Language of document : ECLI:EU:C:2012:563

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 12 settembre 2012 (1)

Causa C‑300/11

ZZ

contro

Secretary of State for the Home Department

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito)]

«Direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Decisione che vieta a un cittadino dell’Unione l’ingresso nel territorio di uno Stato membro per motivi di pubblica sicurezza – Obbligo di informare il cittadino interessato dei motivi della decisione – Divulgazione contraria agli interessi di sicurezza dello Stato – Diritto a una tutela giurisdizionale effettiva»





1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (2).

2.        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra ZZ e il Secretary of State for the Home Department (in prosieguo: il «Secretary of State») vertente sulla decisione di quest’ultimo di negare a ZZ, per motivi di pubblica sicurezza, l’ingresso nel territorio del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e di adottare nei suoi confronti una misura di allontanamento.

3.        Nell’invitare la Corte a decidere fino a che punto uno Stato membro possa, invocando esigenze inerenti alla sua sicurezza, rifiutarsi di comunicare a un cittadino dell’Unione i motivi di pubblica sicurezza alla base dell’adozione, da parte di tale Stato, di una misura di allontanamento nei suoi confronti, la presente causa solleva il delicato problema del giusto equilibrio che va raggiunto tra la necessità per uno Stato membro di tutelare gli interessi essenziali della propria sicurezza, da un lato, e la garanzia dei diritti procedurali di cui beneficiano i cittadini dell’Unione, dall’altro.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

4.        L’articolo 27, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38 stabilisce quanto segue:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione [e di soggiorno] di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

5.        A norma dell’articolo 28, paragrafi 2 e 3, della direttiva in parola:

«2.      Lo Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

3.      Il cittadino dell’Unione non può essere oggetto di una decisione di allontanamento, [qualunque sia la sua cittadinanza,] salvo se la decisione è adottata per motivi imperativi di pubblica sicurezza definiti dallo Stato membro, qualora:

a)      abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni; (…)».

6.        L’articolo 30, paragrafi 1 e 2, della direttiva di cui trattasi dispone come segue:

«1.      Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

2.      I motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati per iscritto all’interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato».

7.        Quanto alle garanzie procedurali, l’articolo 31 della direttiva 2004/38 stabilisce quanto segue:

«1.      L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

(…)

3.      I mezzi di impugnazione [consentono] l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28.

4.      Gli Stati membri possono vietare la presenza dell’interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qualora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d’ingresso nel territorio».

B –    Il diritto del Regno Unito

1.      L’ingresso e il divieto di ingresso nel territorio del Regno Unito

8.        Il regolamento del 2006 in materia di immigrazione (Spazio economico europeo) [Immigration (European Economic Area) Regulations 2006; in prosieguo: il «regolamento in materia di immigrazione»] recepisce la direttiva 2004/38 nel diritto interno. Ai sensi del suo articolo 11, paragrafi 1 e 5:

«(1)      Un cittadino dello Spazio economico europeo (SEE) deve essere autorizzato a entrare nel Regno Unito se, al suo arrivo, esibisce una carta d’identità o un passaporto in corso di validità rilasciati da uno Stato del SEE.

(…)

(5)      L’applicazione del presente articolo fa salvo, tuttavia, l’articolo 19, [paragrafo] 1 (...)».

9.        L’articolo 19 del regolamento in parola, intitolato «Divieto d’ingresso nel territorio del Regno Unito e allontanamento», dispone, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«Una persona non è autorizzata a entrare nel territorio del Regno Unito in applicazione dell’articolo 11 se il divieto d’ingresso è giustificato da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica in conformità all’articolo 21».

10.      L’articolo 25 del citato regolamento stabilisce quanto segue:

«(1)      Ai fini della presente parte si intende per:

(…)

“commissione” la commissione di cui alla legge del 1997 sulla [Commissione speciale per i ricorsi in materia di immigrazione (Special Immigration Appeals Commission Act 1997); in prosieguo: la “legge sulla SIAC”] (…)».

11.      L’articolo 28 del regolamento in materia di immigrazione così dispone:

«(1)      Contro una decisione SEE può essere proposto ricorso dinanzi alla commissione nei casi in cui trovano applicazione i paragrafi 2 o 4.

(…)

(4)      Il presente paragrafo si applica se il Secretary of State attesta che la decisione SEE è stata adottata, integralmente o in parte, sulla base di informazioni che, a suo parere, non dovrebbero essere rese pubbliche

a)      per motivi attinenti alla sicurezza nazionale;

(…)

(8)      La [legge sulla SIAC] si applica ai ricorsi proposti dinanzi alla commissione a norma del presente regolamento con le stesse modalità con cui si applica ai ricorsi proposti a norma dell’articolo 2 della suddetta legge nei casi in cui trova applicazione il suo paragrafo 2 (ricorso avverso una decisione in materia di immigrazione), ad eccezione del punto (i) di tale paragrafo».

2.      Le norme che disciplinano il ricorso contro una decisione recante un divieto di ingresso

12.      A norma dell’articolo 1, paragrafo 3, della legge sulla SIAC, la commissione deve essere un organo giurisdizionale ordinario superiore.

13.      L’articolo 5, paragrafi 1, 3 e 6, di detta legge così prevede:

«(1)      Il Lord Chancellor può stabilire una serie di norme (…)

(…)

(3)      Le norme previste nel presente articolo possono, in particolare:

a)      prevedere che il procedimento dinanzi alla commissione possa svolgersi senza che tutti i dettagli della motivazione della decisione oggetto del ricorso siano comunicati al ricorrente,

(…).

(6)      Nell’elaborare le norme di cui al presente articolo, il Lord Chancellor prende in considerazione in particolare la necessità di garantire che:

a)      le decisioni oggetto di un ricorso siano sottoposte ad adeguato controllo, e

b)      le informazioni non vengano divulgate contro l’interesse generale».

14.      L’articolo 6 della legge sulla SIAC prevede la nomina di avvocati speciali. A questo proposito, il suo paragrafo 1 stabilisce che l’Attorney General può designare una persona abilitata al patrocinio dinanzi alla High Court of justice (Regno Unito) «al fine di rappresentare gli interessi di un ricorrente in tutte le udienze dinanzi alla [commissione speciale per i ricorsi in materia di immigrazione (in prosieguo: la «SIAC»)] dalle quali il ricorrente e tutti i suoi rappresentanti legali sono esclusi». Il paragrafo 4 del medesimo articolo 6 stabilisce inoltre che tale persona «non è responsabile nei confronti del soggetto di cui è incaricata di rappresentare gli interessi».

15.      Il regolamento di procedura del 2003 della commissione speciale per i ricorsi in materia di immigrazione [Special Immigration Appeals Commission (Procedure) Rules 2003; in prosieguo: il «regolamento di procedura della SIAC»] dispone, al suo articolo 4, paragrafi 1 e 3, quanto segue:

«(1)      La commissione garantisce, nell’esercizio delle sue funzioni, che non vengano divulgate informazioni contro gli interessi della sicurezza nazionale (…).

(...)

(3)      Fatti salvi i paragrafi 1 e 2, la commissione deve essere giunta alla conclusione che gli elementi di cui dispone le consentono di pronunciarsi in modo soddisfacente sul caso».

16.      L’articolo 10 del regolamento di procedura della SIAC prevede quanto segue:

«(1)      Se intende opporsi a un ricorso, il Secretary of State deve presentare alla commissione:

a)      una dichiarazione contenente gli elementi di prova sui quali esso fonda la propria opposizione al ricorso; e

b)      tutti gli elementi a discarico di cui è a conoscenza.

(2)      Contestualmente al deposito dinanzi alla commissione, il Secretary of State deve notificare una copia della dichiarazione al ricorrente, salvo intenda opporsi a che quest’ultima venga comunicata al ricorrente o al suo rappresentante.

(3)      Se il Secretary of State si oppone alla comunicazione al ricorrente o al suo rappresentante della dichiarazione depositata ai sensi del paragrafo 1, trovano applicazione gli articoli 37 e 38.

(…)».

17.      Quanto alle funzioni dell’avvocato speciale, istituito all’articolo 6 della legge sulla SIAC, l’articolo 35 del regolamento di procedura della SIAC enuncia:

«L’avvocato speciale deve rappresentare gli interessi del ricorrente:

a)      presentando osservazioni alla commissione in occasione di tutte le udienze dalle quali il ricorrente e i suoi rappresentanti sono esclusi;

b)      producendo gli elementi di prova e procedendo all’audizione in contraddittorio dei testimoni in occasione delle succitate udienze, e

c)      presentando osservazioni scritte alla commissione».

18.      Per quanto attiene alla comunicazione tra il ricorrente e l’avvocato speciale, l’articolo 36 del regolamento di procedura della SIAC stabilisce quanto segue:

«(1)      L’avvocato speciale può comunicare con il ricorrente o il suo rappresentante in qualsiasi momento fintantoché il Secretary of State non gli abbia notificato elementi alla divulgazione dei quali al ricorrente si sia opposto.

