Language of document : ECLI:EU:C:2009:119

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

3 marzo 2009 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Violazione dell’art. 307, secondo comma, CE – Mancata adozione delle misure atte ad eliminare le incompatibilità tra gli accordi bilaterali conclusi con Stati terzi prima dell’adesione dello Stato membro all’Unione europea e il Trattato CE – Accordi conclusi dal Regno di Svezia con la Repubblica di Argentina, la Repubblica di Bolivia, la Repubblica della Costa d’Avorio, la Repubblica araba d’Egitto, Hong Kong, la Repubblica di Indonesia, la Repubblica popolare cinese, la Repubblica del Madagascar, la Malaysia, la Repubblica islamica del Pakistan, la Repubblica del Perù, la Repubblica del Senegal, la Repubblica democratica socialista di Sri Lanka, la Repubblica tunisina, la Repubblica socialista del Vietnam, la Repubblica dello Yemen e l’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia in materia di investimenti»

Nella causa C‑249/06,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 29 maggio 2006,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C. Tufvesson, dai sigg. B. Martenczuk e H. Støvlbæk, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Regno di Svezia, rappresentato dalle sig.re A. Falk e K. Wistrand, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Repubblica di Lituania, rappresentata dal sig. D. Kriaučiūnas, in qualità di agente,

Repubblica di Ungheria, rappresentata dalle sig.re J. Fazekas e K. Szíjjártó, nonché dal sig. M. Fehér, in qualità di agenti,

Repubblica di Finlandia, rappresentata dalla sig.ra A. Guimaraes-Purokoski e dal sig. J. Heliskoski, in qualità di agenti,

intervenienti,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts, M. Ilešič, A. Ó Caoimh e J.-C. Bonichot (relatore), presidenti di sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, J. Malenovský, U. Lõhmus e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 maggio 2008,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 luglio 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che il Regno di Svezia, non avendo fatto ricorso a misure atte ad eliminare le incompatibilità relative alle disposizioni in materia di trasferimento di capitali contenute negli accordi sugli investimenti conclusi con la Repubblica di Argentina, la Repubblica di Bolivia, la Repubblica della Costa d’Avorio, la Repubblica araba d’Egitto, Hong Kong, la Repubblica di Indonesia, la Repubblica popolare cinese, la Repubblica del Madagascar, la Malaysia, la Repubblica islamica del Pakistan, la Repubblica del Perù, la Repubblica del Senegal, la Repubblica democratica socialista di Sri Lanka, la Repubblica tunisina, la Repubblica socialista del Vietnam, la Repubblica dello Yemen e l’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 307, secondo comma, CE.

 Contesto normativo

2        Il Regno di Svezia, prima della sua adesione all’Unione europea, ha concluso accordi bilaterali sugli investimenti, pubblicati nello Sveriges internationella överenskommelser (Raccolta svedese dei trattati internazionali) (in prosieguo: l’«SÖ»), con la Repubblica di Argentina [accordo entrato in vigore il 28 settembre 1992 (SÖ 1992:91)], la Repubblica di Bolivia [accordo entrato in vigore il 3 luglio 1992 (SÖ 1992:19)], la Repubblica della Costa d’Avorio [accordo entrato in vigore il 3 novembre 1966 (SÖ 1966:31)], la Repubblica araba d’Egitto [accordo entrato in vigore il 29 gennaio 1979 (SÖ 1979:1)], Hong Kong [accordo entrato in vigore il 26 giugno 1994 (SÖ 1994:19)], la Repubblica di Indonesia [accordo entrato in vigore il 18 febbraio 1993 (SÖ 1993:68)], la Repubblica popolare cinese [accordo entrato in vigore il 29 marzo 1982 (SÖ 1982:28)], la Repubblica del Madagascar [accordo entrato in vigore il 23 giugno 1967 (SÖ 1967:33)], la Malaysia [accordo entrato in vigore il 6 luglio 1979 (SÖ 1979:17)], la Repubblica islamica del Pakistan [accordo entrato in vigore il 14 giugno 1981 (SÖ 1981:8)], la Repubblica del Perù [accordo entrato in vigore il 1° agosto 1994 (SÖ 1994:22)], la Repubblica del Senegal [accordo entrato in vigore il 23 febbraio 1968 (SÖ 1968:22)], la Repubblica democratica socialista di Sri Lanka [accordo entrato in vigore il 30 aprile 1982 (SÖ 1982:16)], la Repubblica tunisina [accordo entrato in vigore il 13 maggio 1985 (SÖ 1985:25)], la Repubblica socialista del Vietnam [accordo entrato in vigore il 2 agosto 1994 (SÖ 1994:69)], la Repubblica dello Yemen [accordo entrato in vigore il 23 febbraio 1984 (SÖ 1983:110)] e l’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia [accordo entrato in vigore il 21 novembre 1979 (SÖ 1979:29)].

