Language of document : ECLI:EU:C:2017:466

SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)

15 giugno 2017 (*)

«Impugnazione – Politica estera e di sicurezza comune (PESC) – Lotta contro il terrorismo – Misure restrittive specifiche nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani – Regolamento (CE) n. 881/2002 – Congelamento dei capitali e delle risorse economiche di persone fisiche e giuridiche incluse in un elenco predisposto dal Comitato per le sanzioni delle Nazioni unite – Reinserimento dei nomi di tali persone nell’elenco contenuto nell’allegato I al regolamento n. 881/2002 dopo l’annullamento dell’originario inserimento – Estinzione della persona giuridica in pendenza del giudizio – Capacità di stare in giudizio»

Nella causa C‑19/16 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 7 gennaio 2016,

Al-Bashir Mohammed Al-Faqih, residente ad Al Sharkasa, Misurata (Libia),

Ghunia Abdrabbah, residente a Birmingham (Regno Unito),

Taher Nasuf, residente a Manchester (Regno Unito),

Sanabel Relief Agency Ltd, con sede a Birmingham,

rappresentati da N. Garcia-Lora, solicitor, ed E. Grieves, barrister,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione europea, rappresentata da F. Ronkes Agerbeek, D. Gauci e J. Norris-Usher, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da G. Étienne, J.‑P. Hix e H. Marcos Fraile, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta da M. Vilaras (relatore), presidente di sezione, J. Malenovský e D. Šváby, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con la loro impugnazione, i sigg. Al-Bashir Mohammed Al-Faqih, Ghunia Abdrabbah e Taher Nasuf nonché la Sanabel Relief Agency Ltd chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 28 ottobre 2015, Al-Faqih e a./Commissione (T‑134/11, non pubblicata, EU:T:2015:812; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui quest’ultimo ha respinto il loro ricorso per l’annullamento, da un lato, del regolamento (UE) n. 1138/2010 della Commissione, del 7 dicembre 2010, recante centoquarantesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani (GU 2010, L 322, pag. 4), e, dall’altro lato, del regolamento (UE) n. 1139/2010 della Commissione, del 7 dicembre 2010, recante centoquarantunesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani (GU 2010, L 322, pag. 6) (in prosieguo: i «regolamenti controversi»), nella parte in cui tali regolamenti li concernono.

 Fatti

2        I fatti all’origine della controversia sono illustrati dal Tribunale ai punti da 4 a 20 della sentenza impugnata e possono essere sintetizzati come segue.

3        I ricorrenti, nell’ambito dell’attuazione della risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, sono stati colpiti da misure restrittive di congelamento dei loro capitali e di altre attività finanziarie, adottate in applicazione del regolamento (CE) n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell’Afghanistan (GU 2002, L 139, pag. 9). Tale regolamento era stato adottato in esecuzione dell’articolo 3 della posizione comune 2002/402/PESC del Consiglio, del 27 maggio 2002, concernente misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dell’Organizzazione Al-Qaida e dei Taliban e di altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associate e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/PESC, 2001/154/PESC e 2001/771/PESC (GU 2002, L 139, pag. 4).

4        Sono stati inseriti per la prima volta nell’elenco delle persone, delle entità e dei gruppi interessati dal congelamento dei capitali imposto dall’articolo 2 del regolamento n. 881/2002, contenuto nell’allegato I al regolamento (in prosieguo: l’«elenco controverso»), dal regolamento (CE) n. 246/2006 della Commissione, del 10 febbraio 2006, recante sessantatreesima modifica del regolamento n. 881/2002 (GU 2006, L 40, pag. 13). Il regolamento da ultimo citato era stato adottato a fronte di una decisione del Comitato per le sanzioni delle Nazioni unite (in prosieguo: il «Comitato per le sanzioni»), del 7 febbraio 2006, recante modifica dell’elenco delle persone, gruppi ed entità a cui deve applicarsi il congelamento dei capitali e delle risorse economiche stabilito in applicazione della risoluzione 1390 (2002), con l’inserimento, in particolare, del nome dei ricorrenti.

5        In seguito alla sentenza della Corte del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n.1286/2009, del 29 dicembre 2009, recante modifica del regolamento n. 881/2002 (GU 2009, L 346, pag. 42), per istituire una procedura di inserimento nell’elenco controverso che garantisse il rispetto del diritto fondamentale di difesa degli interessati e, in particolare, il diritto di essere sentiti.

6        Con sentenza del 29 settembre 2010, Al-Faqih e a./Consiglio (da T‑135/06 a T‑138/06, non pubblicata, EU:T:2010:412), il Tribunale ha annullato l’articolo 2 del regolamento n. 881/2002, nella parte in cui concerneva i ricorrenti.

7        Con il regolamento n. 1138/2010, la Commissione europea ha nuovamente inserito la Sanabel Relief Agency nell’elenco controverso. Il considerando 3 di detto regolamento riporta che nell’agosto 2009 la Commissione ha comunicato alla Sanabel Relief Agency le motivazioni del Comitato per le sanzioni, che in seguito, nel luglio 2010, la Commissione ha comunicato «motivazioni collegate», e che la Sanabel Relief Agency ha formulato le proprie osservazioni in merito all’insieme di tali motivazioni.

