Language of document : ECLI:EU:C:2013:126

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 28 febbraio 2013 (1)

Causa C‑681/11

Schenker & Co. AG e altri

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria)]

«Concorrenza – Intese – Articolo 85 del Trattato CEE, articolo 81 CE e articolo 101 TFUE – Regolamento (CEE) n. 17 – Regolamento (CE) n. 1/2003 – Errore di un’impresa riguardo al carattere illegittimo della propria condotta per contrarietà alla normativa antitrust (errore sul precetto) – Addebitabilità soggettiva dell’errore sul precetto – Affidamento in una consulenza legale – Affidamento nell’esattezza della decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza – Disciplina applicabile alle imprese collaboranti ai sensi della normativa antitrust nazionale – Potere di un’autorità nazionale garante della concorrenza di constatare una violazione della normativa antitrust senza infliggere sanzioni»





I –    Introduzione

1.        Può un’impresa essere perseguita per una violazione della normativa in materia di concorrenza nel caso in cui essa abbia erroneamente presupposto la legittimità del proprio comportamento? Tale è, in sostanza, la questione di diritto che la Corte deve affrontare nel presente procedimento pregiudiziale.

2.        L’autorità austriaca garante della concorrenza ha instaurato contro varie imprese di spedizione un procedimento per violazione dell’articolo 101 TFUE e delle corrispondenti norme nazionali in materia di concorrenza, con l’accusa di avere stipulato per anni accordi sui prezzi. Le imprese interessate adducono in sostanza a loro difesa il fatto che avrebbero in buona fede riposto affidamento nei pareri forniti da uno studio legale specializzato nonché nella decisione adottata dal competente giudice nazionale, e pertanto non sarebbe possibile né imputare loro la partecipazione ad un illecito contro la normativa sulla concorrenza, né infliggere loro ammende a tale titolo.

3.        Ancora una volta si presenta un caso che mostra come le autorità e i giudici nazionali garanti della concorrenza si trovino, nell’adempiere i propri compiti, dinanzi a problemi che non sono dissimili da quelli del diritto penale e la cui soluzione può sollevare delicate questioni di tutela dei diritti fondamentali. Gli orientamenti che la Corte assumerà al riguardo saranno di capitale importanza per il futuro sviluppo del diritto europeo della concorrenza e per la sua pratica applicazione, a livello sia dell’Unione che nazionale.

II – Contesto giuridico‑normativo

A –    Il diritto dell’Unione

4.        Nell’ambito del diritto dell’Unione, il quadro giuridico di riferimento della presente fattispecie è rappresentato, a livello di diritto primario, dall’articolo 85 del Trattato CE(E) e dall’articolo 81 CE, nonché dai principi generali dell’ordinamento dell’Unione. A livello di diritto derivato, la disciplina applicabile per il periodo fino al 30 aprile 2004 incluso era quella dettata dal regolamento (CEE) n. 17 (2), mentre a partire dal 1º maggio 2004 trova applicazione il regolamento (CE) n. 1/2003 (3).

1.      Il regolamento n. 17

5.        Ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 17, le imprese e le associazioni di imprese avevano la possibilità di ottenere dalla Commissione europea il rilascio di una cosiddetta «attestazione negativa»:

«La Commissione può accertare, su domanda delle imprese e associazioni di imprese interessate, che, in base agli elementi a sua conoscenza, essa non ha motivo di intervenire, a norma dell’articolo 85, paragrafo 1[, del Trattato CEE] o dell’articolo 86 del Trattato [CEE], nei riguardi di un determinato accordo, decisione o pratica».

2.      Il regolamento n. 1/2003

6.         All’articolo 5 del regolamento n. 1/2003, intitolato «Competenze delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri», si stabilisce quanto segue:

«Le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sono competenti ad applicare gli articoli 81 [CE] e 82 [CE] in casi individuali. A tal fine, agendo d’ufficio o in seguito a denuncia, possono adottare le seguenti decisioni:

–        ordinare la cessazione di un’infrazione,

–        disporre misure cautelari,

–        accettare impegni,

–        comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale.

Qualora, in base alle informazioni di cui dispongono, non sussist[a]no le condizioni per un divieto, possono anche decidere di non avere motivo di intervenire».

7.        Inoltre, all’articolo 6 del regolamento n. 1/2003 viene dettata la seguente disciplina riguardante le «Competenze delle giurisdizioni nazionali»:

«Le giurisdizioni nazionali sono competenti ad applicare gli articoli 81 [CE] e 82 [CE]».

8.        Ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1, del citato regolamento, tra le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri designate per l’applicazione degli articoli 81 CE e 82 CE possono figurare anche organi giurisdizionali.

9.        I poteri della Commissione europea sono disciplinati all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 – per la parte che qui interessa – come segue:

«Se la Commissione constata, in seguito a denuncia o d’ufficio, un’infrazione all’articolo 81 [CE] o all’articolo 82 [CE], può obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni di imprese interessate a porre fine all’infrazione constatata. (…) Qualora la Commissione abbia un legittimo interesse in tal senso, essa può inoltre procedere alla constatazione di un’infrazione già cessata».

10.      Inoltre, l’articolo 23, paragrafo 2, del medesimo regolamento conferisce alla Commissione europea il seguente potere di infliggere ammende:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a) commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 [CE] o dell’articolo 82 [CE] (...)».

11.      Per completezza è utile richiamare l’articolo 10 del regolamento n. 1/2003, il quale detta la seguente norma in materia di «Constatazione di inapplicabilità»:

«Per ragioni di interesse pubblico comunitario relative all’applicazione degli articoli 81 [CE] e 82 [CE], la Commissione, d’ufficio, può stabilire mediante decisione che l’articolo 81 [CE] è inapplicabile a un accordo, a una decisione di un’associazione di imprese o a una pratica concordata, o perché le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 1, [CE] non sono soddisfatte, o perché sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3, [CE].

(...)».

B –    Il diritto nazionale

12.      Dal 1º gennaio 1989 fino al 31 dicembre 2005 è stato in vigore in Austria il Kartellgesetz [legge sui cartelli tra imprese] del 1988 (KartG 1988) (4). L’articolo 16 del KartG 1988 recava la seguente definizione della nozione di «cartello di minima entità» [Bagatellkartell]:

«Sono intese di minima entità le intese che, nel momento in cui vengono poste in essere, rappresentano, sotto il profilo dell’approvvigionamento del mercato,

1.      una quota inferiore al 5% del mercato nazionale complessivo e

2.      una quota inferiore al 25% di un eventuale mercato regionale parziale in Austria».

13.      Ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, punto 1, del KartG 1988, i cartelli di minima entità potevano essere messi a esecuzione anche prima del provvedimento definitivo di autorizzazione, a meno che, per effetto dell’adesione di ulteriori imprese al cartello, non venissero superati i limiti fissati all’articolo 16 della medesima legge.

14.      A partire dal 1º gennaio 2006 è entrato in vigore in Austria il Kartellgesetz del 2005 (KartG 2005) (5), il cui articolo 1, paragrafo 1, enuncia un divieto di comportamenti anticoncorrenziali analogo a quello stabilito dall’articolo 81, paragrafo 1, CE (divenuto ora articolo 101, paragrafo 1, TFUE). Anche in tal caso, sono eccettuati da detto divieto, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 1, del KartG 2005:

«le intese cui partecipino imprese che congiuntamente detengono una quota del mercato nazionale complessivo non superiore al 5% ed una quota di un eventuale mercato regionale parziale in Austria non superiore al 25% (intese di minima entità)».

15.       L’articolo 28, paragrafo 1, del KartG 2005 così recita:

«Qualora l’infrazione (...) sia cessata, il Kartellgericht [giudice per le questioni in materia di concorrenza] è tenuto a constatare la violazione, se e in quanto sussista un legittimo interesse in tal senso».

III – Fatti e procedimento a quo

16.      Dinanzi ai tribunali nazionali competenti in materia di concorrenza è attualmente pendente una lite tra la Bundeswettbewerbsbehörde [autorità garante della concorrenza] austriaca e una serie di imprese di spedizione operanti in Austria.

17.      All’origine della controversia si trova un cartello tra imprese protrattosi per molti anni sul mercato austriaco dei servizi di spedizione, la cosiddetta «Spediteurs-Sammelladungs-Konferenz» (SSK) [conferenza degli spedizionieri per il trasporto a collettame], la quale, in veste di «gruppo di interesse organizzato», annoverava circa 40 imprese di spedizione tra i propri membri (6). Nell’ambito della SSK vennero conclusi tra le imprese di spedizione interessate accordi riguardanti, in particolare, le tariffe per il trasporto nazionale di merci a collettame, vale a dire per servizi di spedizione nei quali singole partite di merce vengono ritirate presso diversi mittenti e raggruppate sotto l’aspetto logistico in un’unica spedizione, per poi essere smistate verso le varie destinazioni.

18.      La SSK era sorta alla metà degli anni ‘90 del secolo scorso. In considerazione della costituzione dello Spazio economico europeo alla data del 1º gennaio 1994, le imprese di spedizione partecipanti si impegnarono per evitare di entrare in conflitto con il diritto europeo della concorrenza. Per tale motivo limitarono la cooperazione tra loro al solo territorio della Repubblica austriaca.

19.      Il 30 maggio 1994 la SSK assunse la veste giuridica di società semplice; in tale contesto, venne consensualmente attribuito valore di condizione sospensiva al rilascio dell’autorizzazione da parte del Kartellgericht.

20.      Il 28 giugno 1994 venne presentata dinanzi al Kartellgericht austriaco una domanda affinché la SSK fosse autorizzata quale «accordo di cartello» (7). Alla domanda era allegata la convenzione quadro della SSK, e i richiedenti illustravano la situazione di fatto alla luce del diritto della concorrenza sia austriaco che europeo. Nel procedimento dinanzi al Kartellgericht venne raccolto un parere preliminare del Paritätischer Ausschuss für Kartellangelegenheiten [Comitato paritetico per le questioni in materia di concorrenza] (8), il quale concluse, in via provvisoria, che il cartello in questione non incideva sul commercio tra Stati, sicché non trovavano applicazione le norme europee sulla concorrenza. Tuttavia, poiché il Paritätischer Ausschuss nel suo parere finale dichiarò che la SSK non era «giustificata dal punto di vista economico», alla fine la domanda di autorizzazione non venne portata avanti.

21.      Il 6 febbraio 1995, il Zentralverband der Spediteure [associazione nazionale degli spedizionieri] chiese al Kartellgericht di constatare che la SSK era un «cartello di minima entità» ai sensi dell’articolo 16 del KartG 1988 e poteva pertanto essere messo in atto senza autorizzazione (9). Detto giudice esaminò il fascicolo del procedimento di autorizzazione svoltosi nel 1994 (10), prendendo in tal modo conoscenza della posizione in diritto che il Paritätischer Ausschuss für Kartellangelegenheiten aveva a suo tempo espresso nel proprio parere preliminare in ordine alla questione dell’applicabilità del diritto europeo della concorrenza. Con ordinanza in data 2 febbraio 1996, il Kartellgericht constatò che la SSK era un cartello di minima entità ai sensi dell’articolo 16 del KartG 1988. Non essendo stata proposta impugnazione, tale ordinanza acquisì forza di giudicato.

