute dalla Corte, non vi è motivo di contestare tale qualificazione. Come emerge dagli atti (52), infatti, nel periodo compreso tra giugno e ottobre 2008, la convenuta del procedimento principale ha gradualmente introdotto la prassi commerciale contestata, consistente nell’addebito dei costi per il pagamento a mezzo vaglia, modificando a tal fine le proprie condizioni generali di contratto. Resta però oscuro soltanto se l’introduzione delle nuove condizioni generali di contratto operasse unicamente per i contratti da ultimo stipulati o riguardasse indistintamente tutti i clienti. In mancanza di informazioni più precise, in prosieguo occorre muovere dalla seconda ipotesi. Anche una valutazione dei fatti in base all’«id quod plerumque accidit» depone in tal senso, tanto più che si deve ritenere che il professionista fosse maggiormente interessato a una validità diffusa delle sue condizioni generali di contratto, vale a dire per tutti i rapporti contrattuali in corso tra lui e i suoi clienti. Da questo punto di vista, nel caso controverso si ravvisa effettivamente una modifica a posteriori delle clausole contrattuali, come descritta nella fattispecie di cui al punto 1, lettera j), dell’allegato.

85.      Conformemente alla ripartizione delle competenze nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, la Corte si limiterà a interpretare le menzionate disposizioni della direttiva, sulla base della qualificazione effettuata dal giudice del rinvio, tenendo conto necessariamente anche delle peculiarità del caso principale, nell’interesse di una risposta utile alla domanda di pronuncia pregiudiziale.

c)      Interpretazione della fattispecie della clausola di riferimento

86.      Punto di partenza dell’interpretazione è la disposizione centrale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13. Essa stabilisce che una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di trattativa individuale, si considera abusiva se, «malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». Se il professionista, come nel caso controverso, si riserva il diritto di modificare unilateralmente elementi importanti del contratto, tra cui rientrano il prezzo e i costi di esecuzione di detto contratto, in certe condizioni questo può creare una situazione in cui il consumatore è in balia della volontà del professionista, senza alcuna tutela, salvo nel caso in cui, in determinate ipotesi, gli venga eccezionalmente riconosciuto il diritto di opporsi alla modifica. Il rischio di un trattamento sfavorevole è tanto maggiore quanto più generica è la formulazione della clausola controversa in relazione a quegli aspetti che il professionista può modificare unilateralmente. Una simile disposizione può comportare un notevole spostamento dei diritti e dei doveri derivanti dal contratto a pregiudizio del consumatore, in contrasto con il principio di buona fede. In particolare questo si verifica quando, come nel caso controverso, la facoltà di modifica del professionista si estende all’oggetto principale del contratto e non si limita solo ad altri aspetti del contratto. Non da ultimo, in virtù della consapevolezza dei rischi che una simile ipotesi comporta per il consumatore, il legislatore dell’Unione ha provveduto a inserirla al punto 1, lettera j), dell’allegato, descrivendola in termini generali.

87.      Tuttavia, le clausole che prevedono una facoltà di modifica unilaterale del contratto non risultano abusive per antonomasia, ma solo nel caso in cui accordino una facoltà di modifica che può essere esercitata indipendentemente dalla ricorrenza di un valido motivo o qualora non specifichino il motivo della modifica. La fattispecie della clausola di cui al punto 1, lettera j), dell’allegato riconosce che il consumatore è sufficientemente tutelato qualora sia informato preventivamente della possibilità di modifica del contratto e dei presupposti di tale modifica. Un valido motivo sussiste – come si desume in particolare a contrario dal requisito del grave motivo citato nel punto 1, lettera g) – non soltanto nel caso in cui il mantenimento di tutti gli elementi della prestazione contrattuale descritta divenga assolutamente insostenibile. È sufficiente invece un qualsiasi grave motivo, giuridicamente rilevante, inerente a una modifica del contenuto delle prestazioni che sia ammessa in base alla clausola. Pertanto, dipende dalla sussistenza di un motivo ritenuto giuridicamente prevalente alla luce della valutazione degli interessi coinvolti. Il motivo della modifica deve essere espressamente indicato nella clausola. In difetto, in generale la clausola può essere considerata abusiva per se. L’indicazione del motivo deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile per il consumatore. Questo obbligo si desume dall’articolo 5 della direttiva 93/13, secondo il quale tutte le clausole sottoposte per iscritto devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In base al tenore letterale e alla ratio della fattispecie della clausola indicata nel punto 1, lettera j), dell’allegato non è sufficiente che la clausola si limiti a ribadire la generica esigenza di un valido motivo. Il motivo ammissibile deve invece essere indicato in modo sufficientemente trasparente (53). Come si evince direttamente dalla questione pregiudiziale, è evidente che questa condizione non è stata rispettata nel caso controverso, cosicché sussistono elementi a favore di una qualificazione della clausola come abusiva. La valutazione definitiva compete tuttavia al giudice nazionale.