(2)      Dopo aver ricevuto dal Secretary of State la notifica di elementi ai sensi del paragrafo 1, l’avvocato speciale non può discutere con nessuno in ordine ad aspetti del procedimento al di fuori dei casi indicati al paragrafo 3 o al paragrafo 6, lettera b), o in conformità alle istruzioni emanate dalla commissione a fronte di una richiesta avanzata ai sensi del paragrafo 4.

(3)      L’avvocato speciale può, in mancanza di istruzioni della commissione, discutere del procedimento con:

a)      la commissione;

b)      il Secretary of State, o qualsiasi persona che agisca in suo nome;

c)      il magistrato competente, o qualsiasi persona che agisca in suo nome;

d)      qualsiasi altra persona, ad eccezione del ricorrente e del suo rappresentante, con la quale sia necessario discutere, per ragioni di carattere amministrativo, di aspetti non inerenti al merito del procedimento.

(4)      L’avvocato speciale può chiedere alla commissione di emanare istruzioni che lo autorizzino a comunicare con il ricorrente o il suo rappresentante o con qualsiasi altra persona.

(5)      Quando l’avvocato speciale chiede istruzioni ai sensi del paragrafo 4,

a)      la commissione deve notificare la richiesta al Secretary of State; e

b)      il Secretary of State deve, nel termine stabilito dalla commissione, depositare dinanzi a quest’ultima e notificare all’avvocato speciale tutte le obiezioni alla comunicazione richiesta o alla forma con cui egli propone che questa abbia luogo.

(6)      Il paragrafo 2 non impedisce al ricorrente di comunicare con l’avvocato speciale dopo che il Secretary of State gli ha notificato elementi ai sensi del paragrafo 1, ma

a)      il ricorrente può comunicare con l’avvocato speciale solo per iscritto e mediante un rappresentante legale; e

b)      l’avvocato speciale può rispondere alla comunicazione soltanto in conformità alle istruzioni della commissione; in mancanza di tali istruzioni, egli può tuttavia inviare un avviso di ricevimento scritto al rappresentante legale del ricorrente».

19.      L’articolo 37 del regolamento di procedura della SIAC definisce la nozione di «elementi secretati» e dispone, a tal proposito, quanto segue:

«(1)      Ai fini del presente articolo si considerano “elementi secretati”:

a)      gli elementi che il Secretary of State intende invocare nel quadro di un qualsiasi procedimento davanti alla commissione;

b)      gli elementi che inficiano le sue argomentazioni o sono favorevoli al ricorrente, o

c)      le informazioni che egli deve presentare in applicazione delle istruzioni emesse ai sensi dell’articolo 10A, paragrafo 7,

e che il Secretary of State si oppone vengano comunicati al ricorrente o al suo rappresentante.

(2)      Il Secretary of State non può avvalersi di elementi secretati se non è stato nominato un avvocato speciale per rappresentare gli interessi del ricorrente.

(3)      Quando il Secretary of State è tenuto, in applicazione dell’articolo 10, paragrafo 2, o dell’articolo 10A, paragrafo 8, a notificare al ricorrente elementi secretati, o intende avvalersi di tali elementi, ed è stato nominato un avvocato speciale, deve depositare davanti alla commissione e notificare all’avvocato speciale:

a)      una copia degli elementi secretati, qualora non l’abbia già fatto;

b)      una dichiarazione recante le ragioni per cui si oppone alla loro divulgazione; e

c)      una descrizione degli elementi in forma tale da poter essere notificata al ricorrente, se e nella misura in cui ciò sia possibile senza divulgare informazioni contro l’interesse generale.

(4)      Contestualmente al deposito, il Secretary of State deve notificare al ricorrente ogni descrizione depositata in conformità al paragrafo 3, lettera c).

(4A)      Quando il Secretary of State notifica all’avvocato speciale elementi secretati che ha censurato per ragioni diverse dal segreto professionale,

a)      deve presentare tali elementi alla commissione senza censure, spiegando le ragioni delle modifiche; e

b)      la commissione deve indicare al Secretary of State i punti che possono essere censurati.

(5)      Il Secretary of State può, con l’autorizzazione della commissione o con il consenso dell’avvocato speciale, modificare o integrare in ogni momento i documenti depositati in applicazione del presente articolo».

20.      Quanto all’esame delle obiezioni del Secretary of State, l’articolo 38 del regolamento di procedura della SIAC stabilisce quanto segue:

«(1)      Se il Secretary of State presenta un’obiezione a norma dell’articolo 36, paragrafo 5, lettera b), o dell’articolo 37, la commissione deve decidere se accogliere o meno l’obiezione in conformità al presente articolo.

(2)      La commissione deve fissare un’udienza per consentire al Secretary of State e all’avvocato speciale di presentare osservazioni orali (…).

(…)

(5)      Le udienze tenute a norma del presente articolo si svolgono senza la partecipazione del ricorrente e del suo rappresentante.

(6)      La commissione può accogliere o rigettare l’obiezione del Secretary of State.

(7)      La commissione deve accogliere l’obiezione presentata dal Secretary of State a norma dell’articolo 37 quando ritiene che la divulgazione degli elementi in parola sia contraria all’interesse generale.

(8)      Se la commissione accoglie l’obiezione presentata dal Secretary of State ai sensi dell’articolo 37, essa deve:

a)      valutare se sia opportuno ordinare al Secretary of State di notificare al ricorrente una sintesi degli elementi secretati; e

b)      approvare ciascuna sintesi al fine di garantire che non contenga alcuna informazione o alcun altro elemento la cui divulgazione sia contraria all’interesse generale.

(9)      Se la commissione rigetta l’obiezione presentata dal Secretary of State ai sensi dell’articolo 37 o gli ordina di notificare al ricorrente una sintesi degli elementi secretati,

a)      il Secretary of State non è tenuto a notificare i suddetti elementi o la suddetta sintesi, ma

b)      se non provvede in tal senso, la commissione, in occasione di un’udienza nella quale il Secretary of State e l’avvocato speciale possono presentare le loro osservazioni, può

(i)      se ritiene che gli elementi o gli altri dati da riassumere possano nuocere alle argomentazioni del Secretary of State o essere favorevoli al ricorrente, ordinare al Secretary of State di non basarsi su tali elementi e dati oppure di fare concessioni o adottare altre misure in conformità alle indicazioni della commissione; o

(ii)      in tutti gli altri casi, ordinare al Secretary of State di non avvalersi degli elementi in parola o (eventualmente) degli altri dati da riepilogare nel procedimento».

21.      Quanto alle udienze a porte chiuse, l’articolo 43 del regolamento di procedura della SIAC stabilisce quanto segue:

«(1)      Se la commissione ritiene opportuno escludere il ricorrente e il suo rappresentante dall’udienza o da una parte di un’udienza per garantire che non vengano divulgate informazioni contro l’interesse generale, essa deve:

a)      ordinare che ciò avvenga; e

b)      tenere a porte chiuse l’udienza o la parte di essa dalla quale il ricorrente e il suo rappresentante sono esclusi.

(…)».

22.      In merito alla decisione che la commissione è chiamata ad emanare, l’articolo 47 del regolamento di procedura della SIAC dispone quanto segue:

«(1)      Il presente articolo si applica alle decisioni adottate dalla commissione durante tutto il procedimento.

(2)      La commissione deve depositare per iscritto la sua decisione e la relativa motivazione.

(3)      Entro un termine ragionevole la commissione deve notificare alle parti un documento contenente la sua decisione e, se e nella misura in cui ciò sia possibile senza divulgare informazioni contro gli interessi generali, la relativa motivazione.

(4)      Quando il documento di cui al paragrafo 3 non contiene tutta la motivazione della sua decisione, la commissione deve notificare al Secretary of State e all’avvocato speciale un documento separato contenente detta motivazione.

(5)      Quando la commissione notifica un documento separato a norma del paragrafo 4, l’avvocato speciale può chiedere alla commissione di modificare tale documento e il documento di cui al paragrafo 3 quando ritiene che il documento separato contenga elementi la cui divulgazione non sarebbe contraria all’interesse generale.

(6)      L’avvocato speciale deve notificare al Secretary of State una copia della domanda di cui al paragrafo 5.

(7)      La commissione deve accordare all’avvocato speciale e al Secretary of State la possibilità di formulare osservazioni e può decidere sulla richiesta previa o senza fissazione d’udienza».

II – Procedimento principale e questione pregiudiziale

23.      ZZ possiede tanto la cittadinanza francese quanto quella algerina. Dal 1990 è sposato con una cittadina del Regno Unito con la quale ha avuto otto figli di età compresa tra i 9 e i 20 anni. Dal 1990 al 2005 ZZ ha risieduto legalmente nel Regno Unito.

24.      Il 19 agosto 2005 ZZ ha lasciato il Regno Unito per recarsi in Algeria. Il 26 agosto 2005 gli veniva comunicato che il Secretary of State aveva deciso di revocargli il diritto di soggiorno e di vietargli l’ingresso nel territorio del Regno Unito poiché la sua presenza era lesiva del pubblico interesse. Nella stessa comunicazione veniva anche menzionato il fatto che la sua esclusione dal Regno Unito era giustificata da motivi di sicurezza nazionale.