22.      Anche lo studio legale incaricato dal «rappresentante di cartello» della SSK di fornire una consulenza (11) espresse il parere che la SSK potesse essere considerata quale cartello di minima entità. Tale opinione viene espressa in parecchie delle lettere di consulenza inviate da tale studio.

23.      Anzitutto, gli avvocati incaricati confermarono che le attività della SSK, alla luce della convenzione quadro che le disciplinava, potevano essere realizzate senza riserve. Nella loro lettera dell’11 marzo 1996 essi fissarono i punti che avrebbero dovuto essere osservati in sede di attuazione della SSK quale cartello di minima entità. Tuttavia, tale lettera non prendeva esplicitamente posizione sul punto se il cartello di minima entità fosse compatibile con la normativa europea in materia di concorrenza.

24.      In un’ulteriore comunicazione dell’anno 2001, occasionata da una modifica della struttura tariffaria della SSK, lo studio legale dichiarò inoltre che la questione della sussistenza o meno di un cartello di minima entità dipendeva unicamente dal punto se le imprese partecipanti superassero o no congiuntamente determinate quote di mercato.

25.      In vista dell’entrata in vigore della legge del 2005 di riforma del Kartellgesetz austriaco, prevista per il 1º gennaio 2006, il Zentralverband der Spediteure chiese nuovamente allo studio legale incaricato di verificare quali conseguenze avrebbe avuto sulla SSK la nuova disciplina legislativa. Nella sua risposta del 15 luglio 2005, lo studio legale incaricato fece presente che occorreva verificare se la quota della SSK superasse il 5% del mercato austriaco e se gli accordi conclusi nell’ambito della SSK fossero eccettuati dal divieto di cartelli. Anche tale lettera non si occupava della questione della compatibilità della SSK con il diritto europeo della concorrenza.

26.      Il Zentralverband der Spediteure procedette ad una rilevazione delle quote di mercato dei membri della SSK nel mercato interno austriaco del trasporto di merci a collettame per gli anni 2004, 2005 e 2006 attraverso un’inchiesta condotta per posta elettronica. In applicazione dei principi per la delimitazione del mercato su cui si fondava l’ordinanza dichiarativa del Kartellgericht, il Zentralverband der Spediteure calcolò le quote di mercato detenute dalla SSK in misura pari al 3,82% per l’anno 2005 e al 3,23% per l’anno 2006. Almeno i membri più importanti della SSK vennero informati del fatto che la soglia del 5% non risultava superata. Secondo l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, deve escludersi che, negli anni fino al 2004 incluso, la soglia del 5% sia stata superata per effetto di nuove adesioni al cartello.

27.      L’11 ottobre 2007 la Commissione europea rese noto che aveva proceduto a verifiche senza preavviso presso i locali commerciali di varie imprese offerenti servizi di spedizione internazionali, sulla base del sospetto di pratiche commerciali restrittive della concorrenza. In conseguenza di ciò, il consiglio di amministrazione della SSK decise all’unanimità, in data 29 novembre 2007, di adottare una deliberazione di scioglimento della SSK. Tale deliberazione venne resa nota ai membri della SSK il 21 dicembre 2007.

28.      La Bundeswettbewerbsbehörde imputa ora alle imprese di spedizione membri della SSK di aver preso parte dal 1994 fino al 29 novembre 2007 «ad un’infrazione unica, complessa e multiforme contro la normativa europea e nazionale in materia di concorrenza, consistente nell’aver concordato per tutta l’Austria le tariffe applicabili al trasporto nazionale di merci a collettame». Nell’ambito del procedimento principale, la Bundeswettbewerbsbehörde ha chiesto che alla maggior parte delle imprese interessate vengano inflitte ammende a motivo della loro partecipazione al cartello (12). Quanto alla ditta Schenker, resasi disponibile a collaborare in vista di un trattamento di clemenza, è stato chiesto soltanto che venisse dichiarata colpevole di una violazione dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 1 del KartG 2005 (ovvero degli articoli 9 e, in combinato disposto, 18 del KartG 1988) senza l’applicazione di sanzioni pecuniarie.

29.      A loro difesa le imprese di spedizione adducono, in particolare, il fatto che esse avrebbero riposto affidamento nel parere specialistico fornito da un consulente giuridico esperto di diritto della concorrenza ed affidabile e che la SSK sarebbe stata riconosciuta dal Kartellgericht quale cartello di minima entità ai sensi dell’articolo 16 del KartG 1988. A loro avviso, il diritto europeo della concorrenza non trovava applicazione, in quanto le restrizioni di concorrenza derivanti dalla SSK non avrebbero avuto ripercussioni sul commercio tra Stati.

30.      In primo grado tale tesi difensiva ha trovato accoglimento. Infatti, con ordinanza parziale in data 22 febbraio 2011, l’Oberlandesgericht Wien [Corte d’appello di Vienna] in veste di Kartellgericht ha respinto le richieste della Bundeswettbewerbsbehörde (13). A motivazione di tale pronuncia è stata addotta, tra l’altro, la circostanza che alle imprese di spedizione non poteva essere addebitata alcuna condotta colpevole in relazione agli accordi sui prezzi, dal momento che esse potevano invocare a proprio favore l’ordinanza dichiarativa del Kartellgericht del 2 febbraio 1996, e che avevano richiesto inoltre una consulenza legale presso uno studio di avvocati specializzato. Per quanto riguardava in particolare la ditta Schenker quale testimone collaborante, l’Oberlandesgericht ha dichiarato che l’accertamento di infrazioni senza contestuale inflizione di ammende rientrava nella competenza esclusiva della Commissione europea.

31.      Contro l’ordinanza emessa in primo grado dall’Oberlandesgericht Wien, la Bundeswettbewerbsbehörde ed il Bundeskartellanwalt [avvocato generale dello Stato per le questioni in materia di concorrenza] hanno ora proposto impugnazione [«Rekurs»] dinanzi all’Oberster Gerichtshof [Corte suprema di cassazione] quale Kartellgericht di grado superiore. Nel procedimento dinanzi all’Oberster Gerichtshof, la Commissione europea ha presentato osservazioni scritte con memoria in data 12 settembre 2011 (14).

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

32.      Con ordinanza del 5 dicembre 2011, pervenuta nella cancelleria della Corte il 27 dicembre 2011, l’Oberster Gerichtshof austriaco, in veste di Kartellgericht di grado superiore (15) (in prosieguo anche: il «giudice del rinvio»), ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le violazioni dell’articolo 101 TFUE da parte di un’impresa possano essere sanzionate con un’ammenda, qualora detta impresa sia incorsa in un errore nel valutare la legittimità del proprio comportamento e tale errore non le sia addebitabile.

In caso di soluzione negativa della questione sub 1):

1 a)  Se un errore di un’impresa circa la legittimità del proprio comportamento non possa esserle addebitato, qualora essa abbia agito in conformità del parere fornito da un consulente giuridico esperto in materia di diritto della concorrenza e l’inesattezza di tale parere non fosse né manifesta né riconoscibile attraverso la verifica che ragionevolmente ci si poteva attendere dall’impresa.

1 b)  Se un errore di un’impresa circa la legittimità del proprio comportamento non possa esserle addebitato, qualora essa abbia fatto affidamento sull’esattezza della decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, la quale abbia esaminato il comportamento in oggetto unicamente alla luce del diritto nazionale in materia di concorrenza e abbia concluso alla fine per la sua liceità.

2)      Se le autorità nazionali garanti della concorrenza siano legittimate a dichiarare che un’impresa ha partecipato ad un’intesa in violazione del diritto della concorrenza dell’Unione, qualora a detta impresa non debba essere irrogata alcuna ammenda avendo essa presentato una domanda di trattamento di clemenza».

33.      Nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte, oltre alla Schenker e a varie imprese parti del procedimento principale, anche la Bundeswettbewerbsbehörde austriaca ed il Bundeskartellanwalt, i governi della Repubblica italiana e della Repubblica di Polonia, nonché la Commissione europea. La Bundeswettbewerbsbehörde e la maggior parte delle imprese partecipanti, nonché la Commissione europea, sono intervenute tramite loro rappresentanti anche all’udienza del 15 gennaio 2013.

V –    Analisi giuridica

34.      Il presente caso, con al centro la SSK, riguarda un cartello tra imprese che ha operato per un periodo di molti anni in Austria, in parte sotto la vigenza del regolamento n. 17 e in parte sotto quella del regolamento n. 1/2003.

35.      Nella sostanza, tutto ruota intorno alla questione se le imprese partecipanti alla SSK potessero in buona fede ritenere che gli accordi sui prezzi da esse conclusi non pregiudicassero il commercio tra Stati membri e ricadessero dunque esclusivamente nella sfera di applicazione della normativa nazionale austriaca in materia di concorrenza, e non anche in quella del diritto europeo della concorrenza.

36.      A quanto sembra, i membri della SSK immaginavano di essersi messi «al sicuro» sotto il profilo del diritto europeo, limitando alla sola Austria l’ambito di applicazione territoriale del loro cartello. Che tale valutazione giuridica fosse oggettivamente falsa è fuori di dubbio, alla luce della giurisprudenza dei giudici dell’Unione e della prassi amministrativa della Commissione europea (16). Non è chiaro però se alle imprese interessate possa essere imputata anche sotto il profilo soggettivo la violazione da esse commessa contro il divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione. In altri termini, occorre qui verificare se le imprese partecipanti alla SSK abbiano colpevolmente violato il suddetto divieto.

37.      Nella sua ordinanza di rinvio, il giudice nazionale fa riferimento – al pari delle parti del procedimento nelle loro osservazioni scritte – all’articolo 101 TFUE, il quale però è divenuto applicabile soltanto a partire dal 1º dicembre 2009. Il cartello controverso nella presente fattispecie ha invece avuto luogo in un periodo nel quale le norme in vigore erano l’articolo 81 CE e, prima di questo, addirittura l’articolo 85 del Trattato CE(E). Pertanto, per fornire al giudice del rinvio una risposta utile ai fini della soluzione della controversia principale, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere esaminata alla luce delle ultime due norme citate. Comunque, le considerazioni che seguono possono essere trasposte senza difficoltà al divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione nel testo attualmente vigente dell’articolo 101 TFUE. Pertanto, per semplicità, parlerò prevalentemente del «divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione», che in sostanza viene enunciato in tutte e tre le disposizioni sopra citate in termini identici sotto il profilo del contenuto.