2.      Sulla nullità ipso iure

a)      La conseguenza giuridica della nullità prevista dal diritto nazionale

88.      Con riguardo all’ulteriore questione in esame, ovvero se il diritto nazionale possa prevedere la nullità ipso iure di una clausola abusiva, si richiamano innanzitutto le mie considerazioni svolte nei paragrafi 47 e seguenti delle presenti conclusioni.

89.      Come ho ivi evidenziato, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prescrive unicamente che la clausola controversa «non vincol[i] il consumatore», mentre le conseguenze dell’accertamento del suo carattere abusivo vengono stabilite dal diritto nazionale. Questa disposizione della direttiva si limita a prescrivere un risultato che gli Stati membri sono tenuti a raggiungere in sede di attuazione della direttiva, senza peraltro stabilire nel dettaglio se la relativa clausola debba essere dichiarata invalida o inefficace. Tale aspetto è invece rimesso al diritto nazionale. Una simile disciplina si pone altresì in linea con la natura giuridica della direttiva che, quale strumento di armonizzazione del diritto, conformemente all’articolo 288 TFUE, vincola lo Stato membro per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre demanda agli organi nazionali la competenza in ordine alla forma e ai mezzi.

90.      Muovendo da questo presupposto, il concetto di nullità è compatibile in linea di principio con la direttiva 93/13, poiché, seguendo l’obiettivo dell’articolo 6, paragrafo 1, impedisce che una clausola abusiva produca effetti giuridici a carico del consumatore (54).

b)      Sull’effetto ipso iure dell’invalidità

91.      Per quanto attiene alla possibilità o meno per il diritto nazionale di riconoscere effetto ipso iure all’invalidità di una simile clausola, occorre richiamare la giurisprudenza della Corte sull’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in cui vengono posti obblighi importanti a carico del diritto nazionale di attuazione, affinché quest’ultimo soddisfi l’obiettivo della tutela dei consumatori.

92.      Per un verso, occorre fare richiamo alla sentenza Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (55), in cui la Corte ha dichiarato che «l’obiettivo perseguito dall’articolo 6 della direttiva (…) non potrebbe essere conseguito se [i consumatori] fossero tenuti a eccepire essi stessi l’illiceità di tali clausole (…) [e che] una tutela effettiva del consumatore può essere ottenuta solo se il giudice nazionale ha facoltà di valutare d’ufficio tale clausola» (56). Per altro verso, va rammentata la sentenza Pannon GSM (57) in cui la Corte ha precisato tale giurisprudenza, osservando che «occorre escludere l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva nel senso che il consumatore non è vincolato da una clausola contrattuale abusiva esclusivamente nel caso in cui egli abbia presentato una specifica domanda al riguardo». La Corte ha motivato tale affermazione spiegando che «siffatta interpretazione escluderebbe, infatti, che il giudice nazionale, nell’ambito dell’esame della ricevibilità della domanda sottopostagli, possa valutare l’abusività di una clausola contrattuale d’ufficio e in assenza di un’esplicita richiesta del consumatore» (58).

93.      Come osservato nelle mie conclusioni nella causa Pénzügyi Lízing (59), detta giurisprudenza va intesa nel senso che, in primo luogo, in base al diritto dell’Unione, il giudice nazionale è obbligato a verificare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole e, in secondo luogo, che l’inopponibilità della clausola deve operare ipso iure (60). Solo se tali requisiti sono soddisfatti si può garantire che la non vincolatività della clausola operi indipendentemente da qualsivoglia azione del consumatore.

94.      Ne consegue che gli Stati membri sono liberi di attuare nei propri ordinamenti la prescrizione del carattere non vincolante per il consumatore di una clausola qualificata come abusiva, prevedendo che essa sia nulla ipso iure.

C –    Conclusioni riassuntive

95.      È opportuno infine riassumere brevemente le conclusioni essenziali cui ha condotto l’analisi delle questioni pregiudiziali che precede.

96.      L’analisi ha mostrato come la direttiva 93/13 non soltanto ammetta la previsione dell’istituto dell’azione rappresentativa nei singoli ordinamenti nazionali, ma la consideri altresì uno strumento «efficace» e «adeguato» di tutela collettiva ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, per «far cessare» l’impiego di clausole abusive negli scambi commerciali (61).