25.      Il 18 settembre 2006 ZZ è ripartito verso il Regno Unito. Il 19 settembre 2006 il Secretary of State ha deciso, in base all’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento in materia di immigrazione, di negargli l’ingresso nel territorio del Regno Unito e di allontanarlo per motivi di pubblica sicurezza. Lo stesso giorno ZZ è stato ricondotto in Algeria. Egli risiede attualmente in Francia.

26.      Il 9 ottobre 2006 ZZ ha presentato un ricorso contro la decisione del 19 settembre 2006. Il 30 luglio 2008 la SIAC ha rigettato il suddetto ricorso affermando che la decisione di diniego dell’ingresso era giustificata da motivi imperativi di pubblica sicurezza. ZZ era rappresentato davanti alla SIAC da un solicitor e un barrister di sua scelta.

27.      In conformità delle norme applicabili alla SIAC, venivano nominati due avvocati speciali per rappresentare gli interessi di ZZ. Tali avvocati si sono consultati con lui sulla base degli «elementi probatori non secretati».

28.      Successivamente gli avvocati speciali ricevevano ulteriori informazioni alla base della decisione controversa, vale a dire quelle che erano state qualificate come «elementi probatori secretati». Veniva quindi vietato ai suddetti avvocati speciali di chiedere a ZZ o ai suoi legali nuove istruzioni o di fornire loro informazioni senza l’autorizzazione della SIAC. Fatte salve tali limitazioni, gli avvocati speciali hanno continuato a rappresentare gli interessi di ZZ davanti alla SIAC in relazione agli «elementi probatori secretati».

29.      La SIAC ha tenuto un’udienza volta a esaminare l’opposizione del Secretary of State alla comunicazione al ricorrente di talune prove; tale udienza si è svolta a porte chiuse, senza la partecipazione di ZZ e dei suoi legali, ma alla presenza dei suoi avvocati speciali. La SIAC ha stabilito, in definitiva, in quale misura la comunicazione a ZZ degli «elementi probatori secretati» evocati dal Secretary of State fosse contraria all’interesse generale.

30.      Successivamente, il ricorso di ZZ è stato oggetto di un’udienza in parte pubblica, in parte a porte chiuse. Le sedute a porte chiuse si sono tenute senza la partecipazione di ZZ e dei suoi legali, ma alla presenza dei suoi avvocati speciali, che hanno presentato osservazioni in suo nome.

31.      La SIAC ha reso due decisioni: una cosiddetta «non secretata» e una cosiddetta «secretata», che è stata comunicata unicamente al Secretary of State e agli avvocati speciali di ZZ.

32.      Nella decisione non secretata la SIAC ha dichiarato, tra l’altro, che a ZZ è stata comunicata «solo una piccola parte degli elementi a suo carico», che questi non riguardavano «realmente gli aspetti essenziali» e che, «per motivi esposti unicamente nella decisione secretata, [essa] ritiene che il comportamento individuale di ZZ rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società, vale a dire la pubblica sicurezza, e che tale interesse prevalga sul diritto del ricorrente e dei suoi familiari di vivere insieme nel Regno Unito».

33.      ZZ ha presentato appello avverso detta decisione dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) dopo che quest’ultima gliene aveva accordato l’autorizzazione.

34.      La Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il principio della tutela giurisdizionale effettiva, enunciato all’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, come interpretato alla luce dell’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE, richieda che l’autorità giudiziaria, nell’esaminare un ricorso contro un provvedimento che vieta l’ingresso di un cittadino dell’Unione (...) nel territorio di uno Stato membro per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza ai sensi del capo VI della direttiva 2004/38, si assicuri che siano comunicati all’interessato gli elementi essenziali delle accuse mossegli, anche nel caso in cui le autorità dello Stato membro e il giudice nazionale competente abbiano ritenuto, sulla base di tutte le prove a carico fatte valere da dette autorità, che alla divulgazione di tali elementi essenziali ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato».

III – Analisi

A –    Osservazioni preliminari

35.      L’analisi di situazioni come quella discussa nel quadro della presente controversia non può prescindere dalla particolare natura di un’attività criminale quale il terrorismo e da ciò che la lotta a tale piaga rappresenta.

36.      Il terrorismo è un’attività criminale d’ispirazione totalitaria che nega il principio di libertà individuale e mira a impadronirsi, all’interno di una data società, del potere politico, economico e giudiziario per radicarvi l’ideologia su cui essa si fonda.

37.      Il ricorso al terrore rappresenta, quale tecnica sovversiva, lo strumento privilegiato per conseguire il risultato perseguito mediante la destabilizzazione delle istituzioni pubbliche rese incapaci di assicurare la sicurezza dei cittadini, elemento chiave del contratto sociale. Allo stesso tempo, il clima di terrore creato deve, in quest’ottica, indurre il cittadino ad accettare tale autorità, per lo stato di rassegnazione cui lo spinge la paura incussa dall’impiego del terrore, pur di ritrovare la propria sicurezza.

38.      Questa filosofia del terrore, mirata al terrore quale fine in sé, si realizza ricorrendo a metodi eccezionalmente violenti e crudeli, dato che questi, essendo i più scioccanti, sono considerati i più adatti al raggiungimento dello scopo perseguito. La scelta delle vittime, ad esempio bambini, il luogo di compimento degli attentati, quali scuole, ospedali o chiese, o le modalità di commissione, atti isolati o omicidi di massa, sono parte di questa strategia.

39.      Dato che la prima condizione affinché il terrore sia efficace è l’imprevedibilità, il ricorso a organizzazioni o ad agenti «dormienti» rappresenta un tipico modus operandi in questo settore. La forma dell’attacco, che deve necessariamente variare per sorprendere e terrorizzare al meglio, risponde a questa medesima logica.

40.      Gli effetti devastanti degli atti commessi impongono ai poteri pubblici di sviluppare tutti i mezzi di protezione possibili. L’azione di prevenzione è resa particolarmente difficile dalle caratteristiche, non esaustive, or ora descritte, le quali rendono indispensabile il ricorso ai mezzi più sofisticati offerti dalle moderne tecniche d’indagine senza per questo trascurare quelle più tradizionali. La protezione dei mezzi e delle fonti d’informazione è una priorità assoluta. Il risultato deve permettere di valutare il grado di minaccia potenziale cui deve corrispondere una misura di prevenzione adatta al rischio individuato.

41.      Questo intervento impone di adottare un approccio oltremodo flessibile in considerazione della varietà di forme della realtà concreta. Infatti, le condizioni della minaccia e della lotta che le viene condotta possono variare a seconda dei luoghi e delle epoche, dato che la natura e l’intensità del rischio possono mutare di pari passo con i cambiamenti delle condizioni geopolitiche mondiali.

42.      Alla pluralità di tipologie di rischio deve quindi corrispondere una pari moltitudine di risposte che devono essere adottate nel rispetto delle garanzie dello Stato di diritto, ancorché minacciato dall’attività terroristica.

43.      All’interno di una società democratica, riconoscere le garanzie dello Stato di diritto anche agli stessi individui che lo combattono è rigorosamente indispensabile per garantire il primato assoluto dei valori della democrazia, ma allo stesso tempo non significa arrivare a una sorta di suicidio della democrazia medesima.

44.      È opportuno pertanto, di volta in volta, in considerazione della gravità della minaccia riscontrata e in funzione del grado di coercizione della misura preventiva adottata, «ponderare» l’intensità della deroga all’applicazione della regola di diritto in rapporto alla gravità del pericolo cui il terrorismo la espone.

45.      La detenzione non è equiparabile al divieto di comunicare con determinati conoscenti o alla privazione dell’utilizzo di disponibilità finanziarie non indispensabili a condurre un’esistenza decorosa.

46.      Spetta quindi a una società democratica operare di volta in volta il bilanciamento in parola, sia nel merito sia riguardo alle norme procedurali. A tale scopo è necessario un controllo giudiziario interno attendibile, ma adattato alla situazione specificamente riscontrata nel caso concreto.

B –    Sulla questione pregiudiziale

47.      Alla luce degli elementi contenuti nel fascicolo e in particolare della sentenza della Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) del 19 aprile 2011 (3), muoverò dal presupposto, che spetta evidentemente al giudice nazionale confermare, che la situazione di ZZ rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 28, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/38, vale a dire della protezione più forte contro l’allontanamento. Ricordo che, in base alla suddetta norma, un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato nello Stato membro ospitante i precedenti dieci anni può essere allontanato dal territorio di tale Stato solo per motivi imperativi di pubblica sicurezza.

48.      Come statuito dalla Corte nella sentenza del 23 novembre 2010, Tsakouridis (4), e come da essa recentemente ricordato nella sentenza del 22 maggio 2012, I (5), dal tenore letterale e dalla ratio dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 risulta che, subordinando qualsiasi provvedimento di allontanamento nelle ipotesi previste da tale disposizione alla presenza di «motivi imperativi» di pubblica sicurezza, nozione notevolmente più restrittiva di quella di «motivi gravi» ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo, il legislatore dell’Unione ha manifestamente inteso limitare i provvedimenti fondati sul citato paragrafo 3 a «circostanze eccezionali», come è enunciato al ventiquattresimo considerando della richiamata direttiva (6).