3        Tali accordi contengono una clausola in base alla quale ciascuna parte assicura agli investitori dell’altra parte, senza indebito ritardo, il libero trasferimento, in valute liberamente convertibili, dei pagamenti afferenti ad un investimento.

 Procedimento precontenzioso

4        Il 12 maggio 2004, ritenendo che questi accordi bilaterali potessero essere d’ostacolo all’applicazione di restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti che il Consiglio dell’Unione europea può adottare in forza degli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE, la Commissione ha inviato al Regno di Svezia una lettera di diffida.

5        Con lettera 12 luglio 2004 tale Stato membro ha trasmesso alla Commissione le sue osservazioni su detta lettera di diffida. Esso ha sostenuto che le clausole controverse degli accordi sugli investimenti in questione non ostavano al rispetto degli obblighi per esso derivanti dagli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60 CE.

6        La Commissione, considerando che gli argomenti addotti dal Regno di Svezia erano incompleti e che tale Stato membro aveva omesso, contrariamente ai precetti dell’art. 307, secondo comma, CE, di ricorrere a mezzi atti ad eliminare le incompatibilità relative alle disposizioni in materia di trasferimento contenute nei vari accordi sugli investimenti in questione, il 21 marzo 2005 gli ha inviato un parere motivato.

7        Con lettera 19 maggio 2005, il Regno di Svezia ha trasmesso alla Commissione le sue osservazioni in risposta a detto parere motivato. Esso ha mantenuto le argomentazioni formulate nelle sue osservazioni relative alla lettera di diffida.

8        La Commissione, ritenendo che tali argomenti non fossero in grado di confutare le censure formulate nel parere motivato, ha deciso di proporre il presente ricorso.

 Sul ricorso

 Sulla domanda di riapertura della fase orale

9        Con lettera 18 luglio 2008, il Regno di Svezia ha chiesto alla Corte di disporre la riapertura della fase orale in applicazione dell’art. 61 del regolamento di procedura, in quanto la Commissione aveva presentato irregolarmente un nuovo addebito nel corso della fase orale e, di conseguenza, le conclusioni dell’avvocato generale si basavano su fatti e argomenti che non avevano potuto essere utilmente dibattuti tra le parti.

10      Infatti, la Commissione avrebbe sostenuto, per la prima volta, che il mantenimento degli accordi bilaterali sugli investimenti in questione era incompatibile con l’art. 10 CE.

11      Orbene, l’avvocato generale, ai paragrafi 33-43 e 71 delle sue conclusioni, proporrebbe alla Corte di fondare l’inadempimento addebitato sull’art. 10 CE allo stesso titolo che sugli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE.

12      A tal riguardo occorre ricordare, da un lato, che la Corte, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, o anche su domanda delle parti, può disporre la riapertura della fase orale, ai sensi dell’art. 61 del regolamento di procedura, qualora ritenga che non sia sufficientemente edotta ovvero che la causa debba essere decisa sulla base di un argomento che non sia stato oggetto di dibattito tra le parti (v. sentenze 14 dicembre 2004, causa C 210/03, Swedish Match, Racc. pag. I‑11893, punto 25, e 14 settembre 2006, causa C‑138/05, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, Racc. pag. I‑8339, punto 23; ordinanza 4 febbraio 2000, causa C‑17/98, Emesa Sugar, Racc. pag. I‑665, punto 18).