97.      Pur riconoscendo che il carattere meramente puntuale delle disposizioni contenute nell’articolo 7 della direttiva 93/13 e l’approccio di armonizzazione minima adottato dal legislatore dell’Unione accordino un’ampia discrezionalità agli Stati membri, relativamente alla configurazione del diritto processuale interno, è comunque necessario soddisfare determinati requisiti per garantire il conseguimento dell’obiettivo legislativo della tutela dei consumatori. Tra di essi rientra la previsione che una clausola, una volta qualificata come abusiva, debba continuare ad essere «non vincola[nte]» per il consumatore, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1 (62). Tale obiettivo è soddisfatto, in ogni caso, da una disposizione in base alla quale le sentenze di accertamento dei giudici nazionali hanno efficacia giuridica non solo nei confronti di chi ha preso parte al procedimento, ma anche nei confronti di chiunque (erga omnes) abbia negoziato con il professionista in parola che faccia uso di tale clausola (63). Sotto il profilo processuale, per raggiungere l’obiettivo della direttiva, si rendono necessarie azioni inibitorie, i cui aspetti fondamentali sono disciplinati nella direttiva 2009/22 (64).

98.      Si è poi constatato che gli eventuali diritti del consumatore di ottenere il rimborso delle spese e dei costi riscossi in applicazione di una clausola abusiva non sono effettivamente disciplinati nella direttiva 93/13, la quale, in linea di principio, non osta tuttavia a una disciplina nazionale in tal senso (65). Da ultimo, l’esame ha mostrato che sussistono indubbiamente elementi concreti per supporre che la clausola controversa corrisponda alla fattispecie di clausola indicata nel punto 1, lettera j), dell’allegato e soddisfi i criteri per essere qualificata come abusiva ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13. Competente a stabilire in modo definitivo il carattere abusivo di questa clausola resta comunque il giudice nazionale (66). In tal caso, la direttiva 93/13 non osterebbe alla previsione di una nullità ipso iure in base alle disposizioni del diritto nazionale (67).

VII – Conclusione

99.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Pest Megyei Bíróság come segue:

1)         Il combinato disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale in virtù della quale una clausola abusiva, utilizzata da un determinato professionista nei contratti con i consumatori e la cui nullità o mancanza di effetto vincolante sia stata accertata da un giudice nazionale nell’ambito di un ricorso collettivo proposto da un ente legalmente designato e legittimato a tal fine, non produce effetti giuridici per nessuno dei contratti stipulati dal suddetto professionista con i consumatori.

2)         Il combinato disposto dell’articolo 6, n. 1, e dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13 non riconosce al consumatore che non ha preso parte al procedimento il diritto di ottenere il rimborso dei costi insorti a causa del carattere abusivo della clausola, se il carattere abusivo della clausola è stato accertato nell’ambito di un altro procedimento che non lo riguarda. L’articolo 8 della direttiva non osta tuttavia a una disciplina nazionale che, in un caso simile, accordi al consumatore un siffatto diritto al rimborso.

3)         Una clausola contrattuale che accordi al professionista il diritto di modificare unilateralmente i termini del contratto senza descrivere esplicitamente le modalità di variazione dei prezzi, né specificare motivi validi nel contratto, rientra nella fattispecie di cui al punto 1, lettera j), dell’allegato all’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 93/13. È rimesso tuttavia al giudice nazionale valutare nel singolo caso il carattere abusivo della specifica clausola. La direttiva non osta a una disciplina nazionale che preveda la nullità ipso iure di una simile clausola.


1      Lingua originale delle conclusioni: il tedesco.


      Lingua processuale: l’ungherese.


2 —      Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).