8        A mezzo del regolamento n. 1139/2010 la Commissione ha parimenti reinserito i sigg. Al-Faqih, Abdrabbah e Nasuf in detto elenco. Il considerando 3 di detto regolamento riporta che la Commissione ha fornito loro le motivazioni, rispettivamente, il 22 settembre 2009, il 7 agosto 2009 e l’11 agosto 2009, dopo il deposito del ricorso che ha dato origine alla sentenza del 29 settembre 2010, Al-Faqih e a./Consiglio (da T‑135/06 a T‑138/06, non pubblicata, EU:T:2010:412).

9        A fronte di una decisione del Comitato per le sanzioni del 22 giugno 2011, la Commissione, con il regolamento di esecuzione (UE) n. 640/2011, del 30 giugno 2011, recante centocinquantaduesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 (GU 2011, L 173, pag.1), ha successivamente cancellato i nomi dei sigg. Al-Faqih, Abdrabbah e Nasuf dall’elenco controverso.

10      A fronte di una decisione del Comitato per le sanzioni dell’8 ottobre 2013, la Commissione, con il regolamento di esecuzione (UE) n. 996/2013, del 17 ottobre 2013, recante duecentocinquesima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 (GU 2013, L 277, pag. 1), ha parimenti cancellato il nome della Sanabel Relief Agency dall’elenco controverso.

 Sentenza impugnata

11      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 3 marzo 2011, i sigg. Al-Faqih, Abdrabbah e Nasuf, nonché la Sanabel Relief Agency, hanno introdotto un ricorso per l’annullamento dei regolamenti nn. 1138/2010 e 1139/2010, nella parte in cui tali atti li concernono.

12      A sostegno del loro ricorso, i ricorrenti hanno proposto quattro motivi, uno dei quali relativo al procedimento di riesame condotto dalla Commissione in relazione alla Sanabel Relief Agency, e gli altri tre relativi al procedimento per i sigg. Al-Faqih, Abdrabbah e Nasuf.

13      Il Tribunale ha dichiarato, al punto 46 della sentenza impugnata, che non vi era più luogo a statuire sul ricorso avverso il regolamento n. 1138/2010, con cui la Sanabel Relief Agency era stata nuovamente inserita nell’elenco controverso, dal momento che, secondo quanto riportato in una lettera delle autorità del Regno Unito del 26 settembre 2013, tale soggetto non aveva più esistenza giuridica e pertanto non disponeva più della capacità di stare in giudizio.

14      Per contro, il Tribunale ha dichiarato ricevibile il ricorso avverso il regolamento n. 1139/2010 con cui gli altri tre ricorrenti, i sigg. Al-Faqih, Abdrabbah e Nasuf, sono stati nuovamente inseriti nell’elenco controverso. Il Tribunale ha ritenuto, ai punti da 47 a 51 della sentenza impugnata, che tali soggetti mantenessero un interesse ad agire per l’annullamento del citato regolamento, nonostante la successiva espunzione dei loro nomi da detto elenco per mezzo del regolamento di esecuzione n. 640/2011. Esso ha tuttavia respinto i tre motivi concernenti gli stessi, relativi, rispettivamente, all’irregolarità della procedura di riesame condotta dalla Commissione, alla violazione dell’obbligo di motivazione prescritto dall’articolo 296 TFUE nonché alla violazione del diritto di proprietà e del diritto al rispetto della vita privata.

 Conclusioni delle parti

15      I ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        annullare i regolamenti controversi, e

–        condannare il Consiglio e la Commissione alle spese.

16      Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso, e

–        condannare i ricorrenti alle spese.

17      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere il ricorso, e

–        condannare i ricorrenti alle spese.

 Sull’impugnazione

18      A sostegno dell’impugnazione i ricorrenti deducono quattro motivi.

19      Con i loro primi tre motivi, contestano l’interpretazione data dal Tribunale di uno dei motivi sollevati in primo grado nonché la verifica svolta dal Tribunale sulla legittimità del loro reinserimento nell’elenco controverso, e più precisamente la valutazione da parte della Commissione degli elementi che giustificavano tale reinserimento a fronte dei principi stabiliti dalla Corte nella sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), da un lato, e sulla motivazione dei regolamenti controversi, dall’altro lato.

20      Con il loro quarto motivo i ricorrenti contestano, in sostanza, la constatazione del Tribunale circa il fatto che la Sanabel Relief Agency fosse giuridicamente inesistente e incapace di stare in giudizio. A tal proposito, essi affermano principalmente che, dal momento che la Sanabel Relief Agency è stata inserita nell’elenco controverso, deve esserle riconosciuto il diritto d’impugnazione per contestare tale inserimento, anche in caso di successiva espunzione da detto elenco.

21      Si deve esaminare in primo luogo il quarto motivo.

 Sul quarto motivo

 Argomenti delle parti

22      Con il loro quarto motivo, i ricorrenti sostengono che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel ritenere che non vi fosse più luogo a statuire sul ricorso per quanto concerne la Sanabel Relief Agency, nei limiti in cui quest’ultima era priva di esistenza giuridica, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, nella versione in vigore alla data della pronuncia da parte di quest’ultimo, e aveva pertanto perduto la capacità di stare in giudizio.

23      Essi ritengono infatti che il Tribunale non potesse basarsi, a tal proposito, sull’articolo 78 del proprio regolamento di procedura nonché sulla lettera del Ministero degli Affari esteri e del Commonwealth del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord, del 26 settembre 2013, in cui si dichiarava che la Sanabel Relief Agency era ormai priva di esistenza giuridica, dal momento che non figurava più nel registro delle imprese del Regno Unito (Companies House Register) dall’anno 2007 e che il 28 gennaio 2012 era stata cancellata dal registro della commissione degli enti di beneficenza del Regno Unito (Charity Commission Register).