A –    L’errore sul precetto come causa di esclusione della colpevolezza nel diritto europeo della concorrenza (prima parte della prima questione pregiudiziale)

38.      Con la prima parte della sua prima questione, l’Oberster Gerichtshof desidera sapere se un’impresa possa vedersi inflitta un’ammenda a motivo di una violazione da essa commessa contro il divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione, qualora essa sia incorsa in un errore nel valutare la legittimità del proprio comportamento e tale errore non le sia addebitabile. In altre parole, occorre chiarire la questione fondamentale se nel diritto europeo della concorrenza trovi riconoscimento l’istituto giuridico, proprio del diritto penale generale, dell’errore sul precetto come causa di esclusione della colpevolezza. Tale problematica è stata sino ad oggi tutt’al più sfiorata dalla Corte nella sua giurisprudenza (17), ma mai analizzata in modo approfondito.

39.      Diversamente da quanto ritiene la Commissione europea, una risposta a questa prima parte della prima questione pregiudiziale non è affatto superflua e neppure può essere rimpiazzata dal semplice esame delle ulteriori questioni sollevate. Infatti, queste ultime risultano in parte sollevate a mero titolo subordinato, e del resto hanno tutte quale logico presupposto che nel diritto europeo della concorrenza trovi riconoscimento l’errore sul precetto quale causa di esclusione della colpevolezza. Pertanto, la questione se tale riconoscimento sussista o no deve essere necessariamente affrontata in via preliminare.

40.      Il punto di partenza per un’analisi di questa problematica dovrebbe essere costituito dal fatto che il diritto della concorrenza non rientra nel nucleo essenziale del diritto penale (18), ma presenta, per concorde riconoscimento, carattere parapenalistico (19). Ciò ha come conseguenza che nel diritto della concorrenza devono trovare ingresso determinati principi scaturenti dal diritto penale, che in ultima analisi sono riconducibili al principio dello Stato di diritto ed al principio di colpevolezza. Tra di essi rientra – accanto al principio della responsabilità personale, del quale spesso i giudici dell’Unione hanno avuto modo di occuparsi sino ai giorni nostri in casi riguardanti la normativa antitrust (20) – anche il principio nulla poena sine culpa (nessuna pena senza colpevolezza).

41.      Sebbene nella sua giurisprudenza sino ad oggi la Corte non abbia ancora avuto modo di occuparsi in modo approfondito del principio nulla poena sine culpa, vi sono elementi che inducono a ritenere che essa dia per scontata la sua vigenza nell’ordinamento dell’Unione (21). Aggiungo che si tratta di un principio avente carattere di diritto fondamentale, che risale alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri (22). Invero, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nella CEDU (23) detto principio non viene espressamente menzionato, tuttavia esso costituisce un necessario presupposto della presunzione di innocenza. Pertanto, si può partire dal presupposto che il principio nulla poena sine culpa sia implicitamente contenuto tanto nell’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, quanto nell’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU, norme delle quali viene pacificamente tenuto conto nell’ambito dei procedimenti in materia di concorrenza (24). In definitiva, entrambe le disposizioni sopra citate della Carta e della CEDU possono essere considerate quali concretizzazioni di ordine procedurale del principio nulla poena sine culpa.

42.      Per quanto riguarda le sanzioni infliggibili dalla Commissione europea per violazione della normativa antitrust, il principio nulla poena sine culpa trova espressione tanto nell’articolo 15, paragrafo 2, del vecchio regolamento n. 17, quanto nell’attuale articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003; infatti, in base a entrambe queste disposizioni, le ammende per le infrazioni alla normativa sulla concorrenza possono essere inflitte soltanto a fronte di comportamenti dolosi o colposi.

43.      Lo stesso deve valere nel caso in cui le infrazioni alla normativa antitrust dell’Unione siano oggetto di procedimenti dinanzi ad autorità amministrative o giurisdizionali nazionali garanti della concorrenza. Infatti, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, le autorità nazionali devono osservare, nell’esercizio dei loro poteri, i principi generali del diritto dell’Unione (25). A conclusioni non diverse porta l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, il quale in definitiva intende garantire il primato delle valutazioni operate nell’ambito della normativa antitrust dell’Unione sul diritto della concorrenza dei singoli Stati.

44.      Sulla scorta del principio nulla poena sine culpa, un’impresa può essere chiamata a rispondere per una violazione della normativa antitrust, che essa – secondo una valutazione puramente oggettiva – abbia commesso, soltanto nel caso in cui tale infrazione possa esserle addebitata anche sotto il profilo soggettivo. Per contro, qualora sia incorsa in un errore sul precetto idoneo ad escludere la colpevolezza, l’impresa non può essere dichiarata responsabile di un’infrazione, né quest’ultima può essere assunta quale fondamento per l’inflizione di sanzioni, ad esempio pecuniarie.

45.      Occorre evidenziare che non ogni errore sul precetto è idoneo ad escludere interamente la colpevolezza dell’impresa partecipante al cartello e dunque l’esistenza di un’infrazione sanzionabile. Soltanto nel caso in cui l’errore in cui l’impresa è incorsa in merito alla legittimità del proprio comportamento sul mercato fosse inevitabile – talvolta si parla anche di errore scusabile ovvero di errore non addebitabile –, potrà riconoscersi che l’impresa ha agito in modo incolpevole e mandarla indenne da responsabilità per l’infrazione alla normativa antitrust in questione.

46.      È lecito presumere che un siffatto errore inevitabile sul precetto potrà verificarsi soltanto in casi molto rari. Potrà riconoscersene l’esistenza soltanto nel caso in cui l’impresa interessata abbia fatto tutto quanto poteva e si poteva da essa ragionevolmente pretendere per evitare che si producesse l’infrazione alla normativa antitrust dell’Unione che le viene imputata.

47.      Nel caso in cui l’impresa interessata avrebbe potuto – come spesso accade – evitare l’errore in cui è incorsa riguardo alla legittimità del proprio comportamento sul mercato adottando opportune cautele, essa non può andare indenne da qualsiasi sanzione per l’infrazione alla normativa antitrust commessa. Più frequentemente, essa si sarà resa responsabile almeno di un’infrazione colposa (26), il che – a seconda del livello di difficoltà delle problematiche di diritto della concorrenza che vengono in questione – può (ma non necessariamente deve) portare ad un’ammenda in misura ridotta (27).

48.      La questione se l’errore sul precetto commesso da un’impresa partecipante ad un cartello fosse evitabile o inevitabile (addebitabile o non addebitabile) deve essere giudicata secondo criteri uniformi fondati sul diritto dell’Unione, affinché nei confronti di tutte le imprese operanti nel mercato interno valgano condizioni generali uniformi rispetto al diritto sostanziale dell’Unione in materia di concorrenza («level playing field») (28). Tale problematica dovrà essere analizzata più in dettaglio nell’ambito della seconda parte della prima questione pregiudiziale, che mi accingo ora a trattare.

B –    L’addebitabilità soggettiva dell’errore sul precetto (seconda parte della prima questione pregiudiziale)

49.      Nel caso in cui l’istituto giuridico dell’errore sul precetto escludente la colpevolezza trovi riconoscimento, come da me proposto (29), nell’ambito del diritto dell’Unione in materia di concorrenza, si rende necessario esaminare anche la seconda parte della prima questione pregiudiziale, sollevata in via subordinata [questione 1), lettere a) e b)]. Con essa il giudice del rinvio desidera in sostanza sapere quali obblighi di diligenza debba adempiere un’impresa per potersi ritenere che essa sia incorsa, riguardo alla legittimità del proprio comportamento sul mercato, in un errore inevitabile (non addebitabile) sul precetto, idoneo dunque ad escludere la sua colpevolezza, così che detta impresa non possa essere perseguita per un’eventuale infrazione alla normativa antitrust.

50.      In particolare, occorre esaminare se e a quali condizioni l’affidamento dell’impresa interessata in una consulenza legale fornitale [questione 1), lettera a); in proposito, v. infra, sezione 1)] o nella decisione di un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro [questione 1), lettera b); in proposito, v. infra, sezione 2)] possa portare a ritenere che un eventuale errore sul precetto non è addebitabile a detta impresa e che essa va dunque indenne da sanzioni ai sensi della normativa antitrust.

1.            L’affidamento dell’impresa in una consulenza legale [questione 1), lettera a)]

51.      Con la questione 1), lettera a), il giudice del rinvio desidera sapere se possa ritenersi sussistente un errore sul precetto escludente la colpevolezza nel caso in cui un’impresa, nel mettere in atto il comportamento anticoncorrenziale che le viene contestato, abbia fatto affidamento in una consulenza legale fornitale.

52.      Tale parte della questione sorge alla luce di varie prese di posizione formulate per iscritto da uno studio legale incaricato dalla SSK, che vengono ora invocate dalle imprese interessate a propria discolpa nell’ambito del procedimento principale.

53.      Tra le parti vi è massima discordia in ordine al punto se una consulenza legale fornita possa essere presa in considerazione per valutare la colpevolezza di un’impresa per un’infrazione alla normativa antitrust. Mentre le imprese parti nel procedimento a quo risolvono il quesito in senso senz’altro affermativo (30), la Commissione europea come pure gli Stati membri e le autorità nazionali intervenuti nel procedimento dinanzi alla Corte propugnano la tesi opposta.

a)            Sull’importanza delle consulenze legali nel sistema istituito dal regolamento n. 1/2003

54.      A quanto consta, sino ad oggi la Corte si è occupata una sola volta, in modo relativamente incidentale, di tale problematica. Nella sentenza Miller essa ha dichiarato che il parere espresso da un consulente legale non rendeva scusabile la violazione commessa da un’impresa contro l’articolo 85 del Trattato CEE (31).

55.      Tale statuizione della Corte nella sentenza Miller deve essere intesa alla luce del quadro giuridico‑normativo vigente a quel tempo. Fino al 30 aprile 2004, le imprese erano legittimate, ai sensi del regolamento n. 17, a sottoporre alla Commissione europea, a scopo di autorizzazione, gli accordi tra esse conclusi, ovvero a richiedere alla Commissione un’attestazione negativa. In tal modo, era possibile per le imprese operanti nel Mercato Comune ottenere dall’autorità certezza giuridica riguardo alla compatibilità del loro comportamento con il diritto europeo della concorrenza. Un’impresa che non imboccasse questa strada, limitandosi a richiamare il parere di un avvocato, non faceva tutto quanto poteva e si poteva da essa ragionevolmente pretendere per evitare un’infrazione al diritto europeo della concorrenza. L’affidamento dell’impresa nella consulenza fornita da un avvocato non era di per sé sufficiente, a quel tempo, per considerare un eventuale errore sul precetto come inevitabile e dunque come causa di esclusione della colpevolezza.

56.      Tuttavia, la giurisprudenza Miller non si lascia trasporre al contesto normativo attualmente vigente. Con il regolamento n. 1/2003, in vigore dal 1º maggio 2004, si è pervenuti infatti ad un mutamento di paradigma nell’attuazione della normativa antitrust dell’Unione. Il vecchio sistema di notifica e autorizzazione previsto dal regolamento n. 17 è stato sostituito dal nuovo sistema di eccezione legale (eccezione direttamente applicabile) (32). Adesso, né la Commissione europea, né le autorità o gli organi giurisdizionali garanti della concorrenza degli Stati membri rilasciano autorizzazioni o attestazioni negative in relazione a singoli casi (33).