3 —      Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304, pag. 64). A seguito della pubblicazione della direttiva nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 22 novembre 2011, gli Stati membri sono tenuti a recepirla nel diritto nazionale entro il 13 dicembre 2013. L’articolo 32 di tale direttiva, che viene inserito nella direttiva 93/13 come articolo 8 bis, impone agli Stati membri di informare la Commissione in merito all’adozione di specifiche norme di diritto interno in determinati settori, vale a dire in caso di ampliamento della portata del controllo sostanziale ai sensi dell’articolo 4, n. 2, della direttiva 93/13 e di introduzione di elenchi di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive. L’adozione della direttiva sui diritti dei consumatori coincide temporalmente con la proposta della Commissione di un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita [COM(2011) 635 def.], presentata l’11 ottobre 2011. Questa proposta prevede la possibilità di applicare il diritto europeo dei contratti ai contratti sovranazionali, in presenza di un espresso accordo tra le parti. Il capo 8 (artt. 79‑86, «Clausole abusive») del documento contiene norme in materia di clausole abusive sia nei contratti tra un professionista e un consumatore, che corrispondono in larga misura a quelle contenute nella direttiva 93/13, sia tra professionisti (quanto agli sviluppi nel settore del diritto privato dei consumatori, v. C. Wendehorst, «Auf dem Weg zu einem zeitgemäßen Verbraucherprivatrecht: Umsetzungskonzepte», in Neuordnung des Verbraucherprivatrechts in Europa? — Zum Vorschlag einer Richtlinie über Rechte der Verbraucher, Vienna 2009, pagg. 154 e segg., e del diritto internazionale privato, F. Ferrari, Ein neues Internationales Vertragsrecht für Europa, Gottmadingen 2007, pag. 57).


4 —      V. sentenze 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C‑240/98 a C‑244/98, Racc. pag. I‑4941, punto 25), e 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C‑168/05, Racc. pag. I‑10421, punto 25).


5 —      V. sentenze Mostaza Claro (cit. supra alla nota 4, punto 36) e 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, Racc. pag. I‑4713, punto 25).


6 —      V. sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (cit. supra alla nota 4, punto 27); Mostaza Claro (cit. supra alla nota 4, punto 26), e 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08, Racc. pag. I‑9579, punto 31).


7 —      Ibidem, punto 32.


8 —      Sentenze 21 novembre 2002, Cofidis (C‑473/00, Racc. pag. I‑10875, punto 32), e Mostaza Claro (cit. supra alla nota 4, punto 27).


9 —      Sentenze Cofidis (cit. supra alla nota 8, punto 33) e Mostaza Claro (cit. supra alla nota 4, punto 28).


10 —      M. Ebers, «Unfair Contract Terms Directive (93/13)», in EC Consumer Law Compendium — Comparative Analysis (a cura di Hans Schulte‑Nölke/Christian Twigg‑Flesner/Martin Ebers), pagg. 422 e segg., offre un quadro dei vari strumenti adottati a livello degli Stati membri, da cui emerge che tutti gli Stati membri prevedono procedimenti giudiziali volti a vietare le clausole abusive. In alcuni Stati membri si ricorre a strumenti di natura amministrativa, mentre in tutti sono ammesse azioni rappresentative.


11 —      V. H.‑W. Micklitz, «AGB‑Gesetz und die EG‑Richtlinie über missbräuchliche Vertragsklauseln in Verbraucherverträgen», in Zeitschrift für Europäisches Privatrecht, 1993, pag. 529, che osserva come il legislatore dell’Unione non abbia voluto influire sulla tipologia del controllo. Gli Stati membri dovrebbero, viceversa, esseri liberi di scegliere se affidare tale controllo ad autorità amministrative o associazioni a tutela dei consumatori, purché detto controllo sia efficace e adeguato. In senso analogo, v. anche T. Pfeiffer, Das Recht der Europäischen Union — Kommentar (a cura di E. Grabitz/M. Hilf), vol. IV, A5, articolo 7, punto 14, pag. 3, secondo il quale gli Stati membri possono decidere se il procedimento di controllo astratto debba consistere in un procedimento giudiziale o in un procedimento di natura amministrativa. Viene tuttavia pretesa un’adeguata efficacia del procedimento. R. Damm, «Europäisches Verbrauchervertragsrecht und AGB‑Recht», Juristenzeitung, 1994, pag. 175, interpreta la regola fissata nell’articolo 7, n. 2, della direttiva 93/13 nel senso che la decisione se sottoporre il controllo astratto del carattere abusivo di una clausola a un procedimento giudiziale o amministrativo è riservata al diritto del singolo Stato. L’autore osserva tuttavia che non solo la mera esistenza di azioni rappresentative, ma anche la loro efficacia viene imposta a livello di diritto dell’Unione, dovendo essere previsti mezzi adeguati ed efficaci contro l’impiego di clausole abusive.