49.      La Corte ha inoltre precisato che la nozione di «motivi imperativi di pubblica sicurezza» presuppone non soltanto l’esistenza di un pregiudizio alla pubblica sicurezza, ma altresì che detto pregiudizio presenti un livello di gravità particolarmente elevato, espresso dall’impiego dell’espressione «motivi imperativi» (7). Secondo la Corte deve trattarsi di un attentato particolarmente grave a un interesse fondamentale della società, tale da rappresentare una minaccia diretta per la tranquillità e la sicurezza fisica della popolazione (8).

50.      D’altra parte, la Corte ha dichiarato che un provvedimento di allontanamento dev’essere fondato su un esame individuale del caso specifico e può essere giustificato da motivi imperativi di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 3, della direttiva 2004/38, solo qualora, considerata l’eccezionale gravità della minaccia, risulti necessario per la protezione degli interessi che mira a garantire e sempre che tale obiettivo non possa essere realizzato con provvedimenti meno restrittivi, tenuto conto della durata della residenza del cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante e, in particolare, delle gravi conseguenze negative che un tale provvedimento può causare ai cittadini dell’Unione che si sono effettivamente integrati nello Stato membro ospitante (9). Nell’ambito di tale valutazione occorre prendere in considerazione i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce l’osservanza, tra i quali rientra il diritto al rispetto della vita privata e familiare (10).

51.      Diversamente rispetto alle cause che sono sfociate nelle succitate sentenze Tsakouridis e I, il giudice del rinvio non chiede alla Corte di pronunciarsi sul significato da attribuire alla nozione di pubblica sicurezza e neppure di guidarlo nel valutare se la misura adottata dal Secretary of State sia proporzionata. In base all’esame di tale misura effettuato dalla SIAC in primo grado, le esigenze connesse alla protezione della pubblica sicurezza sembrano qui prevalere sul diritto di ZZ di condurre una vita familiare nel Regno Unito (11).

52.      Nel caso di specie, il rinvio pregiudiziale verte sui diritti procedurali che un cittadino dell’Unione può rivendicare allorché si trova in una situazione come quella di ZZ. Con esso si chiede alla Corte, in particolare, di decidere se sia o meno compatibile con il diritto dell’Unione il fatto che un cittadino dell’Unione possa essere oggetto di una misura di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza senza che gli vengano comunicati, dettagliatamente o in sintesi, i motivi alla base di tale misura quando vi si oppongano esigenze connesse alla sicurezza dello Stato.

53.      La disposizione al centro del presente rinvio pregiudiziale, vale a dire l’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, trae origine dell’articolo 6 della direttiva 64/221/CEE (12), il quale stabiliva che «[i] motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, sui quali si basa il provvedimento che lo concerne, sono portati a conoscenza dell’interessato, salvo il caso che vi si oppongano motivi inerenti alla sicurezza dello Stato». Con la sua sentenza del 28 ottobre 1975, Rutili (13), la Corte aveva già interpretato la disposizione in parola nel senso di imporre allo Stato interessato la comunicazione al destinatario della «motivazione circostanziata e completa» del provvedimento, onde porlo nella condizione di potersi efficacemente difendere (14).

54.      L’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 costituisce anzitutto l’espressione del «rispetto del principio secondo il quale gli atti amministrativi devono essere sufficientemente motivati», per riprendere la terminologia adottata dal legislatore dell’Unione al venticinquesimo considerando della suddetta direttiva.

55.      Dal tenore letterale dell’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 si evince chiaramente che la regola è la comunicazione dei motivi circostanziati e completi al cittadino dell’Unione sottoposto ad una misura restrittiva della sua libertà di circolazione e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Solo i motivi inerenti alla sicurezza dello Stato possono, in via eccezionale, ostare a una siffatta comunicazione.

56.      Lo stesso tenore letterale dell’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 esprime quindi l’idea secondo cui, in deroga alla regola, i diritti procedurali del cittadino dell’Unione possono subire restrizioni se giustificate da motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.

57.      La difficoltà principale posta dal presente rinvio consiste nel determinare in quale misura una tale restrizione possa operare senza comportare un pregiudizio eccessivo ai diritti procedurali di cui un cittadino dell’Unione può avvalersi.

58.      In altre parole, fin dove arriva la possibilità offerta agli Stati membri dall’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 di derogare al principio della comunicazione dei motivi circostanziati e completi di un provvedimento di allontanamento? Più precisamente, si tratta di sapere se uno Stato membro possa invocare motivi attinenti alla sicurezza dello Stato per opporsi alla comunicazione, sia pure sotto forma di una sintesi dell’essenziale, a un cittadino dell’Unione, dei motivi di pubblica sicurezza alla base di un provvedimento di allontanamento emanaato nei suoi confronti.

59.      Al fine di rispondere alla questione sollevata, è opportuno precisare che l’obbligo di motivazione è intimamente connesso al principio del rispetto dei diritti della difesa e alla garanzia di una tutela giurisdizionale effettiva. L’obbligo di motivare un atto pregiudizievole mira, infatti, per un verso, a consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per poterne valutare la fondatezza e, per altro verso, a consentire al giudice competente di esercitare il proprio controllo (15).

60.      I diritti della difesa sono diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dei principi generali di diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza (16). Essi esigono, da un lato, che alla persona interessata vengano comunicati gli elementi ritenuti a suo carico per fondare l’atto che le arreca pregiudizio. Dall’altro, tale persona deve essere messa nelle condizioni di far valere utilmente il suo punto di vista in merito a tali elementi (17).

61.      Quanto al principio della tutela giurisdizionale effettiva, esso costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») (18), e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Quest’ultimo articolo, al primo e secondo comma, stabilisce quanto segue:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare».

62.      Secondo le spiegazioni relative all’articolo 47 della Carta (19), il primo comma di detto articolo si fonda sull’articolo 13 della CEDU. Quanto al secondo comma dell’articolo 47 della Carta, esso corrisponde al livello di garanzie offerte all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, con un ambito di applicazione che si estende al di là delle controversie su diritti e obblighi civilistici.

63.      Il giudice del rinvio interroga la Corte essenzialmente in merito al principio della tutela giurisdizionale effettiva, dal momento che è proprio nel quadro del procedimento giurisdizionale dinanzi alla SIAC che detto giudice ha confermato l’intenzione espressa dal Secretary of State di non comunicare a ZZ le informazioni riservate alla base della decisione di non ammetterlo nel territorio del Regno Unito e di allontanarlo. Il giudice del rinvio si chiede pertanto, in definitiva, se sia conforme al principio della tutela giurisdizionale effettiva la decisione dell’autorità nazionale e del giudice nazionale competenti, nel contesto di un ricorso giurisdizionale volto a verificare la legittimità di un provvedimento di allontanamento adottato nei confronti di un cittadino dell’Unione, di non comunicare a detto cittadino gli aspetti essenziali dei motivi che giustificano tale misura, sulla base dell’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, letto alla luce dell’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE.

64.      L’articolo 47 della Carta può trovare applicazione nel quadro del presente procedimento e indirizzare l’interpretazione della Corte dal momento che la decisione adottata dal Secretary of State di negare a ZZ l’ingresso nel territorio del Regno Unito e di allontanarlo costituisce un’attuazione della direttiva 2004/38 – in particolare, ammesso che ZZ rientri nel livello più alto di protezione contro l’allontanamento, del suo articolo 28, paragrafo 3, lettera a).

65.      Come previsto all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, sono ammesse limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà da essa sanciti purché siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nell’osservanza del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

66.      L’obiettivo di interesse generale menzionato all’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 consiste nella protezione della sicurezza dello Stato. Questo obiettivo può essere ricondotto all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, il quale prevede quanto segue:

«L’Unione (…) [r]ispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro».

67.      In relazione alla succitata norma, l’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE dispone che «nessuno Stato membro è tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia dallo stesso considerata contraria agli interessi essenziali della propria sicurezza».

68.      L’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 costituisce un’espressione, nel quadro della libera circolazione e del diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione, di ciò che prevede, in termini generali, l’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE. Nell’ambito della presente controversia risulta quindi determinante comprendere il significato di quest’ultima disposizione.

69.      A tal proposito, le sentenze del 15 dicembre 2009, Commissione/Finlandia, Commissione/Svezia, Commissione/Germania, Commissione/Italia, Commissione/Grecia, Commissione/Danimarca e Commissione/Italia (20), forniscono un certo numero di indicazioni. Nelle cause che hanno dato origine alle suddette sentenze, la Commissione europea contestava agli Stati membri in parola di aver erroneamente invocato l’articolo 346 TFUE per rifiutare il pagamento dei dazi doganali sull’importazione di attrezzature militari o di beni a duplice uso, civile e militare. Tra gli argomenti di difesa esposti dai succitati Stati membri, la Repubblica di Finlandia affermava, in particolare, che essa non avrebbe potuto rispettare la procedura doganale comunitaria riguardo all’importazione del materiale per la difesa di cui trattavasi senza rischiare che terzi venissero a conoscenza di informazioni fondamentali per la propria sicurezza (21).