57.      Piuttosto, a partire dal 1º maggio 2004, dalle imprese operanti nel mercato interno ci si attende che valutino sotto la propria responsabilità la compatibilità del loro comportamento sul mercato con il diritto europeo della concorrenza. Pertanto, in via di principio, le imprese interessate sopportano in prima persona il rischio di un’eventuale valutazione inesatta della situazione di diritto. Vale la nota massima secondo cui l’ignoranza non esime dalla pena. Proprio per questo motivo, nel sistema del regolamento n. 1/2003 il ricorso alla consulenza giuridica specialistica assume un significato completamente diverso da quello che esso aveva nel sistema del regolamento n. 17. Oggigiorno, la consultazione di un esperto delle materie giuridiche rappresenta spesso per le imprese l’unico modo per informarsi in modo esauriente sulle norme che regolano la concorrenza.

58.      Non è accettabile che, da un lato, le imprese vengano indotte a fare ricorso ad una consulenza giuridica specialistica, ma, dall’altro, a tale consulenza non venga attribuita alcuna importanza allorché si tratta di valutare la loro colpevolezza riguardo ad un’infrazione alla normativa antitrust dell’Unione. Qualora un’impresa abbia fatto affidamento in buona fede sul parere – in definitiva errato – del proprio consulente legale, ciò non può rimanere privo di conseguenze nell’ambito del procedimento sanzionatorio ai sensi della normativa antitrust.

59.      In particolare, la responsabilità puramente civilistica di un avvocato per un eventuale parere legale inesatto da esso fornito non rappresenta di per sé stessa – contrariamente a quanto opina la Commissione europea – una compensazione adeguata. Infatti, l’azione di rivalsa del cliente nei confronti del suo avvocato presenta di regola rilevanti profili di imponderabilità e inoltre non può cancellare il giudizio di disvalore (lo «stigma») correlato all’inflizione a carico dell’impresa di sanzioni proprie del diritto della concorrenza – e dunque simili a quelle penali.

60.      Vero è che il ricorso ad una consulenza legale non vale ad esimere un’impresa da qualsiasi responsabilità per il proprio comportamento sul mercato nonché per eventuali violazioni del diritto europeo della concorrenza. Il parere di un avvocato non può mai essere un salvacondotto. In caso contrario si aprirebbe una strada maestra per la redazione di pareri di pura compiacenza, ed il potere dell’autorità di rilasciare attestazioni negative, soppresso dal regolamento n. 1/2003, passerebbe de facto in capo a consulenti giuridici privati, privi di qualsiasi legittimazione a tal fine.

61.      Lo scopo fondamentale costituito dall’effettiva applicazione delle regole europee di concorrenza (34) esige che l’eventuale affidamento riposto da un’impresa in una consulenza legale fornitale venga riconosciuto quale elemento idoneo a fondare un errore sul precetto escludente la colpevolezza soltanto nel caso in cui, nel far ricorso alla suddetta consulenza, siano stati rispettati determinati requisiti minimi, che desidero illustrare brevemente qui di seguito.

b)            Requisiti minimi riguardanti il ricorso ad una consulenza legale

62.      Il presupposto fondamentale per tener conto della consulenza legale raccolta da un’impresa è che quest’ultima abbia riposto affidamento in buona fede su tale consulenza. Infatti, la tutela dell’affidamento e la buona fede procedono di pari passo (35). In presenza di circostanze che giustifichino il convincimento che l’impresa si è fondata in malafede su un parere legale o che si trattava di un parere compiacente, la consulenza legale fornita è da considerarsi sin da subito priva di peso ai fini della valutazione della colpevolezza per un’infrazione commessa contro le regole del diritto europeo della concorrenza.

63.      Oltre a ciò, debbono valere i seguenti requisiti minimi riguardanti il ricorso alla consulenza legale, il rispetto dei quali incombe personalmente all’impresa interessata, a suo rischio e sotto la sua responsabilità.

64.      In primo luogo, deve essere sempre raccolto il parere di un avvocato indipendente esterno (36). La consulenza fornita da membri dell’ufficio per gli affari legali interno ad un’impresa o ad un gruppo societario non può in nessuna circostanza produrre effetti di esclusione della colpevolezza in caso di errore sul precetto. Infatti, i giuristi d’impresa – anche quando abbiano lo status di avvocato interno (37) – dipendono in modo diretto, in quanto lavoratori subordinati, dall’impresa interessata e la consulenza legale da loro fornita è dunque imputabile in capo al loro stesso datore di lavoro. Un’impresa non può rilasciarsi da sola un salvacondotto per il proprio eventuale comportamento contrastante con la normativa antitrust.

65.      In secondo luogo, deve trattarsi del parere rilasciato da un avvocato esperto della materia, ciò che presuppone che quest’ultimo sia specializzato nel diritto della concorrenza, anche europeo, e riceva inoltre regolarmente incarichi in tale settore del diritto.

66.      In terzo luogo, la consulenza legale deve essere stata rilasciata a seguito di una completa e corretta illustrazione delle circostanze di fatto da parte dell’impresa interessata. Qualora un’impresa abbia fornito all’avvocato da essa incaricato soltanto informazioni lacunose o addirittura false in merito a circostanze rientranti nella propria sfera di responsabilità, il parere reso da tale avvocato non può avere, con riguardo ad un eventuale errore sul precetto, efficacia scusante nell’ambito di una procedura antitrust.

67.      In quarto luogo, il parere fornito dall’avvocato incaricato deve esaminare in modo esauriente la prassi amministrativa e decisionale della Commissione europea nonché la giurisprudenza dei giudici dell’Unione, e in tale contesto deve prendere posizione in modo approfondito su tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti del caso in oggetto. Ciò che non costituisce espressamente l’oggetto del parere legale, ma che può tutt’al più desumersi implicitamente da quest’ultimo, non può costituire una base per il riconoscimento dell’esistenza di un errore sul precetto escludente la colpevolezza.

68.      In quinto luogo, il parere legale fornito non deve essere palesemente errato. Nessuna impresa può fidarsi ciecamente della consulenza di un avvocato. Piuttosto, ogni impresa che consulti un avvocato è tenuta a verificare le informazioni da questo fornite quantomeno sotto il profilo della loro plausibilità.

69.      Ovviamente la diligenza che ci si può attendere da un’impresa a questo riguardo è commisurata alle sue dimensioni ed alla sua esperienza nelle questioni in materia di concorrenza (38). Quanto più grandi sono le dimensioni di un’impresa e la sua esperienza nel settore del diritto della concorrenza, tanto più fortemente essa è tenuta a verificare nei suoi contenuti il parere legale raccolto, a maggior ragione nel caso in cui essa disponga di un proprio ufficio per gli affari legali dotato di corrispondenti conoscenze specialistiche.

70.      Comunque, a prescindere da ciò, ogni impresa deve sapere che determinate pratiche restrittive della concorrenza sono vietate già per loro natura (39) e, in particolare, che nessuno può prendere parte a restrizioni di particolare gravità (cosiddette restrizioni «hardcore») (40), ad esempio ad accordi sui prezzi ovvero ad accordi o misure per la ripartizione o la compartimentazione dei mercati. Dalle imprese di grandi dimensioni e dotate di esperienza può inoltre pretendersi che abbiano preso conoscenza dei pertinenti chiarimenti forniti dalla Commissione europea nelle comunicazioni e negli orientamenti emanati nel settore del diritto della concorrenza.

71.      In sesto luogo, l’impresa interessata agisce a proprio rischio qualora dal parere legale da essa raccolto emerga che la situazione normativa non è chiara. Infatti, in tal caso, l’impresa accetta quantomeno colposamente l’eventualità che il proprio comportamento di mercato violi le regole del diritto europeo della concorrenza.

72.      È innegabile che, sulla scorta dei requisiti minimi da me sopra proposti, il valore delle consulenze legali per le imprese interessate ne esca un po’ ridimensionato. Ciò però fa parte della natura del sistema istituito dal regolamento n. 1/2003. E del resto, nel diritto penale classico non succede nulla di diverso: infatti, in definitiva, ciascuna impresa è responsabile per il proprio comportamento sul mercato e sopporta il rischio per le violazioni che commette. Non è possibile ottenere una certezza giuridica assoluta raccogliendo il parere di un legale. Tuttavia, ove siano soddisfatti tutti i presupposti minimi sopra indicati, è possibile ritenere sussistente un errore sul precetto idoneo ad escludere la colpevolezza qualora l’impresa interessata abbia in buona fede riposto affidamento nel parere del proprio consulente legale.

73.      Per completezza desidero aggiungere che un avvocato, il quale attraverso il rilascio di pareri compiacenti avalli supinamente pratiche anticoncorrenziali messe in atto da determinate imprese, non soltanto deve temere possibili conseguenze di natura civilistica e disciplinare, ma può eventualmente incorrere anche in prima persona in sanzioni ai sensi della normativa sulla concorrenza (41).

c)            Conclusioni per il caso di specie

74.      Trasponendo i sopra citati criteri ad un caso quale quello presente, risulta che le imprese interessate non si trovavano in una situazione di errore scusabile sul precetto, bensì è a loro soggettivamente addebitabile un eventuale errore circa la legittimità del proprio comportamento sul mercato alla luce del diritto europeo della concorrenza.

75.      Infatti, da un lato, il momento iniziale dell’infrazione, come pure la parte assolutamente prevalente del periodo di vigenza del cartello SSK, si collocano ancora nell’ambito di applicazione temporale del regolamento n. 17. Come correttamente sottolineato dal Bundeskartellanwalt austriaco, le imprese interessate (42) avrebbero dunque potuto rivolgersi per tempo alla Commissione europea e richiedere a quest’ultima, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 17 (43), il rilascio di un’attestazione negativa (44). La circostanza che esse abbiano tralasciato di attivarsi in tal senso non può essere bilanciata dal fatto di aver richiesto una consulenza legale. Anche per quella parte del cartello SSK che si è svolta dopo il 30 aprile 2004, cioè già sotto l’impero del regolamento n. 1/2003, è difficile arrivare a conclusioni diverse. Infatti, se si ritiene, al pari della Bundeswettbewerbsbehörde austriaca, che il cartello in questione configurasse un’infrazione unica e continuata, l’omissione iniziale dei membri della SSK quanto alla richiesta di un’attestazione negativa deve avere conseguenze sulla valutazione della loro colpevolezza per l’intera durata del cartello.