24      Da un lato, l’articolo 78 del regolamento di procedura del Tribunale sarebbe irrilevante, in quanto tale disposizione si limita a disciplinare la procedura di deposito degli atti introduttivi del giudizio.

25      Dall’altro lato, e sul piano sostanziale, la personalità giuridica di un ente non sarebbe conferita né persa in virtù della sua registrazione o cancellazione dal registro delle imprese o dal registro della commissione degli enti di beneficenza del Regno Unito. Se così fosse, la Sanabel Relief Agency non sarebbe stata dotata di personalità giuridica per chiedere la sua cancellazione dall’elenco controverso sin dall’anno 2007. In ogni caso, i ricorrenti fanno valere che dalla decisione di cancellazione del 28 gennaio 2012 non si evincerebbero né i fatti che hanno portato la commissione degli enti di beneficenza del Regno Unito a cancellare la Sanabel Relief Agency dal proprio registro, né i motivi di tale cancellazione.

26      Essi sottolineano peraltro che il sistema delle Nazioni unite, in virtù del quale il nome delle persone, dei gruppi e delle entità ai quali va applicato il congelamento dei capitali e delle risorse economiche è inserito nell’elenco predisposto in applicazione della risoluzione 1390 (2002), si basa su propri criteri indipendenti dalle classificazioni del diritto nazionale, e che per tale ragione la Corte avrebbe dichiarato, nella propria sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), che un approccio formale non era appropriato e che un’entità inserita in un elenco poteva richiedere la cancellazione dallo stesso.

27      Essi rilevano inoltre che, nell’indicare, al punto 45 della sentenza impugnata, che la Sanabel Relief Agency non era più oggetto di misure restrittive a far data dal 17 ottobre 2013, il Tribunale parrebbe fondare su una base giuridica totalmente differente la propria decisione di non riconoscere alla Sanabel Relief Agency la capacità di stare in giudizio. Il Tribunale avrebbe quindi considerato che la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), in virtù della quale un’entità deve vedersi riconoscere un’esistenza giuridica quando è oggetto di misure restrittive, non sarebbe applicabile ad un ente di beneficenza come la Sanabel Relief Agency, poiché quest’ultima non era più oggetto di misure restrittive a far data dal 17 ottobre 2013. I ricorrenti ritengono poi che il Tribunale, avendone fatto richiesta ai ricorrenti persone fisiche, avrebbe dovuto chiedere alla Sanabel Relief Agency di dimostrare il suo interesse ad agire.

28      I ricorrenti contestano infine al Tribunale di non aver tenuto conto delle loro osservazioni formulate a proposito della memoria d’intervento del Consiglio, con cui sostenevano che la soluzione elaborata nella sentenza del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione (C‑239/12 P, EU:C:2013:331), si applicava anche al caso di specie.

29      Il Consiglio e la Commissione fanno valere che il Tribunale avrebbe correttamente constatato che la Sanabel Relief Agency era ormai priva di esistenza giuridica e aveva perduto la propria capacità di stare in giudizio e che, di conseguenza, avrebbe legittimamente dichiarato non esservi più luogo a statuire riguardo a tale ente. Essi ritengono peraltro che la Sanabel Relief Agency non possa avvalersi della sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32), nei limiti in cui essa, non essendo un’organizzazione clandestina, si trova in una situazione completamente diversa da quella del Kurdistan Workers’ Party (PKK).

 Giudizio della Corte

30      Il Tribunale ha dichiarato, ai punti 42 e 46 della sentenza impugnata, che non vi era più luogo a statuire sul ricorso in relazione alla Sanabel Relief Agency, poiché essa non disponeva più di esistenza giuridica, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, nella versione applicabile alla data della pronuncia emessa da quest’ultimo, e che pertanto la Sanabel Relief Agency non aveva più la capacità di stare in giudizio dinanzi ad esso.

31      A tal fine esso ha constatato, al punto 41 della sentenza impugnata, che da una lettera del Ministero degli Affari esteri e del Commonwealth del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord, del 26 settembre 2013, risultava che la Sanabel Relief Agency non figurava più nel registro delle imprese del Regno Unito dall’anno 2007 e che nel corso dell’anno 2012 era stata cancellata dal registro della commissione degli enti di beneficenza del Regno Unito.

32      A tal proposito occorre ricordare che, conformemente all’articolo 78, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, nella versione in vigore alla data della pronuncia emessa da quest’ultimo, spetta alle persone giuridiche di diritto privato provare la propria esistenza giuridica, allegando al ricorso una prova di detta esistenza, quale un estratto del registro delle imprese, un estratto del registro delle associazioni o qualsiasi altro documento ufficiale. Tale requisito trova applicazione anche rispetto alle persone giuridiche che fanno ricorso per l’annullamento di un atto dell’Unione che impone loro misure restrittive.

33      Nel caso di specie, discende dal fascicolo che, se è vero che la Sanabel Relief Agency, su invito del Tribunale, ha fornito la prova della propria esistenza giuridica producendo un documento proveniente dal registro della commissione degli enti di beneficenza del Regno Unito, tale prova è stata tuttavia confutata nel corso del procedimento da una lettera del Ministero degli Affari esteri e del Commonwealth del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord, che informava il Tribunale circa la cancellazione della ricorrente tanto dal registro delle imprese quanto dal registro della commissione degli enti di beneficenza del Regno Unito.