12 —      In tutti gli Stati membri dell’Unione è prevista la possibilità di agire giudizialmente con un’azione rappresentativa contro le clausole abusive. Quasi tutti gli Stati membri prevedono, quale standard minimo, la possibilità di agire con un’azione inibitoria nei confronti di persone che utilizzino o raccomandino l’inserzione di clausole abusive. Di regola, in casi urgenti, può anche essere richiesta al giudice una misura cautelare. Alcuni Stati membri prevedono anche azioni dirette a ottenere il risarcimento del danno. L’azione rappresentativa si ricollega in Germania a una storia di oltre un secolo. Già nel Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb (legge contro la concorrenza sleale), nella sua versione del 1896, per la prima volta veniva riconosciuto il diritto di agire alle associazioni professionali. Circa ottant’anni dopo, queste azioni rappresentative delle associazioni dei consumatori e delle associazioni commerciali si sono fatte strada nel settore delle CG di contratto. In base ad esse, gli enti legittimati ad agire, quali le associazioni dei consumatori e le Camere di commercio, d’industria e dell’artigianato, ai sensi degli articoli 307, 308 e 309 del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile), possono ricorrere nei confronti di chi utilizzi nelle condizioni generali disposizioni inefficaci o ne raccomandi l’utilizzo nell’ambito degli scambi giuridici all’azione inibitoria o, in caso di raccomandazione, alla revoca (articoli 1—3 dell’Unterlassungsklagengesetz, legge in materia di azioni inibitorie). In Francia, accanto a un controllo da parte delle autorità amministrative e a un controllo sostanziale del giudice nell’ambito delle controversie individuali, dal 1988 esiste anche il diritto delle associazioni dei consumatori di proporre un’azione rappresentativa (articolo L. 421‑1 e segg. del Code de la Consommation, codice del consumo). Esse possono, da un lato, chiedere l’inibitoria (articolo L. 421‑2; articolo L. 421‑6), dall’altro, il risarcimento del danno collettivo quando la condotta dell’utilizzatore ha comportato un danno all’interesse collettivo dei consumatori (articolo L. 421‑1; articolo L. 421‑7). Con l’attuazione della direttiva 93/13, il diritto processuale civile in Polonia prevede per la prima volta regole in materia di controllo astratto delle clausole nell’ambito di procedimenti derivanti da azioni rappresentative (artt. 479 e segg. del codice polacco di procedura civile). Sono legittimati non solo le associazioni dei consumatori, gli ombudsman locali a tutela dei consumatori e il presidente dell’ufficio per la concorrenza e la tutela dei consumatori, ma anche chiunque avrebbe potuto concludere il contratto su proposta dell’utilizzatore. Nel Regno Unito alle associazioni dei consumatori viene accordato il potere di agire e all’associazione che agisce il diritto di stare in giudizio (articoli 11 e 12 dell’Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations 1999, regolamento del 1999 sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori). Anche in Spagna è previsto il riconoscimento del diritto di agire per le associazioni dei consumatori (artt. 12 e segg. della Ley 7/1998 sobre condiciones generales de la contratación, legge 7/1998 sulle condizioni generali di contratto), che le autorizza a richiedere l’inibitoria, la revoca e il risarcimento del danno. A partire dal 2001, inoltre, in base al codice di procedura civile spagnolo, le organizzazioni dei consumatori possono richiedere anche il risarcimento del danno nell’interesse di un gruppo di consumatori non identificabili singolarmente. Anche in Austria è prevista un’azione collettiva a tutela dei consumatori (artt. 28 e segg. del Konsumentenschutzgesetz, legge sulla tutela dei consumatori). In caso di violazione delle norme a tutela del consumatore, le associazioni dei consumatori e le associazioni commerciali indicate nella legge hanno il diritto di richiedere l’inibitoria. Il quadro normativo è simile anche in Italia (articolo 37 del Codice del consumo). In Slovenia, ogni organizzazione dotata di personalità giuridica che persegua quale obiettivo sociale la tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori, sia stata costituita almeno un anno prima della presentazione dell’azione e sia effettivamente attiva, può agire per ottenere che venga giudizialmente vietato al professionista l’impiego di clausole contrattuali contra legem o per far accertare l’invalidità dei contratti, di singole disposizioni o di condizioni generali di contratto che siano state ivi inserite (articolo 74 e segg. del Zakon o varstvu potrošnikov, legge sulla tutela dei consumatori). In Portogallo sia i consumatori sia le associazioni di consumatori che non siano state interessate direttamente sono legittimati ad agire giudizialmente (articolo 13 della Lei Nr. 24/96 de defesa do consumidor, legge n. 24/96 a tutela dei consumatori), per richiedere un provvedimento inibitorio o il risarcimento del danno.


13 —      C‑372/99 (Racc. pag. I‑819).


14 —      Ibidem, punti 14 e 15.