13      Dall’altro lato, in forza dell’art. 222, secondo comma, CE, l’avvocato generale ha l’ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia, richiedono il suo intervento. Dato che la Corte non è vincolata né dalle conclusioni dell’avvocato generale né dalla motivazione in base alla quale egli vi perviene, non è indispensabile riaprire la fase orale, conformemente all’art. 61 del regolamento di procedura, ogniqualvolta l’avvocato generale sollevi una questione di diritto che non è stata oggetto di discussione tra le parti.

14      Nella fattispecie, poiché la Corte ritiene di essere sufficientemente edotta per statuire e poiché la causa non deve essere decisa sulla base di argomenti che non siano stati oggetto di dibattito tra le parti, in particolare durante l’udienza, non è necessario accogliere la domanda di riapertura della fase orale.

 Sull’incompatibilità degli accordi sugli investimenti con il Trattato CE

 Argomenti delle parti

15      La Commissione reputa che la mancanza, negli accordi in questione, di qualsiasi clausola che riservi espressamente la possibilità per il Regno di Svezia di applicare le misure che possano, se del caso, essere decise dal Consiglio sulla base degli artt. 57 CE, 59 CE e 60 CE, sia idonea a rendere più difficile, se non impossibile, il rispetto da parte di tale Stato membro dei propri obblighi comunitari e che tale Stato membro, non avendo fatto ricorso ai mezzi atti ad eliminare un’incompatibilità siffatta, sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 307, secondo comma, CE.

16      La Commissione sostiene che, in caso di adozione da parte del Consiglio di restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti, il termine necessario alla denuncia o alla rinegoziazione degli accordi in questione comporterebbe, in base al diritto internazionale, l’obbligo per il Regno di Svezia di continuare ad applicare, nel frattempo, gli accordi di cui trattasi, compresa la loro clausola sul trasferimento, conformemente a quanto prevede, d’altronde, l’art. 307, primo comma, CE. Ne derivererebbe una mancata applicazione uniforme nella Comunità europea delle misure adottate dal Consiglio.

17      Il Regno di Svezia, sostenuto dagli interventi della Repubblica di Ungheria e della Repubblica di Finlandia nonché, nel corso dell’udienza, dalla Repubblica di Lituania, ritiene che la Commissione potrebbe dimostrare una violazione risultante dalle clausole controverse degli accordi bilaterali in questione solo se provasse che, a causa dei diritti garantiti in tali accordi agli investitori di paesi terzi, il Regno di Svezia non aveva la possibilità di attuare le misure restrittive concrete previste dal diritto comunitario.

18      È dunque esclusivamente a seguito dell’effettiva adozione di misure autorizzate dalle disposizioni pertinenti e, in caso di mancanza o di inefficacia di mezzi fondati sul diritto internazionale, dirette a rimediare ad un’incompatibilità in un determinato caso che si presenterebbe la situazione prevista all’art. 307, secondo comma, CE. Solo in tal caso, adducendo una misura restrittiva concreta, la contraddizione reale tra questa misura e l’accordo controverso nonché le misure adottate o meno al fine di eliminare tale contraddizione, la Commissione potrebbe proporre, nei confronti di un atto comunitario individuato, un ricorso basato sulla violazione dell’art. 307, secondo comma, CE.

19      La Repubblica di Ungheria e la Repubblica di Finlandia insistono sulle gravi conseguenze che possono derivare dalla posizione della Commissione, che consentirebbe di far constatare un inadempimento ai sensi dell’art. 307, secondo comma, CE in tutti i casi in cui un accordo concluso con uno Stato terzo prima dell’entrata in vigore del Trattato oppure prima dell’adesione dello Stato membro interessato si applichi in un settore ove la Comunità non ha ancora esercitato la competenza di cui dispone in forza del Trattato, vale a dire in un ambito in cui essa non ha ancora legiferato. Un’interpretazione siffatta conferirebbe una portata illimitata all’art. 307, secondo comma, CE, il che sarebbe censurabile tanto sotto l’aspetto della certezza del diritto quanto sotto quello della ripartizione di competenze tra la Comunità e gli Stati membri, e romperebbe l’equilibrio creato dall’art. 307, primo e secondo comma, CE.