76.      Dall’altro lato, la consulenza legale raccolta nella presente fattispecie appare, alla luce delle indicazioni del giudice del rinvio, lacunosa. Proprio su un punto essenziale, dal quale dipende l’applicazione di sanzioni ai sensi del diritto dell’Unione per l’illecito concorrenziale commesso dai membri della SSK – ossia quello dell’applicabilità sostanziale dell’articolo 85 del Trattato CE(E) ovvero dell’articolo 81 CE –, le varie lettere inviate dallo studio legale incaricato della consulenza non prendevano posizione, con riserva di un ulteriore esame da parte del giudice nazionale. In tale contesto, diversamente da quanto sembrano ritenere alcune delle imprese parti del procedimento, non basta che i pareri legali consentissero forse di trarre implicite conclusioni riguardo alla problematica del pregiudizio al commercio tra Stati membri. Come già indicato (45), ciò che non costituisce espressamente l’oggetto del parere legale, ma che può tutt’al più ricavarsi da esso in maniera indiretta, non può costituire la base per il riconoscimento di un errore sul precetto escludente la colpevolezza. Ciò vale a maggior ragione nel caso in cui – come nella presente fattispecie – si tratti della questione di diritto centrale, da cui tutto dipende.

77.      Aggiungo che, almeno dalle imprese di maggiori dimensioni tra quelle partecipanti al cartello, può pretendersi altresì la conoscenza delle comunicazioni e degli orientamenti pertinenti adottati dalla Commissione europea (46). Da tali atti dell’Istituzione risulta inequivocabilmente che i cartelli orizzontali che, come la SSK, si estendono all’intero territorio di uno Stato membro sono di norma idonei a pregiudicare il commercio tra Stati membri (47), motivo per cui ricadono sotto il divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione.

78.      Infine, nessuna rilevanza ai fini della questione della colpevolezza delle imprese partecipanti al cartello presenta la circostanza, sottolineata da alcune delle parti del procedimento, secondo cui la SSK non era un cartello segreto ed i suoi membri intendevano, secondo quanto da loro stessi indicato, prevenire una violazione del diritto europeo della concorrenza. L’esistenza di un errore sul precetto escludente la colpevolezza non può essere riconosciuta sulla base del semplice fatto che l’autore si reputi nel giusto e si senta comunque «sicuro del fatto suo». Invece, l’unico aspetto che conta è se egli abbia fatto tutto quanto poteva e si poteva da lui ragionevolmente pretendere per evitare la commissione di un’infrazione.

2.            L’affidamento dell’impresa nella decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza [questione 1), lettera b)]

79.      Con la questione 1), lettera b), il giudice del rinvio desidera sapere se occorra riconoscere l’esistenza di un errore sul precetto escludente la colpevolezza nel caso in cui un’impresa, nel mettere in atto il comportamento anticoncorrenziale che le viene imputato, abbia riposto affidamento nella decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, la quale aveva valutato detto comportamento unicamente alla luce del diritto nazionale in materia di concorrenza e concluso alla fine per la sua liceità.

80.      Sullo sfondo di tale parte della questione si colloca il fatto che il Kartellgericht austriaco, quale organo nazionale competente, ha riconosciuto alla SSK, con ordinanza del 2 febbraio 1996 passata in giudicato, la qualifica di «cartello di minima entità» ai sensi dell’articolo 16 del KartG 1988. Le imprese interessate invocano ora tale ordinanza a propria discolpa nell’ambito del procedimento principale.

81.      Proprio come per la questione, trattata sopra, dell’affidamento riposto in una consulenza legale ricevuta, tra le parti vi è massima discordia in ordine al punto se la decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza debba essere presa in considerazione per valutare la colpevolezza di un’impresa riguardo ad una violazione del diritto della concorrenza. Le posizioni che si contrappongono sono grosso modo identiche per entrambe le problematiche.

a)            Sulla rilevanza delle decisioni delle autorità amministrative e giurisdizionali nazionali garanti della concorrenza

82.      Una delle finalità principali del regolamento n. 1/2003 era di coinvolgere gli organi nazionali più intensamente che in passato nell’applicazione della normativa antitrust europea (48). Così, nel nuovo sistema decentralizzato di applicazione delle regole di concorrenza, alle autorità nazionali garanti di quest’ultima e ai giudici nazionali viene riconosciuto un ruolo da non sottovalutare. Ai sensi degli articoli 5 e 6 del regolamento n. 1/2003, le autorità garanti della concorrenza e i giudici degli Stati membri sono espressamente autorizzati e, eventualmente, nelle circostanze indicate all’articolo 3 di tale regolamento, addirittura obbligati ad applicare la normativa dell’Unione in materia di concorrenza (49).

83.      Anche nel periodo fino al 30 aprile 2004, nel quale il Kartellgericht ha emesso l’ordinanza che viene ora invocata dalle imprese partecipanti, l’applicazione dell’articolo 85 del Trattato CE(E) ovvero dell’articolo 81 CE non esulava affatto dalla competenza delle autorità e dei giudici nazionali. Certo, a quel tempo la Commissione europea era competente in via esclusiva, ex articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 17, a rilasciare esenzioni ai sensi dell’articolo 85, paragrafo 3, del Trattato CE(E) ovvero dell’articolo 81, paragrafo 3, CE. Ma per il resto, nulla impediva, in linea di principio, alle autorità e ai giudici nazionali di applicare, quali norme immediatamente efficaci, l’articolo 85, paragrafo 1, del Trattato CE(E) ovvero l’articolo 81, paragrafo 1, CE e, in particolare, di verificare se un comportamento collusivo messo in atto da imprese ricadesse nell’ambito di applicazione sostanziale delle norme europee sulla concorrenza, ossia se esso apparisse idoneo a pregiudicare il commercio tra Stati membri (50). Un esame siffatto diveniva ad esempio necessario allorquando, in presenza di un conflitto di norme tra il diritto comunitario della concorrenza e il diritto nazionale in materia, bisognava tener conto del primato del diritto comunitario enunciato dalla Corte (51).

84.      Nel quadro così definito, le decisioni delle autorità garanti della concorrenza e dei giudici nazionali – anche quelle emesse prima del 1º maggio 2004 – possono fornire alle imprese operanti nel mercato interno, in aggiunta alla prassi amministrativa della Commissione europea e alla giurisprudenza dei giudici dell’Unione, importanti elementi per comprendere la situazione normativa vigente nel diritto europeo della concorrenza.

85.      Quali ripercussioni l’affidamento riposto in tali decisioni dalle imprese interessate possa avere sulla colpevolezza delle stesse per infrazioni alla disciplina sulla concorrenza, è questione che va risolta in aderenza al principio della tutela del legittimo affidamento, il quale trova riconoscimento anche nell’ordinamento dell’Unione (52). In base ad esso, non è affatto escluso che, in casi ricadenti sotto il diritto dell’Unione, delle imprese possano riporre affidamento in decisioni emesse da autorità amministrative e giurisdizionali nazionali (53). Inoltre, l’affidamento riposto nelle valutazioni espresse da siffatti organi statali appare più meritevole di tutela di quello prestato alla consulenza di esperti giuridici privati.

86.      Tuttavia, ci si spingerebbe troppo in là se a qualsivoglia esternazione di un organo nazionale, comunque formulata, riguardante la normativa dell’Unione in materia di concorrenza venissero attribuiti effetti capaci di ripercuotersi sulla valutazione della colpevolezza delle imprese a titolo delle infrazioni ad esse imputate. Anche in tal caso devono essere rispettati determinati requisiti minimi, al fine di non pregiudicare l’efficace applicazione delle regole europee di concorrenza.

b)            Presupposti per il riconoscimento del legittimo affidamento nelle decisioni delle autorità amministrative e giurisdizionali nazionali garanti della concorrenza

87.      In primo luogo, deve trattarsi della decisione di un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro competente ad applicare il diritto dell’Unione in tale materia ai sensi degli articoli 5 e 35 del regolamento n. 1/2003, oppure di una giurisdizione nazionale ai sensi dell’articolo 6 di quest’ultimo.

88.      Invero, un’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro non può rilasciare autorizzazioni o attestazioni negative con riferimento alla normativa dell’Unione sulla concorrenza. Detta autorità può però decidere, ai sensi dell’articolo 5, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, di non avere motivo di intervenire qualora, in base alle informazioni di cui dispone, non sussistano le condizioni per un divieto. In tal caso, l’impresa interessata deve poter confidare nel fatto che, quanto meno nell’ambito territoriale di competenza di tale autorità, essa è legittimata a proseguire il comportamento sul mercato messo sotto esame dall’autorità stessa.

89.      La decisione di un giudice nazionale può assurgere a fondamento per il riconoscimento di un errore sul precetto escludente la colpevolezza nel caso in cui, nella sua pronuncia, detto giudice arrivi alla conclusione che un determinato comportamento sul mercato non configura alcuna infrazione alla normativa dell’Unione in materia di concorrenza. Ciò può verificarsi, in particolare, allorché il giudice nazionale pone termine ad un procedimento giurisdizionale finalizzato all’inflizione di ammende, oppure quando esso annulla un provvedimento amministrativo di irrogazione di ammende, o anche quando detto giudice rigetta una domanda proposta in sede civile contro l’impresa in questione mirante ad ottenere il risarcimento del danno o la cessazione di un determinato comportamento.

90.      In secondo luogo, è necessario che l’impresa interessata abbia previamente informato l’organo nazionale in modo esauriente e veritiero in merito a tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, se e in quanto detta impresa abbia già partecipato – così come i membri della SSK negli anni 1995/96 – all’originario procedimento svoltosi dinanzi all’autorità amministrativa o giurisdizionale. Qualora la decisione in questione sia inficiata da un vizio imputabile all’impresa stessa, quest’ultima non può più tardi invocare tale decisione a propria discolpa.

91.      In terzo luogo, la decisione dell’autorità amministrativa o giurisdizionale deve pronunciarsi proprio su quelle questioni di fatto e di diritto in relazione alle quali l’impresa interessata fa valere un errore sul precetto escludente la colpevolezza. Inoltre, similmente a quanto vale per i pareri legali, deve essere consentito invocare soltanto quelle affermazioni dell’autorità amministrativa o giurisdizionale che sono espressamente contenute nella relativa decisione, e non anche le conclusioni di altro genere che possano eventualmente ricavarsi implicitamente da tale decisione (54).

92.      In quarto luogo, la valutazione espressa dall’autorità nazionale garante della concorrenza o dal giudice nazionale con riguardo alla normativa dell’Unione in materia di concorrenza non deve essere manifestamente errata (55). Invero, in linea di principio, le decisioni amministrative definitive e le pronunce giurisdizionali passate in giudicato che statuiscono in merito alla normativa dell’Unione in materia di concorrenza sono di per sé assistite da una presunzione di legittimità, cosicché i soggetti ai quali dette decisioni e pronunce sono destinate possono legittimamente fare affidamento nell’esattezza del loro contenuto e non sono tenuti a verificare quest’ultimo sotto il profilo della sua plausibilità nel modo prescritto per i pareri legali. Tuttavia, come già rilevato (56), ogni impresa deve sapere che determinate pratiche restrittive della concorrenza sono vietate già per loro natura e, in particolare, che nessuno può prendere parte a restrizioni hardcore quali accordi sui prezzi ovvero accordi o misure per la ripartizione o la compartimentazione dei mercati.