15 —      In questo senso, G. Paisant, «Les limites de l’action collective en suppression de clauses abusives», in La Semaine Juridique — Édition Générale, n. 18, 2005, II‑10057, in cui si evidenzia la natura preventiva dell’azione rappresentativa. Sulla base di questa considerazione, l’azione rappresentativa mira a evitare che altri consumatori siano vittima delle clausole contrattuali qualificate come abusive.


16 —      V. sentenza Commissione/Italia (cit. supra alla nota 13, punti 14 e 15), in cui la Corte riconosce all’azione rappresentativa in particolare finalità dissuasiva, richiamando la «natura preventiva» e la «finalità dissuasiva delle azioni che devono essere attuate».


17 —      Tale aspetto è correttamente evidenziato da P. Del Chiappa, «Le associazioni, la rappresentanza e la partecipazione dei consumatori», I diritti dei consumatori (a cura di Guido Alpa), vol. II, Torino 2009, pag. 726, e «La tutela individuale e collettiva dei consumatori», I diritti dei consumatori (a cura di Guido Alpa), vol. I, Torino 2009, pag. 146, e da A.‑C. Fornage, La mise en oeuvre des droits du consommateur contractant (a cura di Andreas Furrer e a.), Bruxelles 2011, pag. 378. Se la valutazione costi‑benefici di un’azione si rivela svantaggiosa per il consumatore, questi di regola rinuncerà a far valere giudizialmente i propri diritti. Pertanto, gli autori ritengono che la tutela giuridica individuale sia necessaria, ma non sufficiente a garantire che il consumatore sia tutelato a lungo termine.


18 —      V. sentenza 9 settembre 2004, Commissione/Spagna (C‑70/03, Racc. pag. I‑7999), con riguardo alla regola interpretativa contenuta nell’articolo 5 della direttiva 93/13 e alla distinzione ivi operata tra azioni del singolo consumatore e azioni inibitorie da parte di persone o organizzazioni che rappresentano gli interessi dei consumatori. La Corte ha motivato questa distinzione alla luce dei diversi obiettivi perseguiti da dette azioni. Nel primo caso i giudici o le autorità competenti sono chiamati a operare una valutazione concreta del carattere abusivo di una clausola che è contenuta in un contratto già stipulato, mentre nel secondo è richiesto loro di effettuare una valutazione astratta del carattere abusivo di una clausola di cui si prevede la possibile inclusione in contratti non ancora conclusi.


19 —      V. sentenza 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, Racc. pag. I‑4785, punti 28 e 29).


20 —      T. Pfeiffer, loc. cit. (nota 11), articolo 7, punto 20, pag. 5.


21 —      V. P. Ulmer, «Zur Anpassung des AGB‑Gesetzes an die EG‑Richtlinie über missbräuchliche Klauseln in Verbraucherverträgen», in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 1993, pag. 337.


22 —      V. E. Kapnopoulou, Das Recht der missbräuchlichen Klausel in der Europäischen Union, Tubinga 1997, pag. 150 e segg.


23 —      La genesi della direttiva 93/13 favorisce la comprensione di questo concetto. Le proposte di direttiva stabilivano ancora che le clausole abusive erano «inefficaci». In considerazione delle difficoltà legate al fatto che tale concetto giuridico si ricollega negli Stati membri a discipline nazionali estremamente specifiche, tale previsione ha trovato una certa resistenza in sede di esame del Consiglio. Pertanto, nella posizione comune, il Consiglio ha deciso di adottare la formulazione, meno giuridica, di «inopponibilità» delle clausole abusive nei riguardi del consumatore. Il compito di individuare la precisa qualificazione giuridica degli effetti nell’ambito dei loro sistemi giuridici veniva rimesso agli Stati membri. Evidentemente tale formulazione è risultata non ancora sufficientemente «neutra», tant’è che il Parlamento europeo ha introdotto l’espressione «non vincola il consumatore», che la Commissione ha adottato nella propria proposta riesaminata e il Consiglio ha recepito mutatis mutandis nella versione definitiva della direttiva (v. A. Ponick, Die Richtlinie über missbräuchliche Klauseln in Verbraucherverträgen und ihre Umsetzung im Vereinigten Königreich, Münster 2003, pag. 68).


24 —      V. T. Pfeiffer, loc. cit. (nota 11), articolo 6, punto 1, pag. 1, il quale interpreta l’articolo 6, n. 1, della direttiva 93/13 nel senso che spetta agli Stati membri configurare la non vincolatività delle clausole abusive dal punto di vista tecnico‑giuridico.


25 —      V., ad esempio, riguardo all’origine del diritto civile europeo, M. Rainer, Introduction to Comparative Law, Vienna 2010, pag. 27 e segg.