20      Un’incompatibilità futura ed eventuale, con il diritto comunitario derivato, di un accordo stipulato con uno Stato terzo non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 307 CE e potrebbe essere, se del caso, constatata solo se il Consiglio esercitasse effettivamente la propria competenza in tale settore.

21      A tale riguardo, il Regno di Svezia fa valere che le misure restrittive alla circolazione dei capitali adottate nei confronti della Repubblica della Costa d’Avorio e dell’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia non sono state ostacolate dagli accordi sugli investimenti stipulati tra tali Stati e il Regno di Svezia, circostanza che la Commissione, d’altronde, non contesterebbe.

22      La Repubblica di Ungheria s’interroga, inoltre, sulle conseguenze dell’iniziativa della Commissione, poiché gli Stati membri hanno concluso con Stati terzi circa 1 000 accordi bilaterali sugli investimenti contenenti clausole simili in materia di trasferimenti, la cui compatibilità con il diritto comunitario non è mai stata contestata dalla Commissione.

23      Il Regno di Svezia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria e la Repubblica di Finlandia ritengono che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, le misure di salvaguardia di cui agli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE possono essere attuate solo in casi eccezionali molto specifici che non potevano essere previsti all’atto della conclusione degli accordi in questione. Così, il Regno di Svezia potrebbe invocare il principio «rebus sic stantibus» per sospendere provvisoriamente le disposizioni relative alla libertà di trasferimento nei casi in cui la Comunità adottasse misure di salvaguardia sul fondamento di tali disposizioni del Trattato.

24      Gli Stati membri che hanno presentato osservazioni fanno valere che la Commissione non dimostra l’esistenza dell’asserito inadempimento e non può, conformemente alla giurisprudenza della Corte, basarsi su presunzioni.

 Giudizio della Corte

25      I vari accordi sugli investimenti in questione, conclusi dal Regno di Svezia, contengono clausole equivalenti che garantiscono la libertà del trasferimento, senza indebito ritardo, in valute liberamente convertibili, di pagamenti correlati ad un investimento.

26      In particolare, si garantiscono in tal modo la libertà di trasferire fondi ai fini della realizzazione di un investimento, della gestione e dell’ampliamento di quest’ultimo, la libertà di rimpatriare gli introiti che tale investimento avrà procurato, nonché la libertà di trasferire i fondi necessari alla restituzione di prestiti e quelli provenienti dalla liquidazione o dalla cessione di detto investimento.

27      Al riguardo, tali accordi sono conformi alla lettera dell’art. 56, n. 1, CE, in base al quale «(…) sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi», e a quella dell’art. 56, n. 2, CE, secondo cui «(…) sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi», ed essi sono in linea con l’obiettivo perseguito da tale articolo.

28      È vero che le disposizioni del Trattato considerate dal presente ricorso della Commissione conferiscono al Consiglio il potere di limitare, in alcuni casi, i movimenti di capitali e i pagamenti tra gli Stati membri e i paesi terzi, tra i quali figurano i movimenti considerati dalle clausole sul trasferimento in questione.

29      Le disposizioni di cui trattasi, contenute negli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE, al fine di tutelare l’interesse generale della Comunità e di consentirle di soddisfare, se del caso, i suoi obblighi internazionali e quelli degli Stati membri, introducono eccezioni al principio della libera circolazione dei capitali e dei pagamenti tra Stati membri nonché tra questi ultimi e i paesi terzi.