70.      Nelle sentenze in parola la Corte ha ricordato che, secondo costante giurisprudenza, benché spetti agli Stati membri stabilire le misure adeguate per garantire la loro sicurezza interna ed esterna, non per questo siffatte misure esulano del tutto dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (22). Essa ha precisato poi che le deroghe previste all’articolo 346 TFUE devono essere oggetto di un’interpretazione restrittiva e ha considerato che tale articolo, sebbene si riferisca alle misure che uno Stato membro può ritenere necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza o alle informazioni la cui divulgazione reputi contraria a tali interessi, non può tuttavia essere interpretato nel senso di conferire agli Stati membri il potere di derogare alle disposizioni del Trattato FUE mediante un mero richiamo a tali interessi (23). Di conseguenza, spetta allo Stato membro che invoca il beneficio dell’articolo 346 TFUE provare la necessità di ricorrere alla deroga ivi prevista allo scopo di tutelare i propri interessi essenziali in materia di sicurezza.

71.      Nello specifico contesto delle cause che hanno dato origine alle sentenze suddette, la Corte ha considerato che gli Stati membri sono tenuti a mettere a disposizione della Commissione i documenti necessari per verificare la regolarità del trasferimento delle risorse proprie dell’Unione. La Corte ha tuttavia precisato che un siffatto obbligo non osta a che gli Stati membri, in casi specifici e in via eccezionale, possano, in base all’articolo 346 TFUE, limitare l’informazione trasmessa a determinati elementi di un documento o rifiutarla del tutto (24).

72.      Dal ragionamento svolto dalla Corte nelle succitate sentenze si traggono numerosi insegnamenti utili per affrontare la presente controversia.

73.      È chiaro, anzitutto, che l’appellarsi da parte di uno Stato membro a motivi inerenti alla propria sicurezza non ha per effetto di escludere l’applicazione del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta. Né è da solo sufficiente a giustificare la mancata comunicazione a un cittadino dall’Unione dei motivi circostanziati e completi alla base di un provvedimento di allontanamento o di diniego d’ingresso adottato nei suoi confronti da uno Stato membro.

74.      Quando uno Stato membro intende invocare motivi inerenti alla sicurezza dello Stato per non rivelare ad un cittadino dell’Unione i motivi di pubblica sicurezza che giustificano il suo allontanamento, grava su di esso l’onere di dimostrare, davanti al giudice nazionale chiamato a decidere del ricorso avverso il provvedimento di allontanamento, che è necessario ricorrere alla deroga prevista all’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Lo Stato interessato deve così dimostrare che legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti di informazioni prese in considerazione nell’adottare il provvedimento di cui trattasi depongono a favore di una comunicazione limitata dei motivi o di una sua omissione. In mancanza di una simile prova, il giudice nazionale deve sempre far prevalere il principio della comunicazione dei motivi circostanziati e completi che giustificano l’allontanamento di un cittadino dell’Unione.

75.      Nel valutare la fondatezza della decisione adottata dall’autorità nazionale competente di non divulgare i motivi circostanziati e completi di una misura di allontanamento, il giudice nazionale deve tener conto del fatto che la deroga prevista all’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 va interpretata restrittivamente.

76.      Peraltro, in applicazione del principio di proporzionalità, una comunicazione degli elementi essenziali alla base dell’accertamento del rischio rappresentato da un cittadino dell’Unione per la pubblica sicurezza dovrebbe sempre essere preferita alla mancata comunicazione dei motivi, sempre che la predisposizione di una sintesi dei motivi sia conciliabile con la necessità di garantire la sicurezza dello Stato. Solo in casi eccezionali, quindi, la comunicazione dei motivi di sicurezza pubblica potrebbe essere omessa del tutto.

77.      In definitiva, in linea con il principio secondo cui l’adempimento dell’obbligo di motivazione di un atto pregiudizievole va valutato in particolare con riferimento al contesto nel quale tale atto viene adottato (25), la comunicazione al cittadino dell’Unione dei motivi di sicurezza pubblica che giustificano il suo allontanamento può essere modulata in funzione delle esigenze legate alla sicurezza dello Stato. Tale adeguamento deve essere compiuto secondo una scala che va dalla comunicazione dei motivi circostanziati e completi alla mancanza di comunicazione dei motivi ove lo richieda la sicurezza dello Stato, e comprende una possibilità intermedia che consiste nel comunicare una sintesi dei motivi.

78.      A mio avviso, è indispensabile preservare la possibilità di omettere la divulgazione dei motivi di sicurezza pubblica che sono alla base del provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione nei casi in cui anche la sola comunicazione delle argomentazioni essenziali prese in considerazione a suo carico possa pregiudicare la sicurezza dello Stato e, in particolare, le legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti delle informazioni tenute presenti nell’adottare il provvedimento di cui trattasi.

79.      Pur limitata a casi eccezionali, la suddetta possibilità deve essere mantenuta nel quadro dell’interpretazione dell’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, per evitare di privare l’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE di gran parte del suo effetto utile.

80.      Preciso anche che, se è vero che gli Stati membri non devono restringere abusivamente l’esercizio del diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, non si può ammettere, di contro, che i vincoli che gravano su tali Stati in termini di rispetto dei diritti della difesa e della tutela giurisdizionale effettiva siano tali da trattenere i suddetti Stati dall’adottare le misure necessarie a garantire la pubblica sicurezza. A tal proposito è opportuno ricordare che l’Unione, mentre mira a offrire ai suoi cittadini uno spazio in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone, come indica l’articolo 3, paragrafo 2, TUE, si prefigge altresì l’obiettivo di garantire uno spazio di sicurezza all’interno del quale sia assicurata la prevenzione della criminalità e la lotta contro tale fenomeno. Non si può quindi sostenere, come hanno fatto taluni nel corso del presente procedimento, che uno Stato membro, quando ritiene che la divulgazione della sostanza dei motivi sia contraria alla propria sicurezza, disponga solo della seguente alternativa: o procedere con l’allontanamento della persona interessata rendendo noti i motivi di pubblica sicurezza che lo giustificano o semplicemente rinunciarvi. In altre parole, mi rifiuto di ammettere che esista un obbligo generale e sistematico di divulgazione dei motivi tale da poter indurre, in certi casi, gli Stati membri a rinunciare alle misure che reputino, sotto il controllo del giudice, necessarie al mantenimento della pubblica sicurezza.

81.      Tanto premesso, ritengo che l’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta e dell’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE, vada interpretato nel senso che esso non impedisce a uno Stato membro, in casi eccezionali debitamente giustificati dalla necessità di garantire la sicurezza dello Stato e sotto il controllo del giudice nazionale, di opporsi alla rivelazione a un cittadino dell’Unione dei motivi di sicurezza pubblica alla base di un provvedimento di allontanamento adottato nei suoi confronti, sia nella loro integralità che in forma di sintesi.

82.      Una simile risposta non è tuttavia sufficiente per giungere a un giusto equilibrio tra gli interessi collegati, da un lato, alla sicurezza dello Stato e, dall’altro, ai diritti procedurali dei cittadini dell’Unione.

83.      Il ricorso alla deroga derivante dall’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 implica, infatti, un pregiudizio dei diritti della difesa e della tutela giurisdizionale effettiva che deve essere compensato, per essere conforme all’articolo 47 della Carta, da meccanismi procedurali adeguati idonei a garantire un livello soddisfacente di equità nel corso del procedimento. Solo a questa condizione la violazione dei diritti procedurali del cittadino dell’Unione potrà essere considerata proporzionata all’obiettivo, per uno Stato membro, di proteggere gli interessi essenziali della propria sicurezza.

84.      Dal momento che la direttiva 2004/38 non prevede tali meccanismi procedurali, spetta agli Stati membri istituirli, in virtù del principio di autonomia procedurale.

85.      È quindi, in definitiva, alla luce del contesto procedurale nel quale uno Stato si avvale della deroga prevista all’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 che occorre stabilire, di volta in volta, se sia garantito un giusto equilibrio tra il diritto del cittadino dell’Unione a una tutela giurisdizionale effettiva e le esigenze connesse alla sicurezza dello Stato.

86.      Come ha indicato la Corte europea dei diritti dell’uomo, è necessario verificare se la procedura nazionale in questione preveda «tecniche che consentano di conciliare, per un verso, le legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti di informazioni e, per un altro verso, la necessità di concedere al singolo di beneficiare adeguatamente delle regole procedurali» (26).

87.      Il sistema istituito dal Regno Unito si basa su un controllo giurisdizionale, formale e sostanziale, compiuto dalla SIAC sui provvedimenti di allontanamento o sul rifiuto d’ingresso. Quando il Secretary of State invoca la segretezza di taluni elementi, la SIAC può verificare se la mancata divulgazione di determinate informazioni sia necessaria. Essa dispone, a questo fine, dell’insieme degli elementi di fatto e probatori sui quali il Secretary of State ha fondato la sua decisione. Se, dopo aver esaminato tali elementi, è confermata la necessità di non rivelare le informazioni, la causa dà origine non soltanto a una sentenza pubblica, ma anche a una sentenza riservata, il cui contenuto non viene rivelato né al ricorrente né al suo rappresentante.