93.      In quinto luogo, l’affidamento di un’impresa in una decisione di un’autorità amministrativa o giurisdizionale è meritevole di tutela soltanto nel caso in cui detta impresa sia in buona fede (57). Una condizione siffatta manca non soltanto nel caso – sicuramente improbabile – di una collusione tra l’impresa e l’organo amministrativo o giurisdizionale nazionale. Piuttosto, l’affidamento dell’impresa nell’esattezza sostanziale della decisione viene meno anche quando essa venga a conoscenza di una contraria valutazione in diritto espressa dai competenti organi dell’Unione, segnatamente dalla Commissione europea e dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò può verificarsi, ad esempio, nel caso in cui la Commissione europea intervenga in un procedimento dinanzi ad un giudice nazionale, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003 e, in tale contesto, l’impresa interessata venga a conoscenza della posizione giuridica sostenuta da detta istituzione.

94.      All’udienza dinanzi alla Corte è stata inoltre dibattuta la questione se il riconoscimento di un legittimo affidamento di un’impresa nelle decisioni emesse da giudici nazionali presupponga che la fattispecie in oggetto sia stata previamente sottoposta alla Corte ai fini di una pronuncia pregiudiziale. A mio parere la risposta dev’essere negativa. Non riterrei opportuno il fatto di limitare la tutela dell’affidamento soltanto a quelle decisioni dei giudici nazionali che siano fondate su una pronuncia pregiudiziale della Corte.

95.      Infatti, di norma, a venire in questione saranno decisioni di organi giurisdizionali ai sensi dell’articolo 267, secondo comma, TFUE, i quali non sono obbligati ad effettuare un rinvio pregiudiziale. Se il legislatore dell’Unione dichiara tutti i giudici nazionali competenti ad applicare la normativa dell’Unione in materia di concorrenza (articolo 6 del regolamento n. 1/2003), gli amministrati devono avere anche la possibilità di far valere le decisioni in tale materia emesse da tutti i giudici nazionali, indipendentemente dal fatto che sia stato previamente effettuato un rinvio – facoltativo – ai fini di una pronuncia pregiudiziale.

96.      Il regolamento n. 1/2003 offre strumenti specifici che contribuiscono a garantire un’interpretazione e un’applicazione uniformi della normativa dell’Unione in materia di concorrenza. In tale contesto la Commissione europea gioca un ruolo chiave. Essa può intervenire nei procedimenti che si svolgono dinanzi ai giudici nazionali (58). La Commissione lavora a stretto contatto con le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri nell’ambito della Rete europea delle autorità di tutela della concorrenza (European Competition Network – ECN) e può addirittura attrarre a sé, ove necessario, i procedimenti amministrativi in corso di svolgimento dinanzi a dette autorità (59).

c)            Conclusioni per il caso di specie

97.      Se si traspongono i criteri sopra illustrati ad una fattispecie quale quella presente, si giunge alla conclusione – similmente a quanto indicato in relazione alle consulenze legali – che le imprese interessate non si trovavano in una situazione di errore scusabile sul precetto, bensì è a loro soggettivamente addebitabile un eventuale errore circa la legittimità del proprio comportamento sul mercato alla luce del diritto europeo della concorrenza.

98.      Infatti, come comunicato dal giudice del rinvio, l’ordinanza del Kartellgericht del 2 febbraio 1996, che viene invocata dai membri della SSK, ha preso in esame e dichiarato lecito il comportamento imputato alle imprese di spedizione riferendosi unicamente alla normativa nazionale in materia di concorrenza. Detta ordinanza non affronta la questione se i membri della SSK abbiano violato il divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione. Del resto, antecedentemente al 1º maggio 2004, quando l’articolo 3 del regolamento n. 1/2003 non era ancora in vigore, il diritto dell’Unione non imponeva alcun obbligo di applicare la normativa europea sulla concorrenza in parallelo alla normativa antitrust nazionale (60).

99.      Può ben essere che il Kartellgericht, prima della sua ordinanza del 2 febbraio 1996, abbia preso visione di un parere preliminare redatto nel 1994 dal Paritätischer Ausschuss für Kartellangelegenheiten (61), il quale aveva negato l’applicabilità del diritto europeo della concorrenza. Tuttavia, tale circostanza, di per sé sola, non legittimava i membri della SSK a ritenere che il proprio comportamento sul mercato non contrastasse con le regole europee di concorrenza. Decisivo è il fatto che il Kartellgericht non si sia personalmente pronunciato in modo esplicito sulla questione della compatibilità della SSK con il diritto europeo della concorrenza (62).

100. Si deve riconoscere che, già antecedentemente al 1º maggio 2004, le autorità amministrative e giurisdizionali nazionali garanti della concorrenza erano tenute a rispettare il primato del diritto comunitario dell’epoca e a non pregiudicare la piena e uniforme applicazione di tale diritto (63). Anche dal diritto nazionale era possibile già allora desumere un obbligo di rispettare le regole europee di concorrenza, circostanza questa che è stata richiamata dalle imprese partecipanti in occasione dell’udienza.

101. Da questi soli elementi non è però possibile concludere che le regole di concorrenza nazionali ed europee dovessero, già prima dell’entrata in vigore dell’articolo 3 del regolamento n. 1/2003, condurre sempre a risultati identici. È noto che le norme in materia di concorrenza a livello europeo e a livello nazionale hanno ambiti di applicazione differenti (64) e considerano le pratiche restrittive sotto aspetti diversi (65). Così era già prima del 1º maggio 2004, e nulla è cambiato con l’avvento del regolamento n. 1/2003 (66). Proprio una norma come quella austriaca riguardante i cartelli di minima entità mostra in modo particolarmente chiaro quali differenze potessero esistere e possano tuttora permanere tra norme dell’Unione e norme nazionali in materia di concorrenza (67).

102. Date tali premesse, un’ordinanza fondata unicamente sulla normativa nazionale in materia di concorrenza, quale quella emessa dal Kartellgericht il 2 febbraio 1996, non è idonea a far sorgere, in una questione di diritto dell’Unione, decisiva ai fini del procedimento principale, alcun affidamento meritevole di tutela in capo alle imprese interessate.

C –          I poteri delle autorità nazionali garanti della concorrenza di effettuare constatazioni a carico delle imprese collaboranti come testimoni nell’ambito del procedimento antitrust (seconda questione pregiudiziale)

103. La seconda questione pregiudiziale è specificamente incentrata sulla situazione di un’impresa che abbia collaborato come testimone nell’ambito del procedimento antitrust, quale è quella in cui si trova nella specie la ditta Schenker. Detta questione presuppone da un punto di vista logico che l’impresa interessata non possa far valere – come prospettato nell’ambito della prima questione pregiudiziale – un errore sul precetto escludente la colpevolezza. Infatti, in presenza di un errore siffatto, non sussisterebbe assolutamente alcuna violazione che possa essere constatata a carico dell’impresa da parte di un’autorità garante della concorrenza o di un organo giurisdizionale (68).

104. Il giudice del rinvio desidera in sostanza sapere se alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri sia consentito, ai sensi del regolamento n. 1/2003, constatare la commissione, da parte di un’impresa, di una violazione del divieto di cartelli stabilito dal diritto dell’Unione e soprassedere all’inflizione di un’ammenda.

105. I poteri delle autorità nazionali garanti della concorrenza in sede di applicazione della normativa antitrust dell’Unione sono stabiliti dall’articolo 5 del regolamento n. 1/2003. Ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 1, di quest’ultimo, detti poteri possono essere conferiti anche ad organi giurisdizionali, come è avvenuto ad esempio in Austria.

106. L’articolo 5 del regolamento n. 1/2003 non prevede espressamente un potere delle autorità degli Stati membri di constatare semplicemente l’esistenza di un’infrazione alla normativa antitrust dell’Unione senza infliggere sanzioni. Per contro, la Commissione europea dispone, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, ultimo periodo, del citato regolamento, di un espresso potere di constatare un’infrazione già cessata, qualora sussista un legittimo interesse in tal senso.

107. Tuttavia, diversamente da quanto la Schenker sostiene, dal silenzio serbato sul punto dall’articolo 5 del regolamento n. 1/2003 non è assolutamente possibile inferire che alle autorità nazionali sia vietato procedere alla semplice constatazione di un’infrazione senza contestuale inflizione di sanzioni. Una conclusione siffatta neppure può ricavarsi, con ragionamento a contrario, dalla previsione relativa ai poteri della Commissione di cui all’articolo 7, paragrafo 1, ultimo periodo, del suddetto regolamento.

108. È certo vero che il regolamento n. 1/2003 deliberatamente preclude taluni poteri alle autorità amministrative e giurisdizionali garanti della concorrenza degli Stati membri, affinché non risultino pregiudicati il ruolo di direzione nella gestione della politica europea della concorrenza decisamente attribuito alla Commissione nell’impianto generale del citato regolamento (69) ed il nuovo sistema dell’eccezione legale. Ad esempio, la Commissione è l’unica autorità nell’ambito dell’ECN che, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1/2003, dispone del potere di constatare a titolo dichiarativo, in casi eccezionali, l’inapplicabilità delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (70), là dove invece le autorità nazionali garanti della concorrenza possono tutt’al più decidere, ai sensi dell’articolo 5, secondo comma, del citato regolamento, che per esse non vi è, in un determinato caso concreto, alcun motivo di intervenire, ciò che esclude l’adozione di decisioni negative sul merito (71).

109. Tuttavia, non è lecito ritenere che il legislatore dell’Unione intendesse limitare le competenze delle autorità amministrative e giurisdizionali garanti della concorrenza degli Stati membri anche nel caso opposto, ossia per quanto riguarda il potere – che viene qui in questione – di constatare l’esistenza di infrazioni. Infatti, come già indicato, uno degli obiettivi principali del regolamento n. 1/2003 era di coinvolgere più intensamente che in passato le autorità degli Stati membri nell’applicazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (72). L’intento era non di diminuire, bensì di aumentare le possibilità per le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di applicare in modo efficace la normativa antitrust dell’Unione (73). Nel sistema decentralizzato istituito dal regolamento n. 1/2003, la scoperta, la constatazione ed eventualmente la punizione di infrazioni alle regole europee di concorrenza costituisce una parte integrante imprescindibile del ventaglio di competenze spettanti alle suddette autorità nazionali (74) e contribuisce all’efficace applicazione di quelle regole.

110. La possibilità di procedere alla semplice constatazione di un’infrazione è necessariamente ricompresa nella competenza ad infliggere sanzioni spettante alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri ai sensi dell’articolo 5, primo comma, ultimo trattino, del regolamento n. 1/2003 (argumentum a maiore ad minus). Infatti, in assenza di una previa constatazione di un’infrazione alla normativa sulla concorrenza, non sarebbero pensabili eventuali sanzioni inflitte da un’autorità alle imprese interessate a causa del loro comportamento.

111. In nessun modo le autorità amministrative e giurisdizionali nazionali garanti della concorrenza perdono il loro potere di constatare un’infrazione nel caso in cui soprassiedano all’inflizione di sanzioni, ad esempio al fine di premiare un’impresa che abbia collaborato come testimone nell’ambito del procedimento antitrust. Vero è piuttosto che, ai fini dell’efficace applicazione delle regole di concorrenza dell’Unione, può essere addirittura necessario, in un caso siffatto, constatare l’esistenza di un’infrazione malgrado la rinuncia ad infliggere sanzioni.