26 —      Gli ordinamenti processuali della maggior parte degli Stati membri sono accomunati dal fatto di prevedere che una decisione giudiziale relativa al carattere abusivo di una clausola adottata nell’ambito di una concreta controversia di natura contrattuale non comporti automaticamente un divieto di ulteriore impiego della clausola in questione, dal momento che detta decisione ha efficacia giuridica solo tra le parti. Alcuni ordinamenti nazionali prevedono però deroghe a questo principio generale al fine di tutelare i consumatori dalle clausole abusive negli scambi commerciali; è il caso della Polonia, dell’Ungheria e della Slovenia, dove alle decisioni giudiziali viene riconosciuta efficacia erga omnes (v. M. Ebers, loc. cit., nota 10, pag. 431). Alcuni Stati membri hanno adottato misure a tutela dei consumatori per evitare che i professionisti impieghino clausole simili, ma escluse dall’autorità di cosa giudicata di una decisione giudiziale. Nel Regno Unito, in conformità dell’articolo 12, paragrafo 4, delle Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations 1999, un’azione inibitoria può avere a oggetto non soltanto una determinata clausola, ma anche clausole analoghe o clausole che spiegano effetti analoghi. Similmente, a Cipro le azioni inibitorie possono essere proposte non soltanto nei confronti di un singolo venditore o prestatore di servizi, ma anche nei confronti di un gruppo di professionisti che utilizzino o raccomandino le stesse clausole o clausole simili, indipendentemente dal fatto che i professionisti in parola operino nello stesso o in un altro settore commerciale. Così, in questi paesi si può impedire che i professionisti aggirino la decisione giudiziale sostituendo le clausole impugnate con clausole abusive simili (v. M. Ebers, loc. cit., nota 10, pag. 432).


27 —      Vedi paragrafo 40 delle presenti conclusioni.


28 —      E. Kapnopoulou, loc. cit. (nota 22), pag. 161, osserva che le clausole dichiarate abusive nei confronti di un consumatore medio nell’ambito di un’azione rappresentativa non possono più essere utilizzate in seguito.


29 —      V. I. Augsberg, «Europäisches Verwaltungsorganisationsrecht und Vollzugsformen», in Verwaltungsrecht der Europäischen Union (a cura di Jörg Philipp Terhechte), Baden‑Baden 2011, articolo 6, punto 21, pag. 219. Secondo D.‑U. Galetta, Procedural Autonomy of EU Member States: Paradise Lost?, Heidelberg 2011, pag. 11, il principio di autonomia procedurale degli Stati membri deve essere ricondotto al fatto che l’Unione europea non ha alcuna competenza in materia di diritto processuale. Tuttavia, i principi di effettività («effet utile») e dell’effetto diretto del diritto dell’Unione ammettono che il legislatore dell’Unione si serva del diritto processuale degli Stati membri per raggiungere i propri obiettivi.


30 —      In questo senso, T. Pfeiffer, loc. cit. (nota 11), articolo 7, punto 3, pag. 2.


31 —      Sentenza Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 6).


32 —      Ibidem, punto 38.


33 —      V. G. Paisant, loc. cit. (nota 15), II‑10057, che richiama il requisito di efficacia sancito nell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 93/13.


34 —      V. T. Pfeiffer, loc. cit. (nota 11), articolo 7, punto 3, pag. 2.


35 —      V. sentenze 4 luglio 1963, Alves (32/62, Racc. pag. 99); 26 giugno 1980, National Panasonic (136/79, Racc. pag. 2033, punto 21), e 14 maggio 1998, Windpark Groothusen (C‑48/96 P, Racc. pag. I‑2873, punto 47).


36 —      V. T. Pfeiffer, loc. cit. (nota 11), articolo 7, punto 9, pag. 3.


37 —      V. le versioni in lingua tedesca («im Hinblick auf»), francese («en vue de»), spagnola («con vistas a»), portoghese («com vista a») e danese («med henblik på»).


38 —      Nella sua «Relazione sull’attuazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori» [COM(2000) 248 def., pag. 26], la Commissione osserva che le azioni inibitorie giudiziali rientrano nel sistema tradizionale di repressione delle clausole abusive. Anche A.‑C. Fornage, loc. cit. (nota 17), pag. 380, sulla base del tenore letterale del settimo e ventitreesimo considerando della direttiva 93/13, sostiene che gli Stati membri sono obbligati ad ammettere la proposizione di azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori nell’interesse di questi ultimi.


39 —      GU L 110, pag. 30.