30      L’art. 57, n. 2, CE permette al Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, di adottare talune misure restrittive concernenti i movimenti di capitali in relazione, in particolare, a investimenti diretti provenienti da paesi terzi o ad essi rivolti. È richiesta l’unanimità qualora tali misure comportino «un regresso» della legislazione comunitaria per quanto riguarda la liberalizzazione dei movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti.

31      L’art. 59 CE autorizza il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea, ad adottare misure di salvaguardia qualora i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti «causino o minaccino di causare difficoltà gravi per il funzionamento dell’Unione economica e monetaria», purché tali misure siano strettamente necessarie e riguardino un periodo «non superiore a sei mesi».

32      L’art. 60, n. 1, CE permette al Consiglio di adottare, su proposta della Commissione, al fine di attuare una posizione o un’azione comuni nel settore della politica estera e di sicurezza comune, le «misure urgenti necessarie» in materia di movimenti di capitali e di pagamenti. Un’azione siffatta può essere necessaria, per esempio, per dare esecuzione ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

33      È pacifico che gli accordi in questione non contengono alcuna disposizione che riservi queste possibilità di limitazione, da parte della Comunità, dei movimenti di fondi correlati ad investimenti. Occorre, dunque, verificare se il Regno di Svezia fosse tenuto, per tale motivo, a ricorrere ai mezzi appropriati cui si riferisce l’art. 307, secondo comma, CE.

34      In forza dell’art. 307, primo comma, CE, i diritti e gli obblighi derivanti da una convenzione conclusa anteriormente alla data di adesione di uno Stato membro tra quest’ultimo e uno Stato terzo non sono pregiudicati dalle disposizioni del Trattato. Tale disposizione è volta a precisare, conformemente ai principi del diritto internazionale, che l’applicazione del Trattato non pregiudica l’impegno assunto dallo Stato membro interessato di rispettare i diritti dei paesi terzi derivanti da una convenzione antecedente e di attenersi agli obblighi corrispondenti (v. sentenze 14 ottobre 1980, causa 812/79, Burgoa, Racc. pag. 2787, punto 8; 4 luglio 2000, causa C‑84/98, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5215, punto 53, nonché 18 novembre 2003, causa C‑216/01, Budĕjovický Budvar, Racc. pag. I‑13617, punti 144 e 145).

35      L’art. 307, secondo comma, CE obbliga gli Stati membri a ricorrere a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate tra le convenzioni concluse anteriormente alla loro adesione e il diritto comunitario. In base a tale disposizione, ove occorra, gli Stati membri si forniscono reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta.

36      Le disposizioni degli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE conferiscono al Consiglio la competenza a limitare, in taluni casi ben determinati, i movimenti di capitali e i pagamenti tra Stati membri e Stati terzi.

37      Per garantire l’effetto utile di dette disposizioni è necessario che le misure limitative della libera circolazione dei capitali, in caso di una loro adozione da parte del Consiglio, possano essere immediatamente applicate nei confronti degli Stati cui esse si riferiscono e che possono essere alcuni degli Stati che hanno firmato uno degli accordi in questione con il Regno di Svezia.

38      Di conseguenza, queste competenze del Consiglio, che consistono nell’adottare unilateralmente misure restrittive nei confronti di Stati terzi in una materia identica o connessa a quella disciplinata da un accordo anteriore concluso tra uno Stato membro e uno Stato terzo, evidenziano un’incompatibilità con detto accordo qualora, da un lato, quest’ultimo non preveda disposizioni che consentano allo Stato membro interessato di esercitare i propri diritti e di soddisfare i propri obblighi in quanto membro della Comunità e, dall’altro, non lo consenta neppure un meccanismo di diritto internazionale.

39      Orbene, contrariamente a quanto sostiene il Regno di Svezia, le misure proposte da quest’ultimo e che, a suo parere, sarebbero atte a consentirgli di soddisfare i suoi obblighi comunitari non sembrano garantire che ciò avvenga.

40      In primo luogo, i termini inerenti a qualunque negoziazione internazionale, che sarebbero necessari per ridiscutere gli accordi in questione, sono, per loro natura, incompatibili con l’effetto utile di tali misure.