112. Nel caso in cui l’autorità amministrativa o giurisdizionale nazionale rinunciasse non soltanto all’inflizione di una sanzione, ma anche alla semplice constatazione dell’infrazione, e archiviasse senz’altro la procedura antitrust a carico dell’impresa interessata, potrebbe generarsi un’ingannevole impressione di liceità del comportamento di mercato tenuto da quest’ultima. Per contro, mediante la constatazione dell’infrazione, che in realtà equivale alla fissazione di un’ammenda pari a zero, si chiarisce e si documenta in modo inequivocabile che l’impresa ha violato colpevolmente le regole dell’Unione in materia di concorrenza.

113. Se e come le autorità nazionali competenti faranno uso del loro potere di constatare infrazioni senza infliggere sanzioni, implicitamente riconosciuto dall’articolo 5 del regolamento n. 1/2003, costituisce materia riservata all’autonomia procedurale degli Stati membri. Di conseguenza, nulla osta a che il diritto nazionale rimetta la constatazione di un’infrazione alla discrezionalità dell’autorità amministrativa o giurisdizionale competente, ovvero a che esso esiga a tal fine un legittimo interesse sulla falsariga di quanto previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, ultimo periodo, del regolamento n. 1/2003, purché sia salvaguardato il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività imposti dal diritto dell’Unione (75).

114. Alla luce del principio di effettività, che trova la propria espressione nell’obiettivo dell’efficace applicazione della normativa dell’Unione in materia di concorrenza (76), sussisterà di norma un legittimo interesse alla constatazione dell’infrazione anche nel caso in cui si soprassieda all’inflizione di sanzioni. Infatti, da un lato, sulla scorta di una constatazione siffatta, l’impresa interessata potrà in futuro essere perseguita come recidiva nel caso in cui si renda nuovamente colpevole di una violazione delle regole di concorrenza europee (77). Dall’altro lato, la constatazione dell’infrazione produce un effetto deterrente nei confronti di altre imprese, e risulta rafforzato l’affidamento di tutti gli operatori del mercato nella forza vincolante delle regole di concorrenza del Mercato interno europeo. Non da ultimo, la constatazione dell’infrazione da parte dell’autorità rende altresì notevolmente più facile per le imprese e i consumatori danneggiati da un cartello far valere eventuali pretese di natura civilistica contro le imprese partecipanti al cartello stesso (78).

VI – Conclusione

115. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dall’Oberster Gerichtshof austriaco come segue:

1)      Un’impresa non può essere sanzionata con un’ammenda per una violazione, da essa commessa, del divieto di cartelli tra imprese stabilito dal diritto dell’Unione nel caso in cui sia incorsa in un errore riguardo alla legittimità del proprio comportamento (errore sul precetto) e tale errore non le sia soggettivamente addebitabile.

2)      L’errore sul precetto nel quale incorre un’impresa è soggettivamente addebitabile, qualora essa abbia riposto affidamento in una consulenza legale ricevuta ovvero nella decisione emessa da un’autorità nazionale garante della concorrenza nelle quali non viene esaminato, quantomeno non espressamente, il problema di diritto decisivo.

In caso di infrazioni iniziate antecedentemente al 1º maggio 2004, l’errore sul precetto nel quale sia incorsa un’impresa è altresì soggettivamente addebitabile nel caso in cui essa non abbia presentato per tempo presso la Commissione europea una domanda di rilascio di un’attestazione negativa ai sensi dell’articolo 2 del regolamento (CEE) n. 17.

3)      Il regolamento (CE) n. 1/2003 non vieta alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri di constatare, in quanto tale, la commissione, da parte di un’impresa, di un’infrazione al divieto di cartelli tra imprese stabilito dal diritto dell’Unione e di soprassedere in tale contesto all’inflizione di un’ammenda, purché sia salvaguardato il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività imposti dal diritto dell’Unione.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 –      Regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, Primo regolamento d’applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (GU n. 13, pag. 204).


3 –      Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (GU 2003, L 1, pag. 1). A mente del suo articolo 45, secondo comma, tale regolamento si applica a partire dal 1º maggio 2004.


4 –      BGBl. n. 600/1988.


5 –      BGBl. n. 61/2005.


6 – Le organizzazioni che avevano preceduto la SSK, ossia la «Auto‑Sammelladungskonferenz» [conferenza per il trasporto a collettame su strada] e la «Bahn‑Sammelladungskonferenz» [conferenza per il trasporto a collettame su rotaia], risalivano agli anni ‘70 del secolo scorso e avevano goduto in Austria – fino alla loro scadenza intervenuta il 31 dicembre 1993 – dello status di «cartelli autorizzati».


7 – R.G. 4 Kt 533/94.


8 – Fino alla sua soppressione, avvenuta con la legge del 2002 di riforma del Kartellgesetz, il Paritätischer Ausschuss für Kartellangelegenheiten ha svolto funzioni di organo ausiliario di consulenza del Kartellgericht. La sua attività era disciplinata dagli articoli 49, 112 e 113 del KartG 1988.


9 – R.G. 4 Kt 79/95-12.


10 –      In proposito, v. supra, paragrafo 20.


11 – [Nota non destinata alla pubblicazione].


12 – Le norme invocate a sostegno di tale richiesta di inflizione di ammende sono l’articolo 142, paragrafo 1, lettere a) e d), del KartG 1988, nonché l’articolo 29, paragrafo 1, lettere a) e d), del KartG 2005.


13 – R.G. 24 Kt 7, 8/10-146.


14 – In proposito, v. articolo 15, paragrafo 3, terzo periodo, del regolamento n. 1/2003.


15 – R.G. 16 Ok 4/11.


16 – Sentenze del 17 ottobre 1972, Vereeniging van Cementhandelaren/Commissione (8/72, Racc. pag. 977, punto 29); dell’11 luglio 1985, Remia e a./Commissione (42/84, Racc. pag. 2545, punto 22, in fine); del 23 novembre 2006, Asnef‑Equifax (C‑238/05, Racc. pag. I‑11125, punto 37), e del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione (C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punto 38); comunicazione della Commissione intitolata «Linee direttrici sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato» (GU 2004, C 101, pag. 81), sezione 3.2.1 (in particolare, punto 78).


17 – V., in particolare, sentenze del 1º febbraio 1978, Miller International Schallplatten/Commissione («Miller», 19/77, Racc. pag. 131, punto 18), e del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punti 111 e 112). Nella sentenza del 10 dicembre 1985, Stichting Sigarettenindustrie e a./Commissione (da 240/82 a 242/82, 261/82, 262/82, 268/82 e 269/82, Racc. pag. 3831, punto 60), la nozione di errore sul precetto viene incidentalmente menzionata. Nelle sentenze del 12 luglio 1979, BMW Belgium e a./Commissione («BMW Belgium», 32/78 e da 36/78 a 82/78, Racc. pag. 2435, punti 43 e 44), e dell’8 novembre 1983, IAZ International Belgium e a./Commissione (da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, Racc. pag. 3369, punto 45), la Corte si è limitata a dichiarare – senza analizzare in concreto un eventuale errore sul precetto – che era irrilevante il fatto che un’impresa fosse consapevole o no di violare il divieto di cui all’articolo 85 del Trattato CEE. Nelle conclusioni presentate dall’avvocato generale Mayras il 13 novembre 1975 nella causa General Motors/Commissione (26/75, Racc. pag. 1367, in particolare pag. 1390), viene riconosciuta, nel caso di specie, l’esistenza di un errore sul precetto e viene dunque negata la possibilità di un’ammenda a titolo di dolo.


18 – Nella sentenza Jussila/Finlandia del 23 novembre 2006 (ricorso n. 73053/01, Recueil des arrêts et décisions 2006‑XIV, § 43), la Corte europea per i diritti dell’uomo (Corte CEDU) non include il diritto della concorrenza nell’ambito del diritto penale classico e afferma che, al di fuori del «nocciolo duro» del diritto penale, le garanzie di rilevanza penalistica scaturenti dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU non debbono essere necessariamente applicate in tutto il loro rigore.


19 – In proposito, v. le conclusioni da me presentate il 3 luglio 2007 nella causa ETI e a. (C‑280/06, Racc. pag. I‑10893, paragrafo 71) e l’8 settembre 2011 nella causa Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, paragrafo 48), ivi con ulteriori rimandi. Per costante giurisprudenza, la Corte applica i principi del diritto penale nell’ambito del diritto europeo della concorrenza [v., riguardo alla presunzione di innocenza, la sentenza dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione (C‑199/92 P, Racc. pag. I‑4287, punti 149 e 150, e, riguardo al divieto di doppie punizioni («ne bis in idem»), la sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., C‑17/10, punto 94]. Per parte sua, la Corte CEDU, nella sentenza Menarini Diagnostics/Italia del 27 settembre 2011 (ricorso n. 43509/08, §§ da 38 a 45), riconosce natura penalistica ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU ad un’ammenda inflitta in base alla normativa antitrust dall’autorità italiana garante della concorrenza.


20 – V., ex plurimis, le sentenze dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni (C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punti 145 e 204); dell’11 dicembre 2007, ETI e a. (C‑280/06, Racc. pag. I‑10893, punto 39); del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, Racc. pag. I‑8237, punto 56), e del 19 luglio 2012, Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a. (C‑628/10 P e C‑14/11 P, punto 42).


21 – Nella sentenza del 18 novembre 1987, Maizena e a. (137/85, Racc. pag. 4587, punto 14), la Corte ha affermato che il principio nulla poena sine culpa è un principio «tipico del diritto penale». La sua esistenza nell’ordinamento dell’Unione viene inoltre presupposta nella sentenza dell’11 luglio 2002, Käserei Champignon Hofmeister (C‑210/00, Racc. pag. I‑6453, in particolare punti 35 e 44). V. altresì le conclusioni presentate dall’avvocato generale Lenz l’11 luglio 1992 nella causa Van der Tas (C‑143/91, Racc. pag. I‑5045, paragrafo 11), nonché – in generale, sul principio di colpevolezza nell’applicazione di norme amministrative a carattere sanzionatorio – le conclusioni presentate dall’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer il 24 gennaio 2008 nella causa Michaeler e a. (C‑55/07 e C‑56/07, Racc. pag. I‑3135, paragrafo 56).


22 –      Conclusioni presentate dall’avvocato generale Van Gerven il 15 settembre 1993 nella causa Charlton e a. (C‑116/92, Racc. pag. I‑6755, paragrafo 18).


23 –      Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («CEDU», firmata a Roma il 4 novembre 1950).


24 – Sentenze Hüls/Commissione, cit. alla nota 19 (punti 149 e 150, con riferimento all’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU), e del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, punti 72 e 73, con riferimento all’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali); nello stesso senso si era già espressa la sentenza del 14 febbraio 1978, United Brands e United Brands Continentaal/Commissione («United Brands», 27/76, Racc. pag. 207, punto 265).