34      Orbene, nell’ambito del loro ricorso di impugnazione, i ricorrenti si limitano a sostenere che non era possibile concludere che la Sanabel Relief Agency non avesse più esistenza giuridica per il mero fatto di essere stata cancellata dai citati due registri. Per contro, essi non sostengono in alcun modo che la valutazione così condotta dal Tribunale sull’esistenza giuridica della Sanabel Relief Agency fosse basata su elementi materialmente inesatti o derivasse da uno snaturamento degli elementi di prova portati a conoscenza del Tribunale.

35      Alla luce di ciò, si deve ritenere provato che la Sanabel Relief Agency non aveva più esistenza giuridica ed era pertanto priva della capacità di stare in giudizio dinanzi al Tribunale alla data della pronuncia emessa da quest’ultimo.

36      È pur vero che la Corte ha dichiarato che ad una persona il cui nome è stato inserito in un elenco di soggetti colpiti da misure restrittive doveva essere riconosciuto un interesse quantomeno morale ad ottenere l’annullamento di detto inserimento, tenuto conto delle conseguenze per la sua reputazione, anche una volta che il suo nome era stato cancellato da detto elenco (v. sentenze del 28 maggio 2013, Abdulrahim/Consiglio e Commissione, C‑239/12 P, EU:C:2013:331, punti da 70 a 72, nonché dell’8 settembre 2016, Iranian Offshore Engineering & Construction/Consiglio, C‑459/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:646, punto 12).

37      Resta tuttavia necessario, nel caso di una persona giuridica di diritto privato, che quest’ultima abbia esistenza giuridica, o che il ricorso sia stato proposto dai successori della stessa.

38      Orbene, da un lato, come discende dal punto 35 della presente sentenza, è provato che la Sanabel Relief Agency non aveva più esistenza giuridica alla data in cui il Tribunale si è pronunciato. Dall’altro lato, i ricorrenti non hanno in alcun momento fatto valere che il loro ricorso, in relazione alla Sanabel Relief Agency, fosse stato proposto da altre persone fisiche o giuridiche presentatesi quali suoi successori, e in particolare dai suoi fondatori ed ex dirigenti, tra cui i sigg. Abbraddah e Nasuf, rispettivamente secondo e terzo ricorrente nel ricorso di impugnazione (v., in particolare, sentenze del 20 ottobre 1983, Gutmann/Commissione, 92/82, EU:C:1983:286, punto 2, e del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento, 294/83, EU:C:1986:166, punti da 15 a 18).

39      Parimenti, poiché è provato che la Sanabel Relief Agency non aveva più esistenza giuridica alla data della pronuncia emessa dal Tribunale, essa non può avvalersi della soluzione adottata dalla Corte nella propria sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32).

40      È pur vero che la Corte, al punto 112 di tale sentenza, ha dichiarato che quando il legislatore dell’Unione europea ritiene che un’organizzazione, della cui esistenza dubita, continui ad avere un’esistenza sufficiente per essere oggetto di misure restrittive, principi di coerenza e giustizia impongono di riconoscere che detto ente continui a godere di un’esistenza sufficiente per contestare tale provvedimento. Infatti, ogni altra valutazione avrebbe come conseguenza che un’organizzazione potrebbe essere inclusa nell’elenco controverso senza poter proporre un ricorso contro tale inserimento.

41      Nondimeno, la Sanabel Relief Agency si trova in una situazione completamente diversa rispetto al PKK, in quanto la Corte aveva dichiarato, al punto 53 di detta sentenza, che le constatazioni di fatto operate dal Tribunale nell’ordinanza impugnata, secondo cui il PKK si era sciolto, erano inesatte e costituivano uno snaturamento degli elementi di prova a disposizione.

42      Di conseguenza il Tribunale, senza incorrere in un errore di diritto, ha correttamente pronunciato un non luogo a statuire sul ricorso in relazione alla Sanabel Relief Agency.

43      Pertanto, il quarto motivo di impugnazione dev’essere respinto in quanto completamente infondato.

 Sul primo motivo

 Argomenti delle parti

44      Con il loro primo motivo, i ricorrenti contestano al Tribunale di avere interpretato erroneamente il terzo motivo da essi sollevato, vertente sulla violazione del diritto di proprietà e del diritto al rispetto della vita privata. Essi si dolgono perché il Tribunale, ai punti da 81 a 90 della sentenza impugnata, ha respinto il loro motivo in applicazione dell’articolo 44 del regolamento di procedura, senza valutazione nel merito degli elementi da essi prodotti. Così facendo, il Tribunale avrebbe omesso di prendere in considerazione le loro osservazioni scritte e orali e/o violato i principi stabiliti dalla sentenza del 14 aprile 2015, Ayadi/Commissione (T‑527/09 RENV, non pubblicata, EU:T:2015:205).

45      Essi fanno valere che, con il citato terzo motivo, essi sostenevano in modo preciso che il Consiglio e la Commissione avevano violato in modo sproporzionato il loro diritto di proprietà e il loro diritto al rispetto della vita privata. Essi ritengono pertanto che il Tribunale avrebbe dovuto procedere ad una valutazione degli elementi di fatto da essi proposti rispetto agli elementi assunti a loro carico da parte delle istituzioni e sottolineano che, a tal proposito, essi hanno invocato un fatto determinante, ossia che, al momento del loro reinserimento nell’elenco controverso, il Regno Unito, Stato membro all’origine del loro inserimento nell’elenco delle persone interessate dal congelamento dei capitali, riteneva che essi non rispondessero più ai criteri di inserimento in tale lista. Precisano che avevano indicato, al punto 94 dell’atto introduttivo del giudizio, che tali elementi rendevano manifesto che la Commissione non aveva dimostrato con prove sufficienti che essi rispondessero ai criteri della risoluzione 1617 (2005), di modo che il pregiudizio arrecato ai loro diritti era per forza di cose sproporzionato.

46      Essi hanno considerato peraltro che la posizione assunta dal Tribunale nella sentenza impugnata sarebbe incompatibile con la sentenza del 14 aprile 2015, Ayadi/Commissione (T‑527/09 RENV, non pubblicata, EU:T:2015:205), in cui il Tribunale ha dichiarato che il fatto che la ricorrente non avesse «espressamente» contestato la valutazione dei fatti operata dalla Commissione non gli impediva di verificare l’esattezza materiale di tali fatti, poiché essa aveva ripetutamente contestato detta valutazione nelle sue osservazioni e implicitamente negli altri mezzi proposti.

47      Il Consiglio e la Commissione fanno valere che il Tribunale avrebbe legittimamente respinto il terzo motivo sollevato dai ricorrenti, in quanto la domanda non avrebbe rispettato i necessari requisiti di chiarezza e precisione.

 Giudizio della Corte

48      Il Tribunale ha dichiarato, ai punti da 81 a 90 della sentenza impugnata, che il terzo motivo sollevato dai ricorrenti nel ricorso non rispettava i requisiti previsti all’articolo 44, paragrafo 1, del suo regolamento di procedura del 2 maggio 1991, come modificato, e doveva quindi essere respinto.

49      Esso ha innanzitutto ricordato, a tal proposito, che tali requisiti implicavano che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali un ricorso è fondato emergessero in modo coerente e comprensibile dall’atto introduttivo stesso e che quest’ultimo, quindi, doveva per tale ragione esplicitare in cosa consistesse il motivo su cui il ricorso era fondato, non bastando, ai fini del rispetto di detti requisiti, una sua mera enunciazione astratta.

50      Esso ha poi constatato che gli argomenti dei ricorrenti relativi alla violazione del diritto di proprietà non erano svolti, in quanto i soli punti rilevati nel ricorso si riferivano ai requisiti della prova nel campo del diritto penale. Esso ha inoltre osservato di aver interrogato i ricorrenti in occasione dell’udienza circa la portata del loro motivo e che questi ultimi avevano precisato che intendevano contestare la fondatezza della motivazione su cui la Commissione aveva basato la propria decisione di un nuovo inserimento nell’elenco controverso, rinviando a tal proposito ai punti 65, 94 e 95 del loro ricorso nonché alle osservazioni sulle conseguenze della sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), da essi presentate il 9 settembre 2013, successivamente al deposito del loro ricorso.

51      Esso ha infine constatato, da un lato, che i riferimenti ai punti 94 e 95 del ricorso erano puramente astratti e non riguardavano in modo preciso nessuno dei motivi contenuti nella motivazione su cui la Commissione aveva basato la propria decisione di un nuovo inserimento nell’elenco controverso. Esso ha rilevato, dall’altro lato, che non era possibile rimediare all’inintelligibilità dei motivi esposti nel ricorso mediante un rinvio agli allegati allo stesso, come proposto al punto 65 dell’atto introduttivo.

52      Alla luce di ciò, non risulta che i motivi con cui il Tribunale ha respinto il terzo motivo dei ricorrenti siano viziati da un errore di diritto, né che un tale errore di diritto abbia snaturato detto terzo motivo.

53      Infatti, ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al Tribunale in forza dell’articolo 53, primo comma, dello Statuto medesimo, nonché dell’articolo 44 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, come modificato, il ricorso, in particolare, deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’esposizione sommaria dei motivi dedotti.

54      A tal proposito occorre ricordare, da un lato, che affinché un ricorso dinanzi al Tribunale sia ricevibile occorre che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso si fonda emergano, per lo meno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile, dal testo del ricorso stesso. Pur se il contenuto del ricorso può essere suffragato e completato, su punti specifici, mediante rinvii ad estratti della documentazione allegata, un rinvio complessivo ad altri documenti, anche allegati all’atto di ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto, che devono figurare nel ricorso (sentenze dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 40, nonché del 19 marzo 2015, Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 50).

55      Dall’altro lato, l’esposizione sommaria dei motivi dedotti, che a norma di tali articoli deve essere indicata in ogni ricorso, significa che quest’ultimo deve rendere manifesto in cosa consista il motivo sul quale il ricorso si fonda (sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 39).

56      Orbene, dall’esame del ricorso presentato in primo grado dai ricorrenti risulta che sebbene, anche in base alla rubrica stessa, il terzo motivo fosse formalmente relativo ad una violazione del diritto di proprietà e del diritto al rispetto della vita privata, le spiegazioni assai succinte proposte a sostegno del motivo in parola revocavano in dubbio esclusivamente la valutazione, da parte della Commissione, degli elementi di prova giustificanti il loro inserimento nell’elenco controverso.

57      Infatti, i ricorrenti sostenevano che la Commissione avrebbe omesso di prendere in considerazione il parere del governo del Regno Unito, secondo cui essi da tempo non soddisfacevano più i criteri stabiliti dalla risoluzione 1617 (2005) per l’inserimento nell’elenco. Pertanto, il loro argomento riguardava essenzialmente il livello di prova richiesto in materia di diritto penale, e non il diritto di proprietà.

58      Di conseguenza, il Tribunale ha legittimamente considerato che il terzo motivo dei ricorrenti non rispettava i requisiti stabiliti dall’articolo 44 del suo regolamento di procedura del 2 maggio 1991, come modificato.

59      Non si può, peraltro, ritenere che il Tribunale abbia snaturato detto motivo, dal momento che i ricorrenti, nella loro domanda, non hanno minimamente provato il nesso tra i requisiti in materia di prova da essi rivendicati e la violazione del loro diritto di proprietà e del diritto al rispetto della loro vita privata.

60      Ne consegue che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto nel respingere, al punto 90 della sentenza impugnata, il terzo motivo dei ricorrenti.

61      Si deve pertanto respingere il primo motivo di impugnazione.

 Sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

62      Con il loro secondo motivo, diretto contro i punti 78 e 79 della sentenza impugnata, i ricorrenti fanno valere che il Tribunale non avrebbe esercitato il controllo giurisdizionale cui era tenuto in virtù della sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 120 nonché 121). Esso non avrebbe né preteso che la Commissione suffragasse i fatti da lei addotti, né verificato se le censure mosse nei confronti dei ricorrenti fossero troppo risalenti e non avrebbe inoltre preso atto delle osservazioni dettagliate da essi rivolte alla Commissione e al Tribunale, volte ad eccepire la fondatezza delle censure mosse nei confronti dei ricorrenti.

63      Il Consiglio fa valere, in via principale, che il secondo motivo dei ricorrenti sarebbe impreciso e confonderebbe considerazioni relative alla legalità esterna dei regolamenti controversi, in particolare l’obbligo di motivazione, formalità sostanziale, e alla legalità interna degli stessi, vertenti sulla fondatezza dei motivi di inserimento nell’elenco controverso. Tale motivo, pertanto, non rispetterebbe i requisiti formali prescritti dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte e dovrebbe essere respinto in quanto manifestamente irricevibile. Esso ritiene, in subordine, che, con il citato motivo, i ricorrenti si limitino a riformulare il primo motivo di ricorso, relativo alla contestazione nel merito della motivazione su cui la Commissione si è basata per iscrivere nuovamente i ricorrenti nell’elenco controverso, e che tale motivo dovrebbe pertanto, in ogni caso, essere respinto per le medesime ragioni esposte nell’ambito dell’analisi del primo motivo di impugnazione.

64      La Commissione ritiene che il motivo in parola, che riguarda i punti 78 e 79 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha constatato che il regolamento n. 1139/2010 non era viziato da una violazione dell’obbligo di motivazione, sia manifestamente infondato. Il Tribunale avrebbe applicato in modo assai preciso i criteri di cui alla sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 118), che richiedono che la motivazione identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui le autorità competenti ritengono che all’interessato debbano essere applicate misure restrittive. La Commissione aggiunge che i punti 120 e 121 di quest’ultima sentenza riguarderebbero non l’obbligo di motivazione, ma la valutazione nel merito dei motivi invocati, di modo che «i ricorrenti sbagliano l’obiettivo».

 Giudizio della Corte

65      Al punto 80 della sentenza impugnata il Tribunale ha respinto in quanto infondato il secondo motivo sollevato dai ricorrenti, relativo alla violazione da parte della Commissione dell’obbligo di motivazione dei regolamenti controversi. Con tale motivo, essi contestavano il carattere vago e insufficiente della motivazione sulla quale la Commissione si era basata per il loro reinserimento nell’elenco controverso.

66      Ricordando, ai punti da 74 a 76 di tale sentenza, i requisiti derivanti dall’obbligo di motivazione degli atti che arrecano pregiudizio, gravante sulle istituzioni in virtù dell’articolo 296 TFUE, il Tribunale ha in particolare sottolineato che, in conformità al punto 116 della sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), tale obbligo implica che in qualsiasi circostanza, anche quando la motivazione dell’atto dell’Unione corrisponda a motivi esposti da un organo internazionale, tale motivazione identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui le autorità competenti ritengono che all’interessato debbano essere applicate misure restrittive.

67      Il Tribunale ne ha dedotto, al punto 77 della citata sentenza, che «sarebbe possibile basarsi unicamente sulla motivazione che inserisce il nome degli interessati nell’elenco controverso, purché detta motivazione contenga le ragioni individuali, specifiche e concrete ancora valide alla luce delle osservazioni dei soggetti di cui all’elenco».

68      Come discende dai punti 78 e 79 della sentenza impugnata, il Tribunale ha, da un lato, rilevato che il regolamento n. 1139/2010 menzionava la comunicazione ai ricorrenti della motivazione e delle osservazioni che questi ultimi avevano potuto presentare a tale riguardo e, dall’altro lato, valutato detta motivazione, ritenendo che nel caso di specie essa fosse conforme ai requisiti di cui alla sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 116), nei limiti in cui la citata motivazione conteneva le ragioni individuali, specifiche e concrete che giustificavano l’inserimento dei ricorrenti nell’elenco controverso.

69      Non si può pertanto affermare che, con i motivi contenuti nei citati punti, a mezzo dei quali il Tribunale ha valutato la motivazione del nuovo inserimento dei ricorrenti nell’elenco controverso, il Tribunale non abbia verificato che la Commissione avesse assolto il proprio obbligo di motivazione dei regolamenti controversi.

70      Di conseguenza, precisato che i ricorrenti non hanno sostenuto che il Tribunale avesse snaturato il secondo motivo del loro ricorso in primo grado, si deve respingere il secondo motivo di impugnazione in quanto infondato.

 Sul terzo motivo

 Argomenti delle parti

71      Con il terzo motivo i ricorrenti fanno valere che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che la Commissione avesse condotto un esame attento, imparziale e autonomo, per proprio conto, dei fatti invocati nella motivazione dei regolamenti controversi nonché degli elementi a discarico e delle osservazioni da essi prodotte e sottolineano, a tal proposito, che il Tribunale non sembra aver tenuto conto delle osservazioni scritte e orali da essi presentate nel corso del procedimento, dal momento che non ha replicato ad alcuno degli argomenti proposti dai ricorrenti.

72      Essi ritengono che, alla data di adozione dei regolamenti controversi, la Commissione avrebbe solo in apparenza verificato il fascicolo. Essa avrebbe, in sostanza, rispettato solo formalmente il diritto di difesa dei ricorrenti, senza prevedere di rimettere in questione le valutazioni del Comitato per le sanzioni alla luce delle loro osservazioni, condotta che il Tribunale aveva già avuto modo di censurare nella sua sentenza del 30 settembre 2010, Kadi/Commissione (T‑85/09, EU:T:2010:418, punto 71), poi nelle sue sentenze del 21 marzo 2014, Yusef/Commissione (T‑306/10, EU:T:2014:141, punti 103 e 104), nonché del 14 aprile 2015, Ayadi/Commissione (T‑527/09 RENV, non pubblicata, EU:T:2015:205, punti 72 e 73). Il fatto che la Commissione non abbia stabilito alcun contatto con il Regno Unito, Stato membro pur all’origine dell’inserimento dei ricorrenti nell’elenco delle persone oggetto del congelamento dei capitali e che non era più favorevole al loro reinserimento al momento dell’adozione dei regolamenti controversi, proverebbe la realtà di tale condotta.

73      Orbene, il Tribunale si sarebbe limitato a constatare, ai punti 66 e 67 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva «riesaminato» i motivi degli inserimenti il 16 aprile 2010 e aveva avuto alcuni scambi con il Comitato per le sanzioni il 27 maggio, il 14 settembre e il 26 ottobre 2010. Non vi sarebbero stati tuttavia elementi che consentissero di dimostrare che la Commissione si fosse effettivamente spinta a valutare elementi a discarico e la fondatezza dei motivi sollevati. La semplice comunicazione delle osservazioni dei ricorrenti al Comitato per le sanzioni, effettuata il 27 maggio 2010, e la richiesta di chiarimenti sulle ragioni per cui i ricorrenti non sono stati cancellati dall’elenco controverso non consentirebbe di provare che la Commissione avesse valutato per proprio conto gli elementi in possesso delle autorità del Regno Unito. Il Tribunale quindi, ai punti da 66 a 70 della sentenza impugnata, avrebbe convalidato una valutazione «irragionevole» dei fatti.

74      Il Consiglio ritiene che il terzo motivo dei ricorrenti riguardi constatazioni in fatto del Tribunale e che quindi debba essere respinto in quanto irricevibile. Esso fa valere che, sulla base del processo di riesame condotto dalla Commissione, il Tribunale non avrebbe snaturato nessuno dei fatti presentati nell’ambito del primo e secondo motivo sollevati in primo grado dai ricorrenti. Questi ultimi, nell’ambito dell’impugnazione, non avrebbero apportato elementi sufficienti per dimostrare che il Tribunale avesse manifestamente snaturato gli elementi di prova concernenti i fatti relativi alla procedura seguita dalla Commissione, che avrebbe rispettato i principi enunciati nella sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518).

75      La Commissione fa parimenti valere che i ricorrenti, che chiederebbero in sostanza alla Corte di riesaminare gli elementi di prova e i fatti che sono alla base del loro inserimento nell’elenco controverso, non avrebbero indicato alcun documento preciso che provi che le valutazioni del Tribunale sono materialmente inesatte o che dimostri che quest’ultimo ha snaturato gli elementi di prova sottopostigli, di modo che il terzo motivo dovrebbe essere dichiarato irricevibile nella loro impugnazione.

76      Essa ritiene parimenti che i tre argomenti molto generici proposti dai ricorrenti a sostegno della loro censura – secondo la quale il Tribunale avrebbe valutato in modo irragionevole taluni fatti – siano infondati. Innanzitutto, non potrebbe essere accolta l’affermazione secondo cui il motivo di cui al punto 70 della sentenza impugnata non sarebbe suffragato, in quanto il Tribunale avrebbe legittimamente constatato che, da un lato, la Commissione aveva operato un esame minuzioso, autonomo e critico delle osservazioni dei ricorrenti e del loro inserimento nell’elenco dei soggetti interessati da misure restrittive decise dal Comitato per le sanzioni e, dall’altro lato, che essa non aveva trascritto in modo automatico le conclusioni di detto Comitato. In secondo luogo, gli argomenti dei ricorrenti, secondo cui i motivi contenuti ai punti da 66 a 70 della sentenza impugnata sarebbero incompatibili con le sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), del 21 marzo 2014, Yusef/Commissione (T‑306/10, EU:T:2014:141), nonché del 14 aprile 2015, Ayadi/Commissione (T‑527/09 RENV, non pubblicata, EU:T:2015:205), sarebbero infondati, in quanto l’esistenza di una violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva devono essere valutati in funzione delle circostanze specifiche proprie di ciascun caso di specie. Infine, non sarebbe fondato l’argomento secondo cui i punti da 66 a 70 della sentenza impugnata sarebbero viziati da errore di diritto, nei limiti in cui in nessun momento sarebbe stato stabilito un contatto con il Regno Unito. Infatti, detta giurisprudenza non imporrebbe in alcun modo alla Commissione l’obbligo di prendere contatto con il Regno Unito. In ogni caso, la Commissione ha consultato il comitato di gestione dell’Unione, in seno al quale sono rappresentati tutti gli Stati membri.

 Giudizio della Corte

77      Il Tribunale, dopo aver esaminato, ai punti da 59 a 70 della sentenza impugnata, il primo motivo proposto dai ricorrenti, relativo all’irregolarità della procedura di riesame condotta dalla Commissione, lo ha respinto.

78      In primo luogo, esso ha ricordato, ai punti da 59 a 65 della sentenza impugnata, i termini in cui la Corte, nella sua sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), ha definito gli obblighi gravanti sulle istituzioni, ai fini del rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, quando esse adottano una decisione che comporta l’inserimento del nome di una persona in un elenco di soggetti interessati da misure restrittive.

79      In secondo luogo, esso ha esaminato, ai punti da 66 a 70 della sentenza impugnata, le diverse fasi della procedura seguita dalla Commissione per l’adozione del regolamento n. 1139/2010, che ha reinserito i nomi dei ricorrenti nell’elenco controverso.

80      Esso ne ha dedotto che la Commissione aveva rispettato le tre garanzie procedurali evidenziate dalla Corte nella sua sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), operando un riesame minuzioso, autonomo e critico delle osservazioni delle parti nonché dell’inserimento deciso dal Comitato per le sanzioni e spingendosi fino ad un esame approfondito e compiuto in prima persona delle conclusioni di detto Comitato. Pertanto, il Tribunale ha dichiarato, al punto 71 di detta sentenza, che il primo motivo dei ricorrenti doveva essere respinto.

81      Orbene, nell’ambito del loro terzo motivo di impugnazione, i ricorrenti non hanno proposto alcun elemento tale da provare che le valutazioni del Tribunale si basassero su elementi materialmente inesatti o che muovessero da uno snaturamento degli elementi di prova sottopostigli.

82      Essi si sono infatti limitati a far valere che il Tribunale avrebbe a torto constatato che la Commissione aveva effettuato un esame attento, imparziale e autonomo del loro caso basandosi, a tale proposito, sulla circostanza che il Regno Unito, che era all’origine del loro inserimento nell’elenco delle Nazioni unite, aveva radicalmente mutato posizione nei loro confronti a partire dal mese di novembre del 2009, nonché sugli scambi epistolari avvenuti tra la Commissione e il Comitato per le sanzioni a far data dal mese di settembre del 2009.

83      Si deve pertanto constatare che, pur se una simile circostanza poteva giustificare la loro cancellazione dall’elenco controverso, cosa che è infine avvenuta con l’adozione del regolamento di esecuzione n. 640/2011, essa per contro non era tale, di per se stessa, da portare il Tribunale a dichiarare che la Commissione fosse inadempiente rispetto agli obblighi ad essa incombenti e avesse violato i diritti della difesa dei ricorrenti nell’adottare il regolamento n. 1139/2010.

84      Si deve infatti anzitutto ricordare che i ricorrenti sono stati inseriti nell’elenco controverso, per la prima volta, con il regolamento n. 246/2006, a fronte di una decisione del Comitato per le sanzioni del 7 febbraio 2006, che ne disponeva l’inserimento nell’elenco delle persone e delle entità colpite dalle misure restrittive, predisposto in applicazione della risoluzione 1390 (2002). L’articolo 2 del regolamento n. 881/2002 è stato successivamente annullato, per quanto concerneva i ricorrenti, dalla sentenza del 29 settembre 2010, Al-Faqih e a./Consiglio (da T‑135/06 a T‑138/06, non pubblicata, EU:T:2010:412), richiamata al punto 6 della presente sentenza. Essi sono poi stati nuovamente inseriti nell’elenco controverso dal regolamento n. 1139/2010, oggetto del ricorso di annullamento respinto dal Tribunale con la sentenza impugnata. Infine, essi sono stati cancellati dall’elenco controverso con il regolamento di esecuzione n. 640/2011, adottato in seguito ad una decisione del Comitato per le sanzioni del 22 giugno 2011, che li ha cancellati dall’elenco delle Nazioni unite.

85      Orbene, come discende dai suoi considerando da 2 a 6, il regolamento n. 1139/2010 aveva efficacia retroattiva, avendo principalmente lo scopo di sostituirsi al regolamento n. 881/2002, come modificato dal regolamento n. 246/2006, per quanto concerneva i ricorrenti. L’articolo 2, secondo comma, del regolamento n. 1139/2010 indicava espressamente che detto regolamento si applicava a far data dall’11 febbraio 2006.

86      L’argomento dei ricorrenti, di conseguenza, deve essere considerato inoperante.

87      Ne deriva che il terzo motivo di impugnazione deve essere respinto.

 Sulle spese

88      Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quest’ultima, quando l’impugnazione è respinta, statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, reso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

89      I sigg. Al-Bashir Mohammed Al-Faqih, Ghunia Abdrabbah e Taher Nasuf, rimasti soccombenti, devono essere condannati alle spese, conformemente alla domanda del Consiglio e della Commissione.

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’impugnazione è respinta.

2)      I sigg. Al-Bashir Mohammed Al-Faqih, Ghunia Abdrabbah e Taher Nasuf sono condannati alle spese.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.