88.      Oltre a prevedere un controllo giurisdizionale sia sulla fondatezza della misura di allontanamento sia sulla necessità di mantenere riservate determinate informazioni, gli strumenti procedurali sono completati, in taluni procedimenti relativi alla sicurezza nazionale, dalla nomina di un «avvocato speciale». Così, quando, per motivi attinenti alla sicurezza nazionale, l’organo giurisdizionale adito deve riunirsi a porte chiuse senza la partecipazione del diretto interessato e del suo rappresentante, l’avvocato speciale designato ha il compito di garantire gli interessi di detto soggetto nel corso del procedimento. In questa prospettiva, il suo ruolo è di cercare di ottenere la maggior divulgazione possibile degli elementi a carico e di valutare la pertinenza delle informazioni mantenute riservate.

89.      Il sistema così concepito dal Regno Unito nel quadro della sua autonomia procedurale ci sembra rispondere alle esigenze indicate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sua giurisprudenza in materia di garanzie procedurali in caso di espulsione o di rifiuto all’ingresso di stranieri. Le suddette garanzie procedurali derivano, a seconda dei casi, dagli articoli 8 e 13 della CEDU (27) e dall’articolo 1 del protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984 (in prosieguo: il «protocollo n. 7») (28).

90.      Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, quando una misura di espulsione può danneggiare il diritto di uno straniero al rispetto della sua vita familiare, l’articolo 13 della CEDU, in combinato disposto con l’articolo 8, impone agli Stati di accordare alla persona interessata la possibilità di contestare efficacemente detta misura e di ottenere che tutti gli aspetti rilevanti della stessa vengano esaminati con garanzie procedurali sufficienti e in modo approfondito da un organo che offra garanzie adeguate d’indipendenza e imparzialità (29).

91.      La Corte europea dei diritti dell’uomo considera che, quando viene ordinata un’espulsione per ragioni di sicurezza nazionale, possono rendersi necessarie talune restrizioni procedurali al fine di garantire che non vengano diffuse informazioni a danno della sicurezza nazionale e l’organo indipendente chiamato a pronunciarsi su un ricorso contro una decisione di espulsione potrebbe vedersi costretto a riconoscere alle autorità nazionali competenti un ampio margine di discrezionalità in materia. Tuttavia, secondo la stessa Corte, tali limitazioni non possono in nessun caso giustificare l’esclusione di qualsiasi mezzo d’impugnazione quando l’autorità nazionale competente decide di invocare la nozione di «sicurezza nazionale» (30).

92.      Lo standard alla cui stregua la Corte europea dei diritti dell’uomo esamina concretamente la compatibilità delle misure di espulsione con l’articolo 13 della CEDU comprende anzitutto la condizione in base alla quale, perfino quando viene addotta una minaccia alla sicurezza nazionale, la garanzia di un ricorso effettivo esige almeno che l’organo di ricorso indipendente sia informato dei motivi alla base della decisione controversa, anche se questi ultimi non sono accessibili al pubblico. Detto organo deve essere in condizione di confutare le allegazioni dell’autorità nazionale competente circa la sussistenza di una minaccia per la sicurezza nazionale ove le reputi arbitrarie o illegittime. Deve esistere anche una qualche forma di procedimento in contraddittorio, garantito, se necessario, da un rappresentante speciale munito di un nulla osta di sicurezza. L’organo indipendente deve peraltro esaminare se la misura controversa leda il diritto al rispetto della vita familiare dell’interessato e, in caso affermativo, se sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra l’interesse generale e i diritti dell’individuo (31).

93.      Occorre osservare che, nella prospettiva dell’articolo 8 della CEDU, singolarmente preso, le garanzie procedurali richieste dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sono, in definitiva, identiche (32).

94.      Per quanto attiene, infine, all’articolo 1 del protocollo n. 7, osservo che esso non prevede garanzie sostanzialmente diverse rispetto a quelle che derivano dagli articoli 8 e 13 della CEDU, cosicché una violazione di detti articoli 8 e/o 13 sembra comportare automaticamente una violazione dell’articolo 1 del protocollo n. 7 (33).

95.      Nei casi che abbiamo appena visto la Corte europea dei diritti dell’uomo è giunta a constatare la mancanza o il carattere puramente formale del controllo giurisdizionale compiuto dagli organi nazionali, sia quando tali organi non disponevano di elementi sufficienti per verificare se l’affermazione secondo cui il ricorrente costituiva un pericolo per la sicurezza nazionale fosse fondata o meno (34), sia quando essi non si ritenevano competenti a procedere a un siffatto controllo (35).

96.      La Corte europea dei diritti dell’uomo esige, pertanto, anzitutto che le misure di espulsione siano oggetto di un controllo giurisdizionale indipendente e rigoroso. Tale controllo deve, inoltre, essere attuato nel quadro di una procedura che garantisca, in un modo o nell’altro, il rispetto del contraddittorio. La suddetta Corte cita, a questo proposito, la soluzione che prevede la nomina di un rappresentante speciale munito di nulla osta di sicurezza.

97.      La circostanza, rilevata anch’essa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in taluni casi, che i ricorrenti non si siano visti comunicare i fatti loro contestati (36) non mi sembra essere determinante al fine di verificare se essi abbiano beneficiato di garanzie sufficienti contro l’arbitrio. In quei casi, infatti, l’accertamento di una violazione degli articoli 8 e 13 della CEDU sembra derivare dal fatto che la mancata comunicazione ai ricorrenti degli elementi loro contestati non era stata compensata da alcun controllo giurisdizionale indipendente e rigoroso dell’effettività della minaccia per la sicurezza nazionale né dall’instaurazione di un vero procedimento contraddittorio.

98.      Considerato lo standard in tal modo definito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per le garanzie procedurali applicabili alle misure di espulsione e al rifiuto d’ingresso, ritengo che il sistema procedurale istituito dal Regno Unito consenta di garantire, nel settore in questione, un giusto equilibrio tra gli interessi collegati, da un lato, ai diritti procedurali del cittadino dell’Unione e, dall’altro, alla sicurezza dello Stato.

99.      Come precisato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione a controversie che hanno interessato il Regno Unito, la SIAC è un organo giurisdizionale pienamente indipendente, informato in modo completo sui fatti che vengono addebitati alla persona soggetta a una misura di espulsione e munito di pieni poteri di annullare una siffatta misura qualora non sia stato debitamente provato che tale persona costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale. Esso esamina, a tal fine, tutti gli elementi di prova rilevanti, sia quelli secretati che quelli pubblici, controllando che nessuna informazione sia stata nascosta inutilmente al ricorrente (37). La medesima Corte ha anche ritenuto che la facoltà riconosciuta agli avvocati speciali di interrogare i testimoni a carico sull’esigenza di riservatezza e di sollecitare davanti ai giudici la divulgazione di informazioni complementari possa costituire una garanzia aggiuntiva (38) e contribuire ad attenuare il rischio di errori in cui la SIAC è passibile di incorrere basandosi su prove riservate (39).

100. Alla luce di tali elementi e tenuto conto del margine di discrezionalità che occorre riconoscere agli Stati membri nel definire le garanzie procedurali idonee a garantire l’equilibrio tra i differenti interessi in gioco, sono dell’avviso che le regole procedurali previste nel Regno Unito offrano al giudice nazionale gli strumenti necessari per garantire un grado adeguato di equità nel corso del procedimento.

101. A tal proposito, occorre precisare che, siccome il principio resta quello della comunicazione dei motivi circostanziati e completi delle decisioni di rifiuto di ingresso e di allontanamento dei cittadini dell’Unione, il giudice nazionale è tenuto, in applicazione del principio di proporzionalità, a impiegare tutti gli strumenti procedurali di cui dispone per adeguare il livello di divulgazione dei motivi di pubblica sicurezza alle esigenze collegate alla sicurezza dello Stato.

102. Tutto ciò considerato, propongo alla Corte di interpretare l’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta e dell’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE, nel senso che esso permette a uno Stato membro, in casi eccezionali debitamente giustificati dalla necessità di garantire la sicurezza dello Stato e sotto il controllo del giudice nazionale, di opporsi alla comunicazione a un cittadino dell’Unione dei motivi di pubblica sicurezza alla base di un provvedimento di allontanamento emanato nei suoi confronti, nella loro integralità o sotto forma di sintesi, quando il diritto processuale nazionale prevede meccanismi che consentono di conciliare, da un lato, le legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti di informazione prese in considerazione nell’adottare il provvedimento di cui trattasi e, dall’altro, la necessità di accordare al singolo sufficienti garanzie procedurali. Spetta al giudice nazionale, in applicazione del principio di proporzionalità, impiegare tutti gli strumenti procedurali di cui dispone per adeguare il livello di divulgazione dei motivi di pubblica sicurezza alle esigenze relative alla sicurezza dello Stato.

103. Contrariamente a ZZ, alla Commissione e all’Autorità di vigilanza EFTA, non ritengo che la citata sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa A. e a./Regno Unito modifichi lo standard così descritto con riferimento ai provvedimenti di rifiuto d’ingresso e di allontanamento di cittadini dell’Unione per motivi di pubblica sicurezza. Più precisamente, non ritengo che detta sentenza imponga di applicare, in tale settore, un principio in virtù del quale le suddette persone dovrebbero essere informate comunque e senza alcuna eccezione della sostanza dei motivi di pubblica sicurezza dedotti a loro carico, anche quando vi si oppongano esigenze connesse alla sicurezza dello Stato.