25 – V., ex plurimis, sentenze del 26 aprile 2005, «Goed Wonen» (C‑376/02, Racc. pag. I‑3445, punto 32); dell’11 luglio 2006, Chacón Navas (C‑13/05, Racc. pag. I‑6467, punto 56), e del 27 settembre 2007, Twoh International (C‑184/05, Racc. pag. I‑7897, punto 25).


26 – In proposito, v. le conclusioni presentate dall’avvocato generale Mayras nella causa General Motors/Commissione, cit. alla nota 17.


27 – Commissione europea, Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»), punto 29, secondo trattino.


28 – In proposito, v. anche il considerando 8 del regolamento n. 1/2003, nonché le conclusioni da me presentate il 6 settembre 2012 nella causa Expedia (C‑226/11, paragrafo 37, con ulteriori rimandi).


29 –      In proposito, v. le considerazioni da me svolte in ordine alla prima parte della prima questione pregiudiziale (paragrafi da 38 a 48 delle presenti conclusioni).


30 – Fa eccezione la Schenker, che non si è espressa su tale problematica ed ha formulato osservazioni scritte e orali soltanto in ordine alla seconda questione pregiudiziale.


31 –      Sentenza Miller, cit. alla nota 17 (punto 18). Per completezza desidero aggiungere che anche nella sentenza BMW Belgium, cit. alla nota 17 (punti 43 e 44), viene indicato che l’impresa interessata aveva fatto valere a propria difesa il parere fornitole da un avvocato, ma la Corte non si è di fatto pronunciata in ordine a tale aspetto.


32 –      Considerando 4 del regolamento n. 1/2003.


33 – La mancanza di un potere delle autorità nazionali garanti della concorrenza di constatare l’insussistenza di violazioni della normativa antitrust dell’Unione è stata soltanto di recente evidenziata dalla Corte (sentenza del 3 maggio 2011, Tele 2 Polska, C‑375/09, Racc. pag. I‑3055, in particolare punti 29 e 32).


34 – In merito a tale finalità, v. i considerando 8, 17 e 22 del regolamento n. 1/2003, nonché le sentenze del 7 dicembre 2010, VEBIC (C‑439/08, Racc. pag. I‑12471, punto 56), e del 14 giugno 2011, Pfleiderer (C‑360/09, Racc. pag. I‑5161, punto 19).


35 – In tal senso, sentenze del 16 luglio 1998, Oelmühle und Schmidt Söhne (C‑298/96, Racc. pag. I‑4767, punto 29); del 19 settembre 2002, Huber (C‑336/00, Racc. pag. I‑7699, punto 58), e del 22 gennaio 1997, Opel Austria/Consiglio (T‑115/94, Racc. pag. II‑39, punto 93).


36 – Con il termine «avvocato» devono ovviamente intendersi, qui e più oltre, anche gli avvocati che operano come lavoratori subordinati in uno studio legale indipendente.


37 – In proposito, v. sentenza del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a. (C‑550/07 P, Racc. pag. I‑8301), nonché le conclusioni da me presentate in tale causa il 29 aprile 2010.


38 – Un’indicazione in tal senso si ricava anche dalle sentenze United Brands, cit. alla nota 24 (punti da 299 a 301), e del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione (85/76, Racc. pag. 461, punto 134); nel medesimo senso, le sentenze del 1º aprile 1993, Hewlett Packard France (C‑250/91, Racc. pag. I‑1819, punto 22), e del 14 novembre 2002, Ilumitrónica (C‑251/00, Racc. pag. I‑10433, punto 54).


39 – In tal senso, sentenze Miller, cit. alla nota 17 (punti 18 e 19); dell’11 luglio 1989, Belasco e a./Commissione (246/86, Racc. pag. 2117, punto 41), e dell’8 febbraio 1990, Tipp‑Ex/Commissione (C‑279/87, Racc. pag. I‑261, massima n. 2); v. inoltre la sentenza del Tribunale del 14 dicembre 2006, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione (da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Racc. pag. II‑5169, punto 205).


40 – Sulla nozione di restrizione grave (o hardcore), v. in particolare la comunicazione della Commissione europea relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea (de minimis) (GU 2001, C 368, pag. 13).


41 – In tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, AC‑Treuhand/Commissione (T‑99/04, Racc. pag. II‑1501), in riferimento alla partecipazione ad un cartello di una società di consulenza che non operava personalmente sul mercato interessato dal cartello stesso.


42 – Questo vale per tutte le imprese che erano membri della SSK già prima del 1º maggio 2004.


43 – Un’analoga norma era a quel tempo contenuta nell’articolo 2 del protocollo n. 4 annesso all’Accordo fra gli Stati AELS (EFTA) sull’istituzione di un’Autorità di vigilanza e di una Corte di giustizia (GU 1994, L 344, pag. 12).


44 – In tal senso, sentenza Hoffmann‑La Roche/Commissione, cit. alla nota 38 (punti 129, ultimo periodo, 130 e 134, penultimo periodo).


45 –      V. supra, paragrafo 67.


46 –      V. supra, paragrafo 70.


47 –      Linee direttrici sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, sezione 3.2.1 (in particolare, punto 78).


48–      Considerando 6, 7 e 8 del regolamento n. 1/2003.


49 – Riguardo a tale obbligo, v. anche la sentenza Toshiba Corporation e a., cit. alla nota 19 (punto 77).


50 –      Sentenza del 30 gennaio 1974, BRT/SABAM (127/73, Racc. pag. 51, punti da 15 a 22).


51 –      Sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, Racc. pag. 1, punto 6, in fine).


52 – V., ex plurimis, sentenze del 5 maggio 1981, Dürbeck (112/80, Racc. pag. 1095, punto 48), e del 20 marzo 1997, Alcan Deutschland (C‑24/95, Racc. pag. I‑1591, punto 25).


53 – In tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Plantanol (C‑201/08, Racc. pag. I‑8343, punto 53); v. inoltre le conclusioni da me presentate il 24 gennaio 2013 nella causa Agroferm (C‑568/11, paragrafi da 43 a 50).


54 – In modo del tutto analogo, la Corte afferma, in relazione alla tutela del legittimo affidamento, che nessuno può far valere una violazione di tale principio in mancanza di precise assicurazioni fornitegli dall’amministrazione, e che a tal fine non sono sufficienti vaghi indizi (sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar/Commissione, C‑47/07 P, Racc. pag. I‑9761, punti 81 e 86).


55 – Secondo una giurisprudenza consolidata, il principio della tutela del legittimo affidamento non può essere invocato contro una precisa disposizione del diritto dell’Unione; v. sentenze del 26 aprile 1988, Krücken (316/86, Racc. pag. 2213, punto 24); del 1º aprile 1993, Lageder e a. (da C‑31/91 a C‑44/91, Racc. pag. I‑1761, punto 35), e del 16 marzo 2006, Emsland‑Stärke (C‑94/05, Racc. pag. I‑2619, punto 31),


56 –      V. supra, paragrafo 70.


57 –      In proposito, v. supra, paragrafo 62 e la giurisprudenza citata alla nota 35.


58 –      Articolo 15, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003.


59 –      Articolo 11, paragrafo 6, del regolamento n. 1/2003.


60 – Sentenza Toshiba Corporation e a., cit. alla nota 19 (punto 62).


61 –      V. supra, paragrafi 20 e 21.


62 –      V. supra, paragrafo 92.


63 –      Sentenza Wilhelm e a., cit. alla nota 51 (punti 6 e 9).


64 – Sentenze del 1º ottobre 2009, Compañía Española de Comercialización de Aceite (C‑505/07, Racc. pag. I‑8963, punto 52), e Toshiba Corporation e a., cit. alla nota 19 (punto 81).


65 – Sentenze Wilhelm e a., cit. alla nota 51 (punto 3); del 13 luglio 2006, Manfredi e a. (da C‑295/04 a C‑298/04, Racc. pag. I‑6619, punto 38); Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a., cit. alla nota 37 (punto 103), e Toshiba Corporation e a., cit. alla nota 19 (punto 81).


66 – Sentenza Toshiba Corporation e a., cit. alla nota 19 (punto 82).


67 – Nella sentenza Expedia (cit. alla nota 28), la Corte ha chiarito che un accordo idoneo a pregiudicare il commercio tra Stati membri e avente un oggetto anticoncorrenziale costituisce, per sua natura e indipendentemente da qualsiasi suo effetto concreto, una restrizione sensibile del gioco della concorrenza (punto 37), il che può realizzarsi anche quando non vengano raggiunte le soglie fissate dalla Commissione nella sua comunicazione de minimis (punto 38).


68 –      V. supra, paragrafo 44.


69 –      V. il considerando 34 del regolamento n. 1/2003, dove viene evidenziato il ruolo centrale degli organi dell’Unione nell’attuazione dei principi sanciti dagli articoli 81 CE e 82 CE; v., inoltre, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. alla nota 17 (punto 105, in fine); del 14 dicembre 2000, Masterfoods e HB (C‑344/98, Racc. pag. I‑11369, punto 46, primo periodo), e le mie conclusioni nella causa Expedia, cit. alla nota 28 (paragrafo 38).


70 – V. anche il considerando 14 del regolamento n. 1/2003.


71 – Sentenza Tele 2 Polska, cit. alla nota 33 (punti da 22 a 29 e 32).


72 –      V. considerando 6, 7 e 8 del regolamento n. 1/2003.


73 –      V. considerando 28 e 34 del regolamento n. 1/2003.


74 – V., in particolare, gli articoli 5, primo comma, e 6, nonché i considerando 6, 7 e 8 del regolamento n. 1/2003.


75 – Sull’importanza di tali principi nel contesto della normativa antitrust, v. sentenze del 20 settembre 2001, Courage e Crehan (C‑453/99, Racc. pag. I‑6297), nonché Manfredi e a., cit. alla nota 65.


76 – Riguardo a tale obiettivo, v. i rimandi alla nota 34.


77 – Punto 28, primo trattino, degli orientamenti del 2006.


78 – Riguardo all’importanza dell’applicazione del diritto della concorrenza su iniziativa dei privati, v. in particolare, oltre alle sentenze menzionate supra alla nota 75, anche il «Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie», presentato dalla Commissione europea il 2 aprile 2008 [COM(2008) 165 def.]. Nel suo Libro bianco, la Commissione propone misure «concepite per creare un sistema efficace di applicazione delle norme [antitrust] da parte dei privati mediante azioni di risarcimento danni che integrano, ma non sostituiscono o compromettono, l’applicazione di dette norme da parte delle autorità pubbliche» (pag. 3, sezione 1.2). Anche la Corte EFTA ha avuto di recente l’occasione di richiamare l’importanza dell’applicazione del diritto della concorrenza su iniziativa dei privati, sottolineando che essa rientra nel pubblico interesse (sentenza del 21 dicembre 2012, DB Schenker/Autorità di sorveglianza EFTA, E‑14/11, punto 132).