40 —      Direttiva 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 1998, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 166, pag. 51).


41 —      In questo senso, J. Stuyck, Public and Private Enforcement in Consumer Protection: General Comparison EU‑USA, New Frontiers of Consumer Protection — The Interplay Between Private and Public Enforcement, Oxford 2009, pag. 78.


42 —      Cit. supra alla nota 19.


43 —      Ibidem, punto 34.


44 —      V. sentenza Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (cit. supra alla nota 19, punto 32).


45 —      V. sentenze Pannon GSM (cit. supra alla nota 5, punto 37) e 1° aprile 2004, Freiburger Kommunalbauten (C‑237/02, Racc. pag. I‑3403, punto 20).


46 —      Come si evince dal diciassettesimo considerando, l’elenco figurante nell’allegato è meramente indicativo. Visto il suo carattere minimo, gli Stati membri possono integrarlo o formularlo in modo più restrittivo nell’ambito della loro legislazione nazionale, in particolare per quanto riguarda la portata delle clausole summenzionate.


47 —      V. sentenze Pannon GSM (cit. supra alla nota 5, punto 38) e Freiburger Kommunalbauten (cit. supra alla nota 45, punto 20).


48 —      V. sentenze 7 maggio 2002, Commissione/Svezia (C‑478/99, Racc. pag. I‑4147, punto 20), e Freiburger Kommunalbauten (cit. supra alla nota 45, punto 20).


49 —      V. sentenze Freiburger Kommunalbauten (cit. supra alla nota 45, punto 25); Pannon GSM (cit. supra alla nota 5, punto 43); Mostaza Claro (cit. supra alla nota 4, punto 23), e 9 novembre 2010, Pénzügyi Lízing (C‑137/08, Racc. pag. I‑10847, punti 43 e 44).


50 —      Sentenza Pénzügyi Lízing (cit. supra alla nota 49, punto 44).


51 —      V. sentenze Freiburger Kommunalbauten (cit. supra alla nota 45, punto 22); Pannon GSM (cit. supra alla nota 5, punto 42); Mostaza Claro (cit. supra alla nota 4, punto 22), e Pénzügyi Lízing (cit. supra alla nota 49, punti 43 e 44).


52 —      V. pag. 3 della replica della convenuta del 4 maggio 2009 nella causa principale.


53 —      V. T. Pfeiffer, loc. cit. (nota 11), allegato, punto 91, pag. 17.


54 —      In questo senso, M. Ebers, loc. cit. (nota 10), pag. 405, il quale sostiene che la nozione di nullità assoluta soddisfa i requisiti posti dalla giurisprudenza, a differenza di quella di nullità relativa. Altri istituti, quali la nullità di protezione (protective nullity) sembrano, secondo l’autore, porsi in linea con la giurisprudenza della Corte, a condizione che il consumatore venga tutelato anche nel caso in cui ometta di eccepire il carattere abusivo della clausola, poiché non è consapevole dei propri diritti o sia dissuaso dall’esercitarli (in merito al principio della nullità di protezione nel diritto civile italiano, v. F. Schurr, Handbuch Italienisches Zivilrecht, a cura di Bernhard Eccher/Francesco Schurr/Gregor Christandl, Vienna 2009, pag. 323, punto 3/437).


55 —      Cit. supra alla nota 4.


56 —      Ibidem, punto 26.


57 —      Sentenza Pannon GSM, cit. supra alla nota 5.


58 —      Ibidem, punto 24.


59 —      Conclusioni del 6 luglio 2010 nella causa Pénzügyi Lízing (sentenza cit. supra alla nota 49, paragrafo 105).


60 —      V. J. Heinig, «Die AGB‑Kontrolle von Gerichtsstandsklauseln — zum Urteil Pannon des EuGH», in Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2009, pag. 885, il quale interpreta le affermazioni della Corte all’interno di questa sentenza nel senso che l’obbligo di verifica d’ufficio è soddisfatto soltanto ove l’invalidità ai sensi dell’articolo 6, n. 1, della direttiva 93/13, operi ipso iure e il consumatore non debba farla valere; G. Borges, «AGB‑Kontrolle durch den EuGH», in Neue Juristische Wochenschrift, 2001, pag. 2061.


61 —      V. paragrafi 39‑43 delle presenti conclusioni.


62 —      Ibidem, paragrafo 51.


63 —      Ibidem, paragrafo 61.


64 —      Ibidem, paragrafi 66 e segg.


65 —      Ibidem, paragrafo 76.


66 —      Ibidem, paragrafo 87.


67 —      Ibidem, paragrafo 94.