104. Occorre, a mio avviso, precisare fin da subito che la succitata sentenza presenta la particolarità di stabilire le condizioni necessarie per il rispetto dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU in materia di detenzione di stranieri sospettati di terrorismo. Oggetto di discussione era la normativa del Regno Unito che permetteva che tali persone fossero mantenute in stato di detenzione, senza processo e a tempo indeterminato, in attesa della loro espulsione.

105. L’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU rappresenta una norma speciale rispetto alle condizioni più generali poste dall’articolo 13 della medesima (40). In sede di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che l’impiego di informazioni riservate può rivelarsi indispensabile quando è in gioco la sicurezza nazionale, precisando tuttavia che ciò non significa che le autorità nazionali sfuggono a ogni controllo dei tribunali nazionali quando affermano che la causa riguarda la sicurezza nazionale e il terrorismo (41).

106. Nella succitata sentenza A. e a./Regno Unito la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preso le mosse dalla considerazione che, «alla luce delle circostanze della causa e delle conseguenze drammatiche che la lunga privazione della libertà dei ricorrenti – che all’epoca sembrava poter aver durata indefinita – ha avuto sui diritti fondamentali di cui essi godono, l’articolo 5, [paragrafo] 4, [della CEDU] deve implicare garanzie sostanzialmente identiche a quelle stabilite, sotto il profilo penale, dall’articolo 6, [paragrafo] 1, [della stessa]» (42).

107. Per quanto attiene nello specifico alle esigenze da soddisfare in materia penale, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si evince che «il diritto ad un processo penale equo garantito dall’articolo 6 [della CEDU] comprende il diritto alla comunicazione di tutte le prove rilevanti in possesso delle autorità penali, sia a carico che a discarico» (43). La suddetta Corte ritiene, tuttavia, che «talvolta [possa] essere necessario, in nome dell’interesse pubblico, nascondere determinate prove alla difesa» (44). Essa ha indicato, a tal proposito, che il diritto a una divulgazione delle prove rilevanti non è assoluto (45) e che «il diritto a un processo in pieno contraddittorio può essere compresso entro i limiti strettamente necessari alla salvaguardia di un interesse pubblico rilevante, come la sicurezza nazionale, la necessità di mantenere segreti taluni metodi di polizia di indagine dei reati ovvero la protezione dei diritti fondamentali di terzi» (46). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha però precisato che, «volendo garantire all’accusato un giusto processo, le difficoltà provocate alla difesa da una limitazione dei propri diritti devono essere compensate sufficientemente dalle procedure adottate dalle autorità giudiziarie» (47). Essa verifica quindi se il procedimento, valutato nel suo insieme, sia stato equo (48) o, ancora, «fino a che punto le misure compensative potevano rimediare alla parziale mancanza di contraddittorio che viziava il procedimento» (49). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sottolineato da ultimo che una condanna non può basarsi unicamente o in misura determinante su elementi di prova secretati il cui contenuto non è stato, in nessuna fase del procedimento, reso noto all’accusato o al suo rappresentante (50).

108. Applicando nel quadro dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU garanzie sostanzialmente identiche a quelle stabilite, sotto il profilo penale, dall’articolo 6, paragrafo 1, della medesima, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato, nella succitata sentenza A. e a/Regno Unito, che «era essenziale che venissero comunicate quante più informazioni possibili riguardo alle accuse e agli elementi di prova contro ciascun ricorrente senza compromettere la sicurezza nazionale o la sicurezza altrui» (51). Secondo la suddetta Corte, «[a]nche se la divulgazione integrale delle informazioni in parola era esclusa, il rispetto dell’articolo 5, paragrafo 4, [della CEDU] esigeva che gli inconvenienti derivanti da una simile restrizione fossero compensati in modo che ciascuno degli interessati potesse ancora contestare utilmente le accuse mosse nei suoi confronti» (52).

109. Nell’esaminare la procedura prevista dalla legge sulla SIAC riguardo a tali condizioni, la Corte europea dei diritti dell’uomo, sottolineando che «la SIAC era nella posizione migliore per controllare che non venissero celate inutilmente informazioni ai detenuti» (53) e il «ruolo importante» (54) degli avvocati speciali, ha osservato che questi ultimi «potevano adempiere efficacemente le [loro] funzioni solo se i detenuti avevano ricevuto informazioni sufficienti sugli addebiti loro mossi, così da poter fornire loro indicazioni utili» (55). Essa ha ugualmente considerato che, «quando gli elementi non secretati consistono soltanto in affermazioni generali e la SIAC si basa unicamente o prevalentemente su documenti segreti per autorizzare il rilascio di un certificato o per trattenere i ricorrenti in stato di detenzione, non sarebbero soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 5, [paragrafo] 4, [della CEDU]» (56).

110. È vero che se si esamina il procedimento principale alla luce delle condizioni così fissate dalla CEDU nel quadro del suo articolo 5, paragrafo 4, risulta difficile considerare equa la procedura. È pacifico, infatti, che ZZ non ha ricevuto che poche informazioni circa gli addebiti a lui mossi e che i motivi essenziali alla base della misura di espulsione sono rimasti secretati durante tutto il procedimento dinanzi alla SIAC. Per sua stessa ammissione, detto giudice si è basato su motivi illustrati soltanto nella decisione secretata per concludere che la condotta personale di ZZ rappresentava una minaccia reale, attuale e sufficientemente seria per un interesse fondamentale della società, vale a dire la pubblica sicurezza, e che detta minaccia prevaleva sul suo diritto di beneficiare di una vita familiare nel Regno Unito (57).

111. Tuttavia, non ritengo che l’articolo 47 della Carta imponga che siano applicate, per analogia, alle contestazioni delle misure di espulsione garanzie tanto rigorose quanto quelle che derivano, sotto il profilo penale, dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. A mio avviso, è legittimo che le condizioni in base alle quali un procedimento può o non può essere considerato equo possano variare secondo la decisione contestata e le circostanze del caso di specie (58). Sono pertanto del parere che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia adottato, quanto ai diritti procedurali, uno standard più elevato quando si è trovata ad affrontare casi di detenzione rispetto a quello applicato nel valutare la compatibilità delle decisioni di espulsione con gli articoli 8 e 13 della CEDU. Osservo peraltro che, nella succitata sentenza Othman (Abu Qatada)/Regno Unito, essa ha chiaramente precisato che il ragionamento seguito nella citata sentenza A. e a./Regno Unito non ha valore generale, dimostrando così che l’esame dell’equità di una stessa procedura nazionale può portare a risultati diversi secondo il contesto nel quale viene operata detta valutazione (59).

112. In questo stesso ordine di idee, volto a sottolineare come gli standard applicabili possono variare in base al contesto, osservo altresì che la specificità del sistema procedurale nazionale oggetto del procedimento principale e il fatto che il presente rinvio pregiudiziale si riferisca alla libera circolazione e al diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione impediscono, a mio parere, di applicare per analogia il ragionamento seguito dalla Corte nella citata sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione. In tale sentenza la Corte ha indicato, in materia di diritti della difesa e di tutela giurisdizionale effettiva, le condizioni proprie per le misure di congelamento di capitali e di risorse economiche, tenendo conto del contesto procedurale specifico nel quale tali misure sono adottate. Ciò non impedisce di osservare che, nella medesima sentenza, la Corte si è preoccupata di precisare che «talune considerazioni imperative riguardanti la sicurezza o la conduzione delle relazioni internazionali della Comunità e dei suoi Stati membri possono ostare alla comunicazione agli interessati di taluni elementi» (60).

113. Prendo posizione, da ultimo, in merito all’argomento dell’Autorità di vigilanza EFTA secondo il quale non sarebbe coerente ammettere che, in applicazione della giurisprudenza della House of Lords (61), una persona oggetto di un «control order» ai sensi della legge del 2005 sulla prevenzione del terrorismo (Prevention of Terrorism Act 2005) possa essere messa a conoscenza delle contestazioni essenziali mosse nei suoi confronti, mentre una simile comunicazione potrebbe essere negata a un cittadino dell’Unione soggetto ad un provvedimento di allontanamento.

114. Come ho già osservato, ritengo che il livello di divulgazione dei motivi di pubblica sicurezza possa variare secondo il contesto procedurale nel quale viene adottata la decisione contestata e in base alla natura delle misure di cui trattasi. I «control orders» consistono in misure restrittive della libertà delle persone sospettate di terrorismo che operano con modalità diverse, andando ad incidere, ad esempio, sul loro luogo di residenza, sui loro spostamenti, sulla sfera relazionale e sull’utilizzo dei mezzi di comunicazione. Queste misure, nelle loro forme di applicazione più rigorose, possono avere effetti simili a quelli di una misura di detenzione. I «control orders» rappresentano quindi una categoria particolare di misure che non è, a mio giudizio, comparabile con quella dei provvedimenti di allontanamento adottati in base alla direttiva 2004/38. In ogni caso, il fatto che un giudice nazionale reputi opportuno, nel quadro dell’applicazione di una legge nazionale volta a prevenire gli atti di terrorismo, estendere a misure diverse dalla detenzione lo standard previsto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella succitata sentenza A. e a./Regno Unito, non è di per sé idoneo ad influire sul livello dei requisiti procedurali che ritengo si debba desumere, nell’ambito dell’attuazione del diritto dell’Unione, dall’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta e dell’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE.