41      In secondo luogo, la possibilità di ricorrere ad altri mezzi offerti dal diritto internazionale, come la sospensione dell’accordo, se non addirittura la denuncia degli accordi di cui trattasi o di talune loro clausole, è troppo incerta nei suoi effetti per garantire che le misure adottate dal Consiglio possano essere utilmente applicate.

42      Orbene, è pacifico che, nei casi contemplati dalla Commissione, il Regno di Svezia non ha intrapreso, entro il termine impartito da quest’ultima nel suo parere motivato, alcuna iniziativa nei confronti degli Stati terzi interessati per eliminare il rischio di conflitto con le misure che il Consiglio può adottare in forza degli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE che può sorgere dall’applicazione di accordi sugli investimenti conclusi con questi Stati terzi.

43      È necessario aggiungere che, come risulta dalla sentenza pronunciata in data odierna nella causa C‑205/06, Commissione/Austria (non ancora pubblicata nella Raccolta), le incompatibilità con il Trattato cui conducono gli accordi sugli investimenti con Stati terzi e che ostano all’applicazione delle restrizioni ai movimenti di capitali e ai pagamenti che il Consiglio può adottare in forza degli artt. 57, n. 2, CE, 59 CE e 60, n. 1, CE non si limitano allo Stato membro convenuto nella presente causa.

44      Di conseguenza occorre rilevare che, conformemente all’art. 307, secondo comma, CE, ove occorra, gli Stati membri si forniscono reciproca assistenza per eliminare le incompatibilità constatate, assumendo eventualmente una comune linea di condotta. Nell’ambito della responsabilità che incombe alla Commissione, ai sensi dell’art. 211 CE, di vigilare sull’applicazione delle disposizioni del Trattato, spetta a quest’ultima prendere qualsiasi iniziativa atta ad agevolare la reciproca assistenza fra gli Stati membri interessati nonché l’assunzione da parte di detti Stati membri di una comune linea di condotta.

45      Sulla base delle considerazioni che precedono è necessario constatare che il Regno di Svezia, non avendo fatto ricorso ai mezzi atti ad eliminare le incompatibilità relative alle disposizioni in materia di trasferimento di capitali contenute negli accordi sugli investimenti conclusi con la Repubblica di Argentina, la Repubblica di Bolivia, la Repubblica della Costa d’Avorio, la Repubblica araba d’Egitto, Hong Kong, la Repubblica di Indonesia, la Repubblica popolare cinese, la Repubblica del Madagascar, la Malaysia, la Repubblica islamica del Pakistan, la Repubblica del Perù, la Repubblica del Senegal, la Repubblica democratica socialista di Sri Lanka, la Repubblica tunisina, la Repubblica socialista del Vietnam, la Repubblica dello Yemen e l’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 307, secondo comma, CE.

 Sulle spese

46      Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno di Svezia, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese. In forza del n. 4, primo comma, del medesimo articolo, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria e la Repubblica di Finlandia, intervenute nel giudizio, sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il Regno di Svezia, non avendo fatto ricorso ai mezzi atti ad eliminare le incompatibilità relative alle disposizioni in materia di trasferimento di capitali contenute negli accordi sugli investimenti conclusi con la Repubblica di Argentina, la Repubblica di Bolivia, la Repubblica della Costa d’Avorio, la Repubblica araba d’Egitto, Hong Kong, la Repubblica di Indonesia, la Repubblica popolare cinese, la Repubblica del Madagascar, la Malaysia, la Repubblica islamica del Pakistan, la Repubblica del Perù, la Repubblica del Senegal, la Repubblica democratica socialista di Sri Lanka, la Repubblica tunisina, la Repubblica socialista del Vietnam, la Repubblica dello Yemen e l’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 307, secondo comma, CE.

2)      Il Regno di Svezia è condannato alle spese.

3)      La Repubblica di Lituania, la Repubblica di Ungheria e la Repubblica di Finlandia sopportano le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: lo svedese.