IV – Conclusione

115. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sottoposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civile Division) come segue:

L’articolo 30, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dell’articolo 346, paragrafo 1, lettera a), TFUE, deve essere interpretato nel senso che esso consente ad uno Stato membro, in casi eccezionali debitamente giustificati dalla necessità di garantire la sicurezza dello Stato e sotto il controllo del giudice nazionale, di opporsi alla comunicazione ad un cittadino dell’Unione dei motivi di pubblica sicurezza alla base di un provvedimento di allontanamento emanato nei suoi confronti, nella loro integralità o sotto forma di sintesi, quando il diritto processuale nazionale prevede meccanismi che consentono di conciliare, da un lato, le legittime preoccupazioni di sicurezza quanto alla natura e alle fonti di informazione prese in considerazione nell’adottare il provvedimento di cui trattasi e, dall’altro, la necessità di accordare al singolo sufficienti garanzie procedurali.

Spetta al giudice nazionale, in applicazione del principio di proporzionalità, impiegare tutti gli strumenti procedurali di cui dispone per adeguare il livello di divulgazione dei motivi di pubblica sicurezza alle esigenze relative alla sicurezza dello Stato.


1 – Lingua originale: il francese.


2 –      GU L 158, pag. 77, con rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34.


3 – ZZ/Secretary of State for the Home Department [2011] EWCA Civ 440 (punto 11), disponibile al seguente indirizzo Internet: http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2011/440.html.


4–      C‑145/09 (Racc. pag. I‑11979).


5–      C‑348/09.


6–      Sentenza I, cit. (punto 19 e giurisprudenza citata).


7–      Ibidem (punto 20 e giurisprudenza citata).


8–      Ibidem (punto 28).


9 – Sentenza Tsakouridis, cit. (punto 49).


10–      Ibidem (punto 52).


11 – V. ZZ/Secretary of State for the Home Department [2008] UKSIAC 63/2007, disponibile al seguente indirizzo Internet: http://www.bailii.org/uk/cases/SIAC/2008/63_2007.html. La SIAC afferma, infatti, al punto 21:


      «For reasons which are given in the open and closed Judgments, read together, we are satisfied that the imperative grounds of public security which we have identified in the closed Judgment outweigh the compelling family circumstances of ZZ’s family so as to justify the Secretary of State’s decision to exclude him from the United Kingdom».


12–      Direttiva del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 56, pag. 850).


13–      36/75 (Racc. pag. 1219).


14–      Punto 39.


15–      V., in particolare, sentenza del 29 giugno 2010, E e F, C‑550/09 (Racc. pag. I‑6213, punto 54).


16–      V., in particolare, sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑110/10 P (Racc. pag. I‑10439, punto 47 e giurisprudenza citata).


17 – V., in particolare, sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 21 marzo 2012, Fulmen e Mahmoudian/Consiglio, T‑439/10 e T‑440/10 (punto 72).


18–      V., in particolare, sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, C‑279/09 (Racc. pag. I‑13849, punto 29).


19–      V. spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17).


20 – Rispettivamente: C‑284/05 (Racc. pag. I‑11705), C‑294/05 (Racc. pag. I‑11777), C‑372/05 (Racc. pag. I‑11801), C‑387/05 (Racc. pag. I‑11831), C‑409/05 (Racc. pag. I‑11859), C‑461/05 (Racc. pag. I‑11887) e C‑239/06 (Racc. pag. I‑11913).


21–      Sentenza Commissione/Finlandia, cit. (punto 36). V. altresì, nello stesso senso, citate sentenze Commissione/Germania (punti 58 e 59), Commissione/Grecia (punti 44 e 45) nonché Commissione/Danimarca (punti 42 e 43).


22 – V., tra tutte, sentenza Commissione/Finlandia, cit. (punto 45).


23–      Ibidem (punto 47).


24–      Ibidem (punto 53).


25–      V., in particolare, sentenza del 28 luglio 2011, Agrana Zucker, C‑309/10 (Racc. pag. I‑7333, punto 35).


26 – Corte eur. D.U., sentenza del 15 novembre 1996, Chahal/Regno Unito, Recueil des arrêtset décisions 1996‑V, § 131. V. altresì, quanto alle misure comunitarie in materia di congelamento di capitali, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P (Racc. pag. I‑6351, punto 344).


27 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenze del 20 giugno 2002, Al‑Nashif/Bulgaria; dell’11 febbraio 2010, Raza/Bulgaria; del 2 settembre 2010, Kaushal e a./Bulgaria, e del 26 luglio 2011, Liu/Russia.


28 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenze del 12 ottobre 2006, Kaya/Romania; del 24 aprile 2008, C.G. e a./Bulgaria, e del 15 febbraio 2011, Geleri/Romania. Benché il protocollo n. 7 non si applichi al Regno Unito, ci sembra comunque utile, per completezza, citare anche la giurisprudenza che lo riguarda.


29 – V., in particolare, Corte eur. D.U., citate sentenze Al‑Nashif/Bulgaria (§ 133); C.G. e a./Bulgaria (§ 56); Kaushal e a./Bulgaria (§ 35) e Liu/Russia (§ 99).


30 – V., in particolare, Corte eur. D.U., citate sentenze Al‑Nashif/Bulgaria (§§ 136 e 137); C.G. e a./Bulgaria (§ 57) e Kaushal e a./Bulgaria (§ 36).


31 – V., in particolare, Corte eur. D.U., citate sentenze Al‑Nashif/Bulgaria (§ 137); C.G. e a./Bulgaria (§ 57); Kaushal e a./Bulgaria (§ 36) e Liu/Russia (§ 99).


32 – V., in particolare, Corte eur. D.U., citate sentenze Al‑Nashif/Bulgaria (§§ 123 e 124); C.G. e a./Bulgaria (§ 40); Kaushal e a./Bulgaria (§ 29) e Liu/Russia (§§ 87 e 88).


33–      V. giurisprudenza citata alla nota 28.


34 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenza C.G. e a./Bulgaria, cit. (§ 47).


35 – V., a tal proposito, Corte eur. D.U., citate sentenze Raza/Bulgaria (§ 54) e Liu/Russia (§§ 89 e 91).


36 – V., in particolare, Corte eur. D.U., citate sentenze C.G. e a./Bulgaria (§§ 46 e 60) e Liu/Russia (§ 90).


37 – V., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenze del 19 febbraio 2009, A. e a./Regno Unito (§ 219), e del 17 gennaio 2012, Othman (Abu Qatada)/Regno Unito (§ 220).


38 – Corte eur. D.U., sentenza A. e a./Regno Unito, cit. (§ 219).


39 – Corte eur. D.U., sentenza Othman (Abu Qatada)/Regno Unito, cit. (§ 223).


40 – V., in particolare, Corte eur. D.U., citate sentenze Chahal/Regno Unito (§ 126) e A. e a./Regno Unito (§ 202).


41 – Corte eur. D.U., sentenza Chahal/Regno Unito, cit. (§ 131).


42 – Corte eur. D.U., sentenza A. e a./Regno Unito, cit. (§ 217).


43 – Ibidem (§ 206).


44–      Idem.


45 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenze del 16 febbraio 2000, Jasper/Regno Unito (§ 52), e del 18 maggio 2010, Kennedy/Regno Unito (§ 187 e giurisprudenza citata).


46 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenza A. e a./Regno Unito, cit. (§ 205 e giurisprudenza citata).


47–      Idem.


48–      Ibidem (§ 208 e giurisprudenza citata).


49 – Ibidem (§ 207).


50–      Ibidem (§§ 206‑208 e giurisprudenza citata).


51 – Ibidem (§ 218).


52–      Idem.


53 – Ibidem (§ 219).


54 – Ibidem (§ 220).


55–      Idem.


56–      Idem.


57 – ZZ/Secretary of State for the Home Department, cit. alla nota 11 (punto 20). Osservo tuttavia che la decisione non secretata contiene già un certo numero di addebiti seri in relazione ai quali ZZ si è potuto esprimere nel corso del procedimento. Si evince che, nelle conclusioni che sono state portate a conoscenza del ricorrente, gli viene contestato il coinvolgimento nelle attività della rete del Gruppo islamico armato (GIA) e in attività terroristiche. Più precisamente, ivi si afferma che egli è o era proprietario di oggetti rinvenuti in Belgio in locali presi in affitto da un noto estremista dove sono state ritrovate, in particolare, armi e munizioni. Dal fascicolo emerge inoltre che il ricorrente ha preso posizione su altri fatti allegati, quali i contatti avuti con determinate persone, concretamente indicate, nonché il possesso di ingenti somme di denaro.


58 – V., in questo senso, Corte eur. D.U., sentenza Kennedy/Regno Unito, cit. (§ 189).


59 – Corte eur. D.U., sentenza Othman (Abu Qatada)/Regno Unito, cit. (§ 223).


60–      Punto 342.


61 – Secretary of State for the Home Departments/AF and others [2009] UKHL 28, disponibile al seguente indirizzo Internet: http://www.bailii.org/uk/cases/UKHL/2009/